23 Febbraio 1998, 56° udienza, processo Compagni di Merende Mario Vanni,  Giancarlo Lotti e  Giovanni Faggi per i reati relativi ai duplici delitti del MdF e Alberto Corsi per favoreggiamento.

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Il Pubblico Ministero, a conclusione della sua requisitoria, durata tre udienze, chiede la condanna all’ergastolo per Mario Vanni, a 21 anni di carcere per Giancarlo Lotti, ad 1 anno e 6 mesi per l’avv. Alberto Corsi. Chiede, inoltre, l’assoluzione per Giovanni Faggi.

Presidente Federico Lombardi, Pubblico Ministero Paolo Canessa

Presidente: Allora Elisabetta, diamo atto che è presente il Vanni con l’avvocato Mazzeo. Ci sono i due difensori del Faggi, sempre contumace. I due difensori del Corsi. Bertini per Lotti, che non vedo, Lotti. C’è Lotti? Voce fuori microfono: No.
Avvocato Bertini: Sì, c’è, Presidente.
Presidente: E dov’è? Arriverà.
Avvocato Bertini: Sì, sì, ora arriva.
Presidente: Va bene. Poi Colao, Pellegrini e Curandai, Capanni, Voena, Saldarelli. Bene? E Curandai mi sostituisce le parti mancanti. II Pubblico Ministero può iniziare, grazie.
P.M.: Sì, Presidente. Grazie a lei. Presidente, signori Giudici, vorrei esaminare innanzitutto, stamani, dopo aver esaminato a lungo la posizione di Lotti e quelli che sono gli elementi di responsabilità acquisiti dal processo, vorrei esaminare la posizione dell’imputato Mario Vanni. Direi che questo esame, dopo tutto ciò che si è detto sugli elementi acquisiti a carico di Lotti, è indubbiamente un esame più agevole, perché si tratta sostanzialmente degli stessi fatti, delle stesse circostanze esaminate per Lotti, anche se sappiamo che Vanni risponde di un ulteriore fatto di omicidio davanti a voi: quello di Calenzano del 1981. È quindi una posizione per la quale buona parte degli elementi di fatto acquisiti dal processo sono stati esaminati, direi tutti gli elementi -oggi dobbiamo solo vedere se ce ne sono altri – e è comunque una posizione nella quale dobbiamo prestare tutti la massima attenzione, perché è un imputato, che al contrario del Lotti – tutti lo sappiamo – ha sempre negato gli addebiti nel corso delle indagini e ha ritenuto opportuno non rispondere all’esame nel corso di questo processo. È ovvio, a questo punto, che si potrebbe fare una considerazione, ma è talmente ovvia che dobbiamo prenderla innanzitutto per quella che è. Se Lotti ha detto cose cosi pesanti e così coinvolgenti dal punto di responsabilità su se stesso, che coinvolgono anche Mario Vanni, è chiaro che gli stessi elementi valgono davanti a voi, essendo così importanti a carico di Lotti, anche per quel che riguarda Vanni. Però è bene che oggi noi esaminiamo soprattutto questa posizione, per vedere se c’è gualche elemento in più – io ritengo molti in più – che ci consentano di andare ancora più avanti nella valutazione negativa del suo comportamento. Direi che, se noi verifichiamo – come verificheremo insieme – che oltre tutti quegli elementi di prova che ci ha fornito l’esame della posizione Lotti, ci sono ulteriori elementi, specifici, che individuano negativamente la posizione di Vanni, è chiaro che le nostre conclusioni, le vostre conclusioni, saranno sicuramente più tranquille, più agevoli. Allora vediamo quali sono questi elementi ulteriori, a cui io ho fatto cenno, che riguardano esclusivamente la posizione Vanni. E dicevo che il Vanni ha, legittimamente, perché è un suo diritto, deciso di non rispondere all’esame. Lo potrete valutare. Voi sapete benissimo che un imputato che non risponde all’esame ha sempre un comportamento che la Corte poi, nella sua decisione, deve valutare. Vediamo però che, anche se non ha risposto all’esame nel corso del dibattimento, il Vanni, nel corso delle indagini, ha risposto agli interrogatori del P.M. e del Gip. E, in questa sede, sono stati redatti dei verbali, utilizzabili da voi proprio perché il Vanni non si è sottoposto all’esame e quindi voi avete la possibilità di utilizzare per la vostra decisione le dichiarazioni rese nel corso delle indagini. Ecco, il primo punto che voi dovete tenere ben presente è che: dichiarazioni di Vanni ci sono, sono dichiarazioni dalle quali emergono ammissioni molto forti – le vedremo – di Vanni, del suoi coinvolgimento in questa vicenda; anche ammissioni, se obiettivamente sono ammissioni, su circostanze indirette. Le vedremo ancora meglio fra un po’. Però teniamo ben presente che, anche se non ha risposto all’esame, dichiarazioni ci sono e voi le avete. Dobbiamo vederne il contenuto per vedere quanti elementi e quali elementi ci sono, che possono comunque essere da voi utilizzati per la vostra decisione, valutati per capire se quelle dichiarazioni hanno in fondo un valore di conferma e di riscontro a altri elementi acquisiti. Prima, però, di passare all’esame di queste ammissioni, dobbiamo, a mio avviso, fare quella stessa operazione che abbiamo fatto in sostanza per il Lotti; cioè vedere di capire se questo processo ci ha dato circostanze, elementi, per vedere chi è essenzialmente la persona Vanni -qual è la sua personalità – che ci consente poi di valutare le sue condotte. E chi è Vanni lo abbiamo visto chiaramente, indipendentemente dal fatto che non abbia risposto all’interrogatorio. È persona che davanti a voi ha tenuto un atteggiamento oserei dire studiato. Sicuramente persona che si è presentata apparentemente dimessa, assente, ma solo quando gli ha fatto comodo; persona che ha dormito, o finto di dormire per buona parte delle udienze. Ma persona assolutamente vigile, ve ne siete accorti tutti voi. E’ persona che ha dormito con un occhio solo in questo processo. E’ stato attento, attentissimo, è intervenuto sempre nei momenti che ha ritenuto più opportuni. Quindi, assolutamente un atteggiamento di persona che dorme, o assente, che non corrisponde a quella che è la realtà. Dicevo un atteggiamento studiato. E è persona, imputato di fatti così gravi, che, quando ha ritenuto lo stesso opportuno, ha fatto dichiarazioni spontanee, dimostrando di esserci, di vedere, di capire cosa succedeva. È apparso molto spesso aggressivo, forse al di là addirittura di quello che ci potevamo aspettare. È diventato minaccioso, in un’occasione, quando ha fatto quella invettiva, che può essere apparsa fuori luogo nei confronti del P.M., ma che dimostra sicuramente una attenzione e una capacità di intendere e di volere di questo soggetto imputato, che ha ben chiaro cosa è avvenuto in quest’aula e chi sono le persone – Pubblico Ministero, la Polizia Giudiziaria – che ha raccolto elementi così pesanti nei suoi confronti. Altro che torpore, altro che sonnolenza, che la difesa del Vanni ha cercato di portarvi a dimostrazione di una presunta incapacità di intendere e di volere. Assolutamente no. Questa è persona che è sempre stata vigile. Quindi, nel momento in cui dovremo e dovrete valutare il suo comportamento, attenzione a non farvi portare su una strada sbagliata da parte di chi volesse indicarvi un Vanni incapace – ora e allora – non solo intendere e di volere, ma di fare quello di cui è imputato. Un Vanni che ha, fino in fondo, mirato al suo unico interesse: ‘mi mandi a casa, non ho fatto niente, son malato’. Però, un Vanni che dice: ‘che devo dire?7. E che ha tenuto questo comportamento esclusivamente per mirare a ottenere quello scopo – che è quello previsto dal 274 del Codice – di andare a casa per i raggi unti limiti di età e che questa Corte. . . un 274 che ha applicato alla lettera. Però, attenzione: qui malattie, di cui il Vanni soffrirebbe, assolutamente allontanate dal semplice, dal pur sospetto che qualcuno possa avere avuto in qualche momento che si trattasse di persona non all’altezza. Sono state correttamente, giustamente, per motivi di parte, enfatizzate dalla difesa, sia per ottenere quegli arresti domiciliari, a seguito di quella previsione di legge particolarmente favorevole per gli ultrasettantenni, sia per tentare di ottenere, attraverso questa strada, quella perizia psichiatrica, che ovviamente al P.M. la dice lunga per capire l’impostazione difensiva, ma correttamente strumentalizzate al solo fine di ottenere quegli scopi. Io vorrei soltanto che aveste ben presente che Vanni è persona, oggi, capace di quegli impeti che lo hanno portato a chiedere quella mattina – non si sa bene perché – il restauro di passati regimi perché quella è la sua più che legittima convinzione politica. Ma voi ricordate con quale enfasi quella mattina è comparso. Con quale enfasi, con quale attenzione, con quale ardore ha spiegato le sue impostazioni politiche. E quindi ha, con quella sola condotta, contraddetto tutto quell’altro atteggiamento di torpore, di persona sottomessa. È chiaro che si tratta di un personaggio la quale statura, la quale prestanza è apparsa in quest’aula solo in quel momento. Ma se voi avete un attimo l’interesse, interesse per verificare quello che sto dicendo, basta che guardate un attimo quelle foto che sono state depositate e che ritraggono Vanni in epoca lontana, 10-20 anni fa, in quelle fotografie depositate dalla difesa; vedrete che prestanza fisica aveva al momento della commissione di questi omicidi. Quindi attenzione a non pensare di dover valutare – sia pure a quei fini che vi dicevo della valutazione della persona – Vanni dall’atteggiamento di torpore che ha tenuto in quest’aula. No, sicuramente si tratta di una valutazione che dovete fare tenendo presente un Vanni in epoca diversa. Ben rappresentato sia in foto, da quelle immagini, sia da quell’atteggiamento sicuramente aggressivo, sicuramente attento, che corrisponde in fondo alla sua vera natura, che ha tenuto nelle occasioni che ho detto in quest’aula. È un Vanni, dicevo, che noi conosciamo anche attraverso le testimonianze, i documenti che abbiamo raccolto. È sicuramente – ce lo hanno detto oramai tutti e lo ha ammesso sostanzialmente anche lui – un amico intimo del Lotti e del Pacciani, su questo siamo tutti d’accordo. Non si tratta di dover dimostrare oggi questo. È una compatibilità di persone, un’amicizia che è sicura, ne abbiamo la prova. E quindi, quando dobbiamo fare la valutazione delle dichiarazioni del Lotti sul punto amicizia, abbiamo un riscontro molto forte in più di una dichiarazione di amici, rese in questo dibattimento, o di conoscenti. È sicuramente un frequentatore di osterie, di bar, di cantine. Amante di gite – a suo dire, ci ha sempre tenuto – rigorosamente di giorno. Ma su questo, gli elementi di questo processo hanno consentito di saperne qualcosa di più. È persona che ha frequentato sempre e esclusivamente un ristretto gruppo di amici, non solo il paese di San Casciano, ma un ristretto gruppo di amici con i quali ha tenuto un legame molto intenso. Questo ce lo hanno detto tutti. Questo legame è culminato, lo sappiamo – è un altro punto che a noi serve molto per valutare Vanni persona – è culminato in quella stranissima amicizia-rapporto con la nipote Bartalesi Alessandra. Cioè un Vanni che presenta all’amico Lotti la nipote e c’è quell’estate, quei mesi trascorsi,
di cui abbiamo avuto una notizia dettagliata, sia nella dichiarazione della Bartalesi che del Lotti.
