“Quel proiettile è solo un minuscolo indizio”
FIRENZE – Un piccolo proiettile ha dato una scossa all’ inchiesta sul maniaco che in 24 anni ha massacrato sedici persone nei dintorni di Firenze. Ma la fiammata potrebbe spengersi presto. Calibro 22, marca Winchester, serie H: in questo è identico a quelli usati dall’ assassino. Ma serviranno altre perizie per stabilire se faceva parte dello stesso lotto del mostro. E’ stato trovato incastrato in un paletto di cemento nella vigna di Pietro Pacciani, attualmente l’ unico indagato per gli otto duplici omicidi. Ora è nelle stanze della polizia scientifica: Francesco Donato, che la dirige, ha avuto incarico di analizzare quei pochi grammi di metallo per confrontarli con quelli estratti dai cadaveri delle vittime del maniaco. E’ un confronto che può solo escludere e non confermare: se la lega dei metalli o il sistema di fabbricazione sono differenti, il proiettile diventerà uno dei tanti reperti della maxi perquisizione in atto da quattro giorni in casa di Pacciani. Ma se anche la scientifica dovesse dimostrare che si tratta di proiettili dello stesso lotto, ugualmente polizia e carabinieri sarebbero ben lontani dall’ aver trovato una prova decisiva. La casa e l’ orto di Pacciani da lunedì sono passati a setaccio da due metal detector, una termocamera agli ultravioletti e una trentina tra vigili del fuoco, poliziotti e carabinieri. Ieri la perquisizione è stata molto rallentata da maltempo, ma non si è mai interrotta. E proseguirà anche oggi. “Potremmo continuare per molti altri giorni”, ammette un investigatore. E Piero Luigi Vigna, procuratore capo e titolare dell’ inchiesta insieme al collega Paolo Canessa, annuncia: “In quest’ indagine i tempi non ci spaventano”. E’ una battuta che arriva dopo tre ore di vertice in questura. I magistrati, il capo della squadra antimostro (Sam), Ruggero Perugini, i capitani dei carabinieri Paolo Scriccia e Pietro Oresta, gli agenti della Sam, il maresciallo di stazione di San Casciano si sono asserragliati alle 17.30 in una stanza e ne sono usciti alle 20.30. Hanno valutato il ritrovamento del proiettile, hanno rivisto i filmati a colori della perquisizione, hanno discusso anche dei sopralluoghi fatti ieri dalla scientifica a Scopeti, vicino a San Casciano, il luogo dove il maniaco ha colpito l’ ultima volta, nell’ 85. Sembra che la polizia abbia fatto anche altri sopralluoghi. Il proiettile comunque non potrà “parlare”: è inesploso e non ha le tracce del percussore della Beretta calibro 22 utilizzata dal maniaco.
di GIANLUCA MONASTRA
Catena di errori giudiziari in carcere cinque innocenti
FIRENZE – Le indagini sul cosiddetto “mostro di Firenze”, autore di otto duplici omicidi, sono costellate da clamorosi errori giudiziari. E’ una storia che è cominciata negli anni Ottanta, quando finì in carcere Enzo Spalletti. Uscì di prigione dopo l’ ennesimo delitto. Nella stessa situazione si sono trovati negli ultimi dieci anni Francesco Vinci, Piero Mucciarini e Giovanni Mele, Salvatore Vinci, tutti sotto accusa per indizi concomitanti. Non è mai stata trovata la prova principe, quella Beretta che è il marchio del maniaco, caricata con proiettili calibro 22 marca Winchester, serie H, la serie di quello sequestrato nell’ orto di Pietro Pacciani. Va detto che la casa americana ne ha prodotti a milioni. Si trovano ancora in commercio. Una manciata è sicuramente custodita nei cassetti del “mostro” che ha esploso complessivamente 67 proiettili di questo tipo, provenienti da due partite che si differenziano per la presenza di uno strato di rame al posto del semplice piombo nudo. Fu proprio analizzando i bossoli Winchester che dopo il terzo delitto (1981) si scoprì il collegamento tra gli omicidi e “nacque” la figura del maniaco. Il “mostro” ha lasciato anche cartucce inesplose. Tre di queste furono spedite nel 1985 per posta ad altrettanti magistrati (Piero Luigi Vigna, Silvia Della Monica e Francesco Fleury) accompagnate da un messaggio di sfida: “Ve ne basta uno a testa?”. Un altro proiettile portò qualche anno fa gli investigatori a setacciare l’ ospedale di Ponte a Niccheri, nel cui piazzale era stato ritrovato, e a indagare su un pastore sardo.
