RITIRATA LA TAGLIA IL MOSTRO DI FIRENZE RESTA UN MISTERO
FIRENZE – Non si ricomincia da zero ma quasi. Settantadue giorni dopo l’ assassinio di Nadine Mauriot e Michel Kraveichvili, ultime vittime del mostro di Firenze, l’ inchiesta arriva al traguardo di una nuova scadenza, quella della taglia, senza alcun risultato concreto. Il maniaco dopo diciassette anni è ancora in libertà e neppure la promessa di cinquecento milioni è servita a risolvere questo intricato caso. Il mezzo miliardo tornerà nelle casse del ministero dell’ Interno. Il tempo messo a disposizione degli eventuali informatori è scaduto ieri e non sarà prolungato. “Non abbiamo intenzione di prorogare i termini – assicura Raffaello Cantagalli, procuratore della Repubblica di Firenze – però è un tentativo che valeva la pena di fare. Non bisogna lasciare nulla di intentato”. Aggiunge che “il materiale raccolto è ancora suscettibile di valutazione”. Nel cassetto dei magistrati c’ è infatti una lista di cinquecento persone segnalate dai cittadini. Possibili o presunti mostri. L’ inchiesta in realtà continua a procedere su due binari: le indagini sui grandi numeri, ovvero gli accertamenti sui proprietari delle auto di cui è stata rilevata la targa nei giorni dell’ ultimo duplice delitto (ce ne sono ancora diecimia da controllare) e le verifiche che porta avanti il giudice istruttore Rotella partendo dal primo omicidio, quello avvenuto nell’ agosto del 1968. E’ quella che i magistrati definiscono “una faticosa routine”. Indagini lunghe e complicate che hanno un unico punto fermo: la lettera contenente una parte del seno di Nadine che il mostro ha spedito al sostituto procuratore Silvia Della Monica poche ore dopo aver commesso l’ assassinio. Per gli esperti è un preciso segnale: la ricerca di un contatto. In questi ultimi giorni in Procura sono arrivate altre lettere contenenti minacciosi avvertimenti: “tornerò a colpire”. Ma secondo i magistrati le missive non sono opera del maniaco ma di qualcuno dei tanti mitomani che riempiono lo scenario di questa catena di delitti. Non sono pochi. “Ci hanno mandato anche delle foto, si sono presentati degli investigatori privati – dice il sostituto procuratore Paolo Canessa, che insieme a Fleury e Vigna conduce l’ inchiesta – ma non abbiamo ricevuto alcuna segnalazione precisa”. “Noi continuiamo nelle indagini – spiega – c’ è ancora molto da fare. Mesi e mesi di lavoro. Ora dobbiamo rimboccarci le maniche”. E in una stanzetta della Questura gli agenti della speciale squadra anti-mostro continuano a inserire in un computer i dati delle auto di cui è stata rilevata la targa. E’ una pista che dovrebbe portare gli inquirenti sino al piazzale dell’ ospedale di Santa Maria Annunziata dove un autista di ambulanze ha trovato un proiettile calibro 22 marca Winchester serie H. Uno dei proiettili con cui il mostro carica la Beretta che usa per uccidere. Un’ arma che è comparsa per la prima volta nel lontano 1968, il 21 agosto, quando in località Castelletti, nei pressi di Signa, furono assassinati Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Non è un delitto insoluto. Per quell’ omicidio il marito della donna Stefano Mele, ha scontato quattordici anni di reclusione. L’ uomo ha confessato ma – secondo i giudici – non ha mai raccontato la verità. Ha fornito una ricostruzione piuttosto confusa, non ha mai spiegato dove finì la pistola. E partono da questo assassinio le indagini del giudice istruttore Rotella che nel mese di luglio ha ordinato l’ arresto di Mele per calunnia nei confronti di Francesco Vinci (accusato del primo delitto e indiziato di tutti gli omicidi) e di altre persone da lui coinvolte nell’ inchiesta. Del fatto che Stefano Mele conosca la strada per arrivare al mostro sono convinti in molti, a cominciare dal fratello Giovanni arrestato per il primo delitto e poi scarcerato insieme al cognato Piero Mucciarini. E sembra della stessa opinione anche il figlio, Natalino, che nel 1968 si trovava nell’ auto con la madre. Stefano Mele è tornato in libertà da una ventina di giorni, è agli arresti domiciliari a Ronco all’ Adige, in provincia di Verona. Ma non ha fatto clamorose rivelazioni, continua a tacere. Nel frattempo l’ inchiesta ha imboccato una nuova pista che porta a Salvatore Vinci, fratello di Francesco, anche lui amante della Locci. Salvatore Vinci è stato indiziato del primo duplice omicidio ed è stato invitato a nominare un difensore anche per la morte della moglie, Barbarina Steri. La donna morì nel 1960 in Sardegna. Il caso fu archiviato come suicidio ma per il giudice Rotella si trattò di un omicidio. Per questo ha inviato una comunicazione giudiziaria anche al fratello di Barbarina, Salvatore Steri, che si è presentato spontaneamente proclamandosi innocente. Ma l’ inchiesta continua. Intanto, ieri sono cominciate le riprese di un primo film sul mostro di Firenze tratto dal libro che sull’ argomento ha scritto il giornalista Mario Spezi. Regista l’ esordiente Cesare Ferrario, protagonisti Leonard Mann e Bettina Giovannini. Un secondo film è in gestazione: ne stanno curando la sceneggiatura un’ altra esordiente, Cristina Nuzzi, e Daria Nicolodi. C’ è anche un terzo progetto di Marco Bellocchio.
di PAOLO VAGHEGGI