Perizia con conferimento di incarico il 3 settembre 1984 e consegnata dicembre 1984 (giorno non conosciuto). Redatta da Francesco De Fazio ed un’equipe di tecnici composta dai Prof. Salvatore Luberto e Ivan Galliani, a cui si aggiunse poi il Prof. Giovanni Pierini e il Prof. Giovanni Beduschi.
Questa la perizia: Francesco De Fazio Perizia sui delitti del mostro di Firenze 1968-1984
PROCURA DELLA REPUBBLICA DI FIRENZE
Indagine peritale criminalistica e criminologica in tema di
ricostruzione della dinamica materiale e psicologica di delitti ad
opera d’ignoti verificatisi in Firenze nel periodo dal 21 agosto 1968
al 29 luglio 1984
PERITI: Prof. Francesco De Fazio; Prof. Ivan Galliani; Prof. Salvatore Luberto
SINTESI DEGLI ARGOMENTI TRATTATI
1.L’incarico
2.Metologia dell’indagine peritale.
3.Analisi descrittiva della casistica concernente i sette
duplici omicidi
-Caso n.1: LOCCI Barbara/LO BIANCO Antonino-Signa,
località Castelletti
-Caso n.2: PETTINI Stefania/GENTILCORE Pasquale,
Borgo San Lorenzo, località Saggiale
-Caso n.3: DE NUCCIO Carmela/FOGGI Giovanni,
Scandicci, località Mosciano
-Caso n.4: CAMBI Susanna/BALDI Stefano,
località Le Bartoline di Calenzano
-Caso N.5: MIGLIORINI Antonella/MAINARDI Paolo,
Montespertoli, località Baccaiano
-Caso n.6: MEYER HORST Wilhelm/RUSCH Jeus-Uwe.,
Galluzzo, località Via dei Giogoli
-Caso n.7: RONTINI Pia/STEFANACCI Claudio,
Vícchio, località la Boschetta
4.Analisi elettronica di immagini relativi ai casi 3, 4 e 7
5.Valutazione globale della dinamica materiale dei delitti
6.Valutazione globale della dinamica psicologica dei delitti
7.I tratti di personalità dell’autore dei reati ed ipotesi circa le motivazioni
8.L’omicida è malato di mente ?
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE PROCURA DELLA REPUBBLICA DI FIRENZE
Indagine peritale criminalistica e criminologica in tema di ricostruzione della dinamica materiale e psicologica di delitti ad opera di ignoti verificatisi in Firenze nel periodo dal 21 agosto 1968 al 29 luglio 1984.
1.- L’incarico
Con ordinanza dei Dottori Vigna, Fleury e Canessa veniva disposta perizia nel procedimento penale relativo all’omicidio in danno di Stefanucci Claudio e Rontini Pia, avvenuto in Vicchio il 29.7.84 e venivano nominati Periti i sottoscritti:
Prof. Francesco De Fazio, Direttore dell’istituto di Medicina legale e della Scuola di specializzazione in Criminologia clinica dell’Università di Modena.
Prof. Salvatore Luberto, Psichiatra, Prof. associato di Medicina legale nell’Università di Modena.
Prof. lvan Galliani, Psicologo, Professore di Antropologia criminale nell’Università di Modena.
In relazione al suddetto incarico, in data 3 settembre ed in data 13 ottobre 1984 ci venivano proposti i seguenti quesiti:
“Premesso che, in date sotto-indicate sono stati commessi gli omicidi in seguito descritti:
1 – 21 agosto 1968 – Barbara Locci/Antonio Lo Bianco in Signa – Località Castelletti – Firenze;
2 – 14 settembre 1974 – Stefania Pettini/Pasquale Gentilcore in Borgo S. Lorenzo – Firenze;
3 – 6 giugno 1981 – Carmela De Nuccio/Giovanni Foggi – Scandicci-Firenze;
4 – 22 ottobre 1981 – Susanna Cambi/Stefano Baldi in Calenzano Firenze;
5 – 19 giugno 1982 – Antonella Migliorini/Paolo Mainardi, in Montespertoli – Località Baccaiano – Fi.
6 – 9 settembre 1983- Horst Mayer/Uwe Rusch Jens in Galluzzo Località’ Giogoli ~ Fi.
7 – 29 luglio 1984 – Pia Rontini/Claudio Stefanacci – Vicchio di Mugello – Località La Boschetta, FI.
– che gli omicidi sopra indicati sono stati realizzata, secondo quanto risulta allo stato delle indagini, mediante l’impiego della medesima arma da fuoco;
– che negli omicidi Foggi/De Nuccio, Baldi/Cambi, Rontini/Stefanacci, furono recate mutilazioni al corpo della donna; che analoghe circostanze ambientali si riscontrano in tutti gli omicidi e che è pertanto presumibile che tutti i fatti di omicidio siano stati eseguiti dalla medesima persona; dicano i Periti, esaminati gli atti e tenute presenti le circostanze di fatto, di tempo e di luogo in cui avvennero i delitti: se e quali caratteristiche comuni si riscontrino nei diversi casi esaminati in relazione alla dinamica materiale ed alla dinamica psicologica sottese alle azioni messe in atto dall’aggressore o dagli aggressori in relazione ai dati raccolti ed alla interpretazione degli stessi; se si tratti presumibilmente dell’opera di un solo aggressore, illustrandone le modalità delle azioni lesive, interpretando il significato delle stesse e correlando ad esse, sulla base delle tipologie d’autore suggerite dall’esperienza e dalla dottrina il corrispettivo tipo d’autore, con riferimento ad eventuali caratteristiche psicopatologiche.”
L’inizio delle operazioni peritali veniva fissato per l’ ottobre 1984 presso l’Istituto di Medicina legale dell’Università’ di Modena, e ci veniva concesso un termine di gg.60, successivamente prorogato, per il deposito della relazione peritale.
Ai fini dell’espletamento dell’indagine ci veniva consegnata in visione copia di alcuni atti relativi ai sette duplici omicidi di cui in premessa.
2.- Metodologia dell’indagine peritale.
L’indagine peritale che ci è stata affidata ha richiesto una preliminare messa a punto di ordine metodologico, volta a definire le diverse fasi di valutazione della dinamica materiale e della dinamica psicologica sottese alle azioni messe in atto dall’aggressore o dagli aggressori. A tale scopo si è proceduto anzitutto ad un esame analitico dei singoli casi, con successive sintesi, per ciascun caso:
a) degli elementi circostanziali noti;
b) dei rilievi di sopralluogo relativamente alla scena del delitto, alla posizione dell’autovettura, dei cadaveri, degli oggetti rinvenuti nelle adiacenze (bossoli, effetti personali, ecc.);
c) dei complessi lesivi quali sono desumibili dai verbali di esame esterno e di autopsia.
Per quanto riguarda la verbalizzazione dei punti sub c) essa è stata integrata, caso per caso, da schemi che verranno allegati alla presente relazione.
Si è infine proceduto per ciascun caso ad ipotesi di ricostruzione del fatto, sotto l’aspetto della dinamica materiale, nell’intento di coglierne ed illustrarne le caratteristiche comuni e differenziali in una valutazione globale della casistica. A quest’ultimo scopo si è anche tenuto conto dei dati balisti-coforensi dedotti dalle perizie relative ai singoli casi, dati che sono stati presi in considerazione ai fini della valutazione dei mezzi e delle modalità di produzione delle lesioni nei singoli casi e, globalmente, al fine di evincere elementi di valutazione in ordine alla modalità delle azioni delittuose.
Per quanto concerne gli aspetti sub c) è stata portata particolare attenzione ai complessi lesivi a carico degli organi sessuali, nell’intento di definirne la morfologia e le modalità di produzione degli stessi. Ai riguardo, l’indagine descrittiva delle lesioni riscontrate nei singoli casi è stata integrata dalla elaborazione elettronica di immagine. Quest’ultima, la cui metodologia verrà appresso sommariamente descritta, è stata effettuala al fine di parametrare in
via analitico-matematica i dati salienti anatomo-topografici e morfometrici. delle lesioni osservate, nell’intento di dedurne elementi valutativi di ordine traumato-genetico su base comparativa (tra indagine morfologica ed analisi elettronica d’immagine). Tutti i dati raccolti sono stati utilizzati ai fini della valutazione del comportamento dell’aggressore/i e delle vittime, con particolare riferimento alle reciproche posizioni, alla reiterazione dei colpi, alla scelta delle sedi, ai tempi ed alla successione delle azioni lesive ed a quant’altro attiene alla dinamica materiale delle azioni delittuose.
In questa fase dell’indagine si è reso opportuno ipotizzare le dinamiche psicologiche sottese alle azioni messe in atto dall’ (e/o) degli aggressore/i ed a quest’ultimo riguardo verranno prospettate le ipotesi prevalenti in ordine al significato delle azioni lesive messe in atto.
Con riferimento alle descrizioni rese possibili dagli elementi di giudizio acquisiti, verranno infine illustrate e discusse le possibili tipologie l’autore, anche in riferimento ad eventuali caratteristiche psico-patologiche. A quest’ultimo argomento verrà dedicato ampio spazio nella parte finale della presente relazione peritale ed al riguardo i sottoscritti
Periti faranno riferimento, oltre che alla personale esperienza criminologica ai dati desunti dalla letteratura, raccolti mediante una accurata ed estesa ricerca bibliografica. Ci è stata preziosa la collaborazione che ci è stata fornita, per tale ricerca, dall’istituto di Medicina legale dell’Università di Pavia, dalla Cattedra di Medicina Criminologica e Psichiatria forense dell’Università di Roma, dal National Instítute of Justice – U.S. Department of Justice, dell’F.B.1. – Washington D.C. U.SA., dal B.K.A. – Repubblica Federale Tedesca, dal Max Plank Institut e dell’istituto di Criminologia dell’Università di Friburgo.
3)Analisi descrittiva della casistica concernente i sette duplici omicidi.-
Verranno illustrati qui appresso i singoli casi mediante una sintesi dei dati desunti dai verbali di sopralluogo, dai verbali di esame esterno e di autopsia. I dati raccolti verranno trasportati su uno schema complessive raffigurante l’immagine corporea rispettivamente dell’uomo e della donna in posizione anteriore e posteriore, secondo una simbologia indicata in legenda. Per ciascuna coppia verranno illustrate, ove possibile, le modalità delle azioni lesive: con riferimento alla natura ed entità delle lesioni; alla distinzione, nell’ambito delle stesse, di quelle risultate letali; all’ordine cronologico di produzione, distinguendo fra lesioni vitali e post-mortali; al tempo possibile di sopravvivenza dei soggetti; ai mezzi di produzione, con particolare riguardo alla definizione degli stessi ed in particolare alla unicità o meno dello strumento che ha prodotto le lesioni da punta e taglio in ciascuna delle coppie uccise.
Per ciascuno dei duplici omicidi seguirà una ricostruzione della dinamica materiale dell’azione delittuosa, che terrà anche conto dei dati balistico-forensi, della diversa dislocazione dei corpi rispetto all’ambiente, del presumibile tempo occorrente per l’esecuzione dei delitti e di quant’altro possa suggerire utili deduzioni in ordine alla dinamica psicologica delle azioni delittuose.
A quest’ultimo proposito si procederà per ciascuno dei duplici delitti, a delineare le ipotesi di massima sul piano criminologico e, segnatamente, sul piano motivazionale e comportamentale.
CASO N. 1 – LOCCI BARBARA / LO BIANCO ANTONIO
Data: fatto avvenuto la notte tra il 21-22 agosto 1968 (novilunio, cielo coperto)
Vittime: Locci Barbara nata a Cagliari l’8.6.1939, casalinga, coniugata. Lo Bianco Antonio nato a Palermo il 22.11.1939, muratore – entrambi residenti a Lastra di Signa.
Caratteristiche del luogo: Castelletti di Signa, in zona relativamente isolata e buia, con piccolo corso d’acqua contiguo. La zona è in piano, lateralmente alla strada, ove è parcheggiata l’auto, è presente vegetazione non molto folta né molto alta. Il luogo è facilmente accessibile e permette una discreta libertà di movimento.
I cadaveri venivano rinvenuti all’interno di una Alfa Romeo Giulietta bianca che, all’atto del sopralluogo, aveva portiere anteriori chiuse e posteriore dx. semichiusa; nonché vetri alzati (salvo l’ant. sn. abbassato di 3 cm. ed il posteriore sn. abbassato a metà).
In particolare l’uomo giaceva supino sul sedile anteriore dx. che era ribaltato; le mani reggevano i pantaloni con cinghia e bottoni slacciati. La donna giaceva sul sedile anteriore sx (posto guida); semisdraiata, con il capo reclinato sulla spalla sx. e gli arti superiori addotti al tronco.
Nel teatro della vicenda venivano rinvenuti:
– due bossoli cal.22 alla base dello schienale dei sedili; – tre bossoli come sopra nelle adiacenze dell’autovettura, alla sinistra della vettura sul prato; -1 proiettile tra gli abiti della donna. (totale:5 bossoli – 1 proiettile).
Primo ed unico caso in cui risultano testimoni: Mele Natale, all’epoca di anni 6, figlio della Locci, sarebbe stato addormentato sul sedile posteriore dell’auto al momento del fatto. Fornisce una prima versione secondo cui ci sarebbe dato alla fuga, raggiungendo la casa di un conoscente (Campi di Bisenzio), percorrendo a piedi un ampio tratto di strada scalzo; poi ritratta dicendo di essere stato portato via a cavalluccio dal padre Mele Stefano, presente sul posto al momento dei fatto.
Il Mele, pur con molte contraddizioni, si dichiarava autore, o comunque partecipe, dei delitto, veniva sottoposto a perizia psichiatrica che concludeva per un vizio parziale di mente sulla base di una diagnosi di “Oligofrenia di medio grado con caratteropatia” e condannato quale responsabile del duplice omicidio.
Da rilevare che il soggetto ha indicato i nominativi degli amanti della moglie, chiamando in causa, come correi, ora l’uno ora l’altro di questi. In esito a tale condotta fu rinviato a giudizio anche per calunnia. l’arma da fuoco usata nell’omicidio non è mai stato ritrovata, nè il Mele ha fornito indicazioni utili ai fini di ipotesi concrete sul suo possibile destino.
REPERTI NECROSCOPICI SU LO BIANCO ANTONIO
La valutazione di sintesi, correlata tra reperti di esame esterno e di autopsia, consente di indicare i seguenti complessi lesivi con riferimento esplicito agli schemi allegati:
A – Tre lesioni d’arma da fuoco (fori di ingresso) sulla faccia latero-anteriore del braccio sx., con corrispondenti fori di uscita sulla faccia anteromediale: essi delineano una traiettoria in continuità con altrettanti fori d’ingresso sulla parete laterale sx. del torace, che risulteranno inizi di tramite intracorporei che hanno attinto il polmone sx., lo stomaco e la milza, determinando emotorace ed emoperitoneo.
Si tratta di un gruppo di lesioni con traumato-genesi e. dinamica unitaria, riferibili a tre colpi d’arma da fuoco esplosi in rapida successione (il decorso pressoché parallelo dei tramiti depone per uno scarso movimento della vittima tra l’uno e l’altro colpo). La traiettoria è teoricamente dall’alto verso il basso, da sx. verso dx. e in senso lievemente anteroposteriore. In pratica, in rapporto ai dati di sopralluogo è attendibile l’ipotesi secondo cui l’omicida sparò dal loto sx. della vettura, mentre era in piedi, con vittima verosimilmente seduta (più che coricata,); la scarsa obliquità in senso anteroposteriore rende più attendibile l’esplosione dal fianco che dal retro della vittima (cioè più dal finestrino anteriore che da quello posteriore). Tale gruppo di lesioni è nel suo complesso quello che ha determinato la morte (emorragia, ipovolemia e collasso) esse del resto hanno tutte più o meno marcati segni di vitalità.
B – Due lesioni, rispettivamente foro di entrata e foro di uscita sull’avambraccio sx. riferibili a medesimo proiettile perché uniti da unico tramite con traiettoria da sx. a dx. concordemente alle lesioni precedenti. La traiettoria sui piani anteroposteriore e cranio-podalico può essere stata variabilissima in rapporto ai movimenti dell’avambraccio sul braccio: la traiettoria potrebbe essere in rapporto, nella dinamica globale, a reazione di difesa; non è invece possibile determinare la antecedenza delle lesioni rispetto al gruppo delle precedenti tre.
In complesso si descrivono 11 lesioni da arma da fuoco rapportabili a quattro colpi esplosi; tre di essi con proiettile ritenuto.
REPERTI NECROSCOPICI SU LOCCI BARBARA
In complesso si individuano quattro fori d’entrata tutti al dorso, corrispondenti ad altrettanti colpi d’arma da fuoco; diverse però le traiettorie, nel senso che tre sono da sx. a dx. e una da dx. a sx.; tutti comunque dai dal basso verso l’alto e, ovviamente, dall’indietro in avanti. Due proiettili sono fuoriusciti sulla parete anteriore del torace e dell’addome; due proiettili sono rimasti ritenuti (uno nel torace e l’altro nella spalla). I tre tramiti da sx. a dx. sono stati tutti intratoracici e di essi uno sicuramente mortale avendo provocato lesioni cardiovascolari. Il quarto, da dx. a sx., ha interessato solo la spalla sx. (ritenuto). L’insieme dei colpi e delle traiettorie suggerisce l’ipotesi di un unico polo d’azione dell’omicida (posto fuori dell’auto presso la fiancata sx, e per la vittima l’ipotesi di una reazione da fuga o da riparo.
La portiera anteriore dx chiusa farebbe però escludere un tentativo di fuga realizzato fin fuori dall’auto; la donna potrebbe comunque aver ruotato il busto verso l’uscita, donde il colpo alla spalla sx. (con traiettoria opposta agli altri). In ogni caso il dorso non poteva essere appoggiato al sedile, sebbene reclinato in avanti o in parte nascosto sotto al cruscotto. Ovvero, all’inizio dell’azione omicidiaria, la donna poteva essere in qualche modo protesa dai sedile sx a quello dx, coi busto ed il capo, verso il corpo dell’uomo. _
Può darsi che dopo il colpo mortale la donna si sia accasciata supina sul sedile. Sembra improbabile che il colpo alla spalla con traiettoria opposta possa imputarsi ad un movimento dell’omicida a tergo dell’auto. Dal punto di vista necroscopico i colpi esplosi sui corpi delle vittime sarebbero quindi complessivamente otto (4+4) con cinque proiettili ritenuti.
In sopralluogo sono stati reperiti cinque bossoli ed un proiettile (due bossoli ed un proiettile dentro l’auto), onde è da pensare che l’omicida si sia progressivamente avvicinato al mezzo entrandovi poi con la mano per esplodere gli ultimi colpi.
Il caso in esame diventerà, in seguito, uno dei punti chiave dell’intera vicenda delittuosa, posto che le indagini balistiche hanno attribuito tutta la serie dei sette duplici omicidi ad una stessa arma da fuoco una pistola cal.22, che ha sempre sparato proiettili che sembra appartengono ad una stessa partita in quanto presentano caratteristiche costruttive analoghe.
Da rilevare, tuttavia, che in questo caso non si registrano lesioni di tipo traumatico diretto sul corpo della donne (abrasioni, ecchimosi, contusioni,ecc.). Di per se considerato, dunque, il caso in esame non si qualifica come omicidio sessuale. Manca un qualsiasi interesse per le parti sessuali, non sono state usate armi da taglio né ci sono segni di violenza di altro genere sui corpi, in vita o in morte; nessuna attenzione sembra essere stata prestata dall’omicida ad
oggetti presenti sulla scena del delitto.
Non è possibile stabilire con certezza quale delle due vittime sia stata colpita per prima. E’ possibile che ad agire sia stata un unica persona, posto peraltro che la dinamica del fatto non ha comportato atti tali da far ipotizzare il concorso di più persone.
Chi ha commesso questo delitto, dunque, anche nell’ipotesi che sia l’autore dei successivi delitti, non sembra sia stato mosso da motivazioni sadico-sessuali, bensì da motivazioni comuni; motivazioni cioè che portano a desiderare la eliminazione fisica delle vittime, secondo una modalità ed una dinamica psicologica del tutto svincolata da elementi sessuali abnormi e. ancor più, da impulsi sadistici.
Anche volendo considerare le eventuali remore che potrebbe aver comportato la presenza del bambino (specie se rilevate improvvisamente dopo il delitto nell’atto di avvicinarsi ai corpi per l’eventuale inizio di macabri rituali), si può affermare che tale ipotesi mai si concilierebbe con quella di un delitto sadico-sessuale, in quanto si dovrebbe supporre un improvviso e completo passaggio da una condizione di liberazione pulsionale ad una, opposta, di autocontrollo inibitorio, suscitato quest’ultimo dall’imperativo morale di non nuocere ad una terza persona (sorto immediatamente dopo, o contestualmente, all’uccisione di due individui!).
Con riferimento all’ipotesi di un delitto per vendetta da parte del marito della donna, va rilevato che mancano elementi che connotino in modo particolare l’uccisione della donna rispetto a quella dell’uomo; ma soprattutto, in questo caso la presenza del bambino, prefigurata o meno, potrebbe aver comportato delle remore.
Occorre sin d’ora formulare una terza ipotesi, ovvero l’ipotesi che questo primo delitto abbia costituto, per l’autore o per qualcuno che vi ha assistito, uno stimolo qualificato per una ulteriore evoluzione in senso criminoso di motivazioni che sono alla base della dinamica dei delitti. Vale a dire che l’aver compiuto tale delitto (anche se per motivi inerenti alle passioni e/o alle debolezze umane, di per se stesse non necessariamente abnormi o patologiche o l’avervi assistito da “complice” non materialmente esecutore, anche da semplice “spettatore”, può aver innescato un processo psicologico di slatentizzazione di impulsi sadico-sessuali, che ha poi condotto alla perpetrazione di altri delitti, con ben diversa matrice motivazionale.
Sono noti nella letteratura scientifica casi in cui tale processo di slatentizzazione e di successivo passaggio all’atto si sono verificati in soggetti senza alcun precedente comportamentale specifico, per il solo fatto di aver letto sul giornale il resoconto di particolari delitti; si trattava però, in questi casi, di delitti la cui descrizione, per la tipologia delle vittime (ad es. bambini) e per le modalità della dinamica materiale, suggerivano direttamente ed inequivocabilmente le componenti sadico-sessuali e trovavano quindi il loro potere suggestivo nel fatto di costituire rappresentazioni “dirette” di fantasie ed impulsi latenti.
Il caso in questione (omicidio Locci-Lo Bianco) non può aver avuto tale potere di influenzamento che per due vie-stimolo, entrambe qualificate; la prima, come si è detto, costituita dall’aver assistito al delitto; la seconda, di meno intuitiva comprensione, ma di non minor efficacia psicologica, consistente nel possesso dello strumento lesivo (l’arma da fuoco) unicamente alla conoscenza (diretta, o secondo una ipotesi psicologicamente non inverosimile, anche soltanto mediata) delle circostanze e della situazione in cui fu usata.
Come si dirà in modo più approfondito in seguito, molto spesso il delitto sessuale in senso proprio (quello definito “lustmord” nella letteratura scientifica e nel diritto tedeschi, e che d’ora in poi designamo con tale termine) prima di divenire azione rimane a lungo un fatto puramente psichico, vale a dire che è a lungo oggetto di fantasie attivate a scopo di eccitazione e gratificazione sessuale, prima di venire affettivamente agito. Tali fantasie possono venire alimentate, rinnovate, stimolate, dal possesso tangibile di oggetti feticcío, quali possono essere, ad es., oggetti appartenenti alla vittima fantasticata (o ad una precedente vittima, nel caso sia giù stata commesso un delitto) oppure oggetti particolarmente pregnanti per la dinamica dell’azione fantasticata, quale può essere per l’appunto l’arma o lo strumento con cui si fantastica di compiere il delitto.
In definitiva, di per se stesso considerato, il caso Locci/Lo Bianco si discosta nettamente dai successivi fatti delittuosi sia per le dinamiche materiali che psicologiche, mentre appare legato ad essi da circostanze situazionali (coppia di amanti su un auto in un luogo apportato) e, soprattutto, dal mezzo lesivo usato (arma da fuoco), la cui costante presenza nella serie di delitti sembra poter assumere significati psicologici che vanno ben al di là di semplici questioni di funzionalità materiale e di “opportunità.
Caso N. 2 PETTINI STEFANIA / GENTILCORE PASQUALE
Fatto avvenuto la notte fra il 14 ed il 15 settembre 1974 (sabato novilunio)
Vittime: Gentilcore Pasquale, nato ad Arezzo il 24.1.1955, celibe, barista. Pettini Stefania, nata a Vicchio (FI) il 3.6.1956, nubile, segretaria d’azienda.
Località: Borgo S. Lorenzo, in zona appartata, piana ed aperta, che non comporta difficoltà di movimento.
Autovettura Fiat 127. I due, fidanzati da due anni e mezzo, si erano incontrati alle ore 21,15 del 14.9.1974.
La ragazza, descritta come corretta e riservata, nell’estate aveva avuto una “simpatia” al mare ed aveva riferito alle amiche che in altra occasione era stata seguita da uno sconosciuto alla stazione di Firenze.
La sera del delitto, nelle adiacenze, era stata vista una macchina a luci spente e con luce dell’abitacolo accesa; un’altra coppia che parcheggiava nelle vicinanze avrebbe riferito che un uomo armato di bastone e punteruolo s ero aggirato nelle vicinanze.
Sulla scena del delitto sono stati rinvenuti: la borsetta della donna ed il suo pullover bianco a 300 mt. dal luogo, non lontano dallo stesso stradello, senza tracce di sangue;
– cinque bossoli cal.22.
– due fori sul sedile anteriore sx. ed una lacerazione da taglio della stoffa del sedile dell’auto;
– sotto una pianta di vite distante circa mt. 3,40 dall’auto, vengono rinvenuti 3 paia di pantaloni, uno da donna e due da uomo, un foglio di carta da confezione recante l’intestazione di una lavanderia, un paio di mutande femminili di colore bleu intrise di sangue e con uno strappo; a metà strada tra l’auto e la vite viene rinvenuta una camicia da uomo; all’altezza dello sportello dx aperto, a circa 8 mt. dalla ruota anteriore dx, un brandello di stoffa bleu, appartenente alle mutandine strappate della donna;
– all’interno dell’autovettura, sul sedile dx e sullo schienale reclinato all’indietro, si notano abbondanti tracce ematiche. A circa 20 cm. dalla ruota posteriore dx ed esattamente all’altezza dell’apertura dello sportello dx, si nota una chiazza di sangue raggrumato, da cui si diparte una striscia evidente di sangue, che va a terminare all’altezza della mano sx del cadavere della Pettini Stefania.
Quanto ai reperti necroscopici, occorre preliminarmente precisare che le descrizioni che verranno di seguiti riportate sono state tratte dall’esame dei soli verbali di esame esterno e di autopsia, non sempre ben leggibili, a volte incompleti e privi anche della risposta ai quesiti usuali perchè rinviato alla relazione peritale, poi non eseguita.
Va comunque rilevato che nel caso in esame il dato di maggiore interesse è costituito dalle lesioni da punta e taglio subite dalla donna e, relativamente ad esse, è stato possibile reperire elementi sufficienti, anche se non esaustivi.
REPERTI NECROSCOPICI SU GENTILCORE PASQUALE
Il cadavere è stato rinvenuto sul sedile di guida dell’auto ed indossava soltanto le calze e gli slip. Più evidente, ma incompleta, è risultata la rigidità cadaverica rispetto al cadavere della Pettini. Premesso che la descrizione delle lesioni riportate all’esame esterno è parzialmente discordante rispetto a quella riportato nel verbale di autopsia, sembra di poter evincere che Il Gentilcore sia stato colpito da numerosi colpi di pistola in regione toraco-addominale sinistra. Sono stadi repertati sei fori di entrata a sx. ed uno di uscita, al fiaNco dx. che deporrebbero per l’esplosione di sei colpi di arma da fuoco, alcuni dei quali certamente mortali perchè hanno interessato il cuore ed il polmone sinistro. Sull’emitorace dx., antero-lateralmente in zona media inferiore, due ferite da taglio sovrapposte che non penetrano in profondità.
Reperti necroscopici su Pettini Stefania
Il cadavere è stato rinvenuto nudo, steso per terra dietro l’auto in posizione supina e con gli arti inferiori divaricati. Presentava numerosissime ferite da taglio, o da e taglio, nonché alcune ferite da arma da fuoco, verosimilmente una al ginocchio dx, tre al fianco dx, una al ginocchio sx. Le lesioni prodotte con mezzo tagliente, verranno più appresso
analiticamente descritte e raggruppate nel modo migliore possibile, condizionatamente alla loro molteplicità ed ai dali che è possibile evincere dai verbali.
Sono state registrate 96 lesioni da punta e taglio che interessano pressoché esclusivamente la parte anteriore del corpo della Pettini, dal volto fino al terzo superiore delle cosce. Molte di esse hanno interessato in profondità organi vitali (cuore, polmoni, stomaco, fegato, intestino) e, soprattutto, quelle toraciche, a più elevata potenzialità letale, presentano caratteri di vitalità. Altre lesioni sono invece piuttosto superficiali e sono distribuite per lo più irregolarmente sul torace, sull’addome e sulle cosce, ma in alcune sedi (parte inferiore dell’addome e, soprattutto regione sovra-pubica) sono disposte secondo un ordine che disegna grossolanamente due curve, circoscriventi l’area del ventre e l’arco superiore del pube, ad opposta convessità.
