19 febbraio 1998, 54° udienza, processo, Compagni di Merende Mario Vanni,  Giancarlo Lotti e  Giovanni Faggi per i reati relativi ai duplici delitti del MdF e Alberto Corsi per favoreggiamento.

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Presidente Federico Lombardi, Avv. Nino Filastò, Pubblico Ministero Paolo Canessa

Presidente: Allora, buongiorno. Prima di iniziare raccomando alle telecamere che la Corte può essere ripresa solo frontalmente, dalla camera di fronte all’aula, non dalle spalle. Va bene? Ci sono delle immagini, hanno segnalato le persone che… Quindi non va bene. Allora…
Avv. Nino Filastò: Presidente, mi perdoni. Prima di dare la parola al Pubblico Ministero, vorrei fare un’ istanza.
Presidente: Sì.
Avv. Nino Filastò: E la istanza è questa: io chiedo che…
Presidente: Aspetti, diamo prima la posizione delle parti; prima la posizione delle parti, dopo fa l’istanza. Allora, Elisabetta, prendiamo atto che è presente l’imputato Vanni con i suoi difensori. Fenyes, per Faggi. L’avvocato Gremigni per Corsi; l’avvocato Bertini per Lotti. Poi abbiamo Pellegrini, Colao, Curandai. Abbiamo anche Capanni; abbiamo l’avvocato Saldarelli, Voena. E poi basta. Allora, l’avvocato Curandai sostituisce le parti mancanti.
Avv. Nino Filastò: Presidente, mi scusi. Si dà atto dell’assenza di Lotti, che non viene…
Presidente: Sì, sì, è assente Lotti. Sì, sì. È sempre assente da un sacco di udienze. Ed è assente anche il…
Avv. Nino Filastò: Praticamente da quando lui ha deposto, non è più venuto.
Presidente: Assente anche il Corsi; contumace, invece, il Faggi. Bene. Mi dica, avvocato. Prego.
Avv. Nino Filastò: Ecco, l’istanza è questa, Presidente: io chiedo, considerata la complessità del processo, considerata la complessità del dibattimento e anche la sua… io non so, è stato riesaminato tutto, ma insomma, ci vuol del tempo per vedere ogni cosa. Chiedo che, esaurita la fase della discussione del Pubblico Ministero e delle parti civili, quantomeno questa difesa – la difesa di Vanni, gli altri colleghi non lo so che intenzione avranno, se associarsi a questa istanza oppure no… Io, per quello che mi riguarda, faccio mia questa istanza, propongo questa istanza – venga concesso un congruo termine. Che indico approssimativamente di una settimana, almeno, per poter riesaminare le discussioni del Pubblico Ministero e delle parti civili. E potere naturalmente commisurare, analizzare, criticare, in rapporto a tutti i verbali di dibattimento che dicevo. Voglio dire, da questo punto di vista qui: abbiamo un esempio della stanza accanto, dove quel processo che è complesso, ma non credo poi troppo più complesso di questo, lì, insomma, la fase del dibattimento si è chiusa ieri. E la discussione comincia fra un mese, proprio per dare tempo a tutte le parti, anche al Pubblico Ministero in quel caso, di fare questo esame, questo excursus di tutto. Io non chiedo tanto. Certamente questo qualche complessità in meno la presenta. Però almeno, dicevo, quel tempo che ho detto. Poi lo dichiarerà il Presidente se ridurlo, o… Ma insomma, un margine di tempo per riflettere su quel che è stato detto dalle parti civili e dal Pubblico Ministero mi occorre.
Presidente: Allora, su questo punto, io ci ho da fare una osservazione. Prima di tutto…
Avv. Nino Filastò: Io chiedo, signor Presidente.
Presidente: No, no, voglio fare una puntualizzazione. Il termine per la difesa: intanto diciamo che non è prevista nessuna norma, una cosa di questo genere. In ogni modo, tenendo conto che infatti questo tipo di processo, di questo tipo di processo, io non ho fatto le udienze fitte fitte. Ve lo ricordate? Sembrava di perdere tempo; in realtà era, voi per prepararvi, e a noi per studiare gli atti. Io ho studiato tutti gli atti, volta per volta, eccetera. Noi, come… E ho aggiornato la Corte, in maniera che non ci sia nulla di sospeso. Questo, per facilitare poi anche la Camera di Consiglio quando sarà il momento. In ogni modo, quando si è chiusa il 31, l’ultima udienza del 31 gennaio, io ho dato due settimane piene al Pubblico Ministero per preparare la sua relazione. È chiaro che quel tempo era dato a tutti. Non è che l’ho dato al Pubblico Ministero. Se voi il tempo lo avete perso, io non ci posso fare niente. Il paragone col processo accanto, non ha senso. Perché non ha senso? Perché è un altro tipo di processo con altre problematiche, con una infinità di udienze che hanno fatto tre volte le nostre, mattina e pomeriggio. Cosa che noi non abbiamo… Comunque, Pubblico Ministero, lei risponda.
P.M.: Presidente, tutto sommato volevo fare le sue stesse osservazioni, aggiungendo qualcosa in più. Dico, si parla di processo in cui le parti devono avere le stesse opportunità e gli stessi mezzi, se non sbaglio, l’istruttoria si è chiusa ieri l’altro, e io eccomi qua a discutere. Quindi, non vedo come si possa dividere la partecipazione in tema di discussione, il P.M. in un modo e i difensori in un altro. Io, ovviamente, non ho nessuna questione soggettiva, né motivi veri per oppormi. Però faccio presente che non è assolutamente possibile, in un processo di questo genere in cui come lei ha detto, si sono svolte udienze con una cadenza diciamo periodica che ci ha consentito a tutti e alla Corte, in special modo, ma alle parti di studiarsi gli atti, non vedo come ora si venga a chiedere un trattamento diverso. Fermo restando, ripeto, che io non ho ostacoli soggettivi. Mi sembra che i termini che abbiamo avuto devono essere uguali, identici per tutti. Decida pure la Corte. Io, fatte queste osservazioni sulla opportunità di un trattamento, diciamo, quanto meno paritario fra tutte le parti, io non ho nessuna istanza particolare da rivolgere.
Presidente: Le altre parti?
Avv. Patrizio Pellegrini: Le parti civili ritengono che, in settimana prossima, si possa concludere ovviamente da parte nostra tutte le discussioni. La settimana successiva, la difesa. Mi pare, con questo, si contemperano un po’ tutte le esigenze, probabilmente.
Presidente: Sì, infatti. Ecco.
Avv. Patrizio Pellegrini: Direi di buonsenso.
P.M.: Vogliamo fare un calendario? Così evitiamo il problema.
Presidente: Io direi questo, io direi questo: di iniziare oggi e domani per il Pubblico Ministero. Saltare sabato; e poi, da lunedì, tutte le mattine fino alle due facciamo la discussione. La difesa del Vanni parla per ultimo; quindi avrà tutta la settimana nuova ancora libera. E quindi, altro non posso dire. Per quanto riguarda poi le parti civili e le altre parti, fate voi un calendario di ordine, come volete parlare. In maniera che, dopo uno, si mette l’altro e viceversa. Avvocato, vuole che facciamo un provvedimento noi?
Avv. Nino Filastò: Presidente, osservo questo: che, per quanto riguarda la difesa di Vanni, io ho l’impressione che dovrà rispondere anche al difensore del Lotti. Voglio dire…
Presidente: Sì, sì.
Avv. Nino Filastò: E quindi ci sarà bisogno, da parte mia, di riflettere. Perché il Pubblico Ministero dice: io parlo dopo tre giorni, due giorni, dalla fine del dibattimento. D’accordo, tocca a lui, poteva chiederlo lui se voleva una sospensione di un certo periodo di tempo…
P.M.: Certo, certo…
Avv. Nino Filastò: Credo che sarebbe stato…
Presidente: A questo punto, facciamo…
Avv. Nino Filastò: Voglio dire, sono fatti suoi. Ma io devo rispondere a lui, devo rispondere alle parti civili, devo rispondere persino al difensore del Lotti. Insomma, voglio dire, riflettere su quello che è stato detto, rileggere le deregistrazioni del nastro, mi sembrerebbe una cosa… Può darsi che…
Presidente: Le deregistrazioni saranno fatte giorno per giorno, giorno per giorno.
(voci sovrapposte)
Avv. Nino Filastò: … una settimana, due giorni. Che magari la settimana dopo, invece di ricominciare lunedì, si comincia mercoledì. Ma almeno due giorni chiederei sommessamente di avere.
Avv. Stefano Bertini: Presidente, credo che, forse, il modo per accontentare le esigenze opposte, sia appunto indicato dall’avvocato Pellegrini. Facciamo in modo, se lei crede, di poter far parlare le parti civili la settimana prossima; e poi i difensori la settimana dopo.
Presidente: Eh, questo è il programma, questo è il programma.
Avv. Stefano Bertini: Potrebbe già,… essere già sufficiente questo.
Presidente: Questo è il programma.
Avv. Stefano Bertini: Perlomeno qualche giorno lo guadagniamo.

Presidente: “La Corte, provvedendo sulla istanza della difesa dell’imputato Vanni, volta a ottenere la concessione ad un termine per preparare l’arringa, per l’approvazione dell’arringa, rilevato che la Corte all’udienza del 31 gennaio ’98 aveva disposto un rinvio al 16 febbraio ’98, di consentire appositamente al Pubblico Ministero e alle altre parti di prepararsi alla discussione finale. All’udienza del 16 febbraio ’98, la discussione non ha avuto poi inizio, soltanto perché la Corte ha ritenuto necessario esaminare ex articolo 507 Codice procedura penale, il teste Mocarelli Lorenzo. Sicché, tutte le parti hanno avuto un tempo più che sufficiente per prepararsi; tenendo conto che le precedenti udienze dibattimentali sono state tenute con congrui intervalli temporanei. Rilevato inoltre che l’imputato Vanni ha due difensori e che verosimilmente il difensore, avvocato Filastò, prenderà la parola per ultimo, sicuramente non la prossima settimana, per questi motivi respinge l’istanza come sopra proposta.” Ovviamente è sottoposto un foglio, qui, delle discussioni delle parti civili. Ora, io, come sapete, la discussione finale va fatta, andrebbe fatta per regola, mattina e pomeriggio. Però io non voglio stancare nessuno, non voglio, soprattutto, che si stanchi la Corte, che arrivi fresca alla decisione. E allora, faccio udienza solamente la mattina fino alle due. Possiamo iniziare alle nove e mezzo e finire alle due, un quarto alle due. Insomma, ripeto, ma non andare oltre le due. Mi avete fatto un calendario: 23 febbraio Capanni, Colao e Pellegrini. Quanto ritenete voi di parlare? Cioè, io voglio dire: io accetto pure questo calendario. Però sia chiaro, che se il 23 febbraio Pellegrini mi finisce alle undici e mezzo, vuol dire che Guidotti, Voena e l’altro, parleranno… Cioè, non posso io impegnare… Cioè, Lotti… Io seguirò quest’ordine. Però dopo ve la vedete voi.
Avv. Patrizio Pellegrini: Presidente, considerando che più o meno inizieremo alle nove e mezzo, un quarto alle dieci, come è andata per tutte le udienze, io credo che all’una arriveremo. Ecco, forse… Sarà l’una…
Presidente: Io non lo so, io vi chiedo questo, l’intesa è questa: quando parlerà, cioè, il primo giorno, per ultimo parlerà Pellegrini, subito dopo si tenga pronto Guidotti, si tenga pronto Voena, si tenga pronto Rosso. E così via. Cioè, l’ultimo giorno, Curandai e c’è Saldarelli. Io non so, parleranno quattro ore, tre ore, due ore. Insomma, chi parli, finito loro, si parte con i difensori degli imputati. Io non so. Quindi, giovedì e venerdì, io non posso sospendere… e sabato… Cioè, io l’udienza che posso dire, che questa settimana, parlato il Pubblico Ministero, si va direttamente a lunedì mattina alle nove e mezzo. Saltiamo sabato. Altro non posso fare completamente. Poi, i difensori come vogliono parlare?
(voce non udibile)
Presidente: Corsi parla… Zanobini parla per Corsi.
Avvocato?: Sì.
Presidente: Zanobini…
Avvocato?: Che però lo Zanobini so che il 3 non può.
P.M.: Il 3?
Avvocato?: Marzo.
P.M.: Il 3 spero abbiamo già tutti altri impegni.
Avvocato?: Io non so, Zanobini se c’è la prossima settimana, tutte le.. .
Presidente: Zanobini, Zanobini purtroppo tenga presente che il processo di Assise, a questo punto, va avanti rispetto ad altri impegni professionali.
Avvocato?: Comunque non c’è problemi, Presidente.
Presidente: Allora, Zanobini. Poi, chi parla?
Avv. Stefano Bertini: Io, Presidente.
Presidente: Parla Bertini. Poi?
Avvocato: I difensori di Faggi: Bagattini e Fenyes. Verosimilmente lunedì 2.
Presidente: Perché… No, no, non interessa il giorno. Noi si va uno dietro l’altro. Quindi, Fenyes… Avvocato: E Bagattini.
Presidente: …e Bagattini. E poi parla…
Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Avvocato Mazzeo…
Presidente: Mazzeo e avvocato Filastò. Okay, bene.

Presidente: Allora, Pubblico Ministero, a lei la parola.
