Riprende la caccia al mostro “No, l’assassino non è morto”
FIRENZE Un brivido sottile percorre queste torride notti fiorentine. Da alcune settimane ha ripreso nuovo vigore la ricerca del mostro, il folle assassino che fra il 1968 e il 1985 ha massacrato otto coppie di giovani. La sensazione è che le indagini abbiano imboccato una pista inedita. Alcuni interrogatori potrebbero aver aperto squarci di nuove verità. Ed è possibile che gli oltre centomila controlli incrociati e memorizzati nei terminali abbiano dato utili frutti. Di sicuro qualcosa di importante è maturato ed è stato analizzato approfonditamente nel corso di una riunione dei poliziotti e dei carabinieri delle Sam (le squadre antimostro). Piero Luigi Vigna, il magistrato che con il collega Paolo Canessa segue da anni l’ inchiesta sul mostro, non tradisce particolari emozioni. Spiega che anche quest’ anno polizia e carabinieri continuano le attività di controllo per impedire gli omicidi di giovani coppie e conferma che le indagini non sono mai state interrotte: Continuare a cercare è un dovere non solo verso le vittime, i loro familiari e noi stessi. E’ un dovere verso Firenze. Un laconico dettaglio Vigna aggiunge solo un laconico ma significativo dettaglio: da qualche mese le ricerche battono piste estremamente laboriose e suggerite anche dal fatto che vi è un lungo periodo di silenzio dall’ ultimo omicidio. Le sequenze dei delitti del mostro sono sempre state un enigma. La Beretta calibro 22 con la quale l’ assassino ha firmato tutti i suoi omicidi ha sparato per la prima volta nel 1968: due amanti, Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, furono uccisi in macchina a Castelletti di Signa. Poi sei anni di silenzio. Nel 1974 la Beretta torna a colpire a Borgo San Lorenzo. Due giovanissimi fidanzati vengono assassinati e l’ omicida infierisce con una lama sul corpo della ragazza. Poi sette anni di buio. Nel 1981 l’ assassino torna in azione e colpisce due volte: in giugno a Scandicci, in ottobre a Calenzano. A Firenze e nei comuni vicini è il terrore. Si comincia a parlare di mostro. I duplici delitti continuano a cadenza annuale: nel giugno ‘ 82 l’ assassino colpisce a Montespertoli, nel settembre ‘ 83 al Galluzzo, nel luglio ‘ 84 a Vicchio, nel settembre ‘ 85 a San Casciano. Poche ore dopo l’ ultimo delitto il folle sigilla in una busta un lembo di mammella della vittima e invia il plico a uno dei magistrati che indagano sui delitti, l’ unica donna. E’ una sfida plateale e sono in molti a pensare che vi sarà una drammatica accelerazione nella sequenza degli omicidi. Invece è il silenzio. Da cinque anni la Beretta tace. Perché? Questo intervallo può avere diversi significati, dice Vigna: Può voler dire che la persona (non pronuncia mai la parola mostro, ndr) è andata via, o che è morta, o che ha smesso di uccidere, o che è in carcere. Da qualche mese ripete le indagini si fondano su questo periodo di silenzio. Vigna non crede che l’ assassino sia morto. Si direbbe che lo sente: Possibile che uno che ha lanciato segnali così vistosi non abbia lasciato niente di scritto? E’ vero anche, però, che forse i parenti avrebbero tenuto nascosto un messaggio così terribile. A volte credo che la vergogna abbia creato gravi ostacoli a questa indagine. Bisognerebbe riuscire a reinquadrare il problema di quell’ uomo nella dimensione della malattia. Lo stesso uso del termine mostro può dare origine a una subcultura. Un tempo chi veniva colpito da una malattia venerea non si curava e si sentiva colpito da un castigo divino. Forse in questa vicenda è accaduto qualcosa del genere. Incredibili coincidenze Ma, pur soppesando ogni eventualità, Vigna tende ad escludere che l’ assassino sia morto. E ora tutti gli sforzi investigativi sono concentrati su questo suo misterioso silenzio. Il tam tam degli uffici giudiziari racconta di interrogatori in carcere, di segretissime indagini sul conto di alcuni detenuti, di ritrovamenti che potrebbero avere grande significato (ma Vigna smentisce), di incredibili coincidenze con alcuni dei delitti. A volte mormora il magistrato sembra di essere vicini. Però le prove sicure sono pochissime. Sono la pistola, che non è mai stata trovata. O i feticci che l’ assassino ha portato via alle sue vittime. O i proiettili. C’ è qualcosa di profondamente mortificante in questa inchiesta, sospira Vigna: perché si può anche essere certi di aver individuato l’ assassino, ma senza almeno una di quelle prove sarà terribilmente difficile incastrarlo.
di FRANCA SELVATICI