23 Maggio 1997 3° udienza processo Compagni di Merende Mario Vanni, Giancarlo Lotti e Giovanni Faggi per i reati relativi ai duplici delitti del MdF e Alberto Corsi per favoreggiamento.
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Presidente Federico Lombardi, Avv. Luca Saldarelli, Pubblico Ministero Paolo Canessa, Avv. Nino Filastò
Avv. Luca Saldarelli: Presidente.
Presidente: Chi è che parla?
Avv. Luca Saldarelli: Sono l’avvocato Saldarelli.
Presidente: Mi dica, avvocato.
Avv. Luca Saldarelli: Le chiederei il permesso di un brevissimo intervento, che non ha nulla a che vedere con questo processo.
Presidente: Ecco, vogliamo però prima vedere se siamo tutti e poi do la parola a lei.
Avv. Luca Saldarelli: Prescinde da questo, Presidente.
Presidente: Ah, va bene, mi dica.
Avv. Luca Saldarelli: Poiché cinque anni orsono, in questo giorno, perdeva la vita Giovanni Falcone ed insieme a lui perdevano la vita altri servitori dello Stato. Poiché io ritengo che la memoria debba essere conservata per questi atti e perché in quest’aula di giustizia si celebra un processo che vede gli epigoni di quei fatti gravissimi che hanno insanguinato il nostro Stato, io le chiedo di voler ricordare quell’evento tragico sospendendo l’udienza per un minuto e mettendo a verbale questa mia dichiarazione di ricordo nella memoria di quel Giudice e di quei servitori dello Stato.
P.M.: Presidente, chiedo scusa. Il P.M. non può che associarsi a questa richiesta, soprattutto associandosi alle parole che relativamente a questo grave fatto ha pronunciato l’avvocato Saldarelli. Chiedo quindi una sospensione di un minuto.
Presidente: Va bene. Io personalmente non ho avuto la fortuna di conoscere il collega Falcone, comunque l’ho conosciuto attraverso gli atti, gli interventi che ha fatto, le opere che ha svolto in favore della Magistratura e della giustizia in generale. Mi associo alle belle parole dell’avvocato che ha parlato poc’anzi, del Pubblico Ministero. Sospendo l’udienza per 10 minuti in segno di solidarietà.
Presidente: Allora, Vanni è lì presente con i suoi difensori. L’avvocato Fenies sostituisce l’avvocato Lena?
Avv. Fenies: (voce non udibile) Lena e…
Presidente: E Bagattini, bene. Lotti dov’è?
Avv. Fabio Carpelli: Non c’è, signor Presidente.
Presidente: Non C’è?
Avv. Fabio Carpelli: Non c’è neanche l’avvocato Bertini, lo sostituisco io, avvocato Fabio Carpelli.
Presidente: Non c’è, non comparso, va bene. Come si chiama lei avvocato?
Avv. Fabio Carpelli: Fabio Carpelli. Mi ha nominato la prima udienza l’avvocato Bertini.
Presidente: Sì, bene. Zanobini c’è. Poi abbiamo le parti civili. Ci sono tutte vero? Tutti i…
Segretario. d’udienza: (voce non udibile)
Presidente: Chi manca?
Segretario. d’udienza: (voce non udibile)
Presidente: Allora, Fabrizio Pellegrini sostituisce l’avvocato Emanuele Ciappi, per ora. Poi siamo tutti a posto, va bene. Se non ci sono altre eccezioni… Non c’è altro? Allora dichiaro aperto il dibattimento. Chiedo a voi, al Pubblico Ministero e a tutti i difensori se volete che dia lettura del capo di imputazione, oppure se si dà per letto. Come credete, lo conosciamo tutti.
P.M.: (voce non udibile)
Presidente: Come?
P.M.: Già per letto.
Presidente: Va bene ai difensori? Avvocato Filastò, si dà per letto il capo…
Avv. Nino Filastò: (voce non udibile)
Presidente: Bene.
Avv. Nino Filastò: Va bene, d’accordo.
Presidente: Avvocato Zanobini?
Avv. Gabriele Zanobini: Va bene, Presidente,
Presidente: Bene. Allora diamo per letto il capo di imputazione. Quindi do la parola al Pubblico Ministero per la sua relazione introduttiva e per la indicazione dei mezzi di prova.
P.M.: Grazie, Presidente. Signor Presidente, signori Giudici, il processo che ha avuto inizio in questi giorni in quest’aula, davanti a voi, è un processo, come loro sanno, per una vicenda oramai nota, molto nota. È noto che i fatti oggetto di questo processo sono stati preceduti da numerose e complesse indagini, in varie fasi, se ne sono occupati Giudici Istruttori, Pubblici Ministeri diversi e sono fatti, lo dice il capo di imputazione che stamani è stato dato per letto, relativi, con le precisazioni che ora faremo, a una serie di duplici omicidi, per la precisione otto, con sedici vittime, tutti lo sappiamo. Lo ripeto, esclusivamente per inquadrare bene l’oggetto di quello che sarà questo dibattimento. Otto duplici omicidi ai danni di coppie appartate in auto. Oramai si dice così. Oggi davanti a voi ci sono tre imputati sostanzialmente per questi omicidi, che secondo l’accusa, secondo gli elementi di prova – che a parere dell’accusa sono stati raccolti – sono i responsabili di alcuni di questi fatti. Sono Vanni Mario, che risponde davanti a questa Corte di cinque dei duplici omicidi, quelli dall’81 all’85. Lotti Giancarlo che risponde di quattro duplici omicidi, quelli dall’82 all’85. E Faggi Giovanni che ha una posizione particolare perché risponde di due di questi omicidi, quello dell’81 e quello dell’85. Ho sentito in quest’aula dire giorni fa, che c’è un grande assente. Bah, direi che l’ha chiarito molto bene lei signor Presidente come stanno le cose. Qui non ci sono grandi assenti di pietra o non di pietra, ci sono degli imputati che sono giudicati in processi diversi, perché lo consente il Codice di procedura in certi casi. Ci sono imputati in carne ed ossa, non di pietra. Ci sono soprattutto 16 vittime non più in carne ed ossa. Questo è il punto fondamentale che deve essere sempre davanti a voi. E quindi è una occasione processuale che qui ci sono oggi solo tre imputati, che c’è un altro processo in fase diversa per questi stessi reati, sono tutti imputati, ricordiamocelo, in qualsiasi fase, di pietra o in carne e ossa, che sono imputati. E quindi hanno diritto alla presunzione di innocenza tutti finché non sarà dimostrata – come il P.M. crede di poter dimostrare – la loro colpevolezza. Quindi è chiaro che è a tutti noto che c’è già stato un precedente procedimento tuttora pendente, in una fase diversa, ma qua oggi non interessa quella fase processuale. Oggi i fatti che voi dovete giudicare sono quelli di cui al capo di imputazione. È vero, c’è stato un altro processo, lo sappiamo. Però, lo dico subito – e vorrei richiamare subito l’attenzione vostra su questa caratteristica, il processo, che è stato celebrato e che è in corso di istruttoria dibattimentale in fasi diverse, siamo in grado di Appello, per Pietro Pacciani, e questo, sono due processi con caratteristiche fondamentali molto diverse, come vedremo tra breve. Sono processi legati indirettamente per i fatti e perché le imputazioni sono analoghe da un certo punto in poi ma in questo processo gli imputati rispondono anche di quel reato di associazione contestato, se non erro, alla lettera Q, ma soprattutto, oltre le fasi diverse di questi due processi, la caratteristica di questi è completamente diversa. Perché quel processo a carico di Pacciani, coimputato degli odierni Vanni, Lotti e Faggi, è stato un processo a prova indiziaria quello già celebrato. Questo è un processo a prova diretta. Ora vedremo di spiegarci per i Giudici popolari. Cioè, il processo odierno è un processo in cui il P.M. vi dice, nella sua relazione introduttiva, vi è la possibilità di dimostrare direttamente la responsabilità degli imputati con prove dirette. Non c’è bisogno di fare ragionamenti o deduzioni da elementi di fatti: proiettili, blocchi o cose del genere e poi risalire alla responsabilità, qui abbiamo la prova diretta che viene da alcune testimonianze, soprattutto testimonianze ancora di più prova diretta perché vi è quella prova che è costituita dalla confessione di uno degli imputati degli autori, secondo l’accusa. Vedete quindi come i due procedimenti, nella fase dei dibattimento e per quello che riguarda la prova che io intendo oggi illustrarvi, sono procedimenti e dibattimenti completamente diversi. Come nasce l’indagine e come si arriva all’odierno dibattimento? Come siamo arrivati ad individuare, dopo un processo indiziario a carico di una persona sola, altri imputati? Signori, la estensione della imputazione, il fatto che questi reati sono stati commessi da più persone nasce come ipotesi per la prima volta nel pubblico dibattimento celebrato a carico di Pacciani. Questa è la caratteristica. Cioè, come mai oggi siamo qui? Come mai siamo arrivati ad estendere l’imputazione, a pensare, a ipotizzare che c’erano dei complici? È stato proprio quel primo dibattimento di cui vi ho parlato finora a carico di Pietro Pacciani. Perché in quel dibattimento, grazie soprattutto alla collaborazione spontanea, gratuita, non richiesta, quindi ancora più vera, di alcuni cittadini che si sono presentati spontaneamente nel corso di quel dibattimento, si è cominciato a capire che non si trattava di fatti addebitabili a un solo autore. Loro oramai sapranno, perché è un fatto noto, che mi riferisco a testimonianze di persone sentite in quel dibattimento dei 1994 in I Grado, che si sono presentate e hanno detto: ‘guardate noi, io – soprattutto un teste, Lorenzo Nesi – la sera dell’omicidio, all’ora dell’omicidio ho visto ‘l’imputato Pacciani, che si processava in quella fase, che era in compagnia di un’altra persona. Quindi tenete presente questo fatto’. Quindi da una prima intuizione investigativa, che aveva portato a quel dibattimento degli investigatori di allora, del Dirigente della Sezione Omicidi della Questura di Firenze di allora, dottor Perugini, che aveva portato avanti un’indagine che era arrivata a ipotizzare che vi erano elementi gravi indiziari a carico di Pietro Pacciani, il dibattimento con quella caratteristica, cioè prova in dibattimento nuova, ha fatto capire che l’autore non era uno solo. È da quel momento che ci si è mossi ulteriormente, è proprio a seguito della celebrazione di quel primo dibattimento, per questo sono legati i due dibattimenti, solo ed esclusivamente per questo. Cioè, a seguito di quella nuova luce, soprattutto sull’omicidio del 1985, che si è avuto nuovo impulso per le indagini, si è avuto l’opportunità successiva – per questo siamo qua e siete qua oggi – di chiarire meglio i fatti, di acquisire ulteriori, nuove testimonianze oltre quelle di allora, del ’94. Si è avuto la possibilità soprattutto di comprendere meglio la portata, il valore probatorio di alcune testimonianze di allora. Si è avuto la possibilità di approfondire, ripeto per quel dibattimento del ’94, di approfondire la conoscenza di taluni episodi. Di chiarire meglio il contesto in cui essi erano avvenuti. Ma soprattutto, da quel momento, si è passati da una situazione probatoria in cui avevamo da offrire alla Corte degli indizi, si è passati a delle prove di diversa portata. È vero, è un modo di andare avanti caratteristico di questa vicenda. È il dibattimento che ci aiuta a andare avanti nel chiarimento. Normalmente il percorso è diverso o si scoprono subito gli autori e gli si fa il processo, o rimangono del tutto ignoti. Qua sembra, anzi è la realtà, siamo andati per tappe. Forse stiamo andando ancora per tappe, ma questo processo è quello relativo a questa tappa, se è giusta la ricostruzione che fa il P.M… E perché siamo andati così lentamente? Ma perché i fatti che sono oggetto delle imputazioni sono particolari, sono eccezionali e quindi è chiaro che anche chi li doveva raccontare, testimone o protagonista, ha avuto difficoltà immani, timori di varia natura per raccontarli. Questo è il motivo per cui siamo andati piano. La vicenda è talmente grave che anche chi la doveva raccontare ha avuto difficoltà a dirla. Lo vedremo nel ricostruirlo in questo dibattimento. Semplificando quindi, per avere chiaro come mai siamo qui con tre imputati oggi, le cose semplicemente sono andate in questo modo. La Polizia Giudiziaria, il P.M. individuano un autore, con le difficoltà e con i limiti, se limiti sono, che tutti conosciamo, quell’autore Pietro Pacciani, imputato, non condannato. Dopo che la Polizia Giudiziaria e il P.M. hanno individuato quell’autore, il dibattimento pubblico – insisto su questo fatto – del ’94, di una Corte di Assise come la vostra ha permesso di capire, di ipotizzare e di chiarire già allora che vi erano dei complici. Quindi c’è stata, su sollecitazione della Corte di allora, una nuova inchiesta e si è acquisita la prova diretta, per la quale siamo oggi davanti a voi. È stato chiaro in quel dibattimento che l’ipotesi di un autore unico era quella relativa a una fase di conoscenza dei fatti. Si è capito da quella testimonianza e da altri elementi che ora vedremo, e che sono stati ben sintetizzati nella sentenza della Corte, che la vicenda aveva contorni diversi. Non erano omicidi connessi da una sola persona, ma erano frutto della azione di più persone con ruoli diversi fra loro. Ecco perché siamo arrivati poi, a contestare anche il reato di associazione per delinquere. La persona individuata oramai, è nota. i complici, individuati nel corso di questa successiva indagine, sono davanti a voi come imputati oggi. È chiaro che per il lavoro di quella Corte di Assise abbiamo raggiunto, soprattutto i Giudici di allora, il P.M., gli investigatori, la convinzione che non eravamo davanti a un mostro, superuomo imprendibile, unico, genio del male, persona al di sopra di ogni sospetto, malato o no. Ma è venuto avanti chiaramente, è venuta l’indicazione che la realtà che sta dietro alla commissione di questi delitti è molto più modesta, più terrena, più provinciale.
