Pacciani inchiodato da un blocco di carta
FIRENZE – “Il blocco è uguale a quelli di mio fratello. Ne aveva tanti di quel tipo, diceva che erano i migliori per disegnare”. L’ accusa è diretta, parte dal cuore e dai ricordi di Heide Marie Meyer, sorella di Horst, ucciso 11 anni fa dal mostro. E centra il bersaglio. Scuote la testa Pietro Pacciani, che ascolta in silenzio e che nel pomeriggio crolla. Il blocco era in un cassetto di casa sua. Secondo l’ accusa proviene dal camper dei due tedeschi uccisi al Galluzzo il 9 settembre 1983. Pacciani lo ha usato, ci ha scritto appunti datati ‘ 81, dice di averlo trovato in una discarica due anni prima l’ uccisione dei tedeschi. Ma i consulenti tecnici lo smentiscono: l’ album è in buone condizioni, non può essere stato fra i rifiuti, e quegli appunti non sembrano scritture spontanee ma copiature. Il pm incalza, Pacciani si affloscia. Trema, singhiozza, si tocca il cuore. Sono gli ultimi minuti di un’ udienza difficile. La corte si aggiorna. Cala il sipario sull’ udienza dominata dalla prima testimonianza lontana da suggestioni, la prima senza “forse”, senza “mi sembra”. La più micidiale per Pacciani. Heide Marie Meyer ha un volto pallido e intelligente sotto un caschetto arruffato di capelli biondi. E’ precisa, lineare. “Parlare di Horst è come mettere il sale su una ferita ancora aperta” dice. Ha 33 anni, ne aveva 22 quando il mostro le uccise il fratello di un anno più grande. Erano legatissimi. Passioni in comune, viaggi, progetti. Tutto spezzato dalla calibro 22 del mostro. Ora è tornata in Italia per testimoniare. Il pm Paolo Canessa la interroga. Signorina, riconosce questo blocco, Skizzen Brunnen, sequestrato a casa dell’ imputato? “Mio fratello usava album come questo. Aveva frequentato una scuola di grafica ad Osnabruck. Quell’ estate aveva vinto una borsa di studio per l’ università di Munster. Era contento e aveva deciso di festeggiare con una vacanza in Italia…”. In casa vostra c’ erano blocchi uguali o simili? “Sì, di varie misure. Ne consegnai uno un po’ più grande alla polizia. Mio fratello li comprava ad Osnabruck, in due negozi specializzati. Anch’ io disegno e lui mi consigliava quella marca. Diceva che erano i migliori”. In aula accanto al pm è seduto il commissario Ruggero Perugini, ex capo della squadra antimostro, il poliziotto che si gioca tutto sul teorema Pacciani. E’ stato lui a trovare il blocco. L’ ha mostrato alla famiglia Meyer, ha scoperto che la marca Skizzen Brunnen non è mai stata commercializzata in Italia, ha sentito le commesse di un negozio di Osnabruck sicure di aver scritto codice e prezzo su quel blocco. Perugini e la Sam trovarono a Pacciani anche un portasapone. Continuano le domande del pm. Signorina, lo ricorda? “Mi sembra familiare. Quando la polizia me lo fece vedere dissi: ‘ ‘ E’ un oggetto di casa’ ‘ . E anche mio padre e due amici di Horst ebbero la stessa reazione”. Prima di andarsene Heide Marie consegna alla corte due astucci pieni di matite. Erano di Horst e potrebbero essere confrontate con quelle trovate a casa Pacciani. Mentre Heide Marie lascia l’ aula c’ è tempo per l’ ultima emozione. Un abbraccio lungo e silenzioso con Renzo Rontini, padre di Pia, altra vittima del mostro. Heide Marie esce di scena ma il blocco resta al centro dell’ udienza. Nel pomeriggio i consulenti Claudio Proietti e Francesco Donato della Polizia Scientifica spiegano perchè gli appunti di Pacciani, a loro avviso, non sono scritture spontanee ma trascrizioni. Il contadino è paonazzo. Ripete agli avvocati: “Su quell’ album ci ho scritto io nell’ 81. Questi sono trucchi”. Poi comincia a piangere, si porta la mano al petto, ingoia una pillola. “Si sente male”, avvertono gli avvocati Pietro Fioravanti e Rosario Bevacqua. I carabinieri lo accompagnano fuori, il pm chiama un’ ambulanza. Seduto sulla panca di cemento della cella, Pietro si torce le mani: “Dio Signore benedetto, ma che ho fatto di male io pe’ meritammi questo?”. Dal taschino della camicia estrae le Nazionali senza filtro. “Ma che fa, Pietro?” lo bloccano gli avvocati: “Le rimetta dentro. Ora vengono i dottori, se è necessario la portano all’ ospedale”. “Macchè, m’ è passato”, protesta. Ecco la sirena, arrivano i medici. “Pietro, si faccia visitare” lo incoraggiano i difensori. Lo convincono a misurarsi la pressione e a farsi un elettrocardiogramma. Tutto bene, salvo la minima a 110. Ha avuto una crisi di angina pectoris ma sta meglio, niente ospedale, può tornare in carcere. Vedrà la partita? “Ma che la vole…” risponde triste scuotendo la testa.
di GIANLUCA MONASTRA e FRANCA SELVATICI