“In carcere non c’è il mostro” Le indagini ripartono da zero

FIRENZE – E’ primavera e di notte le colline sono piene di auto cariche di giovani innamorati. Dice Carlo Bellitto che ha la funzione di procuratore della Repubblica di Firenze: “Sì, i ragazzi sono tornati ad appartarsi nelle stradine di campagna. Ma io dico loro: non state isolati. Il pericolo è costante. Per noi non è cessato”. Ma come dottore, avete ancora paura del mostro? E quel Giovanni Calamosca che è in carcere da una ventina di giorni? “Il mostro non è lui”, taglia corto il magistrato. Ma la situazione non è così semplice come può sembrare dalle dichiarazioni del procuratore. La storia del mostro di Firenze in realtà si è arricchita di un nuovo complicato capitolo che ha come protagonisti magistrati, carabinieri, un detective privato oltre naturalmente a Giovanni Calamosca in carcere dal mese di marzo, accusato di detenzione di una pistola che nessuno ha trovato ma che quattro testimoni giurano di avergli visto in mano. Una pistola calibro 22, come quella che è diventata il marchio inconfondibile del mostro di Firenze che ha già mietuto quattordici vittime, sette giovani coppie. Ufficialmente son tutti convinti dell’ innocenza del Calamosca che, chiuso in una cella del carcere di Sollicciano, scalpita e si proclama innocente. Da qualche giorno gli sarebbe stata notificata una comunicazione giudiziaria per l’ ultimo duplice omicidio, quello di Pia Rontini e Claudio Stefanacci, brutalmente assassinati nel luglio scorso. Lo si deduce dalle imputazioni mosse dalla magistratura al grande accusatore del Calamosca, l’ investigatore privato Adriano Gei, al quale è stata contestata la “diffusione di notizie esagerate o tendenziose atte a turbare l’ ordine pubblico”. Ma non false. “Questo è un caso montato dalla fantasia dei giornali – dice l’ avvocato Emilio Macari, difensore del Calamosca – il mostro non è certamente il mio assistito. Il Gei l’ abbiamo querelato per diffamazione. La comunicazione giudiziaria? Questa storia è una bolla di sapone. Ma anche se il Calamosca avesse ricevuto una comunicazione, mi spieghi cosa vuol dire. Con l’ aria che tira chi è che oggi non ha ricevuto una comunicazione giudiziaria?”. Insomma la comunicazione giudiziaria, se è stata emessa, avrebbe come unico scopo quello di tutelare i diritti dell’ imputato che tuttavia a sessantatrè anni, rischia di vedersi appiccicata addosso una bruttissima etichetta. A Firenze poi non si parla d’ altro. Il “mostro” è presente in tutte le discussioni e, all’ Università, al Magistero, c’ è anche chi sta preparando una tesi di laurea sui rapporti “stampa-mostro”. E’ un caso da studiare perchè oltre ai quattordici delitti c’ è anche la storia dei quattro innocenti che in varie epoche sono finiti in carcere: Giovanni Mele e Piero Mucciarini, scarcerati l’ ottobre scorso, l’ infermiere Enzo Spalletti e il muratore di Montelupo Francesco Vinci. Di quest’ ultimo è amico Giovanni Calamosca, borghese di Imola, sposato e separato, dalla metà degli anni Sessanta trasformatosi in pastore ed entrato in contatto anche con qualcuno di quei sardi che fanno parte dell’ Anonima, coinvolto insieme a Vinci nell’ inchiesta sull’ omicidio di Natalino Sechi (tutti e due sono stati prosciolti). Giovanni Calamosca vive in un casolare isolato che si chiama Ca Burraccia, vicino a Firenzuola, non molto lontano da Vicchio. Ha qualche rapporto d’ affari con Renzo Rontini, padre di Pia, la giovane uccisa a luglio. Dopo l’ ultimo omicidio i carabinieri cominciano a tenerlo d’ occhio anche per una segnalazione del padre della ragazza e perchè in paese si vocifera di una pistola. Ma ecco che appare sulla scena Adriano Gei, investigatore di Lecce, titolare di un’ agenzia dal nome ambizioso, “Pinkerton”, con qualche precedente per assegni a vuoto e al quale il prefetto della città pugliese ha revocato la licenza (ma il Tar ha poi sospeso la revoca). Vuol catturare il mostro di Firenze e in autunno si stabilisce a Vicchio. Contatta Renzo Rontini, cerca testimoni, prepara un dossier dove traccia grafici, ipotesi e nomi. Il 7 febbraio i carabinieri perquisiscono la camera d’ albergo del Gei e sequestrano il dossier. Il giorno dopo tocca all’ abitazione del Calamosca. Nel giardino, come un fungo, spunta un vecchio fucile. Calamosca fa appena in tempo ad entrare in carcere che lo mettono in libertà provvisoria. Non siamo però ancora alla fine. Ai carabinieri Rontini indica le persone che avrebbero visto in casa del Calamosca una pistola. E la pistola in poco tempo si trasforma in una calibro 22. Itanto il Pinkerton delle Puglie va in giro a offrire clamorose scoperte. Non trova clienti e allora va avanti a colpi di interviste. Dagli studi di “Video Firenze” si fa riprendere di spalle e afferma di sapere chi è il mostro. Gran subbuglio e negli ultimi giorni i fuochi d’ artificio. Prima dice di esser certo al 999 per mille che Calamosca è il mostro. Lo dimostrano – a suo parere – una serie di misteriosi crittogrammi. E da ultimo lancia una sfida al mostro se per caso fosse ancora in libertà. Ma questa intervista non va in onda. La fa sequestrare il sostituto procuratore Francesco Fleury che accusa l’ investigatore di diffusione di notizie esagerate o tendenziose mentre il Calamosca, ancora in carcere per una pistola che non c’ è, presenta due querele. “Ma no, Calamosca non è il mostro – dichiara Fleury che sul caso indaga insieme ad altri due sostituti – sul mostro in realtà sappiamo ben poco. Siamo ancora al punto di partenza”.

di PAOLO VAGHEGGI

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7 Aprile 1985 Stampa: La Repubblica – “In carcere non c’è il mostro” Le indagini ripartono da zero
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