Esattamente 8 giorni dopo l’interrogatorio del 4 giugno 1985 Stefano Mele chiese di essere di nuovo interrogato. Il PM Adolfo Izzo e il GI Mario Rotella organizzarono l’incontro e durante questo Stefano Male fornì diversi chiarimenti rispetto all’omicidio del 1968 a Signa.

Mele racconto che l’omicidio era stato proposto da Salvatore Vinci, definito da Mele: “Era più marito lui di me” il quale aveva anche fornito 400.000 lire per l’acquisto della pistola. La sera dell’omicidio, dopo che la Barbara Locci e Natalino erano usciti di casa, Stefano Mele scese per strada e trovò ad aspettarlo due automobili. Una era quella di Salvatore Vinci e una era quella di Marcello Chiaramonti. Oltre a questi due erano presenti anche Piero Mucciarini e Giovanni Mele. Cinque persone in tutto.

Sanno che la coppia con il bambino sono al cinema a vedere un film, uno di loro entra dentro per accertarsene.

Dopo l’uscita dal cinema i tre, Barbara Locci, Antonio Lo Bianco e Natalino, si avviarono per raggiungere il luogo dove poi avvenne l’omicidio, le due macchine li seguirono. Quando Lo Bianco si fermò si fermarono anche loro e le macchine furono lasciate vicino al cimitero.

Marcello Chiaramonti rimase a guardia delle automobili, Pietro Mucciarini si appostò al ponte sul torrente Vingone. Salvatore Vinci, Giovanni Mele e Stefano Mele raggiungono l’automobile di Lo Bianco.

Stefano Mele precisa che a sparare per primo è Salvatore Vinci, poi Giovanni Mele e quindi anche lui che però spara in aria per paura di colpire il bambino.

Stefano Mele si avvicina e mentre rimette a posto le gambe del Lo Bianco, si avvicina anche Piero Mucciarini, quello è il momento in cui Natalino riconosce lo “zio Piero” ed anche lui, il padre.

I tre, Giovanni, Salvatore e Piero a quel punto se ne andarono e Stefano Mele racconta di essere restato ed aver accompagnato il bambino presso a S’Angelo a Lecore.

La pistola l’aveva tirata fuori Salvatore da una borsa, ma Stefano Mele non sa a chi è rimasta in mano.

Si legge nel verbale (trascrizione non certa): “A mettersi d’accordo per uccidere mia moglie con l’amante, fosse Antonio Lo Bianco o un altro, sono Salvatore Vinci, Giovanni Mele e Piero Mucciarini. Ho dato 400.000 lire per comprare la pistola, di so se ce l’avesse da prima o se l’abbia comprata; mio fratello non è a conoscenza che lui ha dato quattrini a Salvatore per comprare la pistola e che l’idea dell’arma, come anche quella di uccidere è venuta a Salvatore. Loro tre si sono messi d’accordo e che per far venire suo fratello è andato a Casellina dove abitava con Piero. La scelta è caduta sul 21 per ragioni di ferie e di precostituzione dell’alibi. Anche perché mia moglie esce tutti i giorni a fare l’amore ed è dunque importante che il giorno vada bene a loro. I compiti distribuiti da Salvatore prevedono per io prendessi la pistola all’ultimo momento, perché mi restino in mano i residui della polvere da sparo, rilevabili con il guanto di paraffina, e così loro se ne sarebbero lavati le mani. La decisione su chi dovesse sparare per primo è stata rinviata sul posto. La sera del 21 agosto visti uscire la moglie, il figlio e Lo Bianco sono uscito anche io trovando due autovetture ad attendere: quella del cognato Marcello Chiaramonti, e l’altra, di Salvatore, non so dire su quale sono salito. Al delitto hanno partecipato Salvatore Vinci, Giovanni Mele, Piero Mucciarini e Marcello Chiaramonti. Intuito che i due Locci/Lo Bianco e Natalino sono al cinema, uno del gruppo entra per accertarsene. Poi, dopo aver atteso all’uscita, li seguiamo fino al luogo del delitto. Parcheggiamo le auto poco distante, all’altezza di un cimitero, scendiamo in cinque e ognuno esegue il compito assegnatogli. Uno rimane al ponte, avanti vanno Salvatore, poi Giovanni poi io. A sparare per primo è Salvatore, poi Giovanni, quindi io, ma in aria per non colpire il bambino. Mentre metto a posto le gambe di Lo Bianco, si avvicina anche Piero. Natalino si sveglia, riconosce lo zio Piero e il me. Prendo quindi mio figlio e lo accompagno dai De Felice. Salvatore ha partecipato al delitto perché era più marito lui di me.

Riguardo la pistola: “Ricordo che è stata presa da Salvatore da una borsa, ma non so indicare a chi sia rimasta, se lui l’abbia messa in terra o l’abbia resa a qualcuno.

Al Mele vengono fatte notare alcune incongruenze e contraddizioni del suo racconto rispetto agli atti del 1968, egli puntualizza: “Quello che ho detto prima è tutto vero, tante cose non me le ricordo perché sono passati 17 anni“.

 

12 Giugno 1985 Interrogatorio di Stefano Mele

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