Il 26 Marzo 1996 rilascia testimonianza Mariagrazia Frigo al dirigente della Squadra Mobile Michele Giuttari.
“Quel 26 marzo rimasi subito colpito dalla personalità della Frigo. Mi fece presente che aveva reso, a suo tempo, dichiarazioni in Questura, anche contro il parere dei suoi familiari, perché era sicura al cento per cento, di quello che aveva visto e per lei era stata una decisione molto sofferta. Al riguardo, precisava: come può comprendere è molto più facile stare zitta, che parlare, ma per me era indispensabile, per un problema proprio di dovere civico, riferire i fatti notati per poter contribuire alle indagini.
Mi fece anche presente che si era decisa a riferire l’èpisodio narrato con otto anni di ritardo perché aveva avuto modo di vedere, nel 1992, la foto del Pacciani sui giornali e lo aveva riconosciuto: era la persona notata quella notte del 29 luglio 1984 alla guida dell’auto, e che aveva un comportamento sospetto e assolutamente fuori luogo. …
… Disse di aver ricollegato subito al delitto ciò che vide quella notte, in particolar modo il comportamento del guidatore di quell’auto, che, percorrendo a forte andatura la strada sterrata, aveva tagliato la strada alla macchina su cui lei viaggiava con il marito e la figlia.
Ne aveva discusso in famiglia e, forse per paura, l’avevano consigliata di non dire nulla. Aggiunse: poi, sa come vanno queste cose: più tempo passa e meno è facile prendere la decisione di collaborare. Inoltre, nel tempo, ebbi modo di leggere sulla stampa che avevano identificato il Mostro nei Mele, dei quali vidi le foto che io non riconobbi, per cui ritenni che la persona da me notata quella notte, nella circostanza riferita agli inquirenti, non avesse nulla a che vedere con il Mostro.
Continuò: è andata proprio così: quando vidi che i Mele vennero scarcerati e le indagini, ripartite di nuovo, conducevano al Pacciani, avendo riconosciuto la foto di questi per la persona notata la notte del delitto, anche se erano passati diversi anni, vinsi tutte le resistenze sia mie che dei miei familiari e feci il passo per contattare gli inquirenti e riferire tutto.
Chiarì che quando aveva sentito il boato, non erano le 23,30, ma sicuramente un’ora compresa tra le ore 22 e le 23, poiché avevano già cenato, ma non era ancora notte. Ci tenne a sottolineare che, nel 1992, non aveva riferito di aver udito un colpo d’arma da fuoco, come riportato in quel verbale, bensì un boato, come un fragore, un rumore potente portato da un’eco. Lo sentirono anche le bambine e la donna, presso cui era ospite. Quest’ultima, all’osservazione della teste – accipicchia, ma che ci sono di già i cacciatori – sapendo che la caccia non era ancora aperta, aveva detto che quel boato le era sembrato lo scoppio di un pneumatico di auto.
La teste era contenta di essere stata inaspettatamente riconvocata. Disse di essersi molto meravigliata quando il personale della Questura, aveva detto che il suo racconto non era attendibile.
Raccontò di nuovo l’episodio: andati via dai Bianchi, la famiglia presso cui eravamo stati ospiti, eravamo io, mio marito alla guida della nostra macchina Citroen e la bambina, che all’epoca aveva 10 anni, mentre percorrevamo la strada sterrata in discesa e in direzione quindi della strada sagginalese, prima di una curva, ebbi modo di vedere salire verso di noi un’autovettura che procedeva a velocità sostenuta e con i soli fanalini di posizione accesi. A tale vista, dissi subito a mio marito, che stava armeggiando con la leva che consente nella Citroen di
sollevare gli ammortizzatori per via delle buche, di stare attento perché non mi piaceva l’andatura di quella macchina che sopraggiungeva e che, per la natura stretta della strada, non consentiva il passaggio di due auto.
Mio marito vide la macchina, intuì il pericolo e procedette dicendomi «stai calma, vedrai che se non vuole picchiare, si ferma prima». Mio marito era abbastanza tranquillo anche perché la nostra macchina era in posizione di vantaggio e era anche più. grossa. Quando ci avvicinammo a questa macchina, il guidatore, anziché fermarsi, fece una manovra repentina tagliandoci la strada e immettendosi in un slargo tra una siepe e un’altra facendo una brusca frenata in quel posto. Noi proseguimmo, senza fermarci e, quando andai, dopo le dichiarazioni in Questura, a fare il sopralluogo, vidi che al di sotto del posto in cui si era fermata bruscamente l’auto c’era un balzo che, anche se non profondo, avrebbe immobilizzato il mezzo. La manovra repentina del guidatore che in pratica ci tagliò a brevissima distanza la strada mi diede modo di vedere bene la macchina e anche la faccia di questa persona. Anzi devo dire che prima ho guardato la faccia e subito dopo la macchina, della quale ricordo di aver letto sul momento anche la targa, che però non annotai e dimenticai. Ricordo solamente che era una targa senza le lettere dell’alfabeto.
Fissai bene il soggetto e la macchina perché era mia intenzione nel caso in cui l’avessi rivisto di giorno fargli rilevare che non era quello il comportamento da tenere di notte in quella strada e in quei posti così isolati perché privi di luce e quella guida costituiva sicuramente un pericolo. Descrivo adesso l’uomo e la macchina. Ribadisco che l’uomo l’ho poi con certezza riconosciuto nel Pacciani Pietro. Era di corporatura robusta, viso pieno, volto deciso nell’aspetto, non sudato, ricordo molto bene la camicia che indossava. Era scozzese a sfumature e il colore poteva essere con una prevalenza di azzurro. Aveva i capelli ben pettinati, tagliati a spazzola, come fatti in giornata.
La macchina era di colore bianco e ebbi modo di vederla bene quando ci tagliò la strada e venne illuminata dai fari della nostra auto. Era di media cilindrata, una utilitaria abbastanza decente. Proseguendo nella strada sterrata, dopo aver notato quanto ho riferito, poco distante e sempre prima di immetterci nella via sagginalese, ho notato un’altra autovettura che avanzava verso di noi ad andatura che mi è sembrata regolare. Quest’auto, che era di colore rosso e presentava la coda di dietro tronca, prima che noi la incrociassimo, si immise in una stradella laterale sempre in terra battuta. Vidi che su quest’auto c’era una sola persona, anche questa grassottella, più giovane del Pacciani.
La distanza tra le due macchine da me notate sarà stata di circa 200-300 metri. Sono comunque disponibile ad indicarvi i posti esatti in cui vidi le due auto.
A distanza di qualche settimana, mentre si trovava sempre ospite, di domenica, presso la casa di campagna degli stessi amici, aveva notato transitare, davanti alla casa, il Pacciani alla guida di una Fiat 126, che l’aveva guardata insistentemente, senza però fermarsi.
Indossava una camicia a fondo rosa, che gli aveva rivisto addosso in una ripresa televisiva del processo.
Anche la camicia che indossava la notte del 29 luglio 1984 l’avrebbe riconosciuta in mezzo a mille altre. L’aveva già riferito in Questura ma di questo non c’era traccia nel verbale del 1992.” Vedi Compagni di Sangue pag. 129 e 132/133/134/135
Non disponiamo del verbale.