Ora s’indaga sulla fotografia del “mostro” trovata in strada

FIRENZE Nell’ ex-convento dei padri filippini che oggi ospita il Palazzo di Giustizia c’ è un grande imbarazzo e poca voglia di parlare del mostro di Firenze. Da una parte ci sono le indagini che tornano a scandagliare in gran segreto il primo delitto, dall’ altra lo scandalo legato al casuale ritrovamento, alla periferia della città, di una macabra foto di Nadine Mauriot, l’ ultima vittima del maniaco. Una brutta storia in cui sono coinvolti i carabinieri. Furono gli esperti dell’ Arma a fissare le immagini di quel corpo orrendamente straziato e mutilato dal folle assassino che in diciotto anni ha ucciso sedici persone. Da ieri ha preso il via ufficialmente l’ inchiesta condotta dai sostituti procuratori Paolo Canessa e Piero Luigi Vigna e sono cominciati gli interrogatori. I magistrati hanno ascoltato l’ uomo che un mese fa ha notato e raccolto la fotografia accanto a un’ edicola che si trova in piazza Giorgini. Era lì da alcuni giorni, come dimostrano i segni inequivocabili lasciati dal maltempo. Il testimone è amico di Renzo Rontini, padre di Pia, vittima del mostro, e che sospetta oscuri traffici a causa dei film ispirati dalle vicende del maniaco. Per questo l’ uomo ha capito subito di cosa si trattava. Sulla veridicità del suo racconto non sembrano esserci dubbi. Quella lugubre foto scattata il 9 settembre dello scorso anno subito dopo la scoperta dell’ omicidio di Nadine Mauriot e di Jean Michel Kraveichvili, non può essere che uscita che dal gabinetto dell’ Arma. La foto è stata riprodotta, usando un rullino a colori. E una copia finita per vie ancora misteriose in piazza Giorgini. Non sono poche le domande a cui deve rispondere l’ indagine della Procura. Ed anche su un altro fronte, quello ancor più scottante dell’ inchiesta sul mostro di Firenze, ci sono numerosi e inquietanti interrogativi. Torna prepotentemente alla ribalta il complicato puzzle dell’ omicidio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, uccisi nell’ agosto del 1968 con una beretta calibro 22. E’ l’ arma che con il passare degli anni è diventata il segno di riconoscimento del maniaco. Diciotto anni fa il duplice delitto trovò, almeno apparentemente, una soluzione e un colpevole. Fu processato e condannato a quattordici anni di reclusione il marito della donna, Stefano Mele. Successivamente si è trasformato in supertestimone, autore di clamorose rivelazioni che hanno portato in carcere il fratello Giovanni e il cognato Piero Mucciarini (scarcerati dopo sei mesi di reclusione) e Francesco Vinci quest’ ultimo a lungo identificato con il maniaco, dopo essere stato scarcerato è sparito dalla circolazione.

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27 Novembre 1986 Stampa: La Repubblica – Ora s’indaga sulla fotografia del “mostro” trovata in strada

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