P.M.: Uno strano periodo, quello del ’95, che ovviamente noi dobbiamo valutare sulla base dei racconti della Bartalesi e del Lotti, nel quale abbiamo una Bartalesi che ci descrive questa strana amicizia quotidiana, tutte le sere Bartalesi Alessandra, nipote di Vanni, Vanni-Lotti, con una Bartalesi che ci racconta: ‘è stato Vanni che mi ha fatto conoscere Lotti’. È una situazione nella quale… ‘mio zio, fra l’altro, mi ha regalato quattro milioni’, riconoscenza, o quello che sia stato, comunque è un dato di fatto. Un periodo in cui, ci dice la Bartalesi, il Vanni era pieno di denaro contante. È un elemento che oggi ci serve a qualcosa. È un elemento che ci consente di capire una situazione di Vanni nel 1995. Una situazione nella quale la Bartalesi ci racconta: ‘ma guardate, il Lotti mi diceva di non andare da sola con mio zio, perché aveva paura’. Mah, anche questo elemento ha, ovviamente, la portata che può avere, però è una situazione che ci consente ancora di capire meglio chi è Vanni e cosa può girare nella sua testa in quel periodo. Anche perché, come corrispondente, come elemento a verifica di ciò che dice la Bartalesi di una presenza di denaro molto forte nelle mani o nelle tasche di Vanni di denaro contante, abbiamo quel riscontro obiettivo che vi è stato fornito dalla deposizione degli ufficiali di P.G. che sono stati sentiti sul punto, relativi a uno strano movimento di denaro – che va valutato per quello che è, ci mancherebbe – cioè prelievi molto forti in quei mesi, dall’aprile, settembre-ottobre ’95, 28-29 milioni, con una situazione che è rimasta, sicuramente inesplorata, inesplorabile. Però oggi noi dobbiamo, come elemento obiettivo, tenere presente. Cioè, un soggetto che non ha mai speso denaro, che ha sempre, a suo dire, messo da parte la pensione, di un milione, un milione e mezzo, che riscuoteva, in un certo periodo nel quale la Bartalesi è così penetrante nelle personalità di questi due soggetti, Lotti e Vanni, che ci racconta: continue cene, questa amicizia strana, vanno insieme nei luoghi degli omicidi – voi, il racconto della Bartalesi lo conoscete già – abbiamo un Vanni che preleva tutto questo denaro contante. Ovviamente possiamo pensare a prodigalità. Possiamo pensare a qualsiasi spiegazione. Ovviamente dobbiamo soltanto cercare di capire dagli elementi oggettivi, perché su questo Vanni -tuonando il suo difensore, vi spiegherà, vi dirà lui subito come sta la faccenda dei 29 milioni -ha creduto opportuno di non rispondere all’interrogatorio. Qualche domanda gli volevamo fare, per capire se per caso c’era una qualche situazione che costringeva Vanni a questi prelievi, per motivi che potevano in qualche modo avere a che fare con i nostri fatti, o comunque con fatti collegati, per i quali sarebbe stato importante avere maggiore chiarezza. Ora abbiamo solo il dato di fatto. Questi prelievi, in quello stesso periodo in cui sappiamo che la Bartalesi ci ha raccontato quelle cose su Lotti, molto importanti. E di più, più lontano non possiamo andare. Dobbiamo prendere il lato oggettivo di queste dichiarazioni perché Vanni, su questo, dopo aver promesso grandi dichiarazioni, ha preferito tacere. Anche questo rientra nel suo legittimo comportamento, nelle sue scelte difensive. Ma noi oggi dobbiamo sicuramente interpretare anche questo. È un Vanni del quale sappiamo molte altre cose dai testi. Sappiamo quali sono stati i rapporti familiari, i rapporti con la moglie. Mah, vi sintetizzo le dichiarazioni di quasi tutti i familiari: era uno che con la moglie non aveva alcun rapporto. E i familiari, quando ci è stato raccontato che aveva altri tipi di rapporti, con prostitute, o comunque ‘si arrangiava in altro modo’, come ha detto il Nesi, tutti i familiari vi hanno in coro detto: come doveva fare, con una moglie così. Un Vanni che ha un passato sotto questo profilo strano. Quella figlia deceduta, nelle circostanze in cui, in questo processo abbiamo avuto solo degli sprazzi. Una moglie in stato interessante che cade dalle scale; una figlia handicappata che ovviamente viene poi assistita in un istituto e che muore, ovviamente a causa di questo suo handicap, chissà come causato. Anche qui abbiamo solo raccolto delle voci che hanno poca importanza. Hanno solo importanza per capire chi è questo soggetto. È sicuramente una persona che, indipendentemente o a causa dei rapporti o mancati rapporti con la moglie, ha sicuramente connotato la sua personalità negli anni con rapporti tipici con prostitute. Ma anche questi sono stati dipinti in questo processo, da tutti i testi che sono stati sentiti in modo particolare. Quel possesso di quei vibratori, addirittura ammessi dallo stesso Vanni. Uno che un giorno gli cadde di tasca all’interno del bar. C’è quell’episodio poi, da lui stesso raccontato, nella Sita, in cui gli cadde l’oggetto e si mise in azione automaticamente. Sono cose che possono sembrare pittoresche e noi le dobbiamo comunque collocare in ima personalità che deve essere esaminata fino in fondo quando cercheremo di capire chi è e come sia possibile che sia arrivato a condotte come quelle descritteci dal Lotti. È una personalità, sotto questo profilo – il profilo di Vanni e rapporti con le donne – che c’è stata descritta univocamente da quasi tutti i testi. Voi ricordate che ce ne hanno parlato, di un Vanni che ha rapporti particolari con le donne, con le prostitute, ce ne hanno parlato un po’ tutti i testi che abbiamo sentito. Ricorderete Nesi, ricorderete la Sperduto – ci arriveremo fra un attimo – ma la stessa Ghiribelli; e avete avuto le dichiarazioni di Lotti e Pucci, che sono fra l’altro confortate su questo da quelle appena accennate; e avete le dichiarazioni del cugino Ricci. Qualche sprazzo, perché serve solo per capire chi è e come possa essere arrivato a una maturazione, una personalità, una perversione di questo tipo, un soggetto come Vanni. E qualcuno ci ha raccontato qualcosa di più, oltre all’uso di vibratori. Vi è stato riferito: ‘guardava e si masturbava, ma non faceva nulla con le prostitute’. La Ghiribelli ci ha raccontato che non voleva avere rapporti con lui proprio per questo modo particolare di avere rapporti con prostitute. Le stesse cose in fondo derivano dai racconti di Lotti, per quanto riguarda i rapporti con la Nicoletti. E qualcuno ha parlato di uso di questi vibratori su se stessi, sia per Vanni che per Pacciani. Per quanto riguarda Pacciani abbiamo avuto, in quel processo già a suo tempo celebrato, una prova che è in quel referto che agli atti anche di questo processo, nel quale emerge l’uso che di questi vibratori il Pacciani faceva su se stesso. E è chiaro che quando qualche teste vi ha raccontato questo facevano entrambi, abbiamo un riscontro ovviamente solo per Pacciani, ma molto puntuale, preciso, secco. Fu ricoverato in un ospedale, a suo tempo, perché aveva un vibratore addosso. Abbiamo, circa il comportamento di questo soggetto Vanni con le prostitute o con le donne che frequentava, abbiamo un comportamento descritto nei modi che sapete, con quelle difficoltà, con quel particolare disagio che ha mostrato fino in fondo in quest’aula, la Antonietta Malatesta Sperduto. E quelle due o tre cose che è riuscita a raccontarvi con difficoltà ci danno proprio un’immagine non solo di una sessualità deviata del Vanni, ma di un vero e proprio carattere di anomalia, di perversione molto spiccata. Ricordate quei racconti della Sperduto che noi non possiamo oggi non credere. Su questo siamo già andati oltre nelle precedenti udienze, nel raccontare il perché la Sperduto è credibile, i riscontri che vi ha forniti. Però i racconti sui suoi rapporti con Vanni e con gli altri, soprattutto il Pacciani, sono sconvolgenti. Si tratta di un soggetto, di una donna della capacità, della struttura che avete visto con i vostri occhi, la quale vi ha raccontato due o tre passaggi della sua esperienza col Vanni che sono significativi. Le sue frasi, mezze frasi, ma… non mezze frasi per reticenza, mezze frasi perché ha dimostrato la difficoltà, il disagio del suo racconto, sono quelle: ‘erano violenti, mi costringevano a avere questi tipi di rapporti, mi tenevano ‘. E racconti della Sperduto confermati interamente da Nesi – e, poi vedremo, dallo stesso Vanni, ci arriviamo – il quale Nesi dice: ‘beh, Vanni una volta mi ha raccontato… ‘, di aver saputo da Vanni che la Sperduto si lamentava di questo disagio, di questa violenza che il Vanni e il Pacciani usavano su di lei, tanto che il marito -poi morto in quelle condizioni che sappiamo – era “incazzato fradicio”. E confermati, questi rapporti, da quella testimonianza del Malatesta Luciano, quel ragazzo così disgraziato in questa vicenda, che anch’egli, con la umanità, quel tocco di umanità che anche lui ha portato in vicende così tristi, così cruente, ha portato con il suo racconto nel descrivervi cosa aveva visto in casa, quali erano stati i comportamenti del Vanni e del Pacciani nei confronti della madre. È quindi una sessualità, dicevo, molto particolare, che noi dobbiamo tenere ben presente perché è una sessualità che emerge da racconti di terzi, di persone disinteressate, che ha qualche elemento ancora in più, nel senso che voi su questo avete qualche conoscenza ulteriore, soprattutto nelle dichiarazioni diffuse e ampie del teste Nesi. Il quale vi ha raccontato che era un grande amico del Vanni. Vi ha raccontato poi dei suoi sospetti, ci arriviamo fra un attimo. Però è un Nesi che vi ha raccontato: ‘guardate, io di questo ho molti particolari da dirvi, perché io voglio dirvi tutto quello che so, poi sarete voi a valutare Vanni. Io ricordo che, io Nesi, fin da ragazzo andavo fuori con lui, andavamo fuori dalle prostitute. Mi ha raccontato più volte di più di una prostituta. Mi ha fatto dei racconti che, io Nesi, vi voglio riferire in quest’aula, perché secondo me vi sono utili per capire chi è questo signore’. E sicuramente il Nesi
vi ha detto qualcosa che oggi, a mio parere, non solo è utile, ma utilissimo per capirlo. Diceva Nesi: ‘guardate, andava da una prostituta in via Fiume che, diceva lui, era gentile e educata, si trovava bene’. Poi è stata trovata morta ammazzata con un coltello. Una circostanza che ovviamente è un dato storico. Ma vi aggiunge due o tre particolari il Nesi, per capire questo uomo Vanni, che noi oggi dobbiamo aver ben presenti quando dovremo dire: il Vanni è veramente un perverso, o è soltanto un uomo di paese con gualche vizietto in più? No, attenzione. Perché Nesi vi ha dato indicazioni precise, molto dirette su questo punto, che noi oggi non possiamo, direi, non solo trascurare, ma non possiamo sottovalutare. Dice: “Negli anni ’60 avevo 18 anni, lui, Vanni era più grande di me, mi fece conoscere una prostituta, una certa Gina Manfredi. Ci pigliava 15 mila lire da soli, 20 mila quando eravamo in due. In più occasioni eravamo stati insieme” – dice Nesi – “da quella prostituta, e almeno un paio di volte avevamo fatto all’amore anche con la cameriera tutti e quattro insieme”. Cioè, un soggetto che – può essere una cosa comune o meno, nessuno si deve scandalizzare più di tanto su questo – però nel quadro di un Vanni dipinto in questo processo, come sappiamo, è un elemento da tenere presente. Ci racconta Nesi un altro episodio che, anche a riscontro di qualcosa che è emerso sempre in quest’aula, dobbiamo tenere presente. ‘Un giorno io incontrai’ – dice Nesi – ‘Vanni, il quale mi disse: sai, dopo 20 anni ho ritrovato quella Gina Manfredi da cui andavamo’. ‘Io non so’ – dice Nesi – ‘se lui poi ci è andato anche in questo intervallo di tempo. Però vi racconto…, ci ha raccontato un episodio che serve sempre per dimostrazione che 1 ‘ ambiente in cui è vissuto, è lo stesso. Dice: “Un giorno lo accompagnai dalla Gina Manfredi. Io avevo da fare” – dice Nesi – “Tomai a riprenderlo; entrai nella camera credendo che ci fosse Mario in casa della Gina. E con lei, invece, c’era un uomo, un mago, con un affare rosso, una specie di tonaca, di mantello.” Anche questo avrebbe la caratteristica di portare a conoscenza vostra un episodio più o meno marginale di una vita sessuale sicuramente originale, se il Nesi non dicesse: ‘guardate, poi nelle foto che mi sono state mostrate ho riconosciuto che quel mago con quel mantello era quell’Indovino Salvatore’, che voi tutti sapete chi fosse.
