Ora sul mostro c’è una taglia

FIRENZE – E’ sempre più intricata e complessa la storia del mostro di Firenze. Da ieri sulla testa dell’ inafferrabile assassino c’ è una taglia da mezzo miliardo mentre è tornato in carcere, accusato di calunnia, Stefano Mele, marito di Barbara Locci, uccisa a colpi di Beretta calibro 22 nell’ agosto del 1968 insieme al suo amante, Antonio Lo Bianco. In quella calda estate per la prima volta fu usata la micidiale arma trasformatasi con il tempo in marchio e simbolo del folle omicida. Cominciò allora la tragica sequenza dei delitti. Stefano Mele, forse innocente, ha scontato per quel duplice omicidio 14 anni di reclusione e da quando è tornato in libertà ha cominciato ad accusare amici e parenti. Ma ora è di nuovo in carcere, è stato arrestato in gran segreto un paio di mesi fa. Il mandato di cattura del giudice Rotella parla di calunnia nei confronti di Francesco Vinci, il muratore sospettato di essere il mostro proprio a causa delle deposizioni di Stefano Mele e che all’ inizio dell’ anno aveva presentato una querela. La notizia dell’ arresto di Mele è trapelata ieri mattina mentre le agenzie trasmettevano il comunicato del ministero: c’ è mezzo miliardo da usare per eventuali informatori, una risoluzione presa per non “privarsi di una via per accertare la verità”. La somma è stata stanziata dal ministro dell’ Interno Scalfaro che martedì si era incontrato con il procuratore della Repubblica di Firenze, d’ intesa con il presidente del Consiglio Craxi. Ma non è decisione che passa in mezzo al plauso generale. Nei giorni scorsi si erano già levate voci di dissenso e probabilmente ci saranno altre polemiche perchè per la prima volta una somma così consistente non viene messa a disposizione della polizia ma, come dice il comunicato ufficiale del ministero, “della procura della Repubblica di Firenze” che “indicherà procedure e modalità relative e fisserà un termine”. Insomma se qualcuno vuol parlare dovrà farlo entro un mese o forse due (la procura non ha ancora reso noti i termini esatti). Per eventuali informatori, ma non anonimi, la questura ha attivato una linea telefonica (055/476262). Verrebbe anche da pensare che il mezzo miliardo servirà per convincere Stefano Mele a raccontare segreti di cui si pensa che sia depositario. Ma l’ arresto di Mele, che viveva in una comunità per ex carcerati a Ronco all’ Adige, dimostra come la procura della Repubblica sia attraversata da due linee di pensiero anche se tutti si affrettano a dire che “non esistono contrasti, le indagini sono parallele”. Sul mostro infatti ci sono due inchieste. Una è affidata ai sostituti procuratori Piero Luigi Vigna, Francesco Fleury e Paolo Canessa. Si occupano delle ultime due imprese del maniaco: l’ assassinio dei due turisti francesi avvenuto in via degli Scopeti undici giorni fa e l’ omicidio di Pia Rontini e Claudio Stefanacci, ammazzati nei pressi di Vicchio nel luglio dello scorso anno. Sono le indagini di cui si parla in questi giorni: controlli vastissimi, uso del computer, una squadra speciale perennemente in azione. L’ altra inchiesta, già formalizzata è affidata al giudice istruttore Mario Rotella. Pubblico ministero è il sostituto procuratore Adolfo Izzo. I fascicoli che riempiono l’ ufficio del magistrato parlano del primo delitto (Locci-Lo Bianco) e degli altri cinque duplici omicidi attribuiti al mostro (1974: Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore; 1981: Carmela De Nuccio e Giovanni Foggi, Susanna Cambi e Stefano Baldi; 1982: Paolo Mainardi e Antonella Migliorini; 1983: due turisti tedeschi). Il primo a finire in manette fu Enzo Spalletti scarcerato con tante scuse dopo un paio di mesi. Poi toccò a Francesco Vinci e successivamente a Giovanni Mele, fratello di Stefano e Piero Mucciarini. Questi ultimi tre furono accusati dell’ omicidio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco e indiziati degli altri. I mandati di cattura erano stati firmati dopo lunghe deposizioni di Stefano Mele che ora è tornato in carcere per calunnia. Un arresto motivato da necessità istruttorie (il mandato di cattura è facoltativo) per non inquinare le prove ma anche perchè, ha ammesso il sostituto Izzo incontrando i giornalisti, la soluzione di tutto è nascosta tra le pieghe di quel primo duplice omicidio. Di questo, per la verità, sono convinti in molti, compreso il direttore dell’ Istituto di criminologia di Modena, Francesco De Fazio, ma la maggior parte degli inquirenti sembra pensare che è praticamente impossibile dipanare una matassa ormai intricatissima. Barbara Locci e Antonio Lo Bianco furono ammazzati il 21 agosto del 1968 in località Castelletti, nei pressi di Signa. Erano fermi in auto, sul sedile posteriore dormiva tranquillo il figlio della donna, Natalino, che fu poi rintracciato nell’ abitazione di un contadino. Il bambino prima raccontò di esser stato accompagnato dallo zio, poi cambiò versione e tirò in ballo il padre, Stefano Mele. Quest’ ultimo addirittura confessò ma l’ arma, la micidiale Beretta calibro 22 oggi in possesso del mostro, non fu mai ritrovata. Mele uscì dal carcere nel 1982, interrogato come testimone accusò Francesco Vinci e successivamente il fratello Giovanni e il cognato Piero Mucciarini.

di PAOLO VAGHEGGI

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19 Settembre 1985 Stampa: La Repubblica – Ora sul mostro c’è una taglia
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