Tre perizie per trovare il mostro – Noi gli ipocriti

FIRENZE (p.v.) – Si annunciano tempi lunghi per le indagini sul mostro di Firenze, che una settimana fa ha assassinato Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili. “C’ è una massa imponente di dati da razionalizzare per rapportarli in relazione alle circostanze dell’ omicidio – dice il sostituto procuratore Pier Luigi Vigna che insieme a Paolo Canessa e Francesco Fleury si occupa dell’ inchiesta – bisogna inserirli nell’ elaboratore elettronico e tirare le somme. Ci vuole tempo”. Gli accertamenti, ovviamente, proseguono in tutte le direzioni. Si stanno analizzando delle gocce di sangue scoperte in un lavatoio che si trova a una mezz’ ora di cammino dal luogo dell’ ottavo duplice omicidio e proseguono le verifiche sulle targhe di auto notate nella zona. Ieri sono state ufficialmente affidate tre perizie: una medico-legale, una balistica e una criminologica. E’ stato creato un team di esperti: degli accertamenti sono stati incaricati dodici periti dell’ Istituto di Medicina legale di Firenze e dell’ Istituto di Criminologia di Modena. Prepareranno non solo una perizia medica ma anche una psicologica per seguire l’ evolversi della follia dell’ assassino. Ci vorrà un mese o forse due per avere dei risultati. E ci vorrà del tempo anche per vagliare le centinaia di segnalazioni che arrivano alla Procura della Repubblica. A Firenze il mostro continua ad essere l’ argomento del giorno e la curiosità si fa sempre più morbosa: domenica pomeriggio in via degli Scopeti, dove è stata assassinata la coppia, la coda di macchine era lunga due chilometri. Sono arrivate nella zona migliaia di persone, un vero e proprio picnic dell’ orrore con la gente che si infilava nel bosco ricostruendo il duplice omicidio.

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NOI GLI IPOCRITI

IL FATTO che in una affollata strada del centro di Parigi si sia potuto consumare indisturbatamente uno stupro “a tre” ai danni di una ragazza, è stato generalmente attribuito alla viltà di quanti hanno assistito passivamente alla scena. E in effetti non c’ è dubbio che la viltà abbia avuto un peso rilevantissimo in questo comportamento, o meglio in questa assenza di comportamento. Non c’ è dubbio che nelle grandi città moderne, dove l’ addensamento umano ha raggiunto i vertici più alti e gli abitanti non si conoscono tra loro neppure se vivono nello stesso edificio, non c’ è dubbio che la gente abbia deciso di “non farsi coinvolgere”. L’ episodio di Parigi vanta – si fa per dire – molti precedenti. Non ultimo quello di Napoli, che risale a non più di due anni fa: poco dopo le diciannove, nella centralissima via Foria, si verificò una violenza analoga, senza che nessuno dei presenti intervenisse (in seguito, tutti avrebbero dichiarato di non essersi accorti di nulla per via delle bancarelle allineate lungo la strada). Ma non è solo per paura delle conseguenze che la gente “si fa i fatti suoi”. O meglio, la paura ha generato una indifferenza che è qualche cosa di più profondo e, se vogliamo, di più gratuito; perchè si manifesta anche quando un gesto di solidarietà non comporterebbe alcun pericolo per il suo autore. Nè a Napoli, nè a Parigi, nè a New York (dove, come ho avuto modo di raccontare in altra occasione, ben quaranta persone assisterono silenziosamente, dalla finestra di casa loro, all’ aggressione di una ragazza, seguita da mezz’ ora di sevizie e dalla morte della vittima), nessuno si è dato neppure la briga di telefonare alla polizia. E sì che una telefonata – magari anonima – non è certo un atto d’ eroismo, un’ impresa destinata ad entrare nella leggenda, come quella di Salvo D’ Acquisto. Implica il solo sacrificio di un gettone. ;-4SECONDO Jean Baudrillard, nel nostro mondo la violenza h ormai mutato segno, non è più la violenza di una volta, quella che si dà ancora nel Terzo Mondo e che è molto più “spontanea”, molto più “entusiasta”, molto più “naturale”. La nostra violenza, egli dice, è una violenza simulata, artificiosa, “il prodotto micidiale di forze annoiate…”. E accanto a questa logica del “vuoto”, del “silenzio”, Baudrillard (che prende lo spunto dai fatti di Bruxelles) ne individua un’ altra, che si integra perfettamente con la prima: la voglia di “inventare il proprio spettacolo”, di “diventare attori”, per cui l’ atto di violenza assume il significato di un vero e proprio happening, una improvvisazione destinata al pubblico, una recita, quasi una commedia dell’ arte. Non so se gli stupratori di Parigi abbiano obbedito a una logica del genere, se cioè abbiano ceduto alla tentazione dello stupro non già “malgrado” la presenza di altre persone, ma proprio “a causa” di quella presenza. Comunque, lo volessero o meno, essi hanno sicuramente messo in scena uno spettacolo. Gisèle Halimi, la notissima avvocatessa francese che si è tanto battuta per i diritti delle donne, sostiene che i passanti del boulevard Magenta dovevano sentirsi come davanti allo schermo: partecipi dell’ avvenimento, ma senza la possibilità di intervenire. A mio parere, le cose sono ancora più gravi: al cinema, gli spettatori “entrano” emotivamente nella vicenda proposta dal film, palpitano di sdegno, avvertono un nodo alla gola, sperano appassionatamente nell’ arrivo dei “buoni” e nella punizione dei “cattivi”. Di fronte a una vicenda reale, invece, la commozione sembra del tutto inesistente; i più “commossi” tra i rispettabili passanti parigini si sono limitati ad esclamare: “che schifo!”… La loro indifferenza per “ciò che veniva fatto” alla ragazza non è stata inferiore all’ indifferenza degli stupratori per “ciò che facevano” alla ragazza. Anzi, “qualitativamente”, quella degli spettatori era forse una indifferenza peggiore: se non altro, gli stupratori qualche rischio lo hanno corso, o comunque pensavano di correrlo. I rispettabili passanti, no. ;-4LA COSA più allarmante, a mio giudizio, è proprio questa. E non solo perchè la passività, favorendo l’ impunità, ha un effetto moltiplicatore sulla violenza; ma anche e soprattutto perchè essa testimonia di un progressivo deteriorarsi della nostra qualità umana. Quando noi inorridiamo per le imprese del cosiddetto mostro di Firenze, dovremmo contemporaneamente chiederci che cosa faremmo se per caso ci trovassimo ad assistere ad uno dei suoi delitti. E se la risposta fosse: “correrei diritto a casa”, dovremmo riconoscere che il nostro orrore, se non addirittura “finto”, è comunque epidermico, è l’ alibi che ci costruiamo per continuare a sentirci “perbene”, per continuare ad avere il rispetto di noi stessi. Troppo comodo. Se proprio non intendiamo rinunciare alla protezione che ci offre il nostro piccolo, miserabile guscio, abbiamo almeno la decenza di non essere ipocriti, specialmente con noi stessi. E non pretendiamo dagli altri quell’ aiuto che non siamo disposti a dar loro. Gli altri, siamo noi.

di ROSELLINA BALBI

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17 Settembre 1985 Stampa: La Repubblica – Tre perizie per trovare il mostro – Noi gli ipocriti

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