Il 14 febbraio 1958 fu ucciso Mario Giliberti un ventisettenne, dipendente della Fiat, di Lucera nel foggiano.
Il Giliberti abitava nello storico quartiere di Vanchiglia a Torino, esattamente in via Fontanesi 20 Torino (N 45° 4′ 20.849” E 7° 42′ 27.594”), nel retrobottega di un calzolaio, sistemazione che gli aveva trovato suo zio.
Il 24 febbraio arrivò una telefonata al quotidiano “Stampa Sera”. Si trattava di una voce roca, con chiaro accento del Sud Italia, e disse al giornalista di voler parlare: “con il direttore o con un’altra persona molto importante” passatogli un cronista disse: “Ho ucciso uno in via del Po“. Il cronista chiese: “Dove, dove?”, l’uomo rispose: “Vicino al Po, cercate e troverete il cadavere”, poi troncò la chiamata. I giornalisti non diedero peso alla telefonata ma avvertirono la polizia che svolse delle indagini nella zona del Po, i vigili del fuoco dragarono il fiume senza trovare niente. Si pensò ad un macabro scherzo.
Il Giliberti venne visto al bar del piccolo borgo ordinare due caffè il 14 febbraio per poi sparire. Il corpo fu ritrovato il 25 febbraio, 11 giorni dopo, quando il suo caporeparto alla Fiat, preoccupato delle ripetute assenze sul posto di lavoro, segnalò la sua ripetuta assenza.
Mario Giliberti giaceva sul letto nell’appartamento, in una pozza di sangue, avvolto in un lenzuolo, due coperte e un cappotto. Presentava il segno di diciotto ferite da arma bianca vibrate, scoperto in seguito, con un trincetto da calzolaio. Accanto al corpo in putrefazione, fu ritrovato un biglietto con su scritto: “Troverete l’ASSINO”. Sul luogo vennero repertati inoltre le due tazzine del caffè, un vasetto di vasellina e, su pavimento tutti tagliuzzati, dei buoni postali il cui ammontare era di circa 200 mila lire.
Il Giliberti portava sempre una catenina al collo che non è mai stata ritrovata. Si accertò inoltre che dall’abitazione erano scomparse due sveglie, un orologio di metallo, un bracciale d’oro e una somma di circa 20.000 lire.
Fu trovata un’unica impronta non appartenente alla vittima ma che non dette nessun risultato.
Nel portafoglio fu rinvenuta una fotografia della vittima con un commilitone scattata durante il servizio militare e con una dedica di quest’ultimo al Gilberti.
Voci di popolo parlavano di una fidanzata di Lodi.
Gli unici testimoni erano due giovani che passando per la via ricordarono di aver udito delle urla, molto femminili, provenire dal piano terreno del laboratorio e gli sembrava di aver sentito le parole “Aiuto e Valerio”. La polizia scoprì tra i conoscenti del Giliberti un giovane che si chiamava Valerio e lo interrogò ma risultò estraneo alla faccenda.
Qualcuno aveva visto una donna bussare alla porta del Giliberti, la ragazza fu rintracciata, ma risultò del tutto estranea al delitto.
L’assassino il 27 febbraio fece recapitare una lettera sia al giornale che al Commissariato di Borgo Po ambedue scritte a mano. Nel biglietto erano nascoste tra le parole l’indirizzo dove stava il corpo. In questa sua prima lettera l’assassino parla di un torto subito. Le due lettere scritte in stampatello riportavano rispettivamente “Caro Ispettore” e “Caro Direttore” nella copia inviata al giornale.
Questo il testo:
“Sono venuto da lontano per via
di compiere Il Mio Delitto, da non confon
dersi con uno qualsiasi. Ho studiato la cosa perfetta
In modo da non lasciare traccia ne
anche di un ago. Con il delitto è cessato insi
eme l’odio per lui. Questa sera parto, ore 20.
