Il 20 Novembre 1996 viene consegnata la perizia psichiatrica redatta dal Prof. Ugo Fornari e Prof. Marco Lagazzi su Giancarlo Lotti, perizia commissionata dal Sostituto procuratore Paolo Canessa in data 16 settembre 1996.

Questa la perizia: Perizia psichiatrica su GiancarloLotti 20 novembre 1996- (Fornari, Lagazzi)

La perizia trascritta:

PROCURA DELLA REPUBBLICA – TRIBUNALE DI FIRENZE
Procedimento n. 5047/95 R.G.N.R. Mod. 21
Chiar.mo Sig.
Cons. Dr. Paolo CANESSA S. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di FIRENZE

In data 16.09.1996 la S.V. Ill.ma dava incarico ai sottoscritti Prof. Ugo Fornari, medico specialista in psichiatria e Professore Ordinario di Psicopatologia Forense presso l’Università di Torino, e Prof. Marco Lagazzi, medico specialista in psicologia e Professore a Contratto di Psicologia Giudiziaria presso l’Università di Genova, di sottoporre ad accertamenti clinici, criminologici e psichiatrico-forensi il Sig. LOTTI GIANCARLO nato a S. Casciano Val di Pesa (Firenze) il 16.09.1940, attualmente domiciliato in luogo noto al Servizio Centrale di Protezione.

Lotti risulta indagato per i reati di cui agli artt. 110, 81, 575, 577 n. 3, 61 n. 5, 410, 416 c.p. e altro (omicidio aggravato premeditato in concorso con altre persone e vilipendio di cadavere): reati commessi nella provincia di Firenze fino al settembre 1985.

