Il 16 agosto 1982 in seguito alla testimonianza di Natalino Mele i magistrati Adolfo Izzo e Silvia Della Monica si recano ad interrogare la sorella di Stefano Mele, e zia di Natalino, Maria Mele.
Questa riferisce: “Ho sentito dire che uno di questi Vinci se la intendeva con la moglie di Stefano“. “Non ho mai ricevuto minacce, né mi risulta che le abbiano ricevute i miei familiari. Ho detto che avevo paura dei Vinci perché si è trattato di una mia sensazione, ma io questi Vinci nemmeno li conosco e anzi uno di loro l’ho visto al processo. A questo punto sono passati dai fatti quattordici anni e noi ci siamo rassegnati. E’ una vergogna che ci portiamo. Io non ho interesse alla revisione del processo e se c’è da firmare qualcosa sul punto, non firmo. Del resto mio fratello avrebbe fatto bene a dire la verità all’epoca e non a dire tutte quelle bugie che riportarono i giornali“.
L’anziana sorella di Stefano Mele, che vive in casa con il padre ed è vedova, appare ai magistrati reticente. Dopo la sua escussione, difatti il p.m. dispone l’intercettazione delle telefonate sulla sua utenza. L’escussione testimoniale di Maria Mele dà ampio conto della sua diffidenza, ma in effetti contribuisce allo sviluppo delle indagini. L’escussione testimoniale di Maria Mele dà ampio conto della sua diffidenza, ma in effetti contribuisce allo sviluppo delle indagini.
Ai magistrati racconta che suo fratello, intestatario di un motorino del Vinci, una volta era stato costretto a pagare per i danni cagionati da lui [in realtà Mele era intestatario di un motorino comprato da Salvatore, e guidato da Francesco, che conduceva anche lui al lavoro con lo stesso mezzo: quest’esperienza reale è probabilmente alla base della descrizione delle modalità di esecuzione del delitto, allorché Mele il 24 agosto 1968 chiama in correità Francesco Vinci].
Un’altra aveva invece riscosso cinquecentomila lire dall’Assicurazione per un danno subito e ‘i soldi non furono poi [dopo il duplice omicidio: si appurerà nel 1984, che Mele li aveva riscossi, accompagnato dal Mucciarini, a Prato, esattamente due mesi prima, 21 giugno 1968] ritrovati’. E aggiunge: “Ho anche sentito dire che uno di questi Vinci se la intendeva con la moglie di Stefano”.
Il verbale reca subito dopo: “a questo punto mentre si verbalizza la teste aggiunge: «adesso si rivolteranno tutti contro di me». Invitata a riferire se abbia ricevuto minacce da parte dei Vinci o se tali minacce siano state fatte a qualche familiare [e i magistrati hanno a mente le dichiarazioni di Stefano Mele al G.I. del 27 luglio precedente: il verbale è, in copia, il primo del fascicolo testimoniale di sommaria] dichiara: non ho mai ricevuto minacce, né mi risulta che le abbiano ricevute i miei familiari. Ho detto che avevo paura dei VINCI perché si è trattato di una mia sensazione, ma io questi VINCI nemmeno li conosco ed anzi uno di loro l’ho intravvisto al processo”.
Queste ultime dichiarazioni, in contrasto con il loro tenore apparente, come ovvio accrescono i sospetti degl’inquirenti, invece di diminuirli, tanto più che la teste dice: “A questo punto sono passati… dai fatti quattordici anni… e noi ci siamo rassegnati: è una vergogna che ci portiamo. Io non ho interesse alla revisione del processo e se c’è da firmare qualcosa sul punto, non firmo. Del resto mio fratello avrebbe fatto bene a dire la verità all’epoca e non a dire tutte quelle bugie che riportarono i giornali” (c. 20, vol. loc. cit.).
Maria conferma in pieno quanto Natalino ha affermato lei gli suggerisce di dire: “del resto il bambino stava dormendo e non ha visto nulla”. E fornisce poco credibili spiegazioni circa la fonte delle sue informazioni in merito, visto che afferma di non aver sondato il nipote.
Recatisi a casa di Maria Mele, quello stesso pomeriggio, i magistrati della Procura ottengono lettere e documenti (taluni riguardano il saldo di un debito in titoli, scaduto all’epoca del delitto, in favore di Salvatore Vinci). Vedi Sentenza Rotella 13 dicembre 1989 Pag.68