Un tempo io e la vittima eravamo molto
amici e portavamo la divisa insieme
Poi lui mi tradì come fossi un cane
Oggi stava bene, così la mia vendetta
lo ha raggiunto.
Spero che scoprirete il suo cadavere prima
che diventi marcio.
Leggendo con attenzione la lettera troverete
con precisione dove è stato compiuto
Il mio delitto perfetto“.
La lettera era firmata Diabolich ed era stata spedita il Martedì 25 febbraio, quindi prima che venisse scoperto il corpo; ed effettivamente all’interno delle prime sei righe del biglietto, si componeva un indirizzo: quello di via Fontanesi 20. La lettera poteva essere solo dell’assassino.
Sabato 1 marzo la stessa voce rauca telefonava nuovamente alla redazione del giornale: “Sono quello che sapete. State attenti a quello che pubblicate, se no…“.
Nel frattempo la polizia e i giornali avevano scoperto che uno dei tanti romanzi economici che si potevano acquistare a poco prezzo nelle edicole, intitolato “Uccidevano di notte”, narrava tra l’altro le imprese di un certo Diabolic autore di una catena di delitti perfetti. Nel romanzo furono trovate svariate analogie riferite alle circostanze del delitto. La scelta dell’arma, la telefonata al giornale e perfino una parte del testo della lettera.
Il protagonista di Uccidevano di notte telefonava con voce contraffatta proprio come l’uomo che aveva chiamato la redazione del giornale. L’assassino del libro aveva usato per le sue lettere di sfida una carta carbone colore viola e viola era quella adoperata dal suo emulo nella vita reale. Nel romanzo il delitto veniva scoperto dopo due settimane e nel caso di via Fontanesi 20 l’autopsia aveva stabilito che la morte del Giliberti doveva risalire a una decina di giorni, o più precisamente alla notte del 14 febbraio quando il giovane era stato visto per l’ultima volta vivo al bar.
Data la fotografia ritrovata nel portafoglio e la lettera di Diabolich che indicava una permeanza di entrambi nell’esercito, furono rintracciati gli ex commilitoni del Giliberti che si era raffermato per sei anni congedandosi poi con il grado di sergente.
Si svolsero indagini sui suoi parenti residenti a Torino e si interrogarono i suoi amici. Mario Giliberti risultò un uomo taciturno, che viveva appartato, non faceva facilmente amicizia, non si confidava mai con nessuno. Era noto come un giovane onesto, parsimonioso e lavoratore.
Le informazioni fornite dalle autorità militari e dai suoi datori di lavoro erano eccellenti. La sua vita sembrava essere trascorsa nella più perfetta normalità.
Si svolse un’inchiesta anche sulla fidanzata della vittima, una ragazza di 24 anni che abitava a Lodi. Risultava che il Giliberti, poche settimane prima di morire, aveva scritto alla fidanzata dicendole che desiderava anticipare la data delle nozze.
La lettera di Diabolich fu sottoposta a perizia calligrafica.
Primo sospettato fu l’amico presente sulla fotografia ritrovata, un certo Aldo Cugini. Un bergamasco, figlio di imprenditori, benestante. Il Cugini stava organizzando il matrimonio e la sua promessa sposa aspettava un figlio. Educato secondo valori rigidamente cattolici, mai un gesto fuori dall’ordinario, mai un comportamento men che civile.
I sospetti su Cugini si affermarono sia per il fatto di essere il militare presente sulla fotografia trovata nel portafogli della vittima e per il fatto che i due si erano frequentati anche dopo la fine del servizio di leva. Gli inquirenti sospettavano una relazione omosessuale tra i due. Inoltre la calligrafia della dedica sulla fotografia e quella delle missive erano simili.
La sera della scomparsa di Mario il Cugini fornì un alibi risolutivo in quanto si trovava da dei clienti, ma non fu creduto.
