Il 21 settembre 1968 viene consegnato il Rapporto Giudiziario a firma di Gerardo Matassino.

Questo il Rapporto: 21 Settembre 1968 Rapporto giudiziario Gerardo Matassino Signa

Questa la trascrizione:

LEGIONE TERRITORIALE CARABINIERI DI FIRENZE GRUPPO DI FIRENZE + REPARTO OPERATIVO NUCLEO INVESTIGATIVO

N.34/354 di protocollo Firenze, lì 21 settembre 1968

RAPPORTO GIUDIZIARIO relativo alla denuncia in stato di arresto di:

MELE Stefano di Palmerio e fu Mugia Pietrina, nato a Fordongianus(Cagliari) il 13 1 1919, residente in Lastra a Signa – Via 24 Maggio n°177, manovale

Responsabile di:

a) del delitto di cui agli artt. 575 e 577 p.p.n.3 e cpv. C. p per avere, nella notte dal 21 al 22 agosto 1968, mediante colpi di arma da fuoco, cagionato, con premeditazione, la morte della propria moglie LOCCI Barbara, in località Castelletti di Signa.

b) del delitto di cui agli artt.575 e 577 p.p.n.3 e C.P. per avere nelle circostanze di tempo e di luogo di cui al capo che precede, cagionato, con premeditazione e mediante colpi di arma da fuoco, la morte di LO BIANCO Antonio.

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI…

Dr. Antonino Caponnetto Sost.

FIRENZE

Seguito segnalazione n. 288/2 datata 22 agosto 68 – della Tenenza Carabinieri di Signa – e fogli di questo Ufficio nn. 69/42 data to 23.8.1968 – 69/42-1 datato 24.8.1968 – 69/42-2 datato 25.8.1968 – 69/42-3 datato 25.8.1968 – 69/42-4 datato 25.8.1968 – 69/42-6 datato 30.8.1968.

Alle ore 2 del giorno 22 agosto 1968 squilla il campanello dell’abitazione del muratore De Felice Francesco, posta in Campi Bisenzio frazione si Angelo a S. Lecore -Via Vingone numero 154/1. Nonostante l’ora tarda il De Felice è sveglio, così pure la di lui moglie, ed ha la luce della camera da letto accesa perché un suo figliolo ha chiesto dell’acqua da bere. Il muratore istintivamente, anche perché non aspetta nessuno, guarda l’orologio e constata che sono le ore 02,00 precise. Anziché aprire la porta come è suo intento, il De Felice si affaccia alla finestra e nota che avanti all’uscio vi è un ragazzino che appena lo scorge gli dice: “APRIMI LA PORTA PER CHE HO SONNO ED HO IL BABBO AMMALATO A LETTO. DOPO MI ACCOMPAGNI A CASA PERCHE C’E’ LA MI’ MAMMA E LO ZIO CHE SONO MORTI IN MACCHINA”. Temendo che sia accaduto un incidente d’auto, il De Felice fa entrare il bambino in casa. Il Piccolo di circa sei anni, indossa un maglione grigio, pantaloni corti marrone scuro, calzini gialli e non calza scarpe. Dato il particolare racconto viene svegliato l’inquilino del piano superiore, Marcello Manetti, e con questi si cerca di ottenere ulteriori notizie. Il fanciullo però si limita a dire che la mamma e lo zio sono proprio morti, ma che non sa come sono morti.

A questo punto, dopo avere lasciato il bambino a casa i due si recano al comando della stazione Carabinieri di S. Piero a Ponti dove mettono al corrente dei fatti il Carabiniere di servizio alla Caserma. Successivamente assieme al bambino, che nel frattempo aveva detto di chiamarsi Natalino, e seguendo le sue indicazioni giungono, dopo alcuni giri viziosi, al bivio per Comeana dove a circa cento metri sulla destra, in una strada interpoderąle, con la parte anteriore rivolta verso S. Angelo a Lecore, è parcata una Giulietta Alfa Romeo TI targata Arezzo, con il lampeggiatore destro in funzione.

Il Carabiniere scende, si avvicina all’autovettura e nota che effettivamente nell’interno vi sono due cadaveri, un uomo ed una donna con i vestiti scomposti. I tre non toccano nulla e lasciano lo stato delle cose immutato Si portano quindi al comando della tenenza Carabinieri di Signa ed avvisano quel comandante, Maresciallo Maggiore Carica Speciale Gaetano Ferrero. Il De Felice precisa anche che quando si è affacciato alla finestra non ha visto altre persone all’infuori di Natalino (vedasi allegato n°1)

Alle ore 3,30 sempre del 22 agosto 1968 giunge sul posto il Comandante della Tenenza di Signa, il quale rileva che:

-l’autovettura, una Alfa Romeo Giulietta TI targata AR253442, è ferma, con il motore spento, sulla strada interpoderale che costeggia il fiume Vingone – in località “Castelletti” di Signa, a circa centocinquanta metri dalla comunale Signa-Lecore, con direzione di marcia S. Angelo a Lecore.

-la freccia destra dell’autovettura è in funzione

-le portiere sono tutte chiuse all’infuori di quella posteriore destra che è semi aperta

-i cristalli sono tutti alzati, tranne quelli della fiancata sinistra che si presentano: l’anteriore abbassato di circa tre centimetri ed il posteriore abbassato a metà

– la zona è completamente al buio, Il cielo è coperto, vi è una leggera foschia e molta umidità;

– l’autovettura, cosparsa di rugiada, presenta i vetri appannati. Nessun segno utile viene rilevato su queste parti

-il Comandante della Tenenza, per ispezionare l’interno della autovettura, e rendersi conto dell’accaduto, apre con cautela lo sportello anteriore sinistro ma, appena inizia l’apertura, una scarpa da uomo cade per terra proveniente dall’interno dell’autovettura

– per cercare di identificare i due cadaveri viene anche aperto lo sportello anteriore destro e tra questo ed il sedile si rinviene un borsellino da donna ed un fazzoletto, materiale che non viene manomesso

– alla fine i due cadaveri vengono identificati per:- Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, entrambi residenti a Lastra a Signa.

