21 Maggio 1997 2° udienza processo Compagni di Merende Mario Vanni,  Giancarlo Lotti e  Giovanni Faggi per i reati relativi ai duplici delitti del MdF e Alberto Corsi per favoreggiamento.

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Presidente Federico LombardiAvv. Gabriele ZanobiniPubblico Ministero Paolo Canessa, Avv. Giangualberto PepiAvv. Nino Filastò

Presidente: Allora, buongiorno a tutti. Un avvertimento generale, riguarda i fumatori durante l’intervallo, dopo l’udienza, eccetera. Per cortesia, nessuno deve fumare in aula. Il Pubblico Ministero deve vigilare lui sull’osservanza della legge e le Forze dell’Ordine.
P.M.: (voce fuori microfono)
Presidente: Eh, lo so, però non si può fumare in aula, tutti fumare in aula. Bene. Vorrei sapere una cosa. Io ho avuto un foglio qui della Camera Penale relativo agli scioperi degli avvocati nei giorni 26, 27, 28, 29 e 30. Fatemi sapere se anche voi aderite allo sciopero, chi aderisce allo sciopero, per regolarmi poi per le udienze, va bene?
Avvocato Lena: (voce fuori microfono)
Presidente: Aderite tutti, Avvocato Lena?
Avvocato Lena: Però c’è un detenuto, se il detenuto dovesse consentire allora…
Avvocato Filastò: Il detenuto consente, gliel’ho chiesto ora. Ha detto che va bene.
Presidente: Consente di fare il processo?
Avvocato Filastò: Consente di non farlo.
Presidente: Ah, va bene.
Avvocato Filastò: Ci consente di fare lo sciopero a noi.
Presidente: Bene. Allora, possiamo riprendere. Vanni è lì, con i difensori. Il Lotti?
Avvocato Bertini: Sì, Presidente.
Presidente: Ah, ecco il Lotti con l’avvocato Bertini. Poi c’è per Faggi, è rappresentato dall’avvocato Lena e Bagattini. Corsi Alberto… Zanobini dov’è?
Presidente: Eccomi Presidente.
Presidente: Zanobini. Bene, ci siamo tutti. Le parti civili mi sembra che ci sono tutti, vero?
A.P.: Io sostituisco Colao.
Presidente: Allora, Colao è sostituito dall’avvocato Pellegrini. L’avvocato Pellegrini. Poi c’è l’avvocato Santoni Franchetti che vedo di persona. L’avvocato Saldarelli?
Avvocato Baglini: Signor Giudice, lo sostituisco io, avvocato Duccio Baglini.
Presidente: Bene.
Avvocato Baglini: Anche l’avvocato Rosso.
Presidente: Poi c’è l’avvocato Curandai, che vedo. Poi basta, siamo a posto, bene?
(voci fuori microfono)
Presidente: Ciappi. Sì, Ciappi.
Avvocato Puliti: E Puliti anche.
Presidente: Cardini Jolanda, difesa dall’avvocato Ciappi e l’avvocato Paolo Voena di Torino. Chi c’è? (voce fuori microfono)
Presidente: Non c’è nessuno?
Avvocato Pellegrini: Sostituisco io. Presidente.
Presidente: Allora, l’avvocato Pellegrini in sostituzione dell’avvocato Ciappi, va bene. Si può riprendere. Se ci sono eccezioni, avanti. O richieste. Avvocato Zanobini, lei aveva fatto un’istanza: insiste, la revoca, che fa?
Avvocato Zanobini: No, insisto. Perché devo revocarla?
Presidente: Non lo so, domando.
Avvocato Zanobini: No, no, no. Qui insisto, non è un’eccezione. Posso iniziare?
Presidente: Sì, va bene, è una richiesta di proscioglimento ex articolo 469. È così no?
Avvocato Zanobini: No.
Presidente: Nemmeno. Allora me lo dica lei.
Avvocato Zanobini: È una richiesta di dichiarazione di inutilizzabilità…
Presidente: Al microfono. Al microfono perché non si sente niente.
Avvocato Zanobini: Lo so, io d’altra parte… Aspetti, guardiamo se si avvicina…
Presidente: Accenda… Pigi il pulsante.
Avvocato Zanobini: No, no, il pulsante è acceso, solo che era forse un po’ distante e quindi l’ho avvicinato in questo modo, però più di tanto non è possibile. Dunque, dicevo… Allora, va bene, inizio. Dicevo che la richiesta che propongo nell’interesse del mio assistito, dell’avvocato Corsi, è in primis di dichiarazione della inutilizzabilità delle dichiarazioni da lui rese il 15/06/96 alla Polizia Giudiziaria e che costituiscono la base, il presupposto, o meglio, l’elemento oggettivo del reato a lui contestato e di cui all’articolo 378: reato di favoreggiamento. Se ieri mi sono trovato sulla stessa linea d’onda diciamo, del Pubblico Ministero nell’adesione alla opposizione da lui formulata all’eccezione dell’avvocato Filastò, per ragioni di diritto che ritenevo fondate, oggi, per ragioni di diritto che ritengo altrettanto fondatissime, devo far presente alla Corte che una violazione clamorosa, evidente di una norma del nostro Codice di procedura penale è stata posta in essere. È una noma, l’articolo 63 del Codice di procedura penale, che stabilisce un diritto ben preciso che, diciamo, trova il suo riscontro in tutte le altre legislazioni, direi che è un diritto che possiamo dire tutelato universalmente e che stabilisce che: un soggetto, un cittadino, una persona non può essere sentita in qualità di persona informata degli atti, e quindi – per i Giudici popolari – come teste, fra virgolette, nella fase delle indagini preliminari, quando nei confronti di questa persona c’erano i presupposti perché fosse sentita con tutte le garanzie previste dal nostro ordinamento giuridico perché quindi fosse sentita come persona indagata o indagabile. Questa richiesta non è una richiesta che viene proposta dal difensore che ha paura del merito. Non abbiamo assolutamente paura del merito. La stessa opposizione di questo difensore all’udienza scorsa, cioè di ieri, perché rimanesse in atti il risultato dell’incidente probatorio, ne è la dimostrazione. Nell’incidente probatorio il Lotti, che è colui che nella fase delle indagini preliminari aveva reso in precedenza, all’assunzione dell’avvocato Corsi come persona informata dei fatti, dichiarazioni all’apparenza altamente indizianti, nell’incidente probatorio ha fatto sì che queste dichiarazioni, questi indizi perdessero completamente consistenza. Ecco il motivo per cui noi abbiamo insistentemente, decisamente voluto che le sue dichiarazioni, in sede di incidente probatorio, rimanessero agli atti, perché smentivano completamente, anche a seguito delle contestazioni di cui ai verbali di cui ieri vi ho chiesto l’acquisizione, le sue precedenti dichiarazioni. Ma voi avrete visto che la mia richiesta prescinde da tutte quelle dichiarazioni che sono intervenute da parte del Lotti in un momento successivo, vale a dire nell’incidente probatorio, perché? Perché qui si tratta soltanto di stabilire si vi è stata o meno la clamorosa violazione dell’articolo 63, I e II Comma. Per la Corte, per i Giudici popolari, per me stesso. Se davanti all’Autorità Giudiziaria o alla Polizia Giudiziaria una persona non imputata, ovvero una persona non sottoposta alle indagini – quale era la posizione dell’avvocato Corsi al 15/06/96 – rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente ne interrompe l’esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare il difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. Ma vi è di più. Se la persona doveva essere sentita fin dall’inizio in qualità di imputato, o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate. E allora, cronologicamente, il mal capitato Corsi, il mal capitato amico avvocato Corsi, com’è che è entrato in questa vicenda, perché? Diciamo che sventuratamente ha avuto l’unico torto di essere l’avvocato conosciuto da tutto il paese di San Casciano, era l’avvocato del paese di San Casciano. E voi capite che queste indagini si sono svolte, al 98%, nel paese di San Casciano, nella zona di San Casciano. L’avvocato Corsi è conosciuto da tutto il paese, conosce tutti i cittadini del paese, compreso il Vanni. Allora, ad un certo momento la Procura della Repubblica sente la necessità di sentire l’avvocato Corsi come persona informata dei fatti e si chiede a lui se conosce il Vanni. L’avvocato Corsi dice: ‘e chi non lo conosce Vanni in San Casciano? E io lo conosco’. Si chiede a lui se il Vanni si è mai, come dire, confidato, o meglio, sfogato e questo quando? Nel momento in cui erano in atto le indagini da parte della Procura della Repubblica di Firenze nei confronti del Pacciani, detenuto per altra causa, ma già indagato per quella del cosiddetto “mostro di Firenze”. E l’avvocato Corsi non ha nessuna remora a dire che: ‘si, è vero, Vanni, quando mi incontrava o quando mi veniva a trovare si lamentava del fatto che su di lui incombeva una forte pressione da parte degli inquirenti, con richieste continue di notizie sui suoi rapporti con il Pacciani, sulla conoscenza da parte sua della circostanza relativa alla pistola, che Pacciani aveva’. Ad un certo momento si chiede a lui anche, che cosa? Se il Vanni ha mai parlato a lui di minacce ricevute dal Pacciani, o di una lettera del Pacciani da lui ricevuta e che dovrebbe avere avuto un contenuto minaccioso. Dopo aver ampiamente detto circa queste lamentele del Vanni nei confronti degli inquirenti, ad una precisa domanda sulla lettera, o sulle minacce, testualmente risponde: “Non mi ha mai parlato il Vanni della lettera ricevuta dal Pacciani e di cui ho letto sui giornali. Addirittura credo che quando venne da me la lettera doveva ancora arrivare. Su questo argomento non è mai entrato con me, neppure a livello di consiglio amichevole. Ho appreso delle circostanze relative alla lettera dalla stampa e dalla TV. Neppure in seguito ho avuto modo di interpellare il Vanni su questa circostanza. So che poi lui si rivolse ad un legale diverso da me”. E queste sono le sue dichiarazioni del 19 dicembre ’95 rese al Pubblico Ministero. Il quale lo sente anche successivamente, il 26 di gennaio, in questo interrogatorio, per il punto che ci interessa, l’avvocato Corsi dice: “Confermo quanto ho già dichiarato il 19 dicembre dello scorso anno”. Bene, sempre per procedere cronologicamente, intanto possiamo appuntare che al 26 di gennaio l’avvocato Corsi aveva già dato la sua risposta: ‘nulla so di questa lettera, Vanni non me ne ha mai parlato, né di questa, né delle minacce, né del suo contenuto tantomeno’. E allora come si arriva a questa imputazione? Il Lotti viene sentito dalla Polizia Giudiziaria il 21/02/96 e sul punto testualmente dichiara 21/02/96 è uno di quei due verbali di cui ieri la Corte ha stabilito l’acquisizione, anzi, o meglio l’inserimento nel fascicolo, che doveva essere già stato effettuato: “Per quanto riguarda la lettera ricevuta dal Vanni ricordo che un giorno, di pomeriggio, il Vanni mi disse che aveva ricevuto una lettera che doveva portare a vedere perché minacciosa. Lui diceva che non sapeva se portarla ai Carabinieri o all’avvocato Corsi, che anch’io conosco. Gli dissi che doveva portarla a una persona un po’ più esperta, che doveva dargli dei consigli. Dopo una paio di giorni, o tre, Vanni mi disse che l’aveva portata a vedere all’avvocato, che lo aveva un po’ tranquillizzato”. Vanni mi disse che l’aveva portata a vedere all’avvocato: “all’avvocato” è l’avvocato Corsi. Lotti viene ulteriormente sentito il 12 giugno del ’96. Si noti: tre giorni prima di quando poi l’avvocato Corsi verrà, per la terza volta, sentito, questa volta non dal Pubblico Ministero, ma dalla Polizia Giudiziaria. E sul punto della lettera, il Lotti così testualmente risponde: “In merito alla lettera che il Vanni disse di aver ricevuto da Pacciani, intendo fare delle precisazioni. Io la lettera, come ho già detto, non l’ho vista, anche più volte, quando me ne parlò, chiesi al Vanni di farmela leggere. Il Vanni mi disse che non poteva e che la doveva portare a qualcuno che si intendeva di quelle cose. Io capii che era sua intenzione portarla forse ai Carabinieri, ma la cosa mi sembrava improbabile, o più probabilmente al suo avvocato”. Circostanza, sulla richiesta ‘ma perché non me la fai vedere, perché non hai fiducia in me’, eccetera, eccetera, e questo lo tralascia perché non interessa per la nostra questione. Ecco però quello che invece interessa per la nostra questione: “Voglio spiegare ancora che io ero curioso e gli sono andato dietro per vedere dove la portava e ho visto che si dirigeva verso lo studio dell’avvocato Corsi. Io gli chiesi se potevo andare anch’io con lui, ma lui mi disse di no e volle andare da solo anche perché era amico dell’avvocato Corsi e quando aveva bisogno di qualcosa la portava a lui. Dopo diversi giorni mi disse che aveva lasciato la lettera e io capii, anche se non me l’ha detto espressamente” – dopo diversi giorni mi disse che aveva lasciato la lettera – “e io capii che l’aveva portata all’avvocato Corsi”. Ma vi è di più: “Vanni era preoccupato soprattutto di questa minaccia e voglio dire che per questa paura di essere ammazzato è andato più di una volta dall’avvocato Corsi. Per la verità ho visto io che si incontravano spesso in piazza, a San Casciano, sotto l’orologio. Io ero distante e li ho visti parlare insieme. Dopo questi colloqui il Vanni mi riferiva sempre che il Corsi gli diceva di stare calmo, che non gli sarebbe successo nulla. Questi colloqui avvenivano quando il Pacciani era in carcere, accusato per il mostro di Firenze”. Ancora, più pesantemente: “Voglio aggiungere che un giorno, mentre il Corsi ed il Vanni erano in piazza a San Casciano
a parlare tra loro, il Corsi mi chiamò e disse davanti a me che non c’era da preoccuparsi delle minacce del Pacciani. Dopo questa assicurazione fatta in presenza mia e del Vanni, capii dall’espressione del Corsi che i due volevano ancora parlare fra sé e che io da quel momento ero in più.”
 Signor Presidente, signori della Certe, io a costo di sembrare di nuocere al mio assistito, nel momento in cui vedete che sembra che voglia dimostrare il suo pesante coinvolgimento. Però, siccome sono un avvocato e siccome ho a che fare con dei Giudici, non mi preoccupo di quello che può essere il fraintendimento di quanto finora ho detto da parte di chi assiste. Per brevità, invito soltanto la Corte, soltanto perché si abbia, da parte della Corte, conferma che tutto quanto quello che finora ho esposto, come riferito da Lotti, è stato poi in toto, in modo assolutamente clamoroso, in modo assolutamente insospettato, sorprendente per il difensore che era presente nell’incidente probatorio, smentito. Non sto a leggervi le smentite perché credo che questo andrebbe al di là di quella che è l’argomentazione, le prospettazioni che servono a questo difensore per la istanza che vi ha proposto. Questo soltanto per ribadire che questa richiesta non viene fatta a mo’ di azzeccagarbugli che si vuole arrampicare sugli specchi perché vuol fare uscito il proprio assistito da questa vicenda, temendo che poi non ne esca nel merito. Noi avremmo preferito discutere soltanto nel merito, però ogni cosa a suo tempo. Vale a dire: se c’è una violazione di legge che è alla base della sua posizione processuale davanti a voi e che fa sì che si possa dire che non doveva esserci in ogni modo e che quindi c’è stato tirato a forza, questa ovviamente è una questione che va risolta preliminarmente. Anche perché non vorremmo che, trattandosi di una questione di diritto, assolutamente fondata, fondatissima, inconfutabilmente fondata, dovesse poi il disgraziato che io assisto, vedersi poi, con la sentenza dibattimentale, riconoscere un diritto che gli deve essere per legge, se ci sono i presupposti, riconosciuto immediatamente. Quello che vi ho letto in relazione alle dichiarazioni del Lotti che precedono l’interrogatorio dell’avvocato Corsi il 15 di giugno, il capo di imputazione parla di: ‘‘Favoreggiamento per avere, con dichiarazioni alla Polizia Giudiziaria, aiutato Vanni Mario”, nel momento in cui ha negato ancora una volta di aver avuto conoscenza e della lettera e delle minacce. “In Firenze… testualmente il capo di imputazione – in Firenze, il 15 giugno ’96”. Quindi, trattasi di un reato che si ritiene commesso in Firenze il 15 giugno ’96 in relazione a queste dichiarazioni che ora sto per leggervi. “Mi viene chiesto di specificare i miei rapporti con Vanni Mario. Come ho già riferito alla Procura della Repubblica, in occasione di un colloquio…” No, dalla Procura della Repubblica, presso la Procura della Repubblica, non è a mia conoscenza che si facciano colloqui. Si doveva dire: ‘ in occasione di due miei precedenti interrogatori davanti alla Procura della Repubblica! “Con il Vanni ho avuto un rapporto di conoscenza”. Aggiungo io: non diverso da quello che ho avuto e che ho con gli altri paesani. “Mi viene chiesto di specificare meglio i contatti con il Vanni per i problemi che egli aveva degli interrogatori. Vanni, come ho già detto, mi rappresentò i suoi problemi più volte, sia venendomi a trovare una volta nello studio, sia parlandomene anche nel bar di San Casciano e per strada. Vivendo nelle stesso paese, mi incontrava. Mi raccontava l’iter della sua vicenda, senza però entrare nei dettagli, come aveva fatto la prima volta. In pratica mi diceva solamente che veniva interrogato continuamente. Dettagli che Vanni mi riferì in occasione del primo colloquio, e forse anche successivamente, riguardavano in particolare le notizie che venivano chieste dalla P.G. a lui in relazione al fatto se avesse visto una pistola in possesso del Pacciani”. Si prosegue, poi, che appunto la conoscenza del Vanni, così come tutti quegli altri, si concretizzava anche nel fatto di partecipazioni a cene di paese, a cene folkloristiche che avvenivano una volta l’anno, in cui il Vanni era uno dei protagonisti, cantore o meno. E a cui partecipavano, oltre all’avvocato Corsi, circa 50- 150-150 persone fra cui anche medici, commercialisti, farmacisti. Non so se c’era anche il parroco del paese. “Mi viene chiesto di riferire se il Vanni nei colloqui avuti da me per le vicissitudini, mi abbia qualche volta rappresentato di aver ricevuto minacce da qualcuno. Lo posso escludere nella maniera più categorica. Il Vanni, infatti, non mi ha mai parlato di minacce. Vanni non mi ha mai detto di avere ricevuto una lettera minacciosa. Ho appreso questa notizia dai giornali. E la stessa domanda – bontà sua, questa volta si è detto il giusto – mi è stata fatta in Procura”. L’inciso successivo è significativo al massimo, di quello che questo difensore sostiene. Cioè, di una violazione clamorosa, clamorosa. Non voglio arrivare a dire consapevole, ma clamorosa di quello che a questo punto doveva essere il riconoscimento del diritto dell’avvocato Corsi. A questo punto l’ufficio rappresenta che, dal contesto delle indagini in corso, sono emersi elementi dai quali risulta che il Vanni gli avrebbe riferito di aver ricevuto minacce da Pacciani. E, in particolare, di una lettera minacciosa inviatagli da Pacciani. L’interrogatorio prosegue con la negativa, ancora una volta, da parte dell’avvocato Corsi. Allora, devo spendere parole anche nei confronti dei giudici popolari per dire quand’è che siamo in presenza di indizi? Io credo che, in questo caso, non ce ne sia bisogno, non ce ne sia bisogno. Perché..

