L’incubo del Commissario

FIRENZE Gli uffici della Questura fiorentina sono sistemati in un palazzone novecentesco che domina via Zara, una strada larga e corta, a pochi metri da piazza San Marco. In questa zona, un tempo lontano, fu istituito il primo ospedale psichiatrico d’ Europa. E qui, dal giorno di Santo Stefano, è prigioniero il commissario Sandro Federico. Aspetta una telefonata, un segnale da un maniaco crudele, lucidamente esibizionista e convinto di interpretare la volontà divina. Ha già ammazzato una volta. E’ un lungo incubo quello che vive Sandro Federico, quarant’ anni compiuti da poco, moglie e tre figli ma una fama da duro, da uomo d’ azione, più a suo agio con la fedele Beretta calibro 9 che con le carte della burocrazia poliziesca, che somiglia più all’ ispettore Callaghan che al posato Maigret. Ma ora è bloccato. Passeggia nervosamente per i lunghi e bui corridoi della Questura, risponde con un bisbiglio ai ‘ ngiorno dottore dei funzionari che vanno e vengono dagli uffici. Morde irritato un mezzo sigaro toscano, beve l’ ennesimo caffè e continua a attendere. Non ha casi da risolvere, mattinali da firmare. Dopo aver abitato e lavorato a Firenze per quindici anni, dove la malavita lo ama e lo odia, dove ha amici e nemici, è stato promosso e trasferito a Napoli. Sandro Federico è il nuovo capo della Squadra Mobile partenopea, ha annunciato il ministro dell’ Interno Antonio Gava. Ma su quella scomoda e scottante poltrona Federico si è seduto solo per pochi minuti due settimane fa. Ancora non ha lasciato il capoluogo toscano, è stato obbligato a rinviare la partenza. Da cacciatore è diventato una preda. E’ un ostaggio dell’ ultimo folle assassino apparso sulle scene fiorentine: il maniaco di Santo Stefano, il pazzo che con un revolver calibro 38 il 26 dicembre ha ammazzato un pensionato, Antonio Cordone. In questo modo, con un colpo alla nuca di un innocente, l’ omicida, che sicuramente ha turbe a sfondo religioso, è riuscito a fermare il funzionario di polizia. Parla chiaro il messaggio trovato accanto al cadavere di Cordone, in via di Barbacane, proprio sotto la collina di Fiesole. Sono poche farneticanti righe scritte frettolosamente a mano su una pagina strappata da un vecchio numero del settimanale Oggi: Vorrei Sandro Federico questore da Napoli a Firenze. Di tanto e per molto tempo. Niente tradimenti. Grazie Dio. Il maniaco non ha esitato a documentare la delirante e spaventosa impresa omicida: ha chiamato il 113, ha scagliato minacciosi avvertimenti, ha fatto trovare, in una busta abbandonata a poche centinaia di metri dalla Questura fiorentina, il bossolo del proiettile che ha usato per uccidere. Insomma prima ha ammazzato poi ha lanciato una vera e propria sfida. E così il funzionario di polizia, per esplicita richiesta della magistratura, ufficialmente ancora non ha cambiato sede. Federico, che subito dopo l’ uccisione del pensionato ha cercato di contattare il maniaco (Fatti vivo, chiamami, sono a tua disposizione, ha detto davanti alle telecamere), adesso è inchiodato davanti a un telefono, sospeso in mezzo a questo giallo di cui nessuno vede la fine e che appare ancor più complicato e angosciante di un altro caso che ha riempito di sangue le cronache fiorentine, quello del mostro di Firenze, l’ inafferrabile assassino che ha ucciso otto giovani coppie, sedici persone. Apparentemente sono due storie di sangue e di morte diverse. Eppure, almeno da un punto di vista comportamentale, tra il mostro e il maniaco di Santo Stefano ci sono inquietanti analogie. Entrambi hanno preso di mira gente comune. Non ci sono moventi oltre la pazzia del killer. Tutte le vittime sono legate da un sottile filo: si trovavano a passare o si sono fermate in luoghi isolati. E ancora: mostro e maniaco, se da una parte cercano di evitare la cattura, da un’ altra avvertono il bisogno di mettersi in contatto con gli inquirenti. Tutti e due hanno scritto lettere di rivendicazione siglando la missiva con un bossolo (il maniaco) o con proiettili (il mostro). Tutto questo è unito dalla figura del commissario Sandro Federico. E’ stato il capo della Mobile fiorentina e, soprattutto, il capo della S.A.M., la speciale squadra antimostro formata da funzionari di polizia e ufficiali dei carabinieri cinque anni fa, all’ indomani dell’ ultimo duplice omicidio. Non è cosa da poco. Il commissario non ha mai creduto troppo alla cosiddetta pista sarda, quella che portava verso il fratelli Francesco e Salvatore Vinci (arrestati ma prosciolti al termine dell’ istruttoria). Aveva avviato una serie di complicati controlli nel mondo dei guardoni, dei malati di mente. Ecco dunque la possibilità di un contatto, di un collegamento tra il maniaco e il funzionario di polizia. Magari si è trattato di un incontro del tutto casuale, durato pochi attimi. Ma tanto è bastato per accendere il folle meccanismo che ha portato all’ uccisione di Antonio Cordone. Ma il rapporto tra Sandro Federico e il maniaco di Santo Stefano potrebbe essere di quelli che i criminologi definiscono fantasmatici. I due non si sono mai incontrati, il commissario rappresenta qualcosa di diverso. E’ stato sublimato da una mente malata, da un pazzo che però non ha alcuna intenzione di finire i propri giorni chiuso in un manicomio criminale. E’ sicuro, convinto di avere agito per il bene della comunità e di avere Dio dalla propria parte. La follia del maniaco ha una forte componente religiosa. Ha ringraziato Dio nel messaggio che ha abbandonato accanto al corpo di Antonio Cordone e che evidentemente aveva preparato prima dell’ omicidio, ha confusamente espresso gratitudine a Dio nelle tre telefonate che sono arrivate al 113 il giorno del delitto. E si è richiamato a Dio in una breve missiva che accompagnava il bossolo del proiettile sparato dal revolver calibro 38. Uno psicotico dunque, che delira dall’ alto di un piedistallo divino e che manifesta la volontà dell’ Essere Supremo attraverso la canna di un revolver calibro 38 che hanno già stabilito i periti è sicuramente di marca Smith & Wesson. E l’ arma è l’ unico indizio, l’ unica pista da battere. Intanto Sandro Federico continua l’ attesa di un contatto che potrebbe non arrivare mai. Il maniaco di Santo Stefano può sparire nel nulla. Come il mostro di Firenze.

di PAOLO VAGHEGGI

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4 Gennaio 1990 Stampa: La Repubblica – L’incubo del Commissario
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