P.M.: Grazie, Presidente. Presidente, signori Giudici, è noto a tutti e non solo a voi Giudici, ma anche ai non addetti ai lavori, che, in genere, quando viene commesso un omicidio, non è assolutamente impresa facile individuare l’autore o gli autori. Se la Polizia Giudiziaria vi riesce, vi è poi la necessità di acquisire prove certe. Se viene individuato l’ambiente in cui è maturato il crimine, è spesso difficile, come tutti sappiamo, trovare delle prove idonee ad ottenere una pronuncia di condanna. A sostenere, come si dice, l’accusa in giudizio. È altro principio di ogni ordinamento civile che, quando rimane comunque un margine di dubbio sulla responsabilità, prevale sempre il principio di innocenza, il principio di non colpevolezza. Ma per potere arrivare a un processo, come abbiamo fatto, nel caso che voi esaminate oggi e che avete esaminato in questi lunghi mesi, occorre prima fare delle indagini; e tanto più è facile arrivare a un processo giusto, voi lo sapete, quanto le indagini della Polizia Giudiziaria, le indagini del P.M. , sono accurate, minuziose, complete, ampie. Quando poi, dopo queste indagini, c’è stato il di un primo – Giudice, questo è il nostro ordinamento, che ha valutato gli elementi acquisiti. Cioè il Giudice dell’udienza preliminare. Che, con la sua autorità e indipendenza di Giudice, valuta se è il caso, se ci sono elementi, se ci sono indizi, per andare davanti alla Corte d’assise. E quindi teniamo presente che, è ovvio, ma lo. ricordo ai Giudici popolari, che non saremmo arrivati alla discussione in un dibattimento come questo, se prima non si fossero superate queste fasi. Superate positivamente. Però non è sempre così, lo sappiamo. Spesso, spessissimo, anzi, nella maggior parte dei casi dei delitti di omicidio, o in buona parte dei casi, è inutile negarlo, al termine delle indagini gli autori rimangono ignoti. È lo stesso P.M. che decide, valuta, che non è possibile celebrare un dibattimento, che non ci sono elementi per sostenere l’accusa in giudizio. È purtroppo, nei casi di omicidio, una ipotesi non rara. Se si guardano le statistiche, così, tanto per capire come mai siamo qua e in che modo ci siamo arrivati, vediamo che i processi per ignoti, omicidi nei quali non siamo riusciti ad individuare gli autori, sono moltissimi. Addirittura, nel 60 per cento dei casi dei delitti di omicidio, l’autore non viene individuato. E le statistiche ufficiali, tanto per avere un’idea, nel 1996 ci dicono che su 2842 casi di omicidio, sono 1741 ignoti: cioè circa due terzi ignoti. Capite voi quale è il tormento delle parti offese, quanto è difficile una constatazione per le parti offese, ottenere giustizia. Vi è poi un’altra considerazione da fare per capire il nostro processo. In genere, perché questo è un processo particolare? Perché in genere è più facile individuare gli autori nell’immediatezza del fatto, lo sappiamo tutti. Nei giorni immediatamente successivi, se non è possibile proprio il giorno stesso, è più facile, è più sicuro individuare la verità e gli autori. È strettamente legato, questo problema, alla celerità delle indagini, a quello del tipo di prova. Perché se ci sono – lo sappiamo tutti -testimoni oculari, se c’è – rarissimo – un arresto in flagranza nel caso di omicidio, se l’assassino o gli assassini lasciano una impronta chiara, certa, sul luogo del fatto, facilissimo individuare l’omicidio. Ma spessissimo la prova non è così immediata e le indagini sono lunghissime. Sono indagini lunghe, perché acquisire la prova quando non ci sono quelle situazioni di-immediatezza a cui accennavo, ottenere la prova è una situazione lenta, che matura nel tempo. E questo è ancor più vero in un certo tipo di delitti di omicidio: quelli a sfondo sessuale. È una constatazione, sto facendo delle constatazioni esclusivamente per entrare, per capire che tipo di processo è questo e che tipo di prova è stata offerta alla Corte. È nei casi in cui si procede ad indagini per delitti sessuali – penso a quelli ai danni di prostitute, ai danni di omosessuali – la possibilità di individuare gli autori è veramente remota. Ma c’è una situazione intermedia, cioè quella in cui si acquisisce una prova col tempo che è la cosiddetta prova indiretta, non la prova certa, la prova sicura, diretta. C’è una prova indiretta. E si celebrano i cosiddetti processi indiziari. Spesso nei casi dì omicidio, il processo è indiziario. Cioè, ci si trova di fronte, quando il Giudice è a valutare gli elementi, non a prove certe, ma a indizi raccolti nel tempo. Cioè, per capire – ovviamente mi rivolgo ai Giudici popolari in primo luogo – è la prova indiretta, cioè il fatto, la prova di una determinata circostanza non è diretta, ma si ricava da altre circostanze provate. È stata trovata una certa pistola in mano a una persona; e da quella pistola, siccome è la pistola del delitto, si pensa che possa essere, si deve provare se l’ha avuta solo quel determinato autore… Cioè, tutti elementi indiretti che il nostro Codice fa assurgere a prova quando, dice il Codice, sono univoci, numerosi e concordanti. Ovviamente capite che, quando il processo è indiziario, quando la prova è indiretta, il compito del Giudice è sicuramente più difficile. Perché deve valutare questi elementi senza avere la certezza; deve fare dei passaggi logici, il Giudice. Ma c’è una terza possibilità: è quella in cui vi trovate voi oggi in questo processo. C’è un processo in cui la prova è, dico io, fortunatamente da valutare; ma è una prova diretta. Sono casi più rari questi. Dico, prova diretta perché sono quei processi in cui c’è qualcuno che dice: io ero presente, ho visto, vi racconto com’è andata, sono un testimone oculare. Vi dico io come sono andate le cose. Non dovete fare dei ragionamenti per capire, per dedurre. L’ho visto io, ve lo racconto. Oppure, meglio ancora, quei processi in cui qualcuno si confessa autore di fatti. Questi sono i processi a cui un P.M., ma anche i Giudici, preferiscono trovarsi davanti. È una constatazione più ovvia. Più ovvia non la potrei fare. Però è bene, per poi valutare tutto ciò che abbiamo visto in quest’aula, avere davanti questo quadro di possibilità. Quindi, dicevo, nel normale accadimento del lavoro, in questo caso delle Corti di Assise, è raro, più raro, trovarsi davanti a una confessione, a uno degli imputati che ammette le proprie responsabilità. In cui spiega il perché; un autore che dà una spiegazione esauriente di come sono andati i fatti. È chiaro anche qui che è più facile avere e ottenere una confessione nei reati in cui, più semplici, il cui movente è semplice. Nei reati a sfondo familiare, economico, fra marito-moglie, un omicidio dovuto a motivi economici. Qui è semplicissimo, con le indagini, arrivare a una confessione. Più difficile la confessione nei casi in cui il movente è più complesso. Poi c’è un altro elemento da tenere presente in questa possibilità che ha davanti a sé una Corte di Assise: di trovarsi davanti a elementi di un tipo o di un altro. Anche quando c’è confessione, le confessioni non sono tutte uguali. A volte è una confessione spontanea. L’autore si presenta agli investigatori, naturalmente, dice: sono stato io, ho fatto questo. Cioè, una confessione nella quale è l’autore che si presenta e spiega come sono andati i fatti. E quindi l’indagine, il compito degli investigatori e del P.M. è quello – e del Giudice poi – di verificare, dopo la confessione, a posteriori, se dice la verità e se ci sono elementi per crederlo. Ma c’è la possibilità esattamente inversa. Cioè, sono le indagini che vanno avanti, minuziose, particolari; c’è acquisizione di elementi oggettivi da parte della Polizia Giudiziaria, c’è contestazione di questi elementi al presunto autore. E quindi confessione. Cioè, la situazione inversa; una confessione che avviene dopo che gli autori hanno acquisito elementi. Eh, qui allora, sia le indagini, che il compito del Giudice, di valutazione, ovviamente. Perché, a questo punto, è un compito di valutazione, è più semplice, perché abbiamo elementi oggettivi sulla base dei quali l’autore ha confessato. Dicevo, è più semplice rispetto all’altro caso. Perché ci sono due situazioni. Una, oggettiva: ricostruzione dei fatti. Una, individuazione dell’autore e l’autore che ammette. Capite che è una situazione ben delineata davanti al Giudice, perché il Giudice ha due elementi già pronti: una ricostruzione oggettiva e un autore che dice ‘sì, le cose sono andate così’. È ovviamente una situazione semplice per il Giudice, ma altamente delicata. Perché l’operazione non è quella di ricostruire i fatti, ma è quella, si sposta, tutta di verifica, è una operazione di verifica della credibilità di colui che confessa, che ammette. Quindi si sposta su un problema di valutazione della credibilità, che può essere credibilità di colui che ha confessato; credibilità di eventuali testimoni che hanno detto: noi ci eravamo, le cose sono andate così. Capite che, con un quadro di questo tipo, noi – è ovvio – abbiamo già individuato che nel nostro processo siamo già partiti in una situazione, a mio avviso, per il Giudice facilitata. Perché il Giudice si è trovato, e voi, come coloro che hanno indagato, come il P.M., davanti ad una situazione in cui ci sono degli elementi di prova diretta molto forti. Quindi noi oggi siamo in una situazione in cui dobbiamo solo verificare con calma, con attenzione, quello che ci è stato raccontato per vedere se è la verità. Non dobbiamo affannarci a costruire, dedurre, vedere, capire. No, la situazione è chiara, è oggettivamente chiara. Dobbiamo solo verificarla, riscontrarla. Allora, se la situazione è di questo tipo, quando c’è una confessione, quando ci sono dei testimoni oculari, la prima cosa da fare nell’operazione di verifica è quella di verificare in primo luogo i motivi per i quali, colui che si professa autore, ha ammesso le sue responsabilità. Perché dobbiamo
verificare. Ci potrebbe essere in astratto un interesse a mentire, un interesse a raccontare cose false. Ecco il vostro compito di verifica. Ci può essere la necessità di verificare se un teste che dice qualcosa sbaglia, o mente anche il teste, o dice cose non vere. Ci può essere ancora una possibilità che noi Giudici, voi Giudici dovete tener ben presente: ci può essere il teste, o l’autore che confessa, il quale è stato indotto da qualcuno – può essere benissimo, è una verifica che nel nostro caso dobbiamo fare – da qualcuno, a raccontare cose non vere. Oppure può essere indotto, anziché da qualcuno, da circostanze obiettive che lo hanno costretto a raccontare cose non vere. Noi questo lavoro abbiamo fatto nel nostro dibattimento. Abbiamo verificato questo e oggi siamo nella fase in cui dobbiamo controllare come sono andate queste cose, perché il nostro è un processo di questo tipo.
P.M.: Ma nei casi di confessione – e sto parlando per ora ancora in astratto, ovviamente, per facilitare poi l’introduzione degli argomenti successivi – può esserci una situazione ancora più delicata, ancora più complessa. Nel senso che, colui che confessa può fare la cosiddetta chiamata di correo. Può dire: c’ero io, ho fatto questo, ma c’era anche un altro, o altri. Eh, capite allora che in questo caso la verifica di cui si parlava, è una verifica che deve essere ancora più attenta, scrupolosa, perché nei casi di chiamata di correo non c’è solo da essere guardinghi per le responsabilità dell’autore, ma anche del chiamato. Eh, allora qui, questa verifica per vedere le ragioni che hanno indotto chi ha confessato a proclamarsi autore, eh, bisogna vedere se ci sono ragioni per le quali qualcuno ha fatto la chiamata di correo. Capite che dire: c’ero e c’era lui, è già un elemento molto forte rispetto a quello ‘c’era lui e io no’, su questo è pacifico. Però, anche nei casi di chiamata di correo, oltre la confessione, è chiaro che noi tutti, prima nel corso delle indagini e voi nel corso del dibattimento, e oggi al momento della decisione, dovete tenere presente benissimo queste emergenze, le caratteristiche di questi processi, la necessità di impostare il vostro lavoro e la vostra decisione su questi presupposti metodologici. Eh, allora forse, una volta visto che è necessario vedere i motivi per cui qualcuno ha confessato e in più ha fatto la chiamata di correo, la prima verifica che bisognerà fare, preliminare, è quella di verificare la capacità intellettuale, la capacità cosiddetta di intendere e di volere del chiamante, di quello che confessa, del teste. È un’operazione preliminare, perché è quella che ci mette un attimo con le spalle coperte, prima ancora di vedere cosa ha detto. E’ questo ultimo, che io ho appena descritto, in astratto, un processo in cui c’è un confesso e un teste che raccontano la verità. Un processo che tutti vorremmo celebrare, perché, dicevo, è il processo più semplice, perché io non devo fare altro che stare a sentire e poi soltanto valutare. Non devo cercare di capire cose lontane, difficili. No, è tutta lì la ricostruzione, io devo solo vedere se le persone sono credibili. E tutto questo, il nostro ordinamento, prevede che venga fatto nel contraddittorio delle parti, no, come è successo. Cosa abbiamo fatto in questi mesi? Abbiamo fatto proprio questo. Abbiamo cercato, nel dibattimento, di fare questa valutazione. Presenti tutte le parti: ognuno ha la possibilità di incidere sulla formazione della prova. E, in un dibattimento come questo, che, ripeto, stiamo analizzando in astratto, ancora non siamo assolutamente al caso concreto. Ci arriviamo, ma è importante, per poi capire gli elementi veramente acquisiti, può accadere che la prova che il P.M. intendeva fornire è venuta meno, può succedere, perbacco. Cosa potrebbe succedere? Che la confessione venga ritrattata. Per carità, è una cosa possibilissima, no? E ‘ un confesso, poi arriva in dibattimento… per carità. Vi spiega il perché: ha mal confessato. Può un teste, un teste fondamentale, che non si presenta, o che dice ‘no, le cose non sono così’. Un imputato, uno degli autori può presentare un alibi, un alibi di ferro, in cui vi dice, eh, hai voglia la confessione, ma io quel giorno ero da un’altra parte, eccovi il documento. Può essere che la difesa vi presenta dei documenti inoppugnabili, oggettivi, per dimostrare che la ricostruzione, nonostante la confessione e la testimonianza, è completamente non credibile. Può succedere. Quindi anche questa è una possibilità. Può darsi che, nel corso del dibattimento, nel contraddittorio, si riesca a vedere i fatti come se svolti in modo completamente diverso. Può avvenire – e questo è avvenuto invece nel nostro processo – che il materiale, che era stato raccolto nel corso delle indagini, nel dibattimento si arricchisca. Non solo diventa prova piena, ma nel contraddittorio si arricchisce di nuovi elementi e prende corpo nel modo in cui si era presentato nel corso delle indagini. Confessione confermata, testi che si presentano, che confermano, documenti a riprova. E questa è la situazione ideale. Signori, io credo di non sbagliare nel presentare a voi gli elementi di questo processo sotto questa ottica. Perché il processo, a carico degli odierni imputati, è un processo che ha avuto questo sviluppo: il dibattimento ha consentito innanzitutto di precisare interamente i fatti, così come sono stati contestati. Ha consentito di precisare le esatte responsabilità di ciascuno degli imputati; ma soprattutto questo dibattimento ha permesso di acquisire e di presentare oggi a voi per la decisione, un materiale più che sufficiente, direi abbondante, di provenienza certa e sicura, che vi permette oggi una decisione, qualunque essa sia, serena e tranquilla. Sarà una decisione che vi consentirà, in un caso grave come questo, di decidere sulla base di elementi certi, sicuri, provati nel corso delle indagini, confermati e arricchiti nel corso del dibattimento. Non ci sono – lo sapete – stati alibi infallibili, forniti da nessuno degli imputati. Tutti i testi, tutti, tutti quelli indicati dall’accusa, si sono presentati. Vedremo cosa hanno detto fra un po’. Addirittura – lo sapete – nel corso del dibattimento sono state acquisite ulteriori testimonianze, su fatti apparentemente marginali, però ulteriori testimonianze perfettamente in linea con quello che era emerso nel corso delle indagini. Vedremo dettagliatamente anche questo, ma sono venuti testi in quest’aula che non solo hanno aggiunto circostanze nuove, hanno precisato i fatti, ma hanno fornito elementi che l’indagine non era riuscita a ottenere. Per questo dico che il lavoro delle parti e quello vostro è un lavoro sicuramente tranquillo, non c’è e non ci può essere nessuna indecisione perché gli elementi ci sono tutti. Vorrei continuare un attimo nelle premesse, perché poi è sempre più facile, quando siamo davanti ai dati certi che io sottoporrò alla vostra attenzione, capirsi. Vorrei ripercorrere un attimo con voi quello che è emerso nel corso dell’istruttoria in merito all’origine del processo. Perché è importante, per valutare, come ci si è arrivati. Eh, oramai è di tutta evidenza che siamo arrivati a una situazione che ha passato le tre fasi di cui dicevo. Se le tre fasi di cui abbiamo parlato in astratto sono quelle: indagini a carico di ignoti, indagini con autore noto ma processo indiziario e indagini autore noto e processo a prova diretta. Vedete che in questo… per questi fatti, i cosiddetti delitti ai danni di giovani coppie, i cosiddetti delitti de “il mostro di Firenze”, oramai è un termine fortunatamente superato, almeno con questa parola “mostro”. Abbiamo percorso proprio queste fasi e c’è un perché. Ma il capire il perché abbiamo attraversato queste tre fasi è, secondo me, molto importante. Perché c’è stata una fase che – è noto a tutti, ricordiamocelo, lo sappiamo, non lo neghiamo, vogliamo che tutti lo abbiamo ben presente, lo sanno purtroppo le parti offese – in cui si brancolava nel buio: autore o autori completamente ignoti. Erano le indagini sbagliate, sicuramente. Sono indagini che hanno attraversato un arco di tempo lunghissimo. Forse gli apporti della scienza, che erano stati forse chiesti impropriamente, non sono stati, come vedremo poi, in concreto perfetti, tali da aiutare l’indagine. È chiaro che la fase dell’autore ignoto è stata lunghissima, altro che immediata, come si poteva auspicare. Quindi questo è un processo che, è un’indagine che è andata avanti a tappe, finché siamo arrivati – lo sappiamo, lo ripeto, ma è bene capire come ci siamo arrivati, per far vedere che è sicuramente un’indagine che così lunga e particolareggiata ha prodotto una verità – siamo arrivati a quel processo che, a questo punto, sembra intermedio, qualcosa del genere, se mi consentite il termine, un processo a carico di un autore, nel ’94, a carico di Pietro Pacciani. Un processo caratteristico perché era proprio un processo a prova indiretta, un processo che ora sapete in fase di Appello, in cui la Corte di Cassazione è intervenuta annullando una sentenza, dicendo che gli indizi di quel processo, gli indizi che voi avete capito che cosa erano quelle prove indirette, sono oggi, ha riconosciuto la Corte di Cassazione, in una fase in cui è possibile ottenere qualcosa di più. E quindi in quel processo dovranno essere tenuti davanti… di fronte anche questi elementi. Quindi questo andare per gradi ci tranquillizza, perché non è un qualcosa che è uscito dal cappello dell’investigatore che ha detto una mattina: ecco qua, questa è la verità. No, ci siamo arrivati per tappe, lentissime, verifiche, contro-verifiche. E come è nata questa individuazione lenta delle responsabilità? Eh, perché in quel primo dibattimento si è individuato che c’erano la possibilità di identificare dei testi, che si presentarono spontaneamente, per tutti il Nesi Lorenzo. Il quale disse: ma no, io quella sera altro che il Pacciani da solo, io l’ho visto insieme a un’altra persona. Ecco che, l’elemento di novità. E come mai si è dovuto attendere ancora tempo e lo stiamo ancora cercando di costruire? Perché evidentemente sono dati eccezionali questi, c’è poco da fare. Lo sapete, lo vedete dalle imputazioni, lo sapete per conoscenze esterne, che è ovvio, lo abbiamo visto nel corso delle udienze: coloro che devono raccontare qualcosa, coloro che devono testimoniare, hanno un timore, hanno qualcosa, hanno qualche difficoltà, diffidenza, paura a raccontare. E quindi questa verità è venuta pezzetto dopo pezzetto. Però da quel dibattimento è emerso quel dato che ci ha portato oggi davanti a voi. Cioè quell’autore, così identificato e questo processo ci ha dato elementi ulteriori a suo carico, Pacciani Pietro, quell’autore quella sera non era solo. La sera, quantomeno del delitto di Scopeti del 1985, già in quel processo a Pacciani ci siamo accorti che non era solo. E quindi occorreva andare avanti. Fa bene ricordarselo questo, lo sappiamo, ma ridircelo tutti fa comodo ed è opportuno nel momento in cui dobbiamo valutare certe posizioni e certi fatti. Perché, cosa è successo? Punto fondamentale di quel dibattimento. E’ venuto molto chiaro, chiarissimo, che non ci trovavamo più, assolutamente, non c’eravamo mai trovati, avevamo sbagliato tutti, davanti a un serial killer. Non era “il mostro di Firenze” unico, imprendibile, genio del male che si era dipinto, persona al di sopra di ogni sospetto, super-uomo, malato o non malato, psicotico, psicopatico. No, quella era un’impostazione – lo hanno detto dei Giudici, non l’ha detto colui che aveva indagato, non lo hanno detto gli investigatori -era un’impostazione sbagliata. Ci trovavamo, per questi fatti, per parte di questi fatti che sono oggetto delle imputazioni contestate agli imputati, non di fronte a “mostro”, ma a degli uomini normali. È – era ed è, perché il dibattimento cui noi abbiamo quotidianamente assistito l’ha confermato – è una vicenda con contorni molto più terreni, altro che “mostri” altro che serial killer, provinciali, di campagna, di vita contadina, triste, che noi abbiamo, con difficoltà, cercato di investigare. E, lo sappiamo, il merito di questo va in buona parte a dei Giudici, ai Giudici come voi, di una Corte di Assise. A quella Corte di Assise che quattro anni fa, con l’autorità di Giudice, valutando quei fatti, ha maturato questa convinzione molto forte, che non ci trovavamo di fronte a un serial killer, ma a condotte di più persone. Che sia stata acquisita quella sentenza o no, non ha importanza, non è questo, perché è nel dibattimento nostro che è emerso. Perché è emerso chiaramente che la notte dell’85 Pietro Pacciani non era solo. La Corte di Assise parlava che in quel dibattimento era emerso un complice in posizione subalterna. L’abbiamo visto noi come stanno effettivamente le cose e quindi, facendo una cronistoria, sia pur breve, per capire perché siamo poi arrivati a questo, è chiaro che l’indagine è continuata. È nata questa nuova indagine e questo secondo dibattimento che, in sostanza, è indirettamente legato al primo e in buona parte per gli stessi fatti.