Presidente: (voce fuori microfono)
Avvocato Zanobini: Prego, Presidente.
Presidente: (voce fuori microfono)
Avvocato Zanobini: Beh, penso proprio di no, anch’io. Perché, esempio paradossale: se è stato commesso un omicidio e mi si vede, o anche uno di voi è visto in sostanza uscire dal luogo dove questo omicidio è stato commesso, di corsa, trafelato, e qualcuno, o comunque, anche se non è stato visto, qualcuno dice anche falsamente di aver visto questo individuo uscire da questo luogo, beh, disgrazia sua, questo individuo è già indagabile. Verrà indagato, verrà sentito come indagabile o come indagato. Non come teste, fra virgolette, a cui si chiederà: ‘ma che cosa sai te di questo omicidio?’ E’ chiaro, è chiarissimo. Se così si fa, così si viola pesantissimamente un diritto riconosciuto da tutti gli ordinamenti giuridici. Allora, che cosa è successo in questo caso? Voi avete visto le tre dichiarazioni dell’avvocato Corsi costanti, coerenti, assolutamente genuine. Per sua disgrazia, la Procura della Repubblica, invece di credere all”avvocato Corsi, ha pensato bene di credere a un indagato, ad un indagato per questi omicidi per cui oggi voi siete qui. Scelta assolutamente discutibile, però tale è stata. Certo, voglio dire, nel momento in cui un Lotti fa quelle dichiarazioni, forse questa scelta era obbligata. Però, a questo punto, se non si vuole violare questa norma a cui prima’ ho fatto riferimento, l’articolo 63 I e II Comma, l’avvocato Corsi doveva subito essere sentito in qualità di indagato. Non mi dite che con quelle dichiarazioni che vi ho prima letto, non fosse stato raggiunto da indizi che lo riguardavano. Lo si sente invece come persona informata dei fatti; poi, siccome ripete quello che aveva già detto, e siccome non dice e non conferma quello che ha detto il Lotti, si dice: ‘tu hai fatto, hai commesso il reato di favoreggiamento’. Signori della Corte, al solo pensiero che questo possa succedere anche a me, mi viene il freddo. Perché dico che in questo modo, che in questo modo, nessuno può essere esente dal pericolo di una accusa di favoreggiamento. Questo è un favoreggiamento provocato, automatico. Né mi si dica: ‘ma allora non ci sarebbe mai il reato di favoreggiamento’. No, signori, voi lo avete capito quali sono le diverse fattispecie in cui si può verificare la consumazione di reato di favoreggiamento. Se l’avvocato Corsi fosse stato interrogato prima delle dichiarazioni indizianti nei suoi confronti del Lotti, prima, prima, come persona informata dei fatti, e poi successivamente, invece del 12/06, rispetto alle dichiarazioni del Corsi del 15, il Lotti fosse stato interrogato e avesse fatto quelle dichiarazioni, il 18/06, io non avrei certo fatto questa questione. Non avrei certo lamentato una ingiustizia clamorosa, inaccettabile. Quindi, tecnicamente: violazione dell’articolo 63 Comma. Perché? Perché nel momento in cui si dice, si contesta da parte del dottor Giuttari che guarda caso non ignorava le seguenti dichiarazioni dei Lotti. Perché voi vedrete nei relativi verbali del 21 di febbraio e del 12 di giugno, che era presente, per motivi investigativi, lo stesso dottor Giuttari. Quindi il dottor Giuttari, ben conosceva le dichiarazioni indizianti del Lotti. Tanto bene le conosceva, che poi rappresenta. Dico io, forse, termine più esatto, sarebbe stato: contesta già. Ma la contestazione si fa all’indagato. Si fa agli indagati, non si fa al testimone nella fase delle indagini preliminari. E allora, che cos’è questa rappresentazione? Questa rappresentazione non è altro che il presupposto della esistenza di quegli indizi precedenti che volevano che, ai sensi dell’articolo 63 I Comma, si interrompesse l’interrogatorio. Si avvertisse e si invitasse. E nel momento in cui la Procura viene a conoscenza di questo interrogatorio, avrebbe dovuto comportarsi diversamente e sapere non prenderlo come notizia di reato con cui procedere, ma sapere che questo interrogatorio, che queste dichiarazioni, erano in ogni caso inutilizzabili. Sussistenza della fattispecie di cui all’articolo 63 numero 2: io credo che qui è, come si dice in sé, la prova. La prova in sé è quello che vi ho detto prima. Come si fa a dire che non era indagabile? Come si fa a dire che non era indagabile? Non voglio ripetermi richiamo la vostra attenzione anche sulla sussistenza di questa seconda ipotesi. Richiamo la vostra attenzione sulla conseguenza che deriva anche dalla sussistenza di questa seconda ipotesi: inutilizzabilità. È pacifico che io vi ho allegato una sentenza delle Sezioni Unite, che voi sicuramente già conoscevate. Ma soltanto per praticità, per far sì che per brevità. Che afferma in modo assolutamente deciso questi principi di cui io ora vi sto parlando. Con le relative, anche, motivazioni che sono più che significative circa la ratio di questo articolo 63. E questo, mi sia consentito, anche per i giudici popolari…
Presidente: Signori, si parla là in fondo. Per cortesia… Eh, no, arrivano qui le voci.
Avvocato Zanobini: …di rileggerle. Ma questo non è ancora il contenuto specifico sul punto della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Ma anche questo punto che d’altra parte ho riportato nella mia memoria, è bene reiprimercelo nella mente.
Presidente: È bene?
Avvocato Zanobini: Reimprimercelo nella mente. Che cosa, qual è la ratio di questo articolo, di questa norma che stabilisce la inutilizzabilità delle dichiarazioni contro la persona che le ha rese? Il legislatore non ha posto soltanto un divieto probatorio, non solo un divieto probatorio. Ma ha stabilito anche un principio generale che comporta che tali dichiarazioni non possono essere impiegate sotto nessuna forma “contra reum”. Le Sezioni Unite poi dicono: “Le due fattispecie — del 63 numero 1 e del 63 numero 2 che vi ho prima riferito – si diversificano quindi per il diverso rapporto fra la posizione dell’autorità alla quale sono rese – inquirente o giudice, perché parla di indagato, indagabile o imputato – e quelle della persona che le rende. Nel senso che, nella prima ipotesi, l’autorità ignora gli elementi che inducono a ritenere il soggetto indagato o imputato – ma noi abbiamo visto che, nel nostro caso, l’autorità non le poteva ignorare – venendone a conoscenza solo durante le dichiarazioni e attraverso il suo contenuto. Mentre nella seconda, l’autorità è consapevole di ciò – e questo credo che sia proprio il nostro caso – e tuttavia procede all’escussione in qualità di persona informata o di teste. Motivo: può dirsi dunque che la più rigida sanzione della inutilizzabilità dell’articolo 63 Comma, sia dettata in funzione deterrente rispetto alle prassi illiberali di sentire una persona senza le garanzie dell’imputato o dell’indagato, al fine di poter continuare a svolgere indagini informali, ignorando deliberatamente l’esistenza di indizi a suo carico e che persegue lo scopo – questa norma – di evitare il pericolo di dichiarazioni compiacenti o negoziate anche a carico di terzi”. Io ho letto questa parte della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite, non perché voglia affermare che in questo caso questo sia avvenuto, però proprio per rafforzare la esigenza del riconoscimento di questo diritto nel momento in cui ci sono i presupposi, e riconoscimento di questo diritto insopprimibile. Sarà successo che in questa indagine come ho scritto, complessa, se si vuole complicata; questo aspetto marginale non sia stato preso nella giusta considerazione e quindi non si sia voluto mettere in atto ipotesi quali quelle che vi ho prima letto. Sta di fatto però che per questo motivo, per questo inconveniente diciamo inconsapevole, sono derivati al mio assistito effetti devastanti. Io non so se voi ricorderete quello che è stato pubblicato sulla stampa a giugno, in occasione della riproduzione dell’accusa a lui rivolta di favoreggiamento. Degli atti conseguenti in punto di perquisizione. Ecco, ecco perché noi diciamo che se questo è avvenuto, a questo si deve porre immediato rimedio. Perché, in parole povere, l’avvocato Corsi ritengo che a tutt’oggi abbia subito già due ingiustizie: la prima, nel momento in cui lo si accusa su una prova illegittimamente acquisita, perché dì questo si tratta: di una prova illegittimamente acquisita. Seconda ingiustizia: questa richiesta, il difensore, proprio perché consapevole che già si era maturata nei confronti dell’amico e collega una ingiustizia di questo genere, al primo momento in cui ha potuto, ha pensato di poterla fare presente, lo ha fatto. E questo quand’è che è avvenuto? All’udienza preliminare. E allora, sempre obiettivizzandomi, perché io non credo che diversamente facendo si possa credere che chi ascolta possa giudicare l’avvocato credibile. Io ieri, per obiettività, perché almeno nei miei confronti questo era successo, voi ricorderete che io ho detto nei confronti del Giudice dell’udienza preliminare che, per quel che mi riguardava, era stato assolutamente imparziale. Che quindi, per quel momento, per quella fase dell’udienza preliminare, niente questo difensore aveva da lamentare. Oggi vi dico che poi, dopo proposta questa questione, quando il Giudice dell’udienza preliminare è rientrato dalla Camera di Consiglio e ha letto sul punto la decisione che ha letto, devo dire che sono rimasto enormemente deluso. Ha non perché non aveva avuto successo la mia proposta, sulla quale ovviamente credevo come credo oggi, fondatissima. Mi sono proposto tutte le possibili argomentazioni contrarie, non ne ho trovata una. Perché sono rimasto deluso? Perché – ecco qui che quindi oggi la censura la faccio – perché testualmente, voi avete già presente tutto quello che vi ho detto in punto di violazione di diritto, in punto di tutta la cronologia alla base di questa questione. E allora voi forse, io credo, dovrete con me meravigliarvi di quella che è la parte motiva con cui questa richiesta è stata respinta. Orbene: “Sentito a formale informazione dalla P.G. in data 15/06/96, il Corsi, dopo aver chiarito i suoi rapporti con il Vanni, sostenne che, contrariamente a quanto sarebbe risultato da altre indagini, il Vanni non gli aveva mai mostrato la lettera in questione. Il fatto integra sicuramente il delitto di cui all’articolo 378 contestatogli. Giacché, fra l’altro – udite, udite – “l’interrogatorio della P.G. fu sostanzialmente sospeso”.Voi lo avete in atti e voi vedrete che non c’è stata nessuna sospensione. E quindi qui si riferisce in modo inesatto, contrariamente alle risultanze processuali, una circostanza. Ma poi vi è di più, io devo ringraziare chi abbia detto “Sostanzialmente sospeso”. Perché, quando mi afferma che è stato sostanzialmente sospeso, pur non usandomi il termine sospensione, interruzione, pardon. Quello della norma: interruzione, si dice in Toscana: se non è zuppa, è pan bagnato. Cosa vuol dire “Sostanzialmente sospeso”? A parte il fatto che quando si discute di questioni di forma, ma di forma, attenzione, di forma che costituiscono una garanzia sostanziale, o la forma è stata rispettata, o non lo è stata. Cosa vuol dire «Sostanzialmente sospesa”? Cosa vuol dire “sostanzialmente sospeso”. Faccio un esempio: la nostra legge prevede un bel preciso termine, minimo, che deve intercorrere dal decreto di citazione all’udienza di comparizione; diverso a seconda dell’Autorità Giudiziaria investita. Se questo termine non viene rispettato, si può dire che la notifica è “sostanzialmente effettuata”? Il termine è “sostanzialmente rispettato”? è rispettato o non è rispettato. Benissimo, comunque, questa sospensione sostanziale, perché non possiamo far altro che identificarla con la interruzione, E allora, cosa vuol dire? Vuol dire – ecco la seconda grande ingiustizia, ecco la seconda grande ingiustizia – vuol dire che lo stesso giudice dell’udienza preliminare ha riconosciuto che, in ordine alla fattispecie di cui all’articolo 63 numero 1, si erano verificati presupposti. Interruzione, avvertimento, invito, conseguenza: inutilizzabilità. Io credo che nessuno mi potrà confutare questo argomento. Sugli indizi, perché non ci siano dubbi di sorta, cioè sulla esistenza, sulla sussistenza, sulla natura degli indizi, io credo che, appunto, non si debba spendere più parole di tanto, perché? Ma perché è la stessa Procura della Repubblica che ne aveva riconosciuto la preesistenza nel momento in cui possiamo dire: immediatamente dopo le dichiarazioni del Corsi alla Polizia Giudiziaria, spedisce, comunica, notifica all’avvocato Corsi l’invito a comparire! Voi sapete che l’invito a comparire non è altro che la contestazione formale del reato di favoreggiamento. Immediatamente. Quindi, è lei che li ha ritenuti indizi più che validi: preesistenti. Passiamo quindi alle conseguenze. Voi ricorderete quando vi ho letto che questa norma è stata dettata non soltanto ai fini di stabilire un divieto probatorio, ma anche al fine di stabilire quel principio generale che comporta che queste dichiarazioni non possano essere impiegate, sotto nessuna forma, “contra reum”. Nel nostro caso che cosa abbiamo? Abbiamo che queste dichiarazioni – guarda caso – che voi avete nel fascicolo perché corpo di reato, non sono delle semplici dichiarazioni a fine probatorio – ecco, richiamo su questo punto l’attenzione anche dei giudici popolari – sono dichiarazioni che costituiscono l’elemento, un elemento costitutivo del reato, il cosiddetto elemento oggettivo. Come è, se è vero che il delitto di favoreggiamento si concretizza nell’aiuto, com’è che l’avvocato Corsi ha aiutato il Vanni? Facendo queste dichiarazioni; ecco, elemento oggettivo del reato. E allora, ci sono i presupposti per la dichiarazione di inutilizzabilità? Sì. Se ci sono, qual è la conseguenza? Dichiarazione di inutilizzabilità. Qual è l’ulteriore conseguenza? Che se non possono venir utilizzate queste dichiarazioni, ai fini della contestazione del reato non possono essere utilizzate altre dichiarazioni. Non possono essere utilizzate altre dichiarazioni! Il reato è commesso, con queste dichiarazioni, in Firenze il 15/06/96: questo è il capo di imputazione. Ma non si pensi ‘ma guarda com’è andata a trovarla bellina giusta per far sì che un reato commesso, poi in realtà si possa dire che da questo se ne può uscire e non è stato commesso’. Mi raccomando, non pensate a questo, perché – vi ripeto – non è per questo motivo che questa proposta, che questa richiesta da questo difensore viene inoltrata. È semplicemente perché il nostro ordinamento non vuole che si costruisca reati in laboratorio, come questo, in vitro. In vitro! L’avvocato Corsi in questa vicenda è un imputato virtuale, necessitato, obbligato, non poteva fare a meno, era una trappola nella quale doveva caderci per forza. Ci saremmo caduti tutti. Questo è il discorso, e questo noi vogliamo che venga riconosciuto. Ed è a questo che noi vogliamo, che noi vogliamo che si ponga rimedio. Certo, ripeto, ci sarebbe piaciuto, perché siamo assolutamente sicuri, certi, che è l’avvocato Corsi ad aver detto la verità e non gli altri. Che non l’ha detta il Lotti, lo potete appurare da quelle
sue dichiarazioni nell’incidente probatorio, dove azzera tutte queste dichiarazioni precedenti, in sostanza. Vi è un altro diritto che il nostro ordinamento riconosce al cittadino: ed è quello che, quando si verifica una situazione quale quella che prima vi ho rappresentato, in parole povere si ponga immediatamente rimedio; in parole povere, perché dal punto di vista strettamente giuridico questi sono i termini e questa è la norma. Ho parlato di diritto ulteriore; due diritti, ha il cittadino, l’avvocato Corsi in questa vicenda, in questo momento : il diritto a vedersi riconosciuto immediatamente il “torto subito”. Obbligo. A questo diritto corrisponde un obbligo. Obbligo del giudice della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità. In ogni stato e grado del procedimento il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste, che l’imputato non l’ha commesso – ma io mi posso fermare qui, perché a me quello che interessa è il riconoscimento che il fatto reato non sussiste – dichiara immediatamente, anche d’ufficio, con sentenza. Ecco, quindi, la mia seconda richiesta. La prima: di inutilizzabilità; e se inutilizzabile viene dichiarato l’elemento costitutivo del reato, automaticamente, conseguentemente, immediatamente si deve assolvere l’avvocato Corsi perché il fatto non sussiste. Immediatamente. che vuol dire che: o i presupposti ci sono, o non ci sono. E in queste caso, voi avete già capito che per presupposti, per la verifica dei presupposti, si deve fare riferimento solo ed esclusivamente alle dichiarazioni Lotti 21/02/96, 12/06/96, precedenti alle dichiarazioni 15/06/96. Se questi sono indizi. Se questi sono preesistenti, allora la questione è fondata e va risolta immediatamente. Non vi è nessuna possibilità, a meno che non si voglia fare una terza ingiustizia, ingiustizia: non decidere. Non decidere, riservare la decisione ad un qualche momento successivo. Per non parlare, addirittura, di riservarla al momento della sentenza dibattimentale. Perché questo, veramente, sarebbe enormemente ingiusto, perché vorrebbe dire rimandare il riconoscimento di presupposti che vi sono oggi, 21 maggio ’96, non so se posso dire 21 maggio -’97, ma sicuramente almeno sei mesi dopo. E questo la legge non lo vuole, questo la legge non lo vuole. Ingiustizia, poi, ancora più clamorosa perché? Perché dal punto di vista strettamente giuridico, che cosa io devo prefigurare – attenzione – nel momento in cui in sede di sentenza dibattimentale, vale a dire ad istruttoria dibattimentale conclusa? Che vi siano gli elementi per un proscioglimento nel merito in fatto dell’avvocato Corsi. Perché, a quel punto 11 vi sono tutte le prove per cui è lui che ha detto la verità e non l’altro imputato o l’altro imputato ancora. Che cosa deve fare la Corte? Io ho l’impressione che la Corte, anzi ho la certezza giuridica, che la Corte dovrebbe, diciamo, preventivamente risolvere la questione di diritto. Perché non si può mica dire: ‘si assolve l’avvocato Corsi perché non ha commesso il fatto’ per dire il fatto, cioè, non sussiste, nel senso che non l’ha commesso – quando ci si dovrebbe basare su una dichiarazione che è per legge inutilizzabile. Quindi, io credo che senza nessuna forzatura…

