Trascrizione di Claudio Costa:

Affiora un’ipotesi inquietante nella vicenda della morte del marchese Roberto Corsini assassinato domenica sera ai margini della sua riserva di caccia, un’ipotesi che assume le tinte del giallo e che spiegherebbe la decisione presa dal magistrato di non accettare la tesi dell’incidente ed incriminare Marco Parigi per omicidio volontario. Tale ipotesi emerge dal silenzio degli inquirenti su alcuni particolari che vengono ritenuti estremamente importanti per la ricostruzione dei fatti, ed emerge anche da un attento esame delle ferite al volto e alla testa del nobile fiorentino, da questo esame si nota una cosa che lascia perplessi e che non collima con la ricostruzione dei fatti data in confessione da Marco Parigi: la ferita è strana, sembra che il colpo sia stato sparato dall’alto verso il basso e non viceversa, come dovrebbe essere se il Parigi o il suo fucile fosse caduto a terra lasciando partire inavvertitamente un colpo. In questo caso infatti la traiettoria dei pallini sarebbe andata in su e avrebbe leso una parte della volta cranica e non la zona fra atlante e calotta, piuttosto in basso, come invece si evince dalle ferite. Se questo fatto, che certamente non è sfuggito agli inquirenti e al medico legale, venisse confermato, si sbriciolerebbe tutta quanta la linea di difesa tenuta dal giovane omicida: significherebbe che in basso, in ginocchio magari, o quasi a terra sarebbe stato il marchese Corsini e che in questa posizione sarebbe stato raggiunto dalla raffica del pallini del sovrapposto Marco Parigi. Una ipotesi inquietante è vero ma che ha molti supporti per essere ritenuta valida e che spiegherebbe anche il perché della incriminazione per omicidio volontario emessa dal magistrato. Non si deve dimenticare tra l’altro che Chelazzi, il sostituto procuratore, è un esperto cacciatore conosce dunque il meccanismo di esplosione di una cartuccia, sa calcolare la traiettoria dei pallini, ne sa valutare gli effetti devastanti. Tutto ciò ha probabilmente facilitato il suo compito ed ha permesso ai carabinieri di lavorare su indicazioni ben precise, su tanti piccoli particolari, cuciti poi assieme con successo. C’è anche da dire che Marco Parigi è sicuramente molto più basso del marchese Corsini e anche questo fatto contribuisce a rendere inspiegabile la traiettoria dei pallini.

Insomma in questa vicenda affiorano ogni giorno particolari che lentamente ma inesorabilmente indicano una successione dei fatti meno pulita di quanto non ritenessimo in un primo momento. Intanto una cosa sicura: c’è un secondo attore anzi, c’è sicuramente una spalla, che ha avuto un ruolo importante nella dinamica del delitto di Scarperia, infatti il Parigi è stato aiutato da qualcuno a nascondere il corpo del marchese, su questo punto ormai non dovrebbero esserci dubbi. Anche questo fatto lo si deduce dai silenzio del magistrato su alcune fasi di vitale importanza per la ricostruzione del delitto. Lo si deduce dal fatto che il giudice non vuole rendere nota la confessione di Marco Parigi. Perché? Sicuramente perché vuole evitare che qualcuno la legga e vi si adegui.

Ma non c’è solo questo, altre cose lasciano perplessi e invitano a ragionare sui fatti: alcuni giorni fa scrivevamo che la pozza di sangue lasciata sul luogo dove era caduto il marchese Corsini appariva troppo vasta per far pensare che il corpo fosse rimasto lì solo pochi minuti, il terreno infatti ne era intriso, troppo anche per una ferita così devastante. E allora? Sicuramente dopo lo sparo il ragazzo ha agito in modo rapido spostando subito il cadavere, ma visto che non ce la faceva, forse a causa dell’azione frenante delle zolle e delle stoppie, lo ha abbandonato, magari nascondendo a mala pena con alcune frasche solo più tardi con molta meno luce. Marco potrebbe essere tornato indietro e averlo trascinato nel torrente Levisone ma a questo punto non era più solo, il corpo infatti è stato calato giù fatto scivolare lungo la scarpata non gettato di schianto. da soli questa sembra un’operazione quasi impossibile e che il corpo subito dopo lo sparo sia stato spostato lo si dovrebbe evincere da una serie di particolari che potrebbero far parte di quelle piccole cose che il magistrato rifiuta di dire ma che definisce importanti per la ricostruzione dei fatti: probabilmente frammenti di materia grigia, ossa e pallini che indicano il luogo reale dove è caduto fulminato dalla fucilata il marchese Corsini.

Gli inquirenti mantengono il più stretto riserbo ma non c’è dubbio che i tempi dell’azione sono stati tre: lo sparo, lo spostamento del cadavere per renderlo meno visibile e infine l’occultamento avvenuto molto più tardi e assieme a un’altra persona. Su tutte queste ipotesi il magistrato ha ordinato una serie di perizie che dovrebbero dare, fra un po’, la risposta definitiva e chiarificatrice.

La vicenda è dunque più complessa di quanto non appariva a prima vista cioè una storia di fagiani e di scorribande in riserva. Probabilmente vecchi fatti che si ripetevano nel tempo hanno portato allo scontro di domenica sera e all’omicidio, che ormai appare non casuale.

Intanto affiora l’ombra di un personaggio in più è affiora anche il sospetto che il meccanismo della morte non sia stato così semplice. Assume consistenza insomma la tesi del magistrato che: visti i fatti, vagliati i reperti, controllato tutto, ha stabilito che l’omicidio è volontario: commesso cioè da chi sapeva chiaramente cosa faceva e le conseguenze che il gesto poteva avere.

26 Agosto 1984 Stampa: La Nazione – Delitto Corsini, un giallo – Da “mostro” a vittima? – A Signa nessuno parla del maniaco – Mostro: i bossoli all’esame di un supertecnico
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