Assolte le formalità di rito, siamo stati informati di quanto segue:
“…premesso che nell’ambito delle indagini relative al
procedimento n. 5047/95 questo ufficio procede ad indagini,
tra gli altri, nei confronti di LOTTI GIANCARLO quale
persona sottoposta ad indagini in relazione ai delitti alla
rubrica e quali indicati anche agli atti che, in copia, vengono
consegnati ai CC. TT.;
– rilevato che, anche in base ad informazioni di persone
informate sui fatti e per una più completa ricostruzione della
vicenda appare opportuno disporre consulenza tecnica nei
confronti del predetto Lotti al fine di accertare se il
medesimo sia affetto da patologie con specificazione, ove
possibile, delle cause, pone ai CC. TT. i seguenti quesiti”.
A questo punto ci è stato affidato l’incarico di rispondere
ai seguenti quesiti:
“dicano i CC. TT., esaminati gli atti del procedimento
relativi al LOTTI Giancarlo, visitato e sottoposto il
medesimo a tutti gli accertamenti diagnostici che riterranno
necessari:
1) se il LOTTI Giancarlo sia affetto da impotenza sessuale
organica o psicogena ed in caso positivo in quale forma;
2) quale ne sia la causa;
3) quale ruolo la stessa abbia esercitato nella dinamica dei
reati per cui il medesimo è indagato, quali ricostruiti dalle
indagini e dalle dichiarazioni dello stesso LOTTI;
4) riferiscano quanto altro utile all’accertamento della
verità clinica del soggetto”.
Ci siamo dichiarati disponibili ad assolvere l’incarico
affidatoci e abbiamo chiesto per ottenuto termine di giorni 60
per rispondere con relazione scritta.
Abbiamo dichiarato che le operazioni peritali sarebbero
iniziate il giorno stesso, con un primo colloquio con LOTTI
presso la Sezione di P. G. della Procura di Firenze. I
successivi incontri sono stati fissati presso l’istituto di
Criminologia e di Psichiatria Forense dell’Università di
GENOVA nei giorni 30 settembre, 15, 18 e 29 ottobre 1996.
Siamo stati autorizzati ad avvalerci di mezzo proprio e
anche di taxi per gli spostamenti dai luoghi di arrivo di mezzi
pubblici al luogo di espletamento della consulenza ed anche
di avvalerci di Laboratori e di Istituti.
Dei dati venuti in nostro possesso e degli accertamenti da
noi praticati diamo, qui di seguito, relazione scritta,
unitamente alle risposte ai quesiti postici.
I FATTI PER CUI SI PROCEDE
I fatti per cui si procede sono quelli attinenti alla lunga e
complessa serie di reati che fanno riferimento alla cosiddetta
vicenda del “mostro di Firenze”. Al fine di una corretta
comprensione della attuale vicenda giudiziaria, occorre
quindi proporre una pur breve sintesi della intera materia in
esame, così da giungere all’esame della situazione del
LOTTI Giancarlo solamente dopo la definizione di quali,
secondo la documentazione agli atti, possano essere state le
vicende nelle quali lo stesso oggi ammette di essere stato
coinvolto.
Secondo la documentazione agli atti, ed in particolare
secondo la ricostruzione proposta dalla Corte d’Assise di I
Grado di Firenze (qui citata unicamente a titolo di sintesi dei
fatti oggettivi), i delitti riferibili al cosiddetto “mostro di
Firenze” sono così sintetizzabili:
Omicidi Lo Bianco-Locci (agosto 1968, Lastra a Signa):
coppia uccisa con arma da fuoco (pistola automatica Beretta
cal. 22 LR) mentre si trovava nella sua auto, in cui era
addormentato anche il figlioletto della donna, non colpito
dall’assassino. Per questo delitto venne condannato il marito
della donna. Non si registrarono mutilazioni.
Omicidi Gentilcore-Pettini (settembre 1974, Borgo S.
Lorenzo): coppia uccisa con arma da fuoco (pistola
automatica Beretta cal. 22 LR) mentre si trovava nella sua
auto. Il corpo nudo della donna venne trovato fuori dall’auto,
con gli arti divaricati ed un tralcio di vite infilato nella
vagina. Oltre che lesioni da arma da fuoco, vennero trovate
sul corpo dell’uomo alcune lesioni da arma bianca inflitte
post mortem, mentre sul corpo della donna vennero trovate
sia ferite da pallottola non mortali, sia 96 ferite da arma
bianca, inflitte prima e dopo la morte, e concentrate
soprattutto intorno alla regione pubica.
Omicidi Foggi-De Nuccio (Scandicci, giugno 1981): come
le precedenti, anche queste vittime erano una giovane coppia
appartatasi in un luogo isolato. Vennero entrambi uccisi
nell’auto con arma da fuoco analoga a quella dei delitti
precedenti. L’uomo fu colpito anche con arma bianca, mentre
la donna venne trasportata ad alcuni metri di distanza, e subì
la asportazione di un’ampia porzione pubica (eseguita,
secondo i periti di allora, con mano decisa e “competente”).
Omicidi Baldi-Cambi (Travalle di Calenzano, ottobre
1981): in questo caso, la coppia di fidanzati appartatasi in
cerca di intimità venne trovata fuori dall’auto, pur essendo
stata colpita inizialmente all’interno della stessa. Il corpo
dell’uomo, seminudo e colpito con arma da fuoco ed arma
bianca in vita e post mortem, era presso l’auto, mentre
quello della donna, connotato da simili lesioni, era stato
portato ad alcuni metri di distanza, era stato posto in
posizione supina ed aveva subito l’asportazione, meno
precisa e più ampia della precedente, di una porzione del
pube. Arma e munizionamento erano gli stessi degli altri
reati.
Omicidi Mainardi-Migliorini (Baccaiano di
Montespertoli, giugno 1982). In questo caso, dopo il primo e
“consueto” ferimento, l’uomo era riuscito a mettere in moto
l’auto ed a percorrere una breve distanza; inseguito e
nuovamente colpito, era deceduto, così come era deceduta la
ragazza, morta sul sedile posteriore dell’auto. A macchina
ferma, erano stati sparati altri colpi contro l’auto, e la stessa
era stata danneggiata anche con strumenti di altra natura.
Risultava impiegata un’arma dello stesso tipo e
munizionamento delle precedenti.
Omicidi Meyer-Rusch (Giogoli di Scandicci, settembre
1983): in questo caso, l’arma, il munizionamento e la
modalità di uccisione (colpi con arma da fuoco sparati
dall’esterno dell’auto) sono gli stessi degli altri casi; manca
ogni altra azione, anche perché le due vittime erano dello
stesso sesso, pur potendo i capelli lunghi di uno di essi
indurre in errore un osservatore esterno al veicolo.
Omicidi Rontini-Stefanacci (Boschetta di Vicchio di
Mugello, luglio 1984). Anche qui, si registrano i colpi
sparati dall’esterno, il lasciare l’uomo nell’auto, l’inflizione
di numerose coltellate in aggiunta ai colpi di arma da fuoco
(sempre la stessa), nonché il trasporto della donna a poca
distanza, con la mutilazione del pube e della mammella
sinistra.
Omicidi Kraveichvili-Mauriot (piazzola degli Scopeti,
settembre 1985). In questo caso, i colpi vennero sparati a
distanza ravvicinata, mentre le vittime si trovavano in una
tenda: la donna morì nella tenda, mentre l’uomo cercò la fuga
e venne ucciso nel bosco vicino, con numerosi colpi di arma
bianca. Il corpo della donna, nudo, era stato portato fuori
dalla tenda, privato del pube e della mammella sinistra, e
quindi riportato dentro la tenda. L’arma era dello stesso tipo
di quella antecedentemente usata. Circa questo omicidio, si
segnala che pochi giorni dopo il fatto venne inviata agli
inquirenti una busta contenente frammenti di tessuto
mammario, ritenuto in sede peritale identico a quello della
donna uccisa.
DOCUMENTAZIONE PERITALE
Nel 1984 e 1985, come documentato in atti, vennero
affidati ai Colleghi dell’Istituto di Medicina Legale
dell’Università di Modena due successivi incarichi peritali,
diretti ad accertare la ipotetica personalità dell’autore, o
degli autori, dei reati. Le indagini si conclusero ipotizzando
la probabilità che l’autore dei reati, soggetto singolo, fosse
un uomo connotato da iposessualità, da difficoltà nel
rapporto con il sesso femminile e da gravi problematiche
personologiche.
LE ULTERIORI INDAGINI
Nel 1989, con la chiusura delle indagini attinenti alla c.d.
“pista sarda”, venne avviato un nuovo tipo di indagine,
basato sulla identificazione di soggetti potenzialmente simili
all’ipotetico autore di reato, tra quelli con precedenti di reati
sessuali e violenti. Differenti selezioni di autori di reato
consentirono di isolare, con sorprendente reiterazione, il
nominativo di Pietro Pacciani, soggetto già condannato per
abusi sessuali ai danni delle figlie, e già autore di omicidio
ai danni di un uomo che si stava congiungendo con la sua
fidanzata, secondo modalità ed eventi (ivi compresa la
asserita posizione della donna ed il fatto che la stessa avesse
denudato la mammella sinistra) che trovano rispondenza nei
successivi delitti del c.d. “mostro”. Risultava inoltre che il
Pacciani, peraltro nel frattempo segnalato agli inquirenti da
una lettera anonima, avesse risieduto e lavorato in aree
limitrofe a quelle dei delitti, e fosse noto per il possesso
indebito di armi.
Sempre in merito al Pacciani, le indagini svolte in Italia ed
in Germania consentirono inoltre di attestare alcuni elementi
di rilievo, come l’interesse dell’uomo per le documentazioni
attinenti alla vicenda del “mostro” e, più in generale, per
temi relativi alla violenza ed ai particolari anatomici del
seno e del pube femminili, e come la altissima rispondenza
tra alcuni oggetti trovati nella casa dell’uomo e la probabile
appartenenza degli stessi ad una delle sue vittime tedesche.
Venne altresì documentato l’interesse dell’uomo per i temi
della magia nera e delle messe nere.
Circa il Pacciani, infine, la documentazione attinente al
processo tenutosi presso la Corte di Assise di I Grado di
Firenze mette in luce numerosissimi altri elementi, che
peraltro appaiono esulare dagli specifici obiettivi della
presente indagine. Tra essi, tuttavia, appare interessante
notare come, a causa del carattere eccezionalmente violento
e minaccioso dell’uomo, molti suoi compaesani ne avessero
paura e come, anche durante il processo, alcuni testi siano
stati addirittura reticenti o mendaci a suo favore (testi
Iandelli, Bruni, Faggi, Vanni), mentre altri (Nesi) siano stati
da lui addirittura apostrofati in aula, ed avevano ammesso la
propria paura nei confronti del Pacciani.
Nella documentazione in atti, sono altresì inseriti numerosi
elementi che interessano la figura di possibili complici del
Pacciani: un teste aveva infatti indicato la presenza di una
terza persona, posta vicino all’auto del Pacciani durante i
“sopralluoghi” dello stesso presso la piazzola degli Scopeti,
mentre un altro aveva indicato come dopo il fatto il Pacciani
fosse alla guida di un’auto a tre volumi di colore scuro
(differente dalla sua e forse fornita da un altro); le stesse
perizie ed i riscontri dei fatti, infine, avevano documentato
come alcuni dei corpi delle vittime fossero stati trasportati
per diversi metri, senza lasciare tracce sul terreno. Un’altra
possibile ipotesi attinente alla presenza di un complice venne
identificata nella attribuzione allo stesso del compito di
tenere la lampada, nella esecuzione dei delitti, realizzati
nelle ore notturne.
Una seconda serie di documenti, di interesse ai fini della
attuale indagine, concerne le molte dichiarazioni rese da
PUCCI Fernando, di anni 64.
In merito all’attuale periziando, LOTTI Giancarlo, il
PUCCI riferisce tra l’altro quanto segue: “…con il Giancarlo
ero solito trascorrere tutte le domeniche pomeriggio… ci
recavamo a donne qui a Firenze… con me e Giancarlo, che
eravamo coppia fissa per le girate a Firenze la domenica,
qualche volta è venuto anche il VANNI, che mi risulta, non ha
avuto in quelle circostanze rapporti con prostitute… non era
normale, tanto che si portava appresso falli di gomma…”
Circa l’episodio degli Scopeti, il PUCCI riferì di essere
transitato con il LOTTI in quella zona, nella sera del delitto,
fermandosi con l’auto per un bisogno fisiologico, e di essersi
dovuti allontanare, perché apostrofati in malo modo e
minacciati da due uomini, che erano lì. Secondo il PUCCI,
dopo aver appreso del delitto consumato in quel luogo, lui
stesso avrebbe detto al LOTTI di recarsi dalle Forze
dell’Ordine, ma: “…Giancarlo mi disse di non andare in
quanto lui non sarebbe andato mai e poi mai per non passare
da spione… facendomi intendere che in effetti egli aveva
riconosciuto i due individui ed aveva paura di parlare con i
Carabinieri… mi sembrò avere sempre sempre paura del
VANNI come fosse in soggezione e tale stato d’animo,
aggiungo, dimostrava anche nei confronti di altro suo
compagno, PACCIANI Pietro…”
Come risulta dal verbale di individuazione dei luoghi
redatto in data 13.2.1996, il PUCCI riferì che, nella sera del
c.d. “delitto degli Scopeti”, su iniziativa del LOTTI lui e lo
stesso LOTTI avevano fermato l’auto vicino alla piazzola, e
si erano avvicinati. Visti il PACCIANI ed il VANNI, LOTTI
avrebbe detto “Voglio vedere dove vanno… che andranno a
ammazzare qualcheduno?”. Poi, dopo aver assistito a parte
degli eventi, ed essere stati minacciati dai due uomini
presenti, i due si sarebbero allontanati. In un secondo
verbale, si riferisce che il LOTTI avrebbe invece lasciato
l’altro nell’auto, dicendo che voleva andare a vedere cosa
succedeva, per poi far rientro dopo qualche tempo.
In un altro verbale, il PUCCI precisa che, il giorno prima
del c.d. “delitto di Vicchio”, lui ed il LOTTI si erano
avvicinati a spiare la coppia che amoreggiava in un’auto, in
quello stesso luogo; dopo l’omicidio, il LOTTI si sarebbe
vantato con l’amico di essere stato presente a quell’evento,
riferendo di essere andato lì con la propria auto, mentre
PACCIANI e VANNI erano andati con la loro. Il teste precisa
inoltre: “…mi ha detto però che nei due giorni precedenti
l’omicidio avevano seguito i due giovani… mi disse che
nella sera precedente l’omicidio lui, il PACCIANI e il
VANNI erano stati a vedere come potevano fare per
ammazzarli… li hanno ammazzati perché volevano fare
l’amore con quella figliola. Aggiungo che il LOTTI mi disse
che PACCIANI e VANNI avrebbero ucciso quella ragazza
ancora prima che venisse commesso l’omicidio… il LOTTI
mi disse che la avrebbero uccisa perché non voleva far
l’amore con loro… così una sera andarono ad ammazzare i
due giovani e portarono LOTTI con loro. Il LOTTI mi disse
se volevo andare a vedere anch’io ma non volli andare…
una sera i tre… erano in piazza… e quando li vidi gli chiesi:
“dove andate”… dissero “si va a dare una lezioncina a quelli
lì di Vicchio… (facendo riferimento alla sera in cui erano
andati a spiare la coppia) quella sera vedemmo la ragazza
sola in macchina con il ragazzo, mentre faceva l’amore come
ho già detto. Era LOTTI che sapeva dove i due si
appartavano… LOTTI mi diceva che avevano ammazzato
anche quelli delle altre coppie degli anni precedenti…
diceva sempre che era stato presente anche lui…”. Il teste,
inoltre, precisa che il LOTTI lo avrebbe informato anche in
merito agli altri omicidi del c.d. “Mostro”, e che lo stesso gli
avrebbe precisato che ad alcuni degli stessi avrebbe
partecipato una quarta persona. In altre dichiarazioni, il teste
aggiunge: “…dissi a Giancarlo che volevo andare dai
Carabinieri a raccontare tutto, ma Giancarlo mi disse di non
andare in quanto lui non sarebbe andato mai e poi mai per
non passare da spione…”.
In merito alle vicende per cui si procede, lo stesso LOTTI
venne sentito in numerose occasioni.
Circa le frequentazioni con il VANNI e con il PACCIANI,
il p. riferisce di aver frequentato più volte il primo, e di
avere rapporti ancora più intensi con il secondo. Il LOTTI,
inoltre, anche se dopo molte reticenze e negazioni, di fronte a
precise negazioni ha precisato di essere stato presente sia
all’omicidio dei due tedeschi, sia a quello “di Baccaiano”,
sia a quello del 1985 (“degli Scopeti”); ha altresì ricostruito
gli accadimenti antecedenti al fatto del 1984.
Circa l’omicidio della coppia Mainardi-Migliorini, il p.
ha descritto con precisione i luoghi e la dinamica dei fatti,
aggiungendo che il VANNI gli avrebbe parlato giorni prima
di quella coppia, aggiungendo che volevano andarla ad
uccidere.
L’omicidio Meyer-Rusch venne caratterizzato, secondo
LOTTI, sempre dalla presenza dello stesso, unitamente ai
due diretti esecutori, PACCIANI e VANNI. L’omicidio viene