I corpi non vengono toccati. Si lascia tutto allo stato primitivo e si provvede ad avvisare il Magistrato (vedasi allegato n°2)

Alle ore 6,30 del 22 detto giunge sul posto il Sig. Sostituto Procuratore della Repubblica Dr. Antonino Caponnetto, il quale, resosi conto dell’accaduto, autorizza i rilievi fotografi ci che vengono eseguiti da personale specializzato del Gruppo Carabinieri di Firenze, effettua le constatazioni di legge di sua competenza ed ordina la rimozione cadaverica. Si precisa che i due corpi si trovano nella seguente posizione:

-premettendo che il sedile anteriore destro è ribaltato si afferma che sdraiato in posizione supina giace Lo Bianco Antonio con le mani che reggono i pantaloni, come nello atto di chi vuole abbassarli o calzarli. Gli stessi sono sbottonati a metà con la cinghia slacciata. Il Lo Bianco veste: -canottiera di cotone bianco, casacca chiara, slips bianchi, pantaloni scuri, calzini scuri e calza solamente la scarpa destra. Sui suoi vestiti, all’altezza della spalla sinistra e sul ginocchio sinistro, si notano delle macchie di sangue.

– Al posto di guida, sedile anteriore, trovasi Locci Barbara, in posizione semi-sdraiata, con il capo reclinato verso la spalla sinistra e gli arti superiori penzoloni lateralmente al busto. Le vesti della Locci sono scomposte tanto che ambedue le cosce sono scoperte quasi all’altezza dell’inguine, La Locci veste: -abito di stoffa variopinta, sottoveste chiara, reggiseno nero, mutandine bianche e non calza le scarpe che si trovano invece al di sotto del sedile anteriore. Evidenti fori prodotti da colpi di arma da fuoco si notano sul petto della donna, con macchie di sangue all’altezza dell’ombelico. Al collo della donna è posta una catenina in oro giallo, spezzata in due punti e lo spezzone, di circa tre centimetri, derivato dalla rottura, attaccato alla pelle.

-La catenina viene repertata e rimessa come corpo di reato(vedasi allegato n°3)

Continuando nella sommaria ispezione dell’interno si rinviene, posta nello spazio esistente tra il sedile anteriore e – quello posteriore destro, una pallottola esplosa, presumibilmente da cartuccia calibro 22, che viene repertata dal Magistrato. Nell’ispezionare le zone laterali ove è parcata l’autovettura, sulla parte sinistra, in relazione alla direzione di marcia della macchina, si rinvengono tre bossoli recenti stampigliata sul fondello la lettera “H”. I bossoli, sempre di calibro 22, vengono anche questi repertati dal Magistrato. I cadaveri sono rimossi e deposti su due barelle.

Il primo ad essere ispezionato è quello della donna. Nello spogliare la Locci, dalla parte posteriore dei vestiti, all’altezza della schiena, viene fuori una pallottola sempre di presumibile calibro 22 ed anche questa viene repertata direttamente dal Magistrato. Sui due corpi si notano svariati fori prodotti da colpi di arma da fuoco.

Il Dottor Pratelli Ugo, Ufficiale Sanitario competente per territorio, constata la morte dei due attribuendola ad: “EMORRAGIA INTERNA PROVOCATA DA COLPI DI ARMA DA FUOCO”. Su ordine del Magistrato i due cadaveri vengono quindi trasportati, a mezzo di carri funebri, presso l’Istituto di medicina legale di Firenze, per essere sottoposti ad esame autoptico. Di quanto sopra esiste documentazione fotografica (vedasi al legato n°4 già trasmesso alla Procura della Repubblica di Firenze in data 30.8.1968, con foglio 1769/42-6 di questo Ufficio)

L’autovettura Alfa Romeo Giulietta TI, targata AR:53442, viene rimossa trasportata nel cortile della Caserma Carabinieri di Signa e sottoposta a sequestro (vedasi allegato n.5).

In un secondo tempo, presso la Tenenza Carabinieri di Signa, si procede ad una più accurata ispezione dell’autovettura ed al di sotto del sedile posteriore, posti tra la spalliera ed il sedile vero e proprio, si rinvengono due bossoli, sempre di presumibile calibro 22, con la lettera, “H” stampigliata sul fondello. Vengono fotografati, repertati e trasmessi al Magistrato inquirente. (vedasi allegato n°6 – i bossoli sono stati trasmessi con foglio di questo Ufficio 69/42-2 datato 25.8.68)

Per ricercare eventuali altri bossoli, pallottole ed infine l’arma del delitto, si provvede ad una minuziosa bonifica della zona circostante il punto ove è parcata l’autovettura. All’operazione prendono parte, oltre a militari dell’Arma, Vigili del fuoco di Firenze e militari della Compagnia Genio Pionieri della Caserma “Predieri” di Rovezzano. L’operazione stessa da però esito negativo e nulla viene rinvenuto. (vedasi allegato n°7)

Allo stato dei fatti risulta quindi che unico testimone oculare accertato è il figliolo dell’uccisa a nome Mele Natale di anni 6. Questi però afferma di non avere visto o sentito nulla perché dormiva sul sedile posteriore dell’autovettura. Svegliatosi ed accortosi che la mamma era morta, spaventato prosegue a piedi la strada fino a giungere all’abitazione del De Felice. la strada in argomento è lunga circa tre chilometri. Sulla base degli elementi fin qui raccolti si iniziano le indagini di Polizia Giudiziaria dirette alla identificazione dello autore o degli autori del duplice omicidio.