Una vita vissuta violentemente
MERCATALE – Fino a qualche giorno fa queste terre erano famose solo per il vino e per aver ospitato Niccolò Machiavelli. Qui possiedono vigne, terreni e cantine i marchesi Antinori, qui nell’ aprile del 1513 si rifugiò Machiavelli: abitava a Sant’ Andrea in Percussina e, mentre meditava la stesura de Il Principe, sicuramente attraversò Mercatale, antico borgo nato come punto di scambio di merci per gli abitanti della Val di Pesa ma che oggi sta diventando celebre soltanto perché vi abita Pietro Pacciani, quello che sospettano essere il “mostro”. Se è il mostro, va detto, è un mostro furbescamente arguto, persino simpatico. Pacciani, 67 anni mal portati, basso e tarchiato, che ha sulla coscienza più di un peccato mortale – condanne per omicidio e violenza carnale nei confronti delle figlie – è d’ aspetto e parla come certi personaggi che appaiono nei film di Roberto Benigni. Un linguaggio carico di toscanismi storpiati, di similitudini bibliche: urla, strepita, sbraita e lancia offese, ma senza troppo ardore, verso i fotografi che stazionano in paese, davanti alla sua casa, in via Sonnino, come fossero dentro un set cinematografico. Il vicolo che porta alla sua abitazione e all’ orto dove l’ altra sera è spuntato un proiettile calibro 22 marca Winchester serie H – lo stesso tipo usato per uccidere otto giovani coppie – è sbarrato. “Alt polizia”, avverte un cartello. Due agenti in uniforme, muniti di walkie-talkie, impediscono l’ accesso a una torma di giornalisti armati di telefono satellitare, ai curiosi, agli abitanti di Mercatale che hanno assistito sbigottiti e increduli a questa pubblica perquisizione cominciata all’ alba di lunedì. Sono loro, i vicini di casa, a non credere a questa pista. “Il Pacciani? E’ strano, ma da qui a pensare che sia lui il mostro…”, dicono al bar Centrale. Chi è convinto del contrario è il commissario Ruggero Perugini, che dirige la Sam, la squadra antimostro, che da mesi insegue Pietro Pacciani. Ha controllato ogni giorno della sua vita e adesso, con l’ autorizzazione del procuratore della Repubblica Piero Luigi Vigna, ha smontato la sua casa. Non sono saltate fuori nè la pistola del maniaco nè qualche altra prova inoppugnabile ma uno straccio coperto di macchie misteriose, una manciata di milioni e quel proiettile che, ancora una volta, avvolge di dubbi la figura di Pietro Pacciani, “lavoratore della terra agricola in pensione” come si autodefinisce, indiziato di tutti gli omicidi che si voglion commessi dal mostro. Ma Pacciani non ci sta e grida la sua innocenza. “Io sono un disgraziato ma non sono il mostro. Sono innocente lo giuro davanti a Cristo”, tuona perentorio. E si sente vittima di una macchinazione. Racconta irato: “E’ vero hanno trovato una palla. Era dentro un colonnino messo a diacere (per terra, ndr) nell’ orto. Una palla tutta impastata di terra, era lì da anni e io negli ultimi anni sono stato in carcere. Ma vi pare che avrei nascosto un bossolo in giardino? Appena l’ hanno visto l’ hanno puntato come se fossero cani da caccia. La verità è che mi vogliono rovinare. Sono giorni che scavano. Io l’ ho detto a quest’ omini: ma che cercate l’oro di Dongo? A forza di raspare (scavare, ndr) hanno trovato un bussolotto di chiodi. Sono quattrini buttati al vento”. Un barattolo di chiodi. Ma quel proiettile? “Che ne posso sapere, io? Ce l’ avranno messo mentro ero in carcere. Quando ero dentro hanno perquisito la casa due volte. Questo è un trucco, una faccenda preparata. Mi vogliono ammazzare, sono malato di cuore”, risponde prima di ricostruire, a modo