Si tratta – lo ricostruiremo in quest’aula – di una vicenda nata in campagna, posta in essere da persone tangibili, che si vedono, è questo che ha lasciato perplessi. Pensavamo a un superuomo, a una persona dotata di chissà quali capacità e quindi siamo stati un attimo perplessi tutti in quel dibattimento. Oggi non lo possiamo più essere, vedremo. Quando abbiamo visto la realtà in cui i delitti sono maturati, abbiamo visto la realtà di quelle testimonianze di allora e abbiamo visto quali erano gli uomini. Quindi è stata una difficoltà allora, oggi questa difficoltà è completamente superata dagli elementi di prova che io ritengo di potervi offrire e illustrare. Ma subito quindi è chiaro, e dobbiamo ringraziare apertamente quei cittadini che si sono presentati allora, il Nesi Lorenzo che senz’altro, che sa fino a che punto ha conosciuto, conosce la vicenda. Io ho depositato ulteriori atti in cui questo teste, anche lui con quel timore che ho cercato di descrivere, ha man mano chiarito quanto a sua conoscenza. Dobbiamo ringraziare testimoni come lui, come altri che poi indicherò, per l’apporto che hanno dato alla conoscenza della verità. Però dobbiamo ringraziare ugualmente, perché è questo il dato di fatto univoco, i Giudici della Corte di Assise di I Grado che nel 1994 hanno seguito e giudicato in quel dibattimento. Perché è grazie a quei Giudici e non solo all’attività del P.M. che si è andati avanti. Grazie quindi all’attività di terzi, di persone che sono istituzionalmente al di fuori delle parti, che non sono portatori di un interesse come quello dell’accusa. I Giudici della Corte di Assise di I Grado hanno individuato col loro dibattimento e con quella sentenza questa circostanza: non autore unico, più autori. Hanno ipotizzato, hanno dato un’indicazione molto forte all’indagine, ecco perché siamo qua. Non è una iniziativa isolata del P.M.. No, siamo andati avanti perché quella sentenza è stata chiarissima, ma è stata chiarissima perché quel dibattimento aveva dato, aveva fatto luce maggiore su quei fatti. Un pezzetto di quella sentenza è quello determinante, è quello che ha come conseguenza il dibattimento di oggi. Dice quella sentenza: “La Corte ha ben presente la qualità e la caratura di certe amicizie del prevenuto di Pietro Pacciani, l’altissimo livello di sospetto a cui talune di esse sono collegate” – le amicizie – “lo sfacciato mendacio di alcune deposizioni testimoniali”. Fa riferimento la Corte a quelle deposizioni testimoniali di due degli odierni imputati, Vanni e Faggi. “E il loro valore sintomatico nell’economia delle vicende oggetto di questo processo”, quello di allora. Ma su tutto ciò non è la Corte, ma il Pubblico Ministero, al quale sono stati trasmessi i relativi atti, a potere e dovere indagare, inquisire al di fuori di questo processo. Ecco la spinta, ecco perché siamo qui. Quali erano gli elementi gravi già allora: “Semmai” – dice la Corte – “ci si può interrogare sul ruolo che il misterioso complice di quella notte” – riferito dal Nesi relativamente all’85 – “può avere avuto” – insieme a Pacciani “nell’assassinio dei giovani francesi ed, eventualmente, in occasione di altri duplici omicidi”. Cioè, le acquisizioni dibattimentali del ’94 non solo chiariscono che c’è un complice, ma si fa già, una ipotesi da parte della Corte, che viene girata al P.M., che il complice c’è anche per i fatti del passato. Ecco come nasce poi la confessione di Lotti. È da quello spunto, da quella vicenda processuale che si parte. È un invito che la Corte, come avete visto, fece all’epoca al P.M. trasmettendogli gli atti. La Corte non credeva e non ha creduto più, per elementi oggettivi acquisiti allora, nell’autore unico. Non è ovviamente che il P.M. era stato a guardare questa attività dibattimentale e che ha aspettato la Corte. Si era mosso, aveva raggiunto già il P.M. la stessa convinzione che poi è stata trasferita nella sentenza di allora, perché era proprio il dibattimento che faceva capire di come le cose fossero diverse. Era allora che la convinzione maturava non a livello di ipotesi, ma a livello concreto e il P.M. già nella sua requisitoria di allora, aveva fatto propria quella emergenza dibattimentale. Io ricordo che conclusi proprio in linea, perché quelli erano i fatti oggettivi, con la motivazione poi della sentenza, chiarendo che l’imputato di allora si era contornato di altri uomini, come lui vecchi, squallidi dentro, che ha dominato come ha voluto, dicevo, i cosiddetti compagni di merende; perché in quel processo il Vanni, odierno imputato, ebbe quella espressione subito ‘andavamo a fare merende’, è venuto da quel momento lì il fatto che gli odierni imputati vengono cosi etichettati. E io dissi perché questo emergeva: erano compagni, amici, complici, Pacciani ha dominato come ha voluto, i quali hanno condiviso sicuramente parte delle sue perversioni – lo dimostreremo in questo dibattimento – un mondo sconosciuto, fino ad allora, triste, pericolosissimo, dicevo, nel quale Pacciani ha sicuramente primeggiato divenendo la figura trainante. Lo dicevamo allora, la Corte, il P.M., quando non conoscevamo Lotti, non conoscevamo la sua vicenda, non conoscevamo, né potevamo mai immaginare la sua confessione. Qualcuno, Pacciani che primeggiava, le altre figure alle sue dipendenze. Quindi, allora, in quel processo, in quel dibattimento, fu chiaro che non si trattava di un serial killer. È da quello scorso del ’94, da quella attività dibattimentale com’è la vostra oggi, e non da una iniziativa della Polizia Giudiziaria che si è maturata la convinzione che i fatti erano diversi. No serial Killer. È questo il motivo oggettivo per il quale siamo andati avanti. Era una impostazione non corretta, non completa, parziale. Per i motivi lenti, di lentezza di raccolta della prova che ho cercato di evidenziare, solo successivamente in pubblico siamo andati avanti. E da quel momento Lotti che è investigativa – questo sì – con quella indicazione è cambiata completamente. Non più intuizioni, ipotesi, valorizzazione degli indizi, ma esame, ricerca di fatti obiettivi, di dati oggettivi non criticabili da nessuno, che hanno un’unica spiegazione. E questo è il processo dal punto di vista del tipo di prova che oggi offriamo alla Corte d”Assise, che l’accusa offre alla Corte d’Assise. Cioè una indagine basata su fatti esclusivamente, sulla cosiddetta prova tradizionale, sulla indagine minuziosa, capillare su tutti i risvolti della vicenda fatta da parte della Polizia Giudiziaria. Quindi, non una ipotesi investigativa ferma, blindata della accusa che non ha il coraggio di farsi dire da un dibattimento: ‘guarda, la tua indagine è parziale’. No, un dibattimento, una Corte, hanno dato le indicazioni giuste; il P.M. se n’è accorto da solo e ha capito subito: l’impostazione era parziale. Sarebbe pericoloso, sarebbe stato pericoloso assolutamente se l’accusa si fosse arroccata su quella impostazione. Anzi, era una indagine dibattimentale che proprio l’accusa aveva voluto e favorito per vedere di chiarire meglio. E quindi è una indagine, questa, che da quella prima intuizione si è estesa grazie all’attività della Squadra Mobile della Questura di Firenze successiva a quella indagine e del suo dirigente e dei suoi uomini. Una attività che si è estesa su fatti concreti. Ampia, completa, per cercare riscontri testimoniali a fatti. Fino ad arrivare alla confessione di uno degli imputati. E alla scoperta poco prima di testimoni oculari. E vediamo un attimo questa confessione che, come cercavo di spiegarvi, nasce in una situazione di raccolta di prova minuziosa. Come mai abbiamo una confessione? Cerchiamo di capirlo, perché poi dovremo valutarne l’attendibilità. Ma vediamo come è nata, perché se si capisce com’è nata si capisca anche la portata di questa confessione. È una confessione che nasce non spontaneamente; è frutto di contestazioni specifiche di fatti. Ecco perché è una confessione che ha un valore particolare che cercherò di mettere in evidenza. È sì Lotti Giancarlo un imputato che ha confessato, ma non è un pentito nel senso tradizionale. Non è una persona che si è presentata e ha detto: ‘bene, vi voglio raccontare questi fatti’, No, signori, è ben diverso. Per questo la sua confessione, a mio avviso, dovrà essere valutata con maggiore rigore, sì; ma con maggiore favore. Perché è una confessione che viene dopo che gli vengono contestati fatti specifici, ai quali il Lotti non può dare una spiegazione diversa, se non: ‘sì, è vero, mi hanno visto sul posto. Dell’omicidio dell’85 io c’ero’. E poi a catena tutto il resto. E quindi, confessione che nasce – ecco qua il punto che ci dà tranquillità – solo perché vi sono contestazioni che vengono fuori dal lavoro investigativo minuzioso sui fatti. Quindi è una confessione che ci può, come origine, lasciare tranquilli sul fatto com’è nato. Poi vediamo l’attendibilità. Ma è una confessione che si basa sui fatti che sono testimonianze di quei testi oculari che dicevano di essere stati presenti. Perché erano passati, la notte dell’omicidio dell’85, del 9 settembre ’85, quella domenica da Scopeti. Cioè, ci sono più persone che dicono di essere passate di lì, le sentiremo in dibattimento. C’è un teste oculare Pucci Fernando che dice: ‘sì, io c’ero’. Ci sono i testi, quelli che sono stati chiamati in una fase processuale – Alfa Beta e Gamma Delta – che hanno ammesso di essere stati lì. Ma perché tutte queste persone, un bel giorno, alla Polizia Giudiziaria ammettono di essere passate di lì? Non certo nemmeno loro spontaneamente. Ecco la difficoltà che vi dicevo nella raccolta degli elementi oggettivi. C’è una intercettazione telefonica, altra intuizione secondo me più che felice del dirigente della Squadra Mobile della Questura di Firenze, che decide, una volta in cui è necessario verificare certi elementi di fatto, di porre sotto intercettazione, di richiedere al P.M., quindi al GIP, di porre sotto intercettazione la utenza di un bar dove tutti i protagonisti di questa vicenda che stiamo ora esaminando, cioè il passaggio, nella notte degli Scopeti, dalla piazzola, decide di mettere sotto controllo quel telefono perché sa che Lotti da quel telefono parla. Non avendo un suo telefono, riceve telefonate li. È chiaro che la Polizia sente persone, conosce questa circostanza. È da quell’elemento oggettivo: intercettazione telefonica della utenza del bar di San Casciano, che si ha la convinzione, perché Lotti parlando con un’altra, con una donna – vedremo, è indicata nella lista testi Ghiribelli – dice: ‘sì, è vero. Mi hanno chiesto… Ti hanno chiesto questa circostanza in Questura’. Dice: ‘è vero, io c’ero lì quella notte. Ero lì a fare un bisogno fisiologico’, dirà lui. È chiaro che quell’elemento oggettivo: conversazione fra persone che non sanno di essere intercettate è l’elemento che convince della bontà delle testimonianze fino a quel momento raccolte. Ecco come nascono le testimonianze: da fatti oggettivi. Una intercettazione telefonica nella quale chiaramente si raccontano cose incredibili. Cioè: ‘eravamo lì per un bisogno fisiologico’. Mi capite che fermarsi la notte dell’omicidio, alla stessa ora, dove avvengono quei fatti in una campagna toscana così ampia, tornando da Firenze, nessuno ha creduto al Lotti nel momento in cui diceva che è, spiegava qual era il motivo per cui si era fermato la notte dell’omicidio all’ora dei fatti, intorno alle 11.00. Ecco, come parte; ecco perché vi dicevo e vi dico: sono elementi oggettivi quelli che portano alla confessione di Lotti. Cosa deve fare quando gli chiedono: ‘ma perché ti sei fermato lì?’ Ci sarà il Pucci prima che dice: ‘sì, eravamo a guardare’. Vedremo il contenuto, perché poi spiegherà che hanno assistito all’omicidio. È chiaro che Lotti, non certo facilmente, arriva pian piano ad ammettere questi fatti. E capite allora che se le cose sono andate in questo modo, se 1’indagine è andata in questo modo, si capisce come gli elementi di fatto che io vi offro sono fatti concreti, sono fatti che sono tranquillizzanti, perché sono certi, sicuri. Perché nascono da una conversazione, nella quale le parti che ci interessano per quella conversazione, parlano sinceramente fra sé. Quindi, per questo, vi dico: fin dal primo momento di questa indagine, si è passati da una indagine solamente indiziaria, ad una indagine con prova diretta. Quindi, le fonti di prova che io intendo illustrarvi sono fonti di prova tranquille, sicure, certe, verificabili oggettivamente da voi. E quindi la verifica dibattimentale, a mio avviso, sarà più semplice. Ovviamente nel contraddittorio legittimo delle parti, ma nessuno potrà oggettivamente dubitare del contenuto di quella telefonata. Ecco che quindi siamo arrivati con quella telefonata che è a cavallo fra il ’95 e il ’96; siamo arrivati alla prova che la Corte di Assise aveva visto giusto nel dire che, almeno nell’omicidio dell’85, c’erano più persone. C’è un primo riscontro oggettivo, oltre quella prima testimonianza del teste spontaneo Nesi. Allora, andando avanti questa indagine che noi ci proponiamo di ripercorrere in quest’aula, ci siamo accorti che per ciascuno dei delitti contestati agli odierni imputati: ’85 – ’84 – ’83 -‘ 82 – ’81 per Calenzano, vi erano elementi oggettivi di riscontro dello stesso valore. Provo a sintetizzare ma abbiamo avuto la verifica subito che era vero che l’indagine era lenta e che vi erano state lacune nel momento in cui si era imboccata la strada dell’autore unico. Ma erano lacune che non dipendevano certo da una inerzia, ma dal fatto che era difficile ottenere testimonianze. Vedrete, nella ricostruzione che faremo, di come questi testi siano andati cauti nel raccontare. E quindi ci siamo subito accorti, dopo questo riscontro, al lavoro della Corte, cioè c’erano dei complici nell’85, che è stata una vicenda che ha avuto una lentezza incredibile. Un avvocato di parte civile, giorni fa, con un termine, con una espressione che rende bene l’idea, diceva: “è una indagine a metabolismo lento”. È vero, è sicuramente lenta. Ma essendo lenta e fondandosi su elementi oggettivi, ci dà la certezza che siamo nel giusto. Ora siamo vicini – e questo dibattimento mi auguro darà ancora più certezza – siamo vicini ad una vera giustizia su questi fatti. Qualcuno, uno dei parenti delle vittime, in quest’aula diceva: ‘sento odore di verità, sento sapore di giustizia’. In tutta sincerità, lo penso anch’io. Questa è la strada. E questo dibattimento, dicevo, è una tappa, è la verità. Non abbiamo nessun timore ad ammetterlo: è una tappa nella ricostruzione di questi fatti. Basta tener presente il capo di imputazione. Abbiamo delle certezze, o comunque degli elementi su una parte di questi fatti fra l’85 e l’8l. Sappiamo che gli omicidi sono di più, ma è anche vero che questo lavoro della Polizia Giudiziaria è stato utile. Nessuno si è fermato, nessuno si è arroccato sulla prima impostazione. Siamo arrivati solo così a quelle testimonianze relative all’85: nel non fermarsi, nel valutare tutto. Non solo nel portare avanti delle ipotesi investigative. Allora vediamo in concreto come procedere nella assunzione della prova. È abbastanza semplice, una volta che io vi ho fatto presente com’è andata l’indagine. Abbiamo, in questo dibattimento, la necessità di verificare la esistenza in concreto di tutti gli elementi di prova diretta e di fornire, o vedere, se vi sono riscontri. Cioè, il lavoro da fare è di due tipi dal punto di vista del P.M. i il primo è quello di verificare innanzitutto l’attendibilità della confessione, primo lavoro da fare. E quindi le prove che il P.M. vi offre sono tutte volte alla verifica – vedremo come – della attendibilità della confessione. Perché è questo che si propone di fare il P.M. Una volta verificata la attendibilità – come io credo – della confessione di Lotti, secondo lavoro da fare – se così si può chiamare – o attività della assunzione di prova da fare, è quella di verificare se vi sono riscontri sulla chiamata di correo. Perché gli elementi sono due: confessione e chiamata di correo. Quindi dobbiamo prima verificare l’attendibilità della confessione; secondo, verificare se per quanto riguarda la chiamata di correo vi sono riscontri diretti. Questo è il percorso che il P.M. intende fare. Ed è un percorso che, per fini diversi, quello della Verifica della attendibilità e della Perché voi sapete che, al fine soltanto di verificare se vi erano indizi o elementi per mantenere lo stato di custodia cautelare di Vanni, sia la Corte di Cassazione per ben tre volte, che il Tribunale della Libertà per un numero di volte – che io non ricordo nemmeno, da quante sono – hanno verificato due cose: sussistenza degli indizi, indizi, ovviamente, in momento diverso, e sussistenza delle esigenze cautelari. Però è questo il punto: già altri Organi giudiziari hanno valutato positivamente e la confessione e gli elementi di riscontro. Sono tutte cose che sono anteriori. Il vostro lavoro è diverso, non dovete valutare indizi, ma dovete vedere se queste possono arrivare ad essere considerate prove. È questo che il P.M. intende fare. Allora capite che il vostro lavoro ha già avuto un vaglio precedente fino al decreto del GUP che ha disposto il giudizio con la verifica della impostazione di accusa e col riconoscere che quegli elementi dovevano essere portati al vostro vaglio. Dicevo che la prima operazione da fare è quella della verifica della attendibilità della confessione di Lotti. Al di là di quelle che sono i primi testi che vi ho indicato per l’85 per quella telefonata. Quindi, se io vi faccio presente che la prima attività da fare è quella della verifica della attendibilità di Lotti, vi dico subito: signori Giudici, attenzione, perché questo processo è innanzitutto il processo a Lotti Giancarlo. Partiamo da questo, teniamolo ben presente. È vero, ci sono altri due imputati, tre per la verità, ma in primo luogo il processo a Lotti Giancarlo. Per la prima volta in un pubblico dibattimento c’è un imputato, un “mostro”, fra virgolette – perché se rimaniamo alle definizioni giornalistiche, a questo punto è un mostro – è un mostro confesso. Cioè, per la prima volta, per questi fatti, una Corte di Assise è chiamata a giudicare o a verificare la confessione. Quindi è un processo che verte innanzitutto sulla figura di Lotti Giancarlo confesso. Ricordiamocelo questo, perché è una parte preponderante della vostra attività. E io vi dico che gli elementi acquisiti e forniti alla Corte che sono nel fascicolo del dibattimento, sono elementi tali che a mio avviso si potrebbe oggi – se il Codice lo consentisse – valutare la posizione di Lotti già con gli elementi che avete, senza procedere al dibattimento. Perché avete un incidente probatorio con la confessione, avete – e io li ho già offerti nella mia richiesta di ammissione testi ed acquisizione di documenti – gli elementi di prova generica sui fatti costituiti dai rilievi di Polizia fatti per ogni omicidio e dalle perizie medico-legali nelle quali i medici allora ricostruivano la dinamica degli eventi. Quindi voi avete già la possibilità di verificare, leggendo quegli atti, da una parte come si sono svelti e come sono stati ricostruiti i fatti dal punto di vista della dinamica allora – nell’85, nell’84 e nell’83 – e di verificare questi elementi oggettivi sicuri di allora – non c’erano imputati, quindi più obiettivi di quelli! – con le dichiarazioni di Lotti. Io ritengo di potervi dimostrare, alla fine di questo dibattimento, che solo con questi elementi, al di là delle testimonianze, avreste la possibilità di verificare l’attendibilità delle dichiarazioni, della confessione di Lotti. Si potrebbe fare, se fosse consentito, un processo abbreviato per lui. Cioè senza dibattimento. Si potrebbe, a mio avviso, arrivare ad una decisione sulla sua responsabilità sulla base degli atti che voi già avete all’inizio del dibattimento. Questo per dirvi che gli elementi di prova a carico di Lotti e della verifica della attendibilità della sua confessione, sono così forti che sono già nelle carte. Ci sono in più una serie di riscontri forniti da testimonianze. C’è, a questo proposito di questa confessione, un documento chiarissimo che io vi offro perché lo acquisiate. Ed è quella confessione scritta con calligrafia incerta, con modo di esprimersi incerto del Lotti che è allegata al verbale del 16 novembre ’96, manoscritta presentata spontaneamente da Lotti, il quale, dopo aver descritto come sono andati i fatti, qual è stata la condotta che lui ha tenuto quando dice in quella lettera sua. È una lettera del 15 novembre ’96 allegata ad un verbale – comunque io ve l’offro come documento. Poi lo valuterete voi che utilità dare a questo documento – comunque è un documento manoscritto che viene dall’imputato – quindi io chiedo che sia acquisito – nel quale descrive sinteticamente nell’italiano che gli è consentito dalla sua cultura, tre o quattro punti fermi: “Ho partecipato come palo ai delitti per i quali sono imputato. In un caso sono stato costretto a sparare”. questa è la sintesi: “Sono stato costretto ad andare con loro – intendendo per ‘loro’ che Lotti dice Pacciani e Vanni – c’era stato una sorta di rapporto omosessuale con uno dei miei complici: Pacciani. Sono stato minacciato perché, per fatti diversi della mia omosessualità, avrebbero riferito in giro questi miei rapporti”. Questo è il succo proprio stringatissimo della confessione. Ma c’è in quella confessione scritta un elemento in più che voi e noi tutti dobbiamo valutare. Perché alla fine di quella difficile, secondo me, sofferta, fra virgolette, confessione di Lotti, aggiunge quelle quattro o cinque parole che sono indicative del suo stato, del suo comportamento in tutti gli anni che ha taciuto. Dice, col suo frasario riferito a Vanni e Pacciani: ‘fate cose mostruose. Io non le avrei fatte. Voi non avete rimorsi, siete come bestie. Io vi farei, vi leverei dalla faccia…’, qualcosa del genere. Ma il contenuto di questa frase mette un attimo in evidenza l’evoluzione della condotta di Lotti. Siamo quasi, in quello scritto, manoscritto del Lotti, a riconoscere una sorta di rimorso. “Voi non avete rimorsi”, come dire: ‘io ce l’ho. Cosa ho fatto? Ho confessato’. Questo è il succo. E ha dimostrato fino in fondo quanto meno la coerenza, poi vediamo l’attendibilità. Pian piano ha ammesso ciò che ha visto, poi ha ammesso ciò che ha fatto, poi ha spiegato perché e poi ha tirato fuori questo, io lo chiamo rimorso. Per quello che può lui, poi il consulente tecnico nominato dal P.M. ha inquadrato bene la figura del Lotti, lo vedremo, lo sentiremo. Ma è una condotta coerente fino in fondo: si è presentato in quest’aula, a parte il suo stato di malattia. E ha pubblicamente manifestato, tramite il suo difensore, non solo la volontà di essere sottoposto a tutti gli interrogatori che le parti e loro vorrete fare di questo imputato, ma ha confermato che ha detto la verità ed è disponibile a ripetere ciò che sa. Questo è importante. Allora, questo è il percorso di Lotti che viene dopo una fase processuale che, in estrema sintesi, è quella: una Corte di I Grado che ipotizza complici, riscontri sull’esistenza di complici, un complice confesso. Un complice confesso con questo modo di comportarsi: graduale, impaurito, impaurito sicuramente. Man mano acquista coscienza di ciò che ha fatto fino ad arrivare al massimo che può fare uno che ha fatto questi, che ha partecipato a questi omicidi. Ammettere le proprie responsabilità, le proprie colpe. E credo che non sia difficile per tutti noi capire il tormento di questa persona, anche perché gli altri imputati si guardano bene dal raccontare come stanno le cose. Allora, se questo è il percorso che ha fatto Lotti, perché questo è il processo innanzitutto al Lotti, vediamo quali sono innanzitutto le fonti di prova relative alla verifica della sua attendibilità. Perché vi ricordavo che il primo scopo del dibattimento dal punto di vista del P.M. è verificare l’attendibilità. Allora, noi abbiado questa confessione che nasce, che va avanti nel modo che vi ho descritto. Ma dobbiamo innanzitutto, perché lo ha già fatto il P.M. e perché lo dobbiamo fare qui davanti a tutti in contraddittorio, dobbiamo riscontrare. Perché è vero che la confessione è una prova, ma il primo lavoro, ripeto, da fare è riscontrare. Allora gli elementi che io vi offro sono di due tipi: ci sono dei riscontri oggettivi a cui ho accennato e dei riscontri testimoniali. Quindi, attendibilità del Lotti da una parte: vediamo se dice la verità, vediamo in che modo è possibile oggettivamente, cioè non attraverso il racconto di qualcuno, ma oggettivamente riscontrare se dice il vero; e poi vediamo se ci sono testimonianze, cioè dichiarazioni di altre persone che consentono di verificare se dice il vero. Allora partiamo dai riscontri oggettivi che io vi offro, di natura oggettiva. E io vi dico che i riscontri oggettivi sicuri, tranquilli – li