Presidente: (voce fuori microfono)
Avvocato Zanobini: Prego, Presidente?
Presidente: No, dico, abbiamo capito, quindi possiamo concludere su questo punto.
Avvocato Zanobini: Sì. Mi scusi, ma sa… Lo so che in questo processo questa questione non ha il rilievo delle altre, ma lei capisce, lei sa…
Presidente: Lo so.
Avvocato Zanobini: … che per ogni cittadino la contravvenzione alla legge sulla pesca, che lo porta magari sul banco degli imputati, ha la stessa importanza di quella che assume nei confronti di chi è imputato di reati per cui è previsto ,l’ergastolo. Qui, poi, non siamo veramente nella contravvenzione alla legge sulla pesca. Qui siamo in punto di un reato che per un avvocato, voi capite quali sono le conseguenze, oltre a quelle che già si sono verificate in punto di immagine. Ecco. Quindi cosa vi chiedo? Vi chiedo che: Primo, mi dichiarate ex articolo 63 in relazione all’articolo 191 C.p.p., che parla di dichiarazione immediata delle cause di inutilizzabilità e conseguentemente; poi, mi dichiarate ex articolo 129 immediatamente con sentenza l’assoluzione dell’avvocato Corsi, perché il fatto non sussiste. Non ho altre da chiedere.
Presidente: (voce fuori microfono)
Avvocato Zanobini: Presidente, le preannuncio, siccome questa è un’eccezione, io conosco le norme del Codice di procedura sull’eccezioni preliminari per le quali non è prevista replica, non si allarmi, ma io credo che ora ho proposto; il Pubblico Ministero argomenterà, e poi io mi riservo, anzi, le dico fino da ora che penso proprio di esercitare il mio diritto di replica. Grazie.
Presidente: (voce fuori microfono)
P.M.: Presidente, chiedo scusa. La questione è… da parte del Pubblico Ministero, molto più complessa di quel che può sembrare.
Presidente: Io non sento.
P.M.: (voce fuori microfono)
Avvocati: Non si sente.
Presidente: Quel microfono funziona poco bene, com’è l’interruttore?
P.M.: Il P.M. ha necessità di procurarsi, fra l’altro, alcuni documenti; quindi le chiedo cinque-dieci minuti di sospensione. Grazie.