Ci si porta in Lastra a Signa, ove nella Caserma Carabinieri viene assunto a verbale il marito dell’uccisa a nome Mele Stefano di anni 49. Questi dichiara che la moglie ed il figliolo sono usciti di casa verso le ore 22 del giorno 21.agosto.68 unitamente a tale “Enrico”, proprietario di una Giulietta bianca, non meglio da lui conosciuto. Dichiara anche di andare d’accordo con la moglie nonostante la differenza di età e nonostante fosse a conoscenza che la moglie stessa ha sempre un amante. In proposito fornisce anzi alcuni nome del presunti amanti: – Giovanni Vinci, Vinci Salvatore, Vinci Francesco e per ultimo l’Enrico dalla Giulietta bianca. Il Mele afferma che è rimasto tutta la notte sveglio, in attesa della moglie e del figlio, ma che non è uscito a cercarli perché si sentiva male, e che al mattino, alle sette, quando i Carabinieri suonano al campanello dell’inquilino del piano di sotto, pur non essendo l’interessato, lui si affaccia egualmente alla finestra per vedere, chi fosse, perché dice: “ASPETTAVO CHE MI PORTASSERO LA NOTIZIA SE DEL CASO FOSSE CAPITATO QUALCHE COSA”. Si comunica al Mele che la moglie, unitamente all’amico “Enrico”, identificato poi per Lo Bianco Antonio, è stata uccisa durante la notte, in località “Castelletti” di Signa, mentre trovavasi a convegno amoroso. La reazione dell’uomo è relativa e poco genuina, non si preoccupa di sapere come è successo, bensì immediatamente precisa che lui per tutta la notte non si è mosso da casa.-Dichiara di non sapere dove la moglie dovesse andare con l’amico ne se vi fosse qualche persona che avesse interesse ad uccidere i due. Parla delle visite ricevute a casa durante il giorno 21 e nomina il Lo Bianco ed un tale “Virgilio”, giovane siciliano non meglio conosciuto, affermando che anche questi è stato amante della moglie circa un anno prima. Non fornisce altre indicazioni e precisa nuovamente che lui non si è mosso da casa perchè ammalato. A suo dire ha avuto sul posto di lavoro dei conati di vomito con forte bruciore di stomaco. Chiede infine notizie del figlio, ma con tale fare che lascia chiaramente intendete che conoscente di già le sorti. (vedasi allegato n.8)

Appreso da gente vicina all’abitazione del Mele che tale Vinci Francesco, già menzionato come amante della donna, frequentava con assiduità la Locci, lo si invita in Caserma e dichiara: “In passato ho amoreggiato effettivamente con la Locci Barbara. -Sono in buoni rapporti con tutta la famiglia Mele. -Ho visto per l’ultima volta la Barbara la settimana scorsa.- Da ieri sera alle ore 22 a questa mattina, quando sono stato chiamato dai Carabinieri, non mi sono mosso da casa.- Insieme a me è rimasta sempre mia moglie.” (vedasi allegato n.9)

La moglie del Vinci Francesco, a nome Muscas Vitalia, conferma l’alibi del marito affermando che dalle ore 21,30 del 21.8.68 alle ore 7 del 22.8.68 l’uomo non si è mosso di casa. Aggiunge di essere a conoscenza che la Locci Barbara per un periodo di tempo è stata l’amante del marito. (vedasi allegato n.10)

Viene quindi sentito a verbale il noto “Virgilio”, identificato per Carmelo Cutrona, che ammette la conoscenza della famiglia Mele, esclude una sua relazione con la Locci e dichiara che la sera del 21 è stato al cinema a lastra a Signa con lo zio Antonio Cannizzaro ed è rincasato verso le ore 24 senza più uscire fino al mattino successivo. Sia il Cannizzaro Antonio che i familiari del giovane, sentiti verbalmente, confermano l’alibi fornito. (vedasi allegato n.11)

Sempre in data 22 agosto: 1968, presso la caserma Carabinieri di Lastra a Signa, si procede alla prova del guanto di paraffina sui sottonotati individui, con i seguenti risultati: 1°) Stefano Mele: -mano destra colorazione azzurra in una zona di circa tre millimetri in corrispondenza della piega della pelle tra il pollice e l’indice;

2°)Carmelo Cutrona: – entrambe le mani colorazione azzurra di tipo puntiforme estesa per quasi tutta la parte interna dei due calchi (destra e sinistra);

3°) Francesco Vinci: -mano destra -esito negativo.

La colorazione assunta non raggiunge tuttavia toni assai profondi per cui la prova è indicativa della presenza di nitrati. Giova comunque ricordare che la prova è condotta a circa sedici ore dal fatto, che sulle mani dei prevenuti esistono ampie zone callose e che i soggetti possono essere venuti a contatto con prodotti nitrati(come polveri esplosivi, fertilizzanti ed altro). La relazione di cui sopra è stata trasmessa direttamente alla Procura della Repubblica di Firenze dalla Questura omonima, con foglio n°65515/Sq.Mob.Sez I° datato 4 settembre 1968.