descritto come uno sbaglio, indotto dall’errore circa il sesso
di uno dei due ragazzi.
L’omicidio Baldi-Cambi viene descritto dal LOTTI come
solamente riferito dai diretti esecutori (i due consueti ed un
terzo sul quale il p. è reticente).
L’omicidio del 1985 viene descritto in modo relativamente
limitato, ma vede comunque la partecipazione del LOTTI,
nonché quella di un’altra persona, oltre alla coppia degli
abituali esecutori.
Nella totalità delle sue dichiarazioni – sempre connotate
dalla limitata collaborazione e dalla tendenza ad ammettere
gli elementi soltanto dopo protratta contestazione – il p. ha
tentato di giustificare la sua presenza agli eventi del 1982,
1983, 1984 e 1985 con veri e propri “ordini”, seguiti da
minacce, del PACCIANI; in altri momenti, peraltro, precisa
di essersi accompagnato anche negli anni successivi al
PACCIANI ed al VANNI, nonostante fosse ben a conoscenza
dei loro comportamenti. Precisa inoltre di essere sempre
stato relegato, nei fatti per cui si procede, ad un ruolo del
tutto marginale e passivo, basato sulla funzione di “palo” o
di “accompagnatore”, con la propria auto, degli assassini.
Nella documentazione allegata agli atti sono infine inserite
alcune dichiarazioni di terze persone, utili ai fini della
disamina della personalità del periziando.
Dalle dichiarazioni rese da GHIRIBELLI Gabriella:
“…posso dire invece che ho avuto ed ho tuttora rapporti
intimi con Lotti Giancarlo, l’ultimo dei quali si è verificato
una settimana fa (14.12.1995). Aggiungo che ultimamente
egli non si è fatto più vedere… tra i miei clienti abituali di S.
Casciano vi era Lotti Giancarlo. Con questi ho continuato ad
avere rapporti anche dopo aver smesso l’attività (di
prostituta) e tuttora li ho con una frequenza quasi
settimanale… ho avuto modo di notare la macchina del Lotti
e vedendo che essa aveva la portiera di colore rosa, mi
venne spontaneo dire al Lotti in tono scherzoso ‘vuoi vedere
che sei tu il mostro?’… la notte del delitto degli Scopeti
avevo visto una macchina uguale a quella nel colore e con la
portiera sbiadita di altro colore, per l’appunto come quella
sua… Lotti rimase male per questa mia affermazione… Lotti
ho iniziato a frequentarlo nel 1986… fu Lotti a presentarmi
Vanni Mario… veniva poi, sempre con Lotti, Pucci
Fernando… ho conosciuto Lotti all’epoca in cui abitavo a S.
Casciano tramite la Filippa… Lotti era innamorato della
Filippa… è capitato anche che con Lotti mi sia fermata a fare
l’amore nella zona della Rufina”.
Dalle dichiarazioni rese da NICOLETTI Filippa:
“…ho conosciuto Lotti nel mese di agosto 1981 mentre il
mio convivente era in carcere. Io vivevo da sola e da quel
giorno Lotti ha cominciato a frequentare casa mia e abbiamo
avuto rapporti uomo-donna. A volte mi accompagnava in
macchina… anche dopo il trasferimento a Castiglion
Fiorentino Lotti ha continuato a venirmi a trovare; l’ultima
volta è venuto 15 giorni fa (11-12 novembre 1995)… Lotti
non mi ha mai presentato nessun uomo… non è che a
Castiglion Fiorentino Lotti venga spesso, viene quando ha
soldi, non tutte le settimane, ma tre-quattro volte l’anno… mi
ha raccontato che fa il bracciante agricolo… da me è sempre
venuto da solo… non so dove abiti di preciso, perché non
sono mai stata a casa sua; a quel che mi dice, abita insieme a
degli extracomunitari in una Chiesa in via di Faltignano…
per quel che mi ha riferito Lotti, la sua conoscenza con
Pacciani si limitava a qualche bevuta che facevano insieme
nei bar… non mi ha specificato a quando risalga la sua
amicizia con Pacciani…”.
Dalla lettura di altri verbali di informazioni rese da
Nicoletti Filippa si apprende in sintesi quanto segue:
“…Lotti mi ha confidato che lui non aveva mai fatto il
guardone, mentre sapeva e gli risultava che Pacciani e Vanni
andavano ad osservare le coppie in auto… nella piazzola di
Vicchio (il luogo in cui è avvenuto il duplice omicidio del
1984) mi sono appartata due o tre volte con Lotti, tra il 1981
e il 1983… è stato Lotti a farmela conoscere… andavamo in
quella piazzola per fare l’amore… (tra l’81 e l’83)… non so
perché Lotti mi portava a Vicchio in quella piazzola. La
conosceva lui, forse mi portava là perché a S. Casciano
conoscevano la sua macchina… il più delle volte, invece, ci
appartavamo, sempre di giorno, nella piazzola degli Scopeti
(luogo in cui è avvenuto il duplice omicidio dell’85), perché
era più vicina a casa… con Lotti ho avuto rapporti intimi
anche a casa sua a Ponterotto… per quanto riguarda le
esperienze sessuali, al Lotti darei tre; è un pezzo di carne
con gli occhi e basta…
Dalle dichiarazioni rese da BARTALESI Alessandra:
“…verso la fine di luglio 1995 mio zio mi fece conoscere
Lotti ed è capitato che da quel momento uscissimo insieme
quasi tutte le sere per andare a cena… in genere andavamo in
giro con la macchina di Giancarlo, la Fiat 131. Talvolta è
capitato anche che, essendo il mio fidanzato giù a Potenza, io
sia uscita da sola con Giancarlo… voglio riferire un
episodio verificatosi nell’agosto 1995. Si andò a mangiare
alla Capannina agli Scopeti. Dopo pranzo, usciti dal locale,
ci siamo appartati in macchina agli Scopeti proprio nei
pressi del luogo ove nel 1985 era stato fatto il duplice
omicidio dei due turisti. Giancarlo provò a fare l’amore con
me, ma non riuscì ad avere una normale erezione attribuendo
la causa al fatto che aveva bevuto del vino e voleva
ugualmente congiungersi con me. Non riuscì e, uscito
dall’auto, si appoggiò ad essa, masturbandosi… altre due
volte, anche se ha provato, io non lo facevo andare avanti e
quindi non mi ero accorta che non ci riusciva… L’unica
volta che mi sono lasciata andare, ha avuto problemi di
erezione… io non credetti come lui diceva che era perché
aveva bevuto, quella volta era proprio ‘un ciuco’… un
giorno passammo da Baccaiano, dove era stata uccisa una
coppia… Giuncarlo disse ‘non avere paura quando tu sei con
me il mostro non c’è’. Alla fine di agosto (1995), quando
ritornò il mio ragazzo, non uscii più con Giancarlo… da
subito mi accorsi che mio zio (Vanni Mario) e Lotti, che non
avevo mai visto prima erano molto amici… tutti e due
cercavano compagnie femminili perché si sentivano entrambi
emarginati e stavano soli da una parte… Lotti della sua vita
sessuale ha cercato di nascondermi tutto… a volte ho avuto
la sensazione che Giancarlo avesse qualcosa da nascondere
ma non sono mai riuscita a capire cosa… in me crebbe la
sensazione che avesse dentro una specie di mistero che non
riusciva a comunicarmi…”.
LA DOCUMENTAZIONE CLINICA ESAMINATA
Lotti stesso ci ha consegnato la seguente documentazione
clinica, che noi abbiamo fotocopiato e che alleghiamo alla
nostra relazione:
3.9.1993: Esame ematologico completo:
L’esame delle risultanze della prova mette in evidenza una
situazione di ipertrigliceridemia, con incremento di un
enzima epatico (gamma GT). L’emocromo non mette in luce
alterazioni di particolare rilievo.
31.5.96: Rx colonna lombare, passaggio lombo-sacrale:
‘‘Non alterazioni osse traumatiche in atto, di evidenza
radiologica diretta. Presenza di spondilosi di grado
accentuato”.
31.5.96: Esame elettromiografico:
“Segni di sofferenza neurogena della miocellula di
verosimile origine radicolare, prevalenti a livello L5
destra”.
6.6.96: Tomografia computerizzata del rachide lombosacrale:
“Alterazioni artrosico-degenerative con produzioni
osteofitosiche assodiate che deformano marginalmente le
limitanti somatiche affrontate dei metameri esaminati.
Modesta stenosi combinata del canale rachideo.
Protrusione ad ampio raggio dei dischi intersomatici L3-
L4 e L4-L5.
Ridotto di spessore su base degenerativa il disco L5-S1.
Sempre a livello L5-S1 è apprezzabile all’interno del
canale rachideo in sede anteriore paramediana sinistra una
piccola nodularità a densità calcica riconducibile o ad
osteofita retrosomatico o a piccolo frammento erniario
calcificato.
Piuttosto ristretti su base artrosica anche i canali di
coniugazione L5-S1, in particolare il destro. Null’altro da
segnalare”.
I DATI DEI COLLOQUI CLINICI
Il signor LOTTI Giancarlo ha avuto numerosi incontri con
i consulenti del P.M., sempre accompagnato presso l’istituto
di Criminologia e di Psichiatria Forense dell’Università di
Genova da personale del Servizio di Protezione. I dati
anamnestici qui di seguito riportati sono stati raccolti dalla
sua viva voce e più volte controllati.
Anamnesi familiare.
Il padre, Lotti Primo, è deceduto nel 1966, intorno ai 67
anni, per disturbi imprecisati (forse un’infezione ad una
gamba complicatasi in gangrena): “non è stato guardato
bene” è tutto quello che Lotti sa dire. Il padre era affetto da
ernia inguinale ed era un forte bevitore.
La madre è deceduta nel 1975, all’età di 74 anni per
vasculopatia cerebrale, pare di comprendere. “L’ho portata
troppo tardi all’ospedale. Anche lì ho passato momenti non
troppo belli. Ricordo che mia madre si fissava sulla luce,
prendeva la notte per il giorno”.
Una sorella di 71 anni, “ma è come neppure ci fosse. Lei
non mi parla e poi siamo due caratteri un po’ diversi. Io ne
ho sofferto molto, perché sono un fratello, mica un barbone
di strada! Anche mia nipote non mi guarda. Cosa le ho fatto
io? Io non ho mica fatto niente a tutti loro”.
Anche con il cognato i rapporti sono cattivi: “non è che si
andasse troppo d’accordo”.
Il p. nega specifici disturbi di carattere psicopatologico a
carico di ascendenti e collaterali.
Anamnesi personale.
Il paziente pare sia nato da parto eutocico, dopo
gravidanza regolarmente condotta a temine. Il soggetto non è
in grado di fornire notizie attendibili circa la prima infanzia
e le eventuali malattie sofferte.
Ha sempre goduto di buona salute, non ha mai avuto
malattie gravi e non è mai stato ricoverato in ospedale.
Probabilmente ha riportato sulla schiena un’ustione da colpo
di sole nel 1993, durante l’estate. La lesione sarebbe guarita
in un mese.
“Io posso solo dire che i miei genitori non mi hanno mai
dato uno schiaffo. Mi hanno sempre tenuto molto chiuso,
specie mio padre; mi guardava un po’ troppo; se arrivavo un
po’ tardi di sera, lui veniva a riscontrarmi. Mia madre invece
un po’ di meno. Anche come famiglia eravamo un po’ isolati;
le persone erano un po’ astiose con noi, non so perché. Mia
madre era una donna molto religiosa; io invece non sono mai
stato religioso”.
Addebita a ciò il fatto di aver sempre avuto problemi di
rapporto affettivo e relazionale con le persone, sia uomini,
sia donne. “Sono sempre stato molto chiuso”.
Istruzione: IV elementare con numerose ripetenze, “perché
studiare non mi interessava e perché non si imparava nulla. A
14 anni ho smesso. Leggere, leggo, mi arrangio”.
Ha iniziato a lavorare a 20 anni ed ha sempre svolto
attività poco remunerative e saltuarie, talché ha chiesto
alcune volte dei piccoli prestiti in banca. “Prima dei 20 anni
aiutavo mio padre in campagna, saltuariamente. Poi mi sono
messo a fare quello che trovavo. Al massimo ho preso
1.300.000 lire al mese per il mio lavoro. Pochi, per
mantenere la macchina, mangiare, bere, dormire e andare a
donne una volta la settimana”.
Ha lavorato per 16 anni e mezzo “sotto l’acqua e
all’umido e sono stati anni duri; allora ero giovane. Un
mestiere non l’ho imparato; facevo quello che trovavo”.
Fin dall’adolescenza ha avuto problemi di rapporto con
il sesso femminile.
Ha conseguito la patente nel 1978 all’età di 38 anni, dopo
parecchie bocciature subite negli anni precedenti all’esame
di teoria. “La patente l’ho presa mica con tanta facilità; se
non mi aiutavano non ce la facevo. Non mi andava più di
andare con il motorino e poi con la macchina puoi andare
dove e come vuoi. Mi piaceva guidare la macchina. Adesso
ho un 131 Fiat 1600. Di macchine ne ho avute tante: una 850
Fiat special bianca; una Mini Morris 1100 gialla; due 124
Fiat una celeste e l’altra gialla; un 128 coupé rosso, una 131
Fiat rossa 1300 e infine una 131 Fiat rossa 1600. Tutte
macchine usate, perché non avevo la possibilità di
comprarne una nuova. Le macchine che più mi sono piaciute
sono state le due 124”.
“Da ragazzo ero molto riservato e parlavo poco. Amici ne
avevo a S. Casciano, ma non di tutti mi fidavo; e non è
neppure che ne avessi tanti. Un po’ scherzavo e qualche volta
mi arrabbiavo. Non sono mai andato a ballare”.
Praticamente è vissuto in famiglia fino ai 26 anni, “sempre
in casa. I miei non volevano che io uscissi di sera, specie
mio padre, non so neppure io perché”.
Dopo la morte dei genitori, è vissuto sempre da solo.
“Non ho mai avuto una casa mia; una volta sono stato in
affitto, ma poi mi mancavano i soldi”. Per qualche anno è
vissuto in una casa del padrone della cava in cui lavorava.
“Poi sono andato a vivere per 4 anni con un prete in una
Comunità, dove pagavo solo la luce. Con il mio lavoro, mi
compravo il mangiare e i vestiti. Per il dormire non pagavo
niente. Io in quella Comunità stavo male, perché non potevo
parlare con nessuno; non capivo cosa dicevano (erano quasi
tutti extracomunitari). Ogni tanto mi arrabbiavo e il prete mi
rimproverava. Avessi avuto i soldi, mi sarei preso una casa
per me, invece niente. Non ho mai trovato modo di dividere
una casa con qualcuno, anche perché non sai…”
Praticamente, da anni Lotti vive da solo “e io so fare tutto
in casa; perciò non ho bisogno di una donna che mi faccia le
cose in casa. Certo che la solitudine è brutta, anche se ormai
ci ho fatto l’abitudine”.
Della sua vita sentimentale, dietro esplicite domande e
dopo molti chiarimenti, ammette: “a me sarebbe piaciuto
andare con le ragazze, ma sono stato troppo chiuso e non mi
sono mai osato. Le donne le ho avute perché le pagavo; con
le altre avevo paura, non avevo confidenza. Poi non ero tanto
sicuro io. Ricordo che tra i 12 e i 14 anni qualcuna mi ha
dato uno schiaffo, perché io l’avevo toccata. Da ragazzo mi
masturbavo e così ho continuato fino a 20 anni. Una volta, a
12 anni, mi hanno trovato a letto con una ragazza della mia
età; non si faceva niente, ma mia madre mi ha sgridato molto
e mi ha picchiato”.
È celibe. “Non mi sono sposato, perché io ho un carattere
che la Filippa (Filippa NICOLETTI, una delle donne con la
quale ha avuto una lunga, anche se non continuativa
relazione) mi ha detto che non si poteva stare insieme. Io ho
fatto molte cose per lei. Abbiamo incominciato a
frequentarci nel 1981, quando Salvatore (il suo convivente di
allora) era in carcere. Adesso sarà un anno e mezzo che non
la vedo più e non ho più sue notizie. Prima ci si vedeva di
frequente, poi lei se ne è andata via da S. Casciano
(attualmente la donna risiede a Castiglion Fiorentino) e
allora io non potevo più andarla a trovare, anche perché ne
aveva un altro. Però lei veniva a trovarmi e stava da me
anche qualche giorno.
Poi c’era il problema dei soldi; come facevo a sposarmi
senza soldi e con un lavoro che un po’ c’era e un po’ non
c’era? Sono stato un po’ sfortunato. Io però ero proprio
innamorato di questa donna. L’amore, con la Filippa, ne ho
fatto anche troppo. Anche lei si è innamorata di me. Fu
l’uomo con cui lei viveva e che poi è stato un periodo in
carcere (4 mesi) che la faceva prostituire. Poi nell’85-86
Filippa è tornata ad Arezzo e io l’andavo a trovare 1-2 volte
al mese”.
Ammette di aver conosciuto tante donne a Firenze, “ma è
sempre stata solo una cosa passeggera, solo uno sfogo.
Ultimamente cambiavo, ma dall’81 a qualche anno fa ne ho
frequentato sempre e solo una, che conoscevo da tanti anni e
che era pulita”. (Si tratta di Gabriella Ghiribelli). “Quando
ho conosciuto Gabriella lei aveva uno insieme; io non è che
ci andassi molto volentieri, perché in casa c’erano la mamma
e il suo uomo e a me la cosa dava fastidio. Poi costava cara,
e allora la vedevo poche volte. Io le ero affezionato, ma lei
mi sfruttava un po’ troppo. Lei diceva che mi voleva bene,
ma non era vero, perché mi sfruttava. Io avevo già tante
spese, perché dovevo mantenere me e la macchina.
Alessandra (Alessandra Bartalesi) era la nipote del Vanni;
la conobbi per caso; fu il Vanni a presentarmela. Lei aveva il
fidanzato. A me piaceva abbastanza, ma non ne ero
assolutamente innamorato. Abbiamo incominciato ad uscire