Presidente: Basta, basta fotografi, sennò allora non vi si tiene più in aula, eh. Allora, Pubblico Ministero.
P.M.: Sì, Presidente.
Presidente: L’avvocato Pepi, Filastò, dove sono?
P.M.: Non hanno retto le questioni poste da altre parti.
Presidente: Va bene. Signor Vanni, dov’è andato il suo difensore?
Mario Vanni: (voce fuori microfono)
Presidente: Il suo difensore dov’è? Vediamo se di là… Uno dei due. Quegli altri ci sono tutti. C’è l’avvocato… manca anche Lena e Bagattini.
P.M.: Anche l’avvocato Bertini manca, se non mi sbaglio.
Presidente: Bertini. Mancano tutti.
P.M.: Si vede che mi hanno preso troppo in parola quando ho detto dieci minuti…
Presidente: Eccoci.
Avvocato: (voce fuori microfono)
P.M.: Manca Bertini, però.
Presidente: Bertini dov’è, Bertini?
Voce fuori microfono: Anche Lena, Presidente.
Presidente: Lena, Bagattini mancano. Va be ‘, li possiamo far sostituire dall’avvocato Filastò.
P.M.: Per Bertini c’è incompatibilità, Presidente.
Presidente: C’è incompatibilità, dice?
P.M.: Per Bertini.
Presidente: No, per Lena.
P.M.: Ah, no, per loro no, assolutamente.
Presidente: No per Lena, per Faggi.
P.M.: No, no, assolutamente.
Presidente: Signor Lotti, l’avvocato Bertini dov’ è?
Giacarlo Lotti: (voce fuori microfono)
Presidente: Si è allontanato un attimo?
P.M.: È al bar.
Presidente: È al bar.
Avvocato: Presidente, io li ho visti un attimo allontanarsi per un caffè.
P.M.: Facciamo altri cinque minuti, Presidente, sennò stiamo qua… Tanto non possiamo…
Presidente: Va be’, allora aspettiamo. Quando rientrano mi avvertite. Va bene?
P.M.: (voce fuori microfono)
Presidente: Bene. Allora, vedo l’avvocato Bertini, tutti ci siamo. Allora Pubblico Ministero, a lei la parola.
P.M.: Presidente, grazie. Anticipavo che la questione, come avrete capito, in punto di diritto e di fatto un po’ complessa. Io proverò a essere sintetico in quelle che sono le argomentazioni del P.M. La prima che vi propongo è questa: è una questione, innanzitutto, di procedura. Il difensore invoca, a mio avviso non correttamente, l’articolo 129 del Codice di procedura. A mio avviso la norma è, in realtà, il 469. Provo a spiegarmi, perché è bene che ci capiamo tutti. Siamo, ovviamente, in una fase predibattimentale e quindi c’è una norma apposita. Leggiamola, perché è indispensabile ai fini di capire se voi avete la possibilità oggi di accogliere o meno l’istanza. La norma dice, salvo quando previsto dal 129: “Se l’azione penale non doveva essere iniziata, o deve essere proseguita, ovvero se il reato è estinto” – e qua è la cosa che ci interessa – “e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice” – eccetera – “pronuncia la sentenza”. Io ritengo, e cercherò di dimostrarvelo, che eventualmente aveste la possibilità – e non l’avete perché è infondata anche in fatto – di risolvere la questione, è necessario procedere al dibattimento, perché non avete in questa fase gli elementi per decidere sulla questione. Quindi, il primo punto, sul quale io credo non è possibile avere elementi diversi è questo: voi, in questa fase, signori giudici, non avete le carte, o comunque le testimonianze, o comunque una visione dei fatti che vi consenta di risolvere la questione proposta. Quindi, in questa fase non è possibile assolutamente procedere in questo senso. E vi dimostro perché non avete questa possibilità, e perché è mal iniziata, questa istanza. Perché, per conoscere i fatti così come esposti dall’avvocato Zanobini, occorrono la mezzora o l’ora che lui ha messo per illustrarvi i fatti, ma occorre la conoscenza – e qui è il punto fondamentale – quantomeno di una decina di testimonianze e di dichiarazioni. Perché il punto sostanziale è questo: l’avvocato Zanobini, nel porre la questione, sia pure sotto il 129 e non tenendo presente il 469, ha fatto un’esposizione dei fatti, a mio avviso, fortemente lacunosa, Perché ha prospettato una realtà che, invece, il P.M. si propone, nel dibattimento, di dimostrare essere assolutamente diversa. Allora capite, se io già ora ho necessità di fornirvi una decina di verbali, al solo fine di dirimere questa questione; capite che entro in una fase in cui è sicuramente necessario il dibattimento per capire se la questione è fondata. Allora vediamo di quali fatti dovreste voi essere a conoscenza oltre quelli parziali, lacunosi – me lo consenta l’avvocato Zanobini – per poterla decidere. Voi dovete conoscere come stanno le indagini e la realtà processuale, che ben conosceva il GIP che ha respinto quella istanza; dovete conoscere una serie di circostanze di fatto che solo una volta conosciute vi consentiranno di dire ‘la questione è infondata’. Perché l’avvocato Zanobini, il quale risponde oggi di favoreggiamento davanti a voi…
Avvocato: (voce fuori microfono)
P.M.: Si chiedo scusa, per carità!
Avvocato: Voce fuori microfono.
P.M.: Erano avvocati, mi è venuto… Chiedo scusa, capirà. L’avvocato Corsi, che risponde di questo reato, era, nel momento in cui andava avanti l’indagine, persona che era a conoscenza di fatti, e quindi giustamente veniva sentita come persona a conoscenza. Poi solo da un certo punto in poi, dopo quell’interrogatorio del Lotti del 12 giugno la situazione è cambiata. Provo, anche qui, a darvi una sintesi degli elementi di fatto che vi possono consentire di vedere come oggi avete necessità del dibattimento. Quali sono questi fatti? Sono due, essenzialmente; non uno, come l’avvocato Zanobini – questa volta dico bene — vi ha prospettato. Fatti sui quali l’avvocato Corsi viene sentito, e le circostanze, sono due; non è uno: non è la lettera minaccia, ma è un’altra circostanza. Vediamo. Per questo vi dovrò produrre i verbali dell’avvocato Corsi, quelli antecedenti a quella contestazione. Le questioni che emergono nel corso del dibattimento sono queste: qualcuno aveva riferito al bar di San Casciano che, subito dopo il fatto, c’erano delle persone che erano passate dalla piazzola degli Scopeti. Nel bar qualcuno lo dice, qualcuno dice ‘l’ha detto lo stesso Lotti’, ‘l’ha detto il Pucci’. Qualcuno ha riferito questa circostanza. Nel bar si sapeva, poi il dibattimento dimostrerà che questo è vero, eh. Però nell’indagine succede questo: nel bar si sapeva che qualcuno, la notte dei fatti, era passato di lì. Poi saprete, l’ha ammesso Lotti, tutte quelle cose lì. Però, già nel bar Sport di San Casciano, nel bar di San Casciano, si conosceva questa circostanza. Il P.M., venendo dalle parti della Polizia Giudiziaria, a sapere da qualche testimone – sia pure molto prudente nel fare queste dichiarazioni che le cose erano così, comincia a sentire tutte le persone che frequentano il bar di San Casciano. Effettivamente questa circostanza è vera. Tant’è che ho indicato dei testi che la riferiscono, di averla sentita così come ve la racconto io oggi. Cosa fa il P.M.? Dice alla Polizia Giudiziaria: identifichiamo… Ah, chiedo scusa, altro punto. Fra le persone che frequentano il bar, che possono aver sentito questa circostanza c’è l’avvocato Corsi. Bene, il P.M. primo punto, chiama l’avvocato Corsi, glielo chiede; c’è un lunghissimo verbale che è quello antecedente, poi, a quello che succede dopo in cui le cose che gli si chiedono nel verbale del 16 gennaio sono solo ed esclusivamente queste. Quindi viene sentito, è vero, antecendentemente a quella contestazione su un fatto: questo. Quindi, noi abbiamo…  e voi avete necessità di vedere, di sentire tutte queste testimonianze per vedere su cosa veniva interrogato l’avvocato Corsi come persona informata sui fatti; non vedo su cosa si doveva interrogare. Altro elemento, questo prima del bar. L’altro elemento: la lettera di minacce. Attenzione, prima che il Lotti, nell’interrogatorio del 12/06, parlasse del contenuto di questa lettera – perché si decide, dice: ‘voglio aggiungere qualcosa’ – di questa lettera, nel corso delle indagini, si sapeva tanto e poco; però il contenuto no. Perché aveva cominciato Nesi Lorenzo, nel precedente procedimento ha detto: ‘c’era una lettera di minaccia, era arrivata dal carcere; aveva destinatario Vanni; veniva dal carcere da Pacciani; c’erano minacce: cose brutte, cose di sangue’. Non c’era altro. Vanni aveva paura. È una lettera generica di cui noi non sappiano granché. Ci sono una serie di testimonianze, oltre quella del Nesi, che io ho indicato puntualmente nella mia lista, che sono tutte dello stesso identico tenore; cioè di questa lettera tutti sanno è grave, minacce, fatti di sangue; dopo quella lettera il Vanni andò a casa della moglie di Pacciani, successero determinate cose – ma nessuno aveva spiegato meglio qual era il contenuto, tranne questo fatto: minaccia, pericolo. Viene chiamato l’avvocato Corsi; siccome il Vanni, in un primo interrogatorio, e Lotti dicono che qualcosa di questa lettera sapeva anche l’avvocato Corsi: ‘non ne so niente’. Basta, finito. Questi sono i due interrogatori antecedenti alla contestazione dì favoreggiamento fatta all’avvocato Corsi. Quindi vedete come per capire cosa si sapeva in quel momento storico, in cui secondo l’accusa si è consumato il reato di favoreggiamento, occorre sapere tutti questi fatti, che oggi voi potete sapere o dal mio racconto o dai verbali. Il dibattimento lo dobbiamo ancora fare. A questo punto noi abbiamo questi due elementi di fatto. Nel procedere del Lotti, che racconta le verità man mano che si libera da quella paura che ha sempre raccontato di avere – e che emerge bene anche nell’incidente probatorio – un giorno, il 12 di giugno del ’96, il Lotti racconta meglio; si decide a raccontare il contenuto di quella lettera. Vi faccio solo due flash su questo racconto, perché è una lettera che a questo punto, ha un contenuto oggettivo ben diverso da quello che noi conoscevamo. Contenuto oggettivo di questo tipo: nella lettera veniva chiesto da Pacciani a Vanni di commettere un omicidio per scagionarlo. Primo punto: verbale del 12, pagina 5 – pagina 4, chiedo scusa – ultima parte: allora capite che la lettera aveva un contenuto, secondo il racconto del Lotti, ben più grave di quello che si sapeva qui. No, gli si chiedeva di fare un certo omicidio. Vero o no, questo è il contenuto. Bene. Aggiunge Lotti, di questa lettera che esisteva; “Ho visto in mia presenza che ne parlavamo l’avvocato Corsi insieme al Vanni; io ero presente” dice Lotti – solo il 12/06/1996. “Io ero presente e voglio aggiungere ancora che un giorno mentre il Corsi ed il Vanni erano in piazza a San Casciano a parlare tra loro, il Corsi mi chiamò, mi chiamò – me, Lotti – e disse davanti a me che non c’era da preoccuparsi delle minacce di Pacciani dal carcere“. Le minacce sono quelle che ho prima raccontato, le dice Lotti. Capite che, a questo punto, è completamente diverso l’elemento oggettivo che noi conosciamo sui fatti per il quale abbiamo necessità di riscontro delle dichiarazioni di Lotti. A chi dobbiamo chiederle se ci sono Vanni, Lotti, Corsi? Li chiediamo a tutti e tre nel tempo. La prima persona a cui chiediamo riscontro delle dichiarazioni di Lotti, chi può essere? La persona libera che ha già testimoniato in genere sui fatti, e è l’avvocato Corsi. All’avvocato Corsi tre giorni dopo, la Polizia Giudiziaria su delega del P.M., che evidentemente in quei giorni sta facendo altre cose, gli viene chiesto prendiamolo questo verbale delle dichiarazioni fatte dai Corsi, gli vengono chieste due pagine di cose assolutamente diverse. Controllatelo, questo, dico, occorre in dibattimento. Non è vero che è già indiziato, per carità! Lo leggerete dagli atti, non sto ora io a spendere parole. Qui, evidentemente, il suo difensore, avvocato Zanobini, vi racconta cose che è bene che voi verifichiate prima direttamente. Gli viene chiesto cosa faceva, se lo conosceva: “Sono civilista, non ho mai trattato alcuna pratica legale per conto di Vanni”, una pagina intera. Seconda pagina dì questo verbale, che si dice doveva essere subito interrotto, è un verbale che è assolutamente inutilizzabile – quella è un’altra questione. Ancora: “Mi viene chiesto di riferire se è capitato talvolta di essere andato a cena con Vanni”, una pagina intera. Ancora: “Se vi erano persone di diversa estrazione sociale che venivano a quelle cene”, mezza pagina ancora. Alla fine, l’ufficiale di P.G. che deve riscontrare le dichiarazioni di Lotti e non è tenuto a dirgli la fonte, gli dice: ‘guardi signor avvocato Corsi, per caso siccome a noi risulta una certa circostanza, lei ne sa nulla di questa circostanza?’ E sono tre parole. A questo punto, l’ufficio rappresenta l’avvocato Corsi dal contesto delle indagini, in corso sono emersi elementi dai quali risulta che Vanni gli avrebbe riferito di aver ricevuto minacce. Da Pacciani in particolare. Quindi non gli si contesta nulla, gli si chiede: ma, di questa lettera e di queste minacce, ne sai nulla? L’avvocato Corsi: ‘nulla’. Verbale chiuso. Bene. Quindi, dov’è che a quel punto noi avevamo indizi per pensare che avesse fatto qualche reato? Concorso in omicidio, che ne so. Noi non avevamo nessun indizio. Abbiamo la necessità di riscontrare se Lotti su quel punto che è gravissimo che voi avete capito, cioè il contenuto della lettera, abbiamo necessità di vedere cosa dice il Corsi. Il Corsi dice: non ne so niente. Fermo. L’ufficiale di Polizia Giudiziaria si ferma, non gli dice né chi è la fonte, non gli contesta nulla. La Procura della Repubblica a quel punto dice: un’ attimo, qua è successo qualcosa. Evidentemente Corsi o Lotti non dicono la verità. Siccome abbiamo elementi per dire che la lettera sussiste, perché il Lotti a quel punto è credibile, in quel momento, in quella fase storica; diciamo: signor avvocato Corsi, ora, sì, lei è indiziato. Di che cosa? Di favoreggiamento. Tre giorni dopo, gli facciamo comunicazione giudiziaria con invito a comparire; lo chiamiamo, gli diciamo: ‘Corsi, guardi le cose stanno così, così.’ Io vi produco il verbale, vedrete che nel verbale di contestazione dell’interrogatorio dell’avvocato Corsi, fatto dal P.M., il quale a quel punto sa che è stato – quantomeno ipotesi – commesso reato di favoreggiamento, gli diciamo: ‘le cose stanno così, vuole rispondere?’ Si dà atto che gli si spiegano quali sono gli elementi, ‘non voglio rispondere’. Questo è la cronistoria dei fatti che voi dovete sapere. Cioè, dovete conoscere che ci sono una serie di elementi di fatto lunghissimi di testimonianze che prima portano a ricostruire la faccenda lettera in un modo, successivamente in un altro. Ma, signori, non è qua finita la cosa. La cosa è ancora più articolata. Perché? Quando noi prendiamo atto che l’avvocato Corsi non vuole rispondere, è un suo diritto,
allora ci rimane l’ultima verifica da fare. Erano Lotti, erano Corsi, erano Vanni, andiamo a chiedere a Vanni. Andiamo a chiedere a Vanni, il quale dice: – e qui attenzione: è il punto fondamentale – ‘è vero che l’avvocato Corsi lesse la lettera, io la stavo leggendo lì in paese’. Questo è Vanni che parla, dà un riscontro totale successivo del fatto che il Corsi ne era a conoscenza. ‘Io la stavo leggendo lì in paese o al bar Italia o in piazza, capitò il Corsi che visto che avevo ricevuto una lettera, mi chiese di leggerla’ – questo lo dice Vanni – la lesse e poi mi consigliò di strapparla e io dopo la strappai e la buttai via’. Quindi, c’è un riscontro successivo inequivocabile che Vanni e Lotti hanno detto una versione identica, e quella di Vanni direi particolarmente significativa. Ma c’erano a monte tutte quelle dichiarazioni di cui vi ho parlato. A quel punto è chiaro che non è più indiziato di favoreggiamento, per il P.M. vi è una richiesta al GIP di rinvio a giudizio e eccoci qua. Ma, allora tutti quei discorsi che vi vengono fatti circa questo interrogatorio che la Polizia Giudiziaria doveva interrompere, capite che sono discorsi che non hanno alcuna corrispondenza con la realtà dei fatti. I fatti sono assolutamente diversi. Cioè, in quel momento noi, la Polizia Giudiziaria sostenne che era il P.M., chiedeva riscontro a Corsi sulle dichiarazioni di Lotti. E dov’era che il P.M. o la Polizia Giudiziaria aveva elementi precedenti di che cosa? Di un concorso di reato? Per carità! Solo in quel momento si è detto: beh, qua l’avvocato Corsi dà una versione che non corrisponde ai fatti; siccome qui effettivamente c’è elementi per pensare che favorisca qualcuno, diciamogli se è indagato. E cosi è successo.

