I Procuratori della Repubblica Silvia Della Monica e Pier Luigi Vigna fecero prelevare Stefano Mele dalla sua residenza a Ronco all’Adige per un nuovo interrogatorio. Stefano Mele prima di procedere all’interrogatorio pretese un foglio scritto e autografato dai Procuratori della Repubblica in cui si dichiarava che non poteva essere soggetto ad un nuovo processo per il delitto del 1968. Ottenuto il foglio il Mele in un primo momento afferma: “se era stato ammazzato il bambino io ero ancora dentro. Ci sarebbe stata un’aggravante”. Allora, il p.m. gli chiede che attinenza la cosa abbia con il Vinci e Mele corregge il tiro: risparmiandolo, l’assassino faceva cadere i sospetti su suo padre.
Confermò quindi la colpevolezza di Francesco Vinci dichiarando: “Quando in caserma mi consegnarono Natalino e lo portai a casa con me, il bambino mi disse che era stato Vinci Francesco che lo aveva accompagnato la notte dell’omicidio alla fattoria. Francesco in carcere mi disse: “Sono convinto che gli omicidi non li hai fatti tu, però se dici che sono stato io, ti rompo l’altra gamba e ti ammazzo“.
Il Mele racconta che quando Francesco fu arrestato, il maresciallo di Lastra a Signa consegnò a lui la sua lambretta. Andando a riprenderla, il Vinci gli disse che nel cassettino del veicolo custodiva la pistola.
Estrapolato dalla Sentenza Rotella.