Il 7 settembre 1982, in seguito al colloquio avuto con Natalino il padre Stefano Mele viene nuovamente interrogato.
” Mele conferma quanto ha detto al figlio. Con Francesco Vinci, che ha sparato, era anche lui, e soggiunge: “Poi lui ha accompagnato il bambino a questa fattoria ed io sono andato a casa”. Spiega che si sono recati sul luogo del duplice omicidio con la lambretta (della quale poi indicherà il colore celeste) di Vinci, dopo aver seguito dal cinema (dove Vinci era entrato), le vittime. Nega di aver a sua volta sparato, pur avendo avuto dimestichezza con le armi da militare, ma descrive la pistola con canna lunga, tipo tirassegno e silenziatore, perché i colpi non fecero rumore. Nega di aver toccato i cadaveri. Risponde che è sicurissimo che oltre a lui e Francesco non ci fosse anche il fratello, Salvatore Vinci.
Quanto agli antecedenti del fatto, riferisce: “Una settimana prima il Vinci aveva detto che voleva fare questa cosa: io ero stanco a vedere certe persone in casa. L’iniziativa fu del Vinci che voleva abbandonare la moglie ed i figli per la Locci, ed era più geloso di me… Eravamo d’accordo perché il bambino non fosse ammazzato”. L’occasione si presentava una sera in cui la Locci era uscita con il Lo Bianco e Natalino. Pochi minuti dopo, il Vinci era comparso a casa sua per seguirli e consumare il delitto.
Quanto a minacce subite, non parla affatto di quelle eventualmente dirette dal correo al figlio o a quest’ultimo riferite: “Nel carcere delle Murate… Vinci… mi disse: «so che non sei stato te ad ammazzare, ma se dici qualcosa ti spezzo le gambe e poi ti ammazzo»”. E si tratta di una frase praticamente corrispondente a quella del giorno prima.”
Il P.M. domanda al Mele se oltre a Francesco Vinci, avesse agito con lui anche suo fratello Salvatore, ma Mele lo esclude.
Vedi Sentenza Rotella 13 dicembre 1989 Pag. 78