P.M.: Allora vedete che la ricostruzione come io vi faccio e vi offro con una serie di atti che voi a questo punto dovete conoscere al solo fine di decidere, è una realtà che il fatto è completamente diverso da come prospettatovi dal difensore. Ingiustizie. Ingiustizie dove? Appena sono emerse una condotta, è emerso una condotta oggettiva che poteva fare pensare perché a quel punto noi finché Vanni non dava conferma, noi eravamo al livello di indizi; poteva far pensare come emerge ad oggi che il Corsi per qualche motivo abbia taciuto su fatti che sia Lotti che Vanni che una serie di testi che ora io vi indicherò confermano, capite che a quel punto 11 dobbiamo fare la richiesta al GIP. E il GIP correttamente l’ha rinviato a mio avviso a dibattimento, e solo il dibattimento vi potrà consentire di chiarire interamente la vicenda e di applicare il 469, non certo altre norme. Io vi dico: guardate, dell’esistenza di questa lettera ci sono Nesi, ci sono due amici, cugini di Vanni che ne parlano, c’è una Bartalesi, ci sono due Ricci; sono una serie di testi che vi dimostra come la lettera non solo esisteva e qualcuno ne conosceva le paure; erano a conoscenza, ma solo Lotti, Vanni e Corsi secondo quanto ricostruito, l’hanno vista nel concreto. Vi aggiungo qualcosa in più, perché è un elemento che oggi vi dico è necessario verificarne la sussistenza in dibattimento per vedere se Corsi ha mentito o meno. Cioè, il fatto che Lotti vi dica: ‘guardate che in quella lettera c’era scritto, c’era una richiesta di ammazzare qualcuno’, è un fatto sia pure con contorni completamente diversi, è emerso ancora nel corso delle indagini. E il P.M. ve ne ha offerto la prova nella richiesta di lista. Quindi capite che questi discorsi di Lotti, sono discorsi fatti da altre persone. Allora viene il dubbio, da verificare questo in dibattimento, che l’avvocato Corsi abbia realmente favorito per paura, per non essere coinvolto, perché effettivamente se avesse letto – come dice Lotti e come dice Vanni – quella lettera con quel contenuto che secondo Vanni doveva, fu subito strappata, capite che è un risvolto sulla nostra vicenda molto importante. Cioè, è un risvolto che dà conferma, da riscontro alle dichiarazioni di di Lotti e che il Corsi per motivi che riguardano solo lui, non ha inteso chiarire. Ma il dibattimento dovrà poi verificare se esisteva, non esisteva – ci sono più di un teste – quale era il contenuto. Vanni dice: ‘mi disse di strapparla, io la strappai’. Come voi avete oggi la possibilità di decidere su questo fatto senza procedere al dibattimento? Io quindi vi dico che non solo la posizione del Corsi è una posizione importante a questi fini, importante ai fini del contenuto della lettera, importante ai fini di quello che vi ho detto finora, ma è una posizione che va valutata interamente nel dibattimento. Poi sicuramente, il favoreggiamento è un reato marginale rispetto ai gravi fatti per i quali si procede, all’imputazione così grave a carico degli altri; però, la realtà è questa: è una circostanza di fatto che è strettamente legata in punto di prova a tutte le altre circostanze. Io mi auguro che il dibattimento riesca a provare perché il Corsi ha taciuto o anche a provare che è tutto falso. Io, per carità!, non è che per forza uno deve sposare un’accusa fino in fondo. Va benissimo, è tutto falso. Però nel momento in cui voi dovete valutare questi fatti, dovete avere una conoscenza degli stessi che solo il dibattimento vi può dare. Dire che ogni altro discorso in punto di utilizzabilità, non utilizzabilità di queste dichiarazioni, è superfluo. Quindi, qui non è articolo 63 per carità! Inutilizzabilità di un verbale. Ma è tutta un’altra norma. Qui è un verbale che è utilizzabile, in quanto è un verbale nel quale, secondo l’accusa così come costruita e per la quale vi è rinvio a giudizio, è stato commesso il reato di favoreggiamento. C’è poco da fare. Questo è un elemento oggettivo di quel reato. Avete visto che vi ho cercato di dimostrare che l’atto, dal punto di vista procedurale, è perfetto. Perché si va a quella contestazione e solo sotto il profilo di richiedere al Corsi riscontro a dichiarazioni precedenti, su fatti diversi da quelli per i quali era già stato interrogato. Per cui non era assolutamente il caso
di indiziare nessuno, perché non c’erano elementi. Il Corsi poteva dire: ‘sì, l’ho vista’. Aveva contenuto completamente diversa da quello che dice Lotti. Basta. Basta. Noi stavamo a sentire, ne prendevamo atto. ‘No, non l’ho vista’. Vanni, qualche mese dopo dice: ‘sì, l’ho fatta vedere’. E quindi dà un riscontro globale al Lotti. Quindi, no all’articolo 63, non 129. Eventualmente il 469, così come ve l’ho prospettato, non avete oggi la possibilità di decidere senza che si proceda al dibattimento. Sono costretto e vi chiedo di acquisire, al solo fine di decidere su questa questione, gli atti che ho indicato. Cioè i precedenti interrogatori di Corsi, l’interrogatorio del 15 che credo abbia fornito lo stesso avvocato Zanobini, l’interrogatorio di Vanni e di Lotti. E poi io vi offrirei, ma non lo faccio perché si farebbe il dibattimento, tutti gli atti precedenti che sono indicati nella mia lista testi, nei quali si dice che di queste minacce si parlava da tempo. Concludo quindi perché la richiesta, così come formulata ex 129 e che comunque tende alla inutilizzabilità di quel verbale e al proscioglimento anticipato in questa fase del Corsi, sia respinta.
Gli atti sono a disposizione, sono questi qua.
Presidente: (voce fuori microfono)

A.Z.: Il Pubblico Ministero, gli atti a cui fa riferimento,„.
Presidente: No, no, avvocato, aspetti un attimo.
A.Z.: Ah.

Presidente: Abbiamo le dichiarazioni del 15 giugno del Corsi; del 19 dicembre ’95 del Corsi; poi abbiamo…

P.M.: Sono tutti, ci sono già tutti.

Presidente: … del 26 gennaio, sempre del Corsi.

P.M.: Vi mancano gli atti di contestazione del P.M.

Presidente: Giugno ’96 del Lotti. Del Lotti…

P.M.: C’è tutto, c’è tutto, c’è tutto. L’invito a comparire del P.M. Non so…

Presidente: 21 febbraio ’96, Lotti.

P.M.: L’interrogatorio del… Subito dopo, tre giorni dopo quell’interrogatorio, c’è un interrogatorio del P.M.

A.Z.: Sì, quello l’ho…

Presidente: No, quello no.

P.M.: E in più chiedo, al solo fine di verificare quello di Vanni.

Presidente: Allora, avvocato Zanobini, mi dispiace, ma la parola non gliela posso dare, perché lei ha sollevato una questione di nullità…

Presidente: Aspetti, aspetti. Questione di nullità sulla prova assunta in quelle forme lì. Inutilizzabilità degli atti. E conseguentemente poi una richiesta di applicazione. È una questione preliminare, e sulle questioni preliminari non vi sono repliche.

A.Z.: No, Presidente…

Presidente: Se vuol parlare qualche altra persona che ha interesse a questa mozione, per carità!

A.Z.: Presidente, mi scusi, non è una questione preliminare.

Presidente: No, no…

A.Z.: Gliel’ho detto, non è una questione preliminare.

Presidente: La legge è legge e non l’ho fatta io.

A.Z.: È un articolo 129, una richiesta di…

Presidente: No, no…

A.Z.: Come fa ad essere una…

Presidente: Neanche, neanche…

A.Z.: In ogni grado del dibattimento.

Presidente: Niente.

A.Z.: No, lei me lo deve consentire, Presidente. Perché allora si metta a verbale che io insisto…

Presidente: E lei insista, insista. Allora, l’avvocato… È tutto registrato, va bene così…

P.M.: Presidente, non c’è nessuna opposizione alla replica, eh, se può servire a qualcosa. Io non ho questione di sorta. Io credo che ne abbia veramente diritto.

A.Z.: Ringrazio il Pubblico Ministero che mi…

Presidente: C’è l’avvocato Pepi che vuol parlare. 
A.Pepi: No, Presidente. Però non era su questa faccenda. Volevo fare anch’io una questione diversa.

Presidente: Va be’, una cosa per volta, perché sennò… Non so, le poteste decidere tutte insieme, ecco. Allora, avvocato Zanobini, lei parli soltanto per 126, sulla richiesta di acquisizione al dibattimento e basta. 129, esatto. 126… 129, ho sbagliato io.

A.Z.: Esatto, la ringrazio.

Presidente: Bene, lapsus mio.

A.Z.: La ringrazio.

Presidente: Per cortesia, breve perché già ha parlato parecchio, molto prima.

A.Z.: Senta Presidente, se vuole che io non parli allora… tanto è a verbale e non parlo.

Presidente: No, no.

A.Z.: Io credo di avere il diritto.
Presidente: No, no, lei ha diritto, però non può tenere la Corte impegnata per ore e ore quando è una questione abbastanza semplice. Lei parla solamente sulla richiesta di proscioglimento prima dell’udienza. Tutto qui.

