Enzo Spalletti – Intervista sul quotidiano La Città, pag.5 (manca la pagina 5)
Enzo Spalletti: Mi si arricciava la pelle dalla paura a volte mi chiedevo se non era davvero possibile che fossi stato io magari senza accorgermene. Mi interrogavano e mi dicevano “assassino”, solo quello, poi una domanda e di nuovo “assassino”. Io sapevo di essere innocente ma quando seppi del capo di accusa ebbi paura. Mi sembrava di essere in un incubo.
Eppure c’è ancora qualcuno che dice che lei qualcosa doveva sapere…
Ma ve lo immaginate voi uno che conosce l’assassino e non lo denuncia? Sarebbe come girare con in tasca una bomba senza sicura. Va detta chiara questa cosa. I guardoni non hanno mai fatto male a nessuno. Possono dar noia a chi è in macchina se si vede osservato, ma andare loro a dar noia alle coppie proprio no. Anzi vorrei quasi dire che sono una sorta di guardia. Tante volte, col Fabbri, ci si chiedeva cosa avremmo fatto se veniva qualcuno a dar noia, magari qualche maniaco. Non avrebbe avuto scampo.
Veniamo alla notte dell’omicidio di Scandicci. Lei era sul posto o no?
No. Potevo essere a un chilometro, ma li sul posto no davvero. Quello dove furono uccisi Carmela De Nuccio e Giovani Foggi, non era un posto frequentato dai guardoni. In proposito si sono scritte e dette molte sciocchezze. L’ho detto anche al magistrato: Quello è un punto difficile da raggiungere. Per arrivarci bisogna far manovra nell’aia di una casa di contadini. Nessun guardone si avvicina mai ad una casa. No, io credo che l’assassino non sia passato di lì per caso, ma abbia seguito i due fidanzati. Se è davvero meticoloso come lo descrivono i giornali non ha certo scelto il posto senza sapere da che parte sarebbe poi fuggito e quello, lo ripeto, è un luogo che bisogna conoscere bene per potersene allontanare in fretta.
Una delle cose su cui ha puntato l’accusa era che lei conosceva la macchina dei due fidanzati…
Non la conoscevo. L’avevo vista una decina di sere prima. Mi si era parata davanti sulla strada di Marciola. Era uscita da una strada laterale a tutta velocità. Come se qualcuno avesse disturbato gli occupanti. Anche questo l’ho detto più volte alla polizia e al dottor Izzo, ma non mi hanno mai creduto.
Come andò la mattina della domenica? Cosa disse esattamente a sua moglie? Chi l’aveva informata del delitto?
Qui a Turbone ci sotto due ristoranti. La domenica c’e gente che viene da tutte le parti. Anche quella mattina era un fitto incredibile. E mentre leggevo il giornale sentii qualcuno che diceva che
a Roveta avevano trovato uccisi due fidanzati. Ma come lo sapevamo noi qui lo sapeva tutta Montelupo. Senza contare che la notizia l’ho sentita verso mezzogiorno e non alle dieci come ha detto qualcuno. Lo possono testimoniare tutti che io fino alle undici sono stato nel mio orto a zappare, sotto casa.
Quando vennero a prenderla lei era spaventato…
Si sarebbe spaventato chiunque. Mi vennero a prelevare alla Misericordia e mi portarono qui per fare una perquisizione. Sul foglio lessi la motivazione e vidi che erano riportati i nomi dei due fidanzati uccisi e che si parlava di sospetta detenzione di armi.
Il suo primo contatto con la giustizia fu questo, una perquisizione?
Si e questo non riesco a capire chi avesse fatto il mio nome. Forse qualcuno che mi vuole male.
Lei è mai stato in altri posti oltre a Roveta a spiare le coppiette?
No. Sono sempre andato da quelle parti, dal 1972. Ci si trovava lì, come ci si sarebbe trovati al cinema. Più che vedere si stava a sentire qualche sospiro. Tutto qua.
Conosceva la zona di Borgo San Lorenzo? – Il posto dove furono uccisi Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore?
Non ci sono mai stato, non so nemmeno da che parte resta, Mi han detto che a Borgo avrei uno zio. Non ne sapevo niente. Domanderò agli altri parenti, ma nemmeno mia madre me ne ha mai parlato.
Lei ha usato il plurale. Conosceva gli altri guardoni della zona? Che rapporti aveva con loro?
Conoscere conoscevo solo il Fabbri. Avevo il suo numero di telefono della fabbrica, così come lui aveva quello mio della Misericordia. Lui non mi ha mai chiamato mentre io gli avrò telefonato cinque o sei volte. Gli altri no, non li conoscevo che di vista. Sapevo i soprannomi, Bourbon, Muratore, Napoletano. Niente altro. I rapporti tra di noi? Nessuno. Non è vero che c’era una sorta di codice. Sono tutte balle. Lì a Roveta di guardoni c’erano sempre i soliti sette o otto, io ci andavo solo di sera mentre molti degli altri ci passavano anche delle mattinate intere. Questione di gusti. Ma codici d’onore proprio niente. So che in altre zone, a Fiesole per esempio, ci sono ambienti più esclusivi. Se va uno di fuori prima lo avvertono, poi lo minacciano e se quello insiste lo possono anche picchiare o fargli uno spregio alla macchina. Non a Roveta però.
Come è stato il ritorno a casa?
Mi aspettavano tutti per strada. Però ancora qualcuno poco convinto c’è anche se sono molti quelli che hanno cambiato parere quando mi hanno rivisto in giro per Montelupo. Il lavoro c’è sempre, ma ancora non sono rientrato. Non me la sento. Forse tornerò lunedì.
E la sua famiglia? Sua moglie, i suoi figli hanno risentito della vicenda?
Mia moglie è dovuta tornare a lavorare. Fortunatamente la ditta dove era prima ha capito la situazione. I miei figli non hanno avuto problemi. I due che vanno a scuola, perché Matteo ha due anni e mezzo e forse non si è accorto di niente.
La Città – 29 ottobre 1981 pag.5