Alcune ferite, s’è detto, presentano chiari segni di vitalità, mentre altre non risultano affatto infiltrate o lo sono in misura molto modesta. Da rilevare che sulla bozza frontale dx. è stata riscontrata una lesione escoriativa lineare; una area escoriata grossolanamente quadrangolare con intensi segni di sfregamento e punteggiatura da pressione è stata rilevata al capo, probabilmente in regione frontale sx., ma la sede non è determinabile con certezza. E’ stato riscontrato pure “all’angolo mandibolare sx. escoriazione semilunare, convessa in alto, trasversalmente diretta, di circa 1 cm, di colorito arancione (tipica smagliatura)”. In sintesi, le ferite da taglio possono essere così asserire: una vasta ferita l.c. a forma di y, interessa la regione auricolare e temporale dx. fino al piano osseo; un’altra, altrettanto profonda, è localizzata alla regione emimandibolare sx. e si estende fino a quella mentoniera, interessando anche il labbro; tre ferite a carico della regione latero-cervicale dx.. hanno andamento obliquo, dall’alto verso il basso e da sinistra a destra ed appaiono Infiltrare e con margine inferiore ecchimotico. Numerose e con caratteristiche diverse le ferite che interessano il torace: sei, localizzate medialmente alla mammella dx., sembrano relativamente superficiali e poco infiltrate; mentre dodici, medialmente alla mammella sx., sono quasi tutte penetranti ed infiltrate. Da rilevare anzi che alcune di esse hanno interessato lo sterno trapassando il tavolato osseo e disarticolato l’appendice xifoide, mentre altre sono penetrate nelle cavità cardiache ed hanno attinto il parenchima polmonare. Anche alcune ferite addominali sono penetranti ed attingono i visceri (stomaco, fegato, intestino) ma esse sono in genere meno infiltrate rispetto a quelle toraciche ed il dato è concordante anche con i reperti d’organo registrati in sede di indagine necroscopica. Cinque ferite sono localizzate in regione sovrapubica e seguono l’inserzione dei peli, disegnando una curva a convessità superiore. Altre due ferite interessano, invece, il margine destro del pube. Quindici ferite interessano le cosce, in corrispondenza della regione antero-mediale, al terzo superiore, (sette a sx. ed otto a dx.); esse sono vicine tra di loro poco profonde e non infiltrate. Sono state infine repertate ferite ” da difesa” agli arti superiori ed alle mani con caratteri di vitalità. In vagina è stato trovato infilato un tralcio di vite, che sembra aver provocato due piccole lacerazioni della mucosa. Non è possibile desumere, al riguardo, altri elementi di rilievo.
Il caso Pettini/Gentilcore appare di interesse notevole, perché può essere ritenuto rappresentativo dell’esordio di una modalità lesiva, che si caratterizzerà nei successivi casi evolvendo nelle mutilazioni inferte alle vittime di sesso femminile. Possono infatti riscontrarsi molte caratteristiche per c.d. ” premonitrici” rispetto agli episodi successivi, ovvero tali da “anticipare” alcuni sviluppi futuri.
In via di ipotesi, tenuto conto della carenza di dati esaustivi, può essere proposta la seguente ricostruzione dinamica del caso. Dopo aver ucciso l’uomo con parecchi colpi di rivoltella sparati dal lato sinistro dell’auto (i colpi hanno attinto il Gentilcore al torace interessando cuore e polmoni per cui sono da ritenersi rapidamente mortali), e che possono aver attinto anche le ginocchia della ragazza, l’omicida si è portato sul lato dx. dell’auto ed ha esploso altri colpi all’indirizzo della donna (tranne che anche i colpi all’addome abbiano attinto la donna allorché l’omicida ha sparato stando sul lato sinistro dell’auto).
A questo punto non è possibile procedere che per ipotesi: segnatamente alla circostanza che l’omicida abbia colpito la donna con numerosissimi colpi da arma bianca mentre costei era riversa sul sedile anteriore destro, provvedendo poi ad estrarla dall’auto; o, alternativamente, alla circostanza di una preventiva estrazione della Pettini dall’autovettura con successive azioni da punta e taglio effettuata all’esterno dell’autovettura.
Le due eventualità si correlano verosimilmente anche alla circostanza che l’omicida abbia ritenuto o meno che la donna fosse già deceduta per effetto dei colpi da arma da fuoco. L’ipotesi che l’ omicida abbia portato il corpo della ragazza fuori dell’auto subito dopo aver esploso i colpi da sx. sembra contrastare con l’assenza di rilevanti tracce di sangue che avrebbero dovuto essere presenti sul luogo in cui la donna sarebbe stata colpito per ben 96 volte; viceversa l’ipotesi di una azione reiterata da arma bianca mentre la donna era ancora sull’auto trova conferma nelle rilevanti tracce di sangue presenti sul sedile anteriore destro e, alternativamente, nella assenza (stando a quanto si può riscontrare dalle fotografie scattate in sede di sopralluogo in ambito obitoriale) di ipostasi.
I rilievi di una “chiazza di sangue essiccato” e di una striscia ematica sul terreno, convaliderebbero quanto sopra. Nell’ipotesi che la donna sia stata colpita con lo strumento da punta e taglio mentre era ancora nell’autovettura, si può anche presumere che l’omicida si fosse accorto che la Pettini era ancora viva. Tale ipotesi sembra peraltro avvalorata dal riscontro di ferite da difesa vitali all’arto superiore, destro. Alle lesioni d’arma da punta e taglio infette con estrema violenza in regione toracica, che presentavano chiari segni di vitalità, è peraltro verosimilmente imputabile la morte della donna, posto che esse hanno interessato cuore e polmoni con conseguenti emopericardio ed emotorace.
Va infine sottolineata la forza con cui sono stati vibrati i colpi, alcuni dei quali hanno interessato l’osso sternale a tutto spessore, per inferirne qualche indicazione, sia pur generica, in ordine alle condizioni emozionali (rabbia? furore?) dell’omicida. L’intensità dei colpi si è poi progressivamente attenuata e si è estrinsecata con le ferite inferte in regione addominale ed agli arti inferiori, che appaiono più superficiali e scarsamente o per nulla infiltrate. Da rilevare che all’apparente disordine delle lesioni toraco-addominali si contrappone uno buona disposizione simmetrica di quelle inferte a livello del pube, che sembrano delineare un’area pressoché simile a quella corrispondente alle mutilazioni inferte nei successivi casi. Si sottolinea, in particolare, la ferita del lato destro del pube perchè ubicata alle ore 10, in posizione analoga alla incisura che comparirà in tutti i tre casi di asportazione del pube occorsi successivamente.
Il caso in questione presenta evidenti caratteristiche connotative, molte delle quali lo differenziano notevolmente da quello precedente, con il quali ha in comune soltanto alcuni aspetti situazionali e vittimologici (coppia di amanti in località appartata, su di un’auto) e l’identità di una delle armi usate, vale a dire l’arma da fuoco. Sono stati sparatI in questo caso numerosi colpi di arma da fuoco, sicuramente almeno 11, se si comprende anche il colpo che ha frantumato di vetro della portiera sx., e che potrebbe non aver colpite alcuna vittima.
Prescindendo da una esatta ricostruzione della dinamica materiale ( che appare impossibile, data la incompletezza della documentazione), sembra che l’uso dell’arma da punta e taglio sia stato ad un tempo secondario rispetto all’uso dell’arma da fuoco (nel senso che nella perfigurazione dell’azione e/o nella dinamica psicologica della stessa era presente prioritariamente, se non esclusivamente, l’intento di uccidere con l’arma da fuoco) e tuttavia manifestazione di una ‘distruttività’, di un bisogno di infierire, di una eccitazione, che non si erano completamente esauriti attraverso il solo uso dell’arma da fuoco.
Molte delle ferite da arma da punta e taglio inferte alla donna (specialmente quelle situate nell’emisoma superiore, generalmente le più profonde ed infiltrate) sono state vibrate con molta forza, mentre il corpo era appoggiato ad un piano fisso (terreno o sedile), tanto da penetrare profondamente in organi vitali o da trapassare il tavolato osseo sternale, disarticolando l’appendice xífoide. E’ quindi evidente che le ferite da arma da taglio inferte alla donna, per qualità e quantità, appaiono il frutto di un impulso e/o di una volontà che andavano bel oltre la semplice intenzione di essere certo della morte della vittima, sia pur incrementata e per così dire amplificata emozionalmente da una sicuramente debole reazione difensiva della donna, ormai trafitta da almeno 4-5 colpi da arma da fuoco, di cui 3 all’addome. _
La disposizione delle macchie di sangue, così come emerge dai verbali e dal materiale fotografico, l’abbondante intrisione ematica del sedile dx., la presenza di una chiazza ematica sul terreno all’altezza dell’apertura della portiera dx e di uno striscio da questa fino al corpo della donna, al di sotto e intorno al quale non sembra siano state repertate tracce di sangue, se non quelle da sgocciolamento e decubito del cadavere, tutto ciò suggerisce che le ferite da arma da taglio di cui si parla siano siate inferte mentre la donna si trovava ancora nell’auto, o riversa sul sedile, o (in parte) mentre compiva l’atto istintivo di sporgersi dallo stesso, come per una fuga, che le sarebbe stata comunque preclusa da una verosimile impedimento dei movimenti della parte inferiore del corpo, causato dai colpi di arma da fuoco. E’ possibile che la ragazza, sicuramente ancora viva dopo che l’omicida smise di sparare, emettesse grida d’aiuto o di terrore, e che l’omicida abbia in un primo tempo tentato di tapparle la bocca con una mano (Viene descritto un segno da unghiatura, all’angolo mandibolare sx., in senso trasverso, che potrebbe corrispondere al pollice della mano sx. dell’omicida).Le urla della ragazza, o un morso ricevuto da quella, potrebbero aver scatenato nell’omicida lo stato emotivo (ira, furore, eccitazione) in preda al quale ha poi inferto i primi colpi da arma da punta e taglio. Gli stessi motivi potrebbero giustificare i colpi inferti al viso, quasi come un istintivo attacco aLla parte della donna che in quel momento si mostrava più vitale ed aggressiva.
Mancano, in questo come in tutti gli altri casi, segni sicuri o indizi di tentativi di strangolamento.
Una volta uccisa la donna e dopo aver contestualmente inferto due ferite da arma da punta e taglio all’uomo, piuttosto casualmente e quasi per un ultimo sfogo, più che per accertarsi ‘ad abundatiam’ della sua morte, l’omicida ha continuato l’azione con comportamenti di tre tipi che connotano il delitto nella sua globalità come sessualmente motivato o comunque con evidenti connotazioni sessuali.
1)L’omicida ha trasportato il corpo della donna dietro l’auto, l’ha dIsposto supino, con gambe e braccia divaricate, come se volesse abusarne. Non si sono tuttavia trovati indizi di violenza ne tracce di sperma negli orifizi ne sul corpo della donna (e neppure nei suoi indumenti), come del resto tali tracce sono del tutto assenti nei casi successivi. E’ stato invece rinvenuto un tralcio di vite conficcato in vagina, e sui bordi della vulva, in posizioni simmetricamente opposte, due escoriazioni non sanguinanti (una tra le ore 5 e 6; l’altra tra le ore 11 e 12), imputabili verosimilmente ad una semplice e superficiale azione abrasiva del ramo. Non vi Sono elementi che consentono di dedurre se tale atto è stato compiuto precocemente (come per utilizzare un sostituto del pene per usare violenza alla donna e procurarsi così piacere sessuale) o tardivamente (come per un ultimo atto dì disprezzo).Certamente l’atto non sembra sia stato compiuto con violenza, ne reiteramente, come sarebbe per uno stupro simulato o di un atto compiuto con rabbia: sarebbero certamente state descritte, in tal caso, lesioni più evidenti e macroscopiche.
L’ipotesi che si può formulare in proposito, e che coincide con l’interpretazione degli altri atti compiuti dall’omicida, è che l’introduzione del tralcio di vite abbia fatto parte di una serie di atti ‘ esploratori’ compiuti dall’omicida sulla donna, come si trovasse di fronte ad un oggetto relativamente estraneo, e fosse spinto da curiosítà. Se avesse perseguito il piacere sadico di uno stupro simulato non gli sarebbero mancati strumenti più ‘idonei e rappresentativi’, quali la stessa arma da taglio, o un ramo più grande.
2) L’azione ‘esploratoria’ è stata inoltre condotta con un’altra modalità, attraverso l’uso dell’arma da punta e taglio, con la quale l’omicida ha quasi circoscritta la zona del ventre attorno all’ombelico e la linea superiore del pube, e ha descritto linee o cerchi sulle cosce(o forse è più appropriato dire che ha inferto colpi indirizzati casualmente, che nel loro insieme descrivono due linee e un cerchio sulle cosce); questi colpi sembra siano stati inferti senza molta forza, o quasi per ‘saggiare’ la resistenza della cute all’arma da punta-taglio, usata in senso verticale e quindi con l’efficacia lesiva della punta. Come si è detto, la disposizione delle ferite attorno di pube suggerisce l’ipotesi che si sia fatta strada nella mente dell’omicida, o che fosse già presente in fantasia, quanto meno a livello embrionale, l’idea di asportare quella parte del corpo, non ancora perfezionata progettualmente o non ancora sorretta da idonea capacità tecnica.
3) Gli atti di ricerca si sono poi ( o parallelamente) manifestati sotto altre forme, con attenzione rivolta agli indumenti e agli effetti personali della coppia, ossia principalmente a quelli della ragazza, ed incidentalmente a quelli dell’uomo. Le mutandine della ragazza (un pezzetto delle quali si è probabilmente strappato nel corso della manovra di trasporto, impigliandosi attorno ad una sporgenza dell’auto o della portiera) sono state trovate accanto alla vite, a qualche metro di distanza sia dall’auto che dalla ragazza, vicino agli altri indumenti; ivi compresi quelli contenuti in un pacco ritirato quello stesso giorno dalla lavanderia. Non è stata prestata apparentemente alcuna attenzione ad oggetti di valore o al denaro, e ciò sarà evidente anche nei casi successivi. Come si è detto, sugli indumenti non sono state notate tracce di sperma. Dopo averli ‘passati in rassegna’, l’omicida ha portato con sè un maglione bianco appartenente alla ragazza e la borsetta di quest’ultima, che ha poi abbandonato lanciandoli in un campo a 300 metri di distanza dai luogo del delitto. Non si fa menzione, nella descrizione degli indumenti rinvenuti sul luogo del delitto, del reggiseno della ragazza, ne è noto so la ragazza fosse abituata a portarlo o meno. In linea di mera ipotesi, quindi, si può anche pensare che l’oggetto sia stato asportato e trattenuto dall’omicida. Ciò confermerebbe, e qualificherebbe
sul piano oggettuale, un orientamento feticistico che già emerge chiaramente dai comportamenti esploratori di per se considerati. Si è usato intenzionalmente il termine generico di orientamento feticistico, in quanto non emerge, nè in questo nè nei casi successivi, una precisa indicazione della ricerca di un oggetto feticistico specifico da parte dell’omicida. Emerge soltanto una ricerca, forse sostanzialmente inappagata, di qualche oggetto che possa assumere un valore feticistico, nel senso dato a questo termine dalla psicopatologia sessuale, vale a dire di oggetto che assorbe di per sè l’interesse sessuale, e la cui presenza, il cui possesso, la cui manipolazione producono eccitazione e godimento sessuale. Come si dirà più oltre, nella parte dedicata alle considerazioni generali su tutti i casi, non è stato possibile individuare alcun oggetto che costituisca sicuramente ‘oggetto feticistico’ dell’omicida in questione, nonostante sia evidente anche in alcuni dei casi successivi una ricerca in tal senso, ad es. rovistando nel contenuto delle borsette. Lo stesso reggiseno non è stato oggetto di interesse nei casi successivi. L’unico ‘oggetto feticistico’ cui l’omicida si sia ‘fissato’ in seguito è costituito dal pube femminile, e ciò indicherebbe la presenza di un ‘feticismo di parti del corpo.’
Caso N. 3 – DE NUCCIO CARMELA / FOGGI GIOVANNI
Fatto avvenuto il 6 giugno 1981(sabato~novilunio)
Vittime: De Nuccio Carmela, nata Nardò (LE) il 24.12.1960,nubile. Foggi Giovanni, nato a Reggello il 22.2.1951, celibe, dipendente Enel.
Caratteristiche del luogo: Mosciano di Scandicci, in strada isolata, sterrata, in piano, raggiungibile senza difficoltà logistiche.
L’autovettura, Fiat Ritmo, ha gli sportelli chiusi e quelli posteriori hanno la sicura inserita. Il cristallo della portiera anteriore sx. è frammentato ed i frammenti si rinvengono sul terreno a sinistra dell’autovettura.
All’interno dell’auto: sedile anteriore destro con la spalliera reclinata; sul cruscotto un fazzoletto di stoffa ed un pacchetto di fazzolettini di carta; nel portaoggetti un mazzo di chiavi, alcune monete, una cartuccia di fucile cal.12 carica; sul tappetino anteriore destro una bustina vuota di profilattici; nello spazio compreso tra i pedali di comando e il sedile un paio di scarpe da uomo e un paio bianco da donna; sul sedile posteriore due maglie e una coperta; all’interno del bagagliaio 2 racchette da tennis ed un coltello tipo “machete” riposto nella sua custodia. Numerosi frammenti di vetro ricoprono i tappetini anteriore e posteriore lato sinistro, nonchè il sedile anteriore sinistro. Bossoli e proiettili sul sedile posteriore a cm.30 dal bordo di destra ed a cm-15 da quello posteriore: 1 bossolo cal.22 tipo Winchester con fondello percosso; sul tappetino posteriore destro altro bossolo identico al precedente. Rimosso il suddetto tappetino si rinviene un altro bossolo identico al precedente ed 1 proiettile deformato cal.22. Da un foro esistente sul bordo superiore della spalliera anteriore destra si estrae un altro proiettile cal.22. Sul terreno a sinistra dell’auto, a cm.90 dal centro della ruota posteriore 1 bossolo cal.22 tipo Winchester con fondello percosso; a cm.75 altro bossolo e a cm.85 altri 2 bossoli identici al primo. Totale bossoli: 3 bossoli all’interno dell’auto e 4 all’esterno + 2 proiettili nell’auto. Antistante lo sportello anteriore sinistro: borsetta da donna di paglia con bordi di metallo e vicino ad essa una carta d’identità, un mazzo di chiavi, 2 biglietti dell’ATAF, oggetti per il trucco.
REPERTI NECROSCOPICI SU FOGGI GIOVANNI
Il cadavere fu rinvenuto all’interno dell’auto sdraiato sul sedile anteriore sinistro con la testa in direzione del montante, che poggia(con la regione temporale destra sul bordo superiore sinistro della spalliera, occhi e bocca aperta. Indossa: una camicia chiara abbottonata, un paio di slip blu a righe bianche, un paio di jeans infilati solo alla coscia destra ed un paio di calzini chiari.
Gli arti superiori: il destro disteso con le dita della mano flesse poggia sulla leva del freno a mano; il sinistro leggermente flesso in avanti e col palmo della mano dietro al sedile. Gli arti inferiori uniti e distesi poggiano con i talloni sul tappetino anteriore destro. Ferite da strumento da punta e taglio: alla regione antero-laterale sx. del collo due ferite da punta e taglio, disposte l’una accanto all’altra, poco infiltrate quella laterale, di cm.2×1, con angolo acuto superiore, ha inciso il sottostante muscolo sternocieidomastoideo, terminando a ridosso della VII vertebra cervicale. Quella mediale, di cm.3×1,5 con tramite di cm.6,5 estremo superiore ad angolo acuto ed estremo inferiore lineare, ha reciso il muscolo sternocleidomastoideo e la parete esofagea a livello della I costa. Una terza ferita da punta e taglio, estesa cm.2,2×1,5, è localizzata all’emitorace sx. al di sopra del capezzolo ed attraversa il lobo inferiore dei polmone, il diaframma , terminando nel parenchima splenico ( da rilevare che detta ferita non è infiltrata).
Ferite d’arma da fuoco: In regione pettorale sx. foro di ingresso (mm.5×4) con orletto ecchimotico escoriativo, tramite che attraversa il lobo superiore del polmone sx., l’aorta ascendente e proiettile ritenuto nel corpo dell’ottava vertebra dorsale.la presenza di affumicatura sulla camicia, rilevata all’esame degli indumenti, depone per un colpo sparato a contatto o comunque a distanza ravvicinata. In regione nucale sinistra foro d’ingresso di colpo d’arma da fuoco, mm.6×6, con orletto ecchimotico-escoriativo, con proiettile ritenuto nei tessuti molli nucali. Sopra al precedente, foro d’ingresso d’arma da fuoco di mm.10×10, con margini escoriativi ed introflessi con proiettile ritenuto ad una profondità di cm.3 a livello encefalico nella scissura calcarina. In regione nucale numerose escoriazioni.
REPERTI NECROSCOPICI SU DE NUCCIO CARMELA
Il cadavere della donna giace sul terreno in posizione supina, con la testa poggiante sulla regione temporale sinistra; occhi e bocca aperti e tra le labbra una collana che la donna porta al collo. Il cadavere indossa una camicia chiara strappata, un paio di jeans che presentano uno spacco a livello del cavallo fino alla cintura e che lascia intravedere la parte anteriore delle cosce e la regione pubica, un paio di slip azzurri strappati nella parete laterale sinistra.
Gli arti superiori: il destro abdotto disteso e ruotato verso l’esterno, poggia sul terreno con la parte posteriore, la mano poggia sul dorso e le dita leggermente flesse; il sinistro disteso poggia al suolo con la parte posteriore lungo il tronco.
Gli arti inferiori: il sinistro ha la coscia leggermente flessa in avanti e la gamba piegato verso l’interno e poggia con la parte esterna. Il bacino è leggermente ruotato verso sinistra. Ferite da arma da fuoco: un colpo d’arma da fuoco ha interessato, di striscio, la regione mentoniera producendo un’area ecchimotica escoriata di forma ovalare di mm.20,6. Un altro colpo ha interessato la regione laterale sinistra del collo, ove si rileva un foro d’ingresso di mm.3×4 con orletto ecchimotico escoriativo, con tramite trapassante che attraversa la teca e foro d’uscita alla regione laterale dx. del collo (mm. 3×5). Un altro colpo di arma da: fuoco all’avambraccio sx., trapassante, con direzione lateromediale. Anche l’avambraccio dx. è interessato da un colpo di arma da fuoco che, entrato a livello della regione laterale, ha attraversato i tessuti molli ed è uscito alla base della mano dx., lato palmare al dorso, in regione sottoscapolare sx., foro d’entrata (mm.4×4) di un proiettile che, dopo aver attraversato il lobo superiore del polmone sx., il cuore, il lobo medio del polmone dx., è ritenuto nel sottocutaneo della regione mammaria dx. Anche in questo caso è segnalata la presenza di affumicatura ( se pur meno evidente rispetto al colpo esploso contro il Foggí, e per cui si può ritenere che anche l’esplosione di questo colpo sia avvenuta a contatto o a distanza molto ravvicinata.
Ferite da punta e taglio: Si rileva l’escissione in regione pubica di una ampia area ovalare con asse longitudinale di cm.16 ed asse trasversale di cm.10. I margini della suddetta area appaiono molto netti, non infiltrati, con una sola incisura a lembo alle ore 9-10 e con lieve irregolarità solo nel tratto compreso tra le ore 6 e 7. Risultano in sostanza asportati la cute ed i peli della regione pubica fino alle grandi labbra, che in larga misura sono state risparmiate. La lesione ha una profondità di circa 5 cm. con fondo modicamente irregolare. Il caso in esame riveste una singolare rilevanza in quanto attesta una evoluzione della dinamica delittuosa messa in atto, che si specifica ancora più chiaramente in senso sessuale. Sono stati escissi, infatti, con mezzo molto tagliente, con colpi precisi e con tecnica sicura, il pube e parte della vagina; parti corporee che vengono poi portate via dall’omicida, come avverrà in successivi casi. La mutilazione, che sarà poi riproposta con tecnica analoga in altre due occasioni, sarà oggetto di una valutazione comparativa con le analoghe lesioni dei successivi casi in altra sede e ci si limita ora a registrare il precipuo interesse dell’autore per la cute e per i peli del pube rispetto alla vagina, di cui è parzialmente asportato solo parte del grande labbro di sinistra.
In ordine alla dinamica materiale del duplice omicidio va rilevato che questa volta è privilegiata la testa come bersaglio principale e, soprattutto, che vengono esplosi due colpi a distanza molto ravvicinata, se non a contatto, uno sull’uomo in sede pettorale sx. con conseguente interessamento del cuore, del polmone sx. e dell’aorta; l’altro sulla donna in sede sottoscapolare sx. con interessamento di parti vitali, quali cuore e polmoni. Verrebbe da pensare che, dopo l’esperienza del caso precedente, avvenuto sette anni prima, nel quale, nonostante l’esplosione di 10 o Il colpi di pistola contro le due vittime, l’omicida dovette ricorrere all’uso di uno strumento tagliente per uccidere la Pettini Stefania, egli abbia optato per un bersaglio più sicuramente letale (il capo) ed abbia sparato ad entrambe le vittime un colpo a contatto con l’evidente intento di attingere al cuore. Il Foggi è stato infatti raggiunto da due proiettili in zona occipitale sx. (probabilmente perchè era girato verso la sua compagna che occupava il sedile destro), uno dei quali penetrato in cavità cranica e l’altro ritenuto nei tessuti molli del collo perchè probabilmente era il proiettile che aveva infranto il cristallo dell’auto perdendo gran parte della sua capacità di penetrazione, e da un proiettile sparato a contatto ( i segni di affumicatura sulla camicia non sembra lascino molto spazio a dubbi in proposito) in regione pettorale sx. La De Nuccio è stata colpita da cinque colpi d’arma da fuoco, dei quali solo due mortali perchè diretti al collo, con interessamento della seconda vertebra cervicale, ed agli organi toracici (cuore e polmoni) raggiunti da un proiettile sparato a contatto, o comunque da distanza molto ravvicinata, come si può evincere dai segni di affumicatura sugli indumenti, in sede sottoscapolare sx. Gli altri tre colpi hanno raggiunto la regione mentoniera di striscio ed i due avambracci. Evidentemente la donna, colpita dopo l’uomo, ha compiuto dei movimenti attivi di difesa che potrebbero giustificare sia il fallimento della testa come bersaglio per quanto concerne il colpo di striscio al mento, che le ferite agli avambracci. Sembra comunque evidente la scelta della testa come bersaglio primario e l’intenzione di provocare con certezza la morte dei due prima di iniziare il macabro rituale. Il che rinvia ancora al caso precedente, nel quale è ipotizzabile l’emergenza di problemi imprevisti nel provocare la morte della Pettini. Va infatti sottolineato che l’omicida si è trovato con la pistola scarica, avendo esploso almeno 10 se non 11 colpi (due o tre dei quali a vuoto) e con una delle vittime ancora viva e probabilmente ancora capace di un qualche movimento attivo. Tale circostanza porterebbe peraltro ad escludere la presenza di una seconda persona ed avvalorerebbe l’ipotesi della necessità di finire la donna a coltellate.
Nella stessa ottica, potrebbero essere interpretate le tre lesioni da punta e taglio inferte al Foggi in limine vitae o dopo la morte, quasi nel senso della ricerca della certezza di averne provocato la morte. Le tre ferite sono infatti profonde ed attingono organi vitali, ma l’assenza o la scarsa presenza di note infiltrativi fa attendibilmente ritenere che esse siano state inferte dopo un certo lasso di tempo dall’esplosione dei colpi di pistola, quasi che l’omicida fosse stato assalito da qualche dubbio circa la mancata morte della vittima, nonostante i tre colpi al capo ed il colpo sparato a contatto in direzione del cuore. Come si è detto, questo delitto presenta evidenti caratteristiche che lo qualificano come “lustmord”,consistenti essenzialmente nella esportazione del pube. Tralasciando le considerazioni sul possibile significato sessuale dell’azione omicidiaria nella peculiare situazione (coppia di amanti su di un’auto in località appartata) – considerazioni che verranno svolte nella parte riassuntiva – annotiamo tuttavia la irrilevanza ed accessorietà dell’uso dell’arma da punta e taglio nella medesima, ed il fatto che l’omicida non ricerca il contatto con la vittima nel compiere l’azione, se non nel macabro rituale dell’asportazione del pube, che viene qui condotto in maniera apparentemente preordinata e funzionale all’appropriazione del “feticcio”, e senza segni che indichino una particolare “volontta” nel compiere l’azione, nè, tantomeno, nell’uso dello strumento tagliente.in questo caso, infatti, le uniche ferite da arma da taglio (fatta eccezione, ovviamente, per l’asportazione del pube) sono a carico dell’uomo, dirette a parti vitali (cuore e grossi vasi del collo), inferte con decisione e con forza, con l’evidente intento di assicurarsi la certezza della morte della vittima. Non si riscontrano ferite analoghe a carico della donna, del cui decesso evidentemente l’omicida doveva ritenersi certo, dopo aver terminato di sparare i colpi di arma da fuoco. _
L’arma da punta e taglio quindi non costituiva per l’omicida un ‘oggetto privilegiato’ nel complemento dell’azione, nè uno strumento atto a procurare godimento, diversamente da quanto accade nella maggior parte dei “lustmord”, in cui il contatto con la vittima agonizzante, o con il suo sangue che fuoriesce, producono, il godimento, e in cui vengono perciò privilegiate modalità omicidiarie che consentano un contatto fisico ravvicinato, quali appunto lo strangolamento o l’uso di un’arma da taglio. In quest’ultimo caso le ferite appaiono in genere ampie e beanti, ovvero numerose ma per lo più superficiali e limitate ad un area piuttosto ristretta, in quanto inferte in uno stato di eccitazione e di godimento sessuale che inducono a pochi atti spasmodici e “insistiti” oppure a una gragnuola di colpi inferti in modo frenetico. Il fatto che ciò non avvenga nel caso in questione, né nei successivi, avvalora l’interpretazione già fornita a proposito del caso precedente (Pettini) in cui le numerose ferite da arma da taglio avrebbero potuto suggerire una simile dinamica psicologica dell’azione, che va invece del tutto esclusa.
Mancano anche in questo caso segni di tentativi di violenza sessuale, né vengono descritte tracce di sperma sui corpi o sugli indumenti delle vittime.
Non è stata prestata alcuna attenzione agli indumenti, mentre è stato rovesciato il contenuto della borsetta della donna, senza che si possa dire con certezza che qualcosa è stato asportato.
Il corpo della ragazza ormai esamine è stato asportato dall’auto e trasportato, più che non trascinato a 10-12 metri di distanza dall’auto, e di qui sospinto o trasportato in un infossamento del terreno: la manovra, che denota di per sè una certa forza e robustezza da parte dell’omicida, è stata evidentemente attuata per cautela, per poter compiere l’azione successiva di asportazione del pube con relativa tranquillità senza essere visto. Il luogo in cui si trovava la macchina, infatti, vicino all’incrocio di due viottoli era abbastanza esposto. La modalità con cui è stata compiuta l’azione, sia nel suo complesso che nella parte terminale, denota una notevole freddezza e sicurezza, quantomeno nelle fasi terminali.
Caso N. 4 CAMBI SUSANNA / BALDI STEFANO
Fatto avvenuto nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre 1981.
Giovedì, ultimo quarto di luna, il giorno successivo ci fu uno sciopero generale.
Vittime: Cambi Susanna, nata a Firenze il 2.X.1957, nubile, commessa. Baldi Stefano, nato a Firenze il 28. 5.1955 e residente a Prato, celibe, impiegato.