insieme e poi siamo andati a letto. Lei si era ammalata a 20
anni ed era finita su di una carrozzella. Dopo qualche anno si
è rimessa a camminare, ma quando si usciva insieme mi
toccava reggerla. Fumava tantissimo e parlava un po’ troppo.
Era molto ingrassata per tutte le medicine che prendeva.
Alessandra si era affezionata a me. Adesso è tornato il suo
fidanzato ed è dal 95 che non la vedo più. Era lei che veniva
a cercarmi, non io”.
Di fatto, Lotti non si è mai sentito soddisfatto nelle sue
relazioni con le donne, anche se “le donne mi sono sempre
piaciute. Però non mi è stato mai possibile averne una per
me; mi è dispiaciuto. Sono anche stato invidioso di chi
poteva più di me ma non potevo farci niente. Con la
macchina le cose sono un po’ cambiate, perché potevo
andare in giro, ma continuavo a non avere soldi. Poi ricordo
una cosa brutta, di una donna che voleva spogliarmi e
saltarmi addosso. Io non ho fatto niente, perché non eravamo
soli; era presente anche Paola (la ragazza che in quel periodo
mi piaceva e che mi ha aiutato a prendere la patente), che mi
ha detto: “come, fai così? Allora non sei un uomo! Io sono
rimasto impressionato da questa faccenda”.
Col passare degli anni, si rimane bloccati e non si fa più
nulla. A me è andata male. Il fatto è che io non ho più una
grande considerazione delle donne, per tutto quello che mi è
successo. Forse è dopo la faccenda di mia madre e di mia
sorella che io evito le donne. Ora come ora è troppo tardi.
Non mi metterò mai più con una donna. Le donne ti possono
fregare”.
Circa la sua attività sessuale, dichiara:
“tante volte, quando ero bevuto, non riuscivo ad avere
erezione. La stessa cosa quando ero emozionato o stanco o
bloccato come da Gabriella, perché in casa c’era sempre
qualcuno. Così anche con le prostitute che si mettevano
subito nude e volevano fare subito e in fretta e a me non mi
riusciva. Se invece c’era un po’ di atmosfera, andava bene.
Io non riesco a farla alla svelta. Per esempio, una volta mi
sono fermato con Gabriella su di una piazzola lungo una
strada; in quel momento passarono i vigili; lei non se ne
accorse, ma io sì; mi bloccai e feci finta di leggere il
giornale; poi l’ho fatto e non ci fu problema. Qualche volta,
se ero molto eccitato, venivo subito. Ora è parecchio tempo
che non faccio più nulla. Con la Filippa sono stato più
soddisfatto che con altre donne. Anche con lei una volta è
successo in autostrada, in macchina, che la portavo dalle sue
figliole ad Alessandria; lei ha incominciato a tastarmi e
l’abbiamo fatto. La Gabriella di Firenze mi diceva bravo,
bravo, che invece non era vero. Bravo fino a un certo punto,
ma non come diceva lei”.
Nel corso di un colloquio, ammette: “praticamente, non
sono mai stato capace di far godere una donna”. (In effetti,
risulta che la Filippa, esplicitamente interrogata circa le
abilità sessuali di Lotti, gli abbia dato un voto pari a 3).
Nega dì aver mai avuto curiosità particolari o di aver messo
in atto pratiche sessualmente perverse. In particolare,
spontaneamente precisa: “io non ho mai fatto il guardone; la
cosa non mi ha mai interessato”.
Per quanto riguarda il carattere, si descrive come uomo
dal temperamento mite; “io sono calmo e tranquillo se
nessuno mi dà fastidio; però quando mi arrabbio, mi
arrabbio; se vengono a stuzzicarmi, io reagisco. Non ho mai
avuto paura di nessuno; se devo farmi le mie ragioni me le
faccio. A S. Casciano mi dicevano che ero troppo buono, ma
io sopporto un po’ e poi basta”. Ammette, inoltre, di essere
un soggetto emotivo e labile».
Come abitudini di vita, ammette di essere sempre stato un
forte mangiatore (ha pesato fino a 120 Kg) ed ha sofferto di
ipertensione. Beveva circa 1 litro di vino al dì. Non ha mai
consumato super-alcolici. “Talvolta col vino andavo troppo
in là; 2 o 3 volte la settimana. Sono arrivato anche a bere più
di un litro per pasto; un po’ a cena e un po’ dono cena con gli
amici. Non ho mai bevuto a digiuno. Anche se bevevo
parecchio, mangiavo molto. C’è stato un periodo che bevevo
ma mangiavo poco e allora ho dovuto smettere, perché poi ci
rimettevo di salute”.
Attualmente assume giornalmente un ipotensivo
(Acepress compresse da 25 mg., 1 cprs. al dì; vedere
prescrizione del 6.7.96 a firma della dr.ssa Rosella
Ferrovecchio). Si sottopone a controllo periodico della
pressione arteriosa (che da molti mesi è compresa nella
media e nella norma per un uomo della sua età e della sua
struttura). Pratica saltuariamente una fiala im. di Tilcotil
(farmaco antiartrosico; prescrizione del 2.7.96). Lamenta
dolori alla schiena per un principio di ernia del disco
(infortunio sul lavoro nel 74-75, mentre lavorava in una cava
di pietrisco) ed emorroidi (“che però adesso non sanguinano
più”) con emorragia rettale il 31 agosto 1996.
Relativamente ai fatti per cui si procede, Lotti informa di
quanto segue:
“Pacciani l’ho conosciuto nell’80 circa, dopo Vanni. Io lo
frequentavo poco; non mi era simpatico. Mario invece lo
andavo a trovare anche a casa. Allora Pacciani abitava in
una frazione di Montefilidolfi; lì io l’ho conosciuto,
casualmente, attraverso Mario Vanni che era il postino di
zona. Pacciani era uno che aveva la voce un po’ alta e un po’
prepotente. Poi aveva fatto delle cose brutte con le figlie e la
moglie; sicché non c’era da fidarsi mica tanto. Non mi
andava proprio bene frequentarlo. Voleva essere superiore
agli altri. Con Mario c’era confidenza, era educato e mi dava
anche i soldi per la benzina, quando si faceva portare da
qualche parte. Con Pacciani, invece, non c’era confidenza;
non mi andava. Non potevo parlare tranquillamente con lui,
per cui preferivo stare zitto. Quando si giocava a carte,
voleva vincere sempre. Quando si andava fuori, Pacciani non
pagava mai. O pagava Mario o pagavo io. I soldi li aveva,
ma li teneva stretti. Ad andare con lui, anche quando si
facevano le merende insieme, non mi andava mica tanto
bene. Come faceva Vanni a sopportarlo, non lo so proprio.
Pacciani ha cercato di coinvolgermi, per farmi stare zitto, nel
senso che ha continuato a portarmi con sé dopo l’82. La
prima volta (1982) non sapevo mica cosa si andasse a fare.
Non è mica stata una cosa molto bella. Non mi piacque
niente vedere le armi e me ne tornai in macchina. Allora
Pacciani ha incominciato a minacciarmi: ormai ero dentro e
dovevo andare avanti. Io avevo paura che Pacciani, se
dicevo di no, mi poteva fare qualcosa di male. Era un
violento, suvvia, diciamolo. Pacciani comandava anche
Vanni. Adesso io più che arrabbiato con Pacciani, sono
preoccupato, perché non so come finirà questa storia.
Pacciani è uno che ha detto che nemmeno mi conosce; io
invece lo conosco benissimo e se dirà contro di me, saprò
bene io come difendermi. Inoltre Pacciani è uno che sa e che,
se verrà condannato, verranno fuori altri nomi. Se non dicevo
nulla, ero belle che dentro. Mi hanno messo davanti a dei
contrasti e io ho dovuto ammettere qualche cosa, altrimenti
me ne sarei andato in carcere”.
Nella totalità dei colloqui che sono stati eseguiti, il
periziando non ha mai riferito nuovi elementi che si
discostassero da quanto già allegato in atti; al contrario, è
risultato costantemente reticente e non collaborativo;
rispondendo agli stimoli prima con risposte apparentemente
inadeguate (sempre attinenti alla sua salute fisica), e poi con
la reiterazione della asserzione secondo la quale “lui aveva
già detto quello che sapeva”.
Rispetto ad altri elementi, sono invece state proposte vere
e proprie negazioni di elementi attestati in atti: “Io ho fatto
spesso giri in macchina, ma non ho mai fatto il guardone, non
mi è mai interessato, se voglio una donna so dove
trovarmela, non ho mai fatto niente del genere. Non so se
Pacciani o Vanni facevano cose del genere, io andavo con
loro solo a fare le merende, poi non so niente”. Invitato a
riflettere meglio circa quanto riferito, il p. si limita a ripetere
la “solita” frase (“Io ho detto tutto quello che so, sono
preciso, non so dire di più, non posso dire quello che non
so”), e con questa chiude ogni discussione sull’argomento.
Negli ultimi colloqui, infine, si è tentato di discutere i
vissuti che il periziando poteva provare, in rapporto alla
gravità ed al carattere traumatico di quanto aveva
sperimentato. Rispetto a queste tematiche, il p. è apparso
ancora meno spontaneo e collaborativo: in particolare, non
ha fatto emergere nessuno spunto di identificazione e di
empatia nei confronti delle vittime, ed ha superficialmente
negato, con motivazioni meramente soggettive, la possibilità
di informare le Forze dell’Ordine prima della esecuzione
degli omicidi dei quali lui – come da lui stesso precisato –
era stato preavvertito. Invitato ad esprimere i suoi vissuti
circa la sofferenza provata dalle vittime, in un primo
momento il p. si è limitato a stringersi nelle spalle, poi si è
limitato a dire: “Eh, ma sennò mi sparavano anche a me”; in
successivi momenti,è apparso sempre più infastidito e
reattivo, ed ha infine sostenuto: “Tanto cosa ci potevo fare
io?”. Circa la possibilità di informare le Forze dell’Ordine,
ha inizialmente ripetuto il tema della sua passività verso gli
“ordini” del Pacciani e del Vanni, poi, quando gli è stato
ribadito che lui era comunque libero di muoversi, e che
anche dopo i fatti si era tranquillamente accompagnato con le
stesse persone (suggerendo l’immagine di una stabile
amicizia, piuttosto che di una dipendenza imposta con la
minaccia), ha reagito con fastidio, ripetendo che “altro non
se ne poteva fare”. Nessun aspetto di empatia verso le
vittime, di rincrescimento, o di franco rimorso, è emerso
circa la partecipazione del p. ai fatti per cui si procede.
Circa le proprie aspettative per il futuro, infine, il p. non
sa fornire nessun elemento: si limita infatti a precisare di non
avere al momento un lavoro, ed esprime un generico
apprezzamento per la disponibilità ad “accudirlo”
manifestata dal personale del Servizio Protezione, pur
lamentandosi a lungo per inconvenienti di fatto minimi (il p.,
ad esempio, ha lamentato puntualmente di doversi essere
svegliato di buon’ora, per giungere agli incontri fissati a
Genova).
ESAME OBIETTIVO DEL PERIZIANDO
Omettiamo un’indagine internistica e neurologica, perché
non abbiamo ritenuto necessario farle, essendoci sembrati
più che sufficienti gli elementi venuti in nostro possesso per
escludere l’esistenza di una patologia che possa incidere
sulla risposta ai quesiti che ci sono stati formulati.
Rinviamo a quanto emerge dalla documentazione
consegnataci da Lotti per la conoscenza di alcuni aspetti
delle sue condizioni fisiche.
Gli esami di laboratorio da noi fatti eseguire (debitamente
autorizzati dal Magistrato e con il consenso informato di
Lotti, ed il cui referto si allega in originale) hanno dato i
seguenti risultati:
con valore aumentato rispetto alla media: glicemia,
colesterolo HDL, trigliceridi, gammaglobuline, gamma GT;
con valore diminuito rispetto alla media: piastrine:
con valore nella norma: gli altri parametri.
In merito alla valutazione clinica del caso ed alla
esecuzione di esami specificamente diretti alla diagnosi di
una possibile impotentia coeundi, dopo approfondita
riflessione gli scriventi hanno deciso di non far effettuare i
complessi, e potenzialmente lesivi, esami di carattere
invasivo che il caso avrebbe suggerito. A fronte della
opportunità di acquisire una interessante indicazione clinica,
la esecuzione dei cosiddetti “Test completi per l’erezione”
avrebbe infatti comportato possibili lesioni per il periziando
(incidente da mezzo di contrasto, lesioni dirette al pene,
ecc.), e, stante la limitata collaboratività dello stesso e la
probabile limitatezza della sua accuratezza nella autoregistrazione
di alcuni dati, avrebbe forse fornito risultati
non del tutto attendibili.
Quanto emerso in sede di colloqui clinici, peraltro, orienta
nella direzione di una ipovalidità sessuale di natura
psicogena e non organica. D’altro canto, anche se il test
avesse dato un risultato positivo (avesse cioè escluso una
impotenza di natura organica), lo stesso non sarebbe stato
comunque sufficiente per escludere fenomeni di impotenza o
di ipovalidità psicogena.
Sintetizzando le risultanze delle indagini attinenti alla
condizione somatica del periziando, è quindi possibile
delineare l’immagine di un uomo di 56 anni in buone
condizioni generali, connotato da un discreto sovrappeso e
da patologie di carattere osteo-articolare (note di artrosi) a
carico della colonna vertebrale. Non sono emersi elementi
indicativi della sussistenza di patologie a carico dei diversi
organi ed apparati d’interesse internistico e neurologico,
così come, in particolare, non sono emersi elementi
indicativi della sussistenza di possibili cause organiche di
una eventuale deficitarietà delle funzioni sessuali del
periziando.
ESAME PSICHIATRICO DIRETTO
Nei molteplici incontri effettuati, il soggetto si è presentato
lucido, vigile, cosciente, perfettamente orientato nel tempo,
nello spazio, nei confronti della propria persona e della
situazione di esame.
La mimica, piuttosto mobile, è apparsa atteggiata a
compiacente cortesia ed apparente disponibilità nei confronti
dei temi più neutrali e lontani dalle vicende per le quali
attualmente si procede. Ogniqualvolta, però, si sono toccati
gli argomenti di cui in atti, Lotti ha preso a divagare, a
portare il discorso sui mille disturbi fisici che lo affliggono,
sulla necessità di essere curato. Il sorriso di maniera non è
mai scomparso dal suo volto neppure in questi momenti, ma
è venuto meno il contatto oculare diretto e il soggetto ha
iniziato a mostrare segni di irrequietezza e di imbarazzo, ha
preso a schernire e a grattarsi la testa, come se non sapesse
come togliersi dalla situazione, combattuto tra il dire e il non
dire, tra il “rovesciare il sacco” e il “tenere nascoste le carte
che ha in mano”, per scoprirle al momento opportuno. Quali
consulenti del P.G., dobbiamo mettere in luce come si sia
ricavata la netta impressione che egli sia in grado di dare
molte più risposte ed informazioni di quanto finora fornite,
ma che giochi con astuzia nel centellinare il suo dire; infatti
non dice più di tanto e, al contempo, gode di tutti i vantaggi
di una persona inserita in un programma di protezione; di qui
il ferreo, impenetrabile, non scalfibile suo atteggiamento di
chiusura e di rifiuto ad “andare oltre”.
Tutto questo ci parla con chiarezza di una sua sostanziale
non collaboratività, peraltro palesemente evidenziabile
anche nella reticenza del p. verso alcuni aspetti
incontrovertibili, come quelli attinenti alla sua stabile
frequentazione del Pacciani e del Vanni, ed alla sua oggettiva
complicità negli stessi fatti (espressa anche attraverso il
mancato ricorso alle Forze dell’Ordine prima e dopo gli
stessi). Rispetto a questi temi, il p. ripete rigidamente la
proposta di un Lotti passivo, spaventato dal Pacciani e
forzato ad accompagnare lui ed il Vanni, quando le risultanze
agli atti, e soprattutto il suo stesso comportamento, ci
restituiscono l’immagine di un soggetto attivo, presente e
forse addirittura propositivo.
Il patrimonio intellettivo non appare certo brillante, specie
a livello di intelligenza teorico-astratta, ma è caratterizzato
da buona abilità di comprensione e di gestione dei problemi
pratici e concreti. Egli infatti sa molto bene che è lui ad
avere la situazione in pugno; ha capito molto bene cosa si
attendono da lui i magistrati e i consulenti degli stessi.
Memoria e attenzione sono assolutamente indenni, come
attestato dalle informazioni precise e minuziose date agli
inquirenti e ai consulenti; appare pertanto ancor meno
verosimile la proposta, rispetto ai temi più rilevanti, di un
soggetto apparentemente inadeguato ed imbelle.
Non si rilevano segni di deterioramento mentale, come
attestato dalla vivacità e non esauribilità dell’attenzione,
dalla modulazione del pensiero, dalla prontezza e pertinenza
delle risposte, dalle capacità di analisi e di critica, e dalla
stessa reticenza opposta rispetto a taluni argomenti, senza