Il Cugini fu arrestato il 2 marzo del 1958 e detenuto presso il carcere delle Nuove per ben quattro mesi e mezzo come presunto colpevole di questa brutale uccisione. L’ordine di cattura spiccato per il giovane bergamasco era motivato proprio dalla simile calligrafia: “… in quanto sussiste pressoché assoluta corrispondenza fra la grafia dell’imputato e la grafia di colui che mandò ad un giornale della città la lettera in cui si dichiarava autore del delitto“.
La relazione omosessuale tra i due si consolidò nell’idea degli inquirenti specie dopo le indagini svolte presso la caserma dove avevano prestato servizio militare. Fra i commilitoni veniva ricordato il soprannome con cui i due, più una terza persona mai identificata, venivano chiamati dai compagni d’armi: “le tre monachelle”. Inoltre sul luogo dell’omicidio fu ritrovato un vasetto di vasellina che fece sospettare possibili rapporti omosessuali.
La pista seguita dagli investigatori si basava su un movente che traeva origine dalla relazione omosessuale che aveva scatenato una lite finita male. Forse l’assassino non voleva che il Giliberti raccontasse della loro tresca. Inoltre Aldo Cugini era una persona benestante e gli inquirenti pensarono anche ad un ricatto.
Mentre Cugini era in carcere il vero assassino, Diabolich, continuò a spedire lettere con cui scagionava il Cugini e dimostrava la volontà di essere preso. In una di queste scrive: “Ci sono, e mi sto prendendo gioco di voi”. In un’altra sua lettera scrive: “Il mio delitto non è un gioco da ripetersi”.
Intanto a Torino si diffuse la psicosi del delitto Diabolich che avrebbe potuto uccidere ancora, I giornali ricevevano lettere in cui l’assassino comunicava i prossimi delitti perfetti. Una di queste riportava: “Vi rendo noto che senza fallo un secondo intervento farà la mia lama…“, un’altra “Un altro amico cadrà…“.
Nella mattina di giovedì 13 marzo, giorno che era stato indicato in una delle lettere come il giorno di un nuovo delitto, una donna telefonò alla Polizia dicendo preoccupatissima: “Per carità, correte in corso Regio Parco 32, mio marito è stato ucciso da Diabolich“. La polizia si recò all’indirizzo e non ricevendo risposta sfondò la porta. L’appartamento era deserto tranne una stanza chiusa a chiave dall’esterno. I poliziotti aprirono la stanza e all’interno c’era il marito, in perfetta salute, della donna che aveva telefonato. In pratica la moglie, uscendo per la spesa, lo aveva chiuso dentro alla stanza senza accorgersene e poi aveva telefonato a casa per parlare con il marito stesso, non ricevendo risposta al telefono aveva subito pensato che lo avesse ucciso Diabolich.
Un altro episodio increscioso accadde sempre il 13 marzo. In via Bertola 4, proprio di fronte alla sede del giornale al quale Diabolich inviava le sue missive, al quarto piano vi era un appartamento vuoto da un mese e mezzo, lasciato libero da un’agenzia giornalistica. Alle 19.30 un falegname e un fattorino si erano recati in quell’appartamento per ritirare le ultime cose rimaste. La porta di uno stanzino era chiusa dall’esterno con una sbarra, i due l’aprirono e si trovarono davanti un cadavere che giaceva sul pavimento. I due si precipitarono in strada e chiamarono la Polizia. Nel giro di pochissimo tempo la notizia si diffuse e alla Polizia ed al giornale arrivarono decine di telefonate che chiedevano se era opera di Diabolich. Il giorno dopo la polizia comunicò che il defunto era un senza tetto di nome Giuseppe Gavosto di 57 anni da Crescentino e che era morto per un infarto un mese prima mentre cercava rifugio per la notte nell’appartamento vuoto. Qualcuno lo aveva chiuso nello stanzino non avendo contezza della presenza del cadavere all’interno.