evidenzio fra un po’ – delle dichiarazioni della confessione del Lotti, nascono proprio da quella ricostruzione dei fatti che aveva fatto, e la Polizia Giudiziaria dopo ogni duplice omicidio, e i medici legali che hanno fatto le perizie medico-legali. Che hanno descritto allora la dinamica degli omicidi- Perché se noi leggiamo quelle perizie o almeno alcune in alcuni punti, non possiamo avere dubbi: Lotti ha raccontato la verità. Perché la ricostruzione fatta allora, è una ricostruzione fatta ovviamente con parole diverse, con lacune, con imperfezioni dovute al racconto di uno dei protagonisti che ha visto e non visto l’intera scena: era sicuramente in un punto della zona dove avveniva l’omicidio; ha visto qualcosa meglio e qualcosa peggio, ma la dinamica descritta dal Lotti nella sua confessione di alcuni degli omicidi, è identica alla ricostruzione fatta dai medici legali. Io vorrei, e qui richiedo, mi scuso se lo faccio, la massima attenzione soprattutto dei signori Giudici popolari su questi due concetti e su questi due fatti che vado a esporre, cioè: riscontri oggettivi che nascono da perizie medico-legali. Mi riferisco alla perizia medico-legale, o meglio dalla ricostruzione della dinamica dell’omicidio del 1985 fatta da medici che ovviamente partivano solo dall’esame obiettivo delle ferite e del modo in cui erano stati trovati i corpi. Quindi non conoscevano non solo Lotti, ma non conoscevano nessuno e non potevano ipotizzare quale sarebbe stato il racconto fatto rispettivamente 12 o 11 anni dopo. Perché la stessa cosa vale per l’84. Allora io vi dico: se voi andrete a leggere – perché io ve lo offro, sono atti che ho offerto già alla Corte ex 238, cioè acquisibili già da voi d’ufficio, perché son atti ripetibili – se voi andate a leggere la ricostruzione fatta dai medici legali, in via ipotetica, sulla base di elementi oggettivi, ferite e posizione dei corpi, se voi leggete la ricostruzione dell’aggressione al giovane francese fatta dai medici legali nel 1985, medici legali dell’Università di Modena che l’hanno studiato sotto il profilo della dinamica, e leggete le pagine 14/15 e 16 dove si descrive nei dettagli in via ricostruttiva della dinamica dell’aggressione del giovane francese, voi poi prendete le dichiarazioni di Lotti sul punto dell’incidente probatorio e vedrete che sono speculari. Leggetele, perché è bene partire come dicevo da fatti obiettivi. È impressionante il racconto su come il ragazzo si è mosso, su come l’autore che gli è andato dietro – Lotti ci ha raccontato che era Pacciani con un coltello dopo aver sparato – leggetelo voi: vedrete quello che vi dico. Su questo punto l’aggressione del ragazzo francese è un racconto identico. Ma c’è qualcosa in più e ancora maggiormente dimostrativo del fatto che vi è un ulteriore, per l’85, riscontro obiettivo. E sono 4 o 5 righe della stessa perizia che riguardano il racconto di Lotti per quanto riguarda le escissioni alla ragazza francese, e dall’altra parte la ricostruzione dei medici legali. Sostanzialmente Lotti ha raccontato nel corso dell’incidente probatorio: “Nell’85 Vanni – innanzitutto Vanni – aveva un coltello, si occupò della giovane donna nella tenda, fece dei tagli prima nella tenda e poi fece le escissioni entrando in tenda. Contemporaneamente a questa azione, Pacciani inseguì il ragazzo francese, lo uccise”. Poi spiegherò con un coltello, perché vide gli esiti, lui vedeva che gli tirava dei colpi. È stato corretto Lotti, dice: ‘io ero a distanza, vidi che lo colpiva e quello cascava’. Gli è stato chiesto: ‘saranno stati pugni, sarà stato… ? ‘io vidi che lo colpiva, capii dopo che era un coltello’. Guardate come è corretto Lotti nel fare questo racconto. Lo metteva in evidenza l’altro giorno l’avvocato Colao. Poi, dopo l’aggressione al francese di Pacciani con il coltello mentre il Vanni era in tenda – secondo il racconto Lotti – dice Vanni, dice – chiedo scusa – Lotti: ‘Pacciani tornò alla tenda dove c’era Vanni, dove rimasero circa 10 minuti per compiere le escissioni’. Quindi nel racconto di Lotti abbiamo questo discorso: ci sono due coltelli, uno in mano a Vanni e uno in mano a Pacciani. Leggiamo cosa dicono, dopo aver esaminato il cadavere della ragazza, i medici legali che hanno fatto la perizia nel 1985, ne leggo un pezzetto riassuntivo, è la pagina 26. Dicono i medici legali: “Dopo aver ucciso la vittima di sesso maschile, il reo – correttamente, dicono il reo – è tornato sui suoi passi e operando all’interno della tenda, ha iniziato con calma – loro dicono con calma; guarda caso allora loro notano un’azione con calma, oggi Lotti ci dice che ci son stati 10 minuti: che strana coincidenza, ma non è qui il punto – con calma la rituale escissione dei feticci. E come già detto in precedenza – perché è un punto che hanno già affrontato i medici, dicono – tagliando prima il seno della ragazza con le sopracitate – perché ne hanno già parlato – difficoltà di affilatura del mezzo tagliente”. Cioè nel tagliare il seno, il mezzo tagliente non era ben affilato. Quindi è stato tagliato il pube, dove tali difficoltà di taglio non appaiono più documentabili. E aggiungono; “il che rende possibile l’ipotesi che egli, reo, disponesse di un secondo coltello”. Signori, se questa non è una prova oggettiva dell’attendibilità di cosa dice Lotti, io non ho altro da aggiungere, da offrire a voi. Già nel 1985 si ipotizza o si dà certezza perché le escissioni dimostrano questo, che furono usati sulla ragazza due coltelli. Lotti cosa vi dice? ‘prima Vanni taglia la tenda’ quindi ipotizzabile che il coltello non è affilato come si deve, quello di Vanni, ma questa è un ‘ipotesi e poi ‘Pacciani ha l’altro coltello’. Quindi, sulla ragazza sono usati due coltelli. Lotti cosa vi dice? ‘li ho visti in tenda per 10 minuti tutti e due a fare il lavoro sulla ragazza’. Qui c’è un riscontro oggettivo della presenza di due coltelli nell’esame del cadavere della ragazza francese. Ecco un elemento obiettivo sul quale signori, né io e né le altri parti, né voi Corte, potete nutrire dubbi. Ecco, su cosa si basa la convinzione del P.M. circa la attendibilità della confessione. Per l’85 c’è un elemento oggettivo: due coltelli si vedono sul cadavere. E voi avete la possibilità di verificare questo dato leggendo le pagine che vi ho detto di quella consulenza medico-legale. Sarebbe già abbastanza. Io sarei soddisfatto se, come P.M., avessi questo elemento insieme a una confessione, insieme a quelle testimonianze relative a quelle persone, a quella telefonata. Ma c’è di più: la Corte aveva, nel ’94 aveva giustamente detto: ‘attenzione, ci sono fatti… sicuramente questo sodalizio se c’è, è anche antecedente’. Vediamo un attimo se un riscontro oggettivo di tale portata e forza, esiste anche per l’omicidio del 1984, quello di Vicchio. Cioè, vi dico: verificate e vi offro la prova, che c’è un riscontro oggettivo all’attendibilità al di là di quelle che sono le dichiarazioni dei testimoni che hanno visto o hanno fatto. Al di là della confessione, c’è un altro elemento oggettivo per l’84. È di identico valore probatorio di quello che vi ho appena descritto. Vi chiedo nuovamente attenzione per quanto riguarda l’omicidio di Vicchio, il riscontro oggettivo in un documento medico-legale è il seguente: Lotti dichiara 12 anni dopo, dichiara nel ’96, i fatti sono del ’84: lì guardate, sparò Pacciani alla Panda dei ragazzi di Vicchio, la ragazza fu poi trascinata fuori dall’auto nel campo di erba attiguo. Qui avvennero le escissioni ad opera di Mario Vanni”. Questo è in estrema sintesi il racconto, poi ci sono molti più particolari, Lotti dice: “Ero lì vicino, era buio, ho visto, ho intravisto, comunque le cose andarono così”. Aggiunge: “Ero abbastanza vicino da sentire che la ragazza dopo gli spari emetteva dei gemiti”. Questo dice Lotti. Guardiamo l’elemento oggettivo, perizia medico-legale fatta dai medici legali questa volta dell’università di Firenze allora. Nell’elaborato dell’istituto di Medicina Legale fatto allora, dai professori Maurri e Marini, leggo testualmente. Perché vi è un intero capitolo sul fatto di cosa è successo alla ragazza dopo gli spari, perché ha avuto uno sparo in testa, un colpo di pistola. E questo capitolo – perché noi dobbiamo vedere quel discorso di Lotti che ha sentito gemere dopo gli spari – l’intero capitolo che dura una decina di pagine, titola: “Eventuale sopravvivenza e possibilità di movimenti coordinati finalistici della ragazza dopo il colpo di arma da fuoco alla testa”. Pagina 59. Sono dieci pagine tutte identiche con dovizia di particolari e con tutta la professionalità di questi medici legali e con tutte le incertezze che loro portano nel loro elaborato, nello spiegare come vi è sopravvivenza dopo un colpo di arma da fuoco e quali sono i sintomi per cui si può dire nel caso specifico quello che vediamo. Dicono i medici legali, Lotti dice: ‘la ragazza dopo gli spari, gemeva, si lamentava’. Traduciamolo come vogliamo, glielo richiederemo cosa ha sentito. I medici legali dicono: “Sul cadavere non ci sono segni che indichino la comparsa di morte immediata”. Secondo: “Al contrario, al contrario, ci sono segni indicativi di una certa sopravvivenza che come abbiamo già detto – io ho preso un pezzo e basta – sono rappresentati dall’edema polmonare”. Ancora, poi, dicono, più sotto: “Per quanto riguarda il carattere delle lesioni da arma bianca al collo della ragazza – perché c’è una lesione al collo della ragazza – si può conclusivamente dire che se sono molto più probabilmente inferte in vita che in morte – cioè dopo un colpo di arma da fuoco, c’è un colpo al collo – inferte in vita che non in morte. Ciò perché lo stravaso ematico – e qui danno la spiegazione scientifica – lungo il tramite, lungo alcuni dei muscoli della regione latero cervicale sinistra è stato abbondante”. Cioè questa ferita.. . è difficile anche per me raccontare questi fatti, perché sono fatti che dimostrano una verità incontestabile: la ragazza era viva, fu ammazzata con un coltello. Lo dicono i medici legali allora. C’era una ferita che sanguinava abbondantemente, la ragazza era viva, gemeva, l’autore – il Vanni, secondo il Lotti – usò il coltello per finirla. Ecco qua. Noi non ci spiegavamo come mai c’era questa ferita al collo. C’è anche in altri delitti quando c’è sopravvivenza, lo vedrete, io vi ho offerto tutti i fascicoli fotografici di tutti i delitti per i quali oggi vi è processo. Cioè c’è una ferita al collo sanguinante, perfettamente compatibile con uno stato di sopravvivenza; e quando uno è stato colpito da un colpo di arma da fuoco, è in coma, non è in coma, coma profondo, ce lo spiegheranno i medici, non ha importanza. Chiederemo tutto quelle che voi vorrete chiedere a riscontro di questo. Ma il fatto storico è che vi era una ferita al collo, la ragazza non era morta; Lotti dice: ‘gemeva e fu poi portata nel campo accanto e sono state fatte le escissioni’. Ecco la spiegazione. Erano finiti i colpi, la ragazza gemeva: colpo al collo per ammazzarla. A me costa raccontare così crudamente i fatti. Perché mi viene in mente la scena e mi viene in mente Lotti che ora la racconta e le difficoltà che ha avuto a raccontarcela. Ecco: “La ragazza gemeva e l’autore ha usato il coltello per farla smettere di gemere. Perché poi ha dovuto fare le escissioni”. Questo è il racconto di Lotti, questa è la verifica oggettiva di quello che vi ho detto. Abbiamo ulteriore bisogno oggi di verificare l’attendibilità di questa confessione quantomeno per i fatti dell’85 e dell’84, o ci sono – come ritengo – già elementi obiettivi a questo punto per capire due cose: che la confessione è giusta e secondo che le difficoltà di questo signore che in questi giorni si è presentato davanti a voi dicendo: ‘Ho commesso quei fatti’, essendo additato da tutti come il “mostro”, o uno dei “mostri”, le difficoltà che ha avuto questo signore a raccontarle. Però ciò che ha raccontato trova riscontro nelle carte che voi avete già oggi nel fascicolo del dibattimento. Ecco cosa vuol dire “Sentii la ragazza che gemeva”. C’è una spiegazione chiarissima in questa perizia, così come c’è la spiegazione della presenza di due coltelli nell’85. Ecco cosa dice Lotti. Si può ipotizzare che avesse letto le perizie, ma mi rifiuto dì andare su questi racconti. Perché il suo racconto è talmente imperfetto che non ci possono essere dubbi su questo. C’è un ulteriore riscontro oggettivo anche per il 1983. Lo sintetizzo al