QUELLA ’22-LONG RIFLE’ HA SPARATO QUATTORDICI VOLTE IN SEDICI ANNI
FIRENZE (v.m.) – L’ indagine sul mostro è legata al nome di un oscuro sottufficiale dei carabinieri, il maresciallo Francesco Fiori, che, nel 1968, quando avvenne il primo delitto, prestava servizio nella caserma di Signa. Fu proprio lui che nel luglio ‘ 82, neanche un mese dopo il quinto duplice omicidio, quello di Montespertoli, si ricordò che 14 anni prima era avvenuto un delitto analogo in cui erano stati assassinati due amanti con una calibro 22 che non era mai stata ritrovata. La distrazione di un piccolo funzionario aiutò la giustizia: un cancelliere, invece di provvedere alla distruzione degli otto bossoli trovati attorno ai cadaveri di Barbara Locci e Antonio Lobianco, li aveva messi in un sacchetto di plastica e con una spillatrice li aveva cuciti alla coperta del fascicolo. Fu possibile fare, quindi, la prova balistica e si stabilì che l’ intuizione del maresciallo Fiori era giusta: nel 1968, nel 1974, nel 1981, nel 1982 e nel 1983 aveva sparato sempre la stessa pistola, una “Beretta Long Rifle”. La pistola fu usata per la prima volta nella notte tra il 21 e il 22 agosto ‘ 68 a pochi metri dal cimitero di Signa; dentro una Giulietta c’ erano Barbara Locci, moglie di Stefano Mele e il suo amante Antonio Lobianco. Si salvò solo il figlio della donna, Natalino, che stava dormendo sui sedili posteriori della vettura e che forse vide il mostro, ma che oggi non ricorda più niente. Barbara Locci frequentava immigrati siciliani e sardi e tra questi aveva conosciuto Virgilio Fiore, Giuseppe Farina, e Mario Sale, capi dell’ Anonima sequestri. Antonio Lobianco era uno dei tanti uomini della sua vita. Per questo delitto è rimasto in carcere per 14 anni Stefano Mele, marito di Barbara. Passano sei anni e un sabato notte, il 14 settembre 1974, a Borgo San Lorenzo il maniaco uccide Pasquale Gentilcore, 19 anni, che si era fatto prestare la 127 dal padre e Stefania Pettini. E’ un contadino che la mattina dopo scorge un giovane sul sedile di guida della 127 che sembra dormire. Dal finestrino, frantumato dai colpi di pistola, vede che il giovane è nudo e che sul torace e sul collo ha alcuni segni neri. Non ci sono dubbi: Pasquale Gentilcore è stato ucciso e, a pochi metri di distanza, le braccia allargate a croce, c’ è Stefania, gambe divaricate e seviziata con un tralcio di vite nel ventre. La notte tra il 6 e il 7 giugno del 1981, ancora un sabato, vengono assassinati, a Scandicci, Giovanni Foggi e Carmela Di Nuccio. Lui, nudo, è al volante dell’ auto, lei a pochi metri di distanza in un campo. Il maniaco, per la prima volta, esegue un macabro rituale, con un coltello molto affilato e con tre colpi precisi, asporta il pube della ragazza. Trascorrono ancora pochi mesi e la notte tra il 23 e il 24 ottobre, sempre del 1981, il mostro scatena la sua violenza omicida contro altri due fidanzati a Calenzano: Stefano Baldi e Susanna Cambi, lei 24 anni, lui 26. Il macabro rito viene ripetuto ancora una volta. Si giunge così alla notte tra il 19 e il 20 giugno dell’ 82, ancora un sabato. L’ assassino colpisce, a Montespertoli, Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, due fidanzati che stavano sempre insieme e soprannominati per questo “Vina aveva 22 anni, lei 19. Paolo Mainardi si accorse che qualcuno si era avvicinato e fece in tempo a mettere in moto l’ auto, ma il mostro non gli dette il tempo neppure di ingranare la marcia. La notte tra il 9 e il 10 settembre ‘ 83 il mostro scambia due turisti tedeschi con capelli lunghi e biondi che sono dentro un camper, tra Galluzzo e Scandicci, per una coppietta. E anche per Horst Friedrich e Uwe Rusch Sens non c’ è scampo. A Vicchio, ieri, la scena si è ripetuta: la tredicesima e la quattordicesima vittima di un “mostro” senza nome.
