Quell’incubo che dura da vent’anni
FIRENZE E’ la sera del 21 agosto 1968. Ferma nel buio di un viottolo poco fuori Signa, alla periferia di Firenze, un’ Alfa Romeo Giulietta bianca. Dentro, Barbara Locci, 32 anni, stretta al suo amante Antonio Lo Bianco, 29 anni. Sei colpi di pistola, una Beretta calibro 22, troncano le effusioni: è la prima volta che la pistola, diventata poi la firma in tutti i delitti del mostro, uccide. Messo a dormire sul sedile posteriore della Giulietta, l’ unico testimone di quella notte è Natalino, 6 anni e quattro mesi, figlio di Barbara Locci e Stefano Mele, marito tradito e consenziente, primo imputato e in seguito grande accusatore in una vicenda giudiziaria che negli anni si disperderà in troppi rivoli. Nessuno in quel momento e nei giorni a seguire può immaginare che la morte di due amanti è il primo atto di una tragedia scandita da altri sette duplici delitti. E ancora oggi, a venti anni di distanza, senza un finale. Per venire a capo del giallo non sono bastate quattro persone accusate in tempi diversi di essere il maniaco, arrestate e poi scagionate. Non sono bastati i sospetti su Salvatore Vinci, l’ ultimo nella serie dei presunti mostri (e recentemente assolto a Cagliari dall’ accusa di avere ucciso nel ‘ 60 a Villacidro, in Sardegna, la giovane moglie Barbarina Steri), e indiziato dei sette duplici delitti seguiti al primo. Non sono stati sufficienti gli sforzi degli investigatori, gli identikit, le taglie, le sofisticate tecniche di indagine e le migliaia di denunce anonime. Il mostro di Firenze non ha ancora un volto, la sua micidiale Beretta chissà dov’ è. L’ elenco delle vittime Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore, Carmela De Nuccio e Giovanni Foggi, Susanna Cambi e Stefano Baldi, Antonella Migliorini e Antonio Mainardi, Horst Meyer e Uwe Rusch (due maschi, forse uccisi per sbaglio), Pia Rontini e Claudio Stefanacci, Nadine Mauriot e Jean Michel Craveichvili: è l’ elenco delle vittime, sulle quali l’ assassino ha infierito, abbandonandosi a sadici rituali di mutilazione. Perché uccide e mutila? E cosa fa dei suoi orribili trofei? Malgrado l’ affannarsi degli esperti, nessuno riesce a dare una spiegazione e le indagini, partite con il piede sbagliato nel ‘ 68, si sono incagliate in mille lentezze e troppi errori. Lo ammette anche il giudice istruttore Mario Rotella, dall’ 83 titolare dell’ inchiesta: Come mai, ad esempio afferma ci si è accorti solo nell’ 82 che la pistola era la stessa usata nel ‘ 68?. Per Rotella la chiave del mistero sta proprio nel primo delitto: E’ la pistola che non lascia spazio ad altre ipotesi insiste ormai è provato che dal ‘ 68 in poi ha sempre sparato una Beretta calibro 22. Il percussore è lo stesso, i proiettili sono sempre Winchester serie H. Proiettili provenienti dalla stessa partita acquistata prima del ‘ 68. Dunque chi sparò venti anni fa contro Barbara Locci e Antonio Lo Bianco? Stefano Mele, sardo, ex pastore diventato manovale, succube della moglie disinvolta, due giorni dopo il delitto si decide a parlare: accusa se stesso e Salvatore Vinci, anche lui sardo ed ex amante di Barbara Locci. Movente? L’ onore da difendere. Ma la fragile psicologia di Stefano Mele crea intralci alle indagini: dopo Salvatore, accusa di aver partecipato al delitto il fratello Francesco Vinci e, poco dopo, Carmelo Cutrone, anche loro intimi di Barbara. Mele perde credibilità, viene dichiarato semi-infermo di mente e nel ‘ 70 condannato a 16 anni di reclusione quale autore del delitto. La calibro 22 resta in silenzio per quattro anni, fin quando a Borgo San Lorenzo spezza i gesti di amore di Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore, 18 e 19 anni. Nessuno realizza che l’ arma è la stessa, nessuno si spiega il perchè di quel tralcio di vite fra le gambe della ragazza, l’ omicidio resta insoluto. Per la gente il mostro non esiste ancora. La sua immagine terrorizza Firenze solo sette anni dopo, quando a Scandicci uccide Carmela De Nuccio, 21 anni, e Giovanni Foggi, 30, e per la prima volta si avventa sul ventre della ragazza. Viene arrestato Vincenzo Spalletti, autista di ambulanze e guardone, che in un bar si lascia sfuggire di aver visto i cadaveri prima che la notizia sia diffusa. Starà in galera solo quattro mesi, fino a quando, in un campo di Calenzano, il maniaco torna a colpire uccidendo con la stessa tecnica Susanna Cambi, 24 anni, e Stefano Baldi, 26, fidanzati e alla vigilia delle nozze. Ci vorrà un altro omicidio per accorgersi del collegamento con il delitto del ‘ 68: quello di Antonella Migliorini e Antonio Mainardi, 19 e 22 anni, gli unici ad aver capito di stare per morire, tanto da cercare di fuggire in auto. Un maresciallo dei carabinieri si ricorda finalmente dell’ episodio di Signa. L’ esame dei bossoli sparati nel ‘ 68 e fortunatamente ancora conservati conferma la sua intuizione: un filo di sangue lega quelle morti. La magistratura si interessa di nuovo a Stefano Mele, appena uscito di carcere. E lui accusa ancora: di nuovo Francesco Vinci (che viene arrestato ma poi scagionato dal duplice omicidio dei turisti tedeschi Horst Meyer e Uwe Rusch, a Galluzzo) e poi suo fratello Giovanni Mele e suo cognato Piero Mucciarini. Il loro arresto secondo il giudice Rotella è giustificato da indizi inequivocabili. Ma la notte del 29 luglio ‘ 84 il mostro riappare e si accanisce contro Pia Rontini, 18 anni, e Claudio Stefanacci, 22. Clamore e paura sono al massimo quando Giovanni Mele e Piero Mucciarini vengono rimessi in libertà. Nasce la squadra antimostro, un pool di investigatori che impiega anche l’ elaboratore elettronico. Ma proprio in quel periodo arriva l’ ultima, sprezzante sfida del maniaco: nel settembre dell’ 85, dopo aver ucciso Nadine Mauriot e Jean Michel Craveichvili, accampati con la loro tenda vicino a San Casciano, manda per posta al sostituto procuratore Silvia Della Monica una busta con dentro un frammento del seno della donna. Poi si chiude nel silenzio: una calma che dura da tre anni ma che forse fa ancora più paura.
di SANDRO BERTUCELLI