che vi fosse nessun “cedimento” di fronte all’esame in corso.
Affettivamente il soggetto è apparso orientato in senso
normotimico, ma povero di modulazione affettivorelazionale.
Si coglie, inoltre, una completa assenza di
empatia nei confronti delle vittime dei fatti, nonché, per
quanto è stato possibile cogliere, dei consulenti e dello
stesso personale del Servizio di Protezione: rispetto a queste
figure, infatti, a differenza di quanto spesso avviene in questi
casi, il p. sembra mostrare soprattutto un atteggiamento di
carattere “utilitaristico”, cercando l’impegno degli stessi
rispetto a quanto gli occorre (eventuali cure, l’attenzione per
la sua salute, esami medici, oppure l’essere accompagnato a
pranzo ove desidera), ma non mostra nessuno spunto che
superi una formale – anche se apparentemente deferente –
disponibilità e cortesia.
È in grado di controllare la propria emotività, anche se
questa – a tratti – appare piuttosto labile ed impulsiva. Lotti
peraltro ammette spontaneamente di non essere una persona
“paziente” oltre un certo limite ed una certa soglia.
Si colgono segni di ansia reattiva alla situazione di esame,
ma il controllo esercitato dal soggetto sui contenuti del
dialogo e sulle sue reazioni emotive è sempre stato più che
adeguato e soddisfacente.
Le capacità di contatto e di rapporto con la realtà e con gli
Altri sono assolutamente indenni da disturbi patologici
psichici.
L’ipomimia e l’iposintonia che caratterizzano
superficialmente lo “stile di vita e di relazione” di Lotti,
risultano essere tratti difensivi del carattere che lo
proteggono dall’emergere di chiari vissuti di inadeguatezza a
tutti i livelli. Nel suo dire, infatti, si colgono sentimenti di
inferiorità variamente espressi, ma soprattutto evidenti
difficoltà nella relazione con la figura femminile, di cui
Lotti ha paura e soggezione, con la quale ha un rapporto
tutt’altro che fluido e paritario, con la quale non è mai
riuscito a stabilire una relazione gratificante e gratificata, e
nei cui confronti nutre e ammette profondi sentimenti di
impotenza relazionale e sessuale.
Al fine di meglio analizzare la struttura di personalità del
periziando e di mettere in luce eventuali disturbi patologici
psichici non immediatamente accessibili in sede di colloqui
liberi, sono stati somministrati a Lotti i seguenti reattivi
psicodiagnostici: Reattivo di Rorschach; Thematic
Apperception Test. Non si è ritenuto necessario
somministrare un reattivo psicometrico diretto a valutare
l’intelligenza del soggetto, stante la adeguatezza della stessa
e l’assenza di segni di deterioramento o di deficit mnesico,
chiaramente evidenziate in sede di colloquio clinico.
Reattivo psicodiagnostico di RORSCHACH
Inizio = 9.40 Fine = 10.20
Tavola I
^v 12” Mah, non saprei, un fiore non lo credo… G F +-
Bot
38” Un fiore nun lo so…
78” Nun saprei che l’è
(I: FIORE: è qui – indica genericamente con il dito l’intera
figura – l’è fatto così, nun lo so…)
Tavola II
^26” Giuppersù una cosa uguale, anche se fatta diversa
SHOCK
57” Non saprei come dire (prende la tavola in mano) Gim
F- Anat
…ci si orizzonta poco bene con queste cose… una
persona di dietro, il di dietro Sex
(I: Persona: è qui, il di dietro – indica con la mano,
rimanendo seduto, la parte mediana dei propri glutei – il
buco, come dire, non so… – appare molto imbarazzato)
Tavola III
^11” Due persone queste (prende in mano la tavola) G F+
H Ban
a vederle così si vede il corpo, però non si vede bene…
qui c’è il corpo… la testa…
(I: persone qui – indica la ban. – il corpo, la testa)
Tavola IV
^25” Qui la spina, però non so, l’è fatto in modo diverso,
non so… D F+Anat.
(I: La spina è qui – indica la sola app. inf. e poi la propria
schiena – l’è fatta in un modo un po’ diverso ma è così)
Tavola V
^39” Qui non lo so proprio (restituisce la tavola)
RIFIUTO
Tavola VI
19” La spina l’è qui giù e poi quassù… è la spina, D F+-
/F(c) Anat
(I: è qui – indica l’asse centrale e poi la a.c.s. – è fatta
così)
Tavola VII
^ 48” Qui dovrebbe essere sotto… di dietro… sotto c’è D
im F+- Anat Sex
qui… è così… il dietro, il pezzo della schiena che va in
giù, il… il culo, il sedere, è più corretto dire il sedere
(I: – appare fortemente imbarazzato – qui c’è il culo nel
mezzo, come dire, qui – indica Dim nella parte intermedia
del terzo centrale inferiore – c’è questo, e da parte – indica
con le due mani i glutei – l’è fatto così – indica poi le due
parti laterali del terzo centrale inferiore)
Tavola VIII
^27 ” La spina qui, poi va giù verso il sedere, Dim F+-
Anat
di dietro, è fatta così
(I: La spina si vede qui – indica dettaglio in Im centrale –
qui ci sono le costole e allora il resto è la spina che scende
in basso)
Tavola IX
^15” (prende in mano la tavola)
26” La spina e sotto il sedere, qui va giù, allora D F+-
Anat
se qui va giù lì ci sono i polmoni D F+- Anat
(I: la spina è qui – indica asse cent. – e il sedere deve
essere sotto – rosa inf. lat. – e allora questi verde – devono
essere i polmoni).
Tavola X
^46 ” La spina qui e giù davanti come si può indicare, D
F + Anat
come si chiama? Come si può chiamare? Il pene D FAnat
Sex
che ha sotto le cose, come si dice…
(I: la spina l’è qui – indica app. cent. sup. – e poi qua sotto
– indica verde cent. inf. – in mezzo il coso – indica dett.
cent.– e sotto – indica le due appendici verdi inf. lat.– le due
cose, come dire, le… e cose lì)
“Pinacoteca”
I) Non saprei
Non saprei come dire
Due persone, le altre cose non le distinguo
Una persona di dietro
Non saprei (P.d.l. +)
Non lo so
Uguale, come si fa a dire?
Due topi, o mi sbaglio?
Sotto, il di dietro
Questo… è il davanti sotto di una persona
Gradimento delle Tavole
Tavole più gradite, nell’ordine: X IX III (“perché c’è il
colore…”)
Tavole meno gradite, nell’ordine: I IV V (“ci capisco
poco…”)
Computo delle risposte
NR 11 (inferiore alla media)
G 2 Gim 1 D 6 Dim 2
F+ 4 F- 2 F+ 5 F(c) 1
Bot 1 Anat 9 Sex. 3 H 1
Shock IV Ban III Rifiuto V Risp. Negativa 1
E.T.I 0/0 E.T. II 0/0.5
Osservazioni sul test
Il protocollo fornito dal periziando richiede una
preliminare valutazione di attendibilità, rispetto alla
incoerenza tra i risultati dello stesso, e gli elementi messi in
luce dai reiterati colloqui diagnostici effettuati.
Osservando sul piano quantitativo e qualitativo il
protocollo, senza tener conto delle altre risultanze, sembra
infatti emergere l’immagine di un soggetto quasi ai limiti
della deficitarietà mentale, che propone una serie di risposte
molto limitata, priva di cinestesie e di colori, connotata dalla
pressoché totale perseverazione di un contenuto
qualitativamente scadente (“Anat”).
Sul piano diagnostico, tuttavia, questa interpretazione non
appare attendibile, poiché la prova fornita dal soggetto
appare eccezionalmente ed inadeguatamente carente. Si noti,
ad esempio, il “rifiuto” fornito dal soggetto verso la tavola n.
5, solitamente identificata come tale anche dai pazienti
maggiormente deficitari, e poi identificata dallo stesso in
“Pinacoteca”. In secondo luogo, appare significativa la
stessa percentuale di reiterazione di uno stesso contenuto
(“spina dorsale”), presente in percentuale nettamente
maggiore di quanto si rilevi anche nei soggetti esplicitamente
deficitari (quasi mai connotati da un 100% di
perseverazione). Tutto questo, pertanto, consente di orientare
la valutazione del protocollo non nel senso della
deficitarietà, ma in quello di una limitata collaborazione del
soggetto, probabilmente in rapporto al timore dello stesso
verso le possibili risultanze del test, e quindi alla sua scelta
di una prima risposta, alla quale ingenuamente “attenersi per
non sbagliare” nelle risposte successive.
Al di là di tale artefatto, nel test appare comunque
possibile identificare un elemento di estremo interesse
clinico ed interpretativo: il p., infatti, non solo non identifica
nessun elemento di tipo femminile (dato che sarebbe stato
compatibile anche con la scelta di fornire risposte “anat”),
ma, nelle tavole solitamente riferite ad elementi di tipo
femminile (II, VII e, in parte, X), propone temi di tipo anale
o fallico. In III, inoltre, viene messa in luce una identità di
genere poco definita, tanto da suggerire una problematica in
tal senso. Queste peculiari risposte, pertanto, sembrano
suggerire l’ipotesi di una problematica nella identificazione
sessuale, supportata da una tendenza (presumibilmente di
natura non conscia e non esplicitamente agita) ad identificare
gli oggetti verso cui indirizzare la sessualità in elementi di
carattere maschile, piuttosto che femminile (orientamento
omosessuale).
Al Thematic Apperception Test (T.A.T.), il periziando
ha fornito le seguenti risposte:
Tavola I: Devo dire qui? È un bambino questo… non lo
so, come si chiama? Non saprei, che ne so, un violino…
quelli che si suonano così, la musica non è che ci capisco, a
vedere così il bambino pare che dorme, ha gli occhi chiusi
(D) non so altro, non saprei…
Tavola II: Questo è un terreno con qualcosa, un cavallo,
una donna con un libro, non lo so, questa è un’altra donna,
non lo so, guarda il cielo, un uomo… delle case dietro (D)
Non lo so, come potrei saperlo io cosa fanno?
Tavola III BM: Una donna o un uomo, non so, una donna…
non so se piange, non lo so, questa è una donna, c’è una
brandina, un letto, non si vede bene (D) A vederla così mi
sembra non lo so… non ci vedo…
Tavola III GF: Una donna che mette la mano così…
piange… si dispiace, mettendo la mano così… (D) Non lo
posso sapere perché
Tavola IV: Questi sono due fidanzati innamorati, non
saprei… non saprei dire altro…
Tavola V: Qui una cucina, un salotto, non saprei, una
donna che apre una porta, non so chi è lei, guarda fisso, non
so perché (D) Non lo so cosa guarda, guarda se c’è
qualcuno, non so dirle altro
Tavola VI BM: Non lo so, potrebbe darsi che fossero
mamma e figliolo, non so come dire, vedendolo così, poi…
(chiede di sospendere la prova temporaneamente, appare
irritato)
Tavola VI GF: Due che parlano, non so che dicono… (D)
Non so cosa dicono, che c’è qualcosa che non va, non saprei,
non vanno d’accordo
Tavola VII BM: Babbo e figlio, non so, questo dovrebbe
essere…
Tavola VII GF: Mamma e figlia, una mamma che… (D)
Non so, c’è un divano, così, poi un tavolino
Tavola VIII GF: Una donna, una donna… non so, dalla
finestra, o c’è dietro un quadro, non so, sta pensando, messa
in questa posizione…
Tavola IX BM: Qui pare che dormono, poi non so io… e
qui che c’è? Un’altra persona, uno che li guarda dormire
(indica con maggiore attenzione e partecipazione la figura in
secondo piano)
Tavola IX GF: Questa è una… figlia e mamma… in mano
che c’ha? Una borsa (indica la figura inferiore) non so cosa
sarebbe, non saprei che c’è, c’è sotto un fiume?
Tavola X: Due… due proprio baciarsi non sono a
baciarsi, stanno vicini questi due (sono un uomo e una donna)
Tavola XI: Un fiume (in basso) e sopra un’ala di un
uccello grande, non si vede bene, c’è un fiume ma non si
vede bene
Tavola XII M: Un bambino e un uomo, che lo sta
svegliando, con la mano messa così, il bambino è su un letto
e dorme
Tavola XII F: Questa mi pare che sia una donna… non
so…
Tavola XIII: Un tavolo, dei libri, una donna sul letto, un
uomo in piedi, con un braccio così (mima) Avevano fatto
l’amore, non saprei che dire
Tavola XIV: Una finestra, una persona che guarda fuori,
chi lo sa…
Tavola XV: E qui? Non so, sono croci, un camposanto, poi
c’è una persona, che non so, non saprei, ha in mano dei fiori,
non so
Tavola XVI: Non saprei
Tavola XVII BM: Una figura così, non so, una fuga, pare
che questo sia nudo
Tavola XVII GF: Una cosa… una donna a vederla così, ma
’sti raggi cosa sono? Non saprei che dire
Tavola XVIII BM: Una persona con due mani che lo
prendono da dietro… due mani e basta, non so
Tavola XVIII GF: Due donne, non so se una è morta…c’è
la scala, è caduta dalla scala?
Tavola XIX: Un pezzo di barca?
Tavola XX: Un palo e basta.
Osservazioni sul test. Il test mette in luce soprattutto la
povertà interpretativa del periziando, che si concretizza nella
limitazione della interpretazione che viene fornita alle
singole tavole. Si osserva, in particolare, come il p. sia
incapace dì “costruire una storia” e di creare rapporti tra le
persone (anche dove questi sono evidenti), ma si limiti ad
una interpretazione superficiale della realtà. Tale
atteggiamento, peraltro, viene ulteriormente “appesantito”
dalla reiterazione di un altro e basilare atteggiamento del
soggetto, già presente in tutto il resto della osservazione
esperita: la sua costante attenzione a “non dire”, ad evitare di
esprimersi, ad evitare ogni spunto di soggettività e di
“colorazione” della scena. Interpretando liberamente (ed in
via ovviamente ipotetica) questo elemento, potremmo
pensare al Lotti come ad un “uomo che guarda e rimane
nell’ombra”, osservando ciò che succede ma senza investire
nello stesso una benché minima componente di
partecipazione e di empatia: rispetto agli stimoli delle
tavole, il p. “non si pronuncia”, non interviene, guarda, e
basta. Tutto questo, ovviamente, induce significative
riflessioni ed ipotesi rispetto agli altri aspetti della sua
personalità, rilevanti ai fini dei fatti per cui si procede.
Nella “piattezza” della interpretazione, direttamente
correlabile con la limitata collaborazione del soggetto oltre
che con le sue non brillanti risorse, emergono con valore
ancora maggiore tre elementi: la identificazione di una
“figura che guarda” (tav. 15), la incongrua identificazione di
un uomo nudo che fugge, in una tavola nella quale questa
figura non viene solitamente ravvisata (tav. 17) e la
negazione della componente violenta in tav. 13 (spesso
identificata in uno stupro). Tali elementi, a causa della
limitata collaboratività del soggetto, non possono essere
direttamente interpretati, ma sicuramente assurgono a
significativi “indizi” clinici per la possibile delineazione di
una “costellazione” personologica, sicuramente significativa
rispetto ai temi ed ai comportamenti in discussione.
CONSIDERAZIONI CLINICHE, CRIMINOLOGICHE E PSICHIATRICO-FORENSI
Esaminati gli atti, esperite le opportune indagini mediche e
psico-diagnostiche del caso, sentito più volte l’interessato,
siamo in grado di fornire un parere motivato ai quesiti posti
dalla S.V. Ill.ma.
Per migliore comprensibilità delle note seguenti, appare
utile suddividere le stesse in differenti capoversi, attinenti
alle singole tematiche in esame.
Le condizioni somatiche del periziando
A tale proposito, appare in primo luogo possibile notare che il Sig. Lotti, uomo di 56 anni, si presenta in condizioni somatiche complessivamente buone, se si tiene conto della attività lavorativa usurante da lui svolta per anni (operaio in una draga) e della sua condizione di sovrappeso corporeo e di ipertensione arteriosa, per la quale è in trattamento. In particolare, gli accertamenti medici esperiti hanno consentito di evidenziare unicamente la sussistenza di lievi alterazioni ematologiche ed ematochimiche (lieve iperglicemia, forse derivante dalla incongrua assunzione di glucidi prima dell’esame; lieve alterazione della conta piastrinica e poco altro), nonché la sussistenza di problemi osteo-articolari a carico del rachide, per i quali il p. lamenta
quei dolori sui quali abitualmente centra la propria conversazione.
Dal punto di vista somatico, non si è rilevata la presenza di nessuna di quelle malattie metaboliche (diabete, grave ipercolesterolemia familiare con diatesi vasculopatica), endocrinologiche (ipogonadismo, sindromi ipogonadiche) vascolari (alterazioni della irrorazione dell’area peniena e degli arti inferiori, angiosclerosi diffusa) o neurologiche (deficit centrale) dalle quali, solitamente, viene fatta derivare la genesi somatica di una possibile impotentia coeundi.
Alla luce delle indagini effettuate e della stessa storia clinica del soggetto, da lui ampiamente descritta e lamentata, non si rileva quindi nessun elemento utile ai fini della possibile identificazione di una patologia somatica rilevante ai fini della funzione sessuale del soggetto, o, più in generale, influente sulla sua condizione psichica.