P.M.: Ecco, però, per valutare le prove che oggi abbiamo portato in quest’aula, bisogna vedere che cosa si è fatto per acquisirle queste prove. Avevamo questa indicazione: Pietro Pacciani non era solo quella notte, aveva un complice. E noi si è ricominciato da capo, onestamente. Si è cominciato da capo per vedere come stavano le cose, in un’ottica investigativa completamente diversa, basata su fatti, su dati oggettivi, non su impostazioni: “mostro”, serial killer. Si è cominciato di nuovo e poi vi è stato descritto qua, dal dirigente della Squadra Mobile di Firenze, dottor Giuttari, come si è proceduto. Con una prova tradizionale, minuziosa ricerca, quotidiana, degli elementi. Non assolutamente tesi precostituite. E cosa ha fatto la Polizia Giudiziaria? Eh, ve l’ha descritto, in primo luogo, quella testimonianza, secondo me fondamentale, fatta all’inizio di questo processo, dal dirigente della Squadra Mobile, appunto. Il quale vi ha riferito come stavano le cose, quali erano gli elementi. Vi ha riferito – cito le sue parole, perché sono fatti oggettivi – dice: Leggendo e analizzando gli atti di Polizia Giudiziaria, esistenti a quel momento, al 1995, quando era stata pronunciata quella sentenza, ho constatato che, tra gli atti che c’erano, vi erano numerose testimonianze già allora importanti, che, nell’ottica dell’autore unico, erano difficili da interpretare. E si è capito, si è visto che, già nel momento in cui si cercava di acquisire elementi, per quel primo processo, vi erano testimonianze .molto utili, importanti, perché erano testimonianze acquisite al momento dei fatti, che indicavano in qualche modo, indirettamente, già allora, già al momento dei fatti – ecco qua il punto fondamentale – che in alcuni omicidi erano state viste più persone. C’erano sicuramente più macchine, più automobili che giravano intorno. Allora si è partiti proprio da quelle testimonianze: questo ha fatto la Squadra Mobile. E questo poi è quell’iter che ha consentito di arrivare a quella confessione, che voi sapete, a quella testimonianza fondamentale di quella persona, Pucci Fernando, che ha detto: io c’ero, io ho visto. Ma è attraverso questa verifica di testimonianze di persone che erano soprattutto presenti, di passaggio, nell’85, attraverso questa strada, si è individuato che questo delitto dell’85, il più vicino a noi, quello per il quale era più facile acquisire elementi, era un delitto in cui la presenza di queste persone aveva trovato in qualche modo una documentazione in verbali di Polizia. Quindi, capite che se noi, come è vero, abbiamo oggi davanti una serie di testimonianze, acquisite all’epoca dei fatti, 1985, disinteressate, tranquille, sulle quali poi abbiamo cercato man mano di capire di più, di approfondire. Non ci troviamo assolutamente di fronte a prove indiziarie, nessuno vi ha parlato in questo processo di oggetti appartenuti alle vittime, trovati in possesso del presunto autore, o dell’autore, non vi si è parlato di prove costituite da pezzi di arma o di bossoli con impronte, dalle quali si può dedurre che quel bossolo – come nel processo Pacciani – era in quell’arma e quindi il Pacciani, per quel motivo unico, per quegli indizi è l’autore. No, qui abbiamo elementi completamente diversi, che nascono proprio dalla lettura di atti che già c’erano, una lettura migliore. Chiaramente, finché qualcuno non si è deciso a raccontare meglio, non era possibile capirle quelle testimonianze. Solo perché qualcuno ha spiegato siamo riusciti a capire meglio. E’ chiaro che, nel momento in cui tutti tacevano e nessuno voleva fare il passo, eh, al di là di quegli indizi, non si poteva andare. Chi avrebbe mai pensato che si arrivava a individuare qualcuno, una persona, poi imputata -mi riferisco a Lotti Giancarlo – come si poteva pensare, In una indagine di questo tipo, che qualcuno si presentava un giorno in un processo dicendo: si, io c’ero. Non era nemmeno immaginabile, è inutile negarcelo. Immaginare che qualcuno sarebbe arrivato e avrebbe un giorno detto, per fatti cosi importanti e gravi: io c’ero, ho fatto da palo, vi racconto la dinamica, vi dico chi sono gli autori, vi do indicazioni sui moventi. Per carità! Non era assolutamente immaginabile allora. Ma questo nuovo modo di procedere, cioè questo ulteriore approfondimento di fatti, che piano piano si sono spiegati, ci dà oggi quella tranquillità che cercavamo. Cioè, il vedere perché siamo arrivati lentamente alla conoscenza, sempre più ampia, di questi fatti molto lentamente, è un elemento di tranquillità. E’ un elemento che ci mette – sicuramente gli investigatori, ma anche voi – di fronte a una situazione che man mano qualcuno comincia a spiegare, ma non si butta, non si tralascia niente. Tutto quello che man mano viene acquisito è completamente valido. È chiaro che, quindi, questa vicenda ha avuto -se si può usare il termine – un metabolismo lentissimo. Cioè, se il metabolismo è in una fase in cui si parla di processi, è chiaro che, andando così lentamente, è vero che la sensazione di lentezza non fa piacere, però è sicuro che, se gli elementi precedenti vengono confermati, siamo sulla strada della verità. Quindi, quando in quest’aula qualcuno più volte ha indicato che questo metodo non era altro che un accanimento investigativo, ha letto queste vicende in maniera non corretta. Voi, invece, avete quotidianamente potuto verificare che non c’è stato alcun accanimento. C’è stato soltanto una lettura quotidiana di elementi successivi che si costruivano, di chiarivano uno dopo l’altro. E devo dare atto che, a questa operazione, ha partecipato questa Corte, avete partecipato voi in maniera veramente rigorosa, bisogna riconoscerlo. Perché, avendo davanti un compito delicatissimo, che io ho cercato di delineare fino a ora solo nel metodo, lei signor Presidente e tutti voi Giudici con le vostre ordinanze quotidiane, avete dimostrato di dare la massima attenzione a tutti, di lavorare con scrupolo. Abbiamo messo tanti mesi: era un caso in cui era indispensabile una verifica attenta di tutti gli elementi. Chiunque di noi si è alzato e vi ha fatto proposte è stato ascoltato. Poi la Corte ha preso di volta in volta le sue motivate decisioni. Mi sembra che una premessa di questo tipo era indispensabile, soprattutto, mi rivolgo ai Giudici popolari, per capire esattamente la portata degli elementi probatori raccolti. Io quindi, una volta in cui ci siamo chiariti tutti le idee sul fatto che abbiamo un processo in cui dobbiamo solo verificare, sostanzialmente, una confessione e delle testimonianze, un processo in cui dobbiamo porre la massima attenzione sulla verifica poi se ci sono o meno elementi obiettivi di riscontro, abbiamo tutti presente che i punti fondamentali sono nei fatti in alcune precise dichiarazioni da cui siamo partiti. E da queste, passando all’oggetto di queste prove, di queste testimonianze, vorrei partire. E vorrei partire, con voi, dall’esame, direi, dettagliato, scrupoloso – quantomeno da parte mia, ma lo farete senz’altro anche voi – delle dichiarazioni di colui che si è dichiarato teste oculare: dalle dichiarazioni di Fernando Pucci. Perché ho cercato di ricordarvi, poi ne riparleremo man mano, che quel teste oculare viene individuato da indagini strettissime della Squadra Mobile, si arriva a identificare che attraverso quelle testimonianze che già conoscevamo ci sono state, per il 1985, presenti sul luogo dei fatti, altre persone, e siamo arrivati a Fernando Pucci. Quindi, attraverso elementi che è stato possibile chiarire man mano, siamo arrivati alla identificazione certa di una persona che è stata sentita, Fernando Pucci, e che ha dichiarato quel che ha dichiarato, nel dirci: ‘io c’ero’. Vedremo pian pianino perché. Perché penso sia indispensabile una analisi minuziosa. E siamo arrivati a Pucci – lo sapete – attraverso quella testimonianza di due persone, cioè, Ghiribelli e Galli, quelle persone che avevano vis… Ci arriviamo eh, ora serve solo per darci l’indicazione, partiamo da Pucci, perché secondo me è più importante. E siamo arrivati a identificare Pucci sicuramente perché avevamo accertato – c’è anche una intercettazione telefonica, poi la vediamo – che Pucci, sicuramente, Pucci Fernando era lì quella sera. Insieme al Lotti, Lotti Giancarlo. Cioè, cos’è l’elemento forte che nel… nel capire come si erano svolte le indagini successive c’era un punto fermo? Quale era l’elemento? La presenza della FIAT 128 rossa, rosso sbiadito, a coda tronca, davanti alla piazzola degli Scopeti la sera dell’omicidio dell’8 dicembre dell’85. È un punto fermo. Cioè, è un punto fermo, chiarissimo, sul quale oggi noi non abbiamo niente da dire, non possiamo assolutamente, vedremo anche perché, nei dettagli, avere dubbi. C’era quella macchina. Allora, è un punto fondamentale. La presenza oggettiva, al di là delle dichiarazioni dei… degli occupanti quella macchina, che poi sappiamo sono Pucci e Lotti, noi a abbiamo una certezza che quella macchina era lì. Accantoniamo un attimo, diamo per scontato che ce lo abbiamo, poi lo verifichiamo, perché vorrei andare subito a vedere da questo punto fermo come siamo andati avanti. Vi dicevo di elementi oggettivi, questo è il primo. Allora, se sappiamo che c’è la 128 rossa, con Pucci e il Lotti, siamo andati a chiederlo a questi signori, no? È ovvio. Dice: ma voi ci eravate e come stanno le cose?. Mah, chiaramente ci siamo trovati, sentendo Pucci nel corso delle indagini, e in questo dibattimento, davanti a una persona particolare. Perché negarlo? È proprio nel momento in cui ci rendiamo conto di chi è Pucci che possiamo capire, crederlo, non crederlo, ognuno spenderà i propri argomenti. Io vorrei, però, davanti a voi oggi, proseguire, con calma, portando elementi oggettivi, le valutazioni poi le facciamo dopo, le fate voi. Pucci Fernando, dicevo, colui che è sicuramente quella sera lì, è una persona che ha tenuto un comportamento,
continuo a dire, particolare. È giusto, tutti quanti ci siamo un attimo messi davanti a una persona… caspita, ma è credibile, non credibile, questa indagine, questo P.M. cosa hanno fatto? Hanno portato un teste che si comporta così? Vediamo, vediamolo, non c’è motivo di liquidare una situazione simile: Pucci Fernando è un teste – mi sembra di aver sentito in sede di Tribunale della Libertà – crollato paurosamente; da parte del difensore di Vanni. È un argomento legittimo usato dal difensore, però io vorrei arrivare oggettivamente a valutarlo, poi vediamo. Noi sappiamo che c’era, questo lo sappiamo da altri, vediamo questo signore. È una persona, Pucci Fernando, particolare, ma non è un incapace. Elemento obiettivo, è una persona dichiarata invalida civile. È un elemento oggettivo, dobbiamo tenerlo presente, nessuno può partire sul presupposto che Pucci è un direttore di banca, casualmente passato di lì, uno stimato professionista. Poi sappiamo perché… come sono andati i fatti, chi erano quelle persone. È chiaro che poteva esserci solo un tipo come Pucci. Ma noi, lui dobbiamo valutare. È un invalido civile ma abbiamo accertato con quella perizia e quei dati acquisiti obiettivamente che l’invalidità civile gli è stata riconosciuta sulla base di dichiarazioni che i familiari hanno fatto. È un ragazzo che non lavora. Non c’è nessun altro tipo di accertamento specifico se non quello di un’invalidità, incapacità di lavoro che è stata certificata in un lontano anno ’74-’75. Quindi, a noi questo poco interessa che sia invalido civile, che abbia capacità o meno di lavorare, perché qui non è chiamato sicuramente a svolgere lavori di grande impegno. Lo abbiamo chiamato e portato in questa aula solamente per farci raccontare cosa aveva visto quella sera. Cioè, io lo ricordo a me stesso, non è un teste che va valutato sotto il profilo: non sarà capace di recitare a memoria un brano della Divina Commedia. Sicuramente non ne sarà capace. Non sa spiegare formule matematiche, sicuramente non ne sarà capace, ci ha spiegato che scuole ha fatto. Però è una persona che doveva solo spiegarci o raccontarci cosa ha visto lui, sotto i suoi occhi, in una determinata circostanza.
P.M.: E quindi, la nostra necessità di fare questa verifica della capacità a testimoniare del Pucci, è sotto questo profilo. Niente di più. E anche su questo il P.M. ha cercato, secondo me, doverosamente prima che correttamente, di fare anche una verifica scientifica. Cioè… ma quello che stiamo cercando di capire, cioè, questo è una persona che racconta la verità? È una cosa che risulta oggettivamente da qualche parte? C’abbiamo il conforto di qualcuno? Certo. Prima, e poi li abbiamo sentiti in questa aula, i professori Lagazzi e Fornari, che sono stati nominati come consulenti tecnici del P.M., hanno fatto quella valutazione che è necessaria, è richiesta dal Codice, dall’articolo 196 del Codice di procedura penale. Cioè, prima di dire, nella valutazione che voi dovrete fare al momento opportuno, se ciò che ha detto Pucci è vero e verificare se è capace, bisogna vedere se è capace al fine che noi ci proponiamo, quello di rendere testimonianza. E i consulenti tecnici… è un dato di fatto ma è emerso, chiaramente, lo abbiamo sentito. Cioè, sulle cose elementari come quelle che doveva descrivere le ha descritte con una chiarezza – lo vedremo fra un po7 – che non ha lasciato assolutamente perplessi. Le perplessità sono altrove, le vedremo. Ma la capacità di esprimersi, di raccontare, di memorizzare è chiarissima. Tant’è che l’esame dei consulenti tecnici non controbattuti da nessuno in questa aula e per questo solo da tenere ben presenti – ferma ovviamente il potere-dovere della Corte di pensarla come crede, perché è il perito dei periti – il Lagazzi e Fornari hanno concluso semplicemente: “La sua personalità difficile da esaminare non influenza la sua attendibilità.” Parole chiare, semplicissime, spiegate nella risposta al quesito ancora meglio: “L’esame del Pucci” – ci hanno raccontato i periti – “ci consente di affermare con chiarezza, senza sostanziali riserve che, anche nel caso in cui eventuali, ulteriori indagini realizzate con la collaborazione del soggetto Pucci, ci consentissero di quantificare il suo obiettivo deficit intellettivo, perché questo deficit c’è, è un deficit che non costituisce, e non costituirebbe mai un disturbo psicopatologico tale da rendere inattendibili le sue dichiarazioni”. Questo è il responso della scienza. Noi, anzi, voi, siete i periti dei periti e quindi lo prendete come un dato di fatto. Anch’io lo prendo come un dato di fatto. Per me la scienza ci ha detto qualcosa. L’abbiamo visto noi, in questa aula, a lungo, possiamo dire cosa abbiamo visto noi e cosa è emerso. Siamo d’accordo con questi periti, in questa aula è emerso qualcosa che ci consente di stare tranquilli su questa testimonianza. Beh, abbiamo innanzitutto visto il soggetto. Guarda che discorso complesso dobbiamo fare per valutare prima cosa ha detto. Vediamo la persona. Secondo me è un metodo correttissimo. Quando il difensore degli imputati, o qualche difensore vi ha detto: ma questo teste, prima vediamo chi è; ha fatto un lavoro corretto, ha fatto proprio bene a stimolarvi a verificare se Pucci, al di là di quello che ha detto è persona che… chi è, insonnia? Vediamolo prima, poi si crederà o meno. Non è il direttore di banca. In quel caso, forse, non c’era bisogno di consulente tecnico, non c’era bisogno di 196. Ma chi è questo Pucci? Perché per capire se possa veramente essere stato presente quella sera nell’85 a Scopeti, bisogna vedere chi è. Chiediamocelo. Abbiamo elementi? Certo, io vorrei che li vedessimo insieme prima di dire cosa ha detto. È una persona ce l’ha detta lui stesso e ce l’hanno detta i parenti. Abbiamo sentito i parenti, con dovizia abbiamo fatto tutte le domande ai parenti. Guardate, perché ci sono voluti otto mesi? Perché non ci siamo assolutamente… non vi siete mai rifiutati di approfondire. È una persona che tutti ci hanno detto concordemente, conduce una vita molto semplice. È – questo l’hanno detto sempre tutti, l’ha detto lui stesso – un amico del Lotti. Anche questo. Andavano… “Andavamo insieme dalle prostitute”. Tutti ce l’hanno detto, dai parenti a loro stessi. È un omino… un omino, scusatemi il termine, che si muove con un motofurgone, da solo non va oltre San Casciano, torna raramente a casa tardi, avverte, la sorella lo controlla. Ma i parenti ci hanno tutti dato un elemento che a noi è importante acquisire oggi, per valutarlo: è un ragazzo che non è capace di inventare. Proprio non gli riesce materialmente. “Noi fratelli, da quando è morta la mamma, lo abbiamo sempre protetto.” Ecco questo ragazzo-omino, facciamo una via di mezzo, come lo vogliamo descrivere, non ha importanza, si è presentato a voi come una persona sicuramente spaesata ma cosciente, uno che forse è stato troppo protetto e che quindi, quando aveva qualche ora libera, qualche pomeriggio libero, faceva quel che gli pareva, andava con il Lotti, i parenti non sapevano, non volevano, non hanno saputo, non ha importanza era l’uomo… che comunque era un uomo doveva andarsene per i fatti suoi. Nessuno, la sorella poteva controllare… quella sorella che qui ci è venuta a dire: “Ma cosa facesse la domenica io non lo so.” Il fratello andava a prostitute e lo sapeva. È un uomo. Questo