UNA PISTOLA E TANTI BOSSOLI MA IL MOSTRO NON HA UN VOLTO
FIRENZE (v.m.) – E’ stata una notte insonne quella di Giovanni Mele e Piero Mucciarini, per otto mesi sospettati di avere a che fare con il mostro di Firenze e scarcerati l’ altra mattina per decisione del Tribunale della libertà. Hanno dormito ben poco per l’ emozione dovuta alla riacquistata libertà. Alle 8,30 Giovanni Mele era già al bar, vicino a casa della sorella, in Via Manzoni a Scandicci. E’ stato circondato dai soliti curiosi, tempestato di domande. Poi è andato tranquillamente in Comune a richiedere dei certificati. Camminava per strada con il sorriso sulle labbra e ha continuato a dire che è sicuro che il suo grande accusatore, il fratello Stefano, del “mostro” qualcosa sa. Giovanni però ha modificato leggermente il tono delle dichiarazioni. “Stefano è una vittima di questa vicenda – ha affermato – lui è la vittima del mostro”. Con queste parole sembrava volesse ricucire la violenta frattura esplosa a gennaio con la testimonianza accusatoria di Stefano Mele: “Mio fratello e mio cognato – disse allora al giudice istruttore – nel 1968 parteciparono all’ assassinio di mia moglie Barbara e del suo amante, Antonio Lo Bianco”. Ma che la famiglia sia divisa non sembravano esserci dubbi. Mele e Mucciarini, ventiquattro ore dopo la scarcerazione, non si sono ancora incontrati. Il nucleo familiare è sempre sotto inchiesta. Giovanni Mele e Piero Mucciarini per i giudici che li hanno scarcerati sono ancora comunque “sospetti” tanto che hanno l’ obbligo di presentarsi due volte alla settimana alla caserma dei carabinieri di Scandicci. Formalmente sono sempre imputati. Non c’è stata sentenza di proscioglimento. Il giudice istruttore però pare intenzionato a chiudere l’ inchiesta nel giro di pochi mesi. Nel frattempo le indagini sul mostro di Firenze dopo 14 vittime sembrano essere piombata nuovamente nel buio più assoluto. Sono ben pochi i punti fermi del procedimento condotto dai sostituti procuratori Vigna, Fleury e Canessa. Incontrandosi con i cronisti, i magistrati hanno ammesso di avere poche carte in mano. Si sa che l’ assassino usa una pistola di marca Beretta calibro 22, quasi sicuramente modello 71 e che i proiettili sono tutti di marca Winchester serie H. La perizia sui bossoli affidata ai tecnici della casa americana è ancora in corso ed è appena cominciata quella antropologica di cui si stanno occupando gli specialisti dell’ Istituto di criminologia di Modena.