P.M.: E quindi ecco che, anche attraverso questo racconto, abbiamo la dimostrazione ulteriore che il mondo in cui si muoveva in queste ore libere, in queste domeniche o questi sabati in cui andavano a fare merenda, era un mondo in cui il tipo di amicizia, il tipo di rapporti, il tipo di frequentazioni, erano di questo tipo. Addirittura: prostituta, mago, mantello. Ma addirittura l’Indovino. Cioè, nel momento in cui qualcuno vi ha cercato di dire: quei fatti non c’entrano nulla, tenete presente che, nei limiti delle nostre conoscenze, la casa di Indovino e l’indovino conoscente di Vanni, è nell’ambito di un modo di intendere il sesso sicuramente paesano, sicuramente di difficile lettura per noi oggi, ma sicuramente in linea con un atteggiamento molto vicino, se non identico alla perversione. C’è qualcosa in più che, sotto questo profilo, ci dipinge bene il Vanni, sempre raccontato dal Nesi. Bisogna tenerlo ben presente. “Un giorno” – dice, vi ha raccontato – “io avevo un furgone, usavo per il lavoro il pomeriggio. Vanni veniva con me a Firenze, lo portavo alle Cascine, aveva rapporti con le prostitute dentro il furgone.” Anche questo, elemento obiettivo. Cosa vorrà dire? Nessuno può, né vuole forzare questo elemento. È comunque un elemento ad colorandum. È un elemento che va messo insieme a quel racconto del Nesi che ci dice: ‘beh, in fondo il Vanni aveva dei rapporti cosi gravi, così tesi con le donne, perché gli derivava tutto da quell’atteggiamento della moglie che si faceva forte nei suoi confronti nel negarglisi, perché un giorno l’aveva fatto arrestare’. E anche su quell’episodio dell’arresto di Vanni per quelle percosse alla moglie, il Vanni non è stato potuto interrogare. Voi avete gli atti che sono quelli della Stazione dei Carabinieri di San Casciano, del tempo, che permettono di riscontrare quanto meno le dichiarazioni di tutti i testi che abbiamo sentito sul Vanni in casa. È un Nesi che a proposito di quei rapporti, fra l’altro diceva: ‘guardate, che io ho visto un giorno Vanni rincorrere la moglie con la baionetta, con un pugnale, perché lei non voleva sottostare alle sue richieste e gli diceva: guarda come sono, dimostrando uno stato di erezione particolare.’ È un uomo che ci viene raccontato: come rapporti si masturbava davanti alla moglie. Ma ancora, quell’episodio sempre raccontato da Nesi, inquietante sotto questo profilo, lo ricorderete di certo. “Un giorno, ricordo di aver visto Mario, il quale aveva una busta. Eravamo nel mio furgone e Vanni aveva una busta da lettere con dentro dei peli. Mi disse che erano peli di fica; gli chiesi: ‘che ci fai?’ Pensai che li avesse presi ad una prostituta.” Cioè, un soggetto che, frequentando le prostitute, comunque aveva con sé, si portava dietro simili tipi di ricordi. È un atteggiamento normale, qualcosa che il P.M. sta cercando di forzare per sostenere una tesi della perversione? Io non voglio assolutamente forzare nulla. Vorrei soltanto che questi elementi oggettivi che avete davanti a voi siano elementi non solo da tenere ben presenti, ma non certo da sottovalutare nel momento in cui dovremmo capire chi è veramente Vanni e perché possa essere coinvolto in questi fatti. È persona che lo stesso Nesi vi ha detto più volte: ‘io ubriaco non l’ho mai visto’. C’è qualcuno che qua vi ha voluto dipingere un Vanni e un Lotti ubriachi. No, il Nesi molto chiaramente vi ha detto: “Contrariamente a quanto si vocifera in paese, io che lo conosco bene, siamo come fratelli, Mario ubriaco in trent’anni, non l’ho mai visto. Tutt’al più l’avrò visto allegro, che cantava.” C’è forse quell’episodio in più – recente, del ’95 – descrittovi dal nipote di Vanni, sul quale non abbiamo motivo di non credere, ma è un episodio marginale del ’95 di un Vanni in particolari condizioni. Quindi, pensare che al massimo della personalità di Vanni possiamo pensare ad una persona ogni tanto ubriaca, sbagliamo in pieno. Il Vanni è quello descrittoci bene, molto bene, dal Nesi, dalla Bartalesi e dal Lotti. Sono tre racconti identici. Ovviamente Lotti che lo conosceva meglio e che è coinvolto in questo fatto, ha aggiunto qualcosa di più. Ma, attenzione, i racconti Bartalesi, i racconti Nesi sono racconti che sono l’esatta dimostrazione di ciò che Lotti vi ha detto sulla personalità dell’imputato Vanni. E quel racconto di Nesi, ulteriore: ‘io ho pensato che Mario sapesse qualcosa dei fatti del “mostro”, e che quella volta sbiancò, io sono pentito perché non l’ho aiutato, forse… Ho il rimorso perché mi voleva dire qualcosa’, sono racconti di Nesi, che anche questi non possono essere forzati ma non possono essere dimenticati, perché sono racconti molto simili a quei racconti della Bartalesi sul Lotti. Cioè, siamo nella situazione in cui gli amici, i parenti, vi danno tutti gli elementi possibili che si possono avere in una fase di questo genere su un Vanni che sicuramente è in difficoltà anche con l’amico e che è in difficoltà con la nipote. E quindi un Vanni il quale vi viene dipinto come un Vanni che sbianca nel momento in cui il Nesi gli dice: ‘guarda, ma tu mi devi dire la verità’; e un Nesi che racconta di aver sentito da Vanni in un certo giorno che con Pacciani avevano fatto cose brutte, cose che non vanno bene. Vi ricordate quel racconto di quando portò la lettera all’Angiolina? Ci arriviamo. E un Nesi che dice: ‘ho il rimorso di non avergli saputo parlare, di non averlo saputo ascoltare’. Quindi è un Vanni di cui noi abbiamo una immagine, abbiamo una ricostruzione di personalità molto chiara. Cioè, un Vanni che non ha risposto all’interrogatorio. Ma voi avete più di un elemento per valutare la persona Vanni nell’ottica che è stata dipinta molto chiaramente in tutte queste udienze. Allora, capite che, una volta delineata la figura di Vanni sotto questo profilo, noi abbiamo qualche elemento in più – anzi, molti elementi in più ~ per valutare la figura di Vanni sotto il profilo dell’autore di questi fatti, così come raccontatoci, in fondo, molto bene sia da Lotti che da Pucci. Quindi, non è una persona assolutamente incompatibile. E qui è esclusivamente un discorso che si fa a dimostrazione successiva. Attenzione, perché per Vanni si potrebbe chiudere qua. Il guaio per lui è che ci sono tanti altri fatti. Ma, attenzione, se noi ci fermassimo qua, noi abbiamo un Lotti che fa un racconto molto circostanziato; un Pucci che ne fa altrettanto uno circostanziato e un Vanni che è persona esattamente in linea con quei racconti e che ci viene dipinta da chiunque nello stesso modo, non solo da Pucci e da Lotti. Vedete quanto materiale, quanta possibilità di riscontro che avete su questa persona. Ma, dicevo io, vi accennavo all’inizio, che il materiale a suo carico, materiale probatorio, consiste non solo in tutto ciò che già sappiamo che deriva da Lotti, da Pucci e da tutte queste testimonianze, ma abbiamo materiale specifico che riguarda la persona Vanni. E io lo sintetizzo sotto tre profili, perché parlavo di: ammissioni, di circostanze importanti, e questa è una fonte; abbiamo testimonianze specifiche che riguardano condotte di Vanni in relazione a questi omicidi, è un’altra fonte; terzo: abbiamo un materiale oggettivo da valutare – lo valuteremo fra un po’ – che riguarda sequestri di oggetti che sono stati a lui fatti. Cioè, attenzione, oltre tutto ciò che sappiamo finora – compatibilità personale Lotti-Pucci abbiamo prove specifiche che riguardano Vanni: le sue ammissioni su circostanze indirette, testimonianze che riguardano lui, oggetti sequestrati. Vediamoli con calma, perché questo oggi dobbiamo fare. E vedrete che, quanto meno, questo materiale e queste fonti di prova sono univoche. E allora, attenzione, io dicevo che il Vanni, come sapete, ha fatto sostanziali dichiarazioni a suo carico su circostanze indirette che riguardano gli omicidi. Quindi noi dobbiamo tener presente che, con questo modo di comportarsi, in quei verbali che voi avete e che sono perfettamente utilizzabili, il primo che ha dato riscontri alle dichiarazioni di Lotti e di Pucci su circostanze diverse dalla commissione dei delitti è proprio il Vanni. È comunque un punto molto importante, perché le dichiarazioni di Lotti trovano riscontro proprio nelle parole di Vanni. Cosa vogliamo di più in una situazione di questo genere? Quando, se mai avreste ancora il dubbio che Lotti abbia detto la verità – credo di avervi dimostrato come le cose stanno in altro modo – avete la possibilità di verifica di alcune circostanze, verifica che viene dallo stesso Vanni. E che è una verifica di dichiarazioni fatte da Lotti, da Pucci; ma dichiarazioni fatte dallo stesso Nesi, dal Nesi Ado, dalla Ghiribelli. Le vedremo un attimo, sono in quei verbali. E la prima riguarda quelle dichiarazioni che al Gip, nell’imminenza del suo arresto, il Vanni fece con riferimento a discorsi relativi alla piazzola di Vicchio. Rileggeteli quei verbali resi nell’immediatezza dell’arresto del 13 febbraio del ’96, perché sono dichiarazioni che, rese in un momento particolare, sono dichiarazioni che hanno un’unica possibilità di lettura. Cioè, una unica possibilità di lettura: uguale coinvolgimento pieno. Non c’è altra possibilità. Qualsiasi tentativo di dimostrare il contrario, è destinato a un insuccesso. E, in sostanza, il Vanni, a contestazione che il Lotti diceva che avevano parlato della piazzola di Vicchio prima dell’omicidio, dice chiaramente in due o tre parole: “Sì, ho parlato col Lotti della piazzola di Vicchio.” E poi aggiunge: “Ma io non ci sono stato.” Intanto è chiaro che uno che si difende dicendo: io non c’entro nulla… dirà: io non ci sono stato. Però di quello abbiamo parlato. E il Gip gli contesta qualcosa in più. E a contestazione dice: “Sì, può darsi che abbia invitato Lotti a non parlare del bar dell’omicidio di Vicchio.” Un estraneo, uno che non ha niente a che vedere con questi fatti, perché mai avrebbe dovuto invitare Lotti
a non parlare nel bar di San Casciano di quell’omicidio? E, attenzione, perché Lotti – lo sapete – parla della circostanza che della Panda dei ragazzi morti a Vicchio aveva parlato a Mario, il quale gli aveva detto che voleva andarlo a vedere anche lui. Voleva sapere la strada. Cioè, il racconto di Lotti, ovviamente, è più particolareggiato. Vanni, difendendosi, si ferma: ‘ne abbiamo parlato e basta’. Ma Lotti vi racconta: ‘attenzione, volevano andarci, volevano sapere la strada, perché Pacciani e Vanni volevano andarci da soli. Non so se ci sono andati’. Ma aggiunge una cosa importantissima, Lotti, quando si decide a parlare: “Sì, ci andai con Vanni, ci andammo insieme a quella piazzola, seguimmo la ragazza.” Vediamo poi nei dettagli. Ma c’è anche quell’altro elemento molto forte che riguarda le ammissioni, ovviamente sotto il profilo del riscontro alle dichiarazioni Lotti, le ammissioni di quella famosa lettera. Noi sappiamo che c’è quel limite giustissimo della utilizzabilità nei confronti del Corsi che è dato dal 513, ma attenzione, quelle dichiarazioni di Vanni sulla lettera che riguardano il riscontro al Lotti sono perfettamente utilizzabili nei confronti della posizione Lotti. E anche lì abbiamo ammissioni secche di Vanni.
P.M.: E soprattutto ammissioni che riscontrano anche il Nesi, il quale ce lo ha raccontato nei dettagli. Guardate Vanni com’è andato in fondo nel suo racconto, quanti dettagli vi ha dato, quante ammissioni ha fatto, come ha dipinto il quadro tutto intorno a questi fatti, al di là della partecipazione agli omicidi, perfettamente identico a tutti gli altri. “Mi feci accompagnare da Nesi. Lessi io…” Dice Vanni, eh, attenzione: “Mi feci accompagnare dal Nesi.” Dà riscontro completo anche a Nesi: “Lessi io la lettera all’Angiolina e lei la rimase male. Io gli dissi: in questa cosa non ci voglio entrare nulla.” Sono dichiarazioni di Vanni, eh. Ancora, a contestazione: “Rimase male perché non lo sapeva. Non pensava mai che lui, Pacciani, facesse queste cose.” Ancora, dichiarazioni Gip 16/02/96. Eh, io non posso che insistere nell’invitarvi non solo a leggerle, le conoscete bene, ma a tenerle ben presente tutti; perché sono dichiarazioni che non avete sentito oralmente dalla viva voce, ma che sono materiale probatorio a vostra disposizione. Dice: “È vero, volevo andare dai Carabinieri, ma poi non ci andai e la buttai via. Non volevo che mi facessero domande. Strappai la lettera e la buttai nel secchio del sudicio.” Queste sono dichiarazioni che sono in quei verbali. Ognuno se ha da dire qualcosa, io leggo solo verbali. “Nella lettera non c’erano punte minacce. Invece Pacciani mi minacciò per telefono quando sortì dal carcere. Mi disse che, quando lui era dentro, io avevo parlato troppo e perciò mi avrebbe dato una lezione.” E ugualmente, riscontri per quello che riguarda l’episodio con l’avvocato Corsi. Voi sapete che non è utilizzabile nei confronti del Corsi, ma è un riscontro a Lotti. Ancora sulla pistola. Perché questo signore, nel 1991, nel momento in cui Pacciani viene scarcerato, sta per essere scarcerato, va a comprare una pistola. Ve lo ha spiegato a lungo il Nesi Aldo, l’altro Nesi, omonimo armiere, il quale vi ha detto che Vanni si era presentato da lui per comprare una pistola. Vanni, su questo punto, dichiara: “Sono andato nell’armeria di Nesi Ado, ma non l’ho presa la pistola. Mi sarà montata questa idea di comprarla per difesa