IL ‘MOSTRO’ DI FIRENZE UCCIDE ANCORA
FIRENZE – “Il mostro è tornato!” annunciano le locandine delle edizioni straordinarie. Un’ altra coppia, la settima, è stata uccisa alle porte di Firenze, sullo sterrato di un viottolo che costeggia un campo di erba medica. Si chiamavano Claudio Stefanacci, 22 anni, e Pia Pontini, diciotto. Il maniaco senza volto che da più di quindici anni terrorizza il capoluogo toscano ha ripetuto, a Vicchio, il suo rituale di morte. Ha sorpreso i due ragazzi che facevano all’ amore in automobile, ha sparato con una calibro 22, ha sfregiato con la solita mano, a metà tra il chirurgo e il macellaio, il corpo della donna. Il “mostro” è tornato, riaprendo un giallo che, di volta in volta, aveva proposto vari personaggi nella veste dell’ assassino: fino a quando, come in queste ore, un nuovo delitto non era arrivato a scagionarli. Un’ altra coppia è stata uccisa nonostante in carcere ci siano due persone indiziate per i precedenti omicidi. Claudio e Pia vivevano a Vicchio, un piccolo comune del Mugello. Lui, orfano da pochi mesi del padre, lavorava nel suo negozio di elettrodomestici. Lei, figlia di un meccanico navale, nata in Danimarca, lavorava da un mese al bar della stazione del paese. Domenica sera, verso le otto e mezzo, si erano allontanati insieme sulla Fiat Panda di Claudio Stefanucci. “Sono a casa alle undici”, aveva detto il ragazzo alla madre. Il viottolo dove è avvenuto l’ omicidio e a quattro chilometri dall’ abitato: un sentiero di terra battuta che si inoltra, tra un boschetto e un campo coltivato, fino a un dirupo oltre il quale corre la ferrovia. Un posto abbastanza frequentato dalle coppie in automobile. E, proprio lì vicino, nel settembre del ‘ 74, il “mostro” aveva ucciso Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini. La Panda era entrata nella stradina a marcia indietro, il muso rivolto verso la strada provinciale, pronta a ripartire. Il sedile posteriore era stato sollevato per avere più spazio dentro l’ auto. Claudio aveva addosso solo gli slip e le calze. Lei solo gli slip. Il primo proiettile, probabilmente, ha colpito l’ uomo infrangendo il cristallo del finestrino. Pia Rontini, lascia intuire la posizione del cadavere, deve aver tentato la fuga a piedi. Ma la calibro 22 ha sparato ancora. Sei colpi in tutto: quattro per il ragazzo, tre al torace e uno all’ altezza dell’ orecchio; due per la ragazza, uno alla schiena e uno alla fronte. Sono dei Winchester, serie H, provenienti dalllo stesso stock di pallottole usate per gli altri delitti. Nessuno ha sentito nulla. La casa più vicina è dall’ altra parte del campo di erba medica. Ci vive una vecchina che, domenica è andata a dormire alle nove di sera e non si è accorta di nulla. Finito l’ omicidio, è iniziato il macabro rituale della mutilazione: la firma del “mostro”. Con un coltello molto affilato o con un bisturi, con tagli precisi (tant’ è che dopo i primi assassini si era pensato a un ginecologo o a un chirurgo), ha asportato alla donna, com’ è sua abitudine, tutto il triangolo del pube. Ma, questa volta, il macabro rituale è stato ancor più sanguinoso: l’ assassino si è portato via, a mo’ di trofeo, anche il seno sinistro. Il corpo maciullato è stato abbandonato sul ciglio del viottolo, davanti al campo. Pia Rontini stringeva ancora in una mano il reggiseno, le calze e la camicetta pudicamente raccolti