L’eventuale sussistenza di patologie psichiatriche

Le indagini eseguite non hanno, parimenti, consentito di mettere in luce nessuna patologia psichiatrica riconoscibile come tale.
Ci troviamo infatti di fronte ad un soggetto sicuramente non brillante, di limitatissima cultura e fortemente problematico sul piano psicologico, che è tuttavia immune sia da disturbi di carattere psicotico, sia da possibili aspetti di deficitarietà mentale o di involuzione su base psicoorganica. Non si è infatti ravvisato nessun elemento clinico che potesse deporre in tal senso, e si deve quindi escludere ogni valutazione al proposito.

La condizione psicologica e relazionale del periziando

Ai fini della valutazione di questo elemento, di primaria importanza ai fini del nostro esame, appare innanzitutto utile ripercorrere la storia esistenziale del periziando.
Tale storia, secondo quanto ci riferisce il Lotti e secondo quanto risulta, è quella di un soggetto eccezionalmente solo, privo di stabili amicizie, connotato da un limitatissimo inserimento lavorativo (il lavoro alla draga, poi cessato) ed esistenziale, tanto da essere infine “finito” in una struttura per emarginati. In tale contesto, privo di affetti familiari (il p., con dolore, ricorda di essere stato rifiutato dai congiunti), si collocano le superficiali amicizie con prostitute a loro volta connotate da gravi problemi esistenziali e, soprattutto, si colloca il centrale e prioritario rapporto con i “compagni di merende”, Pacciani e Vanni.
Tali figure, presenti per molti anni nella vita del periziando, sono prioritarie rispetto a quelle più marginali, come quel Pucci che il p. cessò improvvisamente di frequentare, e sono rilevanti soprattutto per la costanza della attenzione che il p. riserva nei loro confronti. Tale legame sembra essere stato più forte con il Vanni (persona della quale il p. ha frequentato la nipote e della quale, nonostante quanto emerso, oggi il p. non dice nulla di negativo), mentre è stato forse più ambivalente verso il Pacciani, descritto dal p. come maggiormente temibile ed aggressivo.
In un panorama povero e limitato, emergono quindi con spicco le figure di Pacciani e soprattutto di Vanni, “coppia” alla quale il p. mostra di essere comunque legato (tanto da reagire oggi con sdegno alla asserzione del Pacciani circa la non conoscenza tra loro, e da evitare ogni critica verso quello stesso uomo, il Vanni, che lui ha ammesso di veder compiere gravissimi e ripugnanti gesti). Rispetto a tali figure, il periziando ci parla di un rapporto di apparente dipendenza, centrato soprattutto sul timore verso il Pacciani, ed esteso fino a coercire la sua partecipazione ai fatti criminosi ed il suo silenzio, sempre per il timore del Pacciani. Questa tesi, che di fatto assimilerebbe il Lotti ad uno “schiavo” rimasto tale per molti e molti anni, così terrorizzato da non permettersi neppure il minimo gesto verso i suoi persecutori, appare del tutto contrastante non solo con le risultanze degli atti e con le stesse dichiarazioni dell’interessato (già note, e pertanto omissibili in questa sede), ma risulta ancor più stridente, se confrontata con la personalità del periziando stesso.
Pur essendo una persona di limitatissima cultura e di non brillante intelligenza, il Sig. Lotti ha saputo costantemente far fronte alla situazione peritale, eludendo ogni tentativo di “entrare in profondità” rispetto ai suoi vissuti, omettendo ogni risposta potenzialmente rilevante a fini giudiziari, mantenendo inalterata la propria tesi, ed addirittura ponendo – anche se in modo inevitabilmente ingenuo – attenzione, alle stesse risposte che forniva ai reattivi mentali. Non ci siamo quindi trovati ad un soggetto dipendente, passivo facilmente spaventabile o suggestionabile, che nel caso avrebbe immediatamente adottato un atteggiamento di altrettanta dipendenza verso gli inquirenti ed i consulenti, ma, al contrario, abbiamo incontrato un uomo determinato, sfuggente o francamente sleale quando gli era utile, del tutto privo di empatia e di rincrescimento, ed attentamente impegnato nella gestione di una sua “strategia” difensiva.
Circa il mondo interno di questa persona, nella attuale sede si possono proporre unicamente alcune “tracce”, clinicamente significative, come (al test di Rorschach) la incertezza nella identificazione dell’identità di genere e la continua percezione di temi sessuali maschili (l’ano, i glutei, il pene, i testicoli), oppure come (al T.A.T.) la patognomica percezione di figure “che guardano”, e di altre figure legate ai temi della violenza, agita o negata (l’uomo nudo che fugge, la donna che non sarebbe stata violentata ma amata).
A ciò, a lui non noto, il p. affianca una conscia ricerca di affettività e di sessualità in figure mercenarie, ma ammette la limitazione delle sue risorse in tal senso, quando non trova l’affetto (ben dubbio in una “professionista”) e quando il tempo è poco.
Con ciò, possiamo ben comprendere come il mondo della sessualità del p. sia ben misero, e come alle frustranti relazioni con donne (quasi tutte prostitute) si accompagnino aspetti di carattere maggiormente perverso, relativi alla presenza sia di istanze omosessuali, sia di istanze palesemente voyeuristiche. Sotto questo profilo, la ricerca e la frequentazione della figura femminile potrebbe rappresentare semplicemente un alibi, un meccanismo di copertura dell’orientamento omosessuale del soggetto.
Tutto questo ci consente di proporre una interpretazione delle vicende in esame, coerente con la personalità del Lotti e con le dichiarazioni da lui stesso rilasciate in atti. L’immagine che emerge da quanto rilevato è infatti quella di un soggetto che, pur non presentando esplicite valenze distruttive e sadiche, si presenta, se ci si consente il termine, come un “uomo che guarda”, che tuttavia non si limita ad esercitare un ruolo passivo, ma diviene in qualche modo “coprotagonista’’, all’interno di un gruppo che – anche se forse non sul piano fisico – sicuramente presenta pesantissime istanze di carattere omosessuale, come attestato dalla realtà profonda del Lotti, dalla coerenza del rapporto tra le tre persone, e da molti altri elementi citati in atti. Con ciò, sembra delinearsi una situazione personologica molto complessa ed inquietante, della quale sicuramente occorrerà tener conto in ogni ulteriore fase della vicenda.

I disturbi sessuali di LOTTI Giancarlo.

Quanto ampiamente ammesso da Lotti confrontato e confortato da quanto dichiarato da Bartalesi Alessandra, Ghiribelli Gabriella e soprattutto Nicoletti Filippa, orienta senza ombra di dubbio verso l’esistenza in Lotti di una disfunzione sessuale caratterizzata da ipovalidità erettile (disfunzione dell’erezione), indubbiamente spesso accentuata dall’uso di bevande alcoliche e da saltuaria eiaculazione precoce.
Compromissione dell’eccitazione e dell’orgasmo sono spesso presenti in corso di intossicazione alcolica acuta, ma, anche indipendentemente ed a prescindere dalla stessa, sono caratteristiche ricorrenti sia negli affrettati rapporti mercenari di Lotti, sia nel corso di relazioni con donne con le quali egli ha invece avuto modo di intrattenersi ad altri livelli, di comunicare., di parlare.
Nulla ci parla quindi di una possibile genesi somatica della limitata funzionalità erettile del periziando, mentre emergono moltissimi elementi in merito alla possibile influenza che, in tal senso, può essere esercitata dagli aspetti maggiormente perversi della sua personalità (aspetti rispetto ai quali, oltre a quanto già elencato, assume particolare significato la sua scelta di portare la amica Bartalesi ad amoreggiare proprio nel luogo del delitto del 1985, forse al fine di incrementare la propria performance con il ricordo di quanto accaduto in quello stesso luogo).
Nel caso, non si può quindi parlare di una vera e propria impotenza – non supportata da aspetti somatici né da aspetti psicogeni – ma si deve parlare di una scarsa propensione del soggetto a raggiungere l’eccitazione sessuale in situazioni che non siano confacenti alle sue aspettative e – probabilmente – a quei desideri ed a quelle fantasie dei quali non può farsi latore in un rapporto eterosessuale e mercenario.

Alla luce delle indagini effettuate, siamo quindi in grado di rispondere, in modo conclusivo, ai quesiti posti dalla S.V.

Ill.ma.
RISPOSTE AI QUESITI
LOTTI Giancarlo è affetto da disturbi dell’erezione e dell’orgasmo di natura psicogena; detti disturbi possono essere accentuati dall’uso di bevande alcoliche, che interagiscono in sinergismo negativo con gli stessi, ma sembrano con maggior verosimiglianza essere collegati con aspetti di carattere perverso, propri della personalità del soggetto, che non possono trovare adempimento in un “normale” atto sessuale, e la cui frustrazione può forse contribuire alla scarsa performance del soggetto; tra le cause che si trovano alla base di questa situazione sono da segnalare: l’isolamento in cui ha trascorso la sua infanzia ed adolescenza; la colpevolizzazione delle sue prime curiosità e approcci erotici; la mancata acquisizione di abilità relazionali e sociali; il complesso d’inferiorità in lui presente a tutti i livelli (intellettivo, affettivo, relazionale, sociale ed economico), nonché gli elementi maggiormente perversi, sopra citati; i disturbi sessuali che lo affliggono da anni entrano direttamente nella genesi e nella dinamica dei reati per cui il medesimo è indagato, quali ricostruiti dalle indagini e dalle dichiarazioni dello stesso LOTTI; nel senso che hanno fatto di lui non solo e non tanto il passivo spettatore (ovvero “il palo”), l’esecutore marginale di delitti da altri organizzati, pianificati e portati a termine, ma anche – ed in modo più sottile – un attento e sicuramente servizievole (se ci si consente questo termine) “collaboratore” degli assassini, senza dubbio gratificato dal proprio ruolo e stimolato da quanto osservava in quelle occasioni; alla luce di quanto riferito, in estrema sintesi la realtà clinica del periziando può essere identificata in quella di un uomo apparentemente immune da patologie somatiche e psichiatriche di rilievo, ma orientato in senso omosessuale e connotato da forti istanze di carattere perverso, sicuramente tali da essere parte della sua personalità, delle sue scelte e della sua stessa interazione con l’esterno.
Torino – Genova, 20.11.1996
Prof. Ugo Fornari Prof. Marco Lagazzi

Riportata in forma riassuntiva.

