“Sardi ritornate nel sardistan” in Toscana si risveglia il razzismo

FIRENZE Rilasciate Dante Belardinelli. Tutta l’ Italia ormai lancia appelli ai banditi che hanno sequestrato l’ imprenditore fiorentino. Dopo i famigliari di Bernardino e Diego Olzai ieri ha preso la parola monsignor Antonio Riboldi, vescovo di Acerra. Ha invitato i rapitori a rompere il gioco al massacro liberando l’ ostaggio. E sempre ieri è sceso in campo il presidente dell’ associazione dei sardi in Toscana, Antonio Mereu che non ha esitato ad attaccare duramente i malviventi. La libertà di un uomo è la cosa più sacra, il sequestro l’ atto più vile, ha detto senza nascondere preoccupazioni per la comunità sarda, per le polemiche che sembrano nell’ aria. Dante Belardinelli, il re del caffè, è stato sequestrato da una banda di sardi, dalla filiale toscana dell’ anonima. Non vi sono dubbi. Sono originari dell’ isola i quattro malviventi bloccati sulla bretella autostradale di Roma. E’ di Borore, un paesino della provincia di Nuoro, Pietrino Mongile, 34 anni, ricercato per il rapimento di Esteranne Ricca e da ieri anche per quello di Belardinelli. Contro Mongile il sostituto procuratore Michele Polvani e il procuratore aggiunto Pier Luigi Vigna hanno spiccato un ordine di arresto per concorso in sequestro di persona. Mongile era il carceriere di Esteranne Ricca, la giovane studentessa di Grosseto rapita nel dicembre del I987 e rilasciata dopo sette mesi di prigionia. E probabilmente questo è il ruolo che Mongile continua a ricoprire. Non era presente alla sparatoria avvenuta sull’ autostrada dove sono rimasti uccisi Giovanni Antonio Floris e Bernardino Olzai ma uno dei quattro malviventi impugnava una Beretta calibro 9 che Mongile aveva rapinato a un carabiniere. Non è un pivello, è già stato condannato a 27 anni di carcere per il rapimento di Enrica Marelli, commenta il sostituto procuratore generale Francesco Fleury, uno dei magistrati toscani più esperti nella lotta ai sequestratori. Non siamo rimasti sorpresi dalla presenza dei sardi spiega non abbiamo mai pensato di aver sgominato le bande. Ci sono sempre dei ricercati. Ma qualcosa in questi ultimi anni è cambiato. Non c’ è più una banda ma una vera e propria anonima che probabilmente ha il cervello in Sardegna. Più gruppi compartimentati che in Toscana si muovono come a casa loro. E’ dunque un’ indagine difficile che rischia anche di far rinascere vecchi rancori, di riportare in vita brutali pregiudizi razziali. Dieci anni fa, nel momento più caldo dei sequestri, nel senese apparvero scritte minacciose, razziste. Sardi tornate nel Sardistan. L’ intera comunità veniva identificata con i banditi. E non fu facile per i ventimila isolani che abitano in Toscana superare quei giorni. Per molto tempo pastore ha fatto rima con sequestratore. Il fuoco è stato poi riacceso dalle indagini sul mostro di Firenze, l’ inafferrabile assassino autore di sedici omicidi. Dei delitti è indiziato Francesco Vinci, originario della Sardegna. Come si fa a dire che non c’ è una vena razzista? I giornali scrivono sempre il sardo Vinci e mai, tanto per fare un esempio, l’ aretino Gelli, commenta Antonio Mereu alla guida di un’ associazione che è riconosciuta e finanziata dalla regione Sardegna per favorire l’ aggregazione e l’ inserimento della comunità. Aggiunge che l’ integrazione è molto avanzata, che i sardi si sono fatti valere con il loro lavoro, che hanno salvato le terre marginali della Toscana, quelle abbandonate, spiega che i sequestri non hanno più un senso storico, non nascono più dalla disoccupazione, che non c’ è più un alone romantico intorno ai banditi. Non credo più neanche che scatti l’ omertà, non esiste il doppio filo, se un pastore vede qualcosa sono sicuro che presenta una denuncia, sostiene. Un pastore che vede non parla. Su 25 sequestri opera di sardi una sola volta abbiamo ricevuto una segnalazione. Ma non è omertà, è paura, replica il sostituto Francesco Fleury.

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2 Agosto 1989 Stampa: La Repubblica – “Sardi ritornate nel sardistan” in Toscana si risveglia il razzismo/b>
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