La perquisizione domiciliare eseguita nelle abitazioni di: -Mele Stefano, Vinci Francesco e Cutrona Carmelo, per la ricerca dell’arma del delitto, non rinvenuta sul posto, da esito negativo. (Vedasi allegati mm. 12, 13, 14)

Alle ore 11,35 del giorno 23 agosto, 1968, viene interrogato nuovamente Mele Stefano che, modificando la precedente – versione, indica tale Vinci Salvatore. come autore del duplice omicidio. Il Vinci avrebbe agito per estinguere un debito di lire trecentomila circa che aveva con il Mele e per liberare quest’ultimo dalla moglie infedele. (vedasi allegato n.15)

Il Mele però in una continua altalena di ammissioni e ritrattazioni fornisce particolari tali da convincere che non è estraneo ai fatti, lo si sottopone nuovamente ad interrogatorio e, dopo svariate, evidenti contraddizioni, finisce per confessare. Egli infatti ripete che la moglie ed il figlio Natalino la sera del giorno 21 sono usciti in macchina con tale “Enrico” e che egli è rimasto a casa perché indisposto. Alle ore 23,30 però, stanco di stare solo, esce per fare una passeggiata in paese e, giunto in Piazza 4 Novembre, incontra tale Vinci Salvatore vecchio amico di famiglia, e già amante della moglie, il quale chiede notizie della Barbara e di Natalino. Il Mele risponde che i due sono usciti con tale Enrico e precisa che sono andati a cinema a Signa. A questo dire il Vinci Salvatore, conoscendo le vicende amorose della donna, consiglia: “PERCHE’ NON LA FAI FINITA?” ed il Mele di rimando: “COME FACCIO SENZA NULLA IN MANO SAPENDO CHE ENRICO HA PRATICATO LA BOXE” Salvatore replica: “IO HO UNA PICCOLA ARMA.” A questo punto di comune accordo, i due salgono sulla FIAT/600 del Vinci e si recano a Signa ove giunti notano parcata avanti ad un locale cinematografico la Giulietta di Enrico Aspettano l’uscita dei tre dal cinema e li seguono. Questi si dirigono verso il cimitero ove dopo circa cento metri svoltano in una strada interpoderale e si fermano. Il Vinci, che guida, notato il posto occupato dalla Giulietta ferma la sua macchina ed aperta una borsa porge al Mele una pistola dicendogli: “GUARDA CHE CI SONO OTTO COLPI”. Il Mele raggiunta la Giulietta occupata dai due amanti e scortili in atteggiamento intimo, secondo le sue dichiarazioni la donna si trova al di sopra dello uomo che giace supino sul sedile anteriore destra apposita mente ribaltato, esplode contro questi tutti i colpi contenuti nell’arma: Si sofferma poi ad aggiustare i corpi scomposti dei due amanti ed è in questo lasso di tempo che Natalino si sveglia e lo chiama: “babbo”. Il Mele sentendosi chiamare e visto che il figliolo lo ha riconosciuto, preso dal panico scappa via immediatamente. Mentre si allontana si disfa della pistola lanciandola lateralmente alla strada ove è parcata l’autovettura. Raggiunge il Vinci, che nel frattempo è rimasto ad aspettarlo in macchina, al quale dice: “SONO BELLI E SISTEMATI” e lo rassicura circa il bambino comunicandogli che è salvo. Viene quindi accompagnato dal Vinci, sempre in macchina, fino al ponte di Signa e da qui prosegue poi a piedi fino alla propria abitazione. Il Mele dunque si dichiara autore del duplice omicidio, chiamando in correità Vinti Salvatore. (vedasi allegato n.16)

Ricevuta la confessione il Mele viene fatto salire in macchina ed accompagnato a Signa, ove seguendo le sue indicazioni ci si ferma avanti al cinema “Arena Michelacci” che il Mele indica come il cinematografo posto difronte alla chiesa.

Da questo punto, e seguendo sempre le sue indicazioni, si ricostruisce il percorso effettuato durante la notte dal 21 al 22.8.1968, sia da lui che dai due amanti. Dopo diversi giri viziosi si arriva al cimitero di Signa ove viene fatta fermare l’autovettura e si prosegue a piedi. Per evitare che il Mele possa essere influenzato dagli inquirenti, viene fatto camminare avanti ad una certa distanza, e de solo. Gli inquirenti seguono i suoi passi. Il Mele raggiunta la estremità delle mura del cimitero si ferma, si orienta e quindi prosegue diritto fino a fermarsi all’inizio della strada interpoderale Signa-S. Angelo a Lecore. Dopo un attimo le imbocca, percorre circa centocinquanta metri e si ferma quasi sul punto preciso ove è stata rinvenuta l’autovettura con i due cadaveri Per meglio ricostruire la scena viene fatta portare sul posto una Giulia Alfa Romeo 1300 di colore bianco. Al Mele viene anche consegnata una pistola “Beretta” calibro 9 regolarmente scarica. Inizia a questo punto la vera e propria ricostruzione.