A.Z.: Allora Presidente, mi dispiace di non essere stato molto chiaro precedentemente e soprattutto di non esserlo stato nei confronti del Pubblico Ministero, perché? Perché il Pubblico Ministero mi ha citato l’articolo 469 come quello a cui si deve fare esatto riferimento e quindi io avrei fatto un errato riferimento all’articolo 129. Signor Pubblico Ministero, lei si è dimenticato di leggere nell’articolo 169 quello che è il primo rigo, lei se n’è dimenticato, oppure non l’aveva visto. Nel primo rigo si dice: “salvo quanto previsto dall’articolo 129”. Il che vuol dire che così com’è l’articolo 129 si applica in ogni stato e grado del procedimento. In alternativa all’articolo 129, si può applicare l’articolo 469.
Presidente: Signori, per cortesia, c’è brusio in aula.

A.Z.: È chiaro Presidente? A questo punto penso di avere esaurito quello che dovevo dire. Per quel riguarda la inapplicabilità allo stato dell’articolo 129, come vi è stata richiesta, il Pubblico Ministero ha dimenticato – forse dimenticando il contenuto della mia richiesta di articolo 129 – i riferimenti a tutti gli atti che ora vi chiede, come per dire… a cui fa riferimento per dire che non si può procedere alla decisione di cui all’articolo 129, perché ci sono altri atti, ha detto il Pubblico Ministero. Allora voi vedrete che quegli atti, a cui ha fatto riferimento il Pubblico Ministero, sono già allegati a questo fino all’istanza che io vi ho proposto. All’istanza che io vi ho proposto e tant’è che io ho letto sia l’interrogatorio del 15 dicembre dell’avvocato Corsi davanti a Pubblico Ministero, sia l’interrogatorio del 26 di gennaio davanti al Pubblico Ministero, allegato pure, sia l’invito a comparire che pure è allegato all’istanza che avete sotto gli occhi, sia l’interrogatorio del Vanni a cui pure ha fatto riferimento e di cui vi ho chiesto l’allegazione proprio sempre a questo fine. Allora, questi non sono motivi giusti per dire non   si può decidere allo stato. Ma il Pubblico Ministero vi ha fatto una ricostruzione, sempre dicendo che non è ammissibile che voi possiate decidere ai sensi del 129, che non è esatta. Non è esatta anche dal punto di vista documentale, perché? Intanto, vi ha fatto riferimento; ricorderete, ad un interrogatorio del Vanni, che voi avete, ma si è dimenticato di dire che questo – o a me è parso così, se avessi capito male me ne scuso, ma mi pare proprio così – che questo interrogatorio del Vanni, che pure ho prodotto e sul quale ho fatto anche un commento, è successivo, è successivo. Vale a dire è del 21 ottobre del ’96. Quindi non si può dire: ‘il 15 per noi non era, perché ancora non avevamo…’ eccetera. Perché mi pare di avere testualmente sentito che la situazione dell’avvocato Corsi – e questo non so se è un lapsus che è sfuggito perché certamente non fa comodo alla sua tesi – è cambiata dopo l’interrogatorio del Lotti 12/06/96. Cosa vuol dire è cambiata? Quello che vi ho detto prima io. È questo. Qui non si deve accertare nient’altro, nient’altro perché l’interrogatorio del Vanni non ha nessuna influenza su questa questione. La illegittimità si è compiuta o no il 15/06? Dice, sempre ai fini dell’articolo 129 per cui non si potrebbe applicare ora e per cui voi, in ogni caso, non dovreste decidere ora, ma dice: ‘le dichiarazioni del Corsi sono diverse da quelle che vi ha detto l’avvocato Zanobini’. Le dichiarazioni del Corsi sono quelle che vi ho letto. Il 26, nell’interrogatorio a cui il Pubblico Ministero ha fatto riferimento, è vero che si parla di tante altre cose. Nel 15 dicembre è vero che si parla di tante altre cose, aspetti. Ma io c’ho il capo di imputazione che testualmente dice: “Del delitto di cui all’articolo” – e che è in atti pure questo ed è questo la base – “perché con dichiarazioni rese alla Polizia Giudiziaria aiutava Vanni Mario, tacendo quanto a sua conoscenza in merito ad una lettera” – questo è l’argomento – “al Vanni dopo che il Pacciani era stato indiziato dei reati attribuiti al cosiddetto mostro di Firenze”. Quindi, in che cosa consiste il reato di favoreggiamento dell’avvocato Corsi? Nell’aver dichiarato… E qui se mi consente il Pubblico Ministero, c’è anche un errore perché non è tacendo… Voi avete letto le dichiarazioni dell’avvocato Corsi, di cui non c’è bisogno appunto di produrle e per questo motivo di rimandare la decisione. Scusi, signor Pubblico Ministero, le dichiarazioni 15/06 sono corpo di reato, sono in atti, sono corpo di reato. Se per caso non ci fossero non è che lui deve avere il tempo per farle acquisire. Vuol dire che la Cancelleria ancora una volta materialmente ha sbagliato a non inserirle. Sono corpo di reato. Non è tacendo, è negando. Voi ve le ricorderete le dichiarazioni dell’avvocato Corsi, è negando, non tacendo in modo categorico: ‘questa lettera non mi è mai stata fatta vedere, di questa lettera non mi si è mai parlato’. Questo è il capo di imputazione, perché queste sono le dichiarazioni dell’avvocato Corsi. Si dice: ‘ma cosa si doveva fare noi a quell’epoca?’ Ancora, salvo a contraddirsi perché poi ha detto che dal 12/06 la situazione dell’avvocato Corsi era cambiata, gli sarà sfuggito, era cambiata dopo le dichiarazioni del Lotti del 12/06, viene interrogato tre giorni dopo. Ma il vostro problema per l’applicabilità non è mica di vedere che cosa succede nel dibattimento, non è mica di vedere che cosa succede nel dibattimento, perché qui non si tratta mica di dire: questa dichiarazione viene utilizzata o non viene utilizzata e poi dopo però si guarda se ce ne sono altre. Questa dichiarazione non è una dichiarazione testimoniale, è l’elemento oggettivo del reato e quindi il problema è solo se può essere considerato elemento costitutivo del reato o meno. Si dice: ‘ma noi allora non avevamo ancora elementi’ e ha portato il campo l’invito a comparire che io vi ho prodotto. Ha portato in campo anche l’interrogatorio che si è verificato a seguito dell’invito a comparire e che io ringrazio perché è bene che sia ugualmente quella agli atti. Ma, voglio dire, non è che il Pubblico Ministero ha aspettato mesi nel corso dei quali ha verificato la sussistenza e l’esistenza di altri elementi. Non ha aspettato mesi, ha aspettato sette giorni per mandare l’invito a comparire e due giorni per interrogare, come indagato del reato di favoreggiamento, l’avvocato Corsi. E poi si dice come per dire, mal qualificarlo, ‘si è avvalso della facoltà di non rispondere’. Io mi sono preso questa responsabilità, perché avevo capito come erano andate le cose e non era quello il caso che dovesse rispondere. Non era quello il momento che dovesse rispondere. Aveva già risposto tre volte l’avvocato Corsi. E poi si fa la perquisizione, benissimo, d’accordo. Ma scusate, signori della Corte, – io spero di essermi prima ben spiegato – questi elementi sono assolutamente irrilevanti, anche per quella che dovesse essere la vostra decisione, su questo punto, in sede di udienza dibattimentale. Il dibattimento non sposta assolutamente nulla. Certo io sono dispiaciuto, perché? Perché io ho capito, non lo volevo dire, ma me lo fa dire il Pubblico Ministero. Ho capito a questo punto perché si vuole l’avvocato Corsi che rimanga nel processo. Perché si è detto testualmente che: “La posizione del Corsi è importante ai fini del dibattimento “. Ma cosa mi interessa a me se è importante ai fini del dibattimento? Non è questo il plinto, un argomento per dire se questa domanda è fondata o meno. Se era importante ai fini del dibattimento, non si doveva procedere nei suoi confronti in quel modo in cui si è proceduto. Si chiami al dibattimento come teste, se è importante, lo si chiami al dibattimento, lo si doveva chiamare al dibattimento come teste. Se poi il Pubblico Ministero pensa che questo sia, non c’è nessun problema. Lui sa benissimo che può essere ugualmente recitato ai sensi dell’articolo 210 del Codice di procedura penale. Presidente, signori della Corte, io ho finito. Io, prima di fare questa richiesta, ho valutato tante cose, fra cui anche quella che – non è certamente favorevole al mio assistito – che è questa: il non partecipare al dibattimento significa per lui sentir dire o leggere sui giornali le dichiarazioni ulteriori del Lotti, del Vanni, senza possibilità di contrastarle come se fosse presente, vale a dire come se fosse presente il suo difensore. Quindi, sotto questo aspetto, noi abbiamo già messo anche in conto questo pregiudizio, cioè di sentirsi, di leggere un suo coinvolgimento perché questo continuerà ad esserci, perché è interesse dell’imputato Vanni che ci sia. E non solo lei mi darà atto, Presidente, che io ho allegato le dichiarazioni del Vanni successive e ho detto ai fini di questa istanza e per far vedere che queste solo, cioè queste successive, che queste solo sono state poi quelle del Vanni ugualmente coinvolgenti. E ho detto semplicemente che il Vanni non poteva far altro. Il Vanni non poteva far altro perché, avendo sempre sostenuto che questa lettera era assolutamente innocua, che non aveva assolutamente nessun contenuto minaccioso, dopo quello che ha letto sui giornali – perché sui giornali è venuto il 16, il 17, il 21, il 22, ‘l’avvocato Corsi indagato per favoreggiamento, perquisizione’. Poi anche alcuni giornali, alcuni giornalisti, uno, diciamo non professionalmente attentissimo è arrivato addirittura a chiamarlo complice – è chiaro che aveva l’interesse a dire ‘io ho fatto vedere la lettera all’avvocato Corsi’. Perché pensava che da lui venisse il conforto al fatto che nulla c’era scritto, si parlava soltanto di merende, delle figliole e poi, quindi ‘buttala via, strappala’. Ma questa è una valutazione del merito che non ha niente a che vedere con quella che è la mia richiesta di oggi. Ho concluso. Io credo che in stretto diritto il Pubblico Ministero evidentemente perché nessun altro argomento poteva addurre, non abbia assolutamente spostato la questione. Precedenza di indizi, inutilizzabilità, conseguente dichiarazione di non sussistenza del fatto. Grazie.

Presidente: Pubblico Ministero, gli atti che voleva produrre per cortesia, se me li dà.
P.M.: Li ho già dati…
Presidente: Allora: “La Corte di Assise di Firenze II Sezione, provvedendo sulla richiesta proposta dal difensore dell’imputato Corsi Alberto, volta ad ottenere: A – le dichiarazioni di inutilizzabilità del verbale di sommarie informazioni reso dall’attuale imputato Corsi in data 15 giugno ’96;
B – la conseguente declaratoria di insussistenza del fatto di favoreggiamento personale, ex articolo 129 Codice di procedura penale; Sentite le parti osserva: Che nell’attuale fase deve valutarsi la legittimità dell’acquisizione al fascicolo del dibattimento del verbale de quo. Lo stesso indubbiamente assume rilievo nel presente procedimento non già quale atto processuale, bensì quale documento che costituisce corpo di reato. Si tratta infatti del documento rappresentativo delle dichiarazioni per mezzo delle quali il reato di cui all’articolo 378 Codice penale sarebbe stato commesso secondo l’imputazione formulata dal Pubblico Ministero. Il corpo di reato, in guanto tale, deve essere acquisito al fascicolo del dibattimento ai sensi del combinato disposto dagli articoli 235 più 431, lettera F, Codice di procedura penale. Confronta Cassazione, Sezione VI, 8 gennaio ’97, numero 11.
Nella specie non vengono pertanto in considerazione le disposizioni di cui all’articolo 63, I e II Comma, Codice di procedura penale; perché la dichiarazione del Corsi assume rilevanza nel processo, non già come dichiarazione indiziante per il suo significato probatorio a carico del predetto, bensì come documento che riproduce oggettivamente un determinato comportamento costituente il fatto di reato ipotizzato, che sarebbe stato commesso dal Corsi con quella medesima  dichiarazione. In questi limiti, quindi, l’atto è acquisibile ed utilizzabile. Quanto alla richiesta di proscioglimento ai sensi dell’articolo 129 Codice di procedura penale deve escludersi allo stato la sussistenza delle condizioni previste dalla norma medesima, soltanto evidenti che il fatto addebitato non sussiste. Comunque appare pertinente il richiamo del Pubblico Ministero all’articolo 46S Codice di procedura penale, inteso prevalentemente come disposizione che nell’attuale fase processuale limita l’ipotesi di proscioglimento a quelle espressamente previste in quella stessa nonna e richiede la non opposizione del Pubblico Ministero. Per questi motivi respinge la richiesta in premessa. Dispone procedersi oltre.” Signori, data l’ora, sospendiamo e si riprende alle 15.00. Bene?
(voce fuori microfono)

Presidente: Alle 15.00 di oggi. Bene? L’udienza per ora è tolta.