Località: Travalle di Calenzano, “Le Bardoline”. Strada stretta, sterrata, fiancheggiata da terreno leggermente scosceso e da filari di alberi.
I due giovani sono usciti di casa tra le ore 22,30 e 22,50 diretti a Firenze. Alle 20,30 Baldi Stefano ha ricevuto una telefonata da una persona qualificata per un geometra, il quale però afferma di non avere telefonato. Nella stessa località, quella notte, una coppietta afferma di avere visto un uomo che faceva ‘il guardone’, circa alle ore 22,40; un’altra coppia ha visto una macchina allontanarsi a forte velocità sulla strada che porta al luogo dell’omicidio, e proveniente all’incirca da quei luogo, attorno alle ore 0;30. La descrizione fornita corrisponde all’uomo visto dall’altra coppia. La borsetta della donna ed il portafogli dell’uomo sono intatti.
Auto Golf nera: ha le due portiere chiuse; il vetro anteriore destro parzialmente frantumato con frammenti di vetro all’interno dell’auto. Il sedile anteriore dx. ha lo schienale reclinato; sul pavimento, davanti al sedile di guida, uno stivale da uomo in cuoio. Sulla portiera sx., sul vetro e sul longherone dell’auto, macchie rossastre di natura ematica.
Bossoli: 1 bossolo all’interno dell’auto, sul tappetino anteriore dx., 6 bossoli all’esterno dell’auto, vicino alla ruota anteriore destra, rispettivamente a 90,80,60,55,30 e 20 cm. da essa. Totale bossoli: 7 Su lato sinistro dell’auto, a circa 70 cm. dalla ruota anteriore, una foglia macchiata di sangue e l’erba circostante calpestata; poco lontano un orologio da donna funzionante.
REPERTI NECROSCOPICI SU BALDI STEFANO.
Il cadavere è stato trovato nel campo, a sinistra ed a poca distanza dall’auto, riverso sul lato destro, con indosso una camicia arrotolata fino all’altezza dell’apofisi ensiforme dello sterno, slip e pantaloni infilati solo fino al terzo inferiore dell’arto sx., con calze e stivale sinistro calzati.
Presentava rigidità cadaverica generalizzata ed ipostasi scarse, fisse al massaggio, a prevalente localizzazione lungo l’emisoma destro.
Ferite da arma da fuoco: un colpo ha attinto l’ala sinistra del naso ed è stato ritenuto al di sotto della branca ascendente dell’emimandibola sx., con tramite obliquo verso il basso e verso sinistra. Due colpi all’emitorace destro: 1 in regione mammaria con tramite che attraversa il polmone destro, il cuore, il polmone sinistro e fuoriesce in corrispondenza dal pilastro anteriore dell’ascella sinistra. Uno in regione dorsale, con tramite interessante il lobo destro del fegato, il diaframma ed il polmone sinistro e ritenzione del proiettile sulla linea ascellare anteriore sinistra a livello sottocutaneo. Un colpo all’emitorace sinistro in regione mammaria con tramite obliquo dall’alto verso il basso ed in senso medio-laterale, interessante il polmone sinistro e con foro d’uscita al fianco sinistro.
L’uomo è stato quindi colpito da quattro colpi di pistola, due con direzione trasversale da destra, a sinistra esplosi a livello dell’emitorace dx., anteriormente e posteriormente; due con analoga inclinazione e direzione dall’alto verso il basso e verso sinistra, alla piramide nasale ed all’emitorace sx. (cfr. all. schema).
Ferite da punta e taglio: si tratta di quattro ferite da punta e taglio, per nulla o scarsamente infiltrate, che interessano le seguenti zone: Una alla regione latero-posteriore dx. del collo che penetra nei tessuti molli fino al piano muscolare, scarsissimamente infiltrato, mentre i margini non presentano affatto fenomeni di infiltrazione ematica. Un’altra in regione dorsale destra, a livello scapolare non infiltrata, poco profonda e non penetrante in cavità toracica. Una terza in regione dorsale sx., in zona paravertebrale poco più in basso rispetto alla precedente, non infiltrata e poco profonda. La quarta in regione scapolare sinistra che, dopo aver trapassato l’osso scapolare, penetra nel parenchima polmonare. Anche questa lesione non presenta infiltrazione dei margini, ma solo una tenue soffusione a livello muscolare. Infine, a carico del primo dito della mano dx., piccola ferita trapassante con caratteri di vitalità, riferibili verosimilmente ad una piccola scheggia di vetro, intesa come proiettile secondario.
REPERTI NECROSCOPICI SU CAMBI SUSANNA.
Il cadavere è stato rinvenuto sul margine di un fossato a pochi metri dal lati destro dell’auto, in posizione supina, con le braccia rivolte verso l’alto al di sopra della testa e le gambe flesse e divaricate. Indossa reggiseno e maglietta bianca sollevata al di sopra del seno una maglia beige ed una giacca di maglia verde infilate solo all’arto superiore sinistro, una gonna ampiamente tagliata sul davanti, uno slip bianco tagliato sulla coscia sx. ed un paio di stivali marrone. Presentava rigidità generalizzata ed ipostasi scarso ma fisse, in regione dorsale.
Ferite da arma da fuoco. – 1 all’emitorace destro, con tramite orizzontale interessante il polmone dx., il cuore, il polmone sx., con proiettile ritenuto al 4° spazio intercostale sinistro. – 1 al fianco dx., con tramite obliquo verso l’alto e medialmente, con proiettile ritenuto a livello della parete toracica. – 1 in regione dorsale dx., con tramite obliquo in senso lateromediale interessante l’aorta, e con proiettile ritenuto a livello mediastinico. – 1 al braccio sx., al terzo medio della faccia laterale, con tramite obliquo dall’alto al basso in senso lateromediale e proiettile ritenuto a livello sottocutaneo sulla faccia mediale del braccio. – 1 al pollice destro, sulla faccia mediale, con foro d’uscita sulla faccia laterale.
Ferite da punta e taglio: Una ferita da punta e taglio, ovalare, di cm.2,5 x 1,5 a maggior asse obliquo dell’alto verso il basso e verso sinistra, in regione sottomammaria sx. Detta ferita è poco profonda, presenta margini netti, angolo inferiore acuto, infiltrazione ematica molto scarsa o del tutto assente. Un’altra ferita da punta e taglio, ovalare, di cm.3×1, a maggior asse lievemente obliquo verso destra e verso il basso, interessa la regione scapolare sx. Anche questa ferita presenta scarsissimi segni di infiltrazione. Da segnalare piccole escoriazioni allo zigomo dx., all’angolo labiale sx., alla faccia laterale dell’emitorace dx., ed al fianco dx. Alla coscia px., lateralmente, ed al ginocchio omolaterale escorriazioni lineari coperte da terriccio. Escissione di un’ampia zona che interessa il pube, la faccia mediale delle cosce ed il perineo fino all’orifizio anale. Detta area, irregolarmente quadrangolare, presenta un margine superiore curvo a convessità superiore di cm-13 in regione sovrapubica, che con andamento curvilineo continua verso il basso fino alla regione mediale delle cosce per raggiungere il perineo e la zona perianale. Il lato longitudinale maggiore, quello sinistro, misura cm.24. I margini sono netti e non infiltrati, sopratutto nel tratto curvilineo superiore e laterale fino alla radice delle cosce. Sul margine laterale destro, alle ore 10, si rileva una intaccatura superficiale a margini netti e non infiltrati (simile a quella repertata nel caso precedente).
In questo caso emerge che l’omicida si è avvicinato all’auto da destra, forse perchè protetto da una vegetazione più fitta che lo poteva nascondere più a lungo nella notte meno buia rispetto ai casi precedenti per la diversa fase lunare (ultimo quarto), ed ha sparato avvicinandosi progressivamente all’autovettura. Oltre che da vari colpi di arma da fuoco le due vittime, in particolare l’uomo, sono state colpite ripetutamente con uno strumento da punta e taglio, probabilmente al fine di ottenere la certezza del risultato letale.
Sono stati spostati entrambi i cadaveri dall’auto, trovati poi uno sulla destra e l’altro sulla sinistra dell’auto, ma solo la donna è stata oggetto di “ulteriori attenzioni” da parte dell’omicida. Negli altri casi, invece, il cadavere dell’uomo è stato sempre lasciato nell’auto. L’attuale diverso comportamento non è facilmente interpretabile ed è forse riferibile ali a necessità di superare difficoltà oggettive in ordine alla esigenza dell’omicida di poter disporre rapidamente del corpo della ragazza fuori dall’auto.
L’escissione dei tessuti pubici e perineali è eseguita anche questa volta con buona tecnica e la lesione presenta evidenti analogie con quella relativa al caso precedente. In entrambi i casi i margini sono netti e precisi ed è riscontrabile una analoga incisura sul margine destro del pube nella stessa posizione (ore 10).
L’area escissa è però questa volta decisamente più estesa, interessando anche i tessuti perineali fino alla regione perianale, mentre negli altri due casi, quello precedente del giugno 1981 e quello seguente del luglio 1984, essa è limitata alla regione pubica con parziale (1981) o totale (1984) rispetto delle grandi labbra.
Da sottolineare che una così vasta escissione ha comportato problemi “tecnici” non facili, per cui il “ritorno” alla prima modalità potrebbe essere correlato ad essi, o, più attendibilmente, ad una più difficile conservazione e/o utilizzazione di una parte anatomica più grande, più irregolare, più ricca di tessuto adiposo, tanto che un frammento non piccolo di quest’ultimo è stato repertato sul luogo del delitto. Da rilevare che l’esame del secreto vaginale ha escluso la presenza di spermatozoi e che si dà atto nella perizia medico-legale dell’assenza di impronte digitali sui cadaveri.
La dinamica di questo delitto si sovrappone pressochè completamente a quella del delitto precedente, fatta eccezione per la rimozione dall’auto del cadavere dell’uomo, evidentemente resasi necessaria per poter raggiungere ed asportare il corpo della donna. Va sottolineata di nuovo la mancanza di interesse per l’uomo, se non per quanto concerne gli atti lesivi che rendono l’omicida certo del suo decesso. Le ferite da arma bianca sono evidentemente mirate a punti vitali (sia nell’uomo che, del resto, anche nella donna). Anche la presenza di un’ampia ferita esclusivamente da taglio al collo non è sufficiente di per sè e, soprattutto, se considerata contestualmente alla dinamica dell’azione, a far ritenere che sia stata inferta per procurarsi piacere sadico-sessuale, o per motivi diversi da quello del perseguimento di un esito letale. La mancanza di interesse per l’uomo (e l’assenza di lesioni e di mutilazioni ai genitali maschili, in questo come negli altri casi), porterebbe ad escludere un orientamento omosessuale dell’omicida, sia nel caso delle azioni delittuose che al di fuori di esse.
Ancor più appare evidente in questo caso che manca la ricerca di un contatto fisico con le vittime, anche quelle di sesso femminile; non solo non vi sono tracce di violenza sadica o sessuale di alcun tipo, nè tracce della ricerca di gratificazioni sessuali abnormi nel contesto dell’azione al di là del significato che in tal senso possono rivestire l’azione omicidiaria in sè e l’asportazione del pube), ma sembra anzi ci sia il tentativo di limitare al minimo indispensabile il contatto fisico con la vittima; in tal senso possono essere viste le manovre di denudazione della vittima femminile, operate attraverso l’uso del coltello, senza alcuna manovra di svestizione manuale.
Quest’ultima fu presente soltanto nel secondo caso (Pettini), e del tutto verosimilmente limitata alla asportazione della mutandina.
Come si è detto, mancano segni di ferite gravi e mutilazioni anche in altre parti del corpo, di significato sessuale o passibili di rivestirlo (vagina, cosce, natiche, ano); fatta eccezione per le già commentate ferite superficiali del caso Pettini, che l’omicida evidentemente non è stato spinto a reiterare in nessuno dei casi successivi, e che, quindi, non vanno considerate alla stregua di azioni sostitutive o di accompagnamento della gratificazione sessuale (che sarebbe stata perseguita allo stesso modo almeno in alcuni casi successivi) nè alla stregua di una modalità espressiva istintuale o compulsiva esplicantesi nell’ambito della dinamica psicologica del ‘rapporto’ con la vittima al momento dell’atto. Anzi, l’assenza di ferite di tal natura, cioè a tipo “mutilazioni sadiche”, spoglia di contenuto sessuale immediato la stessa esportazione del pube, nel senso che induce a vedere in questo atto un comportamento di per sè non istintuale, compulsivo o contestuale al godimento sessuale, ma un atto pienamente “funzionale” al possesso dell’oggetto feticistico. Depongono per tale interpretazione la freddezza, la razionalità, la precisione con cui viene compiuto l’atto, nonchè ovviamente la mancanza di eviscerazione vera e propria ( i visceri infatti non solo sono lasciati in situ; ma non vengono nè lesi ulteriormente nè manipolati) e di tutti quei comportamenti più tipici delle forme patologiche più gravi, che alludono a componenti istintuali antropologiche, agite realmente o in maniera larvata.
Sono infatti descritti in letteratura scientifica numerosi casi in cui l’omicida agiva come se si immergesse in una “orgia di sangue”, manipolando visceri ed organi (prevalentemente sessuali) del cadavere, masturbandosi con quelli, o semplicemente godendone alla vista, al tatto, all’odorato; in altri casi organi o visceri vengono morsi, masticati o addirittura mangiati: in entrambi i casi si tratta di comportamenti istintuali di natura antropofogica, attuati per lo più da soggetti gravemente patologici. La diagnosi che viene posta in casi siffatti è quasi sempre di “schizofrenia paranoide”. L’assenza di tali comportamenti, tuttavia, non comporta di per sè l’esclusione di tale patologia nel nostro caso, come si dirà più oltre.
Il seno della donna non sembra costituire sinora oggetto di interesse da parte dell’omicida; nè in senso sadico, nè in senso libidico o feticistico. Dei tre casi finora esaminati (Pettini, De Nuccio, Cambi) soltanto nel primo si notano numerose ferite da arma da taglio ad entrambi i seni, presumibilmente inferte in vita come altre ferite all’emisoma superiore, in uno stato emotivo di ira o di rabbia, con l’intento di conseguire l’esito letale per cui non erano stati sufficienti i colpi d’arma da fuoco. Nel secondo caso il seno sx. presentava una piccola escoriazione, in quanto attinto accidentalmente da un frammento di vetro o di proiettile; la ferita d’arma da punta e taglio che ha attinto nel terzo caso la zona sottomammaria sx è stata evidentemente inferta con l’intento di raggiungere una zona vitale. In tutti e tre i casi mancano ferite che suggeriscono l’ipotesi di un tentativo di escissione.
In questi tre casi, dunque, a parte il significato che può rivestire di per sè la dinamica omicidiaria, l’interesse dell’omicida era rivolto prevalentemente, se non esclusivamente, al pube come oggetto-feticcio, come oggetto libidico capace di polarizzare l’interesse sessuale.
Caso n 5 – MIGLIORINI ANTONELLA / MAINARDI PAOLO
Data: fatto avvenuto alle ore 24 circa del 19 giugno 1982 (sabato – novilunio)
Vittime: Migliorini Antonella, nata a Empoli il 9.9.1962, nubile, operaia in una ditta di confezioni. Mainardi Paolo, nato a Empoli il 22.4.1960, celibe, operaio in una officina meccanica.
Località: Montespertoli, su una piazzola posta alla destra della strada provinciale “Via Nuova Virgilio” che collega la provinciale “Vecchia Volterrana” con la provinciale S. Casciana-Certaldo ed è piuttosto trafficata. Anche la sera del delitto il traffico era piuttosto intenso, tanto che fu necessario chiudere la strada. La piazzola ai margine della strada è circondata da vegetazione folta. Sulla piazzola furono recuperati frammenti di vetro.
Auto Fiat 127: fu ritrovata sul margine sinistro della strada, con le ruote posteriori nel fossato, la retromarcia innestata, freno a mano inserito e priva delle chiavi, in seguito rinvenute nel campo adiacente, ad alcuni metri di distanza dall’auto. La portiera dx. era aperta; il vetro anteriore sx. rotto e frammenti di vetro erano sparsi nell’auto. I fari anteriori erano frantumati da colpi di arma da fuoco e il parabrezza presentava un foro nella metà sinistra.
Il sedile anteriore sx era leggermente reclinato e sia su di esso, che sul sedile posteriore si repertavano larghe chiazze di sangue. Nell’auto è stato rinvenuto un fazzolettino di carta che era stato usato per pulire liquido seminale ed un profilattico usato, annodato e contenente liquido seminale.
-Bossoli: sono stati rinvenuti 9 bossoli, di cui tre sulla piazzola posta a destra della carreggiata, due sulla strada, tre davanti all’autovettura ed uno all’interno di essa. _
REPERTI NECROSCOPICI SU MAINARDI PAOLO
Il giovane fu trovato seduto al posto di guida dell’auto; era ancora vivo e fu subito trasportato all’Ospedale di Empoli, ove giunse alle ore 0,30 del 20 giugno in stato di coma profondo. E’ morto qualche ora dopo, alle ore 8, senza aver ripreso conoscenza.
Ferite da arma da fuoco: Un colpo alla tempia sx., con tramite trasversale che attraversa la cavità cranica e si arresta, con ritenzione del proiettile, contro il tavolato osseo in regione temporale dx. Un colpo all’orecchio sx., con tramite obliquo dall’alto al basso e dall’indietro in avanti in senso lateromediale, con ritenzione del proiettile a livello dell’arcata dentaria superiore sx. Un colpo al di sotto dell’emimandibola sx. con tramite obliquo dal basso verso l’alto in senso lateromediale, e fuoriuscita del proiettile in regione zigomatico-mascellare sx. Un colpo alla spalla sx., posteriormente, con breve tramite nei tessuti molli e proiettile ritenuto contro la scapola sx. Sono state inoltre riscontrate ecchimosi periorbitarie bilaterali, più accentuate a sx., ecchimosi alla guancia sx., due escoriazione con alone ecchimotico sulla parete anteriore del torace e dell’addome ed agli arti superiori; segni di agopuntura con alone ecchimotico alle regioni sottoclaveari bilateralmente ed alle pieghe cubitali, numerose, minute escoriazioni superficiali dell’epidermide, circondate da piccoli aloni ecchimotici, nell’area temporo-auricolare sinistra.
REPERTI NECROSCOPICI SU MIGLIORINI ANTONELLA
La donna è stata rinvenuta cadavere seduta sul sedile posteriore destro completamente vestita, con la cintura slacciata.
Ferite da arma da fuoco: Un colpo in regione frontale sinistra, superficiale, con tramite transfosso nei tessuti molli e con fuoriuscita del proiettile della regione frontale destra. Un colpo in regione medio-frontale, con tramite penetrante in cavità cranica e proiettile ritenuto nel lobo parieto-temporale destro. Sul cadavere sono state anche riscontrate piccole escoriazioni multiple e piccole ferite da taglio, sparse riferibili all’azione dei frammenti del cristallo frantumato.
La dinamica materiale di questo duplice delitto è più complessa rispetto agli altri casi, essendo l’azione attendibilmente iniziata sulla piazzola posta a destra della carreggiata, per proseguire poi durante lo spostamento dell’auto, in retromarcia, fino al margine opposto. Delle tre ricostruzioni proposte dai Periti medico-legali, nella perizia eseguita nell’83, la terza appare per alcuni versi la più convincente, in quanto esplicativa del fatto che il Mainardi, quando fu attinto dei colpi di arma da fuoco, si trovasse sul sedile anteriore, al posto di guida: tale ricostruzione implica infatti che il primo colpo sia stato sparato contro il parabrezza e possa essere quindi uscito dal finestrino dello sportello di sx., il cui vetro sarebbe quindi stato frantumato dall’interno, e che poi vi siano stati da un canto gli spostamenti e le manovre del Mainardi per mettere in moto l’auto, dall’altro lo spostamento dell’omicida nel fianco sx. dell’auto, per sparare all’interno di questa, in rapida successione, i colpi che hanno attinto le due vittime, mentre l’auto si muoveva in retromarcia lentamente in quanto verosimilmente era innestato il freno a mano, e l’omicida si teneva a contatto dell’auto, forse appoggiato a questa correndole a fianco e sparando i colpi in rapida successione. Tale interpretazione contrasta tuttavia coi reperto di minute e numerose escoriazioni in zona temporo-auricolare sx., evidentemente prodotte da frammenti di vetro, proiettatasi quindi all’interno dell’auto, verosimilmente in un momento in cui il Mainardi si trovava al posto di guida, ovvero sul sedile posteriore con la testa protesa in avanti, forse nell’atto di protendere il braccio verso la parte anteriore dell’auto. Vi è un particolare che non è stato tenuto in considerazione nella ricostruzione dinamica dei fatti: l’orologio della Miglìorini è stato trovato sul sedile posteriore dell’auto, col cinturino libero ad una estremità, in quanto mancante della barretta che la tiene fissa al corpo dell’orologio; tale barretta è stata rinvenuta, arcuata e deformata, tra i capelli del Mainardi, da uno dei medici dell’ospedale in cui fu ricoverato. Appare quindi verosimile che il polso sinistro della Migliorini si trovasse, nel momento in cui fu infranto il vetro dello sportello sx., a contatto con i capelli del Mainardi, e come appoggiata sul suo capo, in modo da essere investito da parte delle schegge di vetro, una delle quali verosimilmente ha deformato e liberato la barretta che poi è stata trovata tra i capelli dell’uomo. Tale circostanza diviene possibile ove si ipotizzi non già la vicinanza della coppia per effusioni (non si capisce infatti in quale posizione reciproca potessero trovarsi le due vittime secondo tale ipotesi), ma una situazione diversa, forse di all’erta, in cui l’uomo si trovava seduto al posto di guida e la donna, forse per l’istintiva ricerca di un contatto rassicurante, si protendeva dal sedile posteriore cingendo con la mano sinistra il capo del compagno. Indubbiamente in questa azione omicidiaria l’autore non è riuscito a sfruttare l’elemento sorpresa, o in quanto ad un certo punto (dopo aver sparato il primo o i primi colpi), gli si è inceppata l’arma, o in quanto ha dovuto anticipare l’inizio dell’azione per un fatto imprevisto. Una delle vittime potrebbe ad es. averla intravisto, o aver avvertito una presenza, ed essersi allarmato: questo potrebbe spiegare di per sè la diversa dislocazione delle vittime all’interno della vettura, possibile fin dal momento in cui è iniziata l’azione. Se la coppia non aveva ancora compiuto l’atto sessuale, ed era arrivata da poco sulla piazzola, poteva essere arrivata al punto della decisione di guadagnare il sedile posteriore, per maggior comodità, e la donna poteva essere uscita dall’auto per effettuare tale manovra, mentre l’uomo si attardava per prendere uno dei profilattici contenuti, nel vano del portaoggetti si tuato davanti al sedile dx. In tale frangente la donna può aver avvertito una persona estranea, un rumore, un’ombra, e aver messo perciò in allarme il compagno, il quale può aver acceso i fari e illuminato l’omicida. Ovvero, una volta terminato l’atto sessuale, mentre si rivestivano, i due possono aver avvertito un rumore, intravisto un’ombra, e il Mainardi può essersi portato al posto di guida per accendere i fari o per avviare l’auto, ed a questo punto potrebbe essere iniziata l’azione. E’ evidente che in questo caso la dinamica materiale non può essere ricostruita con esattezza; sembra comunque di poter evincere globalmente alcune importanti deduzioni: 1) L’agilità, l’abilità e la freddezza con cui è stata portata termine l’azione fa ritenere che l’omicida, anzichè essere sconcertato e scoraggiato dall’imprevisto (di qualunque natura esso sia stato) ne sia stato per così dire stimolato, tanto da farlo reagire con un maggior sforzo di prontezza e precisione; 2) Il fatto che non abbia infierito sulle vittime con l’arma da taglio neppure per assicurarsi del loro decesso, da un lato ribadisce la scarsa importanza che riveste l’uso di tale strumento nell’economia psicologica dell’azione delittuosa, dall’altro può denotare un tratto psicologico di notevole importanza: il crescere del senso di sicurezza, con parallelo decremento delle precauzioni, per quello che deve essere stato vissuto come un particolare successo. Tale interpretazione è avvalorata, se non dal possibile ‘spreco’ degli ultimi due colpi sparati in direzione dei fanali, in quanto ciò potrebbe essere avvenuto in momenti precedenti dell’azione, dal fatto che il tempo impiegato dall’omicida per togliere le chiavi dell’auto del cruscotto e gettarle lontano dall’auto, avrebbe potuto essere utilizzato per “finire” le vittime a coltellate. Questo tratto allude a sentimenti di grandezza incrementati dai “successi” omicidiari ed è senza dubbio indicativo di tratti di personalità di tipo paranoicale, anche se non consente deduzioni circa la loro effettiva modalità di manifestazione nella struttura psichica globale, sia in senso qualitativo (al di qua o al di là dei limite patologico in senso nosografico), sia in senso quantitativo (di quanto incidano nell’economia globale della personalità); 3) Il gesto di togliere le chiavi dell’auto dal cruscotto e di gettarle nel campo è evidentemente privo di significato e di finalità materiali, ed ha un valore puramente psicologico, quasi fosse un gesto spezzante di vittoria e di trionfo. Tutta l’azione, in questo caso, benchè probabilmente non abbia seguito le primitive intenzioni dell’omicida a causa di una serie di imprevisti, acquista così un valore ed un significato a sè (che condurrà alla sua ripetizione, come si dirà nel commento al caso successivo), quasi fosse stata vissuta come un sadico “gioco” persecutorio, un macabro rituale di caccia tra “gatto e topo”, di per se stesso soddisfacente e culminante in un gesto di vittoria e di autoaffermazione.
Questo delitto induce a spostare l’attenzione dal rapporto psicologico tra omicida e vittima di sesso femminile a quello tra omicida e vittima di sesso maschile. Si è detto, e si ribadisce, che l’orientamento dell’omicida è di tipo eterosessuale, vale a dire che l’interesse sessuale è decisamente rivolto alla vittima di sesso femminile (anche se, nelle peculiari circostanze degli omicidi, è per così dire suscitato, eccitato, forse addirittura condizionato dalla particolare situazione: coppia in atteggiamento amoroso), mentre l’attenzione rivolta alla vittima di sesso maschile è generalmente funzionale alla sua eliminazione. In questo ultimo delitto l’omicida si è trovato, inaspettatamente, in una situazione per così dire ‘agonistica’, che egli ha accettato senza esitazione e, anzi, che sembra averlo eccitato maggiormente all’azione, polarizzando la sua attenzione, e facendo sì che il suo “animus agendi” si esaurisse ben prima che fosse compiuta tutta l’azione verosimilmente programmata e si appagasse di un gesto di trionfo per la vittoria riportata, anche se “parziale” rispetto alle primitive intenzioni. Il confronto tra questo caso e il secondo (Pettini-Gentilcore), in cui la sopravvivenza della donna e la sua verosimile resistenza hanno scatenato una sorta di “furor destruendi” consente di chiarire con sufficiente attendibilitá un altro tratto di personalità, consistente nella presenza di antagonismo verso le figure maschili e ambivalenza verso quelle femminili, il che allude ad un “Edipo” distorto, come si dirà per esteso più oltre.
Il luogo ove il delitto è avvenuto si differenzia dagli altri per essere in prossimità di una strada provinciale piuttosto trafficata, ma va rilevato che la piazzola è circondata da vegetazione folta, al di là della quale potevano, in ipotesi, essere messi in atto i rituali ormai consueti. Le analogie tecniche, anche a prescindere dall’arma da fuoco usata, non lasciano spazio a molti dubbi in ordine all’attribuzione di questo duplice delitto alla stessa persona che ha commesso i precedenti. L’imprevista reazione del Mainardi e le conseguenti manovre, cui l’omicida fu costretto per portare a termine il suo tristo disegno, sembrano tali da avvalorare ancora una volta l’ipotesi dell’assenza di complici. Ove egli non avesse agito da solo, sarebbe stato logico aspettarsi l’intervento del (dei) complice (il) al verificarsi della situazione nuova ed imprevista della messa in movimento dell’auto sulla strada provinciale, con indubbi maggiori rischi.
Non è possibile dedurre con certezza se questa volta l’omicida abbia agito prima o dopo l’espletamento del ? da parte della vittima l’atto sessuale; la presenza del profilattico usato farebbe propendere intuitivamente per la seconda ipotesi, anche se l’analisi del contenuto non ha consentito di dimostrarla, anzi ha fatto propendere i precedenti Periti per l’ipotesi contraria, essendo il materiale spermatico piuttosto decomposto, e suggerendo l’ipotesi di una prolungata permanenza del profilattico all’interno dell’auto.
Soltanto in un altro caso (De Nuccio-Foggi) è stata trovata all’interno una bustina di profilattico; le altre coppie presumibilmente non ne facevano uso, o non erano intenzionate a farne uso la sera del delitto; in nessun caso, tuttavia, è stato repertato liquido spermatico in vagina, nè vi sono prove che l’atto sessuale fosse stato compiuto; anzi in molti casi alcuni particolari circostanziali (ad es. lo stato dell’abbigliamento) suggeriscono decisamente l’ipotesi che la coppia si trovasse nella fase dei preliminari amorosi, come può essere accaduto anche in quest’ultimo caso, quando ha avuto inizio l’azione omicidiaria.
Si può affermare sostanzialmente che ciò è vero nella maggior parte dei casi. E’ però difficile e forse impossibile, stabilire se questo sia il frutto di una precisa scelta, o un evento del tutto casuale. E’ indubbio che è frutto di una precisa scelta il fatto che i delitti siano commessi su di una coppia e non su una persona singola, e che ciò deve avere un ben preciso significato psicologico che si cercherà di analizzare più oltre; ove si riconoscessero altre condizioni situazionali e/o vittimologiche frequenti, il significato psicologico dell’azione si specificherebbe meglio nei suoi connotati.
E’ stata avanzata l’ipotesi che il momento d’inizio dell’azione venga scelto in funzione del fatto che nel corso dei preliminari amorosi si abbia uno stato di minor vigilanza da parte della coppia, in quanto concentrata sull’hic et nunc ristretto dell’atto amoroso, del desiderio e dell’eccitazione sessuale. Se questo fosse il ragionamento dell’omicida, allora la scelta cadrebbe più verosimilmente sul momento dell’orgasmo, o su una fase avanzata dell’atto amoroso, quando ovviamente l’attenzione per il mondo esterno è minimale. Ma si può ipotizzare che questo modo di pensare presupponga una conoscenza ed una esperienza diretta del comportamento amoroso, del coito, delle sue varie fasi e delle relative sensazioni, che forse l’omicida non ha, o per una globale distorsione della sessualità, o per modalità peculiari in cui questa può presentarsi nel soggetto in questione, anche per quanto attiene alle fasi di eccitazione, orgasmo ed eiaculazione.