massimo, perché mi sembra che è sufficiente ciò che avvenne nell’85 e nell’84. Andiamo a Giogoli. Qual è il racconto di Lotti, in estrema sintesi? È l’omicidio dei due tedeschi nel pulmino, due uomini. È descritto nel capo di imputazione, ci sono le foto dei rilevamenti dei corpi, in atti. E le foto del pulmino. Il racconto di Lotti, in sintesi proprio estrema, è questo: “eravamo lì, io, Pacciani e Vanni. Pacciani mi mise la pistola in mano, mi invitò a sparare. Io sparai attraverso i finestrini verso le sagome dei due giovani che mi parvero seduti. Sparai alcuni colpi, poi non ce la feci più. La pistola me la tolse di mano Pacciani, fece il giro, sparò altri colpi. Vanni era lì accanto con il coltello. Erano due uomini, non se ne fece di nulla. Io mi allontanai perché non reggevo all’emozione. E Pacciani si era accorto che io non ero capace di sparare. Mi voleva coinvolgere nello sparo, nel delitto fino al punto che poi non avrei più parlato”. Questo è il succo di Lotti. Ma allora, se voi verificate quel dato oggettivo che è l’altezza degli spari dalla parte destra del pulmino, vedrete come giustamente mette in evidenza il GIP nel suo decreto di rinvio a giudizio: che finalmente abbiamo capito come mai c’erano stati dei dubbi sull’altezza dello sparatore, nell’83, dalla parte destra. Perché si diceva, quando si parlava di Pacciani, l’altezza era incompatibile, era più basso di quegli spari. Un ragionamento difficilissimo da fare in punto di vista tecnico. Abbiamo Lotti davanti a voi, non oggi, è una persona dell’altezza che voi potrete verificare. È la persona che quando dice: ‘io ho sparato’, è la persona alta a sufficienza, alta esattamente come è la direzione che può avere impresso a quegli spari. Io direi che, in punto di riscontri oggettivi sulla attendibilità, io non avrei grandi altre cose da dire. Ma io sono sincero, potrei anche smettere di andare avanti nell’illustrare la mia convinzione su questa confessione. Ripeto, convinzione che è: oggi io non ho verità davanti, l’accusa non ha verità. Facciamo, verifichiamo tutto in dibattimento. Siamo tutti. Però vi dico che questi elementi sono elementi che a me lasciano fortemente impressionato dal punto di vista della attendibilità. Verifichiamolo insieme, perché solo con la verifica dibattimentale possiamo essere ancora più tranquilli. Però l’elemento oggettivo è lì, quelle perizie e quei cadaveri, con quelle caratteristiche, non ce li sposta più nessuno. Allora vi dicevo: ci sono riscontri obiettivi sulla attendibilità di Lotti, vi sono riscontri testimoniali. Cioè persone che raccontano fatti vissuti e visti nell’identico modo che ha raccontato Lotti. Quindi io vi dico: guardate, che oltre i riscontri oggettivi dati dalle perizie, e ci sono elementi testimoniali. Io li ho elencati uno dopo l’altro nella mia lista testi che ho già depositato e vi ho indicato punto per punto, teste per teste, le persone che hanno visto qualcosa relativamente alla posizione Lotti, perché per ora io sono sempre sulla posizione Lotti. Perché vorrei che, fin da questa fase, rimanesse ben chiaro che è il processo a Lotti, che bisogna prima verificare se Lotti dice il vero. Poi, se abbiamo questa convinzione, andiamo avanti. Allora vi dico: guardiamo i riscontri testimoniali che io vi ho indicato sulle dichiarazioni Lotti. Sono talmente tanti e provenienti da testimonianze di persone terze estranee, che anche queste ci lasciano sufficientemente tranquilli. Verifichiamole in dibattimento. Io proverei a sintetizzare cosa dicono queste persone, indipendentemente da nomi e cognomi che sono indicati. Vi faccio solo presente che c’è quel Pucci che dice di essere stato presente insieme al Lotti nell’85. Entrambi sono stati minacciati da Pacciani, per questo poi non hanno, non sono andati dai Carabinieri. Tutta ima serie di fatti che riscontrano le dichiarazioni Lotti. Ma soprattutto quel Pucci Fernando, quella persona che verrà in quest’aula a dire cosa ha visto. Pochi giorni fa ha ripetuto il suo stato alla Polizia Giudiziaria dicendo che finalmente si è liberato di un peso che era aver taciuto per dieci anni, ma avevano avuto paura. Era stato Lotti a non voler andare dai Carabinieri. Lui, Pucci, dieci anni fa – anzi, 12 per la verità, nell’85 – ci sarebbe andato. Pucci dice: “io ho visto” e dice esattamente ciò che ha visto Lotti. Non abbiamo elementi per dubitare di questo perché la scena che racconta Pucci è identica. Vi sono quei testi che vi ho già anticipato, quelli che quella sera hanno – sono due – visto la macchina di Lotti davanti alla piazzola di Scopeti. Vi sono, per quello che riguarda Pucci, i familiari che danno riscontro alle sue dichiarazioni. Ma vi sono una serie di persone terze, vi dicevo, cioè che non hanno assolutamente alcuna parte in questo processo, che danno riscontro su singole circostanze relative sostanzialmente al Lotti. Perché? Vi accennavo ieri, quando si parlava della questione relativa alle minacce, alla lettera di minacce per le quali è imputato l’avvocato Corsi, che già nel bar di San Casciano, dopo l’omicidio, qualcuno riferiva, od aveva sentito dire che Lotti diceva di essere stato lì la sera dell’omicidio. Vi è un teste, un orefice, che racconta che questo è vero. Al bar si diceva questo e lo stesso Lotti ammetteva di essere passato di lì allora. Ovviamente diceva di essere passato, però è un dato del 1985, non di ora. È un riscontro al Lotti di allora. Purtroppo è un riscontro che non aveva avuto, perché questo signore lo ha confermato successivamente, lo sviluppo che doveva avere avuto allora. Ma ci sono dei testi, altri, che dicono di aver visto il pomeriggio della domenica la 128 di Lotti, quella 128 caratteristica. È una 128 sport coupé, come le chiamavano allora, tronca dietro di un rossiccio molto sbiadito per il sole. Il teste dice: “ho visto il pomeriggio due persone – e descrive le sue caratteristiche fisiche che sono Lotti e Pucci – che guardavano verso la tenda”. Erano le cinque, le sei di pomeriggio. “E le ho viste bene, perché volevo fare una fotografia, stavo facendo delle foto. Non avevo rotolino, sennò lo avrei fotografato”. Sapete Lotti e Pucci cosa dicono? Non sapendo ovviamente nulla di questa testimonianza: ‘il pomeriggio, verso le sei, eravamo lì e guardavamo nella piazzola’. Quindi le dichiarazioni di Lotti e Pucci trovano riscontro in questo signore terzo, che questo dice. Altro teste indicato nella lista: ‘nei giorni precedenti, vicino alla piazzola di Scopeti, c’era una 128 rossa’, altro teste. Questo, solo per indicare i riscontri per quanto riguarda solo la posizione Lotti. E poi ci sono anche quelle per quanto riguarda la posizione Vanni. Nella piazzola, Scopeti, nell’85. Identico discorso, riscontri terzi per quanto riguarda l’84.
Sono… cerco di essere estremamente sintetico, perché è tutto indicato nella lista testi, ma volevo far vedere quanti sono numerosi, su circostanze diverse, tranquilli, i riscontri alle dichiarazioni Lotti per l’84. C’è una signora, prostituta, non prostituta, amica, non amica di Lotti, che dice: ‘sì, è vero ciò che dice Lotti. Nell’84, noi, io e lui, eravamo stati a fare l’amore nella stessa piazzola dove poi c’era la Panda. La macchina la mettemmo nella stessa posizione. Lotti dice il vero quando dice di essere già stato lì a fare i sopralluoghi. Ci siamo stati anche io e lui”. Lo stesso Pucci dirà: “si, è vero, siamo andati prima dell’omicidio a fare un sopralluogo’. Entrambi, Pucci e questa signora Nicoletti, ci sono stati portati, hanno riconosciuto il posto, ce li possiamo riportare, se la Corte crede, in qualsiasi momento. Vedremo cos’hanno da dire. Ci sono due ultime testimonianze ancora più importanti, perché provengono da terzi, per l’84. Lotti dice: ‘dopo l’omicidio, per allontanarci dal posto, non facemmo la strada statale, ma passammo da una strada sopra, sterrata. Passammo effettivamente da una fonte’. Ci sono due testi che sono stati, si sono presentati spontaneamente anni e anni fa. E hanno sempre detto: ‘a mezzanotte, alle undici, avevamo una casa in campagna lì, sulla strada sopra la Boschetta dell’84. Facevamo, prima di tornare a Firenze, riserva di acqua. Portavamo acqua a casa – chi non lo fa quando va in campagna, la domenica? – ‘eravamo alla fonte, abbiamo preso l’acqua, abbiamo visto una cosa che ci ha subito colpito e che quando abbiamo saputo che c’era stato l’omicidio, l’abbiamo legata’. Questo lo dicono anni e anni fa quando di Lotti nessuno parlava. Dice: ‘a quella fonte, ad un certo punto, in quella strada che noi percorriamo tutte le domeniche perché abbiamo una casa lì, non passa mai nessuno, è una strada assolutamente… che non porta altro che alle nostre case e a quella fonte. Sono passate due macchine. Una davanti piccola bianca e una dietro, rossa. Che la seguiva subito al parafango, tant’era vicina. Facevano un sacco di fumo e andavano ad una velocità assolutamente incompatibile con quei luoghi e con l’ora notturna. E facevano una gran polvere’. Lotti, nel sopralluogo e subito, ha detto: ‘è vero, noi quella notte facemmo quella strada’. Poi spiegherà perché, per evitare un passaggio a livello, perché il Pacciani conosceva meglio quella strada, perché doveva nascondere la pistola… Tutte cose che vedremo. Il punto fondamentale è che, al racconto di Lotti che erano passati da sopra e non dalla statale, che erano passati su una certa curva dove c’era una fonte, Lotti dice: ‘sì, davanti era Pacciani che sapeva la strada, con la macchina bianca; e io ero dietro. Pacciani e Vanni, e io ero dietro con la mia macchina rossa’. Identica, precisa, la spiegazione a questi due cittadini che spontaneamente si presentano e dicono: ‘ma voi processate un signore Pacciani, una macchina bianca… Noi, quella sera abbiamo visto anche una macchina rossa’. Cosa gli doveva rispondere a questi signori la Polizia Giudiziaria allora? Cerchiamo la macchina rossa. E’ quello che hanno fatto, c’è voluto del tempo, troppo, sicuramente. Però oggi è una spiegazione con fonte testimoniale di quella circostanza vista da questi signori. Ci sono altre testimonianze, numerose, sempre per l’84: quelle che vedono che conferma ai discorsi che la ragazza Pia Rontini, dopo il lavoro, veniva probabilmente seguita da qualcuno. Tant’è che l’accompagnavano a casa. Lotti puntualmente ipotizza e dice: ‘sì, nei giorni precedenti l’abbiamo seguita’. L’avranno seguita più facilmente Pacciani e Vanni. ‘Io sono andato una volta con Vanni’. Fa tutto un racconto che è l’esatta fotocopia come circostanze di quelle emerse sul punto. La ragazza aveva paura la sera perché qualcuno la seguiva, tant’è che ci sono testi che hanno detto, allora e ora, che la ragazza veniva accompagnata. C’è qualcosa da dire in più, qualche teste in più sul riscontro della personalità di Lotti? Sì, ce ne sono altre; oltre che su fatti oggettivi, ci sono sulla personalità. Le spiegazioni oggettive, cioè attraverso testimoni, di quella che è la personalità che Lotti porta in questo processo; della sua difficoltà sessuale; dei suoi rapporti omosessuali. Ci sono testi che dicono di essere al corrente di questo. Io non so se valga qualcosa, in questo processo; ma siccome è stato citato – il Pacciani – non da me, ci sono delle interviste a giornali, che io offro come documento, in cui lo stesso Pacciani dice di sapere che Lotti era un omosessuale. Per quel che serve… Non è questa la prova che mi interessa. Ma c’è riscontro ulteriore su questi fatti e sulla personalità di Lotti. Ci sono persone che raccontano questa personalità, soprattutto la nipote di Vanni, in un contesto che questi uscivano insieme in tre, nel ’95, Lotti, Vanni e questa nipote di Vanni – questa ragazza Bartalesi – particolare, vedremo, non è questo il momento per parlarne. Però cosa dice questa ragazza, illustrando la personalità di Lotti? Due, tre cose che sono fondamentali, cioè sono la fotocopia di come abbiamo conosciuto noi il Lotti. Questa ragazza dice: “È chiaro che aveva un segreto. Non riusciva a parlarne, aveva difficoltà. Io cercavo di scalzarlo”. È la nipote di Vanni che fa questo tipo di racconti: lui aveva un segreto, non riusciva a parlare. “Aveva difficoltà ad avere rapporti sessuali. Addirittura mi portò nella piazzola degli Scopeti; conosceva perfettamente il luogo, comprese le radici degli alberi.” – dove c’è stato l’omicidio – “Mi portò lì un giorno d’estate e conosceva talmente bene le radici, che io, che ho qualche difficoltà a camminare, fui aiutata