è il Pucci, eh. Io… è bene che tutti lo abbiamo presente. È chiaro che una persona di questo tipo, di queste dimensioni, di queste capacità, che si presenta un giorno alla Polizia Giudiziaria, che si mette lì e gli contesta che era lì quella notte, su quel 128 nei pressi, quando gli si fa le domande non è capace di inventare, o decide di stare zitto o, se racconta, dice la verità, è ovvio. È chiaro che sia pure un soggetto così, siamo stati indotti a crederlo subito, perché era un racconto talmente particolareggiato di quella notte a Scopeti, che era difficile non crederlo, fermo restando il dovere di verifica di quello che diceva. E allora vediamo questo racconto, perché è un racconto che… è un racconto sempre chiaro. L’ha fatto davanti a voi con una chiarezza, questo racconto, io mi ci soffermo a lungo, lo dico subito, e ha detto subito a cosa aveva assistito. E poi, siccome quello a cui aveva assistito è una cosa molto importante, molto grave, molto, sappiamo, sconvolgente, gli si è chiesto subito: “Come mai hai taciuto, come è possibile che tu abbia taciuto per tanti anni?” E lui ha detto subito: “Io avevo paura, mi avevano detto di non parlare, io volevo andare dai Carabinieri, io l’ho detto subito al Lotti, quello che abbiamo visto è una cosa importante, diciamolo.” Ecco, un personaggio che vi fa un racconto e vi fa subito capire, attraverso un elemento che da lui stesso, che è una persona che ha capito, altro che incosciente. Tant’è che sta zitto. Lui tace per dieci anni perché ha capito a cosa ha assistito. Se fosse stato uno così, completamente incapace, l’avrebbe raccontato subito, la sera stessa ai Carabinieri, si sarebbe mosso. No, aveva paura, ha assistito a qualche cosa di importante. Ecco un elemento sul quale noi dobbiamo cominciare a valutare perché se vogliamo o dobbiamo credergli, abbiamo un elemento che è: è uno che per dieci anni è stato zitto volutamente perché ha ricevuto una minaccia. Guardate quante cose ha capito. Si è comportato in un certo modo perché ha capito. Cioè è una persona che capisce le cose, perché questo racconto lo poteva fare dieci anni prima. E poi ha capito talmente bene che alla Polizia Giudiziaria dirà dopo – e non ricordo se è stata fatta la domanda, però il verbale è stato prodotto perché sono state fatte le contestazioni e lui stesso ha detto: “Dopo che ho raccontato mi sono liberato di un peso. A me questi dieci anni, questo fatto che non riuscivo a dirlo e non lo dicevo mi hanno pesato. Hanno compromesso la mia amicizia con il Lotti.” E lo racconteranno i parenti di come questo ragazzo non lo voleva dire e poi raccontandolo, con tutti i particolari, per cui i parenti stessi che lo conoscono meglio di noi lo hanno creduto, hanno capito che questo ragazzo aveva bisogno di liberarsi di qualche cosa. Questo è il personaggio, come si è comportato. Allora vediamo se questa persona, questo soggetto in dibattimento, ha tenuto un comportamento valutabile in modo diverso. O se il suo atteggiamento in dibattimento è perfettamente compatibile con questa persona, sempre al di fuori e al di là del racconto, che sappiamo tutti è un racconto importante. È un teste… dicevo, attenzione, ci sono i testi che ritrattano, i testi che non vengono; no, che questo racconto ha fatto alla Polizia Giudiziaria due o tre volte, l’ha fatto al P.M.; è venuto in dibattimento, e nei modi che Pucci Fernando è capace di raccontare e con quelle sue caratteristiche personali l’ha rifatto davanti a voi questo racconto. Quindi, ha raccontato queste circostanze e avete voi avuto la possibilità di valutarlo, di capirlo, non c’è in questo processo un verbale o più verbali del teste Pucci Fernando, teste oculare, messi lì alla Corte senza alcuna possibilità di critica perché nel frattempo il Pucci, magari, incapace di testimoniare, abbiamo introdotto questi verbali alla Corte, che sono importanti come elemento di prova, li abbiamo introdotti e avete i verbali. No, voi avete visto in faccia Pucci, tutti gli abbiamo fatto le domande, quindi, la valutazione è una valutazione che oggi possiamo fare perché è un teste che è venuto. Il P.M. non vi ha fornito dei verbali preconfezionati. Assolutamente. C’è stata la possibilità da parte di tutti di esaminarlo. E allora, durante questo esame, abbiamo potuto verificare tutti bene cosa… come sono andate le-cose. E io vorrei sottolineare, al di là dell’oggetto della sua testimonianza, che tutti conosciamo bene, perché cosa ha detto è quasi superfluo ricordarlo a una Corte che ha assistito a questo lungo dibattimento. Ma vorrei sottolineare un aspetto, perché ci consente oggi di valutarlo bene Pucci. Secondo me, se voi leggete, se tutti noi leggiamo con onestà, con obiettività, con il dovere che abbiamo di essere tersi, quella testimonianza, vediamo chiaramente a una prima lettura attenta che si divide in due parti secche, sono due atteggiamenti diversi quelli di Pucci, che probabilmente la dicono lunga, spiegano bene il perché. Eh, perché Pucci chiaramente dice subito, quando gli si contesta che era stata vista quella macchina… la macchina del Lotti: “Sì, è vero, noi ci eravamo. Ero lì col Lotti.” E lui subito su questo, l’ha fatto durante le indagini, ma la prima domanda che gli è stata fatta al dibattimento, non ha avuto nessun problema a ammettere che lui lì quella sera, insieme al Lotti c’era. Capito? Insomma è… intanto, se lui c’era, allora dicono la verità la Ghiribelli, dicono la verità il Galli, quegli elementi che sappiamo sono seri, e Pucci dice: “Sì, c’ero.” – ora si tratta di vedere che cosa ha fatto – “Quella sera noi eravamo lì…” – e comincia con la storia del bisogno – “Eravamo lì per fare un bisogno. Col Lotti ci siamo fermati.” Però dice un elemento importante che emerge molto chiaro nel dibattimento: “Avevamo un appuntamento alle 23.00.” Perché su questo, che la macchina di Pacciani e Vanni fosse arrivata prima o arrivata dopo, su questo ci arriviamo, la cosa sicura è che Pucci è tranquillo: ‘avevamo un appuntamento’. E poi vi racconta, ci ha raccontato diffusamente tutta quella parte che erano stati… si erano avvicinati, erano stati minacciati da due, e che poi, da due persone. Il racconto che fa Pucci è di questo tipo. Poi erano tornati, siccome minacciati si erano allontanati, poi erano tornati sul posto, e poi volevano andare dai Carabinieri perché avevano assistito a delle cose tremende, il Lotti lo aveva sconsigliato, e dice… il punto fondamentale lo ha ripetuto qui, quello che ci mette un attimo in dovere di vedere se si crede o no. Ma il punto su cui Pucci non ha mai, non dico tentennato, ma avuto nessun tipo di dubbio è chi ha visto. “Abbiamo visto Vanni che aveva un coltello, con cui aveva tagliato la tenda, dal retro io avevo sentito il rumore. E poi c’era Pacciani che aveva la pistola in mano.” Poi aveva visto uscire un ragazzo verso il bosco, dopo questa scena lui si era allontanato e Lotti era rimasto lì.
P.M.: Poi dice, e qui cominciamo, perché l’ha detto a voi, a vedere se questi racconti hanno un qualche riscontro, dice una cosa: ‘io fu’… il racconto centrale lo sappiamo talmente bene che vediamo poi le sue parole, ma dice un’altra cosa importante, l’appuntamento alle 23.00. E poi dice: “Noi lo avevamo poi raccontato al bar.” Questo è una situazione oggettiva che nel corso di questa indagine è stata sempre molto chiara. Cioè, questi due signori, Lotti e Pucci, dopo quella scena, in qualche modo, qualcosa signori, è evidente, al bar l’hanno detta. Non sono andati dai Carabinieri, ma che loro erano passati da quella piazzola lo hanno riferito al bar. Noi abbiamo avuto il riscontro in quel teste titubante che a contestazione lo ammette, Zanieri, l’orefice di San Casciano dice: “Sì, nel bar, nei giorni successivi si seppe” – poi lo vediamo da chi o non da chi, perché – “si seppe che il Lotti la sera, con la sua macchina, era passato di lì.” Quindi, Pucci, guardate, la prima cosa che dice: “Sì, dai Carabinieri non si andò ma ci si fermò a quel bar.” Di questo fatto, il bar, con la portata che vedremo, c’è un secco riscontro. Però io vi dicevo, vi sottolineavo e volevo che voi ci fermaste molto attentamente la vostra attenzione, è sul fatto che fatto questo racconto: cosa ho visto, chi c’era, io sono tornato alla macchina. Subito dopo attacca con una attenzione, una sicurezza che sembra quasi impossibile in una persona che apparentemente ha un comportamento che può sembrare particolare, è una persona che subito dopo aver fatto questo racconto ci tiene a far vedere che è persona talmente che ha capito come stanno le cose che nella… dopo aver detto chi c’era e cosa facevano e cosa ha fatto lui, dice: ‘oh, signori, ma io non c’entro nulla’. Cioè, buona parte della sua testimonianza, la seconda parte, vera o non vera, secondo me verissima, è stata una testimonianza in cui il Pucci, rendendosene conto o meno, sicuramente rendendosene conto, ha chiaramente tenuto a precisare: ‘guardate ma io con loro non c’entro nulla’, vedremo fra un attimo le sue parole. Cioè, sono due i momenti. Racconta. ‘Io non c’entro nulla’. Ci tiene in particolar modo a dire: ‘io ho visto, mi sono trovato lì, ero curioso, mi ci ha portato, ci sono andato per forza’ – questo non lo sapremo mai – però, guardate, io più di vedere e vedere nei limiti che vi ho raccontato, non ho partecipato a nulla. E questo è una persona che si comporta così. Guardate con quale attenzione si presenta a voi, con quale capacità di spiegarsi e di far capire quale è il modo in cui lui ha capito questi fatti. Ma è chiaro che lui nel fare questo racconto ha subito dimostrato di voler prendere le distanze da Vanni e Pacciani, e subito dopo dice sempre: ‘io ho sempre detto la verità’. Ma andando nei particolari di questo suo racconto, emergono ancora riscontri a quello che dice. Vorrei sottolinearveli, perché per la valutazione non solo di Pucci ma anche degli altri, delle altre condotte è importante. Perché a domanda specifica, quando gli si chiede: “Ma guarda che la Ghiribelli dice t’ha visto la sera, dice che il pomeriggio eri stato lì con lui.” Dice: “Sì, è vero, io non sono mai stato a fare merenda” – figuriamoci, ha memorizzato anche questo termine – “con loro, con Vanni e Pacciani. Io non ci son mai stato, ci può credere, io andavo solamente con il Lotti a Firenze e basta.” E poi dice – elemento di riscontro – : “Quel pomeriggio siamo andato dalla Ghiribelli Gabriella” – ce l’ha confermato la Ghiribelli Gabriella. Dice anche: “Venne anche Vanni, ma non lo voleva, perché non le garbava come faceva lui. E quel giorno del delitto Vanni era andato dalla Gabriella da solo, ma questa l’aveva mandato via.” Guardate che queste dichiarazioni sulla credibilità di Pucci non solo emergono dalla Ghiribelli che lo conferma, ma lo vedremo, lo ha ammesso al GIP lo stesso Vanni. E quindi capite che Pucci comincia a essere persona che vi fa un racconto e su elementi marginali, forse non di quella sera, dice le stesse cose che dicono la Ghiribelli Gabriella, guardate proprio quel pomeriggio lì Vanni, da solo, in autobus, ce lo dirà Vanni. Guardate che Pucci, nel farvi un racconto di quello che ha visto nella piazzola, vi dice anche elementi e fatti che trovano un riscontro addirittura in uno degli imputati, certamente su un fatto diverso. E poi continua, con la sua costante attenzione, tenuta in tutta la seconda fase della sua testimonianza: “Io non c’entro nulla con questi fatti.” È un Pucci che si rivolge a voi, a noi, con quel colorito, particolare, linguaggio toscano di campagna, così, un po’ impreciso, con quelle interiezioni, con quelle affermazioni; ricordate voi le parole. E quando il Presidente gli ha fatto qualche domanda o qualche contestazione – gliel’abbiamo fatta tutti – lui ha sempre, nel confermare ciò che aveva visto, Vanni e Pacciani, gli si è chiesto: ‘ma sei sicuro?’ e lui: “La ci può credere”. La ci può credere. È talmente spontaneo che è impossibile pensare che questo ha inventato tutto, ha memorizzato tutto e sta facendo un racconto. “Io le bugie non le ho mai dette a nessuno, non ho mai fatto male a nessuno” – continua “intendiamoci.” È questo suo modo di raccontare che ci dà addirittura certezza, ci dà ancora più la convinzione che dica la verità. Ma poi fa, ancora, un racconto con particolari che secondo me offrono la possibilità di vedere se ci sono riscontri. Ancora, oltre quei due che ho accennato. Sono importantissimi, eh. Io sto, in questo momento, non parlando del fatto dell’omicidio della tenda, sto parlando un attimo dei racconti relativi a fatti marginali sui quali c’è riscontro. Dice… Abbiamo cercato di capire meglio quei suoi termini, quando gli è stato chiesto, dice: “C’era… la visibilità non era male, perché c’era la luna crescente”. Ha usato un termine l’albore, l’arbore – che l’ha usato lui, in quel verbale; gli è stato contestato. È difficile che in un verbale si metta “l’arbore” o “l’albore”, che è un termine tipicamente di questi personaggi, in un verbale di Polizia. Quindi, quando siamo andati a contestargli: “Lei ha detto ‘l’albore”, era proprio un termine suo. Ma lui non si è minimamente smosso. Ha chiaramente detto: “La visibilità non era male, perché c’era la luna crescente.” Ma guardate, questo particolare della luna crescente è emerso in questo processo attraverso Pucci, perché tutti sapevamo, erroneamente credevamo, che quella notte era buio; c’era novilunio. No, abbiamo appurato che il discorso di Pucci su la luce di quella notte è un discorso che non va sottovalutato. Non è un’invenzione di Pucci. C’è stato quel teste dell’Osservatorio di Arcetri che ci ha spiegato chiaramente come era la posizione della luna all’orizzonte a una certa ora e quale poteva essere la luce quella notte. Allora, guardate: è venuto un Pucci, che dovrebbe essere persona così poco credibile, che non solo vi ha spiegato che ha visto perché c’era un po’ di luna, ma vi ha dato un elemento che noi non conoscevamo. È un elemento certo, un riscontro. Parlando poi di singole domande, io il racconto di Pucci su come sono andati i fatti direi che lo possiamo, in questo momento, dare quasi per conosciuto, perché lo sappiamo bene: i punti fondamentali è chi ha agito, cosa hanno fatto. Ma sono i particolari che ci permettono di dire oggi: ‘sì, Pucci dice la verità’. E dice: “Io ricordo di aver visto Vanni tagliare la tenda da dietro, dal basso verso l’alto.” Gli viene chiesto: “Ma la tenda com’era, a capanna?” È una domanda giusta, per vedere se dice la verità. E lui dice: “No.” “E scusi, scusate, era a capanna o era tonda?” “No, tonda no, porca miseria! Ne sono sicuro, tonda no.” Cioè, è un elemento che a lui è rimasto ben impresso. E sul taglio della tenda, anche su questo è difficile pensare che il teste abbia potuto inventare, perché è talmente particolareggiato nella sua spiegazione, che ci lascia veramente tranquilli. Perché lui dice, a domanda specifica del Presidente – il quale come sempre è puntuale, cerca di capire meglio, lascia spazio a tutti – la domanda del Presidente è: “Ma com’è questa storia del taglio?” Dice: “Io ho sentito il taglio della tenda e ho pensato che Vanni fosse entrato da quel lato, ma la tenda era posta obliqua; io non l’ho visto più, ho pensato che fosse entrato. Io ho sentito solo il rumore del taglio, addirittura non ho visto nemmeno il coltello, poi non lo so se è entrato, da dove è entrato, cosa ha fatto.” Però ha questo doppio ricordo preciso. Non ci dice: è entrato. No: “Io l’ho visto entrare, l’ho visto là dietro. Ho visto che tagliava dall’alto verso il basso.” Capite che poteva, se fosse uno che inventava, inventare quello che voleva. No, ha circostanziato quello che ha visto nei minimi dettagli. “Poi, vista questa scena, io mi sono allontanato di corsa. Sono andato alla macchina, giù in basso.” E su questo non abbiamo motivo di non credere, perché è una circostanza che non solo ha detto dal primo momento, ma il Lotti – che poi è l’altro personaggio che dovremo esaminare – lo ha specificato meglio. Quindi abbiamo questo Pucci che, vista la scena, si rende talmente conto di cosa è successo che se ne va alla macchina, si impaurisce, si allontana e aspetta. “Io” – dice – “non ho visto più nulla perché scappai.” E poi dice: “Ho visto l’uomo che usciva, il ragazzo nel bosco.” Anche qui particolarissimo: “Fu un attimo, in quel momento lì, capito, dalla paura mi impaurii, scappai subito.” E poi dice i colpi sentiti da Pacciani. Sentite e rileggete il racconto di questo Pucci. Dice: “Ho sentito un paio di colpi, Madonna! Ebbi paura, andai subito alla macchina, mentre Lotti era tornato su a continuare a guardare.” Ma gli viene contestato: “Ma come, sparò i colpi e quindi tu cosa facevi? Non ha avuto paura?” Lui subito, vigile, attento, dà la dimostrazione di aver capito tutto e che le cose andarono proprio in quel modo, nelle sue risposte. Dice: “Non sparò mica verso di noi Pacciani, perché se gli sparava in qua l’ammazzava anche noi, l’è logica.” Queste son le sue frasi. Però denotano che è uno che quella realtà l’ha vissuta. Addirittura ha memorizzato le sensazioni, la paura che ha avuto, il perché, il dove. E non cade assolutamente in nessuna, non dico contraddizione, ma è talmente attento alle contestazioni, sempre, anche in questo caso, fattegli dal Presidente.

