SCRIVONO ANCHE DALL’ ESTERO PER DARE IL NOME DEL MOSTRO
FIRENZE – Non tutto è perduto. Dall’ assassinio di Nadine Mauriot e Michel Kraveichvili, le ultime vittime del mostro di Firenze, sono passati due mesi ma negli uffici giudiziari del capoluogo toscano soffia ancora il vento della speranza. La Procura della Repubblica e l’ Ufficio istruzione continuano a indagare sia pur su due fronti che a volte avanzano paralleli e a volte si contrappongono clamorosamente. Sono le due anime di questo caso. Da una parte c’ è l’ inchiesta sui “grandi numeri” portata avanti dai sostituti procuratori Pier Luigi Vigna, Francesco Fleury e Paolo Canessa, che ancora non hanno concluso gli accertamenti su tutto il materiale accumulato dopo l’ ultimo duplice omidicio. Sull’ altro fronte ci sono le indagini che partono dal primo delitto, avvenuto nel lontano 1968, affidate al giudice istruttore Mario Rotella e che sembrano vicine a un qualche sviluppo anche perchè una decina di giorni fa sono state inviate due comunicazioni giudiziarie e sta per cominciare un nuovo giro di interrogatori. A Firenze c’ è di nuovo attesa anche se fino ad oggi le delusioni non sono mancate. La più grossa è quella della taglia. Fra dieci giorni scadranno i termini per incassare i cinquecento milioni che il ministero dell’ Interno ha messo a disposizione di eventuali informatori. Ma, salvo sorprese dell’ ultima ora, nessuno riscuoterà l’ ingente somma. Ai magistrati hanno scritto un po’ tutti: astrologi, psicologi, cartomanti, chiromanti, cittadini convinti e sicuri di aver scoperto il mostro nascosto sotto le vesti del tranquillo vicino di casa, medici. Le chiromanti hanno indicato la data in cui doveva avvenire un nuovo duplice omidicio. Non ci hanno indovinato. I medium si sono messi in contatto con gli assassinati. Ma anche loro non hanno risolto il caso. “E’ arrivata una valanga di segnalazioni – dicono Fleury e Canessa – da tutte le zone d’ Italia”. Un signore di Padova che dopo avere indicato nome e cognome del maniaco ha detto di non volere la taglia, di non aver bisogno di mezzo miliardo. “Sono molto malato, mi bastano duecentomila lire”. E per questo ha allegato alla lettera un certificato della Usl. Il mostro ha acceso la fantasia un po’ a tutti. Si progettano ben tre film e anche in questo caso non manca quella che ironicamente viene definita “la pista turca”. Ai giudici sono infatti giunte segnalazioni da parte delle nostre ambasciate. E così il mostro è stato “individuato” in un esule cubano, in un greco e da ultimo in un turco. L’ identikit è stato pubblicato da un quotidiano di Ankara e c’ è stato qualcuno che si è presentato alla nostra ambasciata spiegando di aver constatato la perfetta corrispondenza con un conoscente. Ma le inchieste sono ben diverse dall’ aneddotica che strappa il sorriso. La realtà è tragica. I periti hanno stabilito definitivamente che la lettera che fu inviata al sostituto procuratore Silvia Della Monica conteneva una parte del seno di Nadine Mauriot. E’ sicuramente del mostro il proiettile calibro 22 marca Winchester che fu trovato nel piazzale antistante l’ ospedale di Santa Maria Annunziata e sulla cui autenticità un testimone aveva sollevato dei dubbi. “Le nostre indagini non sono ancora concluse – spiegano Fleury e Canessa – non abbiamo finito. Per elaborare i dati che abbiamo, a cominciare dai numeri di targa delle auto rilevati nei giorni del delitto, ci vuole ancora tempo”. “La nostra indagine – aggiungono – è come un imbuto. Si restringe lentamente. Partiamo dagli ultimi omicidi per arrivare, eventualmente, anche al primo delitto, quello del 1968”. Già, il primo delitto. Il 21 agosto del 1968 Barbara Locci e Antonio Lo Bianco furono assassinati a colpi di Beretta calibro 22. Un delitto per il quale il marito della donna, Stefano Mele, ha già scontato quattordici anni di reclusione e su cui il giudice Rotella continua a scavare. I periti dicono infatti che allora fu usata per la prima volta l’ arma che con il passare degli anni è diventata il marchio del mostro. Ma secondo i tecnici che nel 1968 esaminarono i bossoli, Barbara Locci e il suo amante furono uccisi con una pistola “presumibilmente Beretta calibro 22 vecchia, arrugginita e usurata”. Un’ arma che invece ha continuato a sparare per diciassette anni. Anzi, viene giudicata perfetta, non si è mai inceppata. “Non sappiamo quali e se ci sono dei legami fra il primo e l’ ultimo omicidio – affermano i due sostituti – d’ altra parte anche se Stefano Mele ha avuto dei complici non è detto che fra loro ci sia il mostro. La pistola può aver cambiato mano”. “Io faccio un’ istruttoria – commenta il giudice istruttore Mario Rotella recentemente oggetto di un’ interrogazione parlamentare che chiede un’ azione disciplinare nei suoi confronti – devo portare avanti indagini di carattere logico. Nel 1968 c’ è stato un omicidio ed è stata usata una certa arma. Mi sembra strano che abbia cambiato mano o che sia uscita da un certo gruppo. La Procura può anche fare delle ipotesi, io mi devo attenere ai fatti”. Nell’ inchiesta di Rotella sono entrati due nuovi personaggi, due cognati, raggiunti da comunicazioni giudiziarie: Salvatore Vinci, fratello di Francesco (già inquisito per le vicende del mostro e poi prosciolto), e Salvatore Steri. Salvatore Vinci era sposato a Barbarina Steri. La donna si suicidò nel 1960. Il magistrato sospetta un delitto e per questo ha spedito le comunicazioni giudiziarie. Non solo. Sospetta un coinvolgimento di Salvatore Vinci anche nel delitto del 1968. L’ uomo è stato uno degli amanti di Barbara Locci. Salvatore Vinci però si proclama innocente, ingiustamente perseguitato. E ha deciso di presentarsi spontaneamente per essere interrogato. Forse oggi stesso.
di PAOLO VAGHEGGI