da lui perché aveva paura che cadessi”. Signori, ma Lotti ha sempre detto di esserci stato, in quella piazzola. In più, aggiunge: “Non voleva, non so perché, che io – nipote – stessi da sola con Mario Vanni”. Non so cosa volesse dire, ce lo facciamo spiegare meglio. Allora, vedete che la personalità di Lotti, oltre tutto quello che abbiamo detto in punto di riscontri oggettivi, ha una possibilità di essere chiarita completamente in questo dibattimento. Noi vi abbiamo dato, come indagine, una mano? cioè abbiamo nominato, il P.M., un consulente tecnico per vedere se era possibile riscontrare qualcosa sulla personalità di Lotti, e anche di Pucci ai fini del 196. Cosa ha concluso il medico psichiatra che ha valutato questa personalità, o meglio se fosse affetto da patologie di tipo sessuale o meno? questo era l’oggetto della domanda. Ha detto una cosa che noi scopriamo in modo diverso da come la scopre il medico. La prima cosa che dice, dice: “In estrema sintesi, la realtà clinica del Lotti può essere identificata in quella di un uomo apparentemente immune da patologie somatiche e psichiatriche di rilievo, ma orientato in senso omosessuale”. Non sapendo nulla delle sue dichiarazioni, che Lotti farà mesi dopo, già emerge nell’esame dal punto di vista del medico questo carattere ‘orientato in senso omosessuale’ “connotato da forti istanze di carattere perverso“. E cosa ci ha spiegato, poi, questo? ‘Io andavo lì, mi ci portava’. Una volta in un interrogatorio ha detto ‘a noi piaceva’. Ecco la perversione. “Sicuramente tali, queste perversioni, da essere parte della sua personalità, delle sue scelte e della sua stessa interazione con l’esterno”. Ecco che, se serviva la scienza per darci un’indicazione sulle patologie di Lotti, abbiamo anche questo elemento. Una considerazione in più su quello che riguarda la testimonianza di Pucci. C’è un articolo del Codice che dice che il Giudice può valutare la capacità a testimoniare, è l’articolo 196. Il P.M. ha fatto anche questo, perché si è accorto che Pucci è persona semplice, troppo semplice. È una persona che è bene che presentandosi a voi, nella sua semplicità, faccia il suo racconto così com’è. Ma per pura tranquillità, vediamo se la scienza ci può dare una mano; per vedere se questa sua semplicità può interferire sulla capacità di testimoniare. Cosa dice il consulente che io ho chiamato qua: “L’esame effettuato al Pucci ci consente di affermare con chiarezza che è capace di testimoniare e di fare racconti”. Lo vedrete nei dettagli, quando sentiremo questi testi. Allora, io mi accingo un attimo a riassumere brevemente come andremo avanti nella seconda fase, e cerco di essere più schematico possibile; perché ho detto, nel momento in cui io riuscissi, o l’accusa riuscisse, a dimostrare che Lotti è attendibile, capite che è più facile, dal punto di vista dell’accusa, crederlo quando fa la chiamata di correo. Perché è il Codice, che ci chiede di verificare con riscontri obiettivi la chiamata di correo al 192. E io vi dico: guardate, l’attendibilità è tale, per cui possiamo essere tranquilli sulla confessione; verifichiamo se è attendibile quando fa la chiamata di correo. Seconda fase della illustrazione delle prove del P.M.. La seconda fase è ancora più semplice, non perché viene dopo, ma perché il primo riscontro alla chiamata di correo, Lotti nei confronti di Vanni, cioè che Lotti dice il vero quando parla di certi fatti di Vanni – che il Vanni ovviamente nega, ha fatto una scelta diversa dal Lotti, legittima, consentita, da valutare però da voi – perché la chiamata di correo sapete dove trova il primo riscontro? Nelle ammissioni – dico ammissioni – dello stesso Vanni, per il quale io chiedo l’esame. Cosa dice Vanni su fatti ovviamente che a lui sembrano non pericolosi, perché sono fatti che non hanno a che fare con gli omicidi. Dice due o tre cose. Che la dicono lunga sul rapporto Lotti-Vanni, perché riscontrano esattamente e puntualmente le dichiarazioni di Lotti. Sono tre argomenti, li vedremo. Lotti dice: “Avevo parlato con Vanni dell’esistenza di una coppia e di una Panda celeste a Vicchio”, dice Lotti. “Ne avevo parlato con Vanni prima dell’omicidio”. Vanni dice: “È vero, me ne parlò”. A noi interpretare. Dà anche i particolari del come me ne parlò. Cioè, è vero che della Panda di Vicchio Vanni sapeva dal Lotti prima dell’omicidio. Lotti dice: “Mi avevano mandato, io avevo individuato la coppia, con Pucci e con la Nicoletta; io avevo individuato il posto e ne parlai a Vanni. Non so se, poi, Vanni ci andò a fare altri sopralluoghi insieme a Pacciani. Io andai con lui…” e fa tutto un racconto. Avevano seguito la ragazza, erano andati nel bar. Vediamo. Prima ammissione: è vero. Seconda ammissione…
Avv. Nino Filastò Mi scusi, Presidente, mi scusi.
Presidente: Sì.
P.M.: Io non l’ho interrotta, avvocato.
Avv. Nino Filastò No, no. Ma io…
P.M.: Poi lei la valuterà.
Avv. Nino Filastò No…
P.M.: Mi perdoni.
Avv. Nino Filastò No. . .
P.M.: Poi lei la valuterà, mi perdoni.
Avv. Nino Filastò È una questione formale, Pubblico Ministero.
P.M.: No, non è…
Avv. Nino Filastò Lei sta citando delle dichiarazioni di Vanni.
P.M.: Io cito delle ammissioni…
Avv. Nino Filastò Le quali dichiarazioni di Vanni sono dichiarazioni che sono a verbale, e ha lei, e che la Corte potrebbe anche non conoscere, perché se Vanni…
Presidente: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò Come?
P.M.: L’ho indicato e ho chiesto l’esame, avvocato.
Presidente: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò Proprio perché lei ha chiesto l’esame.
P.M.: Se lo negasse, io glielo consento.
Presidente: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò Se l’imputato fa l’esame… Lei sta facendo l’arringa, la requisitoria finale… va bene. Questo è un altro discorso – questo è liberissimo di farlo.
P.M.: L’ha fatta lei, la faccio io.
Avv. Nino Filastò Io, cosa ho fatto io?
Presidente: Avvocato, sta solamente indicando…
Avv. Nino Filastò Presidente, scusi, è una questione di carattere formale. Se Vanni rende l’esame e il Pubblico Ministero non ha nulla da contestare…
P.M.: Io ce l’ho da contestare, quindi è risolto il problema.
Avv. Nino Filastò Bisogna vedere cosa dirà, no?
P.M.: Sì…
Presidente: Poi le contesterà, come no.
Avv. Nino Filastò Quelli sono atti che la Corte non dovrebbe nemmeno conoscere.
Presidente: Ma non vedo perché il Pubblico Ministero non le possa dire queste cose qui. Io non lo so, se sono con…
P.M.: Sanno benissimo, le parti, che sono vere, Presidente.
Presidente: Va bene, avvocato. Va bene, avvocato, abbiamo capito.
Avv. Nino Filastò Io sto dicendo, Presidente, che sono atti che la Corte potrebbe, a termini di Codice, non conoscere e non dovere conoscere.
Presidente: Ma infatti non li conosciamo.
P.M.: Io li offro come prova.
Presidente: Noi non li conosciamo.
Avv. Nino Filastò La mia obiezione è di carattere… Qui, il Pubblico Ministero li sta addirittura leggendo. Questa è la mia obiezione…
P.M.: No, no, guardi…
Avv. Nino Filastò … di carattere formale. È a verbale e mi basta. Poi fate voi.
Presidente: Scusi, scusi avvocato, non conosciamo per ora, come non conosciamo le altre cose che ha detto.
Avv. Nino Filastò L’obiezione, Presidente, io l’ho fatta. Poi vedrete…
Presidente: Non sono prove ora, queste cose qui, però il Pubblico Ministero le può indicare.
Avv. Nino Filastò Per carità. È una questione…
Presidente: Avanti, può continuare. Grazie.
Avv. Nino Filastò Quando ho fatto la mia obiezione, io sono a posto.
Presidente: Pubblico Ministero, può continuare. Grazie.
P.M.: Grazie, Presidente. Volevo dire che, nello stesso identico modo, cioè attraverso l’esame dell’imputato Vanni, perché ha già reso dichiarazioni, mi riservo – e ho la possibilità tecnica di dimostrarvi e con la contestazione e, nel caso di eventuale negazione, con la produzione dei relativi verbali – che ha fatto, Vanni, determinate ammissioni. E siccome sono fonti, io credo di poterle citare.
Presidente: Sì, Sì.
P.M.: Ne farà l’utilizzazione che crede, la Corte. Dicevo che ammette altre cose; ammette di aver comprato la pistola, così come è emerso…
Avv. Nino Filastò E questo non è vero, eh.
P.M.: Chiedo scusa, chiedo scusa: voluto comprare la pistola, mi perdoni. Voluto comprare la pistola. Io ho offerto un teste, sul punto, che è l’armiere di San Casciano, che ammette questa circostanza; e ho offerto una dovizia di testi circa il contenuto della lettera; lo stato di paura che aveva Vanni, a seguito di quella lettera di minacce che aveva ricevuto. Direi che è un argomento, questo, che è stato affrontato ieri quando parlavamo della lettera, guardando la posizione dell’avvocato Corsi, per la quale io non ho interesse a tornare sopra. Volevo solo mettere in evidenza come c’è la possibilità di dimostrare, attraverso ammissioni che entreranno direttamente su contestazione o attraverso i verbali nel processo, perché queste ammissioni ci sono state, cronologicamente. Poi vedremo il contenuto e vedremo come voi eventualmente le potete utilizzare. Ma, al di là delle ammissioni, dopo i riscontri su quello che riguarda la posizione propria di Lotti, ci sono una serie di riscontri univoci sulla chiamata di correo del Vanni. Qui sono veramente sintetico, perché oramai avete capito che la possibilità di prova testimoniale è massiccia, nel processo. E io vi dico che, oltre alle dichiarazioni di testi che dicono ‘è vero, è la sua macchina l’abbiamo vista nell’84, nell’85’, ci sono testi a dovizia indicati nella lista, per quanto riguarda la partecipazione di una seconda persona, indicata poi da Lotti come Vanni, e nel delitto dell’85 e nel delitto dell’84. Per quanto riguarda l’85, io, a questo punto, solo per sintesi ne cito alcuni. Ci sono due testi…
Presidente: Sintesi? Ah, ne cita due.
P.M.: Ne cito alcuni. Ci sono dei testi – al di là del Nesi che dice di averli visti in due sulla macchina di Vanni – che dicono ‘guardate, io passavo dalla piazzola degli Scopeti in senso inverso – cioè San Casciano-Firenze anziché Firenze-San Casciano – e la notte del fatto, a mezzanotte o giù di lì – nell’ora che poi è stata ricostruita come omicidio – nella strada di fronte alla piazzola, al di là della strada, vi era una macchina bianca, con due persone a bordo che si stava immettendo sulla strada. “Io me la son vista davanti. C’erano due persone, era una macchina piccola bianca. Quando mi hanno visto hanno fatto una sorta di marcia indietro, hanno spento i fari”. È esattamente il racconto che fanno Lotti e Pucci per quella sera. Cioè, Vanni e Pacciani erano sulla loro macchina, che avevano parcheggiato dietro un muretto al di là della strada. Sono testi che vi ho indicato. Quindi capite che queste sono testimonianze di allora, del 1985, di persone che avevano visto questi fatti. E quindi sono testimonianze che oggi ci danno un oggettivo riscontro a quelle dichiarazioni del Lotti. Identico, c’è un teste che dice: “L’indomani mattina ho visto Pacciani sul luogo dell’omicidio che portava via qualcosa”. Lotti vi dice che la sera del fatto si erano chinati e avevano nascosto qualcosa, nel 1985. Avevano fatto una buca. C’è un teste che dice che la mattina alle 5, alle 6: ‘ho visto Pacciani che veniva lì con un fardello, qualcosa addosso e veniva via proprio da quel posto. “Ne sono sicuro”. Lo dice allora. Quindi, vedete, anche la descrizione di Lotti su cosa era successo dopo l’omicidio trova riscontro in un fatto oggettivo di una testimonianza lontana nel tempo. Ma per Vicchio, ancora, ce ne sono di testimonianze. Ci sono quelle di persone numerose che hanno visto Vanni al bar della stazione; riscontro a quanto dice Lotti.
Avv. Nino Filastò Presidente, scusi, vorrei che si desse atto… avvocato Filastò, difensore di Vanni, che il teste…
P.M.: Ma scusi avvocato, io non l’ho interrotta.
Avv. Nino Filastò Abbia pazienza…
P.M.: No, io non ho pazienza.
Avv. Nino Filastò Il teste Rontini è presente dall’inizio della sua requisitoria…
P.M.: Mi perdoni, scusi! Avvocato, alloca mi lasci parlare.
Avv. Nino Filastò Voglio dirlo.
P.M.: Prima di fare un’interruzione, mi faccia parlare!
Presidente: Avvocato, avvocato.
P.M.: Perché io non dico i nomi.
Presidente: Avvocato, avvocato, avvocato.
Avv. Nino Filastò Presidente, scusi…
P.M.: Io non parlo dei Rontini, che ne sa lei?
Avv. Nino Filastò Presidente, mi scusi, mi perdoni… ?
Presidente: È vero.
Avvocato: Il teste Rontini non è ancora stato ammesso come testimone, quindi può essere presente in aula.