Ma questi aspetti verranno trattati più oltre. La scelta quindi, ammettendo che scelta vi sia, può essere dettata o da fattori meramente circostanziali e di opportunità (una volta individuata e raggiunta l’auto, dopo essersi accertato dell’assenza di altre coppie o persone nelle immediate vicinanze, si impone l’esigenza di risparmiare tempo e di passare subito all’azione); oppure può dipendere da un fattore psicologico, che può essere individuato in questo caso nel desiderio di impedire o interrompere l’atto sessuale, desiderio o impulso che possono trovar posto nella psiche dell’omicida in modo conscio o inconscio: nel primo caso si potrebbe pensare a componenti “moralistiche” nella motivazione delittuose radicate nella personalità cosciente, come derivanti da un esasperato senso della morale sessuale, da una religiosità vissuta con abnorme intensità, o come meccanismi difensivi di razionalizzazione dell’atto; nel secondo caso si deve far riferimento a fatti psico-traumatici dell’infanzia, un singolo episodio particolarmente traumatizzante o una costellazione di rapporti triadici con i genitori che hanno indotto ad una distorsione della fase edipica (o ad entrambe le condizioni).
Una ulteriore considerazione va qui introdotta, a proposito del problema della ‘scelta’ del momento d’inizio dell’azione e delle circostanze dell’azione; innanzitutto il fatto che l’interesse sia rivolto ad una coppia, nell’ambito di una azione che si connota come “lustmord” è del tutto peculiare e statisticamente eccezionale se non unico. L’ aggressione a coppiette, infatti, ha generalmente il significato di uno stupro eterosessuale per lo più collettivo, spesso
accompagnato da finalità appropriativi, oltre che sessuali, non ha i connotati veri e propri del “lustmord”, anche se si può manifestare con modalità brutalmente aggressive a talora sadiche, quali ad es. sevizie in vita sulle vittime, specialmente quelle femminili, e l’eventuale esito letale è accidentale, o perseguito per assicurarsi l’impunità. ln questo caso invece la scelta delle vittime e della situazione è tanto peculiare che deve necessariamente esserle attribuita una importanza psicologica fondamentale.
Ci limitiamo in questo momento a tale proposito, al vaglio di una ipotesi, che si pone ormai in grande evidenza: la situazione, il “set” omicidiario, pone inizialmente l’autore nella posizione del “voyeur”: cioè nella ‘posizione’ di chi, per motivi inerenti in senso lato al desiderio di appagamento di una sessualità distorta, spii – non visto – una coppia in atteggiamento amoroso. Variando di ‘posizioni’ intendiamo ovviamente non solo la collocazione materiale dell’omicida nel campo d’azione, ma soprattutto certi aspetti del suo ‘habitus mentale’ e del suo modo di porsi di fronte alla sessualità: si tratta cioè di una persona in cui l’atteggiamento e la situazione voyeristici suscitano attrazione ed eccitazione, entrano nella fantasia sessuale, sia in quelle che accompagnano generalmente la gratificazione sessuale, sia ovviamente in quelle che precedono l’azione omicidiaria, e contribuiscono alla premeditazione e alla preparazione materiale della stesso, all’aumento della soglia del desiderio o della compulsione all’attuazione .
Vi sono però alcuni aspetti delle modalità, dell’esecuzione dei delitti che contraddicono l’ipotesi che l’omicida sia essenzialmente un voyeur nel senso usualmente inteso nell’ambito della nosografia delle perversioni, vale dire in termini di struttura psicologica legata alle modalità ed abitudini per il conseguimento dell’eccitazione della gratificazione sessuale. Già di per se il compimento di un duplice atto omicidiario, vale a dire l’estrinsecazione di un atto in cui vengono convogliate ed agite elevate cariche sadistico-aggressive, mal si concilia con la struttura psicologica del voyeur, che è connotata essenzialmente da passività, ed assimilabile perciò in un certo senso alla personalità masochistica, e che nella ricerca di gratificazione sessuale si colloca in una posizione passiva in cui le cariche aggressive ( e, se si vuole, sadistiche), sono investite e convertite nell’azione del guardare senza essere visti, nella quale generalmente si appagano e si esauriscono. Inoltre, va considerato che, nei casi in esame, di fatto (casualmente o per scelta dell’autore dei delitti) l’atto sessuale viene generalmente impedito e ciò contrasta con quanto ci si aspetterebbe da un voyeur, vale a dire da una persona che trae la massima eccitazione e la più intensa gratificazione sessuale dall’atto di spiare un rapporto sessuale; in quanto un individuo siffatto indulgerebbe all’attesa del compimento dell’atto sessuale, o del suo pervenire ad una fase avanzata allo scopo di aumentare l’eccitazione sessuale.
Se ne deve quindi concludere che difficilmente, quantomeno all’epoca dei delitti commessi dall’81 in poi l’omicida ha manifestato abitudini di voyeur. Queste, invece, potrebbero essersi manifestate in passato, sia pur in forma peculiare e, per così dire, transitoria, o quali primissime manifestazioni di una sessualità distorta, poi evoluta più chiaramente in senso sadico, o come modalità strumentale, sussidiaria alla produzione e vivificazione di fantasie sadiche non ancora attivamente agite. Si è già accennato all’ipotesi, ovviamente non dimostrabile (cfr. caso Locci-Lo Bianco) che il primo omicidio abbia in qualche modo innescato i meccanismi psicologici che hanno in seguito condotto alla elaborazione fantastica, alla preparata azione ed alla estrinsecazione delle successive azioni delittuose con le modalità descritte. Se tale ipotesi ha fondamento, i comportamenti voyeristici possono essersi manifestati nel periodo che va dal primo al secondo delitto, o negli anni immediatamente successivi al secondo delitto. In ogni caso è più che verosimile che l’omicida sia un amatore dell’erotismo letterario c/o pornografico, e che faccia largo consumo
del relativo materiale visivo che secondo quanto gli consentano il livello culturale, le abitudini di vita, e le circostanze familiari, potrà consistere in riviste, film pornografici, arte o letteratura erotica, con netta predilezione per tutto ciò che rappresenta una situazione triangolare con palesi componenti sadiche.
Caso n 6.- MEYER HORST WILHELM / RUSCH JEUS-UWE
Data: fatto avvenuto nella notte tra il 9 ed il 10 settembre 1983 (venerdì-novilunio).
Vittime: Meyer Horst Wilhelm, nato a Diephoiz (R.F.T.) il 20.9.1959. Rusch Jeus Uwe, nato a Cuxhaven(R.F.T.) il 9.1.1959.
Località: Galluzzo, in via Giogoli – Spiazzo erboso sulla sinistra della strada, vicino al muro di cinta del parco di una villa.
Vettura: Furgone-Camper Volkswagen, che presentava lo sportello laterale destro aperto e vari fori da arma da fuoco. In particolare, 3 fori sulla fiancata sinistra (1 per ogni vetro fisso ed 1 sulla lamiera sia del 1 montante posteriore) e 2 sulla fiancata destra (1 per ogni vetro fisso posteriore).
Nei pressi del furgone, sul terreno, sono state rinvenute alcune riviste pornografiche stracciate.
All’interno della vettura, al momento del sopralluogo, l’autoradio era in posizione di accensione. Sul piantito del veicolo, accanto al “letto a due piazze” su cui sono stati rinvenuti i cadaveri di due giovani, venivano rinvenute “scatole di succhi di frutta aperte”.
REPERTI NECROSCOPICI SU RUSCH JEUS UWE
Il cadavere del giovane fu rinvenuto supino nella parte posteriore sinistra del camper, con la testa sulla lamiera dell’angolo e le gambe verso il centro, con i soli slip.
Ferite da arma da fuoco: un colpo d’arma da fuoco in regione zigomatico-mascellare sx., con tramite obliquo dal basso verso l’alto e dall’avanti all’indietro, interessante la base cranica e l’encefalo, con proiettile ritenuto in regione occipitale; – un colpo all’emilabbro SX., con proiettile ritenuto a livello dell’arcata dentaria superiore; – un colpo alla piega tra l’ e 2′ dito della mano SX. posteriormente, con tramite interessante la regione metacarpale e proiettile fuoriuscito all’eminenza ipotenaria; un colpo di striscio alla coscia sx., al terzo superiore, sulla faccia laterale. Alcune escoriazioni al ginocchio sx., ed alla gamba sx., sulla faccia anteriore.
REPERTI NECROSCOPICI SU MEYER HORST WILHELM.
Il cadavere del giovane fu trovato prono nella parte anteriore sinistra, in parte coperto da un sacco pelo, con la testa verso la cabina e le gambe verso il centro del camper.
Ferite da arma da fuoco: – Un colpo in regione occipitale, non oltrepassante il tavolato osseo; un colpo all’ipocondrio dx., con tramite obliquo dal basso in alto in senso latero-mediale e da dx. a sx., interessante il fegato, il diaframma, il pericardio, il cuore ed il polmone sx. con proiettile ritenuto nello spessore del muscolo pettorale sx; un colpo in regione glutea sx., al quadrante superomediale, con tramite obliquo dal basso in alto e dall’avanti all’indietro, interessante il peritoneo posteriore, lo stomaco alla piccola curvatura, e proiettile ritenuto nello spessore della parete anteriore dell’addome.
Il caso presenta indubbie analogie con gli episodi precedenti (a parte l’uso della stessa arma, stesso modus operandi) ma si differenzia da essi per moltissimi altri aspetti, di cui non è agevole fornire una interpretazione. L’omicida ha operato, come in quasi tutti gli altri casi, in una notte di novilunio, in circostanze simili (vettura in luogo appartato abitualmente frequentato a quanto è emerso su base balistica ha da coppie) ed usato la “solita” pistola per uccidere le due vittime, sulle quali poi non ha infierito in alcun modo, circostanza quest’ultima che da un lato convalida l’ipotesi del costante disinteresse dell’omicida per le vittime maschili, e dall’altro fa pensare ad un suo “errore” iniziale nella scelta delle vittime per cui, quando si accorse si trattava di due giovani uomini, potrebbe essersi allontanato senza compiere nessuna azione ulteriore. Va sottolineato in proposito che uno dei due giovani portava i capelli lunghi, con foggia femminea, tanto da poter essere scambiato, ad uno sguardo superficiale, per una donna. Nella fattispecie bisogna supporre che l’omicida si sia reso conto, immediatamente dopo aver terminato l’azione omicidiaria, di trovarsi di fronte a due cadaveri di sesso maschile, ed abbia a quel punto receduto da ogni ulteriore azione. Va ulteriormente sottolineato, a questo punto, il fatti che, quando l’omicida non procede ai suoi macabri rituali, poco gli importa di accertarsi della effettiva morte delle sue vittime; il che accentua il significato di “ridondanza”, ossia di precauzione pleonastica ed eccessiva che l’uso dell’arma da taglio riveste negli altri casi, sia per quanto attiene alle vittime di sesso maschile che a quello di sesso femminile. L’uso dell’arma da punta e taglio acquista sempre di più il significato “rituale”, legato alla rigida prefigurazione della “seconda parte” dell’azione, quella cioè mirata all’escissione del pube, che viene eseguita in modo meccanico e predeterminato: qualche colpo alla vittima di sesso maschile, qualcuno alla vittima di sesso femminile, mirati a punti vitali, trasporto del cadavere della donna in un punto ove sia agevole operare con maggiore occultamento, taglio degli indumenti, escissione dei pube. Il rituale ha un duplice significato, e si svolge in due “fasi”: la prima è rassicuratoria, e rappresenta, come si è detto, una ridondanza; è rassicuratoria circa il fatto che le vittime ” non daranno più problemi” e “non disturberanno l’azione successiva”; se fosse rassicuratoria nel senso di una certezza di “non sopravvivenza delle vittime”, affinchè non possano fornire indicazioni sull’identità dell’omicida, questi avrebbe usato in tutti i casi le stesse precauzioni, specialmente dopo il quinto caso, quando cioè v’è stato una reale, seppur limitata, sopravvivenza della vittima di sesso maschile; la seconda fase è quella dell’escissione, ed il rituale vi assume una più chiara impronta sadofeticistica. Nel caso in questione, dunque, non sembra che l’omicida abbia eseguito molte manovre, all’interno del veicolo, nè per accertarsi della morte effettiva delle due vittime, nè per “verificarne il sesso”, come se già sapesse di trovarsi di fronte a due persone di sesso maschile. E’ anche verosimile, nel caso in questione, che l’omicida conoscesse l’identità sessuale delle vittime prima di iniziare l’azione; l’autoradio è stata rinvenuta in posizione di accensione, sono state trovate scatole aperte di succhi di frutta accanto al “materasso” su cui si trovavano i cadaveri, e la posizione in cui è stato trovato uno dei due giovani (Meyer Horst Wilhelm) poteva essere di riposo, come di chi dorme sta per addormentarsi, o di lettura, come di chi sdraiato e prono sta leggendo un libro od un giornale.in sostanza, le due vittime con tutta probabilità non stavano ancora dormendo, ma verosimilmente stavano ascoltando la radio, e forse leggendo. Specialmente se è vera questa seconda ipotesi, l’interno della vettura era illuminato, e ciò avrebbe facilitato l’omicida dapprima nel rendersi conto dell’identità sessuale delle vittime (cosa però non necessariamente avvenuta). Poi nell’efficacia dell’azione delittuosa, portata avanti con rapida successione, con una efficienza che forse l’omicida non avrebbe avuto se avesse dovuto servirsi di una fonte di illuminazione esterna. Da un siffatto tentativo di ricostruzione della dinamica materiale emergono alcune considerazioni:
1) In primo luogo, nel corso di questa azione, ha avuto forse poca importanza il fatto che le vittime fossero entrambe di sesso maschile, ciò non avrebbe tolto nulla alla eccitazione del momento, ? dal rinvenimento della vettura, alla quale l’omicida si è avvicinato probabilmente seguendo il richiamo della luce e della musiva, mentre l’eccitazione in lui cresceva e lo spingeva ad agire. La dinamica dell’azione poi si è svolta con modalità che richiamano direttamente quelle del reato precedente, ossia dell’azione omicidiaria gratificante di per sè, nell’ambito di un “gioco al bersaglio” reso più difficile dalla possibilità di movimento delle vittime designato, collocate in uno spazio meno ristretto di quello che offre una piccola auto, e quindi con maggiore possibilità di movimento e di occultamento, e con maggiori possibilità di dispersione dei colpi di arma da fuoco, e quindi maggiori possibilità di insuccesso. Anche in questo caso, come nel precedente, la difficoltà sembra non abbiano inciso negativamente sull’omicida, ma anzi lo abbiano stimolato ad una maggior efficienza e prontezza nell’azione; nessun vetro si è frantumato ma l’omicida ha continuato a sparare i suoi colpi in rapida successione, passando da un finestrino all’altro, e da una parte all’altra della vettura, con molta mobilità ed agilità, con buon autocontrollo e padronanza della situazione sparando atraverso la lamiera del veicolo in un punto adiacente a quello in cui una delle vittime si era rifugiato (colpo che però, forse, ha in realtà attinto l’altra vittima, verosimilmente già colpita mortalmente), ed infine introducendosi nella vettura attraverso lo sportello laterale, per sparare colpi: il tutto, forse, senza esaurire completamente il caricatore. Questa dinamica, come si è detto, richiama molto da vicino quella relativa al precedente omicidio (cfr. caso Migliarini-Mainardi), con la differenza che mentre nel caso precedente lo svolgimento dell’azione è stato condizionato con tutta probabilità da una circostanza imprevista, in quest’ultimo caso essa poteva essere del tutto prefigurata e ricercata, in quanto di per sè gratificante ed atta a scaricare l’eccitazione. Va sottolineato, a questo punto, che secondo questa interpretazione i macabri rituali attuati in altri casi dall’omicida si collocherebbero in una posizione accessoria rispetto all’azione omicidiaria di per sè che costituirebbe la principale motivazione psicologica ( e sessuale) dell’omicida. Ciò connoterebbe gli omicidi in senso decisamente sadicorituale, e richiamerebbe l’attenzione sulle componenti sadiche della personalità e della sessualità dell’omicida, nonchè sull’importanza del possesso e dell’uso dell’arma da fuoco, come strumento sadicorituale, investito di una preminente importanza per la gratificazione sessuale.
2) Nello spazio circostante alla vettura sono stati trovati giornali pornografici stracciati, di stampo probabilmente omosessuale, come attesta l’inequivoco titolo “Golden Gay”. Nulla vieta di supporre che si trovassero in quel luogo perchè ivi lasciati da persone dei tutto estranee al delitto. Dal materiale fotografico preso in esame sembra comunque che la carta non fosse deteriorata da pioggia o rugiada, nè accartocciata dalla prolungata esposizione al sole, come avrebbe potuto accadere se i frammenti di carta fossero rimasti a lungo sul prato. E’ lecito quindi supporre che si trovassero in quel luogo da non molto tempo, e occorre vagliare l’ipotesi che siano stati asportati dall’omicida all’interno della vettura delle vittime. In questo caso essi potrebbero aver costituito in un primo momento, per così dire, il trofeo, l’elemento psicologicamente legato al trionfo nell’azione, nonchè lo strumento “feticistico” atto a rievocare all’omicida, nelle successive fantasie auto-gratificatorie, l’eccitazione sessuale legata al momento ed al fatto omicidiario. L’omicida potrebbe poi averli abbandonati e stracciati, una volta accortosi del loro carattere omosessuale; ciò ribadirebbe in ogni caso, da un lato l’orientamento decisamente etero-sessuale dell’omicida, dall’altro il carattere di “accessorietà” dell’elemento feticistico. In secondo luogo, e parzialmente in alternativa alla ipotesi avanzata, l’atto di stracciare il giornaletto pornografico potrebbe connotare in senso “moralistico” tutta l’azione omicidiaria, e ciò indurrebbe a riesaminare anche gli altri delitti secondo questa chiave di lettura (cfr. quanto detto in proposito nei commento al 5′ caso, Migliorini-Mainardi). L’omicida sarebbe in qualche modo influenzato dall’idea di colpire forme di sessualità ritenute non lecite, secondo i principi di un rigido ed esasperato moralismo: ove tale “idea” sia cosciente, è ovvio attendersi dall’omicida altri comportamenti ed un habitus di vita ispirati a moralismo ed eventualmente a religiosità formale, con accentuate manifestazioni ritualistiche; ove invece i contenuti moralistici siano soltanto una copertura difensiva una modalità di razionalizzazione e di autogiustificazione a posteriori degli atti commessi, possono esaurirsi in tali aspetti psicologici marginali, e non dar luogo a manifestazioni esteriori. Che la seconda ipotesi sia comunque più verosimile della prima è suggerito dal fatto che manca in tutti i casi una precisa “ostentazione” dell’atteggiamento moralistico, e sono del tutto assenti aspetti che, anche a livello simbolico, possono alludere ad un’ equivalenza tra delitto e punizione. E’ inoltre improbabile, come si è già detto, in funzione di altri elementi considerati, che l’omicida’ sia mosso da contenuti “moralistici” o ‘mistici’ di un delirio in senso proprio; perchè ciò presupporrebbe che fosse affetto da una patologia già grave e conclamata fin dall’epoca del secondo delitto, il che mal si concilia con le modalità generali di esecuzione dei delitti e, soprattutto, con l’affinamento progressivo in un così prolungato arco di tempo della tecnica delittuosa, nonchè con il lungo arco di tempo che passa tra un omicidio e quello successivo.
3) Dalla perizia medico-legale si rileva che 4 dei 5 fori da proiettile di arma da fuoco rinvenuti nei vetri dei finestrini del pulmino distano da terra rispettivamente cm.137 (2) e cm.140 (2). La distanza da terra del foro sito nel vetro del finestrino anteriore dx. non ha potuto essere misurato in quanto durante il trasporto del pulmino molti dei frammenti di vetro si erano spaccati. Dalla documentazione fotografica relativa ad un momento in cui i frammenti
erano ancora in sito si rileva che il foro in questione è ad altezza superiore rispetto a quello del vetro posteriore dx., distante da terra cm.140, ad una altezza deducibile di almeno 145 centimetri. Va notato che i fori in questione sono ad una altezza abbastanza costante, quantomeno di cm-137 da terra, ivi compreso il foro sulla carrozzeria, per il quale si può presumere non sia stata cercata dall’omicida una posizione “innaturale” di sparo (col braccio abnormemente rialzato), come in linea di ipotesi potrebbe essere avvenuto per gli altri colpi, sparati per il tramite dei finestrini, la cui altezza può condizionare giocoforza le posizione del braccio nel tiro. Il foro nella carrozzeria può rappresentare quindi un indice della posizione “naturale” di sparo dell’omicida, che teneva l’arma ad una certa distanza dalla carrozzeria (mancano segni di affumicatura e di polveri), con direzione lievemente inclinata in basso, tanto che, secondo la ricostruzione dei Periti medico-legali, il proiettile, benchè indirizzato all’Uwe. Rush, è andato a colpire il gluteo sx. del Wilhelm Horst, all’incirca tra la metà e il terzo posteriore dell’asse longitudinale del pulmino. E’ verosimile quindi che un foro sito all’altezza di cm-137-140 su di un bersaglio posto a breve distanza dalla bocca della pistola, sia il punto di incidenza normale di un colpo sparato dall’omicida nella “normale” posizione di tiro, o con il braccio lievemente rialzato rispetto a quella, in misura tale da non inficiare inefficacia del tiro e la precisione della mira ( dei tre colpi che hanno attinto il Wilhelm Horst, assunto verosimilmente dai Periti settori come “bersaglio fermo” al momento d’inizio dell’azione omicidiaria, ben due hanno attinto zone vitali, cranio e torace, e verosimilmente tutti i colpi sparati hanno attinto una delle vittime Si può quindi ipotizzare che l’omicida abbia una statura considerevole, molto probabilmente superiore, e non di poco, a cm.180.
Caso n’ 7 – RONTINI PIA / STEFANACCI CLAUDIO
Data: Fatto avvenuto nella notte fra il 29-30 luglio 1984 (domenica – novilunio)
Vittime: Rontini Pia, nata a Copenaghen il 26.5.1966, nubile, da 20 giorni lavorava in un bar. Stefanacci Claudio, nato a Vicchio Fi19.7.1963, celibe, studente universitario (Giurisprudenza), aiutava inoltre la madre nella conduzione di un negozio di elettrodomestici.
Località: Vicchio, “la Boschetta”, viottolo isolato, in salita, che termina a ridosso di una collina scoscesa e coperta da vegetazione incolta posteriormente e sulla destra; mentre sulla sinistra è delimitato da cespugli e sterpaglie, oltre i quali si trova un campo di erba medica.
Auto: Fiat Panda; ferma in retromarcia sul fondo del viottolo con le portiere chiuse (quella sinistra con la sicura inserita). Il vetro della portiera destra è frantumato ed all’interno dell’auto sono stati trovati numerosi frammenti di vetro. I sedili sono entrambi reclinati in avanti. Sulla portiera destra, a livello del canale di scorrimento del vetro, sul montante alla base di detta portiera e sul terreno sono state notate tracce di sangue.
Bossoli: sono stati trovati cinque bossoli: uno all’esterno dell’auto, vicino allo sportello destro e quattro all’interno dell’auto.
REPERTI NECROSCOPICI SU STEFANACCI CLAUDIO
Il cadavere è stato trovato sul sedile posteriore, nella parte destra prossima al centro del sedile, rannicchiato in decubito laterale sinistro e con anche le ginocchia flesse. Indossa le calze, gli slip e la maglietta; i pantaloni furono rinvenuti nell’auto. E’ però attendibile ritenere chi il corpo dello Stefanacci abbia subito spostamenti rispetto alla posizione iniziale, sia attivamente che passivamente a seguito del trasporto della Rontini fuori dall’auto.
Ferite da arma da fuoco: – Un colpo in regione, auricolare sinistra, penetrato Alle strutture encefatiche in sede temporale, con proiettile ritenuto; – Un colpo all’emitorace sinistro, poco penetrante e ritenuto nella cute sottostante (probabilmente perchè dotato di scarsa energia, avendo prima frantumato il vetro). – Un colpo all’ipocondrio sinistro che, con tragitto obliquo dal basso in alto e dall’avanti all’indietro, ha interessato lo stomaco, il diaframma ed il polmone sx. per fermarsi in regione dorsale, dove il proiettile è stato rinvenuto. L’emitorace sinistro è stata inoltre interessato da un frammento di proiettile. – Un quarto colpo ha raggiunto, perforandoli più volte, i pantaloni, determinando probabilmente la lesione contusiva in regione-glutea.
Ferite da punta e taglio: Lo Stefanacci è stato colpito con uno strumento da punta e taglio ed ha riportato numerose ferite (10), all’emitorace sx., al fianco sx., all’ipocondrio, alla fossa iliaca dx., all’avambraccio dx., alla coscia sx. ed in regione lombare dx., va rilevato che tali ferite presentano scarsi segni di vitalità, per cui si può attendibilmente presumere che esse furono inferte in un momento successivo rispetto all’esplosione dei colpi di arma da fuoco, o subito dopo la morte o in limine vitae. Va infine tenuto presente che la morte dello Stefanacci non si verificò immediatamente, avendo egli presentato una sia pur brevissima sopravvivenza.
REPERTI NECROSCOPICI SU RONTINI PIA
Il cadavere fu rinvenuto sul campo di erba medica a circa sei-sette metri dall’auto, supino, con indosso vari monili e praticamente privo di vestiti. Una maglietta, il reggiseno e gli slip, tutti intrisi di sangue, sono stati rinvenuti in mano alla Rontini o sotto il suo corpo.
Ferite da arma da fuoco.: Un colpo alla regione zigomatico-mascellare destra che, penetrato nella cavità cranica, ha interessato la regione sfenoidale, la massa encefalica, il verme cerebellare per essere ritenuto a livello bulbare. Un secondo colpo avrebbe interessato l’avambraccio sinistro, ma si discute nella relazione peritale sull’autonomia o meno di tale colpo. Anche se ritenuta improbabile è avanzata anche l’ipotesi che si sia trattato di un unico colpo.
Ferite da punta e taglio: Due ferite da punta e taglio in regione latero-cervicale destra, con interessamento dei tessuti molli e del fascio vascolo-nervoso ma senza danno a carico dei vasi di calibro maggiore. Dette ferite presentano fatti emorragici nei due tramiti. Sette piccole ferite piuttosto superficiali all’emitorace sinistro, lateralmente alla zona di escissione mammaria; esse sono vicine tra loro e non infiltrate. Sul cadavere sono state inoltre riscontrate numerose lesioni escoriative variamente localizzate e, in particolare o lesioni da probabile trascinamento al dorso. In regione mammaria sinistra esportazione totale della mammella e cruentazione di una superficie rotondeggiante del diametro di circa 18 cm. Il fondo di tale lesione è grossolanamente piano ed espone il grasso sottomammario per quasi tutta la superficie, ad eccezione della parte inferiore, più profonda, che mette a nudo il piano muscolare. I margini di detta lesione sono abbastanza netti e non infiltrati, ma risultano interrotti da piccole incisure a vari livelli. Si rileva inoltre l’asportazione del pube, della regione perivaginale, di parte della faccia interna delle cosce alla loro radice, e di parte
della regione perianale. E’ una zona quasi ovalare, più regolare sul margine pubico, con margini “netti”, precisi, continui, senza intaccature o irregolarità dalle ore 11 alle ore 5. A livello del rafe perianale risale verso l’alto fino al bordo superiore della vagina e scende poi verso il basso sulla faccia mediale della coscia destra, descrivendo in sostanza una figura al “U” rovesciato. Verso le ore 8 una piccola incisura. Da rilevare l’assenza di infiltrazione dei margini o di altri segni di vitalità delle suddette ferite.
Sembra opportuno premettere che la dinamica materiale è stata, nel caso in esame, condizionata in una certa misura dalle più sfavorevoli condizioni logistiche nelle quali l’omicida ha operato: era possibile raggiungere, e con difficoltà maggiori rispetto agli altri casi, solo il lato destro dell’auto, lo spazio di movimento disponibile intorno al mezzo era scarso e relativamente accidentato, la visibilità era molto scarsa perchè, come del resto in quasi tutti gli altri casi, era
una notte di novilunio. L’omicida ha usato sia un’arma da fuoco che un’arma da punta e taglio, indirizzando i proiettili al capo della vittima e vibrando successivamente colpi da punta e taglio ad entrambe, probabilmente nell’intento di essere sicuro dell’esito letale dell’azione. Le due vittime, in particolare la Rontini, hanno presentato però un sia pur breve periodo di sopravvivenza. Contro lo Stefanacci sono stati esplosi quattro proiettili, uno dei quali a vuoto perchè ha danneggiato solo i pantaloni appoggiati nell’auto; contro la Rontini sono stati esplosi probabilmente due colpi, uno solo dei quali ha attinto la donna al capo, mentre l’altro, oltre tutto non certo, l’ha ferita solo ad un avambraccio. In totale l’omicida ha quindi esploso 5 o 6 colpi, cui solo uno indirizzato al capo della Rontini, e sembra che abbia preferito colpire poi i due con l’arma bianca invece di continuare a sparare gli altri colpi che potenzialmente il caricatore avrebbe dovuto ancora contenere. I1 problema acquista maggior rilevanza se visto alla luce dell’anzidetto, sia pur breve, tempo di sopravvivenza che, nel caso dello Stefanacci (colpito poi con dieci colpi arma bianca), era evidenziata chiaramente dal vomito seguito ai primi colpi. Una prima ipotesi potrebbe riguardare l’indisponibilità di altri colpi nel caricatore o una intenzione di risparmiare munizioni (l’omicida ne ha sparato sinora più di cinquanta), ma una seconda, e forse più verosimili ipotesi, potrebbe confermare l’intenzione dell’omicida di non voler rischiare più di tanto che i colpi venissero uditi da qualcuno nelle vicinanze, posto che egli “sapeva” che avrebbe impiegato più tempo nell’esecuzione del “suo” rituale, sia perchè più complesso in quanto comportava anche l’asportazione della mammella, che per le maggiori difficoltà logistiche nel trasporto del cadavere. In tali condizioni era evidentemente maggiore il rischio di essere sorpreso sul fatto da chi avesse udito i colpi e si fosse diretto in quella zona. Il soggetto non si è limitato questa volta ad asportare l’area pubica, con tecnica analoga ai casi precedenti, ma ha esteso le mutilazione del cadavere , con tecnica altrettanto “buona” all’intera mammella sinistra. il che pone, accanto ai difficili problemi interpretativi, anche quello della destinazione dell’organo, tenuto conto delle difficoltà di “conservazione” di esso, a causa dell’abbondante tessuto adiposo. Come si è detto, la dinamica dell’azione delittuosa non presenta differenze sostanziali da quella dei casi precedenti con analogo esito finale (cfr. casi De Nuccio-Foggi e Baldi-Cambi), fatta eccezione per l’asportazione della mammella, che si presenta per la prima volta. In questo caso le numerose ferite da taglio inverte all’uomo sono state forse condizionate dal riconoscimento da parte dell’omicida di segni interpretati come inddizi di vitalità (il vomito, eventuali movimenti agonici), e la molteplicità delle sedi suggerisce l’ipotesi che le ferite siano state inferte mentre l’omicida spostava il cadavere dalla posizione iniziale in cui si era abbattuto; vale a dire, stando alla macchia di sangue con reperti piliferi presumibilmente appartenenti allo Stefanacci rinvenuta nel montante della portiera dx., in prossimità della “sicura”, in una posizione trasversa rispetto all’asse dell’auto, forse in parte riverso sul corpo della donna. Alla donna sono stati riservati pochi colpi, complessivamente uno (o due) da arma da fuoco e due da taglio, tutti mirati a punti vitali, e apparentemente inferti coi preciso scopo di conseguire rapidamente un esito letale. Il corpo della donna è stato poi trascinato in uno spiazzo a sei-sette metri dall’auto, nascosto dall’alta vegetazione, e qui è stata compiuta la doppia escissione. Gli slip sono stati incisi con lo strumento tagliente, gli abiti no, in quanto verosimilmente la ragazza, al momento di inizio dell’azione omicidiaria; non portava più i calzoni (che sono stati rinvenuti nell’auto) e si era tolta o stava togliendosi sia la blusa che il reggiseno, forse ancora non completamente sfilati dal braccio e dalla mano dx., ai quali sono stati trovati impigliati. Depone per questa ipotesi il fatto che alcune ferite della ragazza non trovino corrispondenza sulla camicetta (ad es. la grossa ferita escoriata al braccio sx., verosimilmente causata da un frammento di vetro o di proiettili e Anche in questo caso, quindi, la manipolazione dei corpo della vittima si sarebbe limitata al minimo indispensabile. Non sono state trovate tracce di violenza e di abuso sessuale sulla ragazza, come negli a1tri casi.