P.M.: Dice, ma, ancora domande che gli son state fatte per vedere se c’era veramente; e anche lì risposte precise : “Ma quei due dentro, cosa è successo, cosa hai visto?” Dice: “Io mi sono allontanato, però si sentì lamentarsi.” “Si sentì”, no? Lui si fa terzo: noi abbiamo sentito. “Si sentì lamentarsi le persone che erano lì dentro nella tenda. C’era la coppia là dentro, dentro la tenda. Porca miseria, sono sicuro, sicuro, vai! Io i morti non li ho visti.” Perché la domanda è: “Ma lei li ha visti i morti?” “No, io ho sentito lamentarsi, poi son scappato.” Ecco, allora, la testimonianza di- questo Pucci, che è la persona che sappiamo, è una testimonianza che va avanti con descrizioni dei fatti così particolareggiate che ci lasciano sicuri e tranquilli circa la presenza di Pucci, quella sera, sul luogo dell’omicidio. E poi, dicevo, una volta chiarito che lui c’era e cosa ha visto, che con quelli non c’ha niente a che fare, subito dopo, quando il P.M. comincia a chiedergli . degli altri delitti, si chiude – ecco la seconda fase – completamente a riccio, fa la persona… dimostra anche, col suo atteggiamento, veramente di non saperne niente e muta proprio comportamento. Non vuole rispondere, comincia a sbuffare. “No, io degli altri non so nulla, li hanno fatti loro.” Si deve arrivare, per questa seconda parte del suo racconto – che è un racconto de relato, non è racconto della sua presenza – bisogna arrivare alle contestazioni. Ecco come, sentendo – il Pucci – che si parla di altre cose che lui non ha visto, il primo atteggiamento – potrebbe inventare anche quelle, signori, è chiaro lo scopo delle mie osservazioni — no, lui dimostra di essere talmente attento, che ciò che non ha visto lui assolutamente non lo vuole dire. Bisogna fargli le contestazioni. E quando gli si fanno le contestazioni circa i fatti che lui era stato nella piazzola di Vicchio nell’84 insieme al Lotti non ha problemi a raccontarlo; ma su contestazione. Ma poi fa anche una conferma sua, precisa, che ha sempre fatto. Dice di aver anche visto quello di Calenzano, il Giovanni di Calenzano. E specifica in dibattimento, come aveva sempre fatto, di averlo visto insieme agli altri a San Casciano, insieme a Vanni e a Pacciani. Descrive – lo descrive chiaramente – di averlo visto nella piazza dell’orologio. Lo aveva riconosciuto nella fotografia e racconta chiaramente quello che ha saputo de relato. Cioè, ecco l’atteggiamento Pucci: guardate, io quello non solo non c’entro nulla, ma quello che so lo so in questo modo. Dice: “Io ho saputo che questa persona era coinvolta nel delitto di Calenzano”, nei modi che sappiamo. In questa seconda fase delle contestazioni abbiamo veramente il Pucci che ci dà la dimostrazione che lui su questi fatti non c’entra e sugli altri ha detto la verità. Poi c’è tutta quella fase finale del suo esame, che secondo me è corretto valutare quella persona in termini di uno che è stanco, è sicuramente scocciato, a modo suo, perché lui crede veramente di non entrarci nulla, di aver fatto il suo dovere anche nei confronti vostri e della Giustizia: quel che so, quel che ho visto ve l’ho detto, non mi scocciate di più. E quando si continua, tutti noi, ovviamente ognuno col suo scopo, difensori di parte civile, difensori dell’imputato che cercano di contestargli apparenti contraddizioni – e che non sono contraddizioni perché gli si va a contestare vecchi verbali, le prime dichiarazioni è chiaro che sono diverse al momento in cui lui ha raccontato tutto – è talmente lucido da fare affermazioni di questo tipo, dice: “Io l’ho capito quello che mi dice, me l’ha bell’è domandato dieci volte e mi fa imbrogliare, mi imbroglio. E per forza che m’imbroglio, me l’ha bell’è domandato dieci volte la medesima domanda, cosa vuole da me!” E poi dice: “Ma perché non sei andato dai Carabinieri?”, di nuovo contestazione. Dice: “Ma porca miseria, ve l’ho detto diecimila volte!” Anche qui lucidissimo nel controesame. Dice: “Ma lei mi piglia in giro”, gli vien detto. “Lei ha detto in un modo poi ha detto in un altro.” “No, guardi, io non piglio in giro nessuno”, fa Pucci attentissimo. Che motivo ha uno scocciato a mettersi lì, invece fa proprio i distinguo: “Io non piglio in giro.” Poi insiste, siccome è stato provocato, dice ‘lei piglia in giro, dice: “No, è lei che mi piglia in giro, la mi piglia per scemo, ma io per scemo non sono.” Cioè, è talmente cosciente di tutta la situazione che si permette anche di spiegarsi, di far vedere qual è la sua valutazione. E’ una persona che, se noi la esaminiamo sotto questo profilo, è un Pucci che non solo era presente, ma che si è comportato come si doveva comportare in una situazione simile un teste che viene a riferire queste cose. E dà anche in dibattimento, secondo me, ulteriori particolari molto importanti. E oltre a confermare che era andato a Vicchio con Lotti, che aveva visto la coppia, è talmente preciso che spiega, dice: “Ma non ci si andò prima”, prima dell’omicidio. Guardate: un personaggio che è così attento nello spiegare, nel voler ricordare che lui c’è andato prima. E poi cosa dice? “Ma chi erano?” La domanda, gli si chiede: “Ma chi erano questi due?” Dice: “E che ne so io, non conoscevo mica i nomi.” Cioè, è una persona che è attenta talmente alle domande che risponde sempre a tono. E poi fa quel racconto, dice: “Lotti mi ha detto chi era quella ragazza; non so il nome, era tuia persona che andava con chi voleva lei e c’era qualcuno che gli garbava.” Questo è un racconto, si capisce benissimo, fattogli dal Lotti, perché ce lo farà da Lotti. Ma a una domanda specifica, ecco l’ulteriore elemento nuovo che ha, anche questo, un grande riscontro nel dibattimento, ci racconta cosa avevano fatto quel pomeriggio, andando verso la Ghiribelli. Cioè, questo l’ha spiegato bene in dibattimento. Guardate, che a distanza di tempo, il Pucci è persona che ha la possibilità di spiegare nei dettagli e di ricordarsi. Gli è rimasto impresso quel pomeriggio. Dice: “La domenica, di pomeriggio, ci si era fermati con Lotti a guardare la coppia nella tenda, mentre faceva all’amore.” Specificando che: “Si vedeva bene perché la tenda era un po’ aperta e non erano…lì.” Gli si chiede: “Ma non vi hanno notati?” “No, non ci hanno notati perché quelle persone erano impegnate a baciarsi e fare all’amore.” Cioè, è un Pucci che, a domanda specifica su questi fatti, di cui non aveva mai parlato, ci dà una versione di cosa avevano fatto quel pomeriggio che trova perfettamente riscontro. Erano stati dalla Ghiribelli: la Ghiribelli ce l’ha confermato. Si erano fermati lì il pomeriggio: abbiamo quella serie di testi che sappiamo che hanno visto la macchina con due che guardavano. E’ un Pucci ancora – e ho, direi, terminato l’esame della sua deposizione – che aggiunge un altro elemento, secondo me importantissimo, e l’ha fatto, ripeto, nel dibattimento, Pucci, non è che sia venuto a confermare dei verbali. No, no, ha dato spiegazioni specifiche. E su un altro elemento, oltre che quella domenica pomeriggio cosa avevano fatto, cosa avevano visto, quelli che si baciavano, facevano l’amore, la tenda aperta – di cui non aveva mai parlato, ma ne ha parlato a voi a domande specifiche – è un Pucci i che dice, più avanti: “Quella sera, quando noi si arrivò lì, c’era un’auto con due persone a bordo.” Eh, questa è una circostanza importante, molto importante, sotto due profili. Primo, perché è un dato di fatto che Pucci precisa, anche questo, bene in dibattimento; l’aveva detto prima, aveva parlato di questa macchina, ma precisa che c’erano due persone a bordo. Lotti, se non sbaglio, ha, per quel che ha visto lui, parlato di una. La macchina l’hanno vista tutti e due. Eh, c’è un qualcosa da valutare. Sono in contraddizione? Signori, ma pensate come stanno le cose, pensate la scena. Lotti è su a guardare e fa tutto quello che sappiamo. Pucci è colui che se ne va alla strada, subito, e si mette lì a aspettare. Quindi quello che ha visto veramente la macchina e con quante persone c’erano a bordo è sicuramente e solo Pucci. È lì che abbiamo motivo di credere che lui ha visto veramente due persone – saranno state due persone, non lo so – ma il Pucci è sicuramente credibile. Il Lotti, quando vi spiegherà – e ci ha spiegato -che ha visto una macchina più avanti partire, uno che guidava, ecco signori, ma questi dicono entrambi la stessa identica verità. Perché è Pucci che era lì, che era ai piedi della piazzola; è lui che ha visto questa macchina e come stavano le cose. È chiaro che noi dobbiamo pensare che è quello che ha visto meglio, e quindi chi erano queste due. Sappiamo quello che vedremo fra un attimo, però abbiamo motivo di credere entrambi, sia Lotti che Pucci, perché sono persone che ci hanno dimostrato che erano lì. Ma sono persone che ci hanno descritto la scena perché hanno detto come ci erano. Cioè, uno è stato lì a lungo e l’altro ci è arrivato soltanto nel momento in cui dovevano allontanarsi e ha messo in moto la macchina. Signori, io direi che, una volta esaminata la testimonianza di Pucci sotto questo profilo, abbiamo un debito totale di credibilità nei suoi confronti, perché come ho cercato di spiegarvi, sui punti fondamentali che riguardano il prima e il dopo questa fermata alla piazzola – nel quale, è chiaro, c’erano solo loro due, quattro, come sappiamo – su tutto il prima e su tutto il dopo abbiamo riscontri inequivocabili. Ghiribelli, lo stesso Vanni, lo Zanieri e il racconto concorde dei due. Ma io devo essere, comunque, anche onesto, perché da P.M. – e forse il mestiere di P.M. rimane sempre – ho avuto, in un primo momento, qualche sospetto che in fondo il Pucci ne sapesse di più, celasse delle proprie responsabilità. E questa è una sensazione che nel corso
del dibattimento, finché non si è precisato tutto, per un po’ ho avuto. Forse l’avrete avuta anche voi. Però è un debito che nei confronti di Pucci io, onestamente, mi devo togliere. Cioè, Pucci non è assolutamente persona che ha partecipato a nulla e che deve rispondere di un qualcosa dal punto di vista del Codice penale. Io ammetto, l’ho pensato: chissà quale altra verità nasconde. Signori, ma tutto il dibattimento ci ha dimostrato che Pucci è persona che è stata portata lì, forse non sappiamo perché. Sembra di capire: era un curioso, il Lotti se lo voleva tirare dentro, quello non ci voleva credere. Ma anche quando ci dicono entrambi “il pomeriggio ci fermammo lì”, lo stesso Lotti dice: “Io gli dissi che saremmo arrivati la sera, lui non ci voleva credere.” Ecco, quindi, il comportamento di Pucci. Ecco un Pucci che, onestamente, come ha raccontato tutto ciò che ha visto è un vero testimone; è una persona alla quale, a mio avviso, non possono essere addebitate responsabilità se non quella di aver taciuto per dieci anni. Ma ci ha spiegato perché. Non vedo come si possa pensare a un Pucci che ha avuto un trattamento processuale diverso da altri. È sicuramente un testimone, è sicuramente persona che ha visto quello che ha visto; ed è talmente cosciente che, nel momento in cui gli si chiede qualcosa di diverso, ci tiene a precisare due cose: “Io con quelli non c’entro nulla, hanno fatto tutto loro.” “Io, prima e dopo, quel che hanno fatto non lo so.” Quindi, non ci sono elementi di sorta per pensare a un coinvolgimento di Pucci in questi fatti che lo debba far vedere in una ottica diversa da quella del semplice teste. Presidente, se crede, cinque minuti di interruzione. Grazie.
Presidente: Allora, dieci minuti di sospensione.
P.M.: Bene.
Presidente: Grazie.

Presidente: Qui c’è anche l’avvocato Gremigni. Bene… Ah, scusi, non l’avevo vista. Avvocato, scusi. 

Avvocato?: Niente.
Presidente: Avevo guardato il posto e non di là. Allora, prego, Pubblico Ministero.
P.M.: Grazie, Presidente. Mi sembra che, a grandi passi, forse non troppo veloci, cominciamo a avvicinarci al punto fondamentale, è inutile negarlo, di questo processo: alla figura di Lotti. È la seconda figura che io vorrei affrontare – i particolari poi li vedremo con calma dopo – perché penso che incentrare subito l’attenzione doverosa sulla figura dell’imputato Lotti, dopo aver parlato del teste Pucci. È un secondo punto di partenza, solo punto di partenza. Perché dobbiamo parlare di Lotti? Mah, mi sembra, da tutto quello che abbiamo visto in quest’aula e da quello che ho appena sintetizzato, è ora indispensabile, come metodo di analisi del materiale probatorio del dibattimento, perché è chiaro – è veramente inutile ridirlo – è l’imputato che ha confessato. E quindi diventa la figura centrale di questo processo e perché le sue dichiarazioni hanno una rilevanza e un’importanza sulla vostra decisione non comune, basilare, indispensabile. Ma vorrei subito focalizzare ancora meglio quel concetto che ho espresso all’inizio: attenzione, non dobbiamo limitare la nostra impressione e credere che le prove di questo processo sono solo qui. Assolutamente. Io mi diffonderò, dopo, a lungo. Dobbiamo, ora, analizzare bene la figura di Lotti imputato, oltre che chiamante in correità, tenendo presente che è un imputato che fornisce elementi importanti, ma che ci sono tantissimi altri elementi di prova. Cioè, non dobbiamo fare l’errore di credere che noi abbiamo solo visto e capito questi due unici mezzi di prova. Ecco, direi che noi, nell’accingerci a esaminare ciò che ha detto Lotti e chi è Lotti, dobbiamo comunque tener presente, ogni volta che analizzeremo cosa ha detto e cosa ha fatto, che su quasi tutto ciò che dice Lotti il processo ha fornito altri elementi a monte e successivi, altri elementi di prova che sono così eterogenei, complessi, di varia natura, articolati, che ci permettono di valutare qua… Proprio, concretamente, abbiamo visto che Pucci ha detto qualcosa e ci sono riscontri. Per quello che riguarda Lotti direi che non ha aperto bocca e non ha raccontato circostanza che non sia dettagliatamente provata in altro modo. Vediamo. Quindi, noi dobbiamo a Lotti l’attenzione che dobbiamo, perché – per quarantacinque, quarantasei, non so quante sono le udienze, ho perso il conto – abbiamo spessissimo parlato della sua partecipazione, della sua condotta. E quindi è chiaro che le sue dichiarazioni debbono essere prima capite e poi valutate. Dicevo “capite”, e qui ho un motivo per dire “capite”, perché i racconti di Lotti, che sono dettagliati come sappiamo, a volte ci hanno dato la sensazione che su alcuni particolari – insisto: particolari – qualcosa non dica. Allora bisogna prima vedere, anche qua, se abbiamo capito, se è possibile capirlo, se è persona che forse non ricorda, non vuole ricordare, o certi fatti non li conosce bene, o si esprime male -anche questo lo vedremo – o non capisce le domande o, peggio ancora, per quello che a noi sembra, o al P.M. sembra, forse alla Corte, a qualcuno sembra che per alcune cose che a noi sembra che non abbia detto, se ha paura, se non dice qualcosa perché ha paura… Io, onestamente, ve lo dico subito, ve lo cercherò di dimostrare, credo che non abbia più paura e tutto quello che poteva dire lo ha detto. E partiamo quindi da quei dati di fatto. Ha sempre ammesso di essere stato presente a quattro duplici omicidi. Questo l’ha detto sempre. Dove troviamo una situazione processuale di questo tipo? L’ha detto nella fase delle indagini preliminari un’infinità di volte, alla Polizia Giudiziaria; lo ha detto al P.M., quindi è cambiato interlocutore. Se qualcuno volesse anche venire dei dubbi: interlocutore cambiato. Poi vedremo, eh, dei dubbi, per carità! Lo ha detto davanti al GIP nella fase dell’incidente probatorio. Stessa identica dovizia di particolari e di racconti. Terzo interlocutore, diverso. Ma lo ha detto soprattutto nel corso – la sua verità, la verità, perché per me non è più la sua verità, ma questo processo ha dimostrato che è la verità – l’ha detta in sei udienze qui, davanti a un sacco di persone, non nel ristretto di una stanza; che ogni tanto c’è questa volontà di porre dei dubbi. No, vediamolo, vediamolo per bene fino in fondo. Il Lotti in sei udienze, davanti a tutti, nel contraddittorio delle parti, non ha ritrattato niente, non se n’è andato; oggi non è venuto, per alcune udienze non è venuto, non verrà, non lo so, non dipende da me. Quando è stato necessario è sempre venuto. È difficile che uno sia sempre contento se ha ammesso delle responsabilità. E se questo sarà il suo esito, è difficile accettare e farsi dare una condanna. Però non è, secondo me, il motivo per cui ha paura di una condanna e non viene. Chissà per quale motivo verrà, non verrà. Ma non è questo il problema. Il momento in cui è stato necessario per l’istruttoria dibattimentale è stato presente. Quindi le illazioni – facciamo dire, mettiamo a verbale che Lotti non c’è – ai fini della vostra decisione, scusate, ma non serve assolutamente a niente. Perché nei momenti importanti, davanti a tutti, nel contraddittorio delle partì, è stato sempre presente. E’ un imputato che ha confessato presente qui, davanti ai suoi giudici, e ha detto sempre la stessa cosa. “Ho partecipato a quattro duplici omicidi, quelli dell’82, dell’83, dell’84 e dell’85. Esecutori materiali sono stati Pietro Pacciani, che usava la pistola, Mario Vanni, che tagliava, praticava le escissioni sui corpi delle vittime. Nell’85 a Scopeti portai con me Pucci, gli altri due non lo sapevano, erano all’oscuro, quando lo videro si arrabbiarono molto”. E poi tutti i particolari che sappiamo. È rarissimo, lo sappia… lo dicevo all’inizio parlando dei processi in genere, in cui qualcuno confessa. E’ rarissimo che, in una serie di omicidi come questi, qualcuno faccia confessioni così chiare, particolareggiate, particolareggiatissime direi, ripetute nel tempo, coerenti nel contraddittorio, senza mai, nella sostanza, alcun tentennamento. Mai. Secondo me nemmeno nei particolari, ma nella sostanza mai. Articolatissime dichiarazioni confessorie. Sono quindi sostanzialmente convincenti queste confessioni. Ma la confessione di Lotti è per me un punto di partenza. Lo dicevo prima, volevo che aveste tutti ben presente che non è un elemento di arrivo: ah, ci abbiamo quella e decidiamo su quella. No, è un punto di partenza, sulla base del quale noi dobbiamo partire, valutare, vedere se lo crediamo e sulla base di quello trarre conclusioni. E per questo noi abbiamo fornito, in questo dibattimento, una massa enorme di dati di fatto, di provenienza eterogenea, che ci forniscono elementi obiettivi, sicuri al riscontro di quello che ha detto e che sarebbero, già da soli, talmente importanti per arrivare alle conclusioni. Vorrei fare un’osservazione, che forse è anche bene fare e tenere bene in mente perché non sfugga quando dobbiamo valutarla: le dichiarazioni confessorie di Lotti sono innanzitutto in perfetta sintonia con gli esiti del procedimento a carico del Pacciani. E’ un signore che è venuto e ha sostanzialmente integrato elementi su una verità che in parte già conoscevamo. Era una verità che aveva degli elementi di prova molto sfumati, indiziari, lo sappiamo tutti. Ma guardate che Lotti ha continuato quella ricerca e quella formazione di prova. Cioè, è in perfetta sintonia e coerenza, ha aggiunto tutti i particolari che non sapevamo. Quindi il punto di partenza di credibilità primo, volendo o non volendo, a crederlo o ammetterlo, è che è in perfetta sintonia con gli esiti del precedente processo che, sia pure in I Grado, ha visto il complice, coautore, a suo dire, Pacciani, riconosciuto, con tutte le presunzioni di innocenza, colpevole. Cioè, è una verità, quella di Lotti, completamente in sintonia. Lo sappiamo, i processi sono completamente diversi. Vi era un processo in cui ci sono più imputazioni, per fatti che riguardano omicidi ulteriori. È un processo in cui le imputazioni sono parzialmente identiche, ma per il punto in cui sono gli stessi capi di imputazione, sono elementi forniti perfettamente in sintonia. Guardate che è una constatazione che non può assolutamente essere oggi sottovalutata. È vero, c’è anche quella contestazione ex 416, poi lo vedremo, in questo processo. Ma io vorrei fare allora, partendo da questa considerazione, che siamo in sintonia con quanto già provato, con le difficoltà, con tutti i gradi di giudizio che ci saranno, senza nessun esito, né scontato, né prevedibile, assolutamente. È una verità che in quel dibattimento è andata in un certo modo, in questo dibattimento – che oramai è concluso – si è integrata. Non è in contraddizione e ditemi se non è poco. Ma allora, partiamo proprio dal vedere, come abbiamo fatto con Pucci, qui ancora più diffusamente, chi è Lotti. Perché la prima operazione da fare è cercare di capire chi è, perché abbia partecipato a questi fatti e perché li abbia ammessi. Chi è. Perché ha partecipato a delitti simili? Perché poi dopo tanto li ha ammessi? Abbiamo la possibilità oggi, o avete voi, avete elementi oggettivi per valutare la sua persona? Eh, caspita. Abbiamo avuto gli esiti delle indagini su di lui. Abbiamo avuto le testimonianze che ci hanno permesso di inquadrare la sua personalità, numerose. Abbiamo avuto le indicazioni degli esiti della Polizia Giudiziaria. Abbiamo avuto le indicazioni documentali. Abbiamo avuto quella consulenza tecnica che sappiamo.