Presidente: Parte offesa e parte civile e basta.
Avvocato: Il teste Rontini non è stato ancora ammesso come teste, quindi può essere presente in aula.
Presidente: Avvocato…
Avv. Nino Filastò Mi basta aver fatto presente la circostanza, Presidente.
Presidente: Sì, sì.
Avv. Nino Filastò Il difensore di Vanni…
Avvocato: È parte civile, fra l’altro.
Avv. Nino Filastò … è soddisfatto così.
Presidente: Bene.
Avv. Nino Filastò Che sia a verbale che dall’inizio dell’esposizione del Pubblico Ministero, il signor Rontini è presente in aula.
Presidente: Avvocato…
P.M.: Avvocato, ma se lo diceva dopo, scusi, invece che interrompere me, non era correttamente più idoneo?
Presidente: Pubblico Ministero…
P.M.: È la seconda volta in 10 minuti che mi interrompe.
Presidente: Scusate, scusate… Avocato Filastò…
Avv. Nino Filastò L’ho detto ora, perché speravo che lei non affrontasse questo fatto.
Presidente: Avvocato…
Avv. Nino Filastò Lei l’ha affrontato e ho dovuto dirlo. Ecco, ha capito?
P.M.: Ma se lo diceva dopo non cambiava assolutamente nulla.
Avv. Nino Filastò Comunque, mi dispiace di averla interrotta.
P.M.: Per due volte in 10 minuti,
Avv. Nino Filastò Non lo fo più, guardi.
P.M.: Io ieri non l’ho interrotta, nemmeno una volta.
Avv. Nino Filastò Verissimo.
Presidente: Avvocato Filastò e gli altri, non si può andare avanti così. Ogni volta che si dice qualcosa non gradita, si interviene e si crea un po’ di… Non è possibile. Quindi, mi raccomando al senso di responsabilità vostra. E Santo Cielo!
Avv. Nino Filastò (voce non udibile)
Presidente: Si, sì va bene, però non sono queste, non è la relazione introduttiva che pregiudica il Vanni; sono i fatti che il dibattimento proverà o non proverà. Tutto qui. Per ora, lui conosce una certa situazione, ha tutti gli atti a disposizione…
Avv. Nino Filastò (voce non udibile)
P.M.: Presidente, ho chiesto questi testi.
Presidente: Bene.
P.M.: Se non li illustro, non so come voi potete poi ammetterli o meno,
Presidente: Esatto.
Presidente: Può continuare, Pubblico Ministero.
P.M.: Grazie, Presidente. Ci provo. Comunque, dicevo, ci sono altre testimonianze relative a persone che dicono – tutte citate – che la ragazza veniva disturbata al bar, così come dice il Lotti. Ci sono testi che dicono che effettivamente c’erano delle macchie di sangue nella strada che va dalla piazzola della Boschetta, nell’84, fino al fiume, dove si andarono a lavare. Ci sono persone che dicono, il giorno dopo, di aver visto queste macchie di sangue. Sono più d’una. C’è, a questo punto sempre in estrema sintesi, per il 1983, il delitto di Giogoli, ci sono due testimonianze rese allora, cioè nel 1983, da due persone; che dicono che, nell’immediatezza del fatto, sia prima che dopo – ognuno ovviamente in circostanze diverse – dicono di aver visto davanti, nei pressi – 5 metri – del furgone dei tedeschi, un teste dice: ‘una macchina bianca con caratteristiche di vettura di piccola-media cilindrata’. E un’altra, una macchina rossa. Il Lotti dice: ‘è vero’. Ovviamente in circostanze completamente diverse dice: ‘avevamo fatto dei sopralluoghi, li avevano fatti senz’altro gli altri’. Questo è il tipo di testimonianze che vi offriamo e che offriamo alla Corte. E ce ne sono – e vado a concludere – anche per quanto riguarda gli episodi che io ritengo, o meglio, le posizioni minori; cioè quella dell’avvocato Corsi, che abbiamo affrontato ieri, e anche quella del Faggi, che risponde di due dei fatti. Qui ci sono una serie di testimonianze che confermano ciò che dice Lotti e ciò che dice Pucci. Cioè che il Faggi era amico del Pacciani, lo frequentava. Era una persona – purtroppo dobbiamo dirlo ai fini della ricostruzione della personalità – che aveva problemi di omosessualità; lo racconteranno diverse persone. Era persona – che, come dicono Lotti e Pucci – aveva una FIAT 131, sia pure in un momento storico diverso; era il Giovanni; era la persona, così come dice Lotti, che all’epoca del 1981 abitava proprio vicino al luogo dell’omicidio di Calenzano. Era la persona che è stata vista più volte a San Casciano in posti diversi, già dal 1980. È la persona che uno degli imputati – lo stesso imputato, l’imputato Vanni – ammette di aver visto con i limiti delle dichiarazioni di Vanni e della utilizzabilità – a San Casciano come amico di Pacciani. È il Faggi, persona che è raggiunta da una serie di elementi e di riscontri, su quelle dichiarazioni di Lotti e Pucci, che sono indicate tutte nella lista testi che ho presentato. Allora, signori – e cerco di concludere veramente ma non ho niente da aggiungere per quanto riguarda le prove sul reato di associazione, perché la descrizione dei fatti fatta finora, e di cui vi offriamo prova, è la descrizione di un sodalizio che sicuramente comprende persone non so se tutte note ad oggi, ma comunque persone che sono raggiunte da elementi che ci offriamo di provare sotto il punto di vista dell’associazione ex 416. Sono persone, come dice il Lotti, che avevano compiti diversi. C’era chi preventivamente vedeva le coppie; c’era chi faceva i sopralluoghi; c’era chi materialmente eseguiva. Quindi, per quanto riguarda le imputazioni e le fonti di prova, io non ho altro da aggiungere. Vorrei fare solo due brevi considerazioni, che sono solo tali. Per quanto riguarda i delitti precedenti – per i quali non vi è oggi imputazione a carico degli odierni imputati, perché non c’è nessun elemento a loro carico, probabilmente non esistono – è emerso, e noi lo proveremo, che, per quel che può servire, esclusivamente per verificare le dichiarazioni del Lotti, è vero che c’è un legame provato, forte, fra il delitto dell’83, in cui vennero uccisi i tedeschi, e qualche episodio precedente. Il Lotti e altri testi vi dicono, e hanno detto, che quell’omicidio fu fatto per liberare Francesco Vinci, uno dei sardi, che era stato implicato nel delitto del ’68. Di questo c’è quindi lina traccia forte nel processo, che ha l’utilità sola di riscontrare le dichiarazioni di Lotti; ma è una traccia che consente oggi di vedere come questa ricostruzione della verità a tappe sta andando nella strada giusta. Cioè, quell’omicidio dell’83 aveva fra gli scopi quello di liberare Francesco Vinci, perché era ingiustamente accusato di quel delitto; tant’è che viene scagionato. C’è forte una serie di testimonianze in questo processo che danno riscontro a quelle dichiarazioni di Lotti relative al fatto che gli si chiedeva dal carcere, da Pacciani, di fare omicidi per scagionarlo. Ci sono testimonianze di persone, che vengono dal mondo carcerario, che hanno sicuramente tutta quella difficoltà di raccontare e di essere credute, perché il mondo carcerario è quel che è; un mondo in cui sicuramente è difficile capire cosa si evolve e cosa matura, quali sono i rapporti. Ma c’è una serie di testimonianze che danno riscontro a Lotti circa questo fatto che dal carcere, chi era in quel momento accusato, in questa fase il Pacciani, che voleva che qualcuno gli facesse un omicidio per scagionarlo. Ed è esattamente la figura speculare di cosa era successo quando c’era Francesco Vinci, quindi è più che plausibile. È un elemento che dà riscontro a queste dichiarazioni. Io direi che solo a questo fine vengono indicate quelle testimonianze, non certamente per dare certezza di queste circostanze. No, è una situazione che esula completamente dalla prova dei fatti, omicidi addebitati agli imputati, ma è un riscontro ulteriore alle dichiarazioni di Lotti. L’ultimo, l’ultimo argomento signori, ma dovremo, a un certo punto – e io ne parlo già ora – parlare del movente. Dice: ma perché facevano questi omicidi? Mah, signori, io direi che se questo dovesse essere uno degli elementi da valutare, e lo sarà senz’altro, in una fase successiva, io ho delle indicazioni già ora. Signori, avete voi capito, nella descrizione che vi ho fatto dei personaggi, che personaggi sono. Si tratta di personaggi che per un motivo o per un altro, hanno sicuramente delle perversioni. Lotti ce l’ha detto lui stesso; degli altri, sono ricostruite attraverso testimonianze. Ma queste sono le perversioni che sono servite da movente a questi fatti. Sono un movente. È tranquillizzante questo movente? Io non lo so. È sicuramente un movente chiaro, perché Lotti ha detto fin dal primo momento, quando gli viene chiesto: ‘perché venivano fatti questi omicidi?’: “Perché piaceva a coloro che li facevano farli, quegli omicidi; perché piaceva stare a vedere, per quelli che guardavano”. È un movente che ci soddisfa? È un movente che vi soddisfa? Non lo so, però, attenzione, la perversione di questi soggetti è sicura; è una perversione il cui grado, il cui tenore io non so specificarvi. Sarà la attenzione che daremo su questo punto nel dibattimento a chiarirla meglio. Comunque, è il movente che emerge chiaramente nell’indagine. Se ce n’è un altro, se c’è un movente ulteriore io non lo so; ma non mi meraviglierei sicuramente di niente, se questo dibattimento, come il precedente, fornisse elementi ulteriori in proposito. Ritengo, quindi, che tutti gli elementi che ho offerto nella lista che ho depositato, siano elementi di prova che la Corte dovrà accogliere per dimostrare la tesi dell’accusa. Io chiedo, quindi, di produrre innanzitutto quell’elenco di documenti relativi alla prova generica, indicati nella mia lista ex 468 IV Comma e ex 238, che sono tutti gli elementi di prova specifica, cioè tutti gli elementi che nel corso del dibattimento già celebrato a carico di Pacciani sono stati già forniti in sede dibattimentale, quindi utilizzabili da voi, in merito alla prova specifica dei fatti omicidio. E sono le perizie medico-legale; i verbali di sopralluogo; i rilievi fotografici di tutti gli omicidi; e soprattutto le testimonianze di colore che hanno fatto questi atti, cioè gli ufficiali di Polizia Giudiziaria che hanno fatto i sopralluoghi, e dei medici legali che hanno fatto le perizie. Io vi chiedo di acquisire intanto, ex ufficio, queste testimonianze già rese in sede dibattimentale con, una volta acquisite, richieste in merito alla loro utilizzabilità. Però vi chiedo già di acquisirle, perché voi lo potete fare. Vi chiedo, quindi, di sentire tutti i testi di cui alla lista presentata; chiedo il controesame dei testi indicati dai difensori degli imputati; chiedo l’esame di tutti gli imputati. Mi riservo di fare delle deduzione in punto di ammissibilità di alcune liste testi, e mi riferisco esclusivamente alla lista testi fatta dal difensore di Vanni, avvocato Filastò, sulla quale io ho un parere anche scritto, ma mi riservo di farlo, dopo che avrà illustrato, il difensore, i motivi per i quali chiede quelle ammissioni Per quanto riguarda una riserva, le testimonianze richieste dalla parte civile, avvocato Santoni, relativamente alla prova sui fatti omicidio del ’74, che, non essendo un omicidio contestato in questo processo, è sicuramente superflua. Grazie.
Presidente: A questo punto vorrei sapere una cosa.
P.M.: L’esame degli imputati…
Presidente: Sì, sì. Vorrei sapere una cosa, Pubblico Ministero, questi atti che lei…
P.M.: Sono tutti pronti.
Presidente: Gli avvocati, le difese li hanno visti o vengono messi a disposizione per la prima volta?
P.M.: Sono per la prima volta, in questo senso: sono atti di altri procedimenti che le parti o lo conoscono o non lo conoscono, dimostrano di averlo conosciuto, da quello che ho sentito in questo dibattimento. Comunque, siccome si tratta di atti che in parte sono richiesti anche da altri difensori, io presumo che sono necessariamente conosciuti, altrimenti non lo chiederebbero. Si tratta di atti per i quali io ne chiedo una parte, il difensore avvocato Filastò li chiede in toto, quindi mi sembra che li conosca, altrimenti… Io comunque li metto a disposizione della Corte cosi…
Presidente: No, vorrei sapere se per fare le vostre controrelazioni … istruttoria avete bisogno di esaminare questi atti o no. I difensori.
Avv. Nino Filastò Io si Presidente, gliel’ho già anticipato. Il Pubblico Ministero dice li conosco di già.
P.M.: Li conosce perché li ha indicati lei.
Presidente: Va bene.
Avv. Nino Filastò Come?
P.M.: Li ha indicati lei nella sua lista. Sono identici a quelli che ha indicato lei,
Avv. Nino Filastò Li ho indicati nella mia lista immaginando quali fossero. Se lei guarda la mia lista, fra l’altro, con riferimento ai testimoni, è molto più puntuale quella dell’avvocato Santoni Franchetti della mia, rispetto a certi testimoni. Perché io non sapevo chi erano le persone che avevano fatto le indagini, tanto conoscevo poco quegli atti.
Presidente: Va bene.