Altre lettere arrivarono e il 15 marzo ne arrivò una ad un giornale con due gruppi di lettere: “etturoomlisedispaiseegalonsasènemteiolec” e “ducomiroernnclolveiuamiiclanhodaece“. Gli appassionati di enigmistica anagrammarono i messaggi e in questura arrivò la telefonata di un signore che chiedeva la protezione della Polizia: “E perché?” “Perché io sono Eliseo Lesseri“. “E con questo?“, “Ma come, non avete decifrato il primo gruppo di lettere? Significa: Eliseo Lesseri, aspetti molto sangue domenica. Mi avanza una “e” ma io ho paura lo stesso“.
Aldo Cugini, intanto, aveva potuto dimostrare che, il giorno dell’omicidio, lui si trovava a Orzinuovi per affari dato che lavorava come rappresentante per l’azienda del padre, un commerciante di materiali edili. Le indagini svolte presso i suoi clienti lo avevano confermato era rincasato alle 17 e si era recato a far visita alla fidanzata che abitava a Bergamo. Anche per la giornata successiva il Cugini aveva un alibi perfetto, si trovava a Vercelli da un suo cliente che confermò tutto.
Queste evidenze avrebbero dovuto farlo scarcerare, ma non fu così. Gli inquirenti sostenevano che gli altri biglietti, quelli con i giochi enigmistici, li aveva scritti lui in carcere, facendoli spedire poi da qualcuno.
La polizia sosteneva che il Cugini fosse stato visto a Torino nei giorni del delitto, e il giovane fu messo a confronto con tre testimoni.
Uno di questi, davanti a lui, confermò di averlo visto passare sotto i portici di Porta Nuova, cioè in uno dei punti di maggior transito pedonale della città. L’avvocato del Cugini, presente al confronto, gli chiese: “Ma lei lo aveva visto altre volte in precedenza?” “No,” fu la risposta, “era la prima volta”. “E lei, guardando la fotografia di uno sconosciuto,” ribatté l’avvocato, “è sicuro che lo vide in un determinato giorno fra migliaia di altri passanti sconosciuti?”. L’uomo rimase esitante, poi disse. “Mi sembra di averlo visto, ma posso anche sbagliarmi”.
Poiché il giudice istruttore aveva respinto la domanda di scarcerazione, gli avvocati del Cugini tentarono la via del ricorso, che rese necessaria una controperizia di parte. Il perito scelto dai difensori contraddisse ogni affermazione dei consulenti del tribunale, dimostrando che centinaia di giovani scrivevano come lui scriveva, per cui anche la loro calligrafia poteva essere scambiata per quella di Diabolich.
Nel 1960 il Giudice Istruttore fece decadere le accuse verso Aldo Cugini, derubricò gli indizi e su indicazione dello stesso pubblico ministero la corte d’assise assolse l’imputato perché il quadro probatorio non consentiva di di condannarlo. Nella sentenza, il giudice osservò che la morte di Mario doveva attribuirsi comunque a cause legate alla sua “…anormalità sessuale, e l’assassino doveva essere un amico intimo perché il giovane operaio lo accolse a tarda sera a casa sua, in pigiama, e gli offrì il caffè”.
Il delitto rimane insoluto ed il fascicolo 3698/58 contiene ancora le carte e i reperti del caso Giliberti compresi dei mozziconi di sigarette fotografati durante il sopralluogo, luogo ideale per recuperare del DNA.
Nel novembre del 1962, cioè quattro anni dopo il terribile delitto, le sorelle milanesi Angela e Luciana Giussani crearono il fortunato fumetto Diabolik, e pare che l’ispirazione per battezzare così il protagonista sia venuta proprio dal delitto di Torino.
Valutazione della Luna nel delitto di Mario Giliberti
Mi sto affacciando adesso per la prima volta al sito e sto procedendo in ordine cronologico, dalla data più vecchia alle più recenti. Questa vicenda, di cui ignoravo l’esistenza, come è legata con la vicenda del MDF?
Grazie per la risposta.
Da niente di ufficiale, qualcuno identifica Diabolich con un altro personaggio entrato nella vicenda.