P.M.: Ma quello che cercavo di sottolineare poco fa e che ora è necessario ribadire è che, non solo ha fatto una confessione nel momento delle indagini, nell’incidente probatorio, ma è venuto qui e si è fatto vedere in viso, si è fatto interrogare. Voi avete avuto la possibilità di vederlo, le parti di interrogarlo, controinterrogarlo, contestargli quel che gli dovevano contestare. Ma avete avuto la possibilità di vederlo. Non è oggi qui, ma lui, dopo l’incidente probatorio, il suo difensore secondo me aveva tutto il diritto di dire: beh, ora la prova c’è già, ha confessato, non facciamolo venire. Io, se al difensore di Lotti fosse venuto questo dubbio, io penso che sarebbe stato un dubbio più che legittimo. No, Lotti è venuto qua, ha risposto per sei udienze al vostro interrogatorio. Vorrei poi soffermarmi a lungo su questo fatto. Ma è venuto qui. Cioè, non è che ha fatto dichiarazioni e se ne è stato in un angolo. No. Avete qualcosa da chiedermi? Non mi credete? Chiedetemelo, ve lo spiegherò. Questo ha fatto. È uno che viene qua, come minimo, a prendersi una condanna se voi lo crederete. Quindi è uno che in questa situazione si è messo su quella sedia per sei giorni e ha raccontato. Quindi abbiamo ben dire che oggi non è venuto. Però noi e voi avete tutti gli elementi per valutarlo. Si è fatto interrogare, non si è mai rifiutato. Nel corso del suo esame qualche volta ha detto: ‘basta, non ce la faccio…’. No, subito dopo ha preso un bicchier d’acqua e ha continuato. Ha chiesto di riposarsi, gli faceva male la schiena, non gli faceva… Non ha importanza. Ha risposto a tutte le domande. Era anche lì un suo diritto dire: sentite, io ve l’ho detto. Quando l’interrogatorio e il controesame andava sugli stessi identici argomenti, se Lotti avesse detto: beh, queste domande me le avete già fatte, io me ne vado. Secondo me, essendo un imputato, un imputato – lo ricordo a me stesso ma lo ricordo anche a voi -aveva tutti i diritti. No. E’ stato qua, presente fino all’ultimo a tutte le domande, fino a arrivare a un punto in cui chi gli faceva il controesame ha detto: ‘basta, di Lotti non se ne può più, l’abbiamo sentito abbastanza’. Ecco, questo è il primo elemento che avete. Lo avete visto in viso. Avete avuto la possibilità di vedere cosa dice, di sentirlo con le vostre orecchie e di fargli le domande che volevate e che gli sono state fatte. E in tutto questo tempo, ripeto sei udienze non una, è sempre stato un atteggiamento lineare, costante, che vi permette ampiamente di apprezzare la portata del suo racconto. Ma abbiamo avuto anche la possibilità, sia attraverso l’esame che attraverso gli elementi oggettivi e le testimonianze acquisite, di valutare meglio il suo carattere. E questo, secondo me, è importante per avere la possibilità di capire le sue condotte tenute in questi anni, valutare chi è Lotti, che persona è. Voi vi accingete innanzitutto a emettere una sentenza in cui si vede Lotti imputato di alcuni delitti. Il Codice prevede che, nel valutare questo, dovete valutare la sua personalità innanzitutto: sia come credibilità, sia ai fini della valutazione complessiva, in termini di “tantundem” del suo comportamento. È una persona chiaramente chiusa, lo abbiamo visto, lo ha dimostrato in qualsiasi momento. È una persona isolata, isolatissima. A parte gli amici coinvolti in questa vicenda, sempre che non conosca nessuno, e non è poco. Cioè, chi conosce nella sua vita Lotti? Lo vedremo, abbiamo cercato di capirlo da chiunque, il giro è sempre quello. Sono questi. Sono queste quattro persone, cinque, tre, due, a seconda dei momenti storici. Chiaramente, non solo isolato, ma un uomo solo. Al di là di queste amicizie, se amicizie sono, è un arginato, è uno che ha un vissuto familiare particolarissimo- Teniamoli presenti tutti questi dati, tanto ci servono a un duplice scopo: per crederlo e per valutare il suo comportamento in termini finali. Ha un vissuto familiare talmente particolare – che è riportato nella consulenza e i periti, consulenti Fornari e Lagazzi ce lo hanno riferito in aula – che ha riferito a loro, e è nello loro relazione carte 15, dice: “Il mio passato familiare è questo. Ho vissuto in famiglia fino a 26 anni, sempre in casa. I miei non volevano che uscissi di sera, specie mio padre, non so neppure io perché”. È uno che fino a 26 anni, nei tempi, diciamo, attuali, non lo lasciavano nemmeno uscire di casa a 26 anni. Così è nata la sua personalità, perché noi quella dobbiamo capire. Se la personalità è compatibile con il racconto. È uno che ha, lo avete sentito voi, un linguaggio elementare, si esprime al limite della comprensione. Ha un livello di istruzione bassissimo, mi sembra abbia raccontato quante volte ha ripetuto tante classi e poi a 14 anni ha smesso. Ha un’attività lavorativa, questa sì, ma di profilo talmente basso che, anche qui l’ha raccontato lui: “Facevo il manovale, poi ho fatto l’operaio alla draga, la maggior parte del tempo, spessissimo sono stato disoccupato”. E sempre ai consulenti tecnici ha dipinto Lotti se stesso, Lotti si è dipinto così: “Ho lavorato per 16 anni e mezzo sotto l’acqua e all’umido e sono stati anni duri. Allora ero giovane, un mestiere non l’ho imparato, facevo quello che trovavo”. Isolato, la famiglia è quel che è, questo è il lavoro. Tant’è che va poi ad abitare, da ultimo, in una comunità per assistenza ai bisognosi. Ma è una persona che ha difficoltà di tutti i tipi nei rapporti con gli altri. Si capisce, perché poi le amicizie sono quelle che sappiamo. È uno che ha rapporti pessimi con le donne. O meglio, rapporti difficili. Non mi permetto di giudicare, solo ai fini di questa valutazione. Ai consulenti tecnici darà due indicazioni secche e precise e una la darà in aula, per cui penso non ci sia necessità di dire altro e le sue frasi sono: “Non sono mai stato capace di far godere le donne”. Questo va visto sotto il profilo che lui ha questa coscienza, al di là dei risvolti. Secondo: “Le donne le ho avute perché le pagavo”. Questa è la sua filosofia, o autocoscienza sul problema. C’è un riscontro obiettivo in quella consulenza. E’ affetto da “impotentia coeundi” di natura psicogena. Tutte queste cose ci servono, non ci servono, ai fini della valutazione: sono fatti, teniamolo presenti poi quando dovremo capire chi è questo signore e cosa ha fatto. Eh, volevo dire due parole sul linguaggio. Sul linguaggio di Lotti, che noi abbiamo conosciuto per quelle sei lunghe udienze, io devo dire, fare più di un’osservazione importante, perché vi è stato indicato dalla difesa del Vanni che questo signore al tipico atteggiamento e linguaggio di chi inventa. Vediamo un attimo i dati oggettivi e poi traiamo le conclusioni. Vi è stato detto in aula, dal difensore, con una certa enfasi, come spesso è accaduto in queste udienze, è uno che usa sempre “cosare”, parla sempre di “cosare”, è il tipico sostantivo e verbo che usano coloro che inventano. Allora esaminiamolo, perché io non voglio assolutamente pensare che, se ci sono degli argomenti che vengono usati dalla difesa, io non li prendo in considerazione. Tutti signori, perché non io li devo prendere in considerazione, voi. Io potrei anche esimermi, però lo faccio perché mi sembra un elemento obiettivo che tutti dobbiamo valutare. Dice “cosa” e “cosare” perché non sa, inventa. Vediamo il modo in cui adopra il proprio linguaggio. Io ho preso degli esempi nel suo esame, che sono chiarissimi, per capire che questo signore non conosce il 50% dei sostantivi della lingua italiana. Altro che inventa, non conosce nemmeno quelli per i quali deve raccontare cose che indubbiamente sa. Ad esempio, ne ho preso qualcuno, ma è indicativo sull’uso di “cosare”. Quando gli viene chiesto: “Ma questa scatola che tu dici conteneva la pistola” – è una domanda del Presidente – “ma sei sicuro, ma dove la teneva?” Quindi già siamo in un’ottica in cui noi gli facciamo capire: ma spiegaci bene. Lui, testuali parole: “Pacciani quella scatola la riponeva in quel coso di legno con i chiodi dove si mettono le cose”. Questo è lo scaffale. Ecco come usa “coso”. Ancora. Descrive una lampada portatile, che motivo avrebbe… La lampada portatile: “È una di queste cose per far luce, come si chiamano? Quelle che portano, così, per far luce quando gl’è buio”. Deve semplicemente dire una lampadina. Ma ancora. Gli viene chiesto di quell’appendi abiti dove lui ha visto quello spolverino di Vanni in casa. A qualunque scopo fosse in quella casa lo spolverino in questo momento non ha importanza. Non sa spiegare a voi di che cosa si tratta, cos’è un appendi abiti, il termine appendi abiti. E dice: “Sì, nel ripostiglio di Vanni c’è quel… uno di quei cosini apposta, quelle cose apposta, per tenere roba leggera. Quei cosi che poi si piegano e si mettono”. Capite che qui non deve inventare nulla. Il suo esclusivo scopo è quello di spiegarvi cos’è uno scaffale, un’attaccapanni. La maggior parte delle volte il suo linguaggio è così.