personale.” Poi aggiunge a contestazione: “Sono stato minacciato dal Pacciani per telefono, quando era fuori, a Mercatale. Mi disse: tu hai parlato troppo, ti do una lezione.” Quindi, tutti coloro che sono venuti a dire qualcosa, tipo Nesi Ado, su punti importanti di questo processo, trovano innanzitutto riscontro in quelle dichiarazioni dello stesso Vanni. Ma, ancora, la Filippa Nicoletti sarebbe andata… il Vanni sarebbe andato una volta dalla Filippa Nicoletti. Eh, anche questo ce lo ha raccontato Lotti; la Filippa è stata molto titubante su questo, la Nicoletti. Puntuali dichiarazioni che evidentemente Vanni fa e ammette perché non gli interessa. Sono dichiarazioni che, nella sua linea difensiva, non riguardano le imputazioni. Su queste è sincero, non potrebbe non esserlo. Al Gip, sempre il 16/12 del ’96 e poi al P.M., dice : “Nella casa di via Faltignano.. . “, che è quella che sappiamo, è la casa di Indovino, è la casa della Filippa, è quella casa sulla quale magari noi, i racconti della Sperduto, del Lotti, della Ghiribelli, pensavamo di avere qualche dubbio, perché in fondo erano racconti così corollario, no, attenzione. Una prova, una dimostrazione che le cose st-anno come è stato provato a lungo in questo processo vengono dalle parole del Vanni. “Nella casa di Faltignano sono andato una volta sola con la Filippa.” Ci mette “una volta sola”, ma intanto è qualcosa, è un riscontro forte. “La portai in casa sua dove avemmo dei rapporti.” La stessa cosa identica che dice Lotti. Dice: “Una volta Vanni mi ha detto che è andato dalla Filippa. Forse, due.” Guardate com’è puntuale. Cioè, Lotti dice: ‘lui mi ha detto, non l’ho visto, che ci è andato una volta, forse due’. Oh, ma che riscontro vogliamo in più, in un processo di questo genere? Cosa altro dobbiamo riscontrare delle dichiarazioni di Lotti, eh? Dice: “La portai in casa dove avemmo rapporti. Altre volte l’ho rivista, ma non ci sono più andato perché voleva essere pagata troppo. Andai a casa della Filippa prima che Pacciani fosse incarcerato per la questione delle figlie.” C’è poi un episodio che secondo me sarebbe ancora questo, da solo, sufficiente a credere Lotti: quello della domenica pomeriggio dalla Ghiribelli Gabriella. Al Gip dichiara, ricordate cosa dicono Lotti, di quel pomeriggio, cosa dicono Pucci e cosa dice la stessa Ghiribelli, cosa dice il Galli. Noi a queste quattro persone abbiamo un dovere di credergli, perché fra sé dicono la stessa cosa. Ma anche per quello che riguarda Vanni dicono la stessa cosa. Leggetele quelle dichiarazioni. “La domenica pomeriggio” – dell’omicidio di Scopeti – “io andai a trovare la prostituta Ghiribelli Gabriella. Non mi fecero entrare perché non avevo la carta di identità. Quel vibratore che mi hanno trovato nel corso dell’ultima perquisizione è lo stesso che avevo con me quando andai dalla Ghiribelli la domenica del settembre ’85.” Sono parole di Vanni Mario. Su Faggi, dice qualcosa Vanni. Che poi ha sempre detto: ‘ah, io non lo conosco’. O ha cercato di mitigare la portata di quelle dichiarazioni. Leggiamo lo stesso, dichiarazioni 19/02/96. Ovviamente io ve le sintetizzo; voi avrete tutto il tempo di verificare nei dettagli. Se lo verificherete, come lo farete di certo, troverete qualcosa in più, rispetto a quello che io vi sto elencando oggi, perché io ho preso solo quelli che erano gli elementi più importanti. Sto parlando di dichiarazioni di Vanni, dell’imputato Vanni; dichiarazioni a riscontro di tutti quei testi che l’accusa vi ha portato a suo carico. Su Faggi dice: “Conosco Faggi, è un amico di Pietro. L’ho visto una volta sola a bere alla Cantinetta, non so dire quando. Mi trovavo lì, lui arrivò insieme a Pietro. Non ricordo che macchina avesse Faggi, anzi, non so nemmeno se aveva una macchina.” Aveva detto in precedenza: “Questa persona” – Faggi, lo aveva detto nel ’91 –“io non la conosco, però l’ho vista con Pacciani a bere con lui, credo prima della morte di Renato Malatesta.” Cioè, è lo stesso Vanni che in un verbale reso al P.M. il 10 luglio del ’91, in epoca in cui Vanni era semplicemente un teste che veniva sentito perché era amico di Pacciani, dice: “Questa persona” – Faggi – “non la conosco, l’ho vista con Pacciani, era a bere con lui” – ci ha detto poi dopo, lo ha detto al Gip: alla Cantinetta – “credo prima della morte di Renato Malatesta.” Cioè, il Faggi, se qualcuno avesse dei dubbi sul fatto che si conoscevano prima dell’omicidio di Calenzano, se lo può togliere da queste dichiarazioni, perché Malatesta è morto il 23 dicembre dell’80. L’omicidio è dell’81: per ammissione stessa di Vanni si conoscevano in epoca precedente. Queste sono dichiarazioni di Vanni. Può fare tutte le ritrattazioni che crede, ma non le ha fatte, non ha accettato il contraddittorio. Ancora: “Antonietta Sperduto…”, perché voi pensate che noi abbiamo un debito oggi nei confronti dell’Antonietta Sperduto e dobbiamo avere ancora qualche dubbio sul fatto che ci abbia detto la verità nel modo che avete visto e con la spontaneità, con la genuinità, con le difficoltà che ha avuto davanti a voi e nel corso delle indagini. Però è una signora che, con tutte le disgrazie che le sono capitate, è venuta qua, lo ha guardato in faccia e glielo ha detto. E Vanni cosa diceva a proposito di questa conoscenza, che poi ha negato? Sempre il 10 luglio ’91 dice: “Io e Pacciani facevamo l’amore, ma separatamente, con una donna di Sambuca, tale Antonietta Malatesta” – questo, lo dice Vanni. Eccolo un riscontro all’Antonietta – “il cui marito Renato ho saputo che si è impiccato. Io, sebbene avessi acquistato in un negozio di Firenze un fallo di gomma, unitamente a Pacciani, non portavo tale oggetto quando andavo dall’Antonietta.” Gli sarà stata fatta la domanda, chiaramente, e lui ha risposto dicendo la verità. Era teste. Ecco, avevamo qualche motivo di non credere a cosa diceva la Sperduto? Le conferme, quelle che noi chiamiamo riscontri, vengono da Vanni stesso. Un altro, marginale, ma teniamolo presente. Sono fra quelli che è bene che poi con calma voi vi leggete e vedrete che sono veramente tanti: le auto di Pacciani. Dice: “Io mi spostavo” – sempre 10/07/91, il Vanni – “mi spostavo a bordo della FIAT 500 del Pacciani di colore bianco, oppure della sua Ford Fiesta, perché non guido la macchina. Lui era un buon guidatore, anche le volte che si spostava a Firenze.” Sempre parole del Vanni -Io vi avevo detto.; guardate, se ci fossero altri elementi, dopo, oltre tutti quelli descritti, a carico del Vanni, noi saremmo ancora più tranquilli. Guardate la portata di queste ammissioni, quali riscontri forti, insuperabili, ha dato lui stesso. Ma io vi accennavo, ci sono ancora dei riscontri testimoniali ulteriori che riguardano solo la sua posizione e ci sono degli elementi oggettivi sui quali mi voglio soffermare fra un po’. Guardiamo i riscontri testimoniali, perché tutti quelli che riguardano Lotti e quindi indirettamente Vanni sulle persone in macchina, nei luoghi degli omicidi, li conosciamo talmente bene che io non ci torno nemmeno più sopra. Però vi voglio far presente che è necessario oggi estrapolare nella vostra mente, alla vostra attenzione, alcune testimonianze importanti che riguardano solo la figura di Vanni come presente su questi fatti, presente in questi luoghi. Voi ricordate alcune testimonianze. Ci sono quelle che sono, vengono dai signori Rontini, marito e moglie, Abbiamo tutto il dovere di sapere che sono testimonianze che vengono dai genitori di una delle vittime, ma abbiamo anche il dovere di sentire cosa
dicono e poi liberamente di valutare se il loro racconto ha oggi, davanti a voi, un peso importante, o se è un racconto da prendere con le molle. Il peso importante viene esclusivamente dal modo, dal perché, dal quando vi hanno fatto questo racconto e dalla personalità di questi due genitori, che quando non sapevano qualcosa si sono sempre astenuti. Che motivo avevano di non dire la verità in quel momento? Sono venuti spontaneamente perché il loro difensore di parte civile li portò nel processo Pacciani su questo punto, e cosa ci dissero entrambi e cosa hanno ripetuto qui? Due parole. Dice il Rontini Renzo: “Nel mese di luglio, quando la figlia, mia figlia, lavorava al bar La Spiaggia di Vicchio, la sera mi mettevo sulle panchine davanti al bar e in alcune di queste sere ho visto il signor Vanni Mario” -poi ci spiega perché era Vanni Mario – “fuori del bar dove lavorava mia figlia, dove esistono degli alberi grossi, mi pare dei tigli.” Guardate, è una persona che il particolare ve lo descrive così. “Ricordo il suo modo di camminare, aveva le mani in tasca. Anche mia moglie mi disse di avere avuto la stessa impressione vedendo una sua foto sul giornale.” E ancora, la signora Rontini: “Quando lo vidi in televisione, Vanni, durante il processo Pacciani, ebbi l’assoluta sicurezza di averlo visto a Vicchio. Sono sicura di averlo visto più di una volta: una sola non mi sarebbe rimasta impressa.” Ricordate i discorsi di Lotti? “Andammo a vedere la Pia al bar.” Ci sono tornati, da quello che ho capito, Pacciani e Vanni. Questa ragazza veniva seguita. Ma, oltre ai genitori, che sono sempre i genitori della vittima, però sono le persone che ovviamente il padre era lì la sera perché aveva quel suo desiderio sia di stare al bar, che dì stare lontano, ma vicino alla figlia, vi ha fatto questo racconto particolare: “Io, questo ho riconosciuto.” C’è anche un terzo: Santoni Paolo, il quale, cittadino di Vicchio, vi ha raccontato in sostanza: “Ho visto il Vanni un paio di volte fuori del bar della Stazione dove lavorava Pia Routini. Entrava e usciva. L’ho visto anche in paese, non ricordo quando.” Ovviamente, non avendo motivo particolare per avere un ricordo più preciso se non nel fatto che si trattava del Vanni Mario a Vicchio, vi dice: “Non ricordo quando.” Ecco, noi queste testimonianze, come le bolliamo, come testimonianze interessate? Signori Giudici, non vi fate indirizzare in una trappola simile, se fosse mai usata per bollare questo racconto. È un racconto di persone che lo hanno fatto davanti a voi con le loro, assumendosi le loro responsabilità; lo hanno sempre detto, lo hanno fatto spontaneamente. Sono dichiarazioni circostanziate.
P.M.: Ma c’è ancora un elemento testimoniale che riguarda questa vicenda e questa condotta di Vanni che seguiva la Pia. Ma ricordate cosa diceva Lotti in proposito? Guardiamo quelle tre o quattro parole. Dice Lotti, attenzione: “Prima dell’omicidio dell’84, sono stato a Vicchio con Vanni. Vedemmo la coppia, la seguimmo. Vanni entrò nel bar dove lavorava la ragazza della Panda e quando rientrò in macchina, disse: la sistemo io.” Frasi simili, voi. Voi ricordate nei dettagli il racconto di Lotti. C’è ancora un riscontro che è stato molto chiaro nel processo; un riscontro che è quella testimonianza di quel ragazzo, Poggiali Mauro, che vi ha detto: ‘io ho avuto l’impressione e la sensazione che effettivamente la Pia in quelle sere venisse seguita’. Ricordate il racconto di Poggiali Mauro nei dettagli? Lo ricorderete senz’altro, volevo solo ricordarvi i punto più importanti. “Quattro o cinque volte ho accompagnato a casa Pia Rontini, la sera quando chiudeva il bar. Mi era stato chiesto dal proprietario, Bini.” Strano. Questo Bini, che è quella persona che ci dà tutti quegli elementi scarsi per dire come mai la Pia quella sera non lavorò, ma questa è una situazione che il Bini non ci ha consentito di chiarire, come pure la Bazzi, però è un Bini che dice al Poggiali Mauro: ‘guarda, segui quella ragazza, accompagnala a casa’. Eh, anche il Bini aveva avuto qualche impressione non positiva, se chiedeva a un ragazzo di accompagnare la Pia a casa. Non si può dire che è un comportamento che viene tenuto nei confronti di tutti. Dice Poggiali: “Stava in una via fuori mano, non di transito. Due volte un’auto ci ha seguito; era partita come noi dalla stazione di Vicchio…”, cioè era un’auto che era nello stesso posto. Di chi fosse noi non abbiamo prova, è un elemento oggettivo che è stato portato in più nel processo a dimostrazione che qualcosa di anomalo c’era, nel pensare che la ragazza veniva tenuta sott’occhio. Dice: “Ci ho pensato più volte, dopo l’omicidio. Mi è sembrata una cosa strana. Non era un’auto grossa, di colore sull’amaranto-rosso, non rosso vivo.” Di chi fosse quest’auto abbiamo solo da fare delle ipotesi, Lotti non ha mai detto – e questo dobbiamo riconoscerlo – di essere stato lui a seguirla. Ci ha solo detto: ‘guardate, che io l’ho seguita una volta con Vanni, ci sono tornati loro, non so cosa facessero.’ Io vorrei andare ancora oltre nello spiegarvi come mai i riscontri sul conto di Vanni sono così forti. E vorrei che voi guardaste con me, con obiettività, gli elementi oggettivi che nascono da quei verbali di sequestro relativi alle perquisizioni fatte a Vanni al momento del suo arresto e successivamente. Sembrano verbali relativi a oggetti sequestrati che possono essere solo indirettamente usati per valutare questi elementi, ma sono verbali relativi a oggetti che è bene non trascurare. Vediamo perché. Mi riferisco innanzitutto a quel coltello da cucina e alle due pietre. Il coltello lo abbiamo visto in aula; abbiamo detto tutti diverse cose. Partiamo solo dagli elementi obiettivi relativi al coltello e alle due pietre e leggiamo innanzitutto gli atti. Il verbale 12/02/96 ci dice: Al momento della esecuzione della custodia cautelare in carcere vengono rinvenute diverse cose fra cui, nel forno della cucina, un coltello da cucina monotagliente con manico in legno di centimetri 11 e 5 e lama di centimetri 22 di lunghezza. C’è il fascicolo fotografico allegato. Voi avete fascicolo fotografico e avete il coltello. Vi prego di porre attenzione all’esame del fascicolo fotografico esattamente alla foto 9, perché se voi leggete la didascalia della foto 9, di quel coltello, avete un elemento che vi invita poi a guardare bene il coltello. Perché quella foto 9, la didascalia dice: “Si evidenziano le scalfitture presenti su ambedue le facce della lama stessa.” Cioè, chi ha sequestrato quel coltello, operatore di Polizia che ovviamente fa centomila altre cose, a occhio nudo evidenzia delle scalfitture su quel coltello, sulla lama, da ambo le parti. È un dato oggettivo. Lo accantoniamo, lo lasciamo lì, voi andate a controllare il coltello; la foto vi serve solo per capire che quel coltello ha una lama così particolare che ci sono addirittura delle scalfitture che si evidenziano così, a occhio nudo. Voi ricordate quello a cui miro: quelle dichiarazioni fatte dal professor Perini circa il fatto che il coltello, che comunque ha attinto in una delle due partii del corpo la ragazza francese, presentava un modo di tagliare che sembrava in gualche modo presentasse una zigrinatura. Ecco, andate a vedere quel coltello e controllate questa strana circostanza. “Su ambedue le facce della stessa lama vi erano presenti delle scalfitture.” Cioè, era un coltello che aveva comunque avuto questo problema. In più, e qui è ancora l’elemento… verbale di sequestro che io vi invito a tenere presente, perché è un atto irripetibile che voi senz’altro avrete letto, è un verbale di sequestro in cui si dà atto che insieme a quel coltello c’erano due pietre affilalama. Allora, cerchiamo di essere solo obiettivi, perché il coltello è lì, era nel forno, era insieme a due pietre affilalama. Ma come mai un coltello chiaramente da cucina -perché poi lo abbiamo visto – si trova nel forno? E nel forno, non nel tavolo dove si tengono i coltelli, o in una credenza, o al limite in un ripostiglio; no, nel forno da cucina, dentro, sotto. Non è in un cassetto, è lì. E’ uno strano ripostiglio. Che ci vuol dire? Comunque due cose: o che il coltello e le lame son ben nascoste, o comunque anche che il forno da cucina non viene usato, o comunque viene usato sicuramente in modo anomalo. Anche qui abbiamo dichiarazioni rese da Vanni sul punto, perché il Gip lo interroga, perché poi non ha detto nient’altro. Io vorrei che queste dichiarazioni su quel coltello – per vedere se il coltello ha qualcosa a che fare con le nostre storie, o comunque è un coltello che qualcosa dice, e che è un coltello che in qualche modo parla – sono dichiarazioni di questo tipo : “È un coltello che ho usato anche recentemente per tagliare la carne.” Secche, dichiarazioni al Gip. Strano, perché non è affilato da tempo, si vede chiaramente; è vecchio. Lui dice: “Sì, è vecchio, ma si puliva”, nelle stesse dichiarazioni. Il difensore ha tenuto a dimostrarvi: ‘guardate’ -l’ha preso in mano – ‘guardate come non taglia, non ha punta.’ Il suo assistito aveva dichiarato: “L’ho usato di recente per tagliare la carne.” Signori, allora o non è usato da tempo, o è usato per tagliare la carne. Ma che razza di dichiarazioni dobbiamo sentire e dobbiamo… In un processo di questo tipo cos’è che dobbiamo valutare? Queste dichiarazioni. Ma c’è di più. Subito dopo dice: “Il coltello da cucina e le pietre che mi son state sequestrate le tenevo nel forno di casa perché non avevo posto in casa.” Cioè, “non avevo posto in casa”. Queste sono le dichiarazioni dell’imputato Vanni relative a quel coltello e a quelle pietre: “non avevo posto in casa”. Niente di più. “Le pietre le tenevo per affilare il coltello.” Nessuno aveva dubbi che servivano per affilare il coltello, ma l’ultima affilatura di quel coltello era sicuramente lontana nel tempo, lo abbiamo visto. Le pietre erano per affilare il coltello. “Quel coltello lo avevo da parecchio, forse una decina d’anni.” ’95, ’85; strana coincidenza, di queste dichiarazioni. “Lo avevo da tempo, forse una decina d’anni. Lo avevo comprato nel piazzone di San Casciano” – quindi non è che abbiamo dubbi che fosse suo – “le pietre le ho comprate in Borgo” – sarà sicuramente Borgo Sarchiani, penso, dove lui abitava – “al negozio ‘La magoncina”, mi sembra sia scritto nel verbale. “Le ho comprate dopo il coltello. Le comprai per affilare il coltello, per tagliare la carne.” O non mangiano mai carne, o comunque le valutazioni da fare le ho già fatte. Però volevo tornare un attimo sul posto in cui viene custodito, questo coltello. È chiaramente un luogo non consueto, ne vorremo convenire; nessun’altra dichiarazione del Vanni ci può convincere del contrario; ma è un luogo dove ovviamente coltello e pietre non vengono normalmente riposte. Quindi noi, se dobbiamo fare una valutazione su quel luogo dove vengono custodite, è una valutazione sicuramente di dubbio. Come mai lì e non nel cassetto? È un’impressione, un’impressione forte che abbiamo avuto tutti – il P.M. l’ha avuta, ma è possibile che l’abbiano avuta sicuramente molte delle parti, sicuramente l’avrete avuta voi, signori Giudici – è un coltello talmente nascosto in posto strano che fa pensare, oltre al fatto che non era affilato e quelle dichiarazioni di Vanni, che non era di uso quotidiano, per tagliare la carne. Ma che strano. Anche le lame affilacoltello non sono nel ripostiglio; no, sono insieme al coltello. Sono due – anche questo: non una – sono strettamente legate al coltello. Cioè, quelle lame, quelle due pietre sono sicuramente in funzione di quel coltello. Quindi sono pietre strettamente connesse. Fra l’altro, sono dichiarazioni di Vanni : “le usavo per affilare il coltello”. Altro che coltello usato per carne o arrosti o torte. Altro che forno usato per questo scopo. Abbiamo tutto il legittimo diritto di sospettare che quel luogo fosse un nascondiglio e che le dichiarazioni di Vanni sul punto sono dichiarazioni, diciamo solo difensive: “non avevo altro posto per tenerle in casa”. Cosa vi poteva dire di più, Vanni, dopo le accuse che gli venivano mosse e avendo ben presente a cosa serviva quel coltello. Dice… Mah, che strano, noi potremmo dire: il forno da cucina. Mah! È una cosa, un’usanza particolare; cosa vuole il Pubblico Ministero, cosa viene a dire, cosa viene a sospettare. Le dichiarazioni di Vanni sono così e che vi doveva dire? È qualcosa che sa solo lui, ma cosa c’entra con
gli omicidi? Io intanto vi ho parlato di quelle scalfitture e vi prego di guardarle con calma. Però ricordatevi che per quanto riguarda un forno che serve per custodire qualcosa abbiamo avuto quella improvvisa – assolutamente non conosciuta dal P.M. e da nessuna delle parti perché non c’era nessun atto – dichiarazione del dottor Perugini in aula. Il quale, parlando di tutt’ altra cosa, parlando di tutt’altro forno da cucina, guarda caso, per strana combinazione vi ha parlato di un forno da cucina del signor Pacciani, il quale forno veniva usato appunto per custodire qualcosa. Vi ha ricordato che il verbale di sequestro relativo al patrimonio in titoli di Pacciani è relativo a una descrizione di titoli che erano nel forno da cucina di Pacciani al momento del sequestro. Combinazione, per carità. È una mera combinazione, però teniamo presente che, allora, noi abbiamo tutto il diritto di pensare che il forno da cucina anche per Pacciani era un luogo dove si custodiva qualcosa per celarla, quanto meno, a degli eventuali curiosi, sicuramente forse ai familiari, sicuramente a degli ipotetici ladri. Comunque era un posto in cui le cose si nascondevano. E ancora più strano, per quel che riguarda quella circostanza raccontatavi in quest’aula dal dottor Perugini: perché quei titoli noi sappiamo, e ve l’ha descritto, erano titoli al portatore… erano titoli non al portatore, chiedo scusa, nominativi. Per cui non era denaro contante. Però erano titoli nominativi che solo lui o le persone a cui erano intestati potevano incassare; ma, guarda caso, per motivi che motivi che riguardano – o riguardavano – solo il Pacciani, erano nascosti in un forno. Il che ci dice soltanto, niente di più, che il forno, quando si ha interesse, è un luogo dove si custodisce qualcosa che è bene che gli altri non vedano. Qualcosa in cui, il forno, si vuole custodire, nascondere – occultare non lo so – oggetti che, per noi, hanno un particolare interesse. Dei titoli nascosti nel forno. Eh, allora io ritornerei solo ed esclusivamente sull’ultima circostanza: era un coltello sicuramente non affilato, non usato da tempo, e quindi è inutile oggi battersi e voler fare considerazioni diverse su questo fatto. Le dichiarazioni di Vanni che ci dice “lo usavo, l’ho usato poco fa per tagliare la carne” sono sicuramente mendaci. Allora a cosa serviva questo coltello? Il processo ha solo dato indicazioni. La prima forte è questa: quando Lotti, la cui credibilità noi abbiamo dimostrato a lungo in quest’aula, vi ha detto, una volta visto quel coltello di cui parliamo: “Era quello, era quello che io ho visto usare da vanni negli omicidi”, vedete che è un’indicazione di Lotti molto forte, che per quanto riguarda il Vanni trova riscontri nel modo di custodirlo. Cosa ci ha detto il professor Maurri? Perfettamente compatibile, una volta visto, con l’arma usata nei delitti. Ovviamente di più nessuno vi ha potuto dire, però l’indicazione di Lotti è molto forte. C’è quell’indicazione, poi, del professor Perini che non si può trascurare, sul fatto che il coltello usato aveva gualche imprecisione. Voi avete quel coltello, potremo dire casuale quanto si vuole, che questa affilatura non perfetta ce l’aveva. Questo è un dato oggettivo sul quale è necessario sicuramente fare un’operazione ampia di valutazione degli elementi che io vi ho descritto. Non si può né sopravvalutare – che è la cosa che io vi invito a fare – ma non si può minimamente trascurare la portata di un simile sequestro, se correttamente visto sotto il profilo degli elementi di riscontro che ora vi ho descritto.
P.M.: Lo spolverino. Volevo accennarvi ancora qualcosa sempre sugli elementi obiettivi relativi al sequestro di questo spolverino; uno spolverino che è stato sequestrato successivamente, nella perquisizione del 16 marzo ’96, a seguito di dichiarazioni di Lotti che dice: ‘mah, io ho visto che aveva uno spolverino’. Ma andiamo con ordine anche su questo spolverino. Vediamo come stanno le cose, perché solo nel momento in cui noi abbiamo tutti gli elementi oggettivi possiamo metterci nell’ottica di fare delle valutazioni. E su questo, lo stesso, non abbiamo avuto la possibilità di sapere niente di più preciso da Vanni, dobbiamo rimanere a quelle che erano state le sue dichiarazioni alle contestazioni del Gip. Cosa dice? “Io usavo quello spolverino per fare le pulizie in casa e per il lavoro alla posta.” Cioè, lo unisce, come necessariamente è naturale, un oggetto simile, per lavorare, per fare pulizie, per fare qualcosa, “per non sporcarmi” in sostanza. “Lo possiedo da trent’anni.” Questa è una dichiarazione di Vanni. Cioè, non è uno spolverino di ieri: ce l’ho lì da trent’anni. Eh, anche questa è una coincidenza. È una coincidenza forte, per quello che è; anche qui nessuna sopravvalutazione. È un dato di fatto, come tutto questo processo, mi sembra, abbia consentito di dimostrare. Sono un insieme di elementi che uno accanto all’altro vanno tutti in un’unica, univoca direzione. Perché? Eh, dice: “È una cosa che usavo per non sporcarmi.” Guarda caso Lotti ci fa una descrizione simile, ma Lotti è molto… non dico impreciso, ma fa dichiarazioni apparentemente relative a cose di cui il Lotti giustamente gli ha dato il rilievo… Avendo visto quelle condotte così, talmente cruente, forse, nella sua mente, nella sua memoria lo spolverino è l’ultima cosa. Però ci ha detto: ‘guardate, a me sembrò azzurro’, o comunque una dichiarazione di questo tipo. Però ha detto una cosa importantissima, Lotti, e vi ha detto: ‘guardate, lo spolverino che io ho visto in casa nel ripostiglio di Vanni…’ – attaccato a quell’appendiabiti che lui ha chiamato “coso per cosare”, tanto per intendersi – ‘ è lo stesso che io poi ho visto a Vanni al momento della commissione degli omicidi. Quindi, il punto fondamentale è questo, al di là del colore. Non si può, se noi abbiamo tutti gli elementi per credere a Lotti, non si può sottovalutare questa circostanza. Al di là del fatto colore, che fosse chiaro… chiaro no, che fosse blu scuro o che fosse nero, non ha importanza la descrizione che ci fa col modo di esprimersi tipico del Lotti. Dice: ‘è quello che io ho visto in casa, è quello che gli ho visto addosso nelle sere degli omicidi’. Io su questo, poi, non è che ci sia nient’altro da dire, perché un blu e un nero, in una notte, luna o non luna, con il modo di raccontare di Lotti e con quelle imprecisioni che in questo caso sono a suo favore, perché se avesse visto le fotografie nere di quello sequestrato, che non ha mai visto, vi avrebbe detto: ‘è nero’.