Si impongono a questo punto alcune considerazione circa le escissioni, quantomeno sotto due profili: uno riguarda il loro significato e la loro finalità, un secondo circa l’evoluzione del rituale, con esportazione della mammella oltre che del pube. Generalmente l’asportazione di parti del cadavere corrisponde ad una incapacità da parte dell’omicida a compiere l’atto sessuale in sito, che può venire però sostituito da atti masturbatori, compiuti per lo più sulla vittima, manipolando questa o servendosi dei suoi vestiti. In tutti i casi esaminati, tuttavia, non si è trovata traccia di sperma, il che avvalora l’ipotesi che l’omicida non compia alcun atto masturbatorio o sessuale sostitutivo. Ciò depone per una sessualità completamente (o quasi) narcisistica, che si appaga esclusivamente in fantasia o nella rievocazione e/o riproduzione di situazioni-stimolo, indipendentemente da un rapporto interpersonale diretto, e, ancor più, in modo relativamente indipendente dalle stimolazioni meccaniche sui genitali (quali avvengono appunto nel coito, nella masturbazione, ecc.).
E’ lecito quindi supporre nell’omicida un habitus sessuale connotato da una impotenza assoluta o da una accentuata inibizione al coito. Inoltre l’asportazione di parti del cadavere (quando non è di significato cannibalico) può denunciare un orientamento feticistico, che può prediligere un oggetto specifico (ivi incluse parti del corpo, anche di natura non sessuale), ma senza che vi sia una netta ed esclusiva “fissazione” a tale oggetto, come avviene invece nel feticismo classico come mono-perversione, in cui l’eccitazione e la gratificazione sessuale si rendono possibili esclusivamente attraverso la manipolazione dell’oggetto feticistico (fazzoletti, reggiseni, particolari tipi di stoffa, ecc.). In questo caso, cioè, l’orientamento feticistico polarizzatosi nel corso delle diverse azioni omicidiarie specialmente sul pube (ma manifestatosi anche attraverso la ricerca di qualche altro oggetto, specialmente nei primi casi), è anche più generalmente indice di una modalità gratificatoria che si avvale di oggetti atti a suscitare l’eccitazione sessuale, per un loro potere simbolico od evocative, indipendentemente dalla loro natura.
Per inciso, vengono descritti in letteratura scientifica casi di omicidio con asportazione di parti sessuali del cadavere, il cui autore è stato poi trovato in possesso di numerosi e svariati oggetti, da lui trafugati in diverse circostanze per impulso feticistico ed evidentemente serviti per atti masturbatori (in possesso ad uno stesso individuo sono stati trovati: fotografie, forcine, reggiseni, fazzoletti, ed altro, persino feci!).
In riferimento al nostro caso, ciò significa che l’omicida può avere comportamenti appropriativi di stampo feticistico anche al di fuori delle azioni omicidiarie in esame, e conserva accuratamente gli oggetti di cui entra in possesso. L’oggetto feticistico infatti è gelosamente custodito in quanto il rimirarlo e il manipolarlo consentono l’eccitazione e la gratificazione sessuale, e ciò implica che sia possibile conservarlo. Si potrebbe dedurne, nel caso in questione, che l’omicida ha trovato il modo di conservare, cioè di preservare dal deterioramento organico, il feticcio costituito dal pube escisso in tal senso deporrebbe anche l’accuratezza con cui viene condotta l’escissione, con esportazione della sola parte pilifera e cutanea e scollamento della parte adiposa, di difficile conservazione e di più rapido deterioramento. Le conseguenze tecniche per tale tipo di operazione conservativa potrebbero in qualche modo essere mutuate dalla pratica (professionale o dilettantesca) di conservazione di animali impagliati, o di “concia” di pelli di animale, pratiche entrambe piuttosto diffuse in Toscana, sia per la presenza di un fiorente artigianato (o industria) pellettiera, sia per la diffusione che vi ha la caccia.
Se si pensa alla ricerca del “feticcio” (e del pube, in particolare, come feticcio) nell’ambito della dinamica generale dei delitti, sorge un altro ordine di considerazioni: gli omicidi seguono un rituale ben preciso e prestabilito; dalla ricerca dei luoghi, all’attesa delle condizioni propizie e della situazione “vittimologica” desiderata, alle modalità di avvicinamento ed aggressione, alle azioni successive tutto si ripete con una sistematicità ed una ripetitiva che appare quasi innaturale, nella formalità della sua ritualizzazione. Questa “costante” comportamentale ha in sè qualcosa che va al di là della semplice “premeditazione”, e che può essere rivelatrice non soltanto di aspetti determinanti sulla genesi e dinamica dell’azione delittuosa in sè considerata, ma anche di aspetti della personalità e del comportamento più in generale, anche e soprattutto di quello sessuale. Lo stesso ritualismo, la stessa accuratezza nella preparazione formale dei preliminari, la stessa necessità di creare (o rievocare) un determinato contesto situazionale, le condizioni esteriori favorenti una peculiare (anzi; peculiarissima) “atmosfera” eccitatoria, devono certamente entrare a far parte, in qualche modo, e in qualche misura, delle abitudini sessuali dell’omicida, quantomeno a sostegno e rinforzo della “fantasia”. Per associazione, il pensiero corre a due
situazioni, per alcuni versi opposte, in cui si esprimono tali rituali;
a) la prima è costituita dall’automonosessualismo, vale a dire da quella forma narcisistica di autogratificazione sessuale, di stampo per lo più masochistico, in cui l’individuo elabora nel tempo una complicata serie di azioni sussidiarie alla masturbazione (o ad essa equivalenti), che si debbono ripetere sempre secondo un determinato rituale e/o attraverso l’utilizzazione di determinati oggetti (funzionali in genere a pratiche masochistiche). Molti di questi casi vengono a rilevazione medico-legale in quanto gli autori rimangono mortalmente vittime delle loro stesse pratiche, le quali possono comprendere atti di autosoffocamento, strangolamento, applicazione di corrente elettrica. Nell’automonosessualismo il soggetto viene a rivestire contemporaneamente i due ruo1i della coppia sadomasochistica, come è talora attestato dallo “strumentario” usato, composto dagli oggetti atti a produrre sofferenza e da aspetti dell’abbigliamento tipicamente sadici (maschera da boia, indumenti di pelle, ecc.);
b) la seconda è costituita dal rituale sadico-sessuale in senso proprio, che si avvale in genere del concorso di una o più persone, ed in cui viene riprodotta la situazione-stimolo, che può anche essere molto articolata e complessa; il rituale, in questo caso, contiene elementi imprescindibili chi devono essere riprodotti fedelmente, perchè possa essere raggiunto il piacere sessuale, e che sono sia di natura circostanziale che inerenti al comportamento sadico vero e proprio. In particolare, ad esempio, certe situazioni simulate (padrone-schiavo, insegnante-allievo, ecc.) capi di abbigliamento, o gli strumenti con cui viene inflitto (realmente o simbolicamente) il dolore, acquistano un valore feticistico imprescindibile per l’efficacia del rituale. Il quale tuttavia può essere nel tempo “perfezionato”, e può svolgersi attraverso azioni ” surrettizie”, con un grado di approssimazione simulatoria più o meno marcato, quando non è possibile la riproduzione “fedele” della situazione desiderata.
Le abitudini sessuali dell’autore dei delitti in esame possono situarsi lungo una linea ideale che congiunge le due modalità ora descritte, pur riconoscendo modalità di attuazione più decisamente sadiche e sado-feticistiche che non masochistiche. Queste abitudini potrebbero essersi evolute nel tempo, nel senso della accentuazione degli aspetti narcisistici e puramente autogratificatori, rispetto a quelli comportanti la simulazione di una situazione, col concorso di più persone (parteners fissi od occasionali, inserzioni su riviste pornografiche, ecc.). Questa modalità potrebbe essere stata perseguita negli anni intorno al ’74 (sia prima che dopo, fino al 79-80), e potrebbe essere stata sostituita in seguito da pratiche pressochè esclusivamente narcisistiche, rinforzate sul piano immaginativo dagli elementi eccitatori e feticistici desunti dall’attuazione dei delitti. Su questa ipotesi si tornerà in sede di considerazioni generali.
Si sono introdotti, a questo punto, alcuni elementi utili per il secondo ordine di considerazioni, inerenti cioè all’evoluzione del rituale di escissione, con asportazione della mammella. Va annotato innanzitutto che non si tratta di un “cambiamento” nelle modalità di esecuzione del delitto e nelle sue apparenti finalità, ma semmai di una “aggiunta”, di un “perfezionamento”, che non sottende quindi una modificazione notevole delle dinamiche psicologiche e delle motivazioni sottostanti al comportamento delittuoso (considerato in senso lato), ma semmai un desiderio (o bisogno) aggiuntivo. Si è già detto che nei casi precedenti (cfr: commento al caso Boldi-Cambi), il seno non costituisce oggetto di interesse (nè sessuale nè aggressivo) da parte dell’omicida: l’evoluzione del rituale delittuoso può quindi corrispondere ad una parallela evoluzione delle modalità di autosoddisfacimento narcisistico, come se queste divenissero progressivamente più simili alla simulazione di un qualche tipo di rapporto con una partner reale.
Al fatto in sè dell’asportazione della mammella non sembra comunque di poter attribuire alcun significato specifico relativo al caso in questione, dal momento che rappresenta in generale una delle mutilazioni più diffuse nei “lustmorders”, e semmai più rara è l’asportazione del solo pube senza gli organi genitali, e peculiare del caso in esame sembra l’accuratezza della tecnica di escissione. Che l’escissione della mammella sia finalizzata ad una qualche forma di conservazione e non alla ricerca di un sadico soddisfacimento supplementare ottenuto con l’infierire sulla vittima, è attestato ancora una volta dalla cura, dall’attenzione, dalla precisione con cui l’operazione è stata condotta, non solo nelle fasi finali ed intermedie, ma anche in quelle iniziali, particolarmente meditate, a giudicare dalle numerose intaccature “di prova” riscontrate sul torace della vittima al margine superiore ed esterno della mammella escissa.
Occorre affrontare, a questo punto, un argomento iniziato nel corso del commento al caso precedente e relativo ad alcune ipotesi sulla statura dell’omicida. Sul fascione della portiera destra della Panda dello Stefanacci sono state rilevate due impronte, dovute all’asportazione della polvere della portiera, e sul gocciolatoio della stessa fiancata delle impronte digitali. Sembra possibile ipotizzare che qualcuno, forse l’omicida, abbia appoggiato una mano sul tetto dell’auto e, chinandosi per compiere una qualche operazione attraverso il finestrino, abbia toccato con le ginocchia la portiera, lasciando le predette impronte. Il margine superiore di esse dista dal suolo circa cm.60, mentre il punto medio dista circa cm .56 e quello inferiore cm.53 circa. Assumendo come riferimento il punto medio, probabilmente corrispondente alla regione medio-rotulea, si può attendibilmente presumere che la distanza di esso da terra corrisponda alla lunghezza della gamba, piede e scarpa comprese ciò potrebbe valere a fornire qualche ulteriore indicazione in ordine alla statura del soggetto. Un primo elemento può essere tratto dall’utilizzazione delle tavole antropometriche del Rollet che ad una lunghezza dell’osso tibiale di cm.43 riferiscono, per l’uomo, una statura di cm.183.L’eccedenza di cm.13 del valore di cui si dispone (cm.56) può compensare ampiamente la differenza dovuta ai piede, alla scarpa ed alla parte del ginocchio sovrastante la tibia, posto che la “misura” è riferita alla gamba e non alla sola tibia. Il dato, anche se molto approssimato, sembra deporre, o quanto meno non sembra in contrasto con l’ipotesi di una statura superiore a cm.180.
Per una ulteriore verifica dell’ipotesi predetta abbiamo effettuato una prova empirica su una vettura analoga, tenendo anche conto dell’abbassamento dell’auto per la presenza di due corpi, rilevando che persone di statura diversa, anche di cm.180, lasciano una “impronta” delle ginocchia più bassa di quella rilevata in sede di sopralluogo, nell’assumere una posizione analoga. Tali risultanze, unicamente a quelle reperite nei caso precedente al riguardo, sembrano avvalorare l’ipotesi di una statura elevata, superiore a cm.180, e, forse non di poco. Ciò introduce peraltro alcune riflessioni teoriche di un certo interesse, in ordine ad una possibile correlazione con un eventuale, e non improbabile, quadro disendocrino. E’ noto, infatti, che molte disendocrinie, soprattutto se comportano ipogonadismo o alterazioni ipofisarie con manifestazioni aeromegaliche o acromegaloidi, riguardano soggetti di statura spesso superiore alla media o comportano un accrescimento abnorme degli arti. Non può essere trascurato, per completezza: tale aspetto, non essendo rari i casi in cui la strutturazione di un comportamento sessuale perverso, o comunque abnorme, possa riconoscere anche una componente organica disendocrina, sovente ad insorgenza precoce. Basti pensare, a mò di esempio, che negli ipogenudici le terapie con androgeni comportano indubbi riflessi comportamentali (irrequietezza, nervosismo e, non di rado, aumento dell’aggressività), o al rapporto tra tasso di androgeni e fantasie sessuali, come emerge dalla letteratura specialistica. Vale a dire che la terapia androgenica modifica il comportamento degli ipogonadici e che se il livello di tali ormoni è molto basso si perde la possibilità di avere ‘fantasie’ sessuali.
Qualora l’ipotesi formulata risultasse realistica, potrebbe susseguire l’opportunità di una rilevazione mirata dei soggetti dichiarati inabili al servizio di leva per patologia disendocrina in epoca anteriore al 1968, o al 1974 qualora il delitto commesso in quell’anno fosse ritenuto il primo. Non si può escludere, infatti, che su una originaria disendocrina possa essersi strutturata una forma morbosa, riguardante elettivamente la sessualità, più grave, più complessa e più composita, con manifestazioni comportamentali ” periodiche” favorite anche da eventuali terapie con androgeni, per altro diffuse e prescritte anche da sanitari non specialisti in endocrinologia.
(FINE PRIMA PARTE CON PAG 102)
4) Analisi elettronica di immagini relative ai casi n° 3, 4, 7 –
Ad integrazione dei dati morfologici decritti nei capitoli precedenti, a proposito dei singoli casi, si è proceduto da esame della iconografia relativa alla esportazione dei pube subita da Carmela De Nuccio, da Susanna Cambi e da Pia Rontini. Ciò ai fini dell’analisi computerizzata d’immagini e delle prove di simulazione dell’azione lesiva effettuate nell’intento di parametrizzare le lesioni da taglio riscontrate nei casi sopra indicati
Premesse.
Occorre chiarire, anzitutto, che le lesioni da taglio offrono una varietà di informazioni inerenti: la natura alla struttura dei mezzo lesivo impiegato; la direzione e la continuità dell’azione, con particolare riguardo alla continuità o meno ad ai tentativi; la potenza e la forza applicata allo strumento.
Appare quindi evidente, come l’azione tagliente (o da corpo contundente, o azioni combinate, come sovente accade) offra più notizie sulla dinamica lesiva che non sullo strumento applicato; mentre sempre in tema di lesività meccanica, i colpi d’arma da fuoco informano maggiormente sulle caratteristiche dinamiche dei proiettile dell’arma impiegati.
Nei casi in questione, dopo un accurato esame del materiale iconografico, abbiamo considerato utile un approccio analitico al problema dei confronto delle tipologie lesive mediante l’adozione di tecnologie informatiche, e precisamente di una analizzatore di immagini. Abbiamo infatti considerato come il giudizio sugli elementi di raffronto fra le varie tipologie lesive, in quanto massimamente di tipo deduttivo e fondato sulla esperienza individuale, non potesse offrire elementi di prova documentale, e, soprattutto, parametri oggettivizzabili utili ad una operazione di sintesi, indispensabile quale elemento base per una operazione decisionale circa la o le modalità di produzione delle lesioni corporee.
Dovendo adottare un procedimento analitico, mirante alla parametrazione analitico-matematico degli elementi disponibili, si è fatto ricorso all’analisi di immagini, che si articola in un procedimento di scomposizione c singoli punti di una immagine, punti che vengono memorizzati in un calcolatore in funzione dei reciproci rapporti e dei colore loro proprio, confrontato con una scala di “fede” dei colore definita dall’utente.
Elaborazione elettronica digitale di immagini.
Un adatto programma di calcolo (originale Tesak) permette di ottenere aree, perimetri. funzioni geometriche, aritmetiche e statistiche relative al la popolazione di punti nei quali l’immagine è stata scomposta. Una simile operazione ripetuta su più immagini permette quindi di parametrizzare i dati di informazione contenuti nelle stesse, al di fuori di un confronto e di una valutazione soggettivi da parte dell’operatore.
I parametro di lavoro sono stati i seguenti:
FERT X
Il parametro calcola la proiezione dell’area sull’asse delle ascisse (X):
FERT y
Il parametro calcola la proiezione dell’area sull’asse delle ordinate(Y)
PER AREA
Perimetro e area dell’area di interesse
RNDF
La funzione calcola la forma dell’area di interesse valori compresi tra l(cerchio) e 0 (retta), v dosi in tal modo un indice di eccentricità sulla figura.
LUM
Parametro inerente la scala artificiale e definita dall’utente della scala dei grigi o del colore, in questo caso indicante la quantità e la distribuzione dei singoli tessuti biologici messi allo scoperto dall’azione di taglio.
X BAR e Y BAR
i parametri calcolano la posizione delle incisure in alto a destra dei margine delle lesioni rispetto al baricentro delle stesse.
POS
Posizione del campione: l’orientamento è stato effettuato per l’ascissa passante per il margine inferiore dell’ostio vaginale rispetto alla testa dei femore, e per l’ordinata con la bisettrice dell’ostio vaginale attraverso la linea ombelicale.
I tre casi sottoposti ad elaborazione elettronica sono stati i seguenti:
1) C. De Nuccio rif. A
2) S. Cambi rif. B
3) P. Rontini rif. C
Risultati.-
FERT X: i valori sono identici per A,B e C.
FERT Y: i valori sono identici per B e C, leggermente diversi per A (circa il 6% in più).
PER-AREA: I valori per A,B e C sono abbastanza confrontabili tra loro, lo stesso vale per i valori di AREA.
RNDF: I valori sono pressoché identici, e depongono per una forma della superficie della lesione ellittica e non sfrangiata.
LUM: Pressochè uniforme, specie per B e C.
Commento.-
L’operazione di parametrizzazione ha consentito di individuare numerosi elementi trattabili per via algebrica. Le fotografie allo scopo impiegate hanno comunque presentato alcune difficoltà di manipolazione elettronica, in quanto in alcune è assente la striscia metrica di riferimento, indispensabile per il computo dell’ingrandimento fotografico e delle reali dimensioni degli elementi anatomici trattati; per altre è difficilmente calcolabile l’angolo di vista, che esprime l’inclinazione dei piano-oggetto rispetto al piano pellicola: all’aumento dell’angolo diminuisce l’area-oggetto proiettata sul piano-pellicola.
PROVE DI SIMULAZIONE DELL’AZIONE LESIVA MATERIALE.
Nell’ambito di un campione di 20 soggetti, è stata eseguita una prova di simulazione di azione lesiva da taglio e avente caratteristiche simili a quelle riscontrate sui soggetti di sesso femminile e limitate alla zona pubica.
I soggetti sono stati così distribuiti:
– 10 senza esperienza di settorato
– 10 con esperienza settoria;
fra questi:
9 soggetti di sesso maschile e 11 di sesso femminile, di età compresa tra i 25 e i 40 anni e uniformemente distribuiti nel campione circa la variabile “esperienza settoria medica”; un soggetto maschile ed uno femminile risultavano inoltre ambidestri. Il test veniva fatto eseguire disegnando con matita una linea simulante l’azione di taglio, e diretta alla circoscrizione della zona pubica con esclusione dell’ostio vaginale; il supporto di lavoro era costituito da un foglio bianco recante impresso un disegno schematizzato del bacino e pube femminili, visti da un angolo tale da poter ricostruire i presumibili rapporti prospettici tra attore e vittima.
All’inizio dei test grafico veniva segnato con un cerchio rosso il punto di inizio, con una freccia la direzione, con più frecce i movimenti intermittenti.
Come evidenziato dalla sovrimpressione dei tests grafici effettuati:
-il 68.75% dei soggetti inizia dal quadrante superiore.sn.;
– di questi il 25% inizia nel punto che nei rilievi fotografici coincide con una dei piano cutaneo;
– il 31% dei soggetti ha eseguito il test fuoriuscendo dal limiti perimetrali definiti in base alle lesioni repertate;
-l’80% di quest’ultimi risulta esperto in tecnica settoria medica;
– solo il 10% dei soggetti ha eseguito il test con un solo e continuo movimento (circa la direzione, le linee risultano pressoché
uniformemente distribuite).
Stante il numero delle variabili utili ai fini dell’indagine, e la difficoltà di distinguere. tra queste le dipendenti e le indipendenti, non è stato possibile elaborare un modello di confronto, su base statistica, fra i risultati dei tests di simulazione e le risultanze analitiche dell’analisi di immagine sul materiale fotografico.
Considerazioni
Dai dati raccolti possono essere fatte alcune ipotesi di verosimiglianza circa la dinamica materiale degli eventi lesivi:
– lo strumento impiegato è di tipo tagliente e probabilmente monotagliente;
– l’attore ha probabilmente operato con la mano destra, rivelando attitudine destrimane;
– la precisione dei dati ottenuti circa i valori di area fa ipotizzare un unico individuo attore; la conformità fra i piani muscolari che risultano esposti renderebbe anche affidabile l’attribuzione di una certa abilità manuale dallo stesso;
– i tests di simulazione escludono che la precisione dei taglio sia da ricondursi, in modo esclusivo di altre cause, alla sola competenza settoria, medica e non.
5) Valutazione globale della dinamica materiale dei delitti
Dopo aver illustrato analiticamente la casistica sottoposta al nostro esame, utilizzando i dati medico-legali e criminalistici ai fini della ricostruzione della dinamica materiale nei singoli reati, cercheremo di pervenire ad una visione unitaria dei problema, volta ad enucleare le caratteristiche comuni e differenziali dei delitti ed a dedurre ogni possibile elemento di giudizio utile all’interpretazione dell’intera vicenda.
Come emerge dalle pagine precedenti, l’analisi seriata dei singoli episodi delittuosi ha progressivamente rafforzato l’ipotesi che tutti gli omicidi siano stati commessi dalla stessa persona, il cui modus operandi ha subito, negli anni, una sensibile evoluzione, senza però perdere alcuni caratteri peculiari riscontrabili in tutti i casi, fatta eccezione per l’episodio dei 1968 (Locci/Lo Bianco), la cui problematicità stata ampiamente illustrata nel commento al caso.
In definitiva, l’ipotesi che sia stata una stessa persona a commettere i 14 omicidi (ipotesi che non si può dare per scontata, anche in considerazione dei lungo lasso di tempo intercorso tra il primo ed il settimo duplice omicidio), si basa sostanzialmente sui seguenti dati:
– In tutti i casi , da quanto emerge dalle indagini balistiche, è stata utilizzata la stessa arma da fuoco e sono stati utilizzati proiettili provenienti da identiche partite di fabbricazione e commercializzate in epoca anteriore al 1968.
– A parte la scelta ed il tipo dei mezzi lesivi (non può essere trascurato il significato assunto dall’arma da fuoco e da quella da punta e taglio, essendo l’impiego dei suddetti mezzi lesivi interpretabili secondo una prospettiva evolutiva, unitaria), va segnalata la ripetitiva scelta delle condizioni ambientali e situazionali.
– L’analisi delle dinamiche materiali dei delitti porta ad avallare l’azione di una stessa persona e ad escludere il concorso di complici.
Al riguardo le situazioni impreviste verificatesi nell’episodio dal 1974 (sopravvivenza della Pettini dopo l’esplosione dell’intero
caricatore) ed in quello dei 1982 (inaspettata messa in movimento dell’auto da parte dei Mainardi su una strada in genere trafficata) sono molto significative poiché in tali casi l’eventuale intervento di complici sarebbe valso a ridurre, soprattutto in riferimento all’omicidio Mainardi, gli obiettivi maggiori rischi nel condurre a termine l’azione da parte di una unica persona.
– Per quanto concerne l’escissione di parte della regione genitale a danno di tre vittime di sesso femminile, l’ipotesi che sia stato uno stesso individuo a provocare tali lesioni, già attendibile per le peculiari caratteristiche “tecniche” di produzione delle stesse, trova un riscontro obiettivo nell’analisi elettronica delle relative immagini. che documenta inequivoche analogie tra le tre lesioni, reperto molto improbabile nel caso esse fossero state prodotte da persone diverse. Al riguardo una conferma sperimentale si è ottenuta utilizzando un campione di venti soggetti (opportunamente selezionati, anche in riferimento all’esperienza o meno di pratiche settorie), nei confronti dei quali è stata dimostrata una costante e significativa difformità di esecuzione dei “tagli”.
– Sulla base di tali dati, e prescindendo in questo capitolo da considerazioni di ordine criminologico sembra di poter affermare, con criteri di grande probabilità sino al limite della certezza pratica, che le lesioni genitali riscontrate in tre casi vanno attribuite ad uno stesso autore, certamente motto abile nell’uso dello strumento da punta e taglio ma non necessariamente “esperto” in tecniche settorie o chirurgiche.
– Tenuto conto che nell’ultimo episodio dei 1984 (Rontini) viene riproposta una estensione dell’escissione pubica sostanzialmente simile alla prima dei 1981 (De Nuccio), dopo l’esperienza della più vasta mutilazione dell’ottobre 1981(Cambi), che ha comportato probabilmente maggiori difficoltà, verrebbe anzi da pensare ad una scarsa dimestichezza con problemi di natura anatomica e chirurgica. Un tale comportamento suggerisce inoltre qualche considerazione in ordine al successivo uso dei “feticcio”, poiché risulta evidente il maggior interesse per la cute e per i peli della regione pubica.
– A parte ciò, le predette lesioni si segnalano per una “tecnica” sicura ed omogenea (il taglio appare molto netto, come se fosse stato effettuato con una lama molto tagliente e con fredda decisione da parte di un soggetto pratico nell’uso dello strumento), posto, in essere probabilmente da un destrimane, come sembra di poter evincere dalla costante presenza di una ‘incisura” al terzo superiore dei margine pubico destro. probabile sede di partenza dei taglio.
– Pur tenendo conto dei limiti dell’analisi elettronica di immagine, dovuti all’assenza di alcun parametri di riferimento, si può affermare che le analogie riscontrate quanto alla forma, al perimetro, alla profondità ed all’area delle tre lesioni, possono valere a documentare l’ipotesi iniziate che l’autore dei delitti sia sempre la stessa persona.
Prendendo ora in esame la dinamica materiale delle azioni compiute dall’omicida nelle diverse situazioni, sembra di poter cogliere una progressiva modificazione del modus operandi e, parallelamente, un “miglioramento” della tecnica man mano che l’omicida si è reso conto delle effettive possibilità e dei limiti dell’arma da fuoco di cui dispone.
In particolare, si ha l’impressione che sino all’episodio del 1974 l’omicida non avesse ancora una cognizione sicura del potere d’arresto della sua pistola, tanto che sceglie come bersaglio preferenziale il torace della vittima, scontando, in particolare nel caso della Pettini, inconvenienti tutt’altro che modesti. Dal 1981 in poi, invece, mira preferibilmente al capo, spara a volte colpi a distanza ravvicinatissima e/o fa uso dell’arma bianca per essere certo dell’esito letale. Il bisogno di essere certo dell’uccisione delle vittime risulta particolarmente evidente in due episodi che seguono quello dei 1974, ma compare anche negli altri casi, seppure in forma meno eclatante.
Tutto ciò, limitatamente all’uso dell’arma da fuoco, potrebbe far pensare ad un soggetto non espertissimo, al più dedito al tiro
occasionale, con discreta doti naturali di tiro più che con esperienza consumata, che però ha poi ”appreso”, divenendo capace di valutare bene le potenzialità della propria arma, tanto da sparare ai due giovani tedeschi nel 1983 attraverso la lamiera della carrozzeria dei furgone, conseguendo effettivamente l’intento.