Il Mele, con la pistola in pugno, camminando con passi felpati percorre il tratto di strada che separa la Giulietta dalla comunale Signa-Lecore. Raggiunta la macchina dalla parte posteriore destra rispetto a chi guida, getta uno sguardo circospetto all’interno dell’autovettura, indi si abbassa al di sotto dell’altezza dei finestrini e quasi carponi rag giunge la parte anteriore dell’autovettura. A questo punto effettua una seconda sosta, prosegue poi fino a giungere al l’altezza del finestrino sinistro anteriore, si alza di scatto e puntando la pistola verso l’interno dell’autovettura finge di sparare. Vengono quindi fatti salire a bordo della macchina due sottufficiali e si invita il Mele a disporli nella stessa posizione in cui si trovavano la moglie e l’Enrico quando lui li trovò. Senza alcuna esitazione il Mele chiede che venga abbassato il sedile anteriore destro e vi fa sdraiare il primo uomo, quindi invita il secondo a sdraiarsi sul corpo del primo. Aggiunge poi che il figliolo si trovava sdraiato sul sedile posteriore dell’autovettura con il capo rivolto verso la parte ove alloggia il volante. Inizia quindi l’opera di ricomposizione dei due corpi. Il Mele apre lo sportello anteriore sinistro della macchina, allunga la mano destra verso il corpo della moglie e poggia quella sinistra sul cruscotto, così facendo però urta la leva della freccia di direzione, che automaticamente si accende. Il Mele a questo punto vedendo la luce esclama: “ANCHE LA NOTTE E’ CAPITATO COSI. HO MESSO LA MANO SU QUESTO POSTO E SI E’ ACCESA LA LUCE.”. Rimessa quindi la donna quasi seduta, le aggiusta appena le vesti, afferma anche di averle tirato su le mutandine, quindi richiude lo sportello, aggira la macchina ed arrivato all’altezza dello sportello anteriore destro lo apre e poiché la gamba dell’uomo, quella sinistra, si trova nello spazio riservato per chi guida, al di sotto della gamba della donna, tira con forza l’arto che nell’effettuare il passaggio si libera della scarpa che finisce verso lo sportello sinistro. Inizia ad aggiustare i vestiti dell’uomo, ma non completa l’opera perché è a questo punto che Natalino si sveglia, lo chiama e lui impaurito scappa via. Aggiunge che i due non ebbero a dire neanche una parola e quindi pensa di averli ammazzati sul colpo.

Premesso quanto sopra, considerati i fatti e le dichiarazioni rese, il Mele Stefano viene fermato per motivi di polizia giudiziaria, perché gravemente indiziato quale autore del duplice omicidio in persona di Lo Bianco Antonio e della Locci Barbara e tradotto presso le carceri giudiziarie di Firenze. (vedasi allegato n.17)

Il Magistrato inquirente, presa visione dei primi atti assunti, emette ordine di cattura nei confronti del Mele Stefano perché responsabile di duplice omicidio premeditato. (vedasi allegato n.18)

Rintracciato, nel frattempo, VINCI Salvatore lo si assume a verbale contestandogli la chiamata in correità fatta nei suoi confronti dal Mele Stefano. Il Vinci però nega la sua Partecipazione al duplice omicidio dichiarandosi completamente estraneo all’accaduto. Afferma che la sera del 21 è rincasato verso le ore 24 e non è più uscito da casa fino al mattino successivo. Prima di rincasare è rimasto per tutta la serata in compagnia di tale Antenucci Nicola. Afferma inoltre di non avere mai posseduto una pistola. (vedasi allegato n.19)

Antenucci Nicola, sentito a Verbale, conferma l’alibi del Vinci, dichiarando di essere stato con lui per tutta la sera ed indicando i posti precisi e chi avevano visto e cosa ave vano fatto. (vedasi allegato n.20)

La perquisizione domiciliare, come pure quella effettuata a bordo dell’autovettura del Vinci Salvatore, dà esito negativo. (vedasi allegato n.20 e 21)

In data 24 agosto 1968, presso le Carceri Giudiziarie di Firenze, il Sig. Sostituto Dr. Caponnetto procede all’interrogatorio del Mele Stefano e del Vinci Salvatore, appositamente invitato a comparire in quegli ufficio Il Mele, dopo avere reso una piena confessione, raccontando i fatti in modo minuzioso, caduto in contraddizione circa il correo, finisce col dichiarare che non si tratta del Vinci Salvatore, bensì del Vinci Francesco, fratello di quest’ultimo. Afferma di avere agito in tal modo per paura del Francesco e chiede di poter vedere il Salvatore per chiedergli scusa.

Considerati gli sviluppi delle situazione il Giudice dispone immediatamente il fermo di Vinci Francesco per motivi di polizia Giudiziaria, perché fortemente indiziato di reato. Il Vinci Francesco viene fermato nei pressi di Signa ed accompagnato alle carceri Giudiziarie di Firenze. (vedasi allegato n.23)

Conseguentemente, in data 26 agosto 1968 il Mele, dopo essere stato nuovamente interrogato del Giudice scagiona anche il Vinci Francesco dalle accuse di correità nel duplice omicidio e chiama in causa tale CUERONA Carmelo, noto “Virgilio”.

Il Vinci Francesco viene rimesso in libertà e viene accompagnato dinanzi al Giudice, sempre nelle carceri Giudiziarie, il Cutrona Carmelo. Il Magistrato esegue quindi un confronto tra il Mele Stefano ed il Cutrona Carmelo, alla fine però nessun provvedimento restrittivo viene adottato nei confronti del Cutrona il quale, come già fatto nei nostri uffici, nega ogni addebito escludendo la sua partecipazione al duplice omicidio.

Poiché inizialmente il Mele, indicando il Vinci Salvatore come correo, parla della somma di lire trecentomila data a quest’ultimo, si procede al sequestro dietro ordine del Magistrato della fotocopia del conto bancario del Vinci presso la Cassa di Risparmio di Prato Agenzia di La Briglia, ma niente di particolare viene rilevato dal documento stesso. (vedasi allegato n.24)

Viene accertato comunque che il Mele Stefano in data 21 giugno 1968 ha riscosso la somma di lire 480.000 (quattrocenttottantamila) dalla Società Assicuratrice Tirrenia sede di Firenze, quale rimborso spese per sinistro stradale. Immediatamente dopo i fatti in narrativa l’unica somma rinvenuta è quella di lire 24.625 (ventiquattromilaseicentoventicinque) nel borsellino della donna, reperito a bordo dell’autovettura, somma che viene consegnata al Mele Stefano. Questi non fornisce chiare giustificazioni circa il modo in cui è stato speso il denaro, si limita a dire che i soldi venivano spesi dalla moglie.

