Ucciso per uno sgarro
PISA – Torturati, fatti a pezzi, infilati nel baule della macchina e poi carbonizzati, ridotti a un ammasso di resti. E’ un’ esecuzione atroce, la punizione per uno sgarro, quella che sabato pomeriggio nei boschi del Pisano ha giustiziato Francesco Vinci, per un anno – dall’ 82 all’ 83 – indagato per gli omicidi del mostro di Firenze, e Angelo Vargiu, il suo servo-pastore. Non c’ entrano maniaci, omicidi seriali, pratiche feticistiche. E’ stato punito chi ha violato il codice d’ onore barbaricino che ancora detta legge in quella striscia d’ Italia che corre per trecento chilometri fra l’ alto Lazio, l’ Emilia e la Toscana, il feudo dei pastori sardi e dell’ Anonima sequestri. E’ questa la pista seguita dai carabineri del comando provinciale di Pisa comandati dal colonello Del Sette e coordinati dal sostituto procuratore Angelo Perrone per risolvere il duplice omicidio di Chianni. Da due giorni gli inquirenti stanno setacciando i boschi e la macchia fra Pisa e Volterra in cerca di indizi, riscontri e prove. Hanno sentito più di dieci persone, tutti pastori sardi, alcuni con precedenti legati a sequestri di persona, e sono in contatto con i colleghi della Sardegna. Ma per ora l’ unica certezza di questa esecuzione sembra essere l’ identità dei corpi trovati nel baule della Volvo 240: Francesco Vinci, 50 anni e Angelo Vargiu, 39 anni, residente a Grizzano nel Bolognese. LA CONFERMA ufficiale è attesa per questa mattina. Quei corpi, mutilati dalla vita in giù e per il resto carbonizzati, hanno potuto raccontare molto poco anche durante l’ autopsia, tanto che il riconoscimento è affidato agli oggetti ritrovati nel baule della macchina e alle protesi dentarie. Vitalia Melis, moglie di Francesco Vinci, ha riconosciuto la fede e l’ orologio del marito, la grossa chiave di ferro trovata nel baule sarebbe quella dell’ ovile di Quarrata di proprietà di Vinci. In dubbio fino all’ ultimo il nome del secondo cadavere: gli inquirenti sono però ormai convinti che si tratti di Angelo Vargiu, originario di Nuoro, irrintracciabile da giorni, qualche precedente di sequestro per estorsione, pedina piccola dell’ Anonima. Fin da quando arrivò in continente negli anni settanta ha lavorato con Vinci: anche sabato si dovevano incontrare per “affari”. Vinci ha salutato la moglie sabato intorno alle 2. “Andava all’ ovile di Quarrata” è una delle poche cose che Vitalia Melis è riuscita – o ha voluto – dire ai carabinieri. E’ stato ritrovato qualche ora più tardi dentro la sua macchina incendiata con la benzina in una zona della campagna pisana – la contrada Garetto di Chianni – assai poco frequentata e conosciuta giusto da qualche pastore. Ma l’ esecuzione è avvenuta altrove: lungo la provinciale sono state ritrovate tracce di sangue quasi certamente uscito dal portabagagli dove erano stati sistemati i corpi mutilati. E’ escluso che sia l’ ovile il luogo della “punizione”: dista un’ ora e mezzo di macchina, troppo per andare in giro con due cadaveri fatti a pezzi, che perdono sangue a fiotti e tenuti insieme con un filo di ferro. Se i carabineri stanno ancora cercando dove sono stati uccisi i due – e da qui sarà più facile risalire agli esecutori – sembrano non avere più dubbi sul movente del duplice omicidio. “Uno sgarro, furti di bestiame e attrezzi agricoli, vitelli sgozzati” ripetono gli inquirenti, “sgarbi che il codice della balentia sarda punisce in modo così atroce”. Insomma, l’ imperturbabile Vinci, il pastore di ghiaccio che anche quando era accusato di essere il maniaco delle coppiette stupì gli inquirenti per l’ incredibile sangue freddo, sarebbe stato punito per aver rubato pecore e vitelli magari a qualcuno del suo clan. Ipotesi possibile: non sarebbe certo la prima volta. Ma sono i modi dell’ esecuzione a sembrare sproporzionati e contraddittori, come l’ uso della benzina e del fuoco per cancellare ogni possibile traccia. Per questo non si trascura l’ ipotesi estrema: che quell’ incendio così voluto e plateale sia un depistaggio. Perché non escludere che Vinci avesse, fra i suoi tanti segreti, qualcosa che lo ha spinto a fingersi morto e a scomparire? Ma allora di chi sarebbero quei cadaveri? “Stiamo lavorando sul contesto umano di questa gente, un intreccio molto complicato dove convivono furti di bestiame, sequestri di persona, ultimamente anche droga. Molti segreti. Seguiamo ogni pista”, ammette il sostituto Angelo Perrone. Compresa quella di un accordo non rispettato con l’ Anonima. Di certo c’ è che le persone sentite per fare luce sul duplice omicidio sono tutte legate, chi più chi meno, a quel mondo. I boschi del Pisano, le contrade deserte, la macchia fitta sono terra favorevole per le carceri dell’ Anonima. Nel 1980 le sorelle Susanne e Sabine Kronzucker e Martin Watchler furono rapiti a Barberino Val d’ Elsa. Augusto De Megni fu liberato nell’ autunno del 1990, dopo una prigionia di un paio di mesi, in un casale del Volterrano. E la primavera del ‘ 92 il sostituto Perrone fece fare una battuta di tre giorni nelle colline di Pontedera alla ricerca del piccolo Farouk Kassam. Allora c’ erano “notizie concordanti e pressanti dalla Sardegna” che costrinsero gli inquirenti a tentare anche questa carta. Oggi, così non sembra. Ma ieri al Palazzo di giustizia di Pisa s’ è fatto vivo anche il capo della Criminalpol Sandro Federico, grande esperto di sequestri di persona.
dai nostri inviati CLAUDIA FUSANI e GIANLUCA MONASTRA
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