La perizia consta di vari punti

1) motivi per cui viene richiesta in riferimento ai delitti del MdF.

2) Documentazione peritale

3) Ulteriori indagini contenente una serie di riassunti di varie testimonianze

4) Documentazione clinica osservata

5) Dati dei colloqui clinici

Anamnesi familiare. Il padre, Lotti Primo, è deceduto nel 1966, intorno ai 67 anni, per disturbi imprecisati (forse un’infezione ad una gamba complicatasi in gangrena): “non è stato guardato bene” è tutto quello che Lotti sa dire. Il padre era affetto da ernia inguinale ed era un forte bevitore. La madre è deceduta nel 1975, all’età di 74 anni per vasculopatia cerebrale, pare di comprendere. “L’ho portata troppo tardi all’ospedale. Anche lì ho passato momenti non troppo belli. Ricordo che mia madre si fissava sulla luce, prendeva la notte per il giorno”. Una sorella di 71 anni, “ma è come neppure ci fosse. Lei non mi parla e poi siamo due caratteri un po’ diversi. Io ne ho sofferto molto, perché sono un fratello, mica un barbone di strada! Anche mia nipote non mi guarda. Cosa le ho fatto io? Io non ho mica fatto niente a tutti loro”. Anche con il cognato i rapporti sono cattivi: “non è che si andasse troppo d’accordo”. Il p. nega specifici disturbi di carattere psicopatologico a carico di ascendenti e collaterali. Anamnesi personale. Il paziente pare sia nato da parto eutocico, dopo gravidanza regolarmente condotta a temine. Il soggetto non è in grado di fornire notizie attendibili circa la prima infanzia e le eventuali malattie sofferte. Ha sempre goduto di buona salute, non ha mai avuto malattie gravi e non è mai stato ricoverato in ospedale. Probabilmente ha riportato sulla schiena un’ustione da colpo di sole nel 1993, durante l’estate. La lesione sarebbe guarita in un mese. “Io posso solo dire che i miei genitori non mi hanno mai dato uno schiaffo. Mi hanno sempre tenuto molto chiuso, specie mio padre; mi guardava un po’ troppo; se arrivavo un po’ tardi di sera, lui veniva a riscontrarmi. Mia madre invece un po’ di meno. Anche come famiglia eravamo un po’ isolati; le persone erano un po’ astiose con noi, non so perché. Mia madre era una donna molto religiosa; io invece non sono mai stato religioso”. Addebita a ciò il fatto di aver sempre avuto problemi di rapporto affettivo e relazionale con le persone, sia uomini, sia donne. “Sono sempre stato molto chiuso”. Istruzione: IV elementare con numerose ripetenze, “perché studiare non mi interessava e perché non si imparava nulla. A 14 anni ho smesso. Leggere, leggo, mi arrangio”. Ha iniziato a lavorare a 20 anni ed ha sempre svolto attività poco remunerative e saltuarie, talché ha chiesto alcune volte dei piccoli prestiti in banca. “Prima dei 20 anni aiutavo mio padre in campagna, saltuariamente. Poi mi sono messo a fare quello che trovavo. Al massimo ho preso 1.300.000 lire al mese per il mio lavoro. Pochi, per mantenere la macchina, mangiare, bere, dormire e andare a donne una volta la settimana”. Ha lavorato per 16 anni e mezzo “sotto l’acqua e all’umido e sono stati anni duri; allora ero giovane. Un mestiere non l’ho imparato; facevo quello che trovavo”. Fin dall’adolescenza ha avuto problemi di rapporto con il sesso femminile. Ha conseguito la patente nel 1978 all’età di 38 anni, dopo parecchie bocciature subite negli anni precedenti all’esame di teoria. “La patente l’ho presa mica con tanta facilità; se non mi aiutavano non ce la facevo. Non mi andava più di andare con il motorino e poi con la macchina puoi andare dove e come vuoi. Mi piaceva guidare la macchina. Adesso ho un 131 Fiat 1600. Di macchine ne ho avute tante: una 850 Fiat special bianca; una Mini Morris 1100 gialla; due 124 Fiat una celeste e l’altra gialla; un 128 coupé rosso, una 131 Fiat rossa 1300 e infine una 131 Fiat rossa 1600. Tutte macchine usate, perché non avevo la possibilità di comprarne una nuova. Le macchine che più mi sono piaciute sono state le due 124”. “Da ragazzo ero molto riservato e parlavo poco. Amici ne avevo a S. Casciano, ma non di tutti mi fidavo; e non è neppure che ne avessi tanti. Un po’ scherzavo e qualche volta mi arrabbiavo. Non sono mai andato a ballare”. Praticamente è vissuto in famiglia fino ai 26 anni, “sempre in casa. I miei non volevano che io uscissi di sera, specie mio padre, non so neppure io perché”. Dopo la morte dei genitori, è vissuto sempre da solo. “Non ho mai avuto una casa mia; una volta sono stato in affitto, ma poi mi mancavano i soldi”. Per qualche anno è vissuto in una casa del padrone della cava in cui lavorava. “Poi sono andato a vivere per 4 anni con un prete in una Comunità, dove pagavo solo la luce. Con il mio lavoro, mi compravo il mangiare e i vestiti. Per il dormire non pagavo niente. Io in quella Comunità stavo male, perché non potevo parlare con nessuno; non capivo cosa dicevano (erano quasi tutti extracomunitari). Ogni tanto mi arrabbiavo e il prete mi rimproverava. Avessi avuto i soldi, mi sarei preso una casa per me, invece niente. Non ho mai trovato modo di dividere una casa con qualcuno, anche perché non sai…” Praticamente, da anni Lotti vive da solo “e io so fare tutto in casa; perciò non ho bisogno di una donna che mi faccia le cose in casa. Certo che la solitudine è brutta, anche se ormai ci ho fatto l’abitudine”. Della sua vita sentimentale, dietro esplicite domande e dopo molti chiarimenti, ammette: “a me sarebbe piaciuto andare con le ragazze, ma sono stato troppo chiuso e non mi sono mai osato. Le donne le ho avute perché le pagavo; con le altre avevo paura, non avevo confidenza. Poi non ero tanto sicuro io. Ricordo che tra i 12 e i 14 anni qualcuna mi ha dato uno schiaffo, perché io l’avevo toccata. Da ragazzo mi masturbavo e così ho continuato fino a 20 anni. Una volta, a 12 anni, mi hanno trovato a letto con una ragazza della mia età; non si faceva niente, ma mia madre mi ha sgridato molto e mi ha picchiato”. È celibe. “Non mi sono sposato, perché io ho un carattere che la Filippa (Filippa NICOLETTI, una delle donne con la quale ha avuto una lunga, anche se non continuativa relazione) mi ha detto che non si poteva stare insieme. Io ho fatto molte cose per lei. Abbiamo incominciato a frequentarci nel 1981, quando Salvatore (il suo convivente di allora) era in carcere. Adesso sarà un anno e mezzo che non la vedo più e non ho più sue notizie. Prima ci si vedeva di frequente, poi lei se ne è andata via da S. Casciano (attualmente la donna risiede a Castiglion Fiorentino) e allora io non potevo più andarla a trovare, anche perché ne aveva un altro. Però lei veniva a trovarmi e stava da me anche qualche giorno. Poi c’era il problema dei soldi; come facevo a sposarmi senza soldi e con un lavoro che un po’ c’era e un po’ non c’era? Sono stato un po’ sfortunato. Io però ero proprio innamorato di questa donna. L’amore, con la Filippa, ne ho fatto anche troppo. Anche lei si è innamorata di me. Fu l’uomo con cui lei viveva e che poi è stato un periodo in carcere (4 mesi) che la faceva prostituire. Poi nell’85-86 Filippa è tornata ad Arezzo e io l’andavo a trovare 1-2 volte al mese”. Ammette di aver conosciuto tante donne a Firenze, “ma è sempre stata solo una cosa passeggera, solo uno sfogo. Ultimamente cambiavo, ma dall’81 a qualche anno fa ne ho frequentato sempre e solo una, che conoscevo da tanti anni e che era pulita”. (Si tratta di Gabriella Ghiribelli). “Quando ho conosciuto Gabriella lei aveva uno insieme; io non è che ci andassi molto volentieri, perché in casa c’erano la mamma e il suo uomo e a me la cosa dava fastidio. Poi costava cara, e allora la vedevo poche volte. Io le ero affezionato, ma lei mi sfruttava un po’ troppo. Lei diceva che mi voleva bene, ma non era vero, perché mi sfruttava. Io avevo già tante spese, perché dovevo mantenere me e la macchina. Alessandra (Alessandra Bartalesi) era la nipote del Vanni; la conobbi per caso; fu il Vanni a presentarmela. Lei aveva il fidanzato. A me piaceva abbastanza, ma non ne ero assolutamente innamorato. Abbiamo incominciato ad uscire insieme e poi siamo andati a letto. Lei si era ammalata a 20 anni ed era finita su di una carrozzella. Dopo qualche anno si è rimessa a camminare, ma quando si usciva insieme mi toccava reggerla. Fumava tantissimo e parlava un po’ troppo. Era molto ingrassata per tutte le medicine che prendeva. Alessandra si era affezionata a me. Adesso è tornato il suo fidanzato ed è dal 95 che non la vedo più. Era lei che veniva a cercarmi, non io”. Di fatto, Lotti non si è mai sentito soddisfatto nelle sue relazioni con le donne, anche se “le donne mi sono sempre piaciute. Però non mi è stato mai possibile averne una per me; mi è dispiaciuto. Sono anche stato invidioso di chi poteva più di me ma non potevo farci niente. Con la macchina le cose sono un po’ cambiate, perché potevo andare in giro, ma continuavo a non avere soldi. Poi ricordo una cosa brutta, di una donna che voleva spogliarmi e saltarmi addosso. Io non ho fatto niente, perché non eravamo soli; era presente anche Paola (la ragazza che in quel periodo mi piaceva e che mi ha aiutato a prendere la patente), che mi ha detto: “come, fai così? Allora non sei un uomo! Io sono rimasto impressionato da questa faccenda”. Col passare degli anni, si rimane bloccati e non si fa più nulla. A me è andata male. Il fatto è che io non ho più una grande considerazione delle donne, per tutto quello che mi è successo. Forse è dopo la faccenda di mia madre e di mia sorella che io evito le donne. Ora come ora è troppo tardi. Non mi metterò mai più con una donna. Le donne ti possono fregare”. Circa la sua attività sessuale, dichiara: “tante volte, quando ero bevuto, non riuscivo ad avere erezione. La stessa cosa quando ero emozionato o stanco o bloccato come da Gabriella, perché in casa c’era sempre qualcuno. Così anche con le prostitute che si mettevano subito nude e volevano fare subito e in fretta e a me non mi riusciva. Se invece c’era un po’ di atmosfera, andava bene. Io non riesco a farla alla svelta. Per esempio, una volta mi sono fermato con Gabriella su di una piazzola lungo una strada; in quel momento passarono i vigili; lei non se ne accorse, ma io sì; mi bloccai e feci finta di leggere il giornale; poi l’ho fatto e non ci fu problema. Qualche volta, se ero molto eccitato, venivo subito. Ora è parecchio tempo che non faccio più nulla. Con la Filippa sono stato più soddisfatto che con altre donne. Anche con lei una volta è successo in autostrada, in macchina, che la portavo dalle sue figliole ad Alessandria; lei ha incominciato a tastarmi e l’abbiamo fatto. La Gabriella di Firenze mi diceva bravo, bravo, che invece non era vero. Bravo fino a un certo punto, ma non come diceva lei”. Nel corso di un colloquio, ammette: “praticamente, non sono mai stato capace di far godere una donna”. (In effetti, risulta che la Filippa, esplicitamente interrogata circa le abilità sessuali di Lotti, gli abbia dato un voto pari a 3). Nega dì aver mai avuto curiosità particolari o di aver messo in atto pratiche sessualmente perverse. In particolare, spontaneamente precisa: “io non ho mai fatto il guardone; la cosa non mi ha mai interessato”. Per quanto riguarda il carattere, si descrive come uomo dal temperamento mite; “io sono calmo e tranquillo se nessuno mi dà fastidio; però quando mi arrabbio, mi arrabbio; se vengono a stuzzicarmi, io reagisco. Non ho mai avuto paura di nessuno; se devo farmi le mie ragioni me le faccio. A S. Casciano mi dicevano che ero troppo buono, ma io sopporto un po’ e poi basta”. Ammette, inoltre, di essere un soggetto emotivo e labile». Come abitudini di vita, ammette di essere sempre stato un forte mangiatore (ha pesato fino a 120 Kg) ed ha sofferto di ipertensione. Beveva circa 1 litro di vino al dì. Non ha mai consumato super-alcolici. “Talvolta col vino andavo troppo in là; 2 o 3 volte la settimana. Sono arrivato anche a bere più di un litro per pasto; un po’ a cena e un po’ dono cena con gli amici. Non ho mai bevuto a digiuno. Anche se bevevo parecchio, mangiavo molto. C’è stato un periodo che bevevo ma mangiavo poco e allora ho dovuto smettere, perché poi ci rimettevo di salute”. Attualmente assume giornalmente un ipotensivo (Acepress compresse da 25 mg., 1 cprs. al dì; vedere prescrizione del 6.7.96 a firma della dr.ssa Rosella Ferrovecchio). Si sottopone a controllo periodico della pressione arteriosa (che da molti mesi è compresa nella media e nella norma per un uomo della sua età e della sua struttura). Pratica saltuariamente una fiala im. di Tilcotil (farmaco antiartrosico; prescrizione del 2.7.96). Lamenta dolori alla schiena per un principio di ernia del disco (infortunio sul lavoro nel 74-75, mentre lavorava in una cava di pietrisco) ed emorroidi (“che però adesso non sanguinano più”) con emorragia rettale il 31 agosto 1996. Relativamente ai fatti per cui si procede, Lotti informa di quanto segue: “Pacciani l’ho conosciuto nell’80 circa, dopo Vanni. Io lo frequentavo poco; non mi era simpatico. Mario invece lo andavo a trovare anche a casa. Allora Pacciani abitava in una frazione di Montefilidolfi; lì io l’ho conosciuto, casualmente, attraverso Mario Vanni che era il postino di zona. Pacciani era uno che aveva la voce un po’ alta e un po’ prepotente. Poi aveva fatto delle cose brutte con le figlie e la moglie; sicché non c’era da fidarsi mica tanto. Non mi andava proprio bene frequentarlo. Voleva essere superiore agli altri. Con Mario c’era confidenza, era educato e mi dava anche i soldi per la benzina, quando si faceva portare da qualche parte. Con Pacciani, invece, non c’era confidenza; non mi andava. Non potevo parlare tranquillamente con lui, per cui preferivo stare zitto. Quando si giocava a carte, voleva vincere sempre. Quando si andava fuori, Pacciani non pagava mai. O pagava Mario o pagavo io. I soldi li aveva, ma li teneva stretti. Ad andare con lui, anche quando si facevano le merende insieme, non mi andava mica tanto bene. Come faceva Vanni a sopportarlo, non lo so proprio. Pacciani ha cercato di coinvolgermi, per farmi stare zitto, nel senso che ha continuato a portarmi con sé dopo l’82. La prima volta (1982) non sapevo mica cosa si andasse a fare. Non è mica stata una cosa molto bella. Non mi piacque niente vedere le armi e me ne tornai in macchina. Allora Pacciani ha incominciato a minacciarmi: ormai ero dentro e dovevo andare avanti. Io avevo paura che Pacciani, se dicevo di no, mi poteva fare qualcosa di male. Era un violento, suvvia, diciamolo. Pacciani comandava anche Vanni. Adesso io più che arrabbiato con Pacciani, sono preoccupato, perché non so come finirà questa storia. Pacciani è uno che ha detto che nemmeno mi conosce; io invece lo conosco benissimo e se dirà contro di me, saprò bene io come difendermi. Inoltre Pacciani è uno che sa e che, se verrà condannato, verranno fuori altri nomi. Se non dicevo nulla, ero belle che dentro. Mi hanno messo davanti a dei contrasti e io ho dovuto ammettere qualche cosa, altrimenti me ne sarei andato in carcere”.