Si accerta, comunque, che le uniche spese da lui sostenute consistono in lire cinquantamila pagate a tale LISI Lionello per un debito relativo ad acquisti di generi alimentari. (vedasi allegato n.25)

Casamento Ignazio, datore di lavoro del Mele, dichiara che lo ha assunto nella prima decade del mese di agosto 28 in qualità di manovale muratore. Lo definisce buon lavoratore anche se utile soltanto per lavori non impegnativi. Afferma di avere appreso da voci comuni che la moglie del Mele si concede molto facilmente. Dichiara di non sapere se il Mele possiede una pistola. (vedasi allegato n.26)

Più volte si è parlato della Piazza 4 Novembre e del locale Bar ivi ubicato. Sentito a verbale il gestore Gazzarzi Stelio, questi dichiara che la sera del 21 agosto 1968 non ha visto ne all’interno, ne all’esterno del suo locale, le persone implicate nei fatti in narrativa. (vedasi allegato n.27)

Vinci Francesco, precedentemente incriminato e poi scagionato, durante un colloquio ha accennato ad altri amanti della Locci Barbara. Viene perciò nuovamente interrogato e si vie ne in possesso dei sottonotati nominativi. (vedasi allegato n.28)

Drago Francesco, che abita nella stessa strada del Mele, non solo dichiara di essere stati estraneo ai fatti e lo dimostra dicendo di essere stato in Sicilia, facendo vedere i biglietti del treno (di andata e ritorno), ma asserisce di non avere mai avuto rapporti intimi con la Locci Barbara. Non fornisce particolari utili ai fatti in questione. (vedasi allegato n.29)

Cannizzaro Giuseppe, altro presunto amante della bocci, residente in Signa, sentito a verbale, dichiara di conoscere tutta la famiglia Mele, esclude ogni sua relazione con la donna, dichiara di essere estraneo ai fatti accaduti ed egli ferma che la notte del delitto era rimasto a casa con la moglie. (vedasi allegato n.30)

Frangipani Emilio dichiara di conoscere il Mele da circa quindici anni di averlo avuto alle dipendenze, sin da quando era ancora celibe, in qualità di operaio agricolo. Afferma di avere conosciuto bene la Locci Barbara, ma esclude di avere avuto rapporti amorosi con la stessa. Esclude che il Mele possa essere geloso della moglie. Non è a conoscenza se il Mele possiede un’arma da fuoco. Afferma che il Mele e la sua famiglia sono vissuti sempre in condizioni economiche disagiate. (vedasi allegato n.31)

Sentito a verbale Rosalia Barranca, vedova di Lo Bianco Antonio, questa dichiara che la sera del 21 il marito è uscito di casa verso le ore 21,30 senza farei più ritorno. -Anche se preoccupata per il ritardo, non esce a cercarlo perché non può farlo, ha tre figli in tenera età che non può lasciare soli. Al mattino avvisa i fratelli i quali però hanno già appreso la notizia dell’accaduto dai Carabinieri. Afferma di non essere a conoscenza della relazione esistente tra il marito e la Locci Barbara ed aggiunge di non conoscere affatto questa donna. Non avanzo alcuna lamentela circa il comportamento del marito in vita, dicendo che non le faceva mancare niente. Afferma che la Giulietta targata Arezzo è di proprietà del marito che l’ha acquistata facendosi fare un prestito dal suo datore di lavoro, prestito che estingue con regolare trattenuta mensile. (vedasi allegato n.32)

Si sente infine a verbale il proprietario del locale cinematografico “Arena Michelacci” di Signa, a nome Elio Rugi, che la sera del delitto era alla cassa, e costui dichiara che effettivamente ha visto entrare il Lo Bianco e la Locci al cinema verso le ore 22,15, che non li ha però visti uscire e che non ha notato in loro compagnia il bambino. Aggiunge che la sera del 21 presso il suo locale veniva proiettato il film “Nuda per un pugno di eroi“. (vedasi allegato n.33)

Vengono inoltre controllati i movimenti dei fratelli della Barranca Rosalia, relativamente alla notte dal 21 al 22 agosto 68, ma nulla di irregolare risulta a loro carico. Gli stessi sono: Giuseppe Barranca e Colombo Antonio (fratellastro) ambedue residenti in lastra a Signa.

I medesimi accertamenti vengono anche fatti sul conto dei fratelli della Locci Barbara, ma sempre con esito negativo. Pierino Locci residente a S. Casciano Val di Pesa, Locci Giovanni residente ad Impruneta e Locci Vincenzo residente a San Casciano Val di Pesa.

Presso tutti i rivenditori di armi di Firenze e provincia, viene eseguito un accurato controllo per stabilire se è stata venduta una pistola calibro 22 con relative munizioni direttamente al Mele od a persone con lui in contatto. L’operazione dà comunque esito negativo.

Vengono infine controllate tutte le pistole calibro 22 in possesso delle persone residente in Signa e Lastra a Signa ma anche questa operazione non dà alcun risultato positivo.

A questo punto, nonostante il Mele Stefano sia reo confesso, ci troviamo con una dichiarazione piena di lacune incredibili e sconcertanti. Egli infatti asserisce di essere scappato via dalla zona del delitto non appena il figliolo lo ha riconosciuto. Il figliolo, a sua volta dichiara che non ha visto o sentito nulla, ma che, svegliatosi e vista la scena, avuto sentore che la mamma e lo zio sono morti scappa via fino ad arrivare da solo a casa del De Felice. Impresa questa impossibile tenuto conto, come minimo, delle asperità del terreno e del fattore luce, la notte è buia e non vi è alcuna illuminazione, per un bambino di sei anni. Tanto più se si tiene presente che dopo avere corso senza scarpe lungo il viottolo pieno di sassi il bambino non presente alcuna ferita o graffio ai piedi. Si tenga presente che il percorso è lungo circa tre chilometri intervallato da alti mucchi di ghiaia.