-. No, Perché è credibile Lotti sul punto spolverino? Prché vi dice: “quello che gli ho visto in casa”. Non vi dice’ quello nero che poi è stato sequestrato’. No. “È quello che gli ho visto in casa”. Il colore, poi, vedetevela voi. Questo è il punto fondamentale sul discorso spolverino e sul discorso ‘Lotti è impreciso, gliel’ha visto prima o gliel’ha visto dopo’. Ma pensate davvero che al di là della memorizzazione di un dato così, diciamo secondario rispetto agli omicidi, l’importanza della descrizione del colore sia fondamentale da parte di un Lotti che vi dice: ‘quello che aveva in casa era quello appeso allo stesso chiodo’, dove poi è stato trovato dalla Polizia – era lo stesso o meno – abbia importanza ora? O forse non dobbiamo essere più che certi, a questo punto, che quel coltello, quelle pietre e quello spolverino siano direttamente connessi con la storia descritta dal Lotti? Abbiamo qualche motivo per dubitarlo? Direi che tutto va nella direzione della perfetta credibilità e della sicura presenza di questi oggetti in capo alla figura Vanni Mario con la commissione degli omicidi. Pensate a quelle dichiarazioni e del professor Maurri, del Lotti: ‘è quello il coltello’. Pensate a quella Polizia Giudiziaria che vedendolo si accorge di quelle scalfitture: ‘io non ne so di più, controllatelo voi, io quello ho visto’, negli atti che avete e che abbiamo. Allora, abbiamo solo da dire che anche gli elementi oggettivi, oltre tutti quelli che ho descritto finora, depongono per una responsabilità piena di Vanni nella commissione degli omicidi descritti da Lotti. Non solo perché Lotti, Pucci e tutti gli altri sono credibili, ma perché le ammissioni di Vanni su questi fatti sono di una schiettezza – se di “schiettezza”, fra virgolette, si può parlare – e non possono che non essere prese oggi se non sotto il profilo del riscontro alle dichiarazioni accusatorie di Lotti. C’è da dire qualcosa ancora, perché Vanni risponde davanti a voi anche dell’omicidio dell’81, Calenzano. Su questo io vorrei spendere qualche parola, perché è vero, l’istruttoria dibattimentale non ci ha potuto dire niente di più; ma perché? Anche qui una spiegazione molto ovvia, molto lineare: è chiaro che Lotti anche su questo dice la verità. Noi non sappiamo niente di più, oppure sappiamo solo alcune cose che ora vediamo, sull’omicidio dell’81 commesso da Pacciani e Vanni, quanto meno, – Faggi lo vediamo fra un attimo – perché Lotti vi dice: ‘quello che so io lo so indirettamente, l’ho saputo da Vanni e da altre circostanze. Io non c’ero’. Ecco perché non abbiamo maggiori racconti. Cosa ci voleva a un Lotti indottrinato – lo uso ancora questo termine, proprio perché è in senso dispregiativo da chi lo ha usato e chi ha tentato di usarlo – avrebbe raccontato a voi qualche… cosa ci voleva a raccontar qualcosa anche sull’81, anche se non si sapeva? No, Lotti nella sua genuinità e schiettezza dice: ‘io sull’81 so solo quello che mi è stato raccontato’. Cosa gli è stato raccontato lo vediamo, però teniamo presente allora, oggi, perché dobbiamo dire che Vanni è sicuramente coinvolto in quell’omicidio e la prova è stata raggiunta anche su quello, per una serie di elementi molto chiari. Primo: noi sappiamo tutti ed è stato provato, un elemento non discusso, l’unicità dell’arma. Ma qui non è il fatto dell’unicità dell’arma che lega tutti questi delitti dal ’68 in poi; ne mancano altri, lo sappiamo, il ’74 e l’81, Scandicci, però qui, in questo processo si parla, per quanto riguarda la posizione Vanni, dall’81, Calenzano in poi. Allora, quindi, il primo elemento, unicità dell’arma, unicità condotte. Ma abbiamo un altro elemento molto forte che ci consente di dire: Vanni coinvolto appieno. Abbiamo quell’escissione sul corpo della ragazza, Calenzano ’81, che i periti hanno descritto, non solo come compatibile con le altre escissione e con le altre mutilazioni, ma è la stessa mano, la stessa condotta. Ecco, elemento forte che lega sicuramente Vanni a quell’omicidio. Abbiamo, e qui la utilizziamo al solo fine di dire: guardate, è un elemento di riscontro – la posizione Faggi la vediamo fra un attimo – è sicuramente un luogo, quello di Travalle-Bartoline, in cui noi dobbiamo pensare che, essendo provata questa amicizia Faggi-Vanni- Pacciani, è un elemento forte il pensare e sapere che l’omicidio è avvenuto proprio li, al di la del coinvolgimento – provato o meno – di Faggi. Allora capite che gli elementi forti sono tanti; i più grossi sono le dichiarazioni di Lotti, riportate da Pucci, sia pure de relato, ma questi grossissimi dovuti alle armi e alle escissioni. Però a questo punto sapete anche – io lo devo utilizzare – che sul punto chiamata di correo, la Corte di Cassazione ha speso fiumi di inchiostro per dire che quando la chiamata di correo -ovviamente sono tutte massime di Giurisprudenza che riguardano i delitti di mafia, ma il principio è quello lì – quando la chiamata di correo è forte, è completa, è circostanziata per un episodio soltanto o due episodi, se gli episodi sono poi prova… è provato che sono legati fra loro nella loro dinamica materiale, la chiamata di correo, se riscontrata forte per uno dei fatti, nel caso di continuazione dei fatti è chiamata di correo per tutti. E voi sapete che, in questo caso, massime del genere sono quelle che rispecchiano in punto di diritto la esatta realtà. E quindi dobbiamo tenere ben presente un Lotti che ci dice: ‘guardate, io di questo so solo il de relato, di Vanni, e quali sono gli elementi obiettivi sul punto’. Sono talmente forti e talmente raggiunti, anche qui, da prove perché è prova a questo punto la dichiarazione di Lotti perché è prova in quanto riscontrata, ex 192, come prevede il nostro ordinamento e la Giurisprudenza sul punto, per cui sul Vanni coinvolto nell’81 abbiamo elementi di fatto molto grossi, elementi in chiamata di correo ancora più forti. Qualcuno ha accennato, e io non voglio certo trascurare l’argomento: ma sul 1968 e sugli altri delitti questo processo non ha detto nulla. Non doveva dire nulla, lo sappiamo benissimo. Più volte, lei Presidente, sollecitato, ha chiarito che solo indirettamente quei fatti hanno riguardato questo processo. Quindi, se qualche motivo abbiamo di parlare di quei fatti è per vedere se in questo processo sono emersi elementi in contrasto. No, signori, anche su questo aspetto della vicenda “Delitti ai danni di giovani coppie a Firenze”, per quello che riguarda i delitti precedenti, abbiamo un elemento di riscontro molto forte. È un elemento di riscontro che serve solo per farci avere presente che il quadro relativo a quei fatti, sia pure non chiarito in pieno, è un quadro perfettamente preciso e coerente, ricordiamo quelle dichiarazioni che, checché se ne voglia fare o argomentare sono state depositate davanti a voi in quelle dichiarazioni del signor Calamosca, imputato a sua volta, interessato,
abbiamo tutti i motivi di prenderle con le molle, però il Calamosca ha detto due o tre cose ferme, secche, che hanno trovato perfetta corrispondenza, guarda caso, al riscontro di Lotti. E sono dichiarazioni arrivate sicuramente in modo anomalo, perché nessuno pensava che un Calamosca, il quale era coinvolto in termini di situazione processuale a suo tempo in questi fatti, arrivasse a raccontare cose del genere. Cosa vi ha detto in sostanza Calamosca: ‘per quel che ne so io ‘ – e quindi anche qua bisogna prendere queste dichiarazioni per quel che sono -‘il delitto del ’68 fu opera, io credo, io so, io ho saputo’ – ha detto Calamosca – ‘perché li frequentavo, del… di quella persona, Stefano Mele, che è stata a suo tempo condannato, ma c’era coinvolto Francesco Vinci. E per questo il Francesco Vinci ha vissuto una certa epoca d’oro, era pieno di denaro, aveva ceduto l’arma a qualcuno. E siccome c’erano stati omicidi successivi ricattava questo qualcuno e ne beneficiava in denaro’. Credibile o non credibile, inventato o non inventato, noi che abbiamo per poter dire: l’ha inventata questa storia questo signore? Assolutamente nulla, lo dobbiamo prendere per quello che è. Però attenzione, queste dichiarazioni sul Vinci che era comunque coinvolto in questi fatti le abbiamo in quelle dichiarazioni, anche lì del Lotti, fatte nel dibattimento, che potrebbero sembrare estranee alla economia dei delitti, ma che vedete trovano un riscontro puntuale in questi accertamenti: ‘il Vanni e il Pacciani mi dissero poi che l’omicidio dell’83 era stato fatto per liberare anche… anche per liberare il Vinci dal Carcere, perché non c’entrava nulla’. E guardate come corrisponde con quelle dichiarazioni, Vinci coinvolto, Vinci che estorceva qualcuno, Vinci che aveva ceduto l’arma, vi ha detto che non voleva rovinare… non si voleva rovinare una famiglia a quell’epoca. Tutte quelle dichiarazioni che, non avendo trovato niente altro, nessun tipo di riscontro ulteriore, se non quelli che abbiamo oggi elencato davanti a voi, sono elementi che in tema di compatibilità piena, in tema di riscontro pieno anche per il passato, sono dichiarazioni di Lotti inequivocabili.
P.M.: Io, per quanto riguarda la figura di Vanni, a questo punto, non posso assolutamente pensare che tutti questi elementi possano essere letti da voi in maniera diversa da un pieno coinvolgimento provato, tranquillo, gravissimo nei confronti di questo imputato; un coinvolgimento che difficilmente viene, in termini di fatti e di responsabilità, portato davanti a una Corte d’Assise con una dovizia di prove come in questo caso. Direi che l’atteggiamento di Vanni di non rendere l’interrogatorio nel corso del dibattimento è un atteggiamento perfettamente in linea con la sua partecipazione, direttamente proporzionale alle sue gravi responsabilità, le quali sono quelle indicate dai racconti di Lotti come partecipazione da un uomo il quale ha compiuto – e è provato in questo dibattimento – quei gesti e • quelle escissioni soprattutto perché è una figura connotata dalle gravi perversioni che il dibattimento ha descritto. Passerei, a questo punto, all’esame della posizione di Faggi Giovanni e direi che è una posizione obiettivamente più semplice, perché è una posizione, innanzitutto, più semplice dal punto di vista degli stessi elementi di accusa, delle stesse imputazioni. È imputato dell’omicidio del 1981 di Calenzano, quello dell’85 a Scopeti e del reato di associazione per delinquere di cui diremo più avanti. Ma Faggi risponde solo di questi fatti, nella misura descritta nel capo di imputazione. E’ un Faggi che noi non abbiamo visto in faccia. Ha fatto anch’egli una scelta, più che legittima, quella di affidarsi alla difesa tecnica che è stata espletata in questo processo: lui ha ritenuto opportuno, legittimamente, di non dirvi nulla. Anche questo comportamento va valutato. Ma noi sappiamo qualcosa? Noi sappiamo tante cose sul Faggi. Abbiamo la prova oggi, cercherò di spiegarvelo in sintesi, ovviamente il mio pensiero, quello dell’accusa, di un sicuro coinvolgimento, totale, in questi fatti. Nella misura che noi riusciremo a indicarvi, per vedere se questo coinvolgimento è un coinvolgimento sicuro e certo, oppure è un coinvolgimento sul quale noi ci troviamo con un foglio di carta velina davanti, ci manca qualcosa. Vediamolo, perché è bene sempre essere obiettivi. Credo che finora almeno una valutazione di obiettività non mi possa essere negata, sia pure rappresentando l’accusa pubblica. Direi che Faggi è coinvolto in questi fatti, noi non abbiamo motivo per pensare che al dibattimento abbia detto qualcosa di diverso. Come mai? Basta vedere come nasce questa accusa nei confronti di Faggi. Non è un personaggio che entra in questa storia per caso, è un personaggio identico, all’inizio, al Lotti e a Faggi e a Vanni, perché è un personaggio che viene fuori addirittura nelle famose indagini che iniziano nell’89-’90. È un personaggio che ha destato fin dal primo momento l’interesse degli investigatori, non nel 1996, ma nel ’90. Se voi guardate gli atti che avete nel fascicolo, perché ci sono – atti irripetibili, come le perquisizioni e i sequestri del ’90 – vediamo che è un personaggio che quando si indaga Pacciani, ve lo ha ripetuto poi a lungo il dottor Perugini, è un personaggio che venne subito agli occhi degli investigatori come amico di Pacciani. È persona, fra l’altro, che dai primi accertamenti, non solo è più compatibile con la personalità di Pacciani e di Vanni, ma è una persona che, per quello che ne sappiamo, è più che identica: ha un suo lavoro, più che dignitoso, senz’altro un lavoro diverso, ma è persona che per quanto riguarda il soggetto, l’intimo, il proprio intimo è identico. Cosa gli viene sequestrato? Nel ’90, no quando la Squadra Mobile di Firenze, il dottor Giuttari, ritornano sul Faggi, ma all’epoca, nel corso della perquisizione del ’90 viene trovato in possesso… due perquisizioni, addirittura – l’attenzione era molto forte su Faggi all’epoca, più che senz’altro di Vanni che nel ’90 non lo perquisisce nessuno e di Lotti che nel ’90 non lo perquisisce nessuno – ma Faggi desta subito l’attenzione perché gli vengono trovate: riviste pornografiche in abbondanza, non è certo un delitto; gli vengono trovati anche a lui strumenti particolari, non è certo un delitto, addirittura un fallo di legno e uno di gomma. Dna situazione personale che lo vede già all’epoca descritto come persona legata da una amicizia di tipo maschile di vecchia data, che poi viene chiarita nelle successive