ORA I DUE INDIZIATI DEI DELITTI POTREBBERO ESSERE SCARCERATI
FIRENZE (v.m.) – Giovanni Mele, sessantun anni, operaio in pensione e Piero Mucciarini, sessant’ anni, fornaio, vedovo e con una figlia, accusati di aver ucciso, nel 1968 a Signa, Barbara Locci e Antonio Lo Bianco e indiziati di essere i “mostri” delle successive cinque coppie di fidanzati, resteranno ancora in carcere in attesa delle decisioni del giudice istruttore Mario Rotella che rientrerà oggi a Firenze. La loro posizione risulta, dopo questo nuovo orrendo delitto, notevolmente alleggerita. Nella stessa identica situazione si sono venuti a trovare in passato altre due persone, arrestate e accusate di essere i “mostri” e scagionati dopo la morte di altri quattro giovani. Capitò all’ autista della Misericordia di Montelupo, Enzo Spalletti, arrestato dopo l’ uccisione di Carmela Di Nuccio e Gianni Foggi, a Scandicci, nel giugno del 1981. Spalletti restò in carcere per quattro mesi fino al 22 ottobre 1982 quando, a Calenzano, la calibro 22 Long Rifle uccise un’ altra coppietta, Susanna Cambi e Stefano Baldi. Spalletti venne scarcerato e le indagini ripartirono da zero. Passò un anno e, nel giugno del 1982, a Montespertoli vennero uccisi Paolo Mainardi e Antonella Migliorini. Neanche un mese dopo fu arrestato Francesco Vinci, un muratore di Montespertoli che frequentò nel 1968 Barbara Locci. Anche lui venne accusato di essere il mostro. Ma un altro delitto lo scagionò mentre egli era rinchiuso in carcere: nel duplice omicidio, la notte fra il 9 ed il 10 settembre 1983 ancora a Scandicci. Si trattò di due giovani tedeschi con lunghi capelli biondi che l’ assassino scambiò per un uomo e una donna. Vinci è stato discolpato il 27 gennaio di quest’ anno, ma è ancora in carcere per una vecchia storia: la detenzione di un fucile non denunciato. Giovanni Mele e Piero Mucciarini sono il fratello e il cognato di Stefano Mele (marito di Barbara Locci, la donna assassinata in auto insieme ad Antonio Lo Bianco), il grande accusatore di Francesco Vinci. Ad accusare Giovanni Mele c’ era il suo portafogli dentro il quale aveva il bisturi, un’ arma molto simile a quella adoperata dal maniaco per il suo macabro rituale, l’ asportazione del pube dalle donne uccise. Il Mele, lo sapeva anche adoperare, secondo l’ accusa, perchè in passato aveva fatto l’ intagliatore di sughero. E poi, un altro elemento: un biglietto destinato al fratello Stefano che sarebbe stato scritto di suo pugno. Quelle poche parole dovranno essere per Stefano Mele (fu arrestato e condannato a 14 anni di carcere per l’ omicidio della moglie) la garanzia contro eventuali rappresaglie o minacce da parte di coloro che secondo lui sono i veri responsabili dell’ uccisione di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci; quel biglietto venne sequestrato a Stefano Mele nella sua camera di Ronco dell’ Adige. Giovanni Mele e Piero Mucciarini sono stati messi a confronto per chiarire il significato del biglietto, pilastro dell’ accusa, scritto da Giovanni Mele al fratello Stefano e ritenuto dai magistrati il tentativo di un colpevole di sviare le indagini da sè e dal complice, Piero Mucciarini. Giovanni Mele confermò, in quel confronto, di aver scritto il biglietto al fratello perchè appunto non voleva essere ingiustamente coinvolto nella vicenda. Già nel 1968 gli inquirenti indagarono su Piero Mucciarini, zio di Natalino, il bambino di sei anni che vide uccidere la madre, Barbara Locci e il suo amante Antonio Lo Bianco mentre era sul sedile posteriore dell’ auto. Ma l’ indagine sul fornaio si fermò subito perchè venne accertato che la notte del delitto, il 21 agosto ‘ 68, egli era al lavoro nel forno Buti di via del Roncocorto a Scandicci. Curiosamente, il registro delle presenze, conservato dal ragioniere del forno Buti, che oggi si trova a Bologna, è stato ricontrollato nel marzo scorso quando Mucciarini era in galera da tre mesi.