Scatta sulle colline di Firenze una nuova caccia al mostro
MERCATALE (Firenze) – Il paese è tutto in piazza ed ha gli occhi puntati sullo sdrucciolo sbarrato da due poliziotti in divisa, davanti al numero 30 di via Sonnino. Qui la polizia sta combattendo l’ ennesima battaglia nel caso del mostro di Firenze. La gente osserva da lontano e commenta i movimenti degli investigatori, ascolta in sottofondo i rumori dei martelli pneumatici che sventrano il terreno, aspetta di sapere cosa uscirà da quella casa trasformata in un cantiere per una perquisizione infinita. E’ la casa di Pietro Pacciani, 67 anni, l’ ultimo dei sospettati per gli otto duplici omicidi del mostro. Pacciani vive in tre stanze con bagno a Mercatale Val di Pesa, nelle colline intorno a Firenze, a pochi chilometri da dove il maniaco delle coppiette ha ucciso due tedeschi nell’ 83 e due francesi nell’ 85. La caccia è cominciata ieri mattina ed ancora non è finita. E’ continuata per tutta la notte e probabilmente dopo una breve sosta riprenderà stamani. Alle dieci di ieri sera, la possibile svolta: c’ è un bossolo nell’ orto giardino. Potrebbe essere di piccolo calibro, forse 22 come quelli sparati dalla pistola del mostro. Gli uomini della squadra antimostro sono lì per trovare qualcosa d’ importante, di decisivo. “Una pistola, un pezzo di un’ arma o qualsiasi cosa che ci possa aiutare nell’ indagini” confessa con il volto tirato dalla tensione Ruggiero Perugini, il commissario che da anni dà la caccia al mostro. E per cercare quel qualcosa scavano nell’ orto e controllano con strumenti sofisticati ogni centimentro quadrato delle stanze della casa di Pacciani, indiziato dall’ ottobre scorso per gli otto duplici omicidi compiuti dal maniaco nella provincia di Firenze, fra il ‘ 68 e l’ 85. Ci sono almeno trenta uomini, fra poliziotti e carabinieri nella piazza principale di Mercatale, in mezzo ad un paese che non crede alla colpevolezza del contadino finito in carcere negli anni cinquanta per aver ucciso l’ amante della sua fidanzata. Gli agenti, insieme a due squadre di pompieri, si sono portati dietro un metal detector e un termovisore: lo stesso con il quale dieci anni fa sotto i dipinti del Vasari nel salone dei 500 di Palazzo Vecchio, vennero cercate tracce degli schizzi di Leonardo da Vinci. Pacciani vede arrivare i primi poliziotti dalla finestra alle 9.20 di ieri. Dietro due carabinieri riconosce Perugini. Apre la porta bestemmiando e mentre legge il mandato di perquisizione, la moglie Angiolina s’ avventa su un poliziotto mordendogli la mano. Sarà l’ unica reazione: per il resto della giornata seguiranno in silenzio ogni passo degli investigatori. S’ inizia dall’ orto. Il terreno viene rivoltato e il metal detector passa senza sosta fra le zolle, sotto le piante sradicate, davanti alla porta a vetri dell’ ingresso del vecchio appartamento. E’ un assalto disperato. Confessa un investigatore: “Eppure ci deve essere… è stato Pacciani stesso a darci la prova che nasconde qualcosa fra le pareti di casa. Come? Quando potrete leggere gli atti capirete”. Poliziotti e carabinieri entrano ed escono dalla casa di Pacciani, parlano con l’ avvocato Renzo Ventura, difensore dell’ ultimo indiziato per quei sedici morti in tredici anni firmati dal mostro, telefonano al procuratore capo Piero Luigi Vigna che insieme al sostituto Paolo Canessa ha firmato il mandato di perquisizione, salutano giornalisti e fotografi assiepati davanti alla casa. Via Sonnino e le tre stanze dai mobili vecchi e dai quadri scrostrati di Pacciani ormai sono assediati dai curiosi. Esce la moglie Angiolina. Raggiunge le figlie che vivono in un piccolo appartamento lì vicino, poi rientra verso le sette di sera. Alle otto con il buio arriva il termovisore. Funziona a raggi infrarossi e ad ultrasuoni. E’ così sensibile che può entrare in funzione solo quando la temperatura si abbassa. Servirà per la notte, per scandagliare ogni mattonella della cucina, della camera da letto, del bagno di Pacciani. E’ un raggio laser collegato ad una centralina, e all’ ultima speranza del commissario Perugini e dei suoi uomini.
di GIANLUCA MONASTRA