“Perchè mi arrendo al mostro”

FIRENZE Non ci sono prove per mandare a giudizio nessuno. Non è stato trovato un solo elemento degno di questo nome. Ho fatto l’ impossibile per ricavare qualcosa dalle indagini. Non è emerso niente di certo. E io non potevo in nessun modo surrogare la mancanza di elementi. Ma resto convinto che la chiave della tremenda catena di omicidi dei fidanzati sia nel primo delitto, quello del ‘ 68. Seduto per l’ ultima volta nel suo ufficio di giudice istruttore, Mario Rotella stringe nervosamente un sigaro e dice addio all’ inchiesta sul mostro e sui suoi sedici delitti. Spiega perchè ha dovuto arrendersi, perché non è riuscito a dare un volto all’ assassino ed è stato costretto a chiudere sei anni di indagini testarde e disperate con una sentenza di proscioglimento di tutte le persone inquisite. E per l’ ultima volta torna sul paradosso di questa vicenda maledetta, chiara e inestricabile al tempo stesso: chiara perché c’ è un elemento certo, la pistola Beretta calibro 22, che collega tutti e 16 i delitti, in una scia di sangue che parte nel 1968 e arriva al 1985; inestricabile perchè non sono mai state trovate tracce dell’ assassino e perchè l’ unico elemento certo la pistola, appunto non è mai stato rintracciato. Da oggi Rotella lascia l’ ufficio istruzione e si trasferisce in corte d’ appello. Sente il peso della sconfitta ma ripete tenacemente che l’ inizio e la fine dell’ indagine è nel delitto del ‘ 68. Il 21 agosto di quell’ anno a Lastra a Signa, alle porte di Firenze, una coppia di amanti venne trucidata in macchina. Lei si chiamava Barbara Locci, lui Antonio Lo Bianco. L’ assassino li sorprese mentre facevano l’ amore. Sul sedile posteriore dormiva un bambino di sei anni, il figlio della donna, Natalino Mele. L’ inchiesta mise in luce un complesso di rapporti familiari contorti e di relazioni extraconiugali nel piccolo mondo degli immigrati sardi. Poi il marito della vittima, Stefano Mele, confessò il delitto e fu condannato. La pistola non fu mai trovata. Mele era in carcere, nel ‘ 74, quando l’ arma ricominciò a colpire. Il collegamento con quel lontano omicidio e i delitti del mostro fu scoperto solo nell’ 82. Da allora si è scavato disperatamente nel primo delitto. Stefano Mele, vecchio, terrorizzato e delirante, ha accusato di volta in volta i suoi parenti e gli amanti della moglie. E tutti, uno dopo l’ altro, sono finiti sotto accusa. Ma ammette amaro Rotella non è mai emersa nessuna prova conclusiva. Tutti i presunti mostri sono stati doverosamente prosciolti. Non crolla però secondo il giudice istruttore la sequenza logica che fa del delitto del ‘ 68 la chiave di tutto il resto. L’ arma è la stessa ed è completamente da escludere l’ ipotesi che a uccidere nel ‘ 68 sia stato qualcuno che con quell’ ambiente non aveva alcun rapporto: Non si può immaginare il mostro che si prende il bambino sulle spalle, lo lascia davanti a una casa abitata, gli spiega che deve dire che il babbo è a letto malato. Ripeto: la chiave è lì, in quel delitto. Perciò Rotella spera che i sei anni di indagini non siano stati inutili: Abbiamo trovato elementi nuovi. E’ sicuro che non fu solo Stefano Mele a uccidere. E’ certo che vi fu un massiccio intervento del padre sul figlio Natalino per distorcere le indagini. E sono emerse le ragioni umane estremamente complesse alla base del delitto: la gelosia, l’ interesse, forse anche la vergogna di relazioni sessuali anormali. Che cos’ è rimasto di certo dopo vent’ anni di indagini senza un colpevole? Il dato obiettivo risponde Rotella tormentandosi i baffi è l’ ossessività e la ripetitività dei delitti rispetto al primo. Io non credo che siamo in presenza di un maniaco sessuale: ha sempre agito a sangue freddo, studiando l’ occasione, trovando le circostanze, uccidendo. Certo, è un malato, ma lucido, determinato. Se ne sono dette talmente tante su quest’ uomo. Che era un borghese, un uomo di cultura… Invece l’ impronta di questi delitti è arcaica, in essi c’ è ben poco di urbano, di moderno. Solo l’ arma lo è. La mia conclusione? Non ho trovato elementi a carico delle persone inquisite. Ma dico a chi mi seguirà: è nel ‘ 68 che bisogna continuare a scavare.

di FRANCA SELVATICI

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15 Dicembre 1989 Stampa: La Repubblica – “Perchè mi arrendo al mostro”
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