Finalmente, però, dopo altri interrogatori il Mele finisce per chiarire questo punto ed ammette che è stato lui ad accompagnare il figliolo a casa del De Felice immediatamente dopo avere sparato e sistemato i corpi: Successivamente, anche il bambino, dopo che ha parlato con il genitore negli uffici del Gruppo Carabinieri di Firenze ed in presenza del Magistrato finisce con l’ammettere che a casa del De Felice vi è stato accompagnato dal padre. Il Mele dichiara anche di non avere accompagnato il bambino ad un vicino cascinale, posto a circa duecento metri in linea d’aria dal luogo del delitto, perché a suo dire non avrebbe poi avuto il tempo di allontanarsi dal luogo del delitto; Questa ultima dichiarazione è molto importante perché, tenuto conto anche delle diverse chiamate in correità con conseguente scagionamento, ci lascia chiaramente capire come il Mele non avesse a sua disposizione un mezzo veloce per allontanarsi dalla zona. Cerca quindi di portare il figliolo quanto più lontano possibile su di una strada che evidentemente sa non transitabile, per poi allontanrsi comodamente.

Si è del parere che addirittura il Mele si è recato da solo sul posto, in bicicletta, e dopo avere lasciato il bambino, ripercorso lo stesso tratto di strada fatto per l’andata, ha ripreso la bicicletta ed è ritornato a casa.

A giustificare questa ipotesi stanno anche alcune macchie fresche di grasso, tipico grasso di catena di bicicletta, che il Mele presenta su ambedue le mani al mattino del 22.8.68, quando viene accompagnato in caserma e per le quali, a nostra richiesta, non sa dare alcuna giustificazione: Le stesse infatti può essersele procurate nel rimettere in sesto la catena della bicicletta evidentemente saltata dagli appositi ingranaggi. Si precisa che il Mele non è idoneo a condurre motomezzi di sorta.

In relazione all’arma adoperata per commettere 1il delitto, il perito balistico, Colonnello di Artiglieria Innocenzo Zuntini, in servizio presso il Comando Artiglieria del VII° Comiliter di Firenze, accerta, dall’esame dei bossoli rinvenuti, che trattasi di pistola, presumibilmente “Beretta”, calibro 22, vecchia, arrugginita ed usurata. Questo lascia pensare che se l’arma è di proprietà del Mele questi la possiede già da svariati anni.

Le cartucce adoperate, e recanti sul fondello la lettera “H” sono cartucce costruite dalla Ditta Giulio Fiocchi di Lecce ed in vendita presso tutte le armerie. (NdR: Per quale ragione viene commesso un errore cosi macroscopico sulle cartucce del delitto del 1968)

In relazione all’esame necroscopico, i primi dati precisi riferiscono che il numero dei colpi sparati è di otto quattro contro l’uomo e quattro contro la donna.

A parte la premessa già fatta, bisogna tenere, comunque, presenti i seguenti punti:

-Il Mele, al mattino del 22 agosto 1968, quando i Carabinieri suonano alla porta dell’inquilino del piano di sotto si affaccia immediatamente e dice che lo ha fatto perché aspetta la notizia: “quale?”

– La versione del figlio che dice di avere lasciato in auto, mentre poi ammette di averlo accompagnato personalmente, portandolo sulle spalle, fino alle abitazione del De Felice.

– Il Mele, da solo, senza alcuna indicazione ha accompagnato gli inquirenti sul posto preciso dove è stata rinvenuta le macchina del Lo Bianco.

– Il Mele ha ricostruito con estrema precisione la dinamica del delitto, fornendo particolari che non sono noti neanche a noi inquirenti.Si noti che non si conosce ancore l’esito dell’autopsia, come il numero dei colpi sparati(otto).

– Il Mele indica in che posizione ha trovato la moglie e l’amico e come ha rimesso a posto i cadaveri. Ricostruzione questa tanto precisa che solo un protagonista del delitto può fare.

– La freccia destra della Giulietta rimesta accesa. La leva è stata urtata da lui nel rimettere a posto i cadaveri, precisamente il corpo della moglie. E’ stato dimostrato durante la ricostruzione.

– La posizione delle scarpa sinistra del Lo Bianco nell’interno della macchina: Le scarpa si è sfilata dal piede del Lo Bianco quando il Mele lo ha rimosso.

– Le prove del guanto alla paraffina indicano infine lievi reazioni sulla mano destra del Mele.

A questo punto, concludiamo cercando il movente che ha spinto il Mele Stefano a simile comportamento.

Sembra indiscutibile affermare che il Mele ha agito solo ed esclusivamente per motivi di interesse e non già come sembrerebbe più logico per motivi di onore: L’onore in questo caso ha un valore puramente relativo. Il Mele stesso ci dice infatti che la moglie ha frequentato altri uomini sin dall’epoca del loro fidanzamento che risale a circa nove anni. Quanti sono poi gli amanti che si sono succeduti in questo lasso di tempo? Un numero imprecisato, ma sicuramente alto: Il Mele quindi volendo eliminare la moglie per questi motivi lo avrebbe fatto anni addietro e non oggi.