P.M.: E si potrebbe leggere il verbale di quelle sei udienze e vedremmo che la maggior parte dei vocaboli e dei verbi sono “coso” e “cosare”, anche nei momenti in cui non deve inventare nulla. Ecco quindi che l’argomento usare “cosare” per inventare, è un argomento che non ha spazio. Ma c’è un altro elemento che nasce da questa sua difficoltà di linguaggio. È esattamente il corollario; uno che non capisce il linguaggio e non si sa esprimere, ha anche difficoltà di capire chi gli parla. Che non capisca spesso le domande è talmente chiaro che siamo stati più volte costretti a rispiegargliele. E c’è voluta – io lo devo riconoscere – tutta la pazienza del Presidente di questa Corte che, con la sua professionalità e esperienza, si è messo di volta in volta a spiegargli qual era il termine esatto della domanda. E quindi è evidente che molto spesso il Lotti ha queste difficoltà, sia di esprimersi che di capire e quindi dobbiamo anche partire da questo dato di fatto. Quindi è una persona che non solo si esprime male e capisce male, ma in tutti i suoi racconti tende a distinguere. È un po’ quello che ha fatto Pucci, sono le persone elementari. Cioè distingue nettamente e vuole marcare molto chiaramente la differenza, ed è questa: le cose che lui ha visto personalmente, le descrive nei minimi particolari. Le cose che non ha visto, e sa de relato, le racconta, chiarendo bene che le sa per sentito dire, ma subito dopo dice io non so se sono vere, chiedetelo a chi me l’ha dette. E nel 99% dei casi si riferisce a Vanni. Cioè quando noi pretendiamo da lui una verità sulle cose riferite, la prima cosa che fa – e in questo dobbiamo dire che è elementare, ma anche onesto – dice: io la so così, cosi mi hanno detto, se è vero io non lo so, chiedetelo a loro. Le cose che ha visto: puntuale, irremovibile, circostanziato, sempre presente. Le cose che sa per sentito dire non c’è stato una volta che non abbia voluto mettere in evidenza la circostanza. Attenzione, io non lo so, così mi hanno detto. Per tutti, così abbiamo subito ben presente cosa sto dicendo. Episodio di Calenzano che era avvenuto… Me l’hanno detto. C’era Faggi… Me l’hanno detto. Io non c’ero, non ho visto. Su questo cosa gli ci voleva, nell’economia di uno che racconta, a dichiarare il falso, a inventare. No, la sua credibilità, al di là delle conseguenze che può avere o meno, è una credibilità di questo tipo: quello che ho visto, potete torturarmi – scusatemi la parola – e io ve le racconterò. E tortura è stata, per sei giorni gli abbiamo chiesto le stesse cose. Ma per sei giorni le ha dette nello stesso modo, perché le ha viste. Quelle che non ha visto, non c’è tortura – fra virgolette – che tenga, non lo sa, non lo dice, o comunque dice: a me me le hanno raccontate così. “L’hai visto quello, chi era?” “Mi hanno detto che era…” “Aveva la barba? Si chiama Vinci?” “Me l’hanno detto”. Sempre così. “La tenda l’ho vista”. “Ha tagliato, non ha tagliato?” “Io questo ho visto e questo vi racconto”. Esattamente il contrario. Nel momento in cui ha visto scende nei minimi particolari e è sempre puntuale. Su quello che ha sentito dire fa una netta distinzione. C’è un altro elemento che vorrei ben evidenziare a voi Giudici, nel momento in cui dobbiamo esaminare nei dettagli le dichiarazioni fatte in queste sei lunghe udienze. E qui io l’ho fatto nel corso del dibattimento di metterlo sempre bene in luce ogni volta che ho avuto spazio. Ma oggi lo faccio, perché questo è il momento, con grande chiarezza e decisione. Vi è stato proposto questo tema, dalla difesa Vanni: il signor Lotti e il signor Pucci cadono in contraddizione. Perché nei primi verbali hanno detto una cosa e dopo ne hanno detta un’altra, quindi sono in contraddizione e tant’è che si contraddicono. Io ringrazio il Presidente, come sempre perché è un mio dovere farlo, ma perché è la realtà. E’ stato il Presidente che, nel corso del controesame, ha fatto presente che le contraddizioni non erano oggettive, ma era una situazione, sicuramente da valutare, ma in cui si contestava a Lotti – e in certi termini è stato fatto anche con Pucci – dichiarazioni che avevano fatto il primo giorno, diverse da quelle che hanno fatto l’ultimo giorno. Signori, è di tutta evidenza che questi signori sono andati, nella loro apertura, nel loro racconto, per gradi. E quindi non gli si può contestare che il primo giorno avevano detto cose diverse. Gli si può contestare solamente che sono andati per gradi nel racconto, ma non che c’è una contraddizione fra il primo e l’ultimo racconto. Questo non corrisponde alla realtà del fatti. E direi che tutto il controesame di questi signori è un controesame che mira a mettere in evidenza queste contraddizioni, che contraddizioni oggettive non sono; sono esclusivamente un iter che questi signori, in special modo Lotti, hanno tenuto nel loro racconto. Direi che essenzialmente l’ha fatto Lotti. Su Pucci, poi abbiamo visto, a parte che è stata una deposizione molto più breve, è stato di tutt’altro spessore. Lotti è vero, il primo giorno disse cose ben diverse dal primo interrogatorio del P.M., ma perché è stato lui che si è aperto lentamente. Non gli si può oggi contestare come fatti oggettivi quelli che ha detto il primo giorno. Gli si deve contestare: come mai ce lo hai detto per tappe? Questo è un metodo corretto. E su questo siamo qui a valutare. Ma non si può dire quale è delle due la verità. No. Non c’è nessuna contraddizione, c’è un’evoluzione. Sull’evoluzione possiamo fare, ed è giusto, fare tutte le considerazioni, che saranno sicuramente fatte. Ma esattamente in questi termini. È Lotti una persona che sa prendere decisioni? Lo avete visto come uno che è capace di decidere cosa fare da solo? No, mi sembra che la sua personalità debole sia emersa fin dal primo momento in tutte le sue condotte. È una personalità chiaramente sottomettibile, ce lo hanno spiegato i consulenti tecnici, ma lo abbiamo visto da soli. È uno che cede chiaramente alle personalità più forti. È di tutta evidenza. Lo ha detto lui, ma emerge dalle condotte oggettive. È uno che è portato naturalmente a subire; qualsiasi tipo di minaccia, anzi la ingigantisce. Vi ricordate quell’episodio? Avevo paura che, dell’episodio Butini poi se ne parlasse in giro. Nei termini che è, eh. Quel fatto, rapporto o no omosessuale con Butini. Ha lo spazio in guesto processo che deve avere, è confinato in un angolo. Però, vi ricordate come vi ha descritto: ‘io sono stato costretto perché avevo paura che poi raccontassero che mi avevano visto con Butini’. Qualunque cosa avessero fatto quella sera in quella macchina, e voi avete tutti gli elementi per valutare in che termini è credibile, lo vedremo meglio. È uno che vi ha raccontato che quel solo fatto, che lo avessero visto con un uomo in macchina, in una strada appartata, qualunque cosa avesse fatto, era per lui un elemento che poteva essere oggetto di minaccia. Vero o non vero. Più che vero è ovvio, nella sostanza di questi racconti. È uno che poi non riesce a elaborare conseguentemente alcuna difesa. Subisce. È una persona diffidente. È stato diffidente con gli investigatori. È stato diffidente con voi. È stato diffidente con il suo difensore. È stato diffidente con la Polizia Giudiziaria. È uno che non si fida di nessuno perché non ha rapporti, non ha relazioni. Come si può pensare che possa avere inventato quello che ha detto, sulla base di qualcuno che gliel’ha suggerito. Ma questo non credeva nemmeno alla sua mamma, figuriamoci se poteva avere un rapporto. Io mi rifiuto di pensarlo, ma siccome è stato detto, allora il pensiero ce lo faccio per dovere, che questo abbia potuto avere un rapporto con qualcuno che gli ha insegnato, o gli ha suggerito cosa dire. Questo è diffidente nei confronti di chiunque, figuriamoci se può instaurare con qualcuno un rapporto di sottomissione sotto questo profilo. È un apatico. Anche questo è un elemento oggettivo. Perché bisogna valutare. Ha assistito a degli omicidi nei modi che ci ha detto, e noi – io lo credo e sono sicuro che siamo in tanti a crederlo – con un atteggiamento di completa apatia. È incapace di qualsiasi slancio su qualsiasi cosa; slanci né positivi, né negativi. Ma alle vostre risposte: indifferente su tutto, sembravano cose che gli scivolano sulle spalle, nonostante i racconti. È incapace di qualsiasi reazione a caldo. Tutt’al più si è arrabbiato qualche volta se gli sono state fatte, nel controesame, qualche domanda ulteriore su cui aveva risposto. È l’unica volta, che ho visto io, da quando, per questi motivi, ho avuto modo di vederlo in questi atti, in cui ha avuto una reazione. Per il resto sempre completamente passivo. Una volta sola ha detto: ‘basta, basta, qui mi confondete, io non ne voglio più sapere’. L’unica reazione a caldo che gli ho visto fare. E gliel’avete vista fare anche voi. È una persona che non ha valori, c’è poco da fare, lo ha dimostrato, ma non solo con le azioni, sul modo in cui mi racconta le cose. Non c’è niente, non c’è nessun valore che lo interessa, che lo prende. Il mondo intorno a lui è inesistente. Le uniche cose di cui si occupa, ce lo ha raccontato, sono la soddisfazione dei bisogni elementari. È un soggetto semplice e quindi è chiaro che i bisogni elementari sono i bisogni primari cui tutti sono portati naturalmente a dare soddisfazione. E quali sono le sue necessità, quelle che vi ha raccontato? Un tetto, un tetto qualsiasi. Vi ha raccontato nei dettagli le case che ha avuto; poi, in quella casa, ci pioveva… Quelli sono i suoi interessi. La macchina. Caspita! Come si colorisce quando gli si parla delle macchine! Ne ha avute tre o quattro, tutte usate, tutte vecchie. Però è un argomento che, sempre da soggetto elementare, lavoro, una casa, una macchina. Seppure usata, perché nel mondo moderno, la macchina, soprattutto per soggetti simili, ma purtroppo per tutti noi, è diventata indispensabile. Aggiunge, i suoi bisogni elementari consistono nelle dieci, nelle 50mila lire, a secondo del tempo, per andare con la prostituta. A seconda dei tempi. Anche questo è una cosa che vi ha raccontato. Sta nella comunità gestita da don Poli, mi sembra si chiama, non certo per coltivare sentimenti religiosi. Per carità! Cercare un sentimento, magari religioso, in questo soggetto. Per carità! Sta lì, perché non costa nulla e perché ce lo tengono . Lo ha spiegato : ‘ chiesi in Comune, andai in Comune…’, andava dall’assistente sociale. Questo è il soggetto Lotti.
P.M.: È un tipo però che, fra tutte queste caratteristiche, ne ha un’altra: è curioso. Lo ha spiegato bene lui. Perché, nel momento in cui gli si dice: ‘ma tu hai chiesto…’. Sempre, lui, tutte le volte ha dimostrato di avere chiesto qualcosa che non gli tornava, lo ha sempre detto, dice: ‘io glielo chiedevo’. Dice: ‘ma tu glielo hai chiesto a Vanni chi era questo? Glielo hai chiesto a quell’altro chi era quella persona? Gliel’hai chiesto cosa hai fatto?’ ‘Sì, io glielo chiedevo, glielo chiedevo, glielo richiedevo. Ma se di più non mi dicevano, che ci posso fare?’ Io, a questo lo credo che fosse con gli amici e con quei conoscenti, curioso. Ma credo anche nel limite che ha trovato questa sua curiosità. Cioè, più in là non è andato. Io sono sicuro che, quando ci ha fatto quei racconti sui suoi colloqui con Vanni su certi fatti – che poi vedremo nei dettagli – il Lotti abbia chiesto; rientra nella personalità di uno come il Lotti. Però si arrende. Quando non glielo dicono, non glielo dicono. Da tutto questo emerge una caratteristica. E mi riferisco a quella caratteristica relativa ai suoi rapporti con le donne. È una caratteristica che, secondo me, va presa bene in considerazione nel momento in cui dovremo valutare questo aspetto della sua condotta. È una personalità, quella descritta, che indubbiamente si riflette nella sua sfera sessuale. Questo lo abbiamo capito da noi, ce lo hanno detto chiaramente i consulenti tecnici in quest’aula e per scritto, però è chiarissimo. E noi non possiamo, nel valutare, non tenerne conto. E ci ha raccontato, oltre i rapporti con le prostitute, le difficoltà dei rapporti con le donne, frequentava cinema a luci rosse, aveva o ha avuto, nei limiti che sappiamo, rapporti omosessuali. Lui ci tiene subito a spiegare che li ha subiti, che sono transitori, che sono stati occasionali, che li ha dovuti subire, appunto. Però è una caratteristica della sua personalità e del suo vivere questo tipo di rapporti che emerge poi chiaramente nell’elaborato scientifico dei consulenti. Anche questo non contestato da nessuno, ma spiegato bene in aula. “In estrema sintesi, è una personalità particolare” – ci dicono – “Ma la realtà clinica del periziando può essere identificata in quella di un uomo apparentemente immune da patologie” -era quello che ci interessava – “somatiche e psichiatriche di rilievo.” Cioè, è una persona con le caratteristiche che ho finora descritto. “Ma orientato in senso omosessuale.” Cioè, i consulenti, dalla semplice anamnesi e da pochi altri elementi, hanno rilevato e ricavato questa sua omosessualità, eterosessualità, non lo so. Comunque un atteggiamento di questo tipo. Tant’è che, per dei consulenti che lo hanno visto una o due volte, è emerso chiaramente. E in più, è specifico il dato: “Lotti Giancarlo è connotato da forti istanze di carattere perverso, sicuramente tali da essere parte della sua personalità, delle sue scelte e della sua stessa interazione con l’esterno.” Una personalità perversa. I consulenti tecnici, nei limiti delle loro conoscenze, lo hanno messo bene in evidenza. Direi che gli elementi obiettivi che noi abbiamo acquisito nel corso di questo dibattimento, ci permettono di dire che di questa perversione vi è ampia traccia in numerosi altri comportamenti. E i riscontri non sono quelli che vi ho finora elencato. E è più che comprensibile che siano venuti fuori nell’esame da parte dei consulenti. Questo è il Lotti. Chi frequenta una persona come Lotti? Lo dicevo all’inizio. Si tratta, a questo punto, di vedere qual è il suo mondo di frequentazioni. Finora abbiamo visto la sua personalità, la sua indole, il suo io; vediamo chi frequentava. Perché, vedendo chi frequentava, si può capire se abbiamo elementi oggettivi per capire chi frequentava al di là del suo racconto. Chi può frequentare – chiediamoci – una persona come questa? E noi lo abbiamo sentito univocamente da tutti i testi sentiti nel dibattimento a cui è stata fatta questa domanda. L’amico e gli amici sicuri erano, riferito da tutti: innanzitutto Fernando Pucci. Ma Pucci ce lo ha ammesso fino dal primo momento, ce lo ha detto. Ma è ovvio, un uomo di una pasta identica, sostanzialmente. Sembra, si dice, comunemente i tipi simili si cercano, poi si trovano, no? Dio li fa e poi li accoppia. Quei detti popolari che, in questo caso, mi sembra non stonino assolutamente. Ma chi frequenta poi – e su questo lo stesso i testi sono stati tutti indistintamente sicuri e tranquilli. I rapporti costanti sono, di un tipo così: con Vanni, con Pacciani, fissi. Con Pucci, fissi nei termini che sappiamo. Fissi nei termini che sappiamo, eh. Nessuno vuole dire niente di più. Tutti sapete quando, come e perché. Non voglio andare nei particolari di quando e come, dove si frequentavano, se andavano alla cantinetta a bere o non a bere. Le persone di riferimento che vengono fuori sono queste. Si è sentito parlare di un maresciallo, non maresciallo, Simonetti, morto; di un altro postino Dori Vanio morto. Che, mi sembra di capire da quel poco che sappiamo, non hanno nessun elemento per contrastare queste personalità. Sono tutte dello stesso tipo di personalità. Tant’è che il discorso “Compagni di merende” che io, mi è venuto veramente, come a tutti, a noia, è sicuramente un concetto che bene esprime questa situazione. E sono termini usati dall’imputato Vanni. E quindi, questo io sto cercando di sottoporre a loro come gli elementi obiettivi di una vicinanza fra questi personaggi – Lotti, Vanni e Pacciani, per quel che serve, e Pucci – sono elementi che prescindono dalla commissione dei delitti, eh. Su questi ancora non ci siamo; siamo in un vissuto di paese in cui queste sono le persone che vanno insieme a prostitute, vanno al bar, si incontrano, si frequentano, vanno a fare gite, vanno a mangiare un panino, a bere, non ha importanza. Comunque, il vissuto è questo. Cioè, Lotti – non ci si può meravigliare – queste sono le persone che conosce. E, anche questo, direi che, nell’individuazione di questi Lotti e Pucci che quella sera erano 11, in quella determinata macchina: il 128 rosso, non è poco. Perché non sono persone estranee. Il giro, se giro si può parlare, se di giro si può parlare in una vicenda che ha la portata che ha questa, è il giro giusto, si direbbe. Quelli sono. Cosa facevano, lo vedremo. Ma sono loro: andavano fuori insieme. Non c’è qualcuno che vi è venuto a dire: per carità, io non sapevo nemmeno che si conoscessero. Va bene che il paese è piccolo, ma è un coro unanime di persone: uomini, donne, grandi, bambini, dottori, preti, baristi, orefici, tutti. Il giro, gli amici, erano loro. Tutti, in paese, per carità, cosa facessero nessuno lo sa. Un paese santo come quello di San Casciano, glielo dobbiamo riconoscere, non ne esiste nelle deposizioni raccolte in questo dibattimento. Però, su una cosa, dobbiamo ammettere: i cittadini di San Casciano sono stati concordi. Il gruppo era quello. Se voi indagate su quelli e avete qualcosa da dire su quelli, noi di San Casciano non sappiamo niente, ma sicuramente loro, sono loro, sono quelli, lo sanno. Domandatelo a loro. Noi non ci si entra nulla; ma nessuno ci ha dipinto un quadro di amici diverso da questo. Eh, insomma, non parliamo dei delitti, ma non è poco. È importante anche vedere come si arriva al Lotti, perché ci si imbatte in Lotti. Non ci si imbatte casualmente. Il teste, dottor Perugini, che ha curato le indagini fino a tutta l’inchiesta che ha portato al processo a carico di Pacciani, vi ha spiegato esattamente sul punto che cosa era emerso. E mi sembra che dobbiamo riconoscergli, come sempre, non solo l’obiettività e la professionalità che si merita, ma dobbiamo anche mettere in luce fatti che vi ha subito detto – perché poi risulta dai verbali – che di Lotti, Vanni, Faggi, attenzione, come conoscenti o amici di Pacciani, se ne parla dal 1990. Cioè, di questo sodalizio di amici – siamo sempre fuori dai delitti – era un fatto di cui la Polizia Giudiziaria se n’era accorta nel momento in cui, nel 1990, si era cominciato a pensare a chi. poteva conoscere Pacciani. Non certo pensando a complici; si pensava, giustamente e correttamente, che, interrogando gli amici, si poteva sapere qualcosa su di lui. E così fu fatto. Già nel 1990 furono fatte, attenzione, perché serve poi – vorrei che memorizzaste questo dato -nel 1990, mese di luglio, vengono perquisiti; Vanni, Faggi. E interrogato Lotti. Cioè, non si va alla ricerca di estranei nel 1995; sono persone che si conoscono già dal 1990. Addirittura, due: Faggi e Vanni… Vanni non fu perquisito. Faggi viene perquisito. Nel 1990 vengono sentiti Vanni e Lotti. Fu perquisito Faggi, Allora capite che, nel momento in cui poi si incomincia ad avere davanti questa 128 rossa, coda tronca, che nell’85 è alla piazzola di Scopeti, caspita, è di proprietà di Lotti. E questo Lotti non è un estraneo. Eh, stai a vedere che è proprio un amico di loro. Ma se noi facciamo un attimo questa analisi del passato di queste persone, di questo sodalizio, e guardiamo Lotti — io gliel’ho contestato e vi ho fornito il verbale – c’è un verbale relativo al Lotti del 1990. Ce ne ha parlato il dottor Perugini come fatto storico. Questo verbale sapete come termina? In questo modo: 19 luglio ’90, interrogatorio, primo e unico interrogatorio a Lotti in quegli anni. “La Polizia Giudiziaria non lo conosce; l’ufficio contesta al teste di essere poco spontaneo, gli chiede di riflettere e di essere più esplicito e meno reticente. Il Lotti dice che non sa dire altro, e giustifica il suo atteggiamento, dicendo di essere un tipo chiuso e taciturno.” Nel 1990 il Lotti si presenta nello stesso identico modo, sappiamo perché. Però, già emerge così la sua personalità. È quindi una situazione in cui giustamente il dottor Perugini vi dice: ‘io di più non avevo. Noi ci siamo fermati lì, perché queste persone le abbiamo sentite perché indagavamo solo Pacciani. Quindi loro… chiedevamo riscontri, chiedevamo qualcosa del vissuto di Pacciani. Ma quelli abbiamo identificato’. E tant’è che, il 19 luglio ’90, furono sentiti sia Lotti che Vanni. È una persona che ha chiaramente paura, no? Ce lo ha spiegato. Tant’è che ora sì capisce – ce lo ha spiegato lui nei modi che sappiamo – si capisce che una persona così possa essere stata zitta per dieci anni, sostanzialmente dall’85 al ’95. Anziché andare dai Carabinieri quella sera dell’85 come proponeva Pucci, abbiamo avuto un silenzio assoluto. Una compattezza tenuta in piedi da cosa non lo so. Sicuramente dalla minaccia che questi ci hanno raccontato. Eh, ma perché, ora che ce lo ha spiegato, come faceva Lotti a raccontare liberamente queste cose? Era interamente coinvolto. È chiaro che nel ’90, quando viene sentito, la stessa Polizia che non sa assolutamente nulla, lo vede reticente, gli contesta che è reticente. Nel ’90 non sapevamo nulla. È chiaro che quindi, quando ci si avvicina al Lotti e voi sapete in che modo poi il Lotti ha fatto la sua qraduale confessione, abbiamo un personaggio che la prima cosa che fa tiene lo stesso atteggiamento: ‘io non so nulla. Cosa volete da me?’ Eh, però, a quel punto, gli investigatori sono un pezzo avanti, lo sapete. E quindi Lotti non può continuare a dire che non sa niente. Perché è anche elementare. Cioè, a contestazione, questi personaggi non riescono a resistere. Ma perché davanti al dato oggettivo, dove c’è un elemento oggettivo che gli si contesta, non possono inventare, lo sanno che sono “incastrati”, fra virgolette. E vediamo. E perché nel 1995 non si va più ad interrogare Lotti, come del ’90, e gli si dice: ‘ma tu conosci Pacciani?’ No, gli si dice: ‘guarda, caro signor Lotti, ci sono questi elementi oggettivi a tuo carico. Cosa hai da dire?’ Gli si dice: ‘guarda, Galli e Ghiribelli dicono che la sera, la 128 dell’85, la tua 128 era lì. Guarda, che abbiamo intercettato una conversazione telefonica fra te e Ghiribelli, sull’utenza del bar di San Casciano che tu sappiamo usi perché non hai telefono, nella quale tu confermi e dici: sì, eravamo andati lì a fare un bisogno’. Gli si dice: ‘guarda, che Pucci ha raccontato che eravate lì, voi, la sera dell’8 settembre. Guarda, che Filippa Nicoletti, che noi abbiamo sentito che tu frequentavi perché è stata una tua’ – non so bene cosa – donna, non donna, una prostituta da cui andava, una amica – ‘una tua conoscente, fra virgolette, intima, dice che, per quanto riguarda Vicchio, proprio in quella piazzola, voi ci siete stati’. Ecco, a questo punto, in questo momento, solo con queste contestazioni, dati oggettivi fatti, specifici, tanti, numerosi, che il signor Lotti dice: ‘sì, quella sera io c’ero’. Eh, però c’è anche un altro passaggio che noi non dobbiamo dimenticare per capire l’iter di questa confessione iniziale non certo spontanea. Voi ricordate – io non la sottovaluterei, ma la metto per quel che è, necessariamente in evidenza alla vostra attenzione – le dichiarazioni di Bartalesi Alessandra, la nipote di Vanni. Non sappiamo bene perché si sono frequentati loro tre nel ’95, ma ha una importanza, diciamo, per quello che è. Prendiamolo come dato di fatto, questo. Questa Bartalesi, nel descriverci Lotti in modo identico al consulente Fornari. Bisogna riconoscere a questa ragazza che, con tutte le sue problematiche fisiche, è una ragazza quantomeno sensibile, intelligente e attenta, è una ragazza che aveva in qualche modo analizzato la figura del Lotti identica al professor Fornari. Ovviamente sapendone qualcosa di più. Perché, mi spiego, questa ragazza riconosce e racconta, senza che nessuno ne sappia niente, che con lei Lotti aveva avuto un rapporto di confidenza intima con dei limiti che erano nelle sue capacità sessuali, di rapporti sessuali. Ma è una ragazza, una che ha scritto un libro, una che capisce in qualche modo l’animo, perché lo ha dimostrato qui la sua sensibilità, è nipote di Vanni. Quindi ha delle, sicuramente delle difficoltà a raccontare tutte le cose. Ma queste le ha raccontate. Ha testualmente detto, io vorrei che rileggeste attentamente quella dichiarazione, perché mi sembra che sia una dichiarazione che viene da un terzo non consulente, ma che ha conosciuto Lotti quando noi, di lui, non sapevamo niente. È una dichiarazione che ci fa pensare ad un ulteriore elemento di tranquillità nel pensare a questa confessione. Perché sembra quasi – se voi la rileggete attentamente – che questa ragazza, non solo aveva capito qualcosa, ma aveva capito sicuramente cosa. Ha solamente detto delle sue sensazioni nel suo rapporto con Lotti, che oggi sono una conferma di tutto quello che sappiamo. Ma dobbiamo collocarle nel tempo e vedere che questa ragazza ha avuto questa confidenza con Lotti; le aveva vissute e capite in epoca ben antecedente alla confessione.