indagini. Una persona che sicuramente viene posta all’attenzione degli investigatori come amico di Pacciani, come persona che ben poteva essere colui che aveva indicato la coppia – come poi ci ha detto Lotti – da uccidere nell’81 a Calenzano, perché era vicino a casa sua. Ma addirittura all’epoca, sempre nel ’90, nelle prime indicazioni, il Faggi, quando non aveva da difendere posizioni personali, ci dice: ‘sì, Pacciani lo conoscevo, ma lo conoscevo limitatamente, perché lo avevo trovato una volta in un ristorante a Scarperia nel ’78, nel ’79 e forse non ricordo bene la data, non ricordo bene il ristorante, ma ci conoscevamo sicuramente’ – lo dice egli stesso – ‘in epoca antecedente’. Poi cercherà di sminuire la portata di queste dichiarazioni, ma 1’amicizia con Pacciani è esistente. Dice: ‘io lo andai anche a trovare a Montefiridolfi, gli portai delle piastrelle perché questo era il mio mestiere, è il mio mestiere, Pacciani stava ristrutturando la casa di Montefiridolfi’. Ha, importantissimo, perché venne fuori questo personaggio Faggi e perché l’attenzione sul suo conto fu forte? Perché abitava, lo abbiamo sentito quasi da tutti, a qualche centinaio di metri, un chilometro – non ha importanza – dal luogo dell’omicidio, in linea d’aria, in macchina, a piedi, in bicicletta. Non è una persona che abita chissà dove. Perché l’attenzione su Faggi fu molto forte? Abitava in quel di Calenzano, Le Bartoline, Travalle. Era lì, i campi… finite le case, ce l’ha detto il maresciallo di Calenzano, finite le case l’agglomerato, il rione, il quartiere di Calenzano dove abitava Faggi è limitrofo al luogo dove è avvenuto l’omicidio. Che sia poi un chilometro, due, tre, non è questo l’importante. È lì. Cinque minuti, ci hanno tutti raccontato il tempo che ci voleva. Susanna Cambi e Stefano Baldi erano lì vicino a casa sua quella notte. Quindi, attenzione, quando Lotti ci racconta, insieme a Pucci: ‘guardate io ho saputo da Vanni che era lui che l’aveva individuate’, vedete come la compatibilità è piena. E quindi è solo, ovviamente, un’ipotesi che nel processo Pacciani si affaccia e è un’ipotesi tutta ai danni di Pacciani in quell’epoca, perché la circostanza era molto forte: conoscenza antecedente al delitto; abitudini sessuali quanto meno simili; luogo di abitazione, vicinanze. Nessuno – come poi Lotti ha fatto – aveva parlato di un coinvolgimento di Faggi. Quindi rimasero giustamente delle sole ipotesi, delle impressioni, o comunque una amicizia che poteva spiegare come Pacciani e Vanni si fossero recati così lontani da casa o dai luoghi a loro conosciuti per compiere un fatto simile. Quindi, quando arrivano nel 1995-96 le dichiarazioni di Pucci e di Lotti, molto precise, il Faggi non è uno sconosciuto; anzi, queste dichiarazioni sia pure con le caratteristiche de relato che hanno – perché Lotti e Pucci hanno sempre parlato di dichiarazioni avute de relato, almeno sul coinvolgimento – sono dichiarazioni che nascono in un terreno di obiettiva ricostruzione molto già fertile. Cosa dicono in sintesi, prima Pucci e poi Lotti, dice: ‘guardate, la notte dell’omicidio dell’85’ -plinto fondamentale – ‘vicino alla piazzola c’era un’auto. E noi, l’auto l’abbiamo vista e comunque Vanni e Pacciani’ – riferisce in prima persona Lotti – ‘hanno detto che quella notte all’omicidio aveva assistito l’amico di Calenzano di Pacciani, di nome Giovanni “Buco” che noi conoscevamo come quello che possedeva una FIAT 131’. Questa è la descrizione, l’identificazione, la fotografia: ‘sì, è lui’. Attenzione, dicono: ‘aveva una FIAT 131’. Possedeva, è identificato, il Faggi Giovanni, come il possessore di una FIAT 131. A entrambi viene chiesto: ‘ma voi che avete visto quella macchina sapete dire che macchina era?’ ‘Macchina scura’. Noi non sappiamo che macchina era, quindi il punto fondamentale è anche questo sulla FIAT 131, sul quale poi il dibattimento si è diffuso e ha avuto gli apporti di conoscenza che ha fornito alla difesa sul punto, attraverso l’esame di alcuni testi. Però c’è ancora una emergenza sicura: entrambi riconoscono l’amico di Calenzano proprio in quel Faggi delle fotografie, in quello poi che viene sentito nel processo Pacciani. Quindi, l’identificazione Giovanni “Buco” di Calenzano, che comunque ha una FIAT 131, è secca, precisa: è quel Faggi lì. E poi dicono entrambi che avevano saputo che quella sera di Scopeti nella macchina c’era il Faggi. Qui è de relato, perché sia Lotti che Pucci dicono: ‘abbiamo visto una persona7 – Pucci dirà: ‘ne ho viste due’; vediamo ancora fra un po’ meglio, comunque – ‘abbiamo saputo che quella persona che era in quella macchina, ci hanno detto era sicuramente Faggi’. ‘Noi quella notte non abbiamo riconosciuto né la persona né la macchina’. Noi abbiamo saputo de relato che era. Però una persona nella macchina c’era. Ancora: entrambi riferiscono che avevano saputo da Pacciani e Vanni, sicuramente il tramite è Vanni, che l’omicidio dell’81 era stato fatto in quel luogo vicino a casa del Giovanni e che il Giovanni aveva loro indicato la coppia e che, anzi, dopo l’omicidio erano andati a casa sua a lavarsi. Ora vedete come l’elemento importante, ancora, di credibilità è che aveva indicato loro la coppia. Ma quale altra persona è più indicata, ovviamente, nel caso in cui ci siano riscontri forti come in questo caso, per indicare una coppia, se non una persona con delle caratteristiche come quelle di Faggi, per indicare una trasferta cosi forte in quel di Calenzano ai nostri autori materiali. Allora, davanti a queste
dichiarazioni di Lotti e di Pucci così forti, così specifiche e ricche di materiale da riscontrare, il dirigente della Squadra Mobile di Firenze, dottor Giuttari, la prima cosa che fa: cerca, come sempre, di non fermarsi alle dichiarazioni, ma di vedere se ci sono ulteriori riscontri specifici. E la prima cosa che fa, perché è il suo metodo – e glielo dobbiamo riconoscere, perché è fin dal primo momento di queste indagini che l’ha tenuto – va a vedere se negli atti ci sono riscontri ulteriori di questa presenza del Faggi in quel di Calenzano che siano già emersi in passato. Le prime cose che emergono in atti già esistenti, e poi verificate con nuove assunzioni testimoniali a riscontro, sono ulteriori dichiarazioni di testi che dimostrano come è vero che il Faggi ante delitto ’81 era spesso in quel di Calenzano, o comunque era in luoghi che sono molto, molto, molto significativi ai fini della ricostruzione dei fatti. Voi ricorderete le dichiarazioni di Cencin Gina sul punto, di Malatesta Luciano e quelle dello stesso Vanni che vi ho descritto prima. Cencin Gina dice… ha confermato in dibattimento di aver visto Faggi a San Casciano con Vanni e Pacciani. Beh, quando lo sappiamo, siamo in epoca, sicuramente anni ’80. Malatesta Luciano è ancora più specifico. Che strano, questo ragazzo, il quale si trova a assistere a episodi così sconcertanti per un ragazzo che all’epoca era appena adolescente, e nel vedere coinvolta la mamma in episodi che in un ragazzo non possono che aver portato quello sconvolgimento che si porta ancora in viso e che è stato ben chiaro nel corso della sua testimonianza davanti a voi, è un ragazzo che dice: “Guardate, ho riconosciuto il Faggi, visto nel dibattimento Pacciani, come persona vista più volte, prima della morte di mio padre” – che voi sapete è deceduto il 23/12/80 – “nei pressi della mia abitazione” – all’epoca del ragazzo e della Sperduto e del Malatesta – “in via Chiantigiana, frequentata da Pacciani e Vanni, in un’auto, una grossa berlina scura, che da solo passava vicino a casa lentamente e sembrava spiare.” Ovviamente dobbiamo metterci nell’ottica di un ragazzo così giovane che ha questo ricordo di questa macchina scura, con un personaggio riconosciuto in Faggi che frequentava casa loro, che era, guarda caso, sembra in questo racconto che anche allora era un guardone, uno spettatore, come se stesse – in ipotesi, perché non ci abbiamo elementi, ma abbiamo tutto il diritto di sintetizzare le dichiarazioni di Malatesta mentre Pacciani e Vanni erano dentro a fare quello che facevano alla madre, il Faggi ronzava intorno con la sua macchina scura. Non è lo stesso racconto identico del 1985? Non possiamo forzarlo di più, nessuno lo vuole fare. Però, guardate, che se quando si parla di macchina scura, grossa berlina, da parte del Malatesta Luciano, abbiamo un riscontro forte nelle auto del Faggi dell’epoca che aveva dei diesel scuri, dei Peugeot o quello che era; andate a controllare, aveva macchine scure di quelle caratteristiche. E strano, strano questo Faggi che nel racconto di questo ragazzo e della mamma e della Cencin era presente, amico di Faggi (N.d.t.: Pacciani) e Vanni, proprio in quella casa in epoca sicuramente antecedente alla morte del Malatesta che è morto nell’80. Quindi, abbiamo trovato successivamente un riscontro forte alla presenza di Faggi non solo in San Casciano, ma in luoghi che sicuramente sono stati frequentati dal Vanni. È questo che ci interessa.

P.M.: Allora, abbiamo fatto qualche passo ulteriore in questo dibattimento per verificare questo? Come no, abbiamo trovato qualche altra testimonianza. C’era rimasto il dubbio dell’omosessualità dei rapporti? Anche lì abbiamo avuto quei due ragazzi, quei due fratelli, i fratelli Giugni, che non hanno avuto… anzi, hanno avuto difficoltà nel raccontare quali erano i rapporti del loro padre, deceduto, con il Giugni, erano rapporti che sicuramente erano invisi alla madre e comunque alla famiglia in termini di rapporto di amicizia fra maschi: ‘andavano insieme’ – ci dicono – ‘il sabato a prendere l’acqua in quel del Mugello’. Ma ancora abbiamo acquisito elementi ulteriori su questa figura Faggi legata ai nostri autori, sicuramente a Vanni e Pacciani. E cosa… che altro riscontro abbiamo trovato? Abbiamo trovato quel riscontro, obiettivo, che anche questo è sotto i vostri occhi e solo voi avrete la possibilità, insieme a tutto ciò che ho detto finora, di valutarlo in pieno, circa un coinvolgimento della persona Faggi in questi fatti, che è quell’identikit, che chiunque l’abbia fatto, abbiamo speso più di una udienza – in questo dobbiamo, come sempre, dire grazie alla Corte che non ha trascurato nulla – per vedere chi aveva fatto quell’identikit. Chi l’ha fatto lo sappiamo, lo hanno fatto Tozzini e Parisi Rossella, Tozzini Giampaolo e Parisi Rossella, i quali hanno identificato quella sera quella persona che aveva quelle caratteristiche fisiche impressionanti e che era nei pressi del luogo dell’omicidio di Travalle. La somiglianza di quell’identikit con la persona di Faggi, se qualcuno non solo ha esperienza, ma qualche minimo di emozione nel vedere delle figure, dovrete riconoscere con me che è difficile trovare un’identikit e una figura di persona, a distanza di dieci anni, così somiglianti. E anche questo dato non era emerso allora ma è emerso in una operazione di Polizia molto semplice, mettere a fianco – e voi lo avete avuto – l’identikit di allora e la foto di Faggi presa nel dibattimento nella stessa identica posizione. Io non sto a descrivervi la corrispondenza identica della forma dei capelli, la forma del viso, gli zigomi, il mento stretto; ma se non è lui è il fratello gemello. Non si può pensare che in zona ci fosse una persona simile, o peggio ancora che i coniugi Tozzini-Parisi abbiano visto persona diversa. Quindi, anche quell’identikit ha a carico, porta a carico di Faggi elementi talmente forti di presenza in quell’omicidio, che non è possibile oggi pensare a una situazione di presenza occasionale. Abbiamo fatto una serie di accertamenti sulla FIAT 131 e sulle auto di Faggi. Questa è una serie di accertamenti che ha portato un dibattimento nel quale abbiamo avuto qualche elemento in più che ci ha consentito oggi di valutare meglio questo fatto. Noi ricordiamo che l’elemento forte è Lotti e Pucci che dicono: ‘è colui che aveva una 131’. Non hanno mai detto, perché non l’hanno riconosciuta, che la notte di Scopeti hanno visto una FIAT 131. Era una persona che aveva una 131. Anche questo è un elemento obiettivo, però il dibattimento ha, onestamente, dimostrato una circostanza: se FIAT 131 Argenta(?), il Faggi l’ha posseduta – nel senso abbiamo avuto prove del possesso di una simile macchina – è sicuramente in epoca successiva all’85. Questo il dibattimento ha permesso di chiarirlo molto sicuramente, per quello che riguarda, è ovvio, un possesso: iscrizioni al FRA. Ci sono i documenti, sono stati forniti dalla difesa, ma erano già stati acquisiti dalla Polizia Giudiziaria in epoca lontana; ci sono stati dei testi che vi hanno dimostrato come questo 131, di cui sicuramente ha avuto il possesso e la proprietà il Faggi, è successivo all’’omicidio. Quindi noi sul punto: attenzione, il Faggi era 11 quella sera con la propria FIAT 131; non abbiamo nessun elemento. Però non lo avevamo nemmeno in partenza, perché nessuno ci ha detto che era quella FIAT 131; era un’auto scura. E c’è un elemento ancora importante, su questa presenza di qualche altro sul luogo dell’omicidio del 1985. Perché voi sapete che il Lotti, come sempre, a mio avviso, è stato corretto nei confronti degli inquirenti e ancora più corretto nei confronti vostri. Cosa ha detto? ‘Signori, io l’ho vista una macchina, era più avanti. Io ho dedotto che c’era uno, perché la macchina è