Presidente: Ci siamo tutti? Bertini? Ah, ecco. Lotti non c’è. Le parti civili mi sembra che ci sono. Va bene. Allora, si può riprendere. C’è l’avvocato Pepi che aveva preannunciato un’istanza, vediamo un po’.
A.P.: Signor Presidente, signori della Corte, la istanza che questo difensore di Mario Vanni intende sottoporre alla vostra attenzione è un istanza in punto di libertà personale. È un’istanza che verrà formulata in triplice versione perché ritengo che alla Corte dovranno essere sottoposti tre ordini di problemi. Il primo di tutti è estremamente di diritto e attiene a un’istanza di revoca delle ordinanze cautelari per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare. Questa istanza che io oggi vi ripropongo è stata anche proposta di fronte alla Suprema Corte di Cassazione, la quale fra l’altro deciderà in data 9 giugno. Vanni dunque viene sottoposto a tre ordinanze di custodia cautelare: la prima il 12 di febbraio del ‘ 96, la seconda il .23, marzo del ’96, la terza il 2S giugno del ’96. La prima ordinanza di custodia cautelare attiene al fatto omicidiario degli Scopeti del 1985. La seconda, viceversa, attiene al fatto omicidiario di Vicchio dell’34. La terza infine ai tre altri fatti omicidiari compiuti nell’81, ’82, ’83. Si ha quindi quella situazione che in giurisprudenza, in diritto, si parla di una serie di emissione di ordinanze di custodia cautelare a catena, o a grappolo, come dir si voglia. Questa situazione deve essere interpretata rapportando questi fatti storici alla normativa prevista dall’articolo 297 numero 3 del Codice di procedura penale in relazione al 303 sub-A e al 12 sub-1, così come novellato dalla nuova normativa in punto di termini di custodia cautelare massimi. È evidente che, se si esaminano i fatti sottostanti alle ordinanze di custodia cautelare, si vede che la prima ordinanza attiene all’ultimo fatto per cui oggi Vanni è di fronte alla vostra giustizia. I fatti contenuti nelle altre due ordinanze di custodia cautelare sono tutti antecedenti. Si vede quindi che si ha proprio quella fattispecie normativa che prevede la decorrenza del termine dalla prima emanazione della prima ordinanza di custodia cautelare. E questa osservazione noi la evinciamo anche e soprattutto in relazione al capo di imputazione e soprattutto a quel capo di imputazione di cui alla lettera Q, in cui si parla di reato associativo previsto dall’articolo 416, finalizzato nella nostra fattispecie alla commissione di omicidi. E infatti questo capo di imputazione recita testualmente : “Vanni, Lotti, Faggi, imputati del delitto previsto dall’articolo 416, per essersi associati tra loro e con Pacciani Pietro, per il quale si procede separatamente, allo scopo di commettere nella provincia di Firenze i delitti di omicidi ai danni di giovani coppie appartate in auto, di cui ai capi che precedono, organizzando minuziosamente gli associati un’attività preventiva di osservazione della vittima nei luoghi e nei tempi di cui al capo di imputazione”. La conferma inoltre di questa mia affermazione, nel senso che tutti i reati oggi contestati a Vanni sono, comunque sia, quantomeno se non espressamente, indirettamente uniti dal vincolo della continuazione, cioè da quel medesimo disegno criminoso che partirebbe dal 1981 e giungerebbe fino al 1985. Sono quindi, dicevo, uniti dal vincolo della continuazione e di questo ne abbiamo traccia precisa, e loro lo vedranno in Camera di Consiglio, nella terza ordinanza. Laddove si dice testualmente: “Vanni Mario, del delitto continuato di omicidio aggravato previsto dagli articoli 110, 575, 576 perché con più azioni esecutive del medesimo disegno…” eccetera. Quindi…
Presidente: Che ordinanza è questa?
A.P.: La terza ordinanza di custodia cautelare. L’ordinanza…
Presidente: Quella del giugno.
A.P.: Quella del giugno, sì. Quella in cui venivano contestati gli omicidi dell’81, ’82 e ’83. Vi è quindi, evidentemente, nelle tre ordinanze di custodia cautelare per le quali Vanni oggi è di fronte alla vostra giustizia in stato non di libertà ma di detenzione, una netta e precisa connessione. Se ciò è vero, e non riesco a comprendere come, il GIP prima, il Tribunale della Libertà poi, speriamo, come ripeto, il 9 giugno la Cassazione abbia un’altra interpretazione, non si riesca a vedere come a questo punto Vanni doveva essere liberato. Infatti, per la normativa che vi ho testé ricordato e che, ripeto nuovamente, cioè ai sensi del 297, del 303 e dell’articolo 12, come novellato, il tempo che decorre per il tempo massimo della custodia cautelare, decorre dalla prima ordinanza. Ora, la prima ordinanza, signori della Corte, è del 12 febbraio del ’96. Essa era, ed è scaduta, il 12 febbraio del ’97, epoca in cui l’udienza preliminare ancora per pochi giorni non era stata fatta e quindi vi è questo lasso di tempo che doveva indurre, il GIP prima, il Tribunale della Libertà poi, per le valutazioni che vi ho detto in stretto diritto, a rimettere in libertà Mario Vanni. Giustamente il collega Filastò ieri ha criticato il modo di condurre, non tanto dell’istruttoria che è istruttoria comunque sia di parte, ma di colui il quale doveva presiedere a questa istruttoria e cioè al Giudice per le indagini preliminari. E è vero, ma io che ho vissuto la vicenda di Vanni dal momento stesso in cui è stato arrestato, ho visto purtroppo, e lo devo ripetere con dispiacere, però con forza, che il Giudice per le indagini preliminari in tutte le manifestazioni che ha dovuto esprimere, soprattutto in relazione alle mie istanze, si è completamente, è stato appiattito su tutto quello che veniva richiesto dalla Procura della Repubblica. Vi è lumeggiante, io vi chiedo di leggerlo. E cioè ve lo leggo io perché non lo avete negli atti. Nel momento in cui viene respinta la mia istanza di cui stavo parlando che ora è pendente di fronte alla Cassazione. Testualmente che cosa dice il GIP? “Concludendo, il termine massimo di custodia cautelare di un anno scade il 12/01/97” – e qui è un errore perché sarebbe 12/02/97 – “soltanto ed esclusivamente per quanto concerne l’ordinanza emessa il 12/02/1996. Il Vanni quindi resta detenuto per effetto delle due successive ordinanze di custodia cautelare più volte menzionate. Apparendo del tutto superfluo disporre la scarcerazione meramente formale del riferimento alla prima ordinanza che impose la misura cautelare”. Questo è un provvedimento di un Giudice dello Stato italiano, che di fronte a un’ordinanza di custodia cautelare di cui lui stesso dichiara che è decaduta e non la vede, non provvede in conformità, quantomeno questa. E questo è un provvedimento di un giudice dello stato l’acrimonia del Giudice delle indagini preliminari che su qualsiasi istanza gli venisse chiesta respingeva tutto. Respingeva l’incidente probatorio formulato dai difensori e per le stesse motivazioni l’accoglieva per il Pubblico Ministero. All’udienza preliminare, è la terna finale, quando io gli proposi in via subordinata la remissione in libertà, o quantomeno gli arresti domiciliari, del Vanni per motivi di salute e di età: che cosa mi fu risposto, a sostegno del diniego? Mi si riferì una perizia medico-legale di cui io non ho mai avuto contezza, che ha conosciuto solo il GIP, sulla base della quale ha deciso. E questo è il Giudice è il terzo, è il super partes. Io credo che la Corte di Assise che mi sta ascoltando si renda conto della gravità di questa situazione perché se le ordinanze di custodia cautelare, quando sono state emesse, potevano avere il loro significato, potevano avere la loro valenza perché vi era tutta un’istruttoria che doveva essere fatta. In questo momento conservare queste ordinanze cautelare, che unite fra loro hanno come termine di partenza e di fine un anno di reclusione per Mario Vanni che ne ha già fatto un anno e tre mesi, è veramente una abnormità giuridica. Pertanto, per quello che riguarda questo primo punto io ritengo che con tutta tranquillità, con tutta serenità, la Corte oggi possa, con giudizio retroattivo, riportandosi a quel 12 febbraio, ordinare la remissione in libertà del Vanni perché i tempi massimi di custodia cautelare sono scaduti. Ma, visto che dobbiamo parlare in punto di libertà, questo difensore, come ha sempre fatto, e credo tutti me ne diano atto, in questo anno e mezzo di difesa appassionata, continua, di Mario Vanni, vi è da valutare comunque, indipendentemente da questo aspetto giuridico che secondo me è preliminare, che secondo me è assorbente, che secondo me esclude ogni altro tipo di osservazione, vi è da valutare se ai sensi del 274 e 275 Codice di procedura penale oggi sussistano quei requisiti necessari e sufficienti perché si debba continuare a tenere in carcere un uomo malato di circa 70 anni. Mancano pochi mesi perchè Mario Vanni compia 70 anni, li compie a dicembre. Lo vedete, lo avete visto da due giorni in che condizioni di salute è. Più volte nelle mie istanze, ahimè disattese, ho parlato e ho evidenziato che la misura coercitiva in carcere, secondo il nuovo Codice di procedura, è misura estrema, è misura ultima, è misura che deve essere soltanto emanata nel momento in cui tutte le altre misure non siano sufficienti per garantire gli interessi della collettività. E nei confronti di Mario Vanni, signori della Corte, vi sono oggi esigenze di carattere di inquinamento probatorio, da una sua remissione in libertà? In che cosa inquinerebbe il Vanni le prove? Ma veroidio, se Vanni era quello che si dice che è dal capo di imputazione, aveva 13 anni per inquinare le prove. E le inquinerebbe, o comunque minaccerebbe l’eventuale protetto, l’eventuale grande accusatore Lotti che si trova sotto protezione? Allora mi viene il dubbio: o l’istituto della protezione dei pentiti è un istituto formale, che non serve a niente; o se un qualsiasi Vanni può andare, minacciare il Lotti, che è sotto protezione. Quindi, pericolo di inquinamento, la prova ormai fatta, le richieste dei testi sono già state fatte, l’esamineranno loro tra poco tempo. Non vi è alcun atto, è stato compiuto l’incidente probatorio, a questo punto non vi è altro che il vaglio dibattimentale, quindi non vi è assolutamente nessun pericolo di inquinamento probatorio. La reiterazione, mi si potrebbe dire. Eh, Vanni potrebbe commettere reati della stessa indole. Ma non vi sovviene, in ritorno a ciò che ho detto precedentemente, un pensiero. Ripeto, dall’omicidio dell’85 non si è verificato, grazie a Dio, nessun altro omicidio. Se fosse stato il Vanni, che era libero, perché fino a questa indagine, fino all’indagine del ’96, alla fine del ’95 ha ricevuto i primi avvisi di garanzia. Se era lui veramente questo mostro che si vuol dire essere non avrebbe avuto il tempo di reiterare? Quindi non vi è, e io richiamo quelle sentenze della Cassazione che dicono che in punto di reiterazione il Giudice non si può limitare a fare una valutazione generica perché un soggetto che ha fatto certi fatti potrebbe ripeterli. Deve specificare per quali motivi seri, precisi, puntuali mi si dice che Vanni oggi è pericoloso. Vanni non lo è mai stato e non lo è nemmeno ora. Pericolo di fuga: signori della Corte, su questo mi sembra non ci sia nemmeno da parlare, lo vedete, è una persona che si trascina, che sta male, vi sono perizie in atti, c’è le certificazioni del carcere, di tutte le cure che sta facendo, lo vedete in che condizioni è e questo scappa. Scappa, da dove? Con quali soldi, che gli sono stati sequestrati. Pericolo di fuga, reiterazione, inquinamento probatorio, non vi è nulla per cui, indipendentemente da quanto vi ho detto prima, da quanto vi ho detto in punto di già affermata decadenza dei termini massimi, non vi sono oggi quei requisiti che siano necessari e sufficienti per mantenere in carcere Vanni Mario. E mi avvio, signor Presidente, signori della Corte, alla conclusione del mio intervento. Che è un intervento che ho cercato di fare nel modo più semplice e nel modo più breve e sintetico possibile in quanto ritengo che questioni, che sono questioni preliminari anche se di estrema importanza, perché vi è un uomo che da un anno e tre mesi ha perso la libertà personale che è uno dei beni fondamentali dell’uomo; un uomo che ha lasciato da un anno e tre mesi la moglie che è pacificamente persona incapace di provvedere a se stessa, persona epilettica, persona che ha grandi problemi di salute, che vive solo ed esclusivamente per l’aiuto di qualche persona che a San Casciano gli dà una mano, e vogliamo continuare in questa situazione? ‘Facciamogli un processo sereno’ ha detto il Presidente, ed è giusto. Io sono perfettamente d’accordo con lei Presidente, questo processo va fatto in maniera serena. Ma per dare serenità al processo è necessario che tutti si sia sereni e soprattutto si dia la possibilità a quest’uomo di ritornare a casa. Non volete perché ritenete prematuro, non sufficientemente garantito questa situazione che Vanni Mario andrebbe a scontare in quella enorme metropoli che è San Casciano. In una casa che si trova a 100 metri dalla caserma dei Carabinieri, con quindi possibilità che il Vanni eluda la sorveglianza, scappi via di notte, di giorno, vada all’estero, scappi alle Maldive. Non vogliamo nemmeno dargli gli arresti domiciliari in maniera tale che possa essere curato? E su questo delle cure io ho una ripetuta più volte doglianza: il Vanni è stato mandato, fin dal primo momento, dopo cinque giorni, o sette massimo, non ricordo esattamente, dal carcere della Dogaia al centro clinico di Pisa perché la stessa Procura si rese conto che Vanni non poteva stare in un istituto normale. Aveva
necessità di cure e, ahimè, vedendone i risultati io devo presumere che ben poco gli sia stato fatto. Quest’uomo che era entrato in carcere, quando lo vidi la prima volta era una persona, come si potrebbe dire a Firenze, vispa, una persona brillante, una persona che capiva, una persona che rispondeva a tono e oggi lo vedete qui quasi catatonico. Non parla, non dice nulla. Le uniche cose che mi ha detto in questi due giorni, l’avvocato Filastò l’ha sentito anche lui, l’unica sua preoccupazione: ‘a che ora mangio, se mi danno da mangiare’. Un uomo che è imputato di cinque omicidi. Questo vuol dire che è un uomo distrutto, che sta male, che ha bisogno di cure psichiatriche, psicologiche, ha necessità di rientrare nel suo habitat e continuiamo a tenerlo in carcere. È da tre giorni che è stato portato a Sollicciano, ancora da Pisa non gli hanno mandato i vestiti. È da tre giorni che non si può fare la barba perché non c’ha niente. E questa è l’umanizzazione della pena tanto decantata, ma qui siamo alla barbarie più pura, all’annullamento della personalità che si vuol fare, si vuol costringere Vanni, a un certo punto, come si fa tante volte con il regime duro carcerario, perché ci si inventi qualche cosa, si deve ammettere cose che non ha fatto! Questo gli si vuole. E allora, e ho concluso, io insisto perché la Corte di Assise voglia fare finalmente un provvedimento che si distacchi da questa palude di provvedimenti operati dal GIP, operati dai Tribunali della Libertà, di cui uno soltanto capì la situazione, subito dopo la terza ordinanza di custodia cautelare. Che disse testualmente: “Non vi è più pericolo di inquinamento probatorio, non vi è più pericolo di niente. Misure necessarie e sufficienti sono gli arresti domiciliari”. Questo disse l’unico Tribunale della Libertà che si discostò dal coro che da tante parti si è voluto fin dall’inizio fare dicendo ‘Vanni è il mostro’. E dagli al mostro, deve restare dentro! Tutto ciò non è giustizia. Pertanto io insisto perché in tesi venga Mario Vanni scarcerato per decorrenza dei termini, in ipotesi comunque scarcerato per assoluta insussistenza delle esigenze cautelari e, in subordinata ipotesi, quantomeno gli vengano concessi gli arresti domiciliari.