P.M.: Dice di averlo conosciuto nell’estate ’85 e di quell’estate ricorda: “Voglio aggiungere che ho avuto la sensazione che Giancarlo avesse qualcosa da nascondere. L’ho avuta quando eravamo soli; che però non aveva il coraggio di dirmi. Mi sembrava, in sostanza, che Giancarlo aveva qualcosa che gli rodeva dentro della quale, però, aveva paura lui. Gli ero vicina, gli dicevo che lo potevo capire, ma lui non sapeva se poteva fidarsi e raccontarmelo.” Ora capite, noi non sappiamo l’oggetto di questo silenzio. E non possiamo altro che fare delle ipotesi. Però, nell’ambito delle ipotesi, gli elementi oggettivi sono: che la ragazza lo ha raccontato a noi tranquillamente di sua spontanea volontà. E che la ragazza ha percepito questo dato. Ora, pensare che il Lotti avesse un mistero che era quello, non so, che forse doveva pagare come a volte diceva per cambiare discorso, la rata della macchina o l’assicurazione, mi sembra non avrebbe portato una donna come Bartalesi Alessandra a oggettivizzare a noi e a voi questo racconto. Allora io vi dico: è quello che è, però nella storia di Lotti c’è questo passaggio, questa maturazione e questo rodersi dentro, questo voler dire e non dire qualcosa che non sa se ancora portarsi a lungo dentro. Qualcosa di cui si deve liberare, non trova la persona giusta a cui raccontarlo. Eh, io non vorrei sopravvalutare questo dato. Ci mancherebbe! Però non vorrei che passasse come un dato inesistente, inconsistente. È un fatto. Noi valutiamolo per quello che è, ma teniamo presente nel momento in cui si dice: Lotti sta zitto, Lotti parla. Ora lo sta per dire, ora lo dirà. Cosa ci dirà? E’ una ragazza, per inciso, che ci racconta dei dati sempre obiettivi. Quindi Lotti lo ha conosciuto bene. Dice, ci racconta anche lei che ha difficoltà nei rapporti sessuali. Dice una cosa anche che, detta dalla Bartalesi, è un elemento che noi teniamo oggi presente per valutare Lotti. Dice: “Mi portò nella piazzola di Scopeti, conosceva perfettamente il luogo, comprese le radici degli alberi. E mi spostava, aveva paura che cadessi.” Perché abbiamo visto, è portatrice di un handicap. Quindi, dice: ‘mi ha portato lì, il luogo lo conosceva bene. Le radici degli alberi’, ci dice la Bartalesi. Che è l’ultima persona che ci potrebbe fare questo racconto in un processo simile. L’ultima persona che ci può dare riscontro al Lotti circa la conoscenza di quelle esatte radici, dove poi era la tenda, o le radici lì nei pressi. Non è sicuramente quel metro, non sono i 10 metri, non sono i 20 metri, è il luogo Scopeti, dove lui va chissà perché con questa ragazza. La meraviglia della Bartalesi è nelle sue parole. Ma è un fatto anche questo. Allora, quando noi arriviamo a quella confessione famosa. Famosa perché oggi ha assunto le caratteristiche che ha assunto essenzialmente a carico della responsabilità di Lotti, abbiamo quasi la sensazione di poter credere che, in quegli anni, in quel momento, avesse qualcosa non dico sulla punta della lingua, ma era un tormento che non avrebbe tenuto ancora a lungo. Gli mancava solo la persona di cui fidarsi, gli mancava il momento. Aveva capito sicuramente che processi a Pacciani, Vanni che veniva interrogato, prima o poi si sarebbe arrivati a lui. Era un tormento che sicuramente non poteva tenere a lungo in una situazione che noi conosciamo di minacce reciproche, o comunque di telefonate come quella di Pacciani a Vanni che lo stesso Vanni ci ha raccontato. E quindi capite che, un Lotti, si trova in una situazione personale tale che sì, vuole nascondere, ma se poi arriverà un giorno qualcuno che glielo fa dire, o comunque qualcuno che si trova a contestargli qualcosa, probabilmente Lotti non si tirerà indietro. No, nel momento in cui si arriva alla confessione, il Lotti è lì, bello, tranquillo, duro. Non… Ci mette un po’ a confessare. Finché non si arriva alla contestazione di tutti gli elementi che vi ho elencato: Pucci, Galli, Ghiribelli, telefonata, Nicoletti, si guarda bene, poi, nel confessare quella partecipazione a quell’appuntamento nella notte dell’8 settembre ’85, le difficoltà non sono poche. Perché quello che c’è da dire è veramente grande, è veramente difficile. Altro che suggeritori! Io ritorno su quell’argomento. Perché è stato portato in quest’aula. Io lo voglio affrontare fino in fondo. In una situazione di questo genere si può correttamente, lealmente pensare a qualcuno che abbia suggerito a Lotti di dire qualcosa? Se avessi voglia, alzerei ancora la voce. Perché qualche volta è stata alzata. Ma i dati di fatto sono questi, non ho bisogno di alzare la voce. Come si può pensare che qualcuno abbia suggerito? Questo signor Lotti confessa e dice esclusivamente perché gli è stato contestato una serie di elementi oggettivi dalle quali non sa come venire fuori. Tutto qui, tutto qui. È una liberazione, non è una confessione. Ma come si può onestamente presentare a voi una ipotesi diversa? Ecco la confessione com’è parziale, frammentaria, reticente. Ma identificata in due parole sole: “Ero incastrato.” Sono anni che lui sa che è incastrato, sono anni il Lotti che non sa come fare a venirne fuori; che prima o poi qualcuno gli renderà conto di quello che ha fatto. Teme che sia Vanni a parlare, teme che sia Pacciani; chiunque possa parlare, qualcuno che ha visto. Figuriamoci se pensava o sapeva, forse lo sapeva, chi lo sa? Ma ha parlato, perché incastrato, altro che pentito! In questa fase il signor Lotti, non solo è credibile, ma è persona che ha solo confessato. Vi ricordate quando all’inizio stamani vi facevo la differenza, ci sono due possibilità di confessione: la confessione spontanea, uno che si siede a tavolino e uno che invece confessa perché è costretto da emergenze e da indagini. È questa la… questo intendevo dire, a questo mi riferivo. Lotti non ha suonato il campanello di nessun investigatore, dicendo: ‘beh, mi levo un peso perché la Bartalesi mi ci ha portato, o perché mi sono confessato, o perché a 50 anni io non resisto più a questo peso’. No. Si mette a sedere con difficoltà. Figuriamoci se ci si voleva mettere su quelle sedie della Questura di Firenze! Non mi ricordo se era in Questura, o se era in Procura. E comunque, su quelle sedie, perché qualcuno gli contesta: ‘ma guarda, ma tu eri lì’ – nessuno sa cosa avevano fatto – ‘ma tu eri lì’. E lui, pian pianino, racconta. E quindi, quando Lotti dirà: “Ho dovuto ammettere ciò che oramai sapevano, ho dovuto ammettere che c’ero, mi hanno incastrato”, signori, dice come sempre la verità il signor Lotti. Eh, questo è il senso di quelle due telefonate di cui avete la trascrizione, la telefonata con la Nicoletti e la telefonata con don Poli. “Ho dovuto ammettere che c’ero.” Eccola la verità. “Quello è procuratore. Oramai l’ho detto. Se l’ho detto, è la verità.” Ma insomma, è il linguaggio di Lotti. Cosa doveva dire all’amica Nicoletti? Quindi, anche la telefonata che vorrebbe essere presentata a voi come elemento di scandalo, di indagini… – mah, io non voglio usare termini che non voglio usare – è presentata: i fatti sono questi. Altro che pensare ad altro. Il Lotti, anche in quelle telefonate, dice la verità. Come si può onestamente, davanti a voi, distorcere il contenuto o la portata di quella telefonata, di quelle telefonate, trascritte o non trascritte. Facciamo, fate tutti il tutto quello che volete, ma è questo il contesto. “L’ho detto mi hanno incastrato”: è vero, lo hanno incastrato. Un Lotti che usa il linguaggio che sappiamo, come ha fatto ad individuare così bene questo vocabolo, è così, perché è la verità, perché sa, sa quasi di, di film poliziesco. Mi hanno incastrato, è la sua logica.’ Mi hanno incastrato, l’ho dovuto dire, che dovevo fare?’ Però, c’è un però, no? È una riprova che questo signor Lotti si comporta come colui che ha incastrato e ammette ciò che gli viene contestato. Ecco, il punto fondamentale. Ammette ciò che gli viene contestato, non è un confesso, o un pentito che si mette a sedere. E’ uno che ammette ciò che gli viene…tant’è che, in tutta questa prima fase, cosa fa? Ammette, esclusivamente, la sua partecipazione ai fatti dell’84, dell’85, e poi dell’84. Perché solo sui quei fatti, sia pure frammentariamente, abbiamo elementi da contestargli, qualcuno lo può incastrare. Abbiamo la possibilità di dirgli: ‘guarda, nell’84, nell’85 è andato così. Nell’84 sappiamo che egli si ricontesta, ‘ci sei andato in quella piazzola con la Nicoletti, ci sei andato con Pucci una settimana prima, hai riferito queste cose a Pucci, hai detto che poi ne avevate parlato con Vanni’. A questo punto, sempre su contestazione, Lotti, gradatamente, con le difficoltà che sono descritte in quei verbali, parla. Ma si ferma, si guarda bene di andare oltre ciò che gli viene contestato. Ecco, un altro elemento di forte oggettiva credibilità sostanziale delle sue dichiarazioni. Per carità, avrebbe ancora da dire di suo delle cose, le dirà, ma non le dice subito di suo. La sua confessione nasce da contestazione. Ma in queste ammissioni, per i soli 85 prima, 84 poi, sempre perché qualcuno gli dice ‘guarda tu c’eri, ne abbiamo le prove’. Cosa fa? Minimizza fin che può la sua partecipazione. Anche questo è un atteggiamento che se uno continua ad usare la parola “inventasse”, perché è stata portata in questo processo, io non la voglio assolutamente non usare. Se uno inventasse che bisogno avrebbe di stare a minimizzare la sua partecipazione.’ C’ero, tanto devo dire così’. Abbiamo visto, bisogna vedere la confessione se qualcuno è stato indotto, se…vabbè potrebbe essere così. E allora, se così fosse, mi capite che non avrebbe senso che un Lotti si mettesse lì a fare distinguo: ‘sì c’ero però, sì c’ero però’. E’ un tutto un sì c’ero però. E, fin dai primi momenti nell’ammettere, fa quelle descrizioni, che poi gli sono contestate come contraddizioni. Perché’ all’inizio dice “siamo andati nella piazzola nell’85, non li avevamo riconosciuti ci hanno minacciato, poi ci hanno voluto spara…ci stavano per sparare”. Tutto una situazione in cui, fin che può, sta sempre più sulla strada – è un concetto ovviamente che uso per spiegarmi – cioè cerca in quei racconti di fare una partecipazione più simile possibile a quella che lui sa essere stata quella di Pucci. Cioè, ‘io ero lontano, ho visto, ho intravisto, ma chi era, chi aveva’. Nel primo momento, noi avevamo paura, siamo stati minacciati, abbiamo visto poco, abbiamo intravisto… Reticenza costante, esitazioni, non certo una scelta volontaria. La scelta volontaria avviene subito dopo, cronologicamente nel tempo, un po’ di tempo dopo. Ma all’inizio, il signor Lotti è una vittima. Si vuole dipingere come vittima, e questo è, come vi cercavo di dimostrare, un elemento forte per crederlo ancora di più. Perché non si siede e fa il racconto. Finché può, finché può, cerca di nascondere tutto ciò che può nascondere. Voi, degli omicidi dopo dell’83, dell’82…non sapete nulla. Io mi guardo bene, mi parlate dell’84, mi dite che ci sono stato, e non ve lo posso negare. Io, ovviamente, enfatizzo questo dato che voi avete, sapete che c’ero, e quindi ve la dico tutta. Ma, si guarda bene, fa…anche in una situazione in cui gli si fa capire che, è bene che la dica tutta la verità. Il suo difensore, in quel momento, gli fa capire che la deve dire, ci pensa, minimizza. Poi, finalmente, pian piano si decide e racconta 11 resto. Fa la confessione piena degli episodi, I così come sono avvenuti per quelli di cui aveva già parlato 84 e 85, e poi di quelli successivi: a 83 e 82, che Lotti ha raccontato dicendo che era presente nei modi che sappiamo. Cioè, solo ed esclusivamente in un secondo momento, ha modificato ulteriormente il suo comportamento. Perché ha capito – e in questo dobbiamo dargli atto che ha fatto una maturazione, una svolta sicuramente il difensore, se è stato il difensore, o lui stesso avranno avuto molto chiara la situazione – in quel momento, solo in quel momento, dopo tutte le contestazioni, ha raccontato fatti che assolutamente non conoscevamo. Presidente, io penso che oggi io mi potrei fermare qua, data l’ora. Vedo che sono venti alle due, e sicuramente io ne ho in abbondanza per tutta la mattinata di domani.
Presidente: Bene.
P.M.: Nel caso, ecco, vedremo… come orari come possiamo fare. Io, penso domani di riuscire a terminare. Però, vorrei far capire che ho necessità di andare molto lentamente e puntuale e loro…
Presidente: Si, lei si prenda tutto il tempo che vuole…
P.M.: …loro, grazie Presidente.
Presidente: Eventualmente, abbiamo anche sabato mattina.
P.M.: Grazie. Volevo ipotizzare questa…
Presidente: Non c’è problema.
P.M.: …questa situazione.  
Presidente: Okay. Allora, l’udienza è tolta a domani alle 9.30.
P.M.: Grazie.
Presidente: Nuova traduzione del Vanni.
Avvocato?: Signor Presidente, mi scusi. Eventualmente, se sabato mattina abbiamo degli impegni al Consiglio dell’Ordine.
Presidente: Non lo so se è sicuro, vediamo.
P.M.: Vediamo. Lo vediamo domani, nel caso rimanderei a sabato mattina…
Presidente: Io, io per far concludere il Pubblico Ministero, sono disposto anche a conclude…a fare il pomeriggio domani.
P.M.: Io preferirei eventualmente un’ora sabato mattina, comunque…
Presidente: Eh…tutto qui. 9,30, sì.
P.M.: Domattina 9.30.
Presidente: 9,30.
P.M.: Grazie.

19 Febbraio 1998 54° udienza processo Compagni di Merende

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