Non sembra tuttavia che “il miglioramento” raggiunga livelli particolarmente elevati, ovvero di tipo “professionale, poiché l’omicida, nelle fasi iniziali delle sue azioni, esprime costantemente un comportamento piuttosto disordinato: e mobile, non sfrutta vantaggiosamente l’elemento sorpresa, tende a “sprecare” proiettili con tiro rapido ed istintivo.
Nell’intento di approfondire il problema, abbiamo cercato di valutare la deviazione standard sulle medie dei colpi esplosi nei primi sei episodi (i dati balistici dei settimo caso non sono ancora disponibili), confrontando statisticamente colpi esplosi / colpi a segno e colpi segno/ colpi al capo (cfr. schema allegato). La valutazione globale delle deviazioni standards calcolate ha
evidenziato una costanza dì risultati nel “lavoro” dello sparatore. Sembra pertanto opportuno ipotizzare anche l’eventualità di uno stato dì “eccitamento” dell’omicida nella fase iniziale dell’ azione, peraltro unico momento in .cui il soggetto utilizza l’arma da fuoco.
Diversa sembra invece la condotta dell’omicida quando usa l’arma bianca, di cui è indubbiamente più esperto. identificandosi un primo tempo puramente strumentale, perchè finalizzato a “finire” le vittime o ad assicurarsi dell’esito letale, a volte ” ad abuntantiam”; ed un secondo tempo in cui adopera lo strumento da punta e taglio con fredda determinata precisione per I suoi macabri rituali sulle vittime di sesso femminili, rituali che risultano limitati ad alcuni casi forse perché impreviste circostanze estranee hanno interferito limitando l’azione progettata. In tali situazioni l’omicida fa un uso metodico, meditato e tecnicamente preciso dei mezzo da punta e taglio, come dimostra la più volte richiamata nettezza dei margini, la sostanziale uniformità di certe lesioni e. a volte, l’esecuzione dei tagli di prova, quasi che avesse timore di “rovinare’ il feticcio da asportare. Ciò lascia supporre uno stato di “calma e di freddezza” (evidentemente contrastante con la supposta “eccitazione” iniziale) nonostante il tempo richiesto per lo spostamento dei corpo della vittima fuori dall’auto e per l’esecuzione del rituale possa aumentare il rischio dell’arrivo di abitanti dei cascinali vicini, di voyeurs, di altre coppie in auto nella stessa zona, ecc. o di persone attirate dal rumore degli spari (se, a quanto pare, (arma usata non è munita di silenziatore).
L’omicidio della Pettini (1974) segna l’esordio un simile uso dell’arma bianca da parte dell’omicida, che prima ha finito la donna con una serie di coltellate inferte con rabbiosa energia e poi l’ha seviziata con innumerevoli colpi meno violenti, meno profondi e sempre meno disordinati; fino a circoscrivere abbastanza nettamente l’area pubica. che sarà oggetto di precisa escissione nel successivo omicidio della De Nuccio (1981), nonché in altri due casi. Da rilevare che anche prima di asportare la mammella sinistra della Rontini l’omicida ha probabilmente effettuato alcuni “tagli di prova” nella regione circostante, sede di piccole lesioni da taglio superficiali che non sarebbero altrimenti facilmente interpretabili. Anche relativamente all’uso dell’arma bianca emergono dunque elementi comuni ai vari casi, tali da suggerire la presenza di analogie caratteristiche di strumento e d’uso, difficilmente riscontrabili nell’ipotesi di una esecuzione da parte di persone diverse. Gli elementi differenziali rinvenibili nei sette episodi delittuosi sembrano prevalentemente connessi a situazioni circostanziali più che alla dinamica materiale degli omicidi. Il caso Locci/lo Bianco, come si è già detto, fa storia a sé in quanto non chiaramente connotato, al contrario degli altri, come delitto sessuale. Nell’ipotesi che esso sia il primo della triste serie, si può supporre che abbia assunto un ruolo di suggerimento e di stimolo di un disegno non ancora precisamente definito nemmeno all’epoca dei secondo delitto. Non può in ogni caso essere trascurata l’importanza della presenza dei bambino addormentato in auto nell’inibire ulteriori atti lesivi all’omicida, probabilmente non ancora del tutto determinato ad agire secondo una precisa modalità. Nè, in assoluto, si può evidentemente escludere che tale delitto sia stato commesso da una persona diversa. Nei casi Migliorini/Mainardi e Meyer/Rusch le “difformità” dei modus operandi dell’omicida sono state condizionate da elementi circostanziali estranei alla sua volontà: per l’improvviso movimento delicato nella prima evenienza e per la mancanza di vittime femminili nel secondo. L’esecuzione di tali delitti non contrasta pero con quella “abituale”, non solo per l’uso della medesima arma da fuoco. ma anche per la “scelta” dei luoghi, delle vittime e delle “modalità” di utilizzazione del mezzo lesivo.
Circa le caratteristiche corporee dell’omicida, tenuto conto delle “operazioni” da lui svolte nei vari casi e. spesso. su terreni scoscesi e/o accidentati, possiamo affermare che si tratta di persona dotata di una discreta forza fisica (il che fa pensare più ad un uomo che ad una donna) e di una certa agilità. Basti pensare che ha più volte trascinato e trasportato fuori dall’auto le vittime femminile e, in un caso, anche quella maschile, senza evidenti difficoltà. Inoltre, posto che i fori di ingresso dei proiettili sparati contro il furgone dei due giovani tedeschi si sono situati ad un altezza da terra compresa tra cm. 137 e cm 140 e che, per quanto concerne il colpo sparato attraverso la lamiera della carrozzeria (cm.137 dal suolo), si può ragionevolmente supporre una posizione “naturale” di tiro, è possibile ipotizzare che l’omicida abbia una altezza sicuramente al di sopra della media, probabilmente di oltre cm. 180. Tale ipotesi sembra trovare conferma nei dati emersi dall’analisi di alcuni particolari dei caso successivo, Rontini/Stefanacci perchè l’impronta di un ginocchio lasciata probabilmente dall’omicida sulla parte superiore del fascione laterale destro della carrozzeria della Panda consente interessanti deduzioni. Va ricordato che sul gocciolatoio dell’auto, al di sopra della predetta impronta, sono state rinvenute impronte digitali, come se qualcuno avesse poggiato una mano al tetto dell’auto, poggiando un ginocchio contro la carrozzeria. L’altezza da terra dei punto medio dell’impronta, che potrebbe corrispondere al punto medio rotuleo, è di cm. 55-56.
Con riferimento alle tavole antropometrica di Rollet che consentono una sia pure generica determinazione dell’altezza ove si conosca l’esatta misura di un osso lungo (nel nostro caso la tibia) e tenuto conto che il valore riscontrato comprende, oltre la tibia, parte dei ginocchio, iI calcagno e la scarpa, può fondatamente presumersi un altezza notevole di chi ha lasciato la predetta impronta, sicuramente superiore a cm.180. Si pensi, al riguardo, che ad una lunghezza di cm. 43 della sola tibia corrisponde, in base alle tavole menzionate, una altezza di cm.183 di un uomo.
La prova empirica effettuata su un auto simile con soggetto di diversa altezza ha fornito risultati che deporrebbero per una statura superiore a cm. 185. Per completezza va menzionata anche l’impronta di scarpa rilevata nei pressi dell’auto del Baldi nell’ottobre 1981, in quanto, ove fosse attribuibile all’omicida, potrebbe costituire un ulteriore elemento di valutazione della sua statura.
In linea di mera ipotesi teorica può rilevarsi che una statura nettamente al di sopra della media, in un soggetto nel quale è possibile supporre anche alterazioni organiche della sfera sessuale, potrebbe suggerire anche l’eventualità di un quadro disendocrino e non si può escludere che esso possa essere stato rilevato in sede di visita di leva. Si tratta, ovviamente, di una ipotesi, necessariamente generica, che menzioniamo per completezza.
In definitiva, l’analisi unitaria dei dati criminalistici e medicolegali che caratterizzano i singoli episodi delittuosi fornisce elementi utili per una valutazione globale della dinamica materiale dei delitti, che orientano verso una stessa persona ( di sesso maschile, destrimane, altezza 180 cm o oltre, robusto, agile, discreto sparatore, abituato all’uso di strumenti da taglio, scaltro, abile, freddo nell’azione delittuosa, capace di far tesoro delle esperienze precedenti e di perfezionare l’opera delittuosa).
6) Valutazione globale della dinamica psicologica dei delitti.
Sul Piano criminologico, ovvero secondo una analisi criminogenetica e criminodinamica, emergono profonde differenze tra i delitti considerati come si evince dai dati schematicamente riassunti e visualizzati nello schema allegato.
Tanto che, se considerati isolatamente, i singoli duplici omicidi potrebbero indurre ad ipotesi non univoche circa il complesso psicomotivazionale sottostante e, consequenzialmente, circa la tipologia d’autore, orientando cioè a pensare all’azione di persone diverse.
Come si è detto nella parte dedicata all’analisi dei singoli casi, soltanto quattro di essi si qualificano inequivocabilmente come delitti con decise connotazioni sessuali (2′,3′,4′,70), e di questi i tre ultimi sono caratterizzati dall’escissione di parti sessuali dei corpo mentre il primo si distingue per le numerose ferite da arma bianca inferte alla donna, alcune delle quali, tuttavia, circoscrivendo l’area del pube nella sua parte superiore, sembrano alludere ad una particolare attenzione posta dall’omicida proprio a quella parte dei corpo che negli altri casi verrà escissa. Così come, del resto, molte ferite da punta e taglio (quelle con minori caratteristiche di vitalità, quindi inferte per ultime) sembrano essere state prodotte senza molta forza, quasi per “saggiare” la resistenza della cute all’arma da punta e taglio, come se fosse presente o si facesse strada, almeno a livello embrionale, l’idea dell’asportazione del pube, anche se non perfezionata progettualmente o forse non ancora sorretta da idonea capacità tecnica.
Gli altri delitti non si connotano in senso sessuale quanto a modalità di esecuzione, nel senso che non vi sono prove o indizi in tal senso. Anzi, il primo della serie appare talmente privo di connotazioni abnormi da indurre a formulare l’ipotesi di un omicidio passionale (ipotesi dei resto subito avanzata dagli inquirenti. ed ampiamente suffragata dalle notizie inerenti alle abitudini e condizioni di vita, al rapporti esistenziali, all’ambiente di appartenenza delle due vittime) o comunque di un omicidio effettuato per motivazioni per così dire “comuni”.
Anche il 5′ e il 6′ caso, di per sè considerati. non potrebbero essere qualificati come omicidi sessuali, non essendo reperibile alcun segno connotativo in tal senso.
Una circostanza che accomuna gli altri quattro casi e l’uso di arma da punta e taglio, che finisce col rappresentare il principale elemento connotativo in senso sessuale, oltre al tralcio in vagina esclusivo dei secondo caso, all’asportazione dei corpo della vittima di sesso femminile al di fuori della vettura lasciato poi a gambe divaricate, in tutti e quattro i casi con esposizione dei genitali o di ciò che ne rimane. Va rilevato comunque che nei tre casi in cui non emergono connotazioni sessuali sono presenti elementi che potrebbero essere considerati alla stregua di imprevisti: vale a dire nel 1° la presenza del figlio della Locci; nel 5° ciò che ha reso possibile il tentativo di fuga da parte del Mainardi, con trasposizione dell’auto in un punto troppo ‘visibile’; nel 6° il fatto che le vittime fossero entrambe di sesso maschile. Se consideriamo tali circostanze alla stregua di imprevisti, non possiamo attribuire un valore decisivo di discriminante alle variabili “uso dell’arma da punte e taglio” e “presenza di connotazioni sessuali” agli effetti dell’attribuzione degli omicidi ad uno stesso o a diversi autori, e ciò anche alla luce di considerazioni sulle analogie degli omicidi che svolgeremo più oltre.
Non bisogna sottacere, tuttavia, che il secondo delitto rivela connotazioni di “emotività” (rabbia? ira? eccitazione?), quantomeno in una fase avanzata, che mancano negli altri casi (fatta eccezione per una certa “ridondanza” e dispersività dei colpi di arma da punta e taglio inferti alla vittima maschile nel 7° caso, probabilmente giustificati dai residui segni di vitalità), e che potrebbero connotarlo, in un certo senso, come omicidio di impulso, ossia come azione non “premeditata” in tutte le sue conseguenze, e portata avanti in un crescendo di eccitazione, di elementi-stimolo e di azioni conseguenti, fino alla completa scarica ed alla completa soddisfazione di un coacervo di impulsi sessuali ed aggressivi. Tale ipotesi è convalidata anche dal successivo comportamento, confusamente “esploratorio”, che viene messo in atto dall’omicida (sugli indumenti e gli effetti personali della vittima., sul corpo della ragazza?, scarsamente finalizzata e poco razionale. _
Questi elementi sono già stati oggetto di commento nella parte dedicata all’analisi dei singoli casi (cfr. 2° caso) e, come si è già detto, inducono a ipotizzare la presenza nell’omicida di componenti feticistiche, come tali presenti sicuramente anche nel 3° caso. Non è possibile dedurre con certezza dalla documentazione esaminata la presenza o l’assenza di analoghi comportamenti negli altri casi, mentre sembra di poter dedurre dagli elenchi degli oggetti repertati che nesson oggetto, tra quelli su cui usualmente si appunta la “fissazione” feticistica è stato sistematicamente asportato.
Il secondo caso è anche l’unico in cui è stato utilizzato con modalità e/o intenzionalità sadico-sessuale uno strumento diverso dalle armi da fuoco e da punta e taglio: vale a dire un ramo, trovato conficcato nella vagina della ragazza. Questo gesto, che può alludere a uno stupro simulato o a un ulteriore gesto di violenza o di disprezzo, potrebbe denotare il tentativo o la fantasia di una sessualità attiva, sia pure agita attraverso uno strumento, che non è minimamente presente negli altri casi.
Analogie tra i diversi delitti possono essere ravvisate sia in aspetti situazionali e circostanziali, sia nel modus operandi, sia in tratti deducibili circa la dinamica psicologica dell’azione.
Appare evidente che l’attuazione dei delitti in notti di novilunio (con una irrilevante variante nel 4° caso: ultimo quarto di luna), non può essere un fatto casuale, ma è una precisa scelta, dettata da cautela: il che depone per una precisa premeditazione, e contrasta con ipotesi implicanti impulsività e pulsionalità incontrollata, o scatenamento dell’azione per effetto di stimoli circostanziali e situazionali. Alle stesse deduzioni porta il riscontro di una concentrazione dei delitti nei giorni di fine settimana (tranne nel 1° caso), qualunque sia il significato pratico di tale scelta: la maggior probabilità di trovare coppiette, una migliore (o preclusiva) disponibilità di tempo da parte dell’omicida, la possibilità di avere a disposizione un giorno non lavorativo dopo il delitto, per effettuare le ‘operazioni’ atte a conservare le parti asportate, ecc.. Anche la scelta della località in cui il soggetto agisce non sembra
affidata al caso, bensì dettata da una certa cautela, volta forse ad evitare i rischi suscitati dall’effetto di allarme, di sospettosità e di all’erta che per molto tempo suscitano i delitti nelle zone circostanti: a parte il sesto delitto, tutti gli altri sono stati compiuti in zone piuttosto lontane da quella del precedente delitto, in una posizione pressoché diametralmente opposta, prendendo come punto di riferimento su di una carta geografica linee rette che passano attraverso la città di Firenze.
Anche la situazione, il set del delitto, si presenta piuttosto costante, ed implica in una certa misura la scelta dei siti, quantomeno come ricerca di luoghi in cui possono trovarsi coppiette appartate in macchina (spesso vicino a luoghi di ritrovo, quali ad es. locali da ballo).
E’ molto verosimile che la ricerca impegni l’omicida per molto tempo, tra un delitto e quello successivo, sia che venga effettuata di notte che di giorno. E’ comunque subordinata ad un altro elemento, che rappresenta forse la costante più peculiare degli omicidi in questione: il fatto che le vittime siano sempre coppiette in atteggiamento amoroso.
L’unica eccezione è costituita dalle due vittime del 6° caso, due ragazzi tedeschi di sesso maschile, uno dei quali però portava i capelli lunghi, con foggia e taglio femminei, tanto da poter essere scambiato per una donna. Indipendentemente da ciò, si tratta di una unica eccezione, peraltro ‘relativa’, se si pensa all’identità del set situazionale con gli altri casi.
Va sottolineato che la letteratura scientifica in materia di omicidi sessuali riporta pochissimi casi di duplici delitti, e nessun caso in cui si manifestasse una specifica predilezione o una reiterazione di delitti su “coppiette”. A parte sporadici delitti commessi da pluriomicidi su ”coppiette” accidentalmente e non per scelta, nell’ambito di sequenze delittuose in cui la vittima era preferibilmente una donna, sono descritti duplici omicidi di bambini, scaturiti da circostanze situazionali e non premeditati come tali, in uno solo dei casi passati in rassegna l’omicida (tale J. Bartsh, Germania), di orientamento pedofilo, cercava volutamente una situazione a due vittime, in quanto traeva il massimo piacere dal contatto con i corpi in fase agonica, mentre la sua eccitazione svaniva nel momento in cui il corpo della vittima si arrestava esanime: la presenza di due vittime su cui infierire sadicamente gli consentiva quindi di prolungare l’eccitazione e di conseguire più sicuramente l’orgasmo.
Nei delitti in esame, la modalità omicidiaria porterebbe ad escludere una motivazione siffatta, mentre la costanza degli aspetti situazionali e vittimologici induce ad ipotizzare un loro intrinseco valore di stimolo eccitatorio, come se fossero parte fondamentale delle fantasie sessuali, dei desideri, delle prefigurazioni, delle modalità di gratificazione sessuale dell’omicida. La situazione vittimologica include evidentemente una connotazione sessuale oggettiva: in tutti i casi si trattava di coppie in situazione amorosa; a parte forse il 6° caso, in cui poteva peraltro trattarsi, anche se non è certo, di una coppia omosessuale (come potrebbero far sospettare l’orecchino del Wiheim Horst, i capelli lunghi dell’Uwe Rush, le riviste pornografiche di stampo omosessuale rinvenute stracciate nella zona adiacente il pulmino).
Non è chiaro se le vittime siano state colte sempre (come è avvenuto nel 2°, 3°, 4°, e 7° caso) in momenti riguardanti i preliminari dell’atto amoroso, anche se ciò appare molto verosimile, data la mancanza di evidenze in che provino cioè la consumazione già avvenuta dell’atto sessuale (fatta eccezione per un probante indizio nel 5° caso) le modalità con cui viene condotta l’azione denotano una notevole sistematicità e metodicità, che possono motivatamente essere
definite di “stampo ritualistico”: l’azione (specialmente se si tiene anche conto degli aspetti circostanziali e situazionali), sembra a lungo premeditata e prefigurata, come se fosse la recita di un copione ben noto, in cui non trovano alcuno spazio varianti dettate da istanze ‘soggettive’ momentanee o improvvise. Moti d’impulso nel corso dell’esecuzione dell’azione omicidiaria sono ravvisabili esclusivamente nel 2° caso, e non è dato ricavare se tutta la sequenza delittuosa abbia preso le mosse da un impulso improvviso, per così dire una esplosione pulsionale, oppure se sia iniziato secondo uno schema precofigurato, modificatosi in seguito ad una circostanza che ha creato nell’omicida una sorta di sconvolgimento emotivo e pulsionale.
Nel primo caso il delitto si connoterebbe in modo molto diverso dagli altri, e ciò (unicamente agli altri elementi differenziali quali il tralcio di vite conficcato in vagina) potrebbe indurre all’ipotesi di una diversa tipologia d’autore; nel secondo caso si potrebbe invece far riferimento ad una peculiare ‘dinamica’ del rapporto psicologico tra vittima di sesso femminile ed autore (marcata ambivalenza, orientamento eterosessuale con sessualità inibita dalle forti cariche
aggressive sottostanti), che ha favorito in questo caso lo scomposto “acting out”, scatenato da un elemento circostanziale della dinamica materiale. Si potrebbe essere tentati di ipotizzare anche che in questo omicidio (e ciò confermerebbe la prima delle ipotesi formulate, cioè dell’omicidio d’impulso) rientrassero inizialmente nelle. fantasie e nelle intenzioni dell’autore atti di violenza sessuale o qualche forma di abuso, poi impediti o da una resistenza della ragazza e dalla susseguente ‘furia omicida’, o più semplicemente da una mancata erezione, o da una incapacità a procurarsi godimento con atti di natura sessuale. Quale che sia l’ipotesi più verosimile, il complesso degli altri elementi di valutazione non consente, in ultima analisi, di considerare questo delitto come ‘svincolato’ dalla catena omicidiaria in esame, ed induce a considerarlo piuttosto una tappa del processo di evoluzione dell’omicida.
Riguardo alla dinamica omicidiaria va ancora sottolineato che ( fatta eccezione per il 2° caso, per quanto attiene alla vittima femminile) appare sempre prioritaria da parte dell’omicida l’intenzione di uccidere le vittime, e di esser certo della loro morte, rispetto ad azioni successive, quali ad es. l’escissione o i colpi d’arma bianca; nè sembra vi sia ricerca di contatto fisico con le vittime, in vita o agonizzanti come avviene nella maggior parte dei lustmord, in cui vengono predilette modalità omicidiarie quali lo strangolamento o l’uso dell’arma da punta e/o taglio, in quanto consentono la lotta corpo a corpo, la percezione degli spasmi della vittima agonizzante, il contatto con il sangue. Nella sequenza omicidiaria in esame sono costantemente assenti segni di strangolamento, il contatto con le vittime appare ridotto al minimo indispensabile, sia nella fase omicidiaria vera e propria, sia in quella preparatoria ed esecutiva dell’escissione (un più prolungato contatto con la vittima di sesso femminile, ovviamente, è avvenuto ed è stato verosimilmente ricercato nel 2° caso).
Costante appare il disinteresse sadico-sessuale per le vittime di sesso maschile, al di là dell’azione omicidiaria di per sè considerata; nè sono mai stati notati segni di tentativi di stupro o violenza sessuale; non si sono mai riscontrate tracce di liquido spermatico in vagina o in altri orifizi (naturali o traumatici) delle vittime, nè sui loro corpi, nè sui loro indumenti. Non sono stati mai evidenziati segni di componenti cannibaliche nel comportamento dell’omicida.
Da ultimo, va annotato che in nessuno dei casi considerati sono stati asportati valori, mentre, come si è detto, soltanto in alcuni sembra vi sia stata la ricerca e forse l’asportazione di qualche oggetto di probabile significato feticistico.
Le armi sono state sempre asportate dal luogo del delitto, sia, ovviamente, l’arma da fuoco, che l’arma bianca. Soltanto nell’ultimo caso si sono trovate tracce potenzialmente utili all’identificazione personale dell’omicida (impronte digitali), sul luogo dal delitto mentre negli altri casi o non è stato trovato nulla o, raramente, qualche indizio alquanto aleatorio.
In conclusione; per quanto attiene alla dinamica psicologica sottesa alla preparazione ed alla effettuazione dei delitti in esame, le analogie tra i diversi delitti sono in numero decisamente maggiore rispetto alle differenze, anche se non esistono elementi probanti in un senso o nell’altro. Per quanto attiene ai tre delitti nei quali è avvenuta l’escissione del pube, gli elementi evidenziati concordano con quelli desunti dall’analisi della dinamica materiale, e fanno propendere il giudizio per l’opera dì uno stesso autore. Il secondo delitto, pur se attuato con una dinamica parzialmente difforme rispetto ai successivi tre delitti menzionati, non contiene elementi decisamente differenziali o incompatibili, ed anzi mostra aspetti che o si ripetono successivamente o appaiono precursori del “rituale” dei successivi delitti. Considerata anche la distanza cronologica tra il 2° ed il 3° delitto, è verosimile che nel lasso di tempo intercorso sia stato nell’omicida un’evoluzione dei tratti psicologici, dei comportamenti (e delle fantasie) legati alle motivazioni all’atto omicidiario ed alla psico-sessualità.
Le analogie tra questo gruppo di delitti e gli altri tre riguardano soprattutto fattori situazionali e circostanziali; in questi ultimi infatti non vi sono segni diretti che li qualifichino come omicidi sessuali, al di là della situazione vittimologica. E’ indubbio, tuttavia, che oltre alla scelta dei luoghi, della situazione, della notte in cui agire, vi è un “modus operandi”, molto simile per quanto attiene alla metodicità ed alla freddezza dell’azione, alla volontà di conseguire un esito letale, all’assenza di elementi d’impulso, all’assenza di modalità lesive diverse da quelle utilizzate negli altri delitti, alla mancanza di asportazione di valori. Questo soprattutto per il 5° ed il 6° delitto, per i quali, inoltre, la dinamica delittuosa non consente di evincere alcuna altra ipotesi circa possibili moventi talchè essi si qualificano piuttosto come delitti senza movente apparente. Tra di essi, hanno in comune una notevole freddezza, agilità, efficacia nell’azione, che appare condotta come se l’autore fosse “stimolato” dalle difficoltà, pronto a non “cedere” di fronte agli imprevisti, pur di portare a termine lo scopo prefissatosi, vale a dire quello di un duplice esito letale; scopo che non si può fare a meno di percepire come gratuito e immotivato sul piano razionale.
La stessa percezione non si ha per il primo delitto, sia per quella che appare una maggior sbrigatività, sia per la scelta mirata di colpire soltanto la coppia e di risparmiare il bambino: il che orienta verso un movente preciso e mai si concilia con l’ipotesi di un delitto sadico o sessuale. Sul piano dell’analisi della dinamica psicologica, quindi, appaiono attribuibili ad uno stesso autore, e motivati sul piano sadico-sessuale, il 2°, 3°, 4° e 7° caso. li più difforme appare il lo caso, mentre il 5° ed il 6° presentano notevoli tratti comuni, sia tra di loro, che con gli altri delitti.
Ciò porta a ritenere non documentabile, sulla scorta della valutazione della dinamica psicologica, l’ipotesi che a commettere i delitti sia stata sempre la stessa persona, al contrario di quanto è emerso in sede di analisi della dinamica materiale delle chiavi delittuose. Ma ovviamente, l’analisi psico-motivazionale non è sufficiente ad escludere tale ipotesi, specie ove si attribuisse al primo delitto il significato di apprendimento cui si è già fatto cenno, ed ove si tenga conto, per il 5° e 6° delitto, dell’interferenza di situazioni impreviste che possono aver modificato il “disegno delittuoso”.
Resta da esaminare l’ipotesi del concorso di più persone, ipotesi la cui attendibilità viene meno ove si faccia riferimento ai quattro delitti connotati sessualmente. Appare infatti evidente dalla modalità di esposizione dell’analisi dei casi e dalle considerazioni sin qui esposte che riteniamo non sia possibile che questi delitti sessuali siano stati commessi da più persone, e ciò per alcune considerazioni, sia di ordine generale che inerenti ai dati documentati che esponiamo sinteticamente:
a) è da escludersi decisamente un’azione di tipo collettivo, tipo violenza di gruppo, che in genere implica violenza sessuale vera e propria, può comprendere atti sadici (che sono di varia natura, espressione di diverse volontà ed intenzionalità lesive, e prodotti da strumenti diversi), ma non arriva mai al lust morder vero e proprio;
b) anche i delitti commessi in coppia sono, in questo ambito, molto rari: nella letteratura scientifica tedesca vengono riportati pochi casi, che in realtà non sono lust morder veri e propri, ma violenze sessuali sadiche con successivo omicidio (con o senza scempio del cadavere, tipo deprezzamento) attuato per conseguire l’impunità;
c) nella letteratura scientifica anglo-sassone vengono descritti alcuni casi di lust morder commessi da due omicidi, che implicavano sempre scarsa sistematicità d’azione, elementi tra loro giudicati contradditori (quali ad es. stupro e asportazione di parti di cadavere) ridondanza dei comportamenti sadico-lesivi e delle mutilazioni;
d) se i delitti fossero stati commessi in coppia si sarebbe manifestata una maggior varietà di lesioni e di modalità d’azione, ed il “modus operandi” non sarebbe risultato così ritualizzato;
e) è difficilmente configurabile una “coppia” di lust morders che continua ad agire per un tempo così lungo sempre allo stesso modo.
7) I trattati e le ipotesi circa le motivazioni.-
Assumendo come unico l’autore dei reati, tenteremo a questo punto di delinearne il profilo di personalità, cercando di stabilire delle connessioni tra le tre dimensioni virtualmente sottese a questa parte della elaborazione peritale:
1) l’analisi del comportamento;
2) le deduzioni sulle motivazioni ad esso sottese;
3 ) la formulazione di ipotesi circa tratti di personalità dell’omicida e circa altri aspetti dai suo comportamento, al di fuori delle azioni delittuose considerate.
Va da sè che, pur trattandosi di tre diversi livelli di analisi, essi sono strettamente connessi tra loro, tanto che risulta difficile, per non dire impossibile, trattarli separatamente in modo schematico e differenziato. Così come è ovvio che quanto più ci si allontana da un approccio descrittivo ed analitico per entrare nel campo delle interpretazioni, tanto più ci si allontana da una base di certezza e di realtà documentaria e ci si avventura in un ambito fatto di mere ipotesi.
Consapevoli di ciò, ci limiteremo in questa fase dell’elaborazione peritale, alla formulazione delle ipotesi alla cui verosimiglianza maggiormente forniscono garanzie da un lato la concordanza dei dati documentari, dall’altra l’esperienza diretta in campo criminologico e quella mediata, fornita da un’approfondita analisi della letteratura scientifica.
D’altro canto sarebbe alquanto riduttivo ed aleatorio (per non dire impossibile), nonchè disfunzionale ai fini delle indagini giudiziarie in corso, cercare di delineare una singola tipologia d’autore, facendo riferimento a (ovvero optando per) schemi nosografici di tipo criminologico o psichiatrico, che peraltro non sopperiscono adeguatamente a tale intento.
A riprova di ciò, passeremo brevemente in rassegna i principali schemi nosografici di riferimento, evidenziandone sia gli aspetti di maggior fruibilità (che verranno in seguito utilizzati nella nostra analisi conclusiva) che le ragioni per cui vengono ritenuti disfunzionali nel loro complesso, con riferimento ai quattro delitti che presentano evidenti connotazioni sessuali, in quanto peculiari e maggiormente qualificanti sul piano psicologico e motivazionale tutta la serie dei delitti.