<style=”text-align: justify;”>Presidente: Pubblico Ministero.
P.M.: Sì, Presidente. Due parole, tento di essere sintetico. Qua è inutile dire che si ripropongono alla Corte oggi, legittimamente, questioni esaminate anche pochissimi giorni fa da organi giudiziari che vi hanno preceduto. E volevo evidenziare alla Corte che tutti questi provvedimenti di rigetto della richiesta di scarcerazione e di arresti domiciliari, provengono da una serie di organi completamente diversi l’uno dall’altro. Quindi io non accetto, perché non accetto che qui si venga a raccontare alla Corte che il GIP si è appiattito alla Procura. È una cosa assolutamente non vera. Provvedimenti di rigetto della misura cautelare sono stati adottati in tutte le sedi e dal Tribunale del Riesame di Firenze e, per ben tre volte, dalla Corte di Cassazione, la quale ha sentenziato che era legittimo, e è legittimo, al momento in cui la Corte si è pronunciata ovviamente lo stato di custodia cautelare. Quindi non parliamo per cortesia assolutamente in questo momento di, appiattimento del GIP, perché si continua a fare un discorso che non ha niente a che vedere con i fatti. Io mi riservo di presentare, al solo fine di dimostrare quello che dico, questi provvedimenti. Vi è un accenno, su questo punto, dell’avvocato Pepi, sul fatto che un Tribunale della Libertà concesse gli arresti domiciliari. Si dimentica l’avvocato Pepi, ad arte dico io, di dire che quel provvedimento di arresti domiciliari concessi a Vanni fu impugnato in Cassazione dal P.M., fu annullato e il nuovo Tribunale della libertà confermò la misura cautelare della custodia in carcere. E quindi allora, come vedete, qui ci sono una cinquantina di Giudici, come persone fisiche, che hanno composto i vari collegi che hanno tutti detto, grossomodo, con motivazioni diverse, ma nella sostanza uguale, che esistono tutte le esigenze di cui al 274. Quindi qui non siamo assolutamente in un discorso di appiattimento. C’è da fare, è vero, il discorso in stretto diritto perché qui è giusto che si faccia. Io non ho niente da dire su questo. Allora veniamo al merito della questione. E il merito è quello del pericolo di inquinamento qua in questo momento, pericolo di reiterazione. Anche qua io vorrei riportarmi alle motivazioni lunghissime che sono state adottate in tutti questi provvedimenti e che io vorrei citare de relato e che vi offro a questo fine perché non ha senso che io ve le ripeta oggi. Le fornisco perché sono assolutamente identiche, con dovizia di particolari, su tutto lo stato attuale della questione, è stato già esaminato. Io mi riporto su questi punti a ciò. C’è invece un altro profilo, ed è il profilo se – nel caso in esame – vi sia decorrenza dei termini. E qua, ancora, il difensore dice una cosa inesatta. Primo, perché anche questo profilo è stato approfondito ed esaminato dal Tribunale della Libertà ed è stato esaminato con provvedimenti recentissimi, ai quali ancora io mi riporto sul punto. Però c’è una questione che direi supera, anche in diritto, il fatto della decorrenza dei termini. E mi spiego. Il primo profilo, e guardate, non sono decorsi i termini perché l’ultima misura è di giugno. Quindi l’ultima misura deve ancora decadere l’anno. Non c’è continuazione, non è il 297 che va interpretato. E qui ci sono i provvedimenti a lungo che dimostrano, il Tribunale della Libertà, a questo punto anche a questi mi riporto. Non vi è connessione, non vi è continuazione fra il reato di cui al 416, quando vi è contestata – se è contestata la continuazione – è nel singolo duplice omicidio. Ma a lungo ha dimostrato – ed io mi riporto a quella motivazione del Tribunale della Libertà – che si tratta di fatti non in continuazione, per cui assolutamente la decorrenza sarebbe comunque dal mese di giungo, la prossima misura, quando verrà a scadere. Ma vi è stato il rinvio a giudizio. Ma c’è un altro punto fondamentale che leva e toglie di mezzo anche questo problema. Cioè, se era decorso al momento del 12 di febbraio, l’anno, data della prima misura cautelare, perché dico questo? Perché il P.M., alla data del 12 di febbraio 1997, quando era tecnicamente decorso l’anno, chiede al GIP che non si appiattisce, una proroga della misura; il GIP gliela nega. Quindi non ci fu proroga dal GIP, nessun appiattimento. Ma attenzione, il GIP gliela nega;il P.M.fa un ricorso al Tribunale della Libertà e il Tribunale della Libertà questa proroga gliel’ha data. Per cui, signori, non solo c’è stata la proroga. Il Tribunale della Libertà, dando la proroga, ha motivato come sul punto non vi era alcuna scadenza. Quindi non c’è scadenza né sotto il profilo del 12 febbraio, perché il P.M. ha avuto la proroga su appello; non vi è scadenza, perché non erano in continuazione. Sono tre misure, la quale, l’ultima nel mese di giugno. E quindi il rinvio a giudizio è avvenuto ben abbondantemente in anticipo rispetto all’anno. E quindi, signori, sono completamente tutte già esaminate, infondate le richieste per quanto riguarda il diritto. Mi riservo alla Corte di fornire i documenti per dimostrare che vi è stata proroga, perché è giusto che il Tribunale, la Corte si documenti su questi elementi di fatto. E per quanto riguarda il parere sulle motivazioni de relato che io ho citato. L’ultimo punto: la questione salute del Vanni, per cui arresti domiciliari. Anche questa è stata esaminata attentamente. Perchè ci sono due perizie disposte dal Gip per verificare lo stato di malattia. L’ultima è dello scorso febbraio, 20 febbraio. Dice il difensore: ‘io non ne sapevo nulla’. La norma prevede che, quando vi è richiesta il Gip procede d’ufficio e così ha fatto. Vi sono due perizie in atti. La più recente del 20 febbraio. Io mi riservo di fornirvi prima possibile, appena me la procuro, non pensavo che si impostasse su questi elementi, dato che erano elementi già valutati recentissimamente – fra l’altro ci ha informato Pepi che ha su quei provvedimenti, un ricorso in Cassazione – io dico: ma sul punto salute, fermo restando che la Corte può fare ancora tutti gli accertamenti che crede, ma è un discorso che non regge. Cioè, le dichiarazioni del difensore avocato Pepi, che il signor Vanni stia male, sono dichiarazioni non fornite da alcun elemento medico di supporto. Che il signor Vanni si presenti con la barba da fare e piegato, è un fatto…
Avvocato Filastò: (voce fuori microfono)
P.M.: Mi scusi, in tutto il carcere ci sono, come lei sa, tutte le lamette che crede. Quindi lasciamo perdere questo argomento perchè…
Avvocato Filastò (voce fuori microfono)
P.M.: Ha tutte le lamette che vuole, gliele facciamo avere stasera. Lasciamo perdere questo argomento, perché non è la lametta. E mi scuso di avere introdotto un argomento che non c’entra assolutamente nulla, è colpa mia, me lo sono tirato dietro. Il problema non era la barba, era lo stato di salute. Lo stato di salute è certificato da due perizie fatte non dal carcere, ma fatte fare dal GIP da professionisti. I quali cosa dicono, due diversi, in diverso ordine di tempo? Ve li fornisco, perché voi li possiate esaminare in Camera di Consiglio. Sono noti, sono in atti, ma servono a questo fine: in entrambe le perizie i medici legali che hanno visitato Vanni, dicono non solo che Vanni è migliorato rispetto a quando andò in carcere, ma che lo stato di custodia cautelare è perfettamente compatibile con le sue patologie praticamente inesistenti. E comunque perfettamente curabili in carcere. Quindi, sull’ultima questione che, se non sbaglio, è la terza in ordine cronologico fatta dal difensore, direi che non è assolutamente fondata, perché lo stato di detenzione è ad oggi dimostrato, non è assolutamente incompatibile. Anzi, uno dei medici legali – e lo rileva anche l’organo che ha verificato dal punto di vista giudiziario questo elemento – mette in evidenza che, anzi, è migliorato. E fa una valutazione, dice: ‘è curato meglio in carcere…”. Non deve assolutamente avere albergo, però è una considerazione di fatto. Dice: ‘è talmente curato che si presume che sia curato meglio che a casa’. Un argomento che, secondo me, è fatto dal medico così, in abbundanziam. Non deve assolutamente avere alcuna influenza. Ma serve solo a dimostrare che non c’è alcuna prova dello stato di salute precario incompatibile con la custodia cautelare. Tutto questo per dire che sono tre motivi per i quali la richiesta del difensore deve essere respinta. Penso, ma è una mia supposizione, che la Corte si riservi di decidere perché ha tempo su queste istanze. E io faccio avere quanto prima, se loro credono, in Cancelleria i documenti di cui ho parlato. Se dovessero decidere subito, mi affretto a farli avere prima possibile.
Presidente: Ci sono altre questioni? Ci riserviamo, per ora su questa istanza. Vedo l’avvocato Colao all’impiedi.
A.C.: Sì, dicevo; le parti civili qui presenti, anche in sostituzione dell’avvocato Pellegrini e Santoni Franchetti si associano al P.M.
Presidente: Va bene. Su questa questione non credo che hanno…
Avvocato Filastò: Perché Vanni resti in galera. Lei si associa per questo?
Presidente: Scusi, scusi, scusi…
Avvocato Filastò: Va be’, che ha fatto…
Presidente: Avvocato Filastò, va bene, abbiamo capito.
A.C.: Non ho capito…
Avvocato Filastò: L’avvocato Colao lo dica, Presidente. Mi avrebbe fatto piacere sentircelo dire, proprio specificare: vogliamo che Vanni resti in galera. Lo dica, avvocato Colao.
Presidente: I documenti quando ce li darà Pubblico Ministero?
A.C.: No, scusami, non ho capito il senso della protesta.
Avvocato Filastò: Mi compiaccio con la tua sensibilità professionale.
Presidente: Va bene, va bene, avvocato. Non usiamo la polemica. Basta.
A.C.: Io ti ringrazio e mi compiaccio della tua. Che ti devo dire?
Presidente: Pubblico Ministero, quando può…
P.M.: Il tempo di procurarli. Se andiamo alla prossima….
Presidente: Io ho paura che la questione sarà piuttosto lunga in Camera di Consiglio. Se non ci sono altre questioni, andiamo a venerdì.
P.M.: Io glieli faccio avere in Cancelleria in serata…
Presidente: Venerdì mattina…
P.M.: … venerdì mattina.
Presidente: Però, anche per domani mattina, ce li procuri in maniera che noi possiamo…
P.M.: Senz’altro.
Presidente: Va bene?
P.M.: Senz’altro. Domani mattina li deposito tutti in Cancelleria.
Presidente: Allora si rinvia a venerdì mattina alle ore 09.00. Domani non posso, perché è impegnato un collega in un altro processo. Bene. Allora, ordino la nuova traduzione dell’imputato Vanni. I difensori prendano atto del rinvio. Bene.

21 Maggio 1997 2° udienza processo Compagni di Merende

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