6) Esame obbiettivo del periziando. “Quanto emerso in sede di colloqui clinici, peraltro, orienta nella direzione di una ipovalidità sessuale di natura psicogena e non organica. D’altro canto, anche se il test avesse dato un risultato positivo (avesse cioè escluso una impotenza di natura organica), lo stesso non sarebbe stato comunque sufficiente per escludere fenomeni di impotenza o di ipovalidità psicogena.” 7) Esame psichiatrico diretto.

8) Considerazioni cliniche, criminologiche e psichiatrico forensi. “Le indagini eseguite non hanno, parimenti, consentito di mettere in luce nessuna patologia psichiatrica riconoscibile come tale. Ci troviamo infatti di fronte ad un soggetto sicuramente non brillante, di limitatissima cultura e fortemente problematico sul piano psicologico, che è tuttavia immune sia da disturbi di carattere psicotico, sia da possibili aspetti di deficitarietà mentale o di involuzione su base psico-organica. Non si è infatti ravvisato nessun elemento clinico che potesse deporre in tal senso, e si deve quindi escludere ogni valutazione al proposito.Ai fini della valutazione di questo elemento, di primaria importanza ai fini del nostro esame, appare innanzitutto utile ripercorrere la storia esistenziale del periziando. Tale storia, secondo quanto ci riferisce il Lotti e secondo quanto risulta, è quella di un soggetto eccezionalmente solo, privo di stabili amicizie, connotato da un limitatissimo inserimento lavorativo (il lavoro alla draga, poi cessato) ed esistenziale, tanto da essere infine “finito” in una struttura per emarginati. In tale contesto, privo di affetti familiari (il p., con dolore, ricorda di essere stato rifiutato dai congiunti), si collocano le superficiali amicizie con prostitute a loro volta connotate da gravi problemi esistenziali e, soprattutto, si colloca il centrale e prioritario rapporto con i “compagni di merende”, Pacciani e Vanni. Tali figure, presenti per molti anni nella vita del periziando, sono prioritarie rispetto a quelle più marginali, come quel Pucci che il p. cessò improvvisamente di frequentare, e sono rilevanti soprattutto per la costanza della attenzione che il p. riserva nei loro confronti. Tale legame sembra essere stato più forte con il Vanni (persona della quale il p. ha frequentato la nipote e della quale, nonostante quanto emerso, oggi il p. non dice nulla di negativo), mentre è stato forse più ambivalente verso il Pacciani, descritto dal p. come maggiormente temibile ed aggressivo. In un panorama povero e limitato, emergono quindi con spicco le figure di Pacciani e soprattutto di Vanni, “coppia” alla quale il p. mostra di essere comunque legato (tanto da reagire oggi con sdegno alla asserzione del Pacciani circa la non conoscenza tra loro, e da evitare ogni critica verso quello stesso uomo, il Vanni, che lui ha ammesso di veder compiere gravissimi e ripugnanti gesti). Rispetto a tali figure, il periziando ci parla di un rapporto di apparente dipendenza, centrato soprattutto sul timore verso il Pacciani, ed esteso fino a coercire la sua partecipazione ai fatti criminosi ed il suo silenzio, sempre per il timore del Pacciani. Questa tesi, che di fatto assimilerebbe il Lotti ad uno “schiavo” rimasto tale per molti e molti anni, così terrorizzato da non permettersi neppure il minimo gesto verso i suoi persecutori, appare del tutto contrastante non solo con le risultanze degli atti e con le stesse dichiarazioni dell’interessato (già note, e pertanto omissibili in questa sede), ma risulta ancor più stridente, se confrontata con la personalità del periziando stesso. Pur essendo una persona di limitatissima cultura e di non brillante intelligenza, il Sig. Lotti ha saputo costantemente far fronte alla situazione peritale, eludendo ogni tentativo di “entrare in profondità” rispetto ai suoi vissuti, omettendo ogni risposta potenzialmente rilevante a fini giudiziari, mantenendo inalterata la propria tesi, ed addirittura ponendo – anche se in modo inevitabilmente ingenuo – attenzione, alle stesse risposte che forniva ai reattivi mentali. Non ci siamo quindi trovati ad un soggetto dipendente, passivo facilmente spaventabile o suggestionabile, che nel caso avrebbe immediatamente adottato un atteggiamento di altrettanta dipendenza verso gli inquirenti ed i consulenti, ma, al contrario, abbiamo incontrato un uomo determinato, sfuggente o francamente sleale quando gli era utile, del tutto privo di empatia e di rincrescimento, ed attentamente impegnato nella gestione di una sua “strategia” difensiva. Circa il mondo interno di questa persona, nella attuale sede si possono proporre unicamente alcune “tracce”, clinicamente significative, come (al test di Rorschach) la incertezza nella identificazione dell’identità di genere e la continua percezione di temi sessuali maschili (l’ano, i glutei, il pene, i testicoli), oppure come (al T.A.T.) la patognomica percezione di figure “che guardano”, e di altre figure legate ai temi della violenza, agita o negata (l’uomo nudo che fugge, la donna che non sarebbe stata violentata ma amata). A ciò, a lui non noto, il p. affianca una conscia ricerca di affettività e di sessualità in figure mercenarie, ma ammette la limitazione delle sue risorse in tal senso, quando non trova l’affetto (ben dubbio in una “professionista”) e quando il tempo è poco. Con ciò, possiamo ben comprendere come il mondo della sessualità del p. sia ben misero, e come alle frustranti relazioni con donne (quasi tutte prostitute) si accompagnino aspetti di carattere maggiormente perverso, relativi alla presenza sia di istanze omosessuali, sia di istanze palesemente voyeuristiche. Sotto questo profilo, la ricerca e la frequentazione della figura femminile potrebbe rappresentare semplicemente un alibi, un meccanismo di copertura dell’orientamento omosessuale del soggetto. Tutto questo ci consente di proporre una interpretazione delle vicende in esame, coerente con la personalità del Lotti e con le dichiarazioni da lui stesso rilasciate in atti. L’immagine che emerge da quanto rilevato è infatti quella di un soggetto che, pur non presentando esplicite valenze distruttive e sadiche, si presenta, se ci si consente il termine, come un “uomo che guarda”, che tuttavia non si limita ad esercitare un ruolo passivo, ma diviene in qualche modo “coprotagonista’’, all’interno di un gruppo che – anche se forse non sul piano fisico – sicuramente presenta pesantissime istanze di carattere omosessuale, come attestato dalla realtà profonda del Lotti, dalla coerenza del rapporto tra le tre persone, e da molti altri elementi citati in atti. Con ciò, sembra delinearsi una situazione personologica molto complessa ed inquietante, della quale sicuramente occorrerà tener conto in ogni ulteriore fase della vicenda. I disturbi sessuali di LOTTI Giancarlo. Quanto ampiamente ammesso da Lotti confrontato e confortato da quanto dichiarato da Bartalesi Alessandra, Ghiribelli Gabriella e soprattutto Nicoletti Filippa, orienta senza ombra di dubbio verso l’esistenza in Lotti di una disfunzione sessuale caratterizzata da ipovalidità erettile (disfunzione dell’erezione), indubbiamente spesso accentuata dall’uso di bevande alcoliche e da saltuaria eiaculazione precoce. Compromissione dell’eccitazione e dell’orgasmo sono spesso presenti in corso di intossicazione alcolica acuta, ma, anche indipendentemente ed a prescindere dalla stessa, sono caratteristiche ricorrenti sia negli affrettati rapporti mercenari di Lotti, sia nel corso di relazioni con donne con le quali egli ha invece avuto modo di intrattenersi ad altri livelli, di comunicare., di parlare. Nulla ci parla quindi di una possibile genesi somatica della limitata funzionalità erettile del periziando, mentre emergono moltissimi elementi in merito alla possibile influenza che, in tal senso, può essere esercitata dagli aspetti maggiormente perversi della sua personalità (aspetti rispetto ai quali, oltre a quanto già elencato, assume particolare significato la sua scelta di portare la amica Bartalesi ad amoreggiare proprio nel luogo del delitto del 1985, forse al fine di incrementare la propria performance con il ricordo di quanto accaduto in quello stesso luogo). Nel caso, non si può quindi parlare di una vera e propria impotenza – non supportata da aspetti somatici né da aspetti psicogeni – ma si deve parlare di una scarsa propensione del soggetto a raggiungere l’eccitazione sessuale in situazioni che non siano confacenti alle sue aspettative e – probabilmente – a quei desideri ed a quelle fantasie dei quali non può farsi latore in un rapporto eterosessuale e mercenario. Alla luce delle indagini effettuate, siamo quindi in grado di rispondere, in modo conclusivo, ai quesiti posti dalla S.V.Ill.ma. RISPOSTE AI QUESITI LOTTI Giancarlo è affetto da disturbi dell’erezione e dell’orgasmo di natura psicogena; detti disturbi possono essere accentuati dall’uso di bevande alcoliche, che interagiscono in sinergismo negativo con gli stessi, ma sembrano con maggior verosimiglianza essere collegati con aspetti di carattere perverso, propri della personalità del soggetto, che non possono trovare adempimento in un “normale” atto sessuale, e la cui frustrazione può forse contribuire alla scarsa performance del soggetto; tra le cause che si trovano alla base di questa situazione sono da segnalare: l’isolamento in cui ha trascorso la sua infanzia ed adolescenza; la colpevolizzazione delle sue prime curiosità e approcci erotici; la mancata acquisizione di abilità relazionali e sociali; il complesso d’inferiorità in lui presente a tutti i livelli (intellettivo, affettivo, relazionale, sociale ed economico), nonché gli elementi maggiormente perversi, sopra citati; i disturbi sessuali che lo affliggono da anni entrano direttamente nella genesi e nella dinamica dei reati per cui il medesimo è indagato, quali ricostruiti dalle indagini e dalle dichiarazioni dello stesso LOTTI; nel senso che hanno fatto di lui non solo e non tanto il passivo spettatore (ovvero “il palo”), l’esecutore marginale di delitti da altri organizzati, pianificati e portati a termine, ma anche – ed in modo più sottile – un attento e sicuramente servizievole (se ci si consente questo termine) “collaboratore” degli assassini, senza dubbio gratificato dal proprio ruolo e stimolato da quanto osservava in quelle occasioni; alla luce di quanto riferito, in estrema sintesi la realtà clinica del periziando può essere identificata in quella di un uomo apparentemente immune da patologie somatiche e psichiatriche di rilievo, ma orientato in senso omosessuale e connotato da forti istanze di carattere perverso, sicuramente tali da essere parte della sua personalità, delle sue scelte e della sua stessa interazione con l’esterno.”

20 Novembre 1996 Perizia psichiatrica Giancarlo Lotti

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