A) In campo criminologico, la letteratura scientifica più ricca in tema di omicidi sessuali in generale e di lust morder in particolare è quella di lingua tedesca; la casistica che vi è rappresentata indica chiaramente che si tratta di delitti non infrequenti nei Paesi germanici, diversamente da quando accade nei Paesi latini. Per questo il codice penale tedesco da tempo prevede in proposito diverse fattispecie di reato, circostanziate secondo le caratteristiche comportamentali e psico-motivazionali dell’autore, tra cui è contemplato il “lustmord,” vale a dire l’omicidio attuato allo scopo di soddisfare un proprio impulso sessuale in modo abnorme. Disponibilità casistica ed esigenze diagnostiche medicolegali, criminologiche e psichiatrico forensi, hanno consentito agli Autori tedeschi un notevole approfondimento delle tematiche connesse con tali delitti, ed hanno indotto a differenziazioni e chiarificazioni, di cui la più completa appare quella di Berg, formulata nel modo seguente:
a) omicidio involontario nell’ambito di atti sessuali;
b) omicidio premeditato per motivi generici ed attuato insieme con atti sessuali;
c)omicidio commesso per consentire atti sessuali;
d)omicidio commesso successivamente un delitto sessuale, per conseguire impunità;
e)omicidio come culmine sadico di un atto sessuale;
f)omicidio come equivalente sadico di un atto sessuale.
Tale classificazione, che consente da un lato un orientamento preliminare delle indagini di polizia, dall’altro una categorizzazione d’autore utile ai fini giudiziari non si arricchisce però di sufficienti dati discriminanti in senso tipologico, se non di ordine generale, quali ad es.: le prime quattro fattispecie di delitti sono commesse spesso sotto la spinta dell’alcool, da soggetti che sovente hanno commesso anche aggressioni sessuali diverse; le ultime quattro, e segnatamente le ultime due, implicano sempre componenti sadiche accentuate della personalità, ma non necessariamente una patologia mentale, se non quando intervengono componenti cannibaliche, e allora la patologia di più frequente ricorso è la “schizofrenia paranoide”. _
Gli autori di delitti della quinta fattispecie, si connotano spesso per una sessualità indiscriminata ed esaltata, con atti di brutalità e sadismo sessuale; quelli della sesta sono più spesso sessualmente inibiti, non ricercano il coito ma possono essere in grado di attuarlo, purchè nell’ambito di una finzione degli atti sadici che prediligono
B) Per quanto attiene all’ambito della Psicopatologia, occorre far riferimento da un lato ad una semeiologia generale che considera il comportamento (o per meglio dire, alcuni tipi di comportamento, quanto più si discostano dalla norma), come avente valore di sintomo: comportamenti aggressivi e distruttivi, specie se con marcata componente istintuale, fortemente aberranti, possono quindi di per sè o con un corteo sintomatologico complementare molto sfumato, indurre ad una diagnosi severa, nosograficamente collocabile nell’ambito delle schizofrenia, e segnatamente della schizofrenia paranoide.
Non esistono statistiche psichiatriche relativamente a comportamenti tipo lust morder.
La casistica tuttavia indica che tra i lust morder sono presenti soggetti cui non è applicabile alcuna diagnosi psichiatrica, soggetti schizofrenici (varietà ebefrenica, varietà paranoide), soggetti con deficit intellettivo.
In secondo luogo occorre far riferimento alla sistematica delle perversioni, che, nonostante gli affinamenti interpretativi sul piano della psicogenesi e psicodinamíca, sul piano nosografico rimane di massima aderente alle formulazioni non certo recenti di Krafft-Ebing (cfr. DSM III vol.Masson,1983), basate su di una ricca ed interessante casistica.
Riportiamo qui appresso la definizione e le connotazioni essenziali delle principali entità nosografiche sulla base degli orientamenti tassonomici di prevalente ricorso nella letteratura:
a) Sadismo: Perversione caratterizzata dal condizionamento del piacere sessuale alla sofferenza prodotta ad un’altra persona (o ad un animale), mediante umiliazioni, crudeltà, percosse, lesioni. Può esprimersi sotto forma di azioni brutali che accompagnano l’atto sessuale, oppure in forma ritualizzata, che implica la reiterazione di determinate “scene” o situazioni stereotipiche, all’interno delle quali si esplica l’atto sadico vero e proprio. Così come è essenziale la situazione-stimolo, in questi casi può essere di importanza fondamentale, per ottenere il piacere sessuale, lo strumento on il quale viene effettuata l’azione sadica (nell’ambito del sadismo vengono classificati da Krafft-Ebing gli omicidi a scopo sessuale).
b) Masochismo: Perversione sessuale caratterizzata dal condizionamento del piacere sessuale alla sofferenza (fisica o morale) da parte del soggetto. Può accompagnarsi a forme di sadismo; questa forma combinata se la sessualità è vissuta essenzialmente o esclusivamente in fantasia, può dare luogo a modalità masturbatorie autolesive (anche fino alla morte per soffocamento, strangolamento, dissanguamento) attraverso l’utilizzazione di un complesso strumentario autoerotico si tratta di forme che vengono anche definite automonosessualismo).
c) Feticismo: Perversione nella quale l’interesse sessuale è assorbito da un oggetto o una parte del corpo, la cui manipolazione ( e il cui possesso) possono divenire l’unica fonte di gratificazione sessuale. E’ di gran lunga predominante nel sesso maschile. Può accompagnarsi ad altre perversioni. Si parla di sado-feticismo quando è connesso ad azioni sadiche.
d) Esibizionismo: Deviazione sessuale, generalmente maschile, caratterizzata dall’esibizione dei genitali a terzi, come azione compulsiva, cui può essere condizionato il soddisfacimento sessuale. Entra nelle manifestazioni di disordini mentali di diversa natura. Può accompagnarsi ad altre deviazioni sessuali.
e) Voyerismo (mixoscopia): perversione che consiste nel condizionamento dell’eccitazione sessuale dalla situazione di assistere all’accoppiamento di altri. Per la passività del soggetto nella situazione-stimolo, è stato a lungo considerata una sottospecie di masochismo. Associata dalla Psicoanalisi all’esibizionismo sul piano psico-genetico, come difesa dell’angoscia di castrazione, ha comunque in sè aspetti sadici latenti, che possono divenire manifesti.
f) Omosessualità: perversione nella quale l’interesse sessuale è rivolto verso persone dello stesso sesso quando si accompagna a sadismo, questo è generalmente rivolto a persone dello stesso sesso.
9) Pedofilia: perversione nella quale l’interesse sessuale è rivolto ai bambini. Atti sadici su bambini, fino all’omicidio, non implicano necessariamente un orientamento pedofilo da parte dell’autore.
L’attuale nosografia psichiatrica prevede una collocazione autonoma delle perversioni come entità classificatorie di tipologie psicopatologiche, quando esse costituiscono l’unico ‘sintomo’ patologico, consistente in una esclusiva (o predominante) e compulsiva modalità per il conseguimento dell’eccitazione e del soddisfacimento sessuale, frutto di una distorsione dell’evoluzione psico-sessuale, e di una ‘fissazione’ ad un determinato modulo comportamentale. Atti perversi, isolati, reiterati, possono entrare nell’ambito delle manifestazioni di svariate patologie, e a assumere il significato di modalità regressive di espressione della sessualità.
C) Il modello psicologico-psicodinamico fornisce elementi di comprensione di determinati comportamenti in termini di dinamica psicologica e di connessioni fra tratti psicologici, costanti comportamentali e relazionali e fatti psichici remoti, per lo più dimoranti nell’inconscio dell’individuo.
Il comportamento abnorme di tipo sessuale viene classificato nell’ambito delle perversioni, secondo uno schema che si sovrappone, con poche varianti, a quello delineato dalla Psicopatologia. Di ciascuna perversione vengono tracciati schemi psicodinamici che possono riguardare da un lato l’assetto caratterologico, e dall’altro certe tappe psico-evolutive, secondo un approccio che presta poca attenzione (in quanto pone sullo stesso piano) alla differenza tra mondo esterno e mondo interno, comportamento agito e comportamento fantasticato, fatti e dinamiche psicotraumatici o patogenetici realmente accaduti o vissuti soltanto nella fantasia. Il modello psicodinamico fornisce quindi indicazioni sul mondo interiore (un mondo in gran parte inconscio) del perverso, e solo in via molto indiretta e aleatoria su quello fenomenico. Alla base di tutte le perversioni starebbe una “angoscia di castrazione”, che non consentendo il conseguimento di una genitalità adulta, determinerebbe una precoce fissazione ad aspetti infantili e parziali della sessualità, che vengono precocemente ipertrofizzati, mediante l’ipervalorizzazione di esperienze ‘accidentali’ con connotazioni sessuali manifeste, o che si sono accompagnate (in modo che può apparire fortuito, ma che in realtà è condizionato da una costellazione di dinamiche psicologiche sottostanti) ad eccitazione sessuale (Fenichet). Il nodo centrale dell’angoscia di castrazione sembra motto evidente sia nel feticismo (che, quando ha componenti sadiche, si esplica in atti aventi il significato di ‘castrazioni simboliche’ della donna), che nel sadismo. A proposito di quest’ultima deviazione Schorsch, sulla base di numerose osservazioni personali, ha avanzato l’ipotesi che la sua origine risieda nel mancato superamento di fasi preedipiche connotate da forti cariche distruttive nei confronti della madre, che permeerebbero la fase edipica, generando angoscia. Il conflitto verrebbe superato attraverso una sua precoce sessualizzazione: la fusione tra sessualità e distruttività libererebbe da quest’ultima il rapporto con la madre, consentendo dapprima il superamento dell’ambivalenza e in seguito, una crescita dell’Io ed uno sviluppo della vita sociale discretamente armonici, in quanto liberati dal conflitto, che rimane “fissato” e circoscritto alla sfera della sessualità. Quest’ultima sempre secondo Schorsch, può manifestarsi nella vita adulta con diverse pratiche:
a) rapporti stabili, complementari, con un partner dalle predilezioni masochistiche; b) realizzazione in fantasia, che accompagna pratiche autoerotiche (o che consente l’eteroeratismo); c) realizzazione completa nell’ambito di un cerchio ristretto, in ambienti privati (sotto-cultura sadomasochistica); d) più raramente, realizzazioni criminali nella forma di atti violenti, sadici. L’omicidio sadico sessuale potrebbe aversi o in quei soggetti che non riescono a trovare sbocchi concreti alle loro prepotenti fantasie (soggetti inibiti, sostanzialmente privi di una sessualità agita) o quando si rompe l’equilibrio tra esigenze istintuali e possibilità di gratificazioni (perdita del partner; aumento delle esigenze dell’agire sadico, e loro irrealizzabilità). Anche per il voyerismo (che psicogeneticamente è legato all’esibizionismo e ne rappresenta il rovescio sul piano comportamentale) l’atto perverso avrebbe lo scopo di rassicurazione nei confronti dell’angoscia castrazione. Secondo Fenichel “…Il fatto che nessuna vista può rassicurare completamente i pazienti come loro desidererebbero, ha molte conseguenze per la formazione dei voyeurs. Essi sviluppano una forma di insaziabilità, devono guardare più volte con accresciuta intensità. A causa dell’insaziabilità, il desiderio di guardare può acquistare un significato sadico sempre più preciso”.
b) Il modello criminalistico è una sorta di modello pragmaticopredittivo di recente elaborazione negli USA, per consentire l’individuazione di caratteristiche personologiche, comportamentali, sociali, degli autori di delitti sessuali, a partire dagli elementi di indagine. Si basa su di una elaborazione informatica dei dati raccolti in casi di autore noto, mettendo a confronto statisticomatematico da un lato variabili inerenti alla vittima, alla scena del delitto, alla modalità delittuosa, ecc., dall’altro variabili inerenti all’autore. Tale metodo, iniziato non più di 6-7 anni fa, ed applicato con successo nelle indagini su alcuni casi di lust morder, si basa su di una casistica che riflette ovviamente la peculiare, eterogenea e composita cultura Nord-Americana; la sua corretta applicazione a delitti avvenuti in un altro contesto socio-culturale richiederebbe quindi la disponibilità e l’elaborazione di una casistica omologa.
Alla vittima, alla scena dei delitto, alla modalità delittuosa, ecc., dall’altro variabili inerenti all’autore. Tale metodo, iniziato non più di 6-7 anni fa, ed applicato con successo nelle indagini su alcuni casi di lust morder, si base su di una casistica che riflette ovviamente la peculiare, eterogenea e composita cultura Nord-Americana; la sua corretta applicazione a delitti avvenuti in un altro contesto socioculturale richiederebbe quindi la disponibilità e l’elaborazione di una casistica omologa.
L’elaborazione dei dati raccolti sulla casistica statunitense ha consentito di differenziare, su base matematico-statistica, soltanto due tipologie d’autore che si distinguono essenzialmente per la maggiore o minore “organizzazione” dei comportamento e della personalità intesa in senso psico-sociale. Ne riportiamo di seguito i tratti salienti:
Personalità | Personalità |
Organizzata non sociale | Disorganizzata asociale |
Indifferenza verso interessi e benessere della società la società | Avversione verso la società |
Irresponsabile, egocentrico, non Solitario, non ama le persone ma non le evita, anzi le manipola opportunisticamente | Solitario, ha difficoltà di rapporti interpersonali |
E’ metodico e astuto, consapevole ed attento agli effetti del delitto sulla società. Studia il delitto e lo prepara con circospezione, scegliendo i luoghi | Non è astuto nè metodico. Compie il delitto in modo frenetico ed impulsivo, incontrollato |
Vive a una certa distanza dal luogo dei delitto | Vive probabilmente vicino al luogo dei delitto |
Può commettere torture e mutilazioni prima della morte | Compie l’aggressione in modo scomposto, può commettere antropofagia, e cospargersi del sangue delle vittime |
Commette il delitto in luogo nascosto, fa poi in modo che venga trovato e sia ben visibile | Lascia il corpo nel punto in cui ha commesso il delitto non lo nasconde |
Possono esserci segni di “penetrazione” nel corpo della vittima esplorativo. A volte inserisce oggetti estranei in modo brutale, come per curiosità. Si possono trovare tracce di sperma sulla superficie esterna dei corpo e dei vestiti | Si avvicina al corpo della vittima in modo infantilmente |
Porta via l’arma del delitto, lascia pochi indizi della sua presenza | Lascia l’arma (spesso casuale) nel luogo del delitto vi sono molti indizi della sua presenza |
Può tornare sul luogo del delitto per vedere a che punto sono le indagini, che desidera quasi ossessivamente controllare, “gioca” con la polizia, “partecipa” alle indagini, cerca l’eccitazione della pubblicità | Può tornare sul luogo delitto per compiere altre mutilazioni o rivivere la scena. Si disinteressa delle alle indagini |
Ha sentimenti ostili nei confronti della società, e li esterna. Durante l’adolescenza mostra comportamenti aggressivi, e verrà descritto come un attaccabrighe. Avrà problemi in famiglia, con la figura persona autoritaria, gli amici, comportamenti antisociali. Viene eccitato dalla crudeltà, nei libri, nei films, nella realtà e in fantasia | Stress, frustrazioni, ansie, possono averlo portato a fuggire dalla società, percepita come ostile e minacciosa. Sarà descritto come persona gradevole e tranquilla, che si fa i fatti suoi ma che non realizza mai le sue potenzialità. Nell’adolescenza può aver avuto atteggiamenti di voyerismo e feticismo. Desidera e teme i normali rapporti sessuali, che probabilmente non ha mai avuto. A volte ha tentato approcci parziali e maldestri |
Tratti comuni ai due tipi sono: vittima sconosciuta; delitti eterosessuali e interrazziali; mutilazioni al seno, retto o ai genitali; uso dell’arma da fuoco raro, perché non consente il contatto diretto con la vittima; esportazione di un oggetto personale della vittima, come stimolo alle successive fantasie masturbatorie, o di una parte dei corpo a connotazione sessuale; provenienza dell’omicida da un ambiente familiare privo di amore e comprensione, negativo per lo sviluppo psicologico, in cui è stato probabilmente un bambino maltrattato e trascurato, e ha sperimentato quindi conflitti nei primi anni dell’infanzia.
Ai modelli sopra richiamati si farà riferimento nel tentativo di delineare i tratti tipologici dell’autore dei delitti in esame, consapevoli che si tratterà di elementi induttivi che non potranno in alcun modo assurgere ad elementi di prova, ma che potranno augurabilmente concorrere a circoscrivere la ricerca dell’autore dei delitti.
Innanzitutto l’accuratezza e la cautela con cui avviene la preparazione dei delitti, la scelta dei luoghi e dei siti, delle fasi lunari e dei giorno più propizio (probabilmente l’attesa di un momento propizio, in zona abitualmente frequentata da coppiette in cui spesso si possono trovare più auto, a distanze non grandi), inducono a configurare un comportamento non agito d’impulso, ma premeditato a lungo, con pochi elementi lasciati al caso. Un’azione quindi che non sembra agita in modo impellente come se fosse dettata da un impulso che preme e che non lascia possibilità di dilazione, ma che appare estremamente finalizzata, prefigurata, preparata.
Ciò avviene secondo modalità che vanno bene al di là della prefigurazione in fantasia tipica dei lust morder, i quali possono essere considerati come una esternalizzazione ed una rappresentazione delle fantasie sessuali sadiche che costituiscono l’abituale modalità di gratificazione sessuale del lust morder.
Tutto questo induce a ritenere che l’omicida abbia una personalità abbastanza ben organizzata, capace sul piano comportamentale e delle relazioni sociali, discretamente integrata; suggerisce inoltre che non vi sia ‘scelta delle vittime o conoscenza precedente di queste da parte dell’autore dei delitti, ma soltanto una scelta dei siti e dell’occasione propizia.
Quanto a quest’ultimo punto (fatta eccezione per il primo delitto, per le riserve già avanzate) soltanto nel secondo delitto si potrebbe ipotizzare una precedente conoscenza della vittima o quanto meno di quella di sesso femminile, sia sulla base della brutalità con cui è stata condotta l’azione, sia sulla base dei riscontro di ferite al viso, che nei lust morder possono avere il significato di intenzionale “sfregio” alla personalità ed all’identità di una vittima già nota, per uno stato di collera o un sentimento di odio nutrito nei suoi confronti. Va però sottolineato che da un lato la conoscenza può essere unilaterale, e non implica necessariamente una precedente interazione, e dall’altro lo stato di collera può sopravvenire nel corso dell’azione omicidiaria, o scaturire dalla dinamica dell’azione stessa.
Per quanto attiene ad ipotesi generali circa la sessualità dell’omicida, è importante anche il “ritualismo” accentuato delle azioni omicidiarie; le indicazioni tratte dalla casistica esaminata e dalle riflessioni su osservazioni scientifiche di vari Autori, sia di lingua tedesca che anglo-sassone portano alla conclusione che vi è un rapporto inverso tra grado di ritualizzazione degli atti omicidiari e sessualità agita nella vita comune. L’accentuato ritualismo corrisponde spesso ad una sessualità vissuta a livello di fantasia, specialmente attraverso la produzione di fantasie sadiche che prefigurano l’atto omicidiario, e che da questo vengono in seguito alimentate.
L’atto omicidiario assume in questi casi il significato di “equivalente sadico” dell’atto sessuale. Del resto è evidente la mancanza di una sessualità agita sul luogo del delitto (mancanza di segni di stupro, o di abuso sessuale, o di masturbazione): ciò depone per una sessualità in cui sia l’eccitazione che l’orgasmo sono più il portato di fattori psicogeni che non di stimolazioni genitali, ciò che in genere si accompagna ad una configurazione anatomica ed ormonale vicina all’ipoqenitalismo e, più in generale, depone per una tipologia d’autore che raramente è in grado di avere normali rapporti eterosessuali.
Parlando di “ritualismo” dell’atto omicidiario si è inteso alludere a tutta la serie di comportamenti che vanno da una fase preparatoria (scelta dei luoghi e dei siti) ad una terminale (escissione ed esportazione dei pube) secondo una metodicità d’esecuzione che predetermina una sequenza complessa di azioni nel cui ambito la parte “esecutiva dell’atto omicidiario è decisamente connotata in senso sadico-rituale, secondo lo schema: uccisione per- arma da fuoco, ferite con arma da punta e taglio, escissione con arma da punta e taglio. E’ possibile anche intravedere nella serie delittuosa una evoluzione del rituale sadistico, da una semplice utilizzazione dell’arma da fuoco (se si include nella sequenza anche soltanto in chiave di stimolo della fantasia perversa, pure il primo delitto, e se si considerano il 5° ed Il 6° come atti incompiuti”), all’introduzione dell’arma bianca quale strumento lesivo, alla escissione dei pube ed ‘all’escissione dei seno. Tale evoluzione non implica modificazioni ma aggiunte”, come una sorta di graduale perfezionamento (deviazione e delle fantasie), come se ciascuna fase conservasse il suo valore, ma divenisse coi tempo “necessaria ma non sufficiente” per un completo soddisfacimento, o come se il radicarsi della deviazione sadistica rendesse possibile un suo perfezionamento.
In linea generale, la casistica scientifica esaminata suggerisce che ad una maggior ritualizzazione dell’atto omicidiario corrisponde una deviazione sadistica più radicata. Le modalità attraverso le quali si arriva all’attuazione del comportamento omicidiario sadico-rituale sono essenzialmente due:
– la prima, in cui prevalgono le componenti ego-sintoniche (vale a dire non conflittuali), rappresenta una evoluzione peggiorativa di un sadismo sessuale inizialmente relativamente compensato da pratiche “minori” eseguibili attraverso l’instaurazione di stabili rapporti sado-masochistici o con la compiacenza di partners occasionali.
– la seconda, in cui prevalgono le componenti ego-distoniche (vale a dire conflittuali), rappresenta la manifestazione occasionale ed episodica di una sessualità inibita o dei tutto preclusa per le vie normali, legata a potenti cariche distruttive, vissuta esclusivamente, o prevalentemente, sotto forma di fantasie sadiche, con cui l’atto omicidiario appare senza soluzione di continuo, e viene attuato in uno stato eccitatorio di ubriachezza narcisistica e di distanza dall’io” (SCHORSH).
Nella seconda ipotesi, più che nella prima, la configurazione tipologica e relazionare dell’autore richiama quella del “tipo comune” che non dà nell’occhio, socialmente integrato nell’ambiente di appartenenza, privo di iniziativa (sociale, oltre che sessuale).
Nella prima ipotesi, invece, i tratti tipologici e relazionali possono essere molto più vari, l’iniziativa presente ed il comportamento sessuale “attivo”, almeno per quanto riguarda la ricerca della situazione “chiave”, necessaria al conseguimento della gratificazione sessuale.
Per quanto attiene ai delitti in esame, appare più verosimile la prima ipotesi, sia perché più conciliabile con gli aspetti di “premeditazione”, sia in quanto nel set omicidiario entrano evidentemente in gioco una molteplicità di elementi, che connotano in modo peculiare e “situazionalmente specifico” le predilezioni sessuali dell’omicida. E’ evidente infatti che i delitti non sono connotati esclusivamente da aspetti sadici, ma lasciano intravedere altre componenti sessuali abnormi: da un lato un orientamento feticistico, chiaramente espresso nel secondo e nel terzo caso dagli atti esploratori sugli indumenti e gli effetti personali della vittima, e verosimilmente sfociato in seguito nell’asportazione del Pube come oggetto-feticistico; dall’altro la ricerca di una situazione di tipo voyeristico, nella quale esercitare un’azione sadico-intrusiva, si trova rappresentata per l’appunto dall’atto di sorprendere una coppia in atteggiamento amoroso.
Appare opportuno a questo punto cercare di analizzare approfonditamente l’atto omicidiario, secondo la chiave di lettura che lo identifica come equivalente (o sostitutivo) dell’atto sessuale, e quindi fonte di eccitazione e di orgasmo. Ciò al fine di formulare ipotesi su singole fattispecie comportamentali (sessuali e delittuose), collaterali agli omicidi che l’autore dei delitti può mettere in atto tra un omicidio e l’altro, o che può aver attuato in passato.
Sia gli aspetti feticistici che quelli voyeristici appaiono di notevole importanza nel contesto situazionale dell’azione omicidiaria, e quindi parte integrante delle fantasie sadiche che la promuovono.
E’ oltremodo verosimile che sia nelle fantasie che nell’azione delittuosa, la sequenza comportamentale consistente in cercar una coppia in atteggiamento amoroso, sorprenderla in qualche fase dell’atto sessuale (o dei preliminari), interrompere l’atto sessuale in modo violento, uccidere prima l’uomo poi la donna con colpi di arma da fuoco, infliggere colpi di arma da punta e taglio, rimuovere il corpo della donna, escidere il pube, contenga in sè momenti eccitatori, di più o meno intensa portata, e momenti maggiormente favorenti la soddisfazione sessuale vera e propria.
Non è molto agevole, tuttavia, individuare il momento culminante dell’azione, vale a dire quello più strettamente connesso con l’orgasmo.
Nei lust morder, generalmente, quando viene ricercato il diretto contatto con la vittima, l’orgasmo è provocato o dagli spasmi delle vittime, o dal contatto con il sangue della vittima. ln questo caso l’autore spesso arriva all’omicidio soltanto dopo una lunga serie di atti aggressivi non portati alle estreme conseguenze della morte della vittima, per l’insorgenza di una insaziabilità connessa ad una sorta di ipersessualità compulsiva (cfr.casi EICHORN e KURTEN). In questo caso i primi comportamenti aggressivi hanno caratteristiche di impulso, e sono accompagnati spesso da altri reati di impulso (ad es. incendi) e gli omicidi avvengono a distanza ravvicinata nel tempo.
Altre volte l’orgasmo è provocato soprattutto dagli atti sadici attuati sulle vittime ancora viventi la cui morte spegne nell’aggressore l’eccitazione (es. caso BARSCH); oppure al contrario, coincide con il momento della morte della vittima (o con il momento ritenuto tale dall’aggressore), e ciò si verifica più di frequente quando non viene ricercato in modo particolare il contatto diretto con la vittima. _
Da quanto si è già detto sui casi in esame appare più probabile la terza delle evenienze considerate, e cioè che l’orgasmo coincida con i momenti in cui l’aggressore ritiene di compiere gli atti più decisamente mortali, vale a dire in primis quando spara, e secondariamente quando infligge le ferite da arma bianca. Si è avanzata l’ipotesi, nella parte dedicata all’analisi della dinamica materiale, di una maggiore “eccitazione” dell’omicida nelle prime fasi dell’azione, e di una progressiva maggior freddezza. Ciò sposterebbe il momento culminante sul piano sessuale nelle prime due fasi dell’azione, e configurerebbe importanza rilevante soprattutto all’uso dell’arma da fuoco, ed alla morte procurata con tale strumento lesivo.
In questo caso l’arma da fuoco assumerebbe parte preponderante nelle fantasie sadiche, sarebbe di per sè oggetto di “culto” feticistico, “strumento” indispensabile sul piano psico-sessuale per l’attuazione del delitto e per la sua rievocazione in fantasia; mentre gli atti successivi, compresa l’escissione, avrebbero un significato per così dire di contorno e sarebbero compiuti in chiave sadica, per poter aumentare l’atmosfera di eccitazione connessa al fatto nelle successive rievocazioni, per destare sugli altri un maggiore orrore nei confronti dei fatto, ecc.
In questo caso si potrebbe ipotizzare un amore per le armi da fuoco (tipo collezionismo, frequentazione di poligoni di tiro, ecc.); le modalità di gratificazione sessuale potrebbero comprendere la simulazione dell’atto omicidiario attraverso l’intervento di partners, o situazioni sadico-sessuali con presenza di armi da fuoco. Tali simulazioni, che potrebbero essere state conseguite tramite il reperimento di coppie e partners attraverso inserzioni su riviste pornografiche, o servendosi di prostitute compiacenti, potrebbero aver consentito un relativo equilibrio sessuale. per un certo tempo, e spiegare così i lunghi intervalli tra i primi tre delitti o, quantomeno, tra il secondo ed il terzo delitto. Abbiamo più volte sottolineato le differenze tra il secondo delitto e gli altri tre connotati decisamente in senso sessuale, differenze consistenti essenzialmente in una minor metodicità dei comportamento, in una forte componente emotiva, nella presenza di componenti d’impulso, nell’atteggiamento “esploratorio” da parte dell’omicida nei confronti delle vittime di sesso femminile. Se confrontate con le tipologie generali già delineate, queste caratteristiche inducono a ritenere il duplice omicidio dei 74 come la prima esplosione di un sadismo sessuale a lungo controllato ed inibito, e vissuto soltanto in fantasia e con pratiche solitarie, in quanto ego-distonico (almeno parzialmente), ossia conflittuale, in un soggetto senza precedenti conoscenze di rapporto etero-sessuale vero e proprio. In tal caso, nel lasso di tempo che va dall’omicidio Pettini Gentilcore (1974) a quello De Nuccio-Foggi (1974-1981), potrebbero trovar posto una prima reazione conflittuale al fatto commesso, poi un tentativo d’insoddisfare i propri desideri sadici con azioni sostitutive surrettizie, quindi una progressiva accettazione ego-sintonica dei proprio sadismo omicida ed un “perfezionamento” nella elaborazione dell’azione delittuosa.
Tutta l’azione, dalle fasi preliminari di preparazione, fino all’asportazione dei pube, è verosimilmente connessa ad uno stato di eccitazione o di tensione sessuale. Ciascuno dei tre aspetti di maggior rilievo (voyeristico, sadico, feticistico) può dunque essere ricercato dall’omicida (o essere stato ricercato in passato) come gratificante di per sè solo. Il progressivo “perfezionamento” dell’atto omicidiario (e delle fantasie connesse), induce a ritenere che tali gratificazioni parziali siano di più probabile evenienza se riferiti al passato, in momenti, cioè, in cui le fantasie sadiche atte alla gratificazione sessuale erano relativamente più indifferenziate.
Fatti feticistici possono essere stati commessi prima dell’omicidio del 1974 e nel periodo immediatamente successivo; prima che si facesse strada chiaramente il “progetto” dell’escissione del pube.
Comportamenti di tipo “voyeristico” sono attualmente probabili (compatibilmente con la cautela e, l’astuzia con cui si muove l’omicida) in funzione delle scelte dei luoghi e, soprattutto, dell’attesa di una situazione propizia per commettere l’omicidio, essendo impensabile che l’omicida sia andato “a colpo sicuro”, ogni volta che ha commesso un delitto.
Come si è già detto, nei casi in questione, la componente voyeristica è in realtà una componente situazionale, in cui all’atto dei guardare, tipico dei voyeur, viene sostituita l’intrusione sadica.