nell’ auto al momento della fuga. Addosso, i brandelli dello slip, fatto a pezzi. Il “mostro” è tornato nel buio. Scomparso in una notte senza luna. Un’ altra delle sue costanti: colpire con il novilunio, quando il cielo è scuro. L’ allarme per la scomparsa dei due a Vicchio è scattato quasi subito. Stefano, racconta la madre, era sempre stato puntuale. E così, poche decine di minuti dopo le 23, quando non l’ ha visto rincasare, la donna ha iniziato a cercarlo. Prima al bar. Poi, visti inutili tutti i tentativi, è andata a svegliare uno degli amici del figlio, Piero Becherini. E’ stato proprio questo ragazzo, che conosceva le abitudini di Stefano, ad andarlo a cercare sul viottolo a quattro chilometri dal paese. Era quasi l’ alba. Sono arrivati gli altri parenti, il parroco, gli amici, i carabinieri, la polizia, i primi curiosi. Alle otto di mattina c’ erano decine e decine di persone. La stradina è stata transennata, i cadaveri coperti con due teli di plastica grigiastra. Gli esperti della Scientifica hanno raccolto le poche tracce lasciate dal “mostro”. Ma, sembra, poco di utile. I bossoli, come si è detto, sono più una firma che un indizio. Si sa che provengono da una stessa partita, che sono stati conservati in un ambiente umido, che portano un caratteristico segno lasciato dalla percussione. Il calibro 22 è quello di un modello della Beretta del quale, solamente in Toscana, sono stati venduti negli ultimi anni almeno quindicimila esemplari. Un ago nel pagliaio. Non un testimone che abbia visto qualcosa. Non una traccia precisa. Neppure un identikit approssimativo, se non quello di una persona maniacalmente malata di mente, probabile titolare di un’ esistenza irreprensibile. Non si dovrebbe neppure mai essere assentato dal lavoro per uccidere, dal momento che i delitti avvengono sempre nel corso del fine settimana. Unica eccezione, nell’ ottobre del 1981, quando a Calenzano vennero massacrati Stefano Baldi e Susanna Cambi. Era un giovedì. Ma c’ era lo sciopero generale. Gli investigatori, ieri, hanno perquisito una decina di abitazioni. Interrogato, in questura e al comando dei carabinieri, qualche “sospettato”: guardoni abituali, personaggi con qualche stranezza. Routine. Difficilmente il giallo potrà essere risolto in queste ore. Le prime indagini sono state affidate al sostituto procuratore Paolo Canessa. Dalle ferie sta precipitosamente rientrando il giudice istruttore Mario Rotella, titolare dell’ inchiesta sulle precedenti dodici vittime del “mostro” di Firenze. C’ è, dopo questo nuovo delitto, da decidere qualcosa anche sulla sorte di Giovanni Mele e Piero Mucciarini, formalmente accusati di essere gli assassini di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco (la prima coppia uccisa dal “mostro” nel ‘ 68) e indiziati per i cinque duplici omicidi successivi. Il delitto della notte scorsa riapre gli interrogativi sulle loro effettive responsabilità. Saranno scarcerati come già è avvenuto per altri tre accusati in passato? Intanto il “mostro” o, (anche questa è una ipotesi), i “mostri” continuano a uccidere. Questa notte, attorno a Firenze, niente coppie appartate in automobile. Per le indagini torna d’ attualità una frase pronunciata dall’ ex procuratore capo dopo il sesto delitto: “Cauto pessimismo”.
dal nostro inviato LUCA VILLORESI
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