Logico, comprensibile e giustificabile invece il motivo di interesse. Esaminiamo per un attimo la figura del Mele: da giovane e fino a circa quindici anni orsono, lo vediamo “servo pastore” in Sardegna ove guadagna il tanto sufficiente per sopravvivere. Ben sappiamo quanto guadagni anche oggi quella categoria di lavoratori isolani, da permetterci di dire che è umanamente impossibile risparmiare. Affascinato ed attratto da un facile guadagno il Mele raggiunge il continente, ma anche in questa zona l’uomo, si tengano presenti le sue possibilità e qualità, semi-analfabeta e senza un mestiere, non riesce ad imporsi ed a procurarsi un buon lavoro. Si dedica infine all’agricoltura. Lavora come manovale generico nei campi guadagnando anche questa volta l’indispensabile per vivere. Tenta un nuovo mestiere ed inizia la vendita di chincaglieria. Neanche questa volta però il Mele riesce a sfondare e ritorna nuovamente all’agricoltura fino a quando non incontra dei paesani muratori, che l’assumono come manovale e lo avviano al nuovo mestiere. Il Mele però non fa progressi, rimane sempre l’uomo dalle buone braccia e dal cervello piccolo. I suoi datori di lavoro sono contenti di lui perchè è educato e lavoratore assiduo, ma si guardano bene dall’affidargli incarichi di une certa delicatezza. Pertanto, il Mele, rimane l’eterno manovale ed ovviamente con una paga da manovale. Ora, se da celibe non è riuscito a risparmiare, figuriamoci con una moglie ed un figlio a carico e con un guadagno sempre minimo. Si tenga presente che la casa ove abitano è stata loro acquistata dal genitore del Mele.

Concludendo: Il Mele non ha mai posseduto una somma di danero tutta sua, anche se piccola, durante i suoi quarantanove – anni di età. Immaginiamocelo pero adesso con una disponibilità piena della somma di circa mezzo milione. Anche se per molti questa cifra ai tempi attuali rappresenta ben poco, per il Mele è invece l’inverosimile. E’ il raggiungimento di un sogno che aveva accarezzato per tutta una vita. Riprendiamolo ora in esame mentre impotente assiste allo svanire di questa tanto agognata e dolce realtà. Egli stesso ci dice che la moglie quando esce con gli amanti è sempre lei a pagare. Questo particolare viene anche confermato da altri testimoni. La moglie stessa, donna abituata ad una vita di Stenti, perché oltretutto non si è mai concessa per danaro, fa presto ad abituarsi ad una vita facile e nuova ed in breve tempo dilapida il capitale del marito, che le sfortune del Mele inizino con la riscossione della famosa somma sembra non vi siano dubbi. Di giorno in giorno, ogni qualvolta la moglie spende una parte dei soldi, nel Mele si fa sempre più viva la volontà di agire. Egli comunque riesce sempre a frenarsi fino a quando la fatidica sera del 21 agosto 68 non si accorge che la moglie, per uscire con l’amante di turno, ha prelevato l’ultima parte dei soldi. E’ questa la goccia che fa traboccare il vaso: L’uomo perde il lume della ragione. Ha sopportato per tanti anni la moglie infedele, ma non riesce a passare sopra al fatto che è stata la causa prima che ha distrutto il suo sogno finalmente realizzato e si vendica uccidendola unitamente al suo ultimo amante.

Il Mele, che ha cosi compiuto la sua prima vendetta, non si ferma. Vuole essere soddisfatto. I Suoi danari non sono sta ti spesi tutti dall’ultimo amante della moglie, ma anche da altri, egli infatti non ha fornito nomi di uomini che hanno amoreggiato con la donna in tempi lontani, ma molto recente mente. Egli sicuramente chiama in causa, direttamente od indirettamente, questi individui, non con la speranza di avere una diminuzione di pena ma solo ed esclusivamente per scopo di vendetta. Vuole fare del male a chi lo ha fatto a lui. Ecco perchè, uno dopo l’altro, dopo averli accusati, dopo che ha fatto pendere sul loro capo la possibilità di una terribile punizione, li scagiona arrivando al punto di chiedere loro scusa.

Ci si potrebbe chiedere se il Mele, individuo chiuso e fisicamente insignificante, fosse idoneo a commettere una tale carneficina. Ebbene, si ritiene di si. Uomini come lui, forgiati e messi a dura prova sui monti dello alto Nuorese, il Mele stesso dichiara di avere vissuto quale “servo-pastore” in quelle zone, sono capaci di agire con tale straordinaria freddezza e decisione.

Premesso quanto sopra, anche se sono molti gli elementi strani e sconcertanti di questa sanguinosa vicenda, si ritiene di potere concludere affermando che è stato solo ed unicamente il Mele a premeditare e mettere poi in atto il duplice omicidio.

Rapporto del Brigadiere MATASSINO Gerardo del Nucleo Investigativo Carabinieri Gruppo Firenze.

Hanno preso parte alle indagini:

NUCLEO INVESTIGATIVO GRUPPO CC, FIRENZE:

– Tenente Dell’Amico Olinto;

– Brig. MATASSINO Gherardo;

– Core GEMTINO Pietro

QUESTURA DI FIRENZE SQUADRA MOBILE:

– Comm. SCOLA Vincenzo;

-Comm. DELFINO Tonino;

-M.M. MARTINI Torello

-Brig. AMATI Carlo.

TENENZA CARABINIERI DI SIGNA:

M.M. FERRERO RONCUCCI gaetano;

Brig: POLI Evaristo;

C.re. GIACOMINI Mario;

STAZIONE CARABINIERI LASTRA A SIGNA:

M.M. FUNARI Filippo

Firma in calce

IL MARESCIALLO MAGGIORE COMANDANTE DEL NUCLEO

-Angelo Giomini

21 Settembre 1968 Rapporto giudiziario Gerardo Matassino Signa

2 pensieri su “21 Settembre 1968 Rapporto giudiziario Gerardo Matassino Signa

  • 20 Luglio 2023 alle 08:56
    Permalink

    posso copiare l’atto del rapporto grazie

    Rispondi
    • 20 Luglio 2023 alle 11:28
      Permalink

      Salve

      Una volta aperto il documento può scaricarlo.

      Rispondi

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