Francesca Raspati, assieme alla madre, arriva al pontile di Sant’Arcangelo e incuriosita si ferma a guardare, questo uno stralcio della sua testimonianza del 29 dicembre 2003: “Eravamo tenuti a distanza ma non abbastanza da impedirmi di vedere il cadavere, anche se non in viso. Era estremamente gonfio, indossava pantaloni chiari, mi sembravano di fattura rozza, di colore tra il carta da zucchero e il grigio comunque inadeguati per una persona raffinata come Narducci. Indossava un giacchetto marrone di renna di due tonalità, una più scura e una con due riquadri, uno a destra e uno a sinistra, chiuso davanti, ma l’enorme ventre premeva sull’indumento. I pantaloni erano asciutti, tanto che vidi la riga nettamente. Mi colpì anche la straordinaria diversità del cadavere da me visto rispetto al Narducci che io conoscevo di persona. Parlando con mia madre li sul molo entrambe si meravigliarono dell’aspetto diverso di quel corpo rispetto agli annegati restituiti dal Trasimeno sempre bianchi e saponificati“.
Praticamente Francesca Raspati nota lo stesso controsenso che notano anche il pescatore Enzo Ticchioni e che evidenzia il Prof. Franco Fabbroni, cioè che è la prima volta che vedono un corpo di un affogato con quelle caratteristiche di edema e tumefazione rispetto ai classici affogati bianchi e saponificati.