Comportamento, quest’ultimo, che può comunque derivare dal primo, sia sul piano psicogenetico che su quello materiale: vale a dire che l’omicida può essere primitivamente un voyeur, in cui si sono progressivamente (o improvvisamente, per un fatto psico-traumatico, quale potrebbe essere stato l’assistere al primo duplice omicidio) , slatentizzate le cariche distruttive connesse con l’impulso voyeristico. In questo caso ai al primitivo impulso voyeristico si possono essere sostituite fantasie di intrusione sadica. Per alimentare le quali il soggetto in questione può aver continuato ad avere comportamenti voyeristici surrettizi (spiare coppiette fantasticando di interrompere il rapporto sessuale) eventualmente agendo solo in parte le proprie fantasie sadiche, ad es. disturbando o spaventando le coppiette, lanciando sassi contro le vetture, mostrandosi improvvisamente in atteggiamento esibizionistico e minaccioso, esplodendo qualche colpo di arma da fuoco. Ciò soprattutto nel periodo antecedente all’omicidio del 1974, che rappresenterebbe una esplosione della distruttività non più contenibile.
Se si tratta di un soggetto con abitudini mercenarie, può avere tentato, nel periodo successivo (e qui l’ipotesi confluisce in gran parte con quella precedentemente descritta in merito al perfezionamento dell’impulso sadico) di riprodurre la situazione eccitatoria servendosi della compiacenza di prostitute. Sono descritti, in letteratura scientifica, casi di soggetti che ricercavano espressamente una situazione di tipo triangolare nella quale o si sostituivano attivamente ad un altro partner nel rapporto con una prostituta, o venivano semplicemente soddisfatti dall’interrompere l’atto sessuale di una terza persona attirando su di sè le attenzioni della prostituta (Kraft, Ebing, Abraham). Le stesse situazioni possono essere state riprodotte attraverso l’utilizzazione di partners compiacenti, conosciuti mediante inserzioni su riviste pornografiche.
Se si incentra l’attenzione sugli aspetti feticistici dell’azione delittuosa, assunti come momento-motivazionale principale, o come momento culminante dell’eccitazione sessuale, gli altri elementi finora analizzati, per la loro pregnanza, non possono essere comunque considerati soltanto alla stregua di elementi di sfondo, bensì come atti di per sè gratificanti o comunque necessari a creare l’atmosfera eccitatoria di quell’atto appropriativo “sui generis” rappresentato dall’entrare in possesso dell’oggetto feticistico, costituito in questo caso dal pube.
Si tratterebbe in questo caso di una variante sadica della perversione nota come “feticismo di parti del corpo ed in particolare “feticismo genitale”, nella quale per l’appunto una parte dei corpo umano (in questo caso il pube), in altri casi il seno, il collo, l’orecchio, il piede, o come avveniva più spesso in passato? nel Nord Europa, le trecce di capelli) polarizza su di sè tutto l’interesse sessuale, anche fino ad un punto tale che soltanto il toccamento e la manipolazione di quelle parti del corpo femminile consentono di pervenire alla completa soddisfazione sessuale. Questa forma di feticismo e spesso legata ad elementi sadici. Componenti di feticismo di parti dei corpo (collo) rientrano anche nei lust morder in cui la morte è ottenuta per strangolamento (casi Eichorn e Kurten in Germania, caso Verzeni in Italia, caso Vacher in Francia, ecc.), ma l’esempio più classico di sado-feticismo per parti dei corpo è quello dei c.d. tagliatori di trecce (frequente nella Germania della fine dei secolo scorso. ma comparso anche in altri Paesi), in cui l’atto sadico è per lo più limitato al tagliare i capelli, e l’eccitazione sessuale è ottenuta mediante la manipolazione dei medesimi.
Nell’ambito dei feticismo dei capelli, che può essere qui assunto in un certo senso a titolo paradigmatico, la fissazione feticistica può essere tanto marcata da consentire soddisfacimento sessuale soltanto sotto forma di manipolazione masturbatoria dell’oggetto feticistico “Isolato (vale a dire asportato), oppure può essere tale da consentire al soggetto di ottenere gratificazione attraverso la manipolazione ‘furtiva’ dell’oggetto feticistico “in situ” (ad es. tra la folla, su di una donna sconosciuta), o anche può essere tale per cui soltanto la manipolazione dei capelli consente l’erezione e l’orgasmo nell’ambito di un rapporto sessuale che può apparire alla partner quasi ‘normale’.
Krafft-Ebing riferisce un caso di un feticista dei …. peli dei monte di venere. per il quale non v’era piacere maggiore dello strapparli coi denti. Egli ne faceva raccolta e, rompendoli più tardi sotto i denti, provava il soddisfacimento sessuale. Corrompeva del personale d’albergo per poter andare a cercare i peli nei letti in cui avevano dormito delle donne.
In tale ricerca provava un eccitazione sessuale intensissima….” Il “feticcio”, una volta asportato e probabilmente in qualche modo ‘conservato’, può essere utilizzato in tre modi:
a) semplicemente come oggetto da ‘manipolare’, in quanto di per sè fonte di eccitazione e soddisfacimento (se è più accentuata la componente feticistica), oppure In quanto atto a rivivificare nella fantasia la situazione delittuosa (nel caso sia più accentuata la componente sadica);
b) come oggetto rientrante nell’ambito di uno ‘strumentario sadomasochistico, per atti complessi d’autonomosessualismo; in questo caso il pube asportato potrebbe essere per così dire ‘indossato’ dallo stesso soggetto, per atti automanipolatori che dovrebbero verosimilmente includere anche atti autolesivi, nell’ambito di una
“finzione” sado-masochistica, nella quale il soggetto gioca contemporaneamente i ruoli di vittima e di aggressore (questa ipotesi appare comunque la meno verosimile in quanto meno conciliabile delle altre con il forte sadismo eterodiretto dell’azione delittuosa, anche se trova antecedenti similari in casi descritti da Berg);
c) come oggetto feticistico che acquista valore se inserito in una serie di azioni ‘simulate’, nell’ambito delle quali l’omicida finge una scena più o meno complessa, con una partner (o partners) immaginari.
Tutte le ipotesi formulate non contrastano con l’estensione dell’escissione dal pube al seno. Volendo tradurre queste
considerazioni in ulteriori ipotesi circa possibili comportamenti dell’omicida, si può affermare che, nel caso dell’automonosessualismo, ci si può aspettare esiti autolesivi delle praticare masturbatorie (es. ferita da arma da taglio in zone circostanti il pube e i genitali), più che non comportamenti eterolesivi.
Nel caso di “finzioni’ masturbatorie di diverso genere può entrare in causa invece materiale pornografico, tipo bambole gonfiabili.
Altri comportamenti ipotizzabili sono quelli che consentono all’omicida qualche forma di contatto con il pube femminile, indipendentemente dalla ricerca di rapporto sessuale. Possono entrare in causa in questo caso i comportamenti da “frotteur’. L’omicida può avere inoltre, o aver avuto in passato, una professione che gli consenta qualche forma di contatto con l’oggetto feticistico (infermiere, massaggiatore); in tale ambito può aver avuto ‘noie’ in passato per qualche comportamento di tipo frotteuristico su pazienti o clienti (richiami disciplinari, licenziamento).
8. L’omicida è un malato di mente?
Le deduzioni in chiave psicodinamica, a nostro avviso, possono portare scorsi contributi sia alla soluzione dei problema della sussistenza o meno di una patologia mentale, sia alla formulazione di ipotesi “fenomeniche” utili per le indagini, in quanto possono riguardare prevalentemente la psicogenesi del sintomo e i meccanismi profondi e inconsci della personalità.
E’ molto probabile che l’omicida abbia vissuto dei conflitti precoci nell’ambito dei rapporti con i genitori, e che in ciò risieda l’origine delle sue deviazioni sessuali. Angoscia di castrazione per la presenza di aggressività distruttiva nei confronti della madre nell’età in cui si presenta la situazione edipica, sessualizzazione dell’Edipo con fusione di cariche libidiche ed aggressive, e “fissazione” ad una fantasia sadica o ad un episodio accidentale con forte effetto eccitatorio, possono indubbiamente aver contrassegnato le fasi infantili dei suo sviluppo psicosessuale. Il “set delittuoso” allude con orrida verosimiglianza alla reiterazione di una “scena primaria”, o capitale (così la psicoanalisi definisce l’osservazione da parte dei bambino dell’attività sessuale degli adulti, e le fantasie ad essa connesse) interpretata in chiave dì violenza e di sopraffazione della madre da parte del padre, e ad un tempo fonte di eccitazione sessuale. Così come il macabro rituale dell’escissione può avere il significato inconscio di una castrazione simbolica, o rappresentare di per se l’equivalente di un atto sessuale, vissuto in chiave di castrazione per una fissazione alle interpretazioni infantili .della “scena primaria”.
Altre ipotesi potrebbero essere formulate, quali ad esempio una profonda ed inconscia, ma molto accentuata, ambivalenza nei confronti della madre, risoltasi sul piano conscio e comportamentale in un profondo attaccamento ed in una idealizzazione della madre, con una scissione delle componenti aggressive, che vengono indirizzate sulla donna più in generale e canalizzate attraverso le manifestazioni sessuali abnormi.
Ciò non significa però che l’individuo in questione debba vivere necessariamente con la madre,’ da scapolo, in un rapporto di quasi simbiosi (anche se ciò non è affatto da escludersi e anzi non è improbabile): i rapporti idealizzati possono essere vissuti anche a distanza. o in un contesto ambientale e familiare complesso; così come un determinato assetto dei meccanismi intrapsichici di difesa può diventare parte integrante della personalità ed assumere l’aspetto di un tratto stabile, che continua ad agire indipendentemente dal contesto situazionale. Il mondo psichico non sempre riflette una realtà fenomenica di concreta evidenza; si può continuare a subire l’influenza di un rapporto infantile molto pregnante e distorto con la figura materna, pur accettando il distacco della madre reale.
Inoltre, il mondo psichico si costituisce sulla base di vissuti soggettivi, che spesso attribuiscono agli eventi un peso ed un significato diversi da quello che essi hanno nella realtà fenomenica: così il fatto che li rapporto sessuale venga vissuto da un adulto in chiave di violenza fisica o di castrazione simbolica, secondo le interpretazioni che il bambino dà della “scena primaria”, non significa necessariamente aver assistito in famiglia, reiteratamente, ad atti sessuali violenti. La persistenza di componenti infantili nella sessualità dell’adulto è condizionata, più che da fatti concreti, dall’elaborazione di fantasie, dalla loro pregnanza iniziale e dalla loro persistenza nel tempo, e quindi dalla loro capacità di incidere sull’assetto della personalità.
L’interpretazione psicoanalitica fornisce quindi, in altri termini, interessanti ipotesi dinamiche intrapsichiche che possono essere sottese (in senso psico-dinamico e psico-evolutivo) all’attuazione di comportamenti abnormi in campo sessuale, ma che non si prestano, tuttavia, ad essere tradotte tout-court in elementi fenomenici comportamentali e caratterologici fruibili al sensi della presente indagine.
Indubbiamente, però, vi sono casi in cui un’aberrazione sessuale grave quale quella sottesa agli omicidi in esame trova riscontro in elementi concreti legati alla distorsione della sessualità infantile: il lustmorder pluriomicida Kurten ricordava molto bene di aver sempre assistito, in epoca infantile, agli atti sessuali dei genitori (tutta la famiglia dormiva nella stessa stanza) a suo dire connotati da particolare violenza per la brutalità del padre, etilista. Le statistiche sugli autori di reati sessuali in generale dimostrano inoltre che molti di essi sono stati a loro volta, in epoca infantile, vittima di aggressioni sessuali.
E’ indubbio che nella psicogenesi delle aberrazioni sessuali intervengono da un lato elementi legati alla psico-sessualità infantile, le cui costanti psicologiche sono state bene analizzate e descritte dai teorici della psicoanalisi, e da un altro lato esperienze reali (di natura sessuale e non, accidentali o reiterate,) alle quali rimane in qualche modo ‘fissato” lo sviluppo della sessualità; tali fattori possono combinarsi ed evolvere secondo modalità molteplici, e dar luogo quindi ad una estrema varietà di comportamenti, cui non corrispondono categorie tipologiche, se non quelle tautologicamente asseriate secondo le principali caratteristiche dei comportamenti abnormi stessi.
Poca importanza assumono. a questo punto, le questioni di collocazione nosografica delle prevenzioni sollevate dalla psicoanalisi: se cioè le perversioni non. siano altro che nevrosi in cui il sintomo è sessualizzato, la sua scarica piacevole, e quindi più facilmente egosintonica ed aconflittuale; o siano entità a sè stanti, l’esatto “rovescio” delle nevrosi, in quanto si incontrano sulla conservazione di punti di fissazione (inerenti alla sessualità infantile), sulla difesa dei quali si costruisce invece la struttura nevrotica; o siano invece situabili in una “zona di confine” tra nevrosi e psicosi, più imparentate con queste ultime che non con le prime, quasi come fossero una crosta di superficie che maschera i nuclei psicotici connessi con i punti di fissazione preedipici”.
Si tratta infatti in ogni caso di problemi semantici e/o psicopatogenetici, la cui soluzione nulla cambierebbe in ordine alle possibilità di prevedere, nel caso in questione la compresenza nell’omicida di tratti o sintomi psicopatologici, al di là dell’abnormità sessuale e dei comportamenti ad essa connessi.
Per quanto attiene agli interrogativi che il caso propone in ordine alla sussistenza o meno di una patologia mentale nell’autore dei delitti in esame, occorre premettere che, in tesi generale, i dati inerenti alla metodicità, premeditazione, cautela nonché al protrarsi tanto a lungo nel tempo delle stesse modalità omicidiarie, e i lunghi tempi intervallari tra un delitto e l’altro, porterebbero ad escludere la presenza di una conclamata patologia dì tipo psicotico, come tale riconosciuta dall’ambiente, portata a rilevazione clinico-psichiatrica ed oggetto di provvedimenti terapeutici. Le stesse considerazioni portano ad escludere il ricorso di patologia deficitarie (oligofrenie) spesso implicate in casi di lustmord, o di quelle patologia neurologiche o di natura similpsicotica cui possono accompagnarsi stati ipersessuali ed ipererotismo, in quanto in questi casi si ha per lo più una sessualità sfrenata, che può portare anche ad azioni violente, fino ali omicidio, però nell’ambito di comportamenti impulsivi che hanno come scopo il soddisfacimento immediato ed indiscriminato dell’impulso sessuale.
Allo stesso modo riteniamo improbabile una patologia di tipo epilettico; sia in quanto generalmente si accompagna a diminuzione della libido; sia in quanto è da escludersi, nel caso in questione, che gli atti omicidiari siano commessi durante fasi accessuali, per la loro evidente premeditazione e metodicità. Siamo tuttavia consapevoli dei fatto che, quando il soggetto verrà arrestato quale imputato di questi delitti, e sottoposto a perizia psichiatrica, un esito molto probabile sul piano clinico-valutativo sarà una diagnosi di schizofrenia paranoide. Ciò potrà avvenire per molti motivi: innanzitutto comportamenti di tanto grave abnormità, quali sono i delitti in questione, nell’ottica dell’esame clinico psichiatrico, acquistano di per sè valore di sintomo, specialmente quando vengono “storicizzati” nel contesto dell’esame biografico e di una anamnesi clinica, e collegati ad altri elementi clinici, di per sè non decisamente qualificanti sul piano diagnostico, ma che possono acquistare nel contesto generale dell’analisi personologica, comportamentale ed esistenziale un nuovo e più frequente rilievo; in secondo luogo l’arresto e l’incriminazione potrebbero agire, in qualche modo, da fattori di scompenso, o di accentuazione di elementi patologici sinora contenuti entro limiti subclinici, e ciò conformerebbe il valore di sintomo patologico dei comportamenti delittuosi.
Tuttavia, al momento attuale, dire che l’autore dei delitti in esame è uno schizofrenico paranoide, significherebbe soltanto tradurre in termini scientifici e nosografici un’ovvietà culturale ed un bisogno del senso comune, di considerare estranei ala norma l’autore di fatti che suscitano tanto orrore. Oltretutto, ciò non aiuterebbe minimamente, a nostro avviso, le indagini giudiziarie, in quanto, come già detto, anche qualora la diagnosi di schizofrenia paranoide fosse effettivamente applicabile sin d’ora al soggetto in questione, è molto improbabile che essa sia già stata posta.
Ci limitiamo quindi ad annotare, quale evenienza possibile, una reazione (di tipo ansioso o depressivo) in epoca immediatamente successiva al secondo delitto, posto che esso ha connotazioni di impulsività e di “scoppio incontrollato di distruttività”, tali da poter alludere ad una condizione di sadismo conflittuale, non ancora completamente ego-sintonico. Il fatto di aver effettivamente compiuto l’azione delittuosa (benché da tempo fosse fantasticata) può aver avuto ripercussioni transitorie sull’equilibrio psichico dei soggetto, prima che questi arrivasse ad accettarla come “inevitabile” e a progettarne la reiterazione, come è avvenuto in effetti dal 1981 in poi. _
Abbiamo già sottolineato gli aspetti relativi alle dinamiche omicidiarie che fanno propendere il giudizio sull’omicida più nel senso di un iposessualità che non di un’ipersessualità. Ciò può dipendere esclusivamente da semplici fattori di inibizione psichica al rapporto eterosessuale (che in ogni caso dovrebbero essere presenti), ma può far pensare anche alla presenza di fattori costituzionali (ad es. sindrome di Klinefelter, ipogonadismo, acromegalia) tali comunque da determinare un quadro di comportamento iposessuale, persistenza di secrezione ormonale sufficiente a conservare lo stimolo e te fantasie sessuali, diminuzione o abolizione della potenza sessuale.
Considerazioni conclusive.-
Prima di evincere dalle considerazioni sin qui svolte, in forma riassuntiva, gli aspetti più pertinenti alle risposte ai quesiti peritali, sottolineiamo ulteriormente che, nel corso dell’analisi casistica e del successivo commento, abbiamo volutamente dato rilievo a tutte le ipotesi, anche se tra loro in esplicita contraddizione, di volta in volta richiamate dagli elementi fenomenici e/o valutativi.
Ciò in quanto ci è parso opportuno, in questa fase delle indagini giudiziarie, e date le peculiari finalità criminalistiche della perizia, non trascurare alcun aspetto potenzialmente in grado di portare un contributo alle indagini in corso.
Essendoci posti fin dall’inizio in tale prospettiva abbiamo adottato un metodo apparentemente inverso (in quanto analitico) a quello che sarebbe occorso (sintetico) per costruire un unico “profilo tipologico” d’autore, inteso in senso “predittivo”: per fare ciò, infatti, avremmo dovuto cogliere soltanto gli aspetti preminenti e le costanti di maggior rilievo, eliminando elementi apparentemente accessori e riempiendo i vuoti” costituiti dall’assenza di evidenze documentarie, attraverso il ricorso a tipologie nosografiche.
Dopo lunghe discussioni nell’ambito dei Collegio peritale e confronti di opinioni con i Magistrati che conducono le indagini, abbiamo accantonato questo metodo, in quanto ritenuto fuorviante e deleterio per le indagini.
In poche parole abbiamo voluto evitare il rischio di avallare in sede peritale stereotipi ed ovvietà culturali, di cui ormai abbonda la pubblicistica editoriale e giornalistica accumulata in questi anni sul tema dei delitto in esame, ed alla quale si è progressivamente affiancata la visione “scientifica” dei problema per gli interventi sistematici od estemporanei di esperti in scienze dei comportamento, dai quali sono state espresse varie ipotesi, più o meno accreditabili, sulla tipologia personalogica e/o psicopatologica dell’autore dei delitti, ormai consacrato dalla stampa come “il mostro di Firenze” (pubblicistica che, peraltro, può non essere dei tutto estranea al “processo di evoluzione stilistica” dell’omicida con particolare riguardo all’estensione dell’escissione dal pube al seno, alla gratificazione sadico-sessuale derivante da certe parti dell’azione conseguenti alla loro rappresentazione ad opera dei mass-media ed all’effetto sull’opinione pubblica, ecc.).
Il metodo da noi adottato in esito a scelte tese a contemperare l’esigenza di risultati con le esigenze metodologiche proprie dell’attività peritale, si avvicina per molti aspetti a quello criminalistico recentemente adottato negli U.S.A., quantomeno nelle premesse teoriche, in quanto posto sul piano della ricerca di corrispondenze tra singoli elementi (o complessi di dati) documentari e tratti tipologici e/o comportamentali attribuibili con criterio probabilistico all’autore dei delitti. Negli USA l’applicazione dei metodo si avvale di un’elaborazione statistico-informatica, come si è detto, sulla base di un confronto dei dati raccolti in ogni delitto oggetto di indagine con quelli inerenti ad una ricca casistica di delitti similari con autori noti.
Noi abbiamo dovuto far ricorso, per tale confronto, alla casistica descritta nella letteratura scientifica, il che ha sollevato non pochi problemi: ad es. in ordine alle disomogeneità dei dati descrittivi forniti per ciascun caso, alla datazione non sempre recente della casistica, alla differente, e talora arcaica, modalità di descrizione dei tratti psicologici, personologici, psicopatologici. Inoltre, nella casistica presa in considerazione, risultano pochissimi casi di lust morder (o di atti perversi sadici) commessi da autori italiani.
Tali delitti, infatti, sono commessi in prevalenza nei paesi di lingua e cultura germanica e anglo-sassone e sembrano espressione, sia pur abnorme, più della cultura puritana protestante e anglicana, che non di quella latina: tanto che anche secondo il metodo predittivo adottato in U.S.A. indica l’autore di lust morder come molto probabilmente di origine protestante, mentre induce a cercare più spesso tra i latini e le persone di colore gli autori di aggressioni sessuali, con o senza omicidio.
Abbiamo già analizzato nei capitoli 5 e 6 di questo elaborato le analogie e le differenze tra i singoli delitti, in base agli elementi di valutazione offerti dalla documentazione, e non è possibile pervenire a risposte producibili con criterio di certezza ai molteplici interrogativi sottesi ai quesiti peritali, molti dei quali debbono considerarsi risolti in via meramente probabilistica.
Fatta questa premessa, possiamo affermare che l’analisi della dinamica materiale del 3°,4° e 7° delitto, nonché l’analisi elettronica di immagini condotta sulla documentazione fotografica relativa alle aree di escissione dei pube delle vittime di sesso femminile, consentono di affermare con sufficiente criterio probatorio che i 3 delitti sono opera a dei medesimo autore.
Il movente degli atti delittuosi in questione è da ricercarsi in una motivazione sadico-sessuale, che qualifica gli omicidi come “lust morder”, secondo una terminologia scientifico-giuridica germanica, poi adottata anche nei paesi anglosassoni; e sul piano psico-sessuale come equivalente sadico dell’atto sessuale”, in base ad una classificazione psico-motivazionale desunta da una ricca casistica di omicidi tedeschi.
Il secondo delitto, pur presentando differenze sia sul piano della dinamica materiale che per alcuni aspetti della dinamica psicologica sottesa alle azioni dell’omicida, presenta caratteristiche che lo pongono in diretto rapporto con gli altri tre delitti, qualificandolo del pari come lust morder, e connotandolo come una tappa del modus operandi ovvero del “processo di evoluzione stilistica dell’omicida”, sia sul piano materiale che sul piano psicologico. Il secondo delitto appare tuttavia connotato a componenti di impulso e di emozionalità che non compaiono nei successivi, caratterizzati da maggior metodicità e predeterminazione nell’azione.
Il 5° ed il 6° delitto non presentano evidenze documentarie atte a qualificarli esplicitamente come lust morder, anche se presentano analogie situazionali e dinamiche con gli altri delitti, tali da consentire la attribuzione allo stesso autore. Va sottolineato inoltre che il lust morder spesso si palesa come tale per la presenza di lesioni, o mutilazioni a chiara connotazione sessuale; in realtà però peculiari lesioni o mutilazioni possono anche mancare (cfr. ad es. alcuni dei delitti di Kurten). Vale a dire che, decampando dall’ottica delle indagini per entrare in quella della realtà fenomenica e motivazionale delle azioni delittuose, il lustmord è tale per il rapporto che esiste tra un certo tipo di azione violenta contro le persone e l’eccitamento e il godimento sessuale che ne deriva all’autore, e che, da questi viene ricercato. Nei casi 3, 4, 7, ci troviamo di fronte ad azioni molto complesse, che implicano aggressione ed omicidio con arma da fuoco, lesioni da arma da punta e taglio, escissione di parti sessuali: è probabile che tutta la sequenza sia attuata dall’omicida in uno stato di eccitazione sessuale, ma non è detto che il momento dell’escissione sia quello culminante e che l’escissione stessa sia il “primum movens” di tutta l’azione ovvero la motivazione principale dell’omicida. Ciò è possibile, ma non certo. Indubbiamente il rituale dell’escissione costituisce il principale elemento su cui si è imperniata l’evoluzione psico-motivazionale dell’omicida dal secondo delitto ai successivi.
Per quanto attiene alla prefigurazione in fantasia della dinamica dell’azione delittuosa, ma non è certo che le fantasie di mutilazione esistessero già al momento del secondo delitto, anzi è improbabile, altrimenti l’omicida le avrebbe sicuramente attuate, sia pur in modo puramente distruttivo e maldestro. Appare quindi più probabile che le prime (e persistentemente più pregnanti) fantasie sadico-sessuali implicassero il duplice omicidio per arma da fuoco, oppure l’omicidio della vittima di sesso maschile accompagnata da qualche forma sadicopredatoria nei confronti della vittima di sesso femminile, non ancora ben elaborata, evoluta soltanto in seguito nelle fantasie relative al “rituale” dell’escissione.
Se questa interpretazione corrisponde al vero se ne possono trarre alcune deduzioni: da un lato Il 2° delitto si porrebbe come “esordio” nell’attività sadicosessuale omicidiaria dell’autore dei delitti, e ciò spiegherebbe la “scompostezza” di tutta l’azione, dall’esplosione sadico-lesiva a quella sorta di perplessità che sembra di poter attribuire all’omicida dì fronte al cadavere della vittima di sesso femminile, quasi come si fosse trattato per l’omicida di uno strano “oggetto it di interesse, di cui aveva voluto appropriarsi pur non sapendo bene cosa ne avrebbe fatto.
Dall’altra parte il 5° ed Il 6° delitto, al di là delle situazioni e/o condizioni che si possono considerare alla stregua di imprevisti, e che non hanno consentito all’omicida di (o possono averlo fatto desistere dal) completare l’azione come di consueto, si pongono ugualmente come lustmords, sia nelle intenzioni che nella realizzazione conseguita in quanto attuazione delle fantasie sadicosessuali in via principale ricercate e legate alla gratificazione sessuale.
In terzo luogo, il primo delitto della serie. pur potendo teoricamente essere paragonato al 5° ed al 6°, non risponde appieno a criteri di analisi evolutiva, e si pone quindi, tra tutti, nella posizione più eccentrica, lasciando seri dubbi sia sulla identità motivazionale che sulla identità d’autore con gli altri delitti; anche se, quantomeno per la identità d’autore, non si può non riconoscerne la possibilità, sulla scorta dei dato di fatto concernente l’arma da fuoco usata, che le perizie balistiche indicano sia la stessa utilizzata nei casi successivi. Il rapporto tra il primo delitto e gli altri, tuttavia. potrebbe sussistere anche sulla base di un suo potere suggestivo, come stimolo qualificato alla slatentizzazione di componenti sadicosessuali, per chi lo ha commesso o semplicemente per chi vi abbia assistito.
Gli elementi di valutazione esaminati concordano con quanto emerge dalla letteratura scientifica per quanto attiene ad alcune caratteristiche di fondo dell’autore di lust morder; un soggetto che agisce scegliendo i luoghi e le situazioni ma non le vittime, che gli sono in genere sconosciute, sotto la spinta di un impulso sessuale abnorme nel quale confluiscono cariche aggressive profonde sessualizzate (sadismo sessuale) ed un desiderio sessuale (ad orientamento quasi sempre eterosessuale), che in genere non trova altre vie di appagamento se non quelle dell’azione sadica e delle
fantasie sadiche masturbatorie, nell’ambito delle quali spesso si esaurisce la sua sessualità extra-delittuosa.
Nella vicenda in esame è tuttavia possibile che l’omicida conoscesse precedentemente le vittime (quantomeno quella di sesso femminile) almeno per quanto riguarda il secondo delitto; poteva però trattarsi di una conoscenza “unilaterale”; si tratta certamente di un soggetto di sesso maschile, che agisce da solo, con tutta probabilità destrimane, con una destrezza semi-professionale nell’uso dell’arma da taglio ed una conoscenza quantomeno dilettantistica nell’uso di arma da fuoco.
Il “modus operandi” del soggetto ha subito, nel succedersi dei delitti, un progressivo perfezionamento sia per quanto attiene l’uso dell’arma da fuoco che dello strumento tagliente, la destrezza e la sicurezza nell’azione. li suo “senso di sicurezza” è forse lievemente aumentato negli ultimi casi, tanto da fargli lasciare qualche traccia di sè, ma non fino al punto dell’ostentazione, dell’aperta sfida, del senso di onnipotenza.
La metodicità, la sistematicità, la cautela, l’astuzia e la capacità nel non lasciare tracce di sè, ecc. denotano una personalità sufficientemente organizzata, probabilmente capace di buona integrazione nel contesto ambientale dì appartenenza. Si tratta di un soggetto con sicure connotazioni psicopatologiche della personalità ma ciò non significa affatto la presenza di una forma di patologia mentale grave già diagnosticata: le turbe della sfera sessuale possono accompagnarsi a screzi nevrotici, o essere il sintomo occulto di una patologia più grave, di per se altrimenti e/o non macroscopicamente evidente.
La personalità implicata dalle azioni delittuose non e esprimibile sui piano nosografico se non, tautologicamente, in termini di parafilia e di devianza sessuale.
Le modalità dell’azione depongono comunque più per una ipo-sessualità che non per una ipersessualità, se non addirittura per una tipologia d’autore che raramente è in grado di avere normali rapporti sessuali.
Da ciò si può dedurre, in linea di massima, che le maggiori probabilità stanno per l’ipotesi che l’omicida sia un uomo non perfettamente integrato sul piano affettivo ed emotivo con una figura femminile. Il senso comune potrebbe suggerire riduttivamente trattarsi di uno scapolo, ma le connotazioni psicologiche alle quali intendiamo far riferimento non corrispondono necessariamente ad una condizione di stato civile, potendo rispecchiare situazioni di convivenza e di rapporti con figure femminili le più diverse.
I PERITI
Proff. Francesco De Fazio, Ivan Galliani, Salvatore Luberto _