Avv. Nino Filastò Lei sa perfettamente, signor Pubblico Ministero, che l’avvocato Filastò è stato incaricato di questa difesa…
Presidente: Avvocato, parli alla Corte, non parli con il Pubblico Ministero. Parli alla Corte.
Avv. Nino Filastò … il 7 aprile. Perché l’ha saputo il 12 aprile di essere in carico della difesa di Mario Vanni.
Presidente: Avvocato Filastò, per cortesia, siamo davanti alla Corte di Assise, si rivolga alla Corte. Non polemizzi sempre col Pubblico Ministero. Lui fa la sua parte come lei fa il suo ruolo. Per carità.
Avv. Nino Filastò Siccome dice lui che io li conosco. Lui mi ha attribuito una conoscenza che non ho, Presidente.
Presidente: Va bene, sospendiamo per 10 minuti. Prima di tutto, prima di sospendere, signor Vanni… Voglio avvertire il signor Vanni… Signor Vanni? Voglio avvertire lei, per legge lei può fare dichiarazioni spontanee…
Mario Vanni: Senta…
Presidente: Aspetti, aspetti, aspetti, prima mi faccia dire cosa voglio dire.
Avv. Nino Filastò Vada, vada, parli, parli.
Presidente: Può fare dichiarazioni spontanee quando crede.
Mario Vanni: Ciò che dico io. Pucci e Lotti sono dei bugiardi.
Presidente: Va bene.
Mario Vanni: Perché il Lotti faceva all’amore con la mi’ nipote, gli ho pagato per quattro mesi le cene e lui mi ha ricompensato così. Il Lotti veniva a imbiancare, gli davo la giornata e in più gli davo da mangiare e bere e 50 mila lire. Sicché m’è parso di fare abbastanza bene.
Presidente: Va bene.
Mario Vanni: Non so come mai l’hanno presa con me.
Presidente: Ho capito.
Mario Vanni: Io, senta, sono malato, ho due ulcere e un’ernia. Ho una moglie che ha il coso… come si chiama?
Avv. Nino Filastò L’epilessia, Vanni.
Mario Vanni: L’epilessia, la casca in terra sicché…
Presidente: Va bene.
Mario Vanni: Io sono innocente, gl’è un anno e tre mesi che sono qui.
Presidente: Non intendevo dire questo.
Mario Vanni: Se mi fa la gentilezza di mandarmi a casa perché non ne posso più.
Presidente: Benissimo.
Mario Vanni: Io gli dico la verità.
Presidente: Volevo dire che per legge lei ha la facoltà di intervenire e fare sue osservazioni spontaneamente sui fatti che la riguardano, indipendentemente dall’esame che sarà fatto alla fine, capito?
Mario Vanni: Sì, sì.
Presidente: Quando c’è da dire qualche cosa, lei alza la mano e lo dice, va bene?
Mario Vanni: Va bene.
Presidente: Per ora sospendiamo per 10 minuti.
Presidente: Allora, prima di ogni cosa, la Corte è in grado di sciogliere la riserva sull’istanza che presentò la difesa del Vanni. L’ordinanza è questa: “La Corte di Assise di Firenze, II Sezione, provvedendo sull’istanza proposta il 21 maggio dal difensore di Vanni Mario, volta a ottenere la dichiarazione di cessazione dell’efficacia della misura della custodia in carcere per decorrenza del termine di durata, di cui all’articolo 303, I Comma, lettera A, numero 3 Codice di procedura penale, o comunque la revoca della misura medesima, ovvero, in subordine, la sostituzione della misura con quella degli arresti domiciliari. Sentito il Pubblico Ministero ed esaminati gli atti dallo stesso prodotto, sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza osserva: 1) La prima richiesta attinente alla decorrenza del termine di custodia è stata argomentata dalla difesa sulla base del rilievo che per il Vanni, in riferimento alla prima ordinanza cautelare emessa dal GIP il 12/02/96, il termine di custodia, un anno dall’inizio dell’esecuzione, sarebbe decorso prima dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, che è in data 20 febbraio ’97. Secondo la difesa, erroneamente il GIP avrebbe ritenuto l’insussistenza del vincolo della correlazione e l’inapplicabilità del regime della normativa della contestazione a catena fra i fatti di omicidio di cui a quella prima ordinanza, applicativa della custodia in carcere e di ulteriori reati che sono stati addebitati al Vanni successivamente. La richiesta è infondata. Dall’esame degli atti emerge che il termine di durata della misura cautelare che, in riferimento alla prima ordinanza sopracitata, sarebbe venuto a scadere per la fase delle indagini preliminari il 12/02/97, è stata poi prorogata dal Tribunale di Firenze fino alla data dei 29/03/97 Il Tribunale competente ai sensi dell’articolo 310 Codice di procedura penale, ha infatti accolto l’appello che è stato proposto dal Pubblico Ministero contro l’iniziale diniego della proroga da parte del GIP. Il relativo provvedimento in data 14/03/97 risulta dall’annotazione di Cancelleria posto in calce divenuto irrevocabile. Non vi è stata quindi decorrenza del termine di durata della misura essendo il decreto che dispone il giudizio intervenuto prima del 29/03/97, termine di fase risultante dalla proroga sopracitata. È da riconoscere di conseguenza la piena efficacia titolo custodiale a carico del Vanni dovendosi anche affermare che sembrano allo stato condivisibili le argomentazioni che hanno portato il Tribunale della libertà a respingere la richiesta difensiva di applicazione del regime a normativa contestazione a catena di cui all’articolo 297, III comma codice di procedura penale. 2) La Corte ritiene che non siano accoglibili neppure le richieste di revoca delle misure applicate al Vanni o di attenuazione del regime cautelare con la concessione degli arresti domiciliari. Le richieste avanzate senza addurre elementi relativamente nuovi, in una situazione processuale nella quale la posizione dell’imputato Vanni risulta essere stata valutata in più occasioni da parte del Tribunale competente per il riesame e l’appello cautelare e anche dalla Corte di Cassazione a seguito dei ricorsi proposti con i provvedimenti del Tribunale. In quanto riguarda l’esame di revisione della Suprema Corte che hanno definito i precedenti giudizi impugnazioni cautelari nei confronti delle motivazioni delle sentenze depositate in data 18 luglio ’96, 25 luglio ’95, 25 novembre ’95, innanzitutto il costante riconoscimento della sussistenza, delle esigenze di cautela, di cui all’articolo 274, lettera A e C Codice di procedura penale. E poi l’affermazione altrettanto costante della inadeguatezza a fronteggiare tali esigenze di misure cautelari di minore rigore rispetto a quella della custodia in carcere. Tanto che è stata disposta dalla Corte di Cassazione, con l’ultima sentenza sopracitata, l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del Riesame che, in riferimento a un singolo titolo detentivo, aveva sostituito alla misura carceraria quella degli arresti domiciliari. Questa Corte di Assise ritiene che non siano sopravvenute ad oggi circostanze che possono portare a superare il limite del giudicato cautelare e ad effettuare una valutazione diversa da quella sopracitata, in merito alla necessità dell’applicazione al Vanni della più grave misura coercitiva. Permangono infatti tuttora consistenti esigenze di cautela ai sensi dell’articolo 274 Codice di procedura penale. Il pericolo è ancora attuale di inquinamento probatorio in relazione all’esame dei soggetti che sono stati indicati dall’accusa quali, testimoni per il dibattimento, sede propria in cui, è previsto che la prova debba formarsi. Che poi il pericolo concreto di reiterazione di fatti criminosi commessi in … alla persona e dunque la stessa specie di quelli per cui si procede. E’ ovvio che .tali reati potrebbero essere realizzati anche a scopo di intimidazione e non necessariamente con le particolari modalità dei fatti di omicidio dell’81 – ’85. Si evidenzia che nel fascicolo processuale sono inserite in copia numerose lettere inviate al Vanni dall’interno del carcere contenenti frasi di contenuto oggettivamente minacciose, che prospettano gravi ritorsioni nel momento in cui l’imputato potesse riacquistare la libertà. Tali frasi sono riferite specificamente ad altri personaggi coinvolti nel processo, citati nel decreto che dispone il giudizio, quali fonti di prova a carico del medesimo Vanni. In particolare al coimputato Lotti Giancarlo e a Pucci Fernando, quest’ultimo indicato dal Pubblico Ministero nella lista testimoniale. Questo atteggiamento del Vanni appare più rilevante sotto il profilo della valutazione cautelare proprio in quanto mantenuta in uno stato di carcerazione nel quale si può credere che l’imputato fosse consapevole della probabilità di controllo delle missive che di volta in volta inviava. Si deve quindi confermare la valutazione che peraltro già risulta dai precedenti provvedimenti sopracitati di gravità della situazione cautelare che non permetta, almeno allo stato, di ritenere adeguata la misura degli arresti domiciliari presso l’abitazione, per la sporadicità dei controlli che di fatto necessariamente comporta, questa misura non permetterebbe un sufficiente controllo dei movimenti dell’imputato e sarebbe idonea a escludere possibili contatti con l’esterno, particolarmente con soggetti che nell’impugnazione sono stati indicati come correi del Vanni. Va infine aggiunto, in relazione alle condizioni di salute dell’imputato, che non è stato allegato dal difensore alcun elemento nuovo rispetto alla situazione descritta dal perito nominato dal GIP, professor Marchi, nella relazione in data 19/02/97, che costituisce il più recente dato di valutazione sotto il profilo medico. In questa sede venivano escluse dal perito, patologie non adeguatamente controllabili e curabili in stato di detenzione. Anche sotto questo profilo l’istanza degli arresti domiciliari deve essere quindi respinta. Per questi motivi la Corte di Assise respinge le richieste come sopra formulate nell’interesse del Vanni. Manda alla Cancelleria per la trasmissione di copia della presente ordinanza al direttore dell’istituto penitenziario ove l’imputato è detenuto”. Allora, riprendiamo il processo. Mi è stata appunto fatta presente la necessità di una sospensione per dar modo al difensore e alla Corte di esaminare questo materiale che il Pubblico Ministero ha messo a disposizione, mi pare in otto cartelle.
P.M.: Sei per l’esattezza.
Presidente: Sei.
P.M.: Sono lì alla Cancelleria, dalla segretaria di udienza.
Presidente: Sei cartelle. La settimana prossima è sciopero degli avvocati. Mi avete già manifestato all’altra udienza che volete aderire e quindi approfitterei di questa circostanza per rinviare il processo all’udienza del 3 giugno. Spero di fare in tempo per il 3 giugno a guardare questi atti e comunque la difesa lo stesso. Se poi ci fosse qualche problema, lo direte allora.
Avvocato: In quest’aula vero, Presidente?
Presidente: Io direi di convocarci in quest’aula. Anche se il 3 giugno c’è l’altro processo, noi utilizzeremo l’altra aula. Vuol dire che gli avvocati staranno un po’ più stretti, i giornalisti più avanti. Però, sinceramente, finché è possibile utilizzare quest’aula preferisco, perché l’altra, l’aula Dionisi, per il numero delle persone che ho visto in questi giorni, difficilmente potrebbe essere contenuta in quell’aula lì. Quindi quando si crea effettivamente e materialmente un’incompatibilità, nel senso che ci sono detenuti a regime 41-bis che non possono stare tutti in quella parte di gabbie, allora sospenderemo per un giorno e ci trasferiamo. Io direi così. (voce non udibile)
Presidente: Come?
(voce non udibile)
Presidente: Ma per ora non è mai successo. Io ho detto già al Presidente, sfruttiamo la situazione finché è possibile, proprio per dare a voi e alla stampa, ai mezzi di informazione di essere un po’ più comodi… insomma, per tutto ecco. È meglio qui che lì, lì è anche molto più caldo. Comunque, rinviamo al 3 giugno qui, in quest’aula.
Avvocato: Signor Presidente, mi scusi, in linea generale: la Corte ritiene che farà udienza mattina e pomeriggio nei giorni che verranno fissati; o solo il mattino?
Presidente: Allora, vi anticipo questo; il 3 giugno, che è mercoledì… martedì 3 e 4 giugno possiamo fare udienza mattina e pomeriggio, il 5 si deve saltare perché il collega è impegnato in altra situazione. Il 6 è venerdì, io direi di utilizzare anche il sabato, perché questo? Perché… Sabato e lunedì successivo. Perché il 10 la Corte di Assise, gli stessi Giudici popolari, senza me, presiede un altro collega, dovranno fare un altro processo. Poi l’avvocato Santoni Franchetti cortesemente mi ha detto se potevo approfittare di questa situazione e saltare anche il 12 e il 13 perché lui ha un processo in Assise a Aosta, è vero?
Avv. Santoni Franchetti: L’11 e il 12, Presidente.
Presidente: Quando?
Avv. Santoni Franchetti: 11 e 12.
Presidente: 11 e 12, benissimo. Quindi non lo so, intanto sfruttiamo fino a lunedì 9 e poi si stabilisce come fare. Poi si vedrà se c’è lo sciopero la settimana dal 16 al 20 e sennò si va a lunedì 23, dopo. Però questa è una cosa che si vedrà settimana prossima, va bene?
P.M.: Bene, grazie.
Presidente: Allora rinviamo al 3 giugno alle ore 09.00, in quest’aula. Ordina nuova traduzione dell’imputato.