suo, la storia della sua vita. Le parole gli escono dalla bocca come un fiume in piena: “Ho sempre lavorato, non ho mai avuto un’ ora di libertà e se ho due casucce è perché l’ ho tirate su con le mie mani, ho faticato come Giobbe. Per vent’ anni con la mi’ moglie s’ è mangiato cipolle e insalata. Le mi’ figliole m’ hanno accusato di quelle brutte cose perchè le picchiavo. Ma io le picchiavo perchè andavano con dei giovanotti che gli mangiavano tutti i quattrini. Sì, hanno trovato dei soldi. Sono boni (buoni, ndr) postali e per avere queste du (due, ndr) lire mi sono tolto il pane dalla bocca”. Poi le lamentazioni: “Questi infami mi hanno distrutto. Io sono un padre di famiglia e con questa propaganda mi hanno deviato (allontanato, ndr) dagli amici. Dio mi bruci se un (non, ndr) dico la verità”. Ma allora chi è il mostro, chi ha assassinato e brutalmente straziato i corpi di sedici giovani? “Io l’ ho detto quando mi hanno interrogato. Sarà un omo solo, un matto. Spero che lo acchiappino e che lo brucino in un forno”. La storia di Pietro Pacciani in realtà è carica di fosche tinte. A Vicchio, suo paese natale nel 1951, quando aveva 26 anni, trucidò brutalmente un uomo. Quel giovane contadino che durante il servizio militare s’ era distinto per l’ abilità nell’ uso delle armi si macchiò di un delitto bestiale. Era l’ 11 aprile: Pietro Pacciani seguì di nascosto la pastorella di cui era pazzamente innamorato, di nome Miranda. La fanciulla – aveva 17 anni – entrò nella foresta di Tassinaia in compagnia di un altro uomo, un ambulante, Severino Bonini. Pacciani la vide accettare duemila lire, la vide sparire dietro un cespuglio. Tirò fuori un coltello e colpì Bonini con tutta la forza che aveva. Lo colpì 19 volte. Gli schiacciò la testa con il tacco della scarpa. E poi si gettò sopra Miranda e consumò un folle amplesso accanto a quel povero corpo martoriato. Fu condannato a 18 anni di carcere. Uscì nel 1968, ormai quarantatreenne, alla vigilia del primo delitto attribuito al mostro di Firenze, quello di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, ammazzati nell’ agosto a colpi di Beretta calibro 22. La vita di Pacciani riprese a scorrere. Si sposò, ebbe due figlie e cominciò a girovagare per la provincia di Firenze. Dicono gli inquirenti che ha vissuto o ha frequentato per lavoro le zone dove è stata segnalata la presenza del maniaco. La libertà durò una ventina d’ anni. Tornò in carcere nel 1987, per aver violentato le figlie. Ne è uscito pochi mesi fa. Nel frattempo il suo nome è spuntato dai controlli incrociati della squadra antimostro, una lettera anonima l’ ha segnalato nei boschi di Scopeti dove nel settembre del 1985 il maniaco uccise due turisti francesi. Sono indizi piuttosto vaghi da cui è scaturita una comunicazione giudiziaria per tutti gli otto duplici delitti. Poca cosa: dopo gli interrogatori di rito il caso sembrava chiuso. Ma negli ultimi giorni c’ è stato un susseguirsi, un incalzare di eventi: un’ intercettazione ha aperto la caccia a un ipotetico nascondiglio. In casa di Pacciani è arrivata una termocamera, i raggi ultravioletti hanno esaminato i muri, il pavimento, l’ orto dove potrebbe essere sepolta un’ arma. Una Beretta calibro 22, sperano in segreto gli inquirenti. La pistola però non è stata trovata. C’ era un proiettile. Quel proiettile di cui Pietro Pacciani dice di non sapere nulla. “Sono innocente”, continua a ripetere alla moglie e alle due figlie che, pur avendo subito una tremenda violenza, non credono che il padre possa essere davvero l’ inafferrabile mostro di Firenze.
PAOLO VAGHEGGI