partita, qualcuno l’ha guidata, è andata via. Poi Vanni, il giorno dopo, mi ha detto che c’era quello di Calenzano’. Pucci, secondo me, è ancora stato più specifico, ma perché si trovava in una situazione oggettiva ancora più specifica per vedere cosa era successo. Perché Pucci ricordate che dice: ‘no, anch’io ho visto una macchina, c’erano due persone’. Questo porta degli scenari inquietanti sulla conoscenza di questi fatti, però bisogna obiettivamente riconoscere che questo dibattimento ha portato un Pucci che ha fatto queste dichiarazioni. E anche Pucci è credibile, guardate, perché Pucci è colui che vi ha detto sempre: ‘guardate, io quando ho visto quello che succedeva laggiù me ne sono tornato alla macchina e ho aspettato lì. Invece Lotti è arrivato all’ultimo momento perché lui è stato sul luogo dove Pacciani e Vanni facevano quello che dovevano. Sono montato in macchina e siamo andati via’. E’ Pucci che sta fisso fuori della piazzola, è lui che vede di più, è lui che vi dice: ‘in quella macchina c’erano due persone. Io non so altro, chi fossero’. Quindi, quando Lotti dice: ‘io ne ho vista una’, non dice niente in contrasto, dice: ‘io ho visto una macchina che partiva’. Pucci che era 11 dice: ‘io ci ho visto due persone’. Che fosse la 131 di Faggi, che fosse un’altra macchina, che noi abbiamo la dimostrazione che ci fosse Faggi perché crediamo, come sempre crediamo e abbiamo il dovere di credere a Lotti e Pucci, a questo punto ha un’importanza relativa. Una macchina c’era, sicuramente noi dobbiamo pensare che, sia pure de relato, in termini di credibilità, c’era Fagqi. Con chi era? Col suo amico Giugni, morto, con altre persone, non lo sappiamo. Ma soprattutto, e questo credo sia un’operazione doverosa da parte del P.M. che fino a cinque minuti fa vi ha cercato di spiegare e di dimostrare che prima di dire che qualcosa è dimostrato occorre essere sicuri e avere la dimostrazione piena di cosa è successo, noi abbiamo sicuramente la prova che: primo, Faggi è non solo amico ma strettamente connesso a queste persone, perché voi avrete anche la possibilità di vedere quegli oggetti che gli sono stati sequestrati, quelle agende in cui è chiaro che nelle agende si parla di sue amicizie omosessuali, di un Faggi che dice: ‘come era bello quel muratore che ho conosciuto oggi, che ho conosciuto l’altro giorno’. Le agende sono tutte lì, ci sono le date. Quelle agende da cui risulta che il Faggi, non si sa perché, conosceva Travalle, tant’è che un certo giorno dell’80 o ’81 scrive: ‘bella girata a Travalle’. Cosa vuol dire? Assolutamente che… esclusivamente il fatto che Faggi conosceva Travalle. Abbiamo ancora la dimostrazione da quelle agende e da quel calendario e da quella cartolina, sequestrata nel processo Pacciani, che i due si conoscevano in quell’epoca. Ma al di là del fatto che Faggi conosceva il nostro Vanni e il nostro Pacciani e che è universalmente, oramai univocamente dimostrato in questo processo, abbiamo una completa convinzione che nell’omicidio dell’81 e che nell’omicidio dell’85 Faggi è sicuramente coinvolto. Questi sono elementi che ci permettono di stare tranquilli oggi. È coinvolto, non è un estraneo. Cosa ha fatto in questi omicidi? Ha indicato la coppia; li ha portati a casa dopo, nell’81, a lavarsi; nell’85 ha fatto da palo. Nell’85 era quello spettatore che era a vedere. Perché a Lotti gli è stato chiesto: ‘ma cosa ci faceva il Faggi lì?’, dice: ‘gli garbava guardare uccidere’. Abbiamo quindi una serie di indicazioni che ci pongono Faggi come persona sicuramente presente sotto questo aspetto della prova. Cosa ci faceva? Cosa ha fatto? Come materialmente o moralmente ha partecipato Faggi a questi due omicidi e alla associazione per delinquere contestatagli? Con tutta franchezza, io vi ho parlato all’inizio di una leggera velina. Noi potremmo dire che questa velina è talmente trasparente che si vede bene tutto. Ecco, io, onestamente, per correttezza professionale perché penso che il P.M. debba avere – come io credo di avere – quella obiettività che si deve riconoscere a chi ha fatto delle indagini, dobbiamo dire che questo dibattimento in punto di ricostruzione certa del perché della presenza di Faggi su questi due omicidi: era qualcuno che favoriva, che guardava, che stimolava, che determinava gli autori ancora nella loro azione criminosa. Era un qualcuno che appoggiava. Abbiamo solo quei discorsi de relato, di Lotti e di Pucci, sui quali discorsi abbiamo solo i riscontri che abbiamo, perché non abbiamo niente di più. E allora bisogna essere onesti. Noi abbiamo sì la prova della presenza, ci manca ima prova sicura, certa, su cosa questo Faggi facesse in occasione di questi omicidi, che cosa abbia realmente fatto. Abbiamo la convinzione – e il processo ce lo ha dimostrato – che c’era. Non credo che possiamo oggi, onestamente, dire: abbiamo la prova che abbia favorito gli altri, abbiamo la prova che fosse lì per aiutare, per fare da palo, era uno spettatore che godeva al solo scopo di soddisfare qualche sua perversione. Era uno che era lì. Onestamente credo che su questo elemento prove certe e sicure oggi non ne abbiamo. Presidente, cinque minuti, se mi consente, per terminare con le ultime emergenze. Grazie.
Presidente: Un quarto d’ora.

Presidente: Pubblico Ministero, allora può riprende.
P.M.: Sì. Grazie, Presidente.
Presidente: Per cortesia…
P.M.: Vorrei focalizzare un attimo la vostra attenzione ancora su un altro aspetto di queste imputazioni: quella relativa al reato di associazione per delinquere. Direi che è un reato che è contestato a tutti gli imputati. Ho già fatto le precisazioni che sapete, per quello che riguarda la posizione Faggi. Vorrei innanzitutto che voi aveste presente, quando vi troverete nella situazione di esaminare la sussistenza o meno di questo reato, che innanzitutto non si tratta di una contestazione o di emergenze superflue, perché è un profilo apparentemente superfluo. Nel momento in cui si può pensare ai reati di omicidio contestati a qualcuno, continuati, che importanza ha nell’economia di fatti simili esaminare la sussistenza o meno del reato di associazione per delinquere? È però una situazione che oggettivamente non è superflua. Perché questo dibattimento ha permesso di chiarire sul punto reato associativo degli elementi obiettivi che voi non potete trascurare. Non è una situazione che ci fa pensare a delitti isolati. Questo mi sembra che lo abbiamo appurato man mano, giorno dopo giorno. Non si tratta di delitti commessi occasionalmente e non si tratta di delitti motivati da pulsioni improvvise. Ecco, questo è chiarissimo. Vediamo allora se, stando così le cose, il dibattimento ha provato qualcosa di più. Sono inserite, queste condotte, in un contesto di semplice ripetizione, nel tempo occasionale, degli omicidi, di semplice continuazione di condotte, o c’è qualcosa di più? C’è la prova – e quindi è il 416 – che c’era, in capo a questi organizzatori e questi esecutori, di un programma stabile, portato avanti da persone legate stabilmente – è questo che ci consente di dire sussistente il reato o meno – con una organizzazione di persone e di mezzi? Tutto qua. Esiste fra queste persone – e intendo, a questo punto, gli imputati di questo processo, perché Pacciani, per quello che vale in questo momento, come tutti sappiamo… – esisteva o esìste, è esistito un vincolo associativo, continuato, solido e ininterrotto nel tempo, un programma criminoso al di fuori, al di sopra dei singoli delitti? Cioè, esisteva fra questi soggetti un’amicizia che era oltre la semplice amicizia per merende e un’amicizia che permetteva di dire che il vincolo per commettere i delitti era preesistente il delitto, molto forte, nella commissione e successivo, fino al delitto seguente? Esiste quindi l’organizzazione stabile? Ecco, che prove abbiamo avuto? Anche qua, operazione molto semplice: quella di valutare gli elementi obiettivi. Certo per fare i delitti i mezzi sono molto semplici, quindi dire che ci fossero mezzi per compierli, può essere anche mezzi che servono nell’ottica di una continuazione. Vediamo un attimo anche questo. Sicuramente avevano i mezzi, le auto. Va be’, questo ci vuole… ci può interessare fino a un certo punto. C’era però sempre la famosa calibro 22 Beretta. C’era un’arma appositamente custodita, nascosta. Quei racconti frammentari che abbiamo qua e là. Qualcuno che forse se l’è passata di mano, con quel meccanismo che sappiamo, quei ricatti. Ma comunque, quest’arma che legava questi soggetti, indipendentemente dalla necessità una mattina, o meglio una sera, da mettersi in spalle l’arma, coltelli, spolverini, o cose simili, per fare il delitto. No, quest’arma è un oggetto – misterioso quanto vogliamo – ma che ha legato indissolubilmente questi fatti per tanto tempo e che ha aggregato queste persone. E al di là dell’attrezzatura logistica – coltelli, spolverini, lampade – c’è comunque anche quella scorta di proiettili, chiunque l’abbia fatta, Toscano o non Toscano, carabiniere o non carabiniere. Un approvvigionamento è un qualcosa che è in piedi sempre, indipendentemente dalla azione di quel giorno. Ci sono in proposito, per studiare, per vedere meglio questa organizzazione – al di là dei mezzi, nelle persone – quelle dichiarazioni molto specifiche di Lotti, che io sintetizzerei ora sommariamente a voi. E sono queste. ‘Guardate, io sono andato a vedere la coppia della Panda nella piazzola di Vicchio più volte prima del delitto’. Addirittura c ‘ è andato con la Nicoletti, c’è andato col Vanni, c’è andato col Pucci. Tutte cose pacifiche, riscontrate da tutti e tre: Vanni, Pucci e Nicoletti. Quindi c’è uno studio dei luoghi e delle coppie. ‘Conoscevo il posto. Abbiamo studiato la posizione, la possibilità di avvistamento anche dall’alto. Ci sono andato qualche tempo prima. Ci siamo andati con Vanni. Abbiamo seguito la coppia in auto sino al bar della stazione. Vanni mi chiesi dì indicargli come si raggiungeva la piazzola. Vanni c’è tornato anche con Pacciani. Il pomeriggio della domenica 8 settembre, agli Scopeti noi siamo andati a vedere prima. Avevamo programmato per le 23. All’appuntamento c’era addirittura un’altra auto’. Tutta una situazione che fa pensare, sicuramente, a un piano organizzato costante. Un sodalizio pronto ad agire al momento opportuno, su iniziativa di qualcuno. Sicuramente con la diretta direzione di Pietro Pacciani e del Vanni. Mi sembra che anche questo è, ai fini della lettura obiettiva di questi fatti, un dato pacifico. Ma quindi un’organizzazione compatta, sempre pronta ad agire. Vedete come lo studio è addirittura uno degli scopi, delle attività costanti, fisse di questi signori. Nell’84 e nell’85 è molto chiaro. Un programma da eseguire nel momento opportuno. Ma per la sussistenza del reato associativo è richiesta la prova non solo del programma e dell’organizzazione, ma anche vedere di capire se c’era una organizzazione che prevedeva degli esecutori e dei complici, o meglio delle persone che avevano compiti specifici. Perché se il compito è specifico di volta in volta, ancora più provata è l’organizzazione. È proprio quello che è avvenuto in questi fatti, la prova che vi è stata fornita. Addirittura è chiaro, è emerso chiaramente, che i compiti ognuno li aveva individuati, sapeva cosa fare. Era quasi – non si può usare la parola “commando”, assolutamente – ma qualcosa di-organizzato, come può essere organizzata una cosa di questo genere. Chi spara sa dove deve sparare. Chi taglia sa dove deve tagliare. Nel momento della necessità un aiuto nel tagliare, un aiuto nel rincorrere il ragazzo francese. Una esecuzione quindi dei delitti, ognuno con compiti diversi. Addirittura prima e dopo: occultamenti o non occultamenti che ci siano stati; lettere o non lettere. Qualcuno che faceva da palo. Qualcuno che procurava i proiettili. Qualcuno che, come diversivo o no, o loro stessi, aveva il compito di spedire qualcosa dopo. Quindi una ripartizione dei compiti tipica di quelle organizzazioni criminali che fanno del delitto di omicidio uno degli scopi dell’esistenza stessa dell’organizzazione. Qui è molto chiaro, non ha importanza l’esecuzione materiale. Non ha importanza, per chi lavora, questa organizzazione, per quale scopo, qual è il movente. Non ha assolutamente nessun motivo, oggi, di chiedersi il perché della sussistenza. In questo momento, e al solo questo fine, dobbiamo riconoscere che il dibattimento ci ha dato ampi, elementi per capire che l’organizzazione, quanto meno fra l’81 e l’85 era stabile e ha compiuto azioni ripetute nel tempo, non come sodalizio di complici occasionali, ma come una organizzazione che prevedeva una direzione e una ripartizione di compiti precisi. Direi quindi che, per quanto riguarda gli imputati per i quali la prova è certa – come vi ho dimostrato, credo di avervi dimostrato, per Lotti e Vanni – la prova della partecipazione a un’organizzazione criminosa ex 416 è pacifica. Ovviamente per Faggi esistono tutte quelle altre perplessità che io cercavo di dirvi. Comunque sia inserito nell’organizzazione, ma cosa facesse e quale fosse il suo compito, onestamente, al di là di un favorire forse, di un essere presente in qualche momento, noi la prova non abbiamo nemmeno per questo reato. Passerei quindi all’esame dell’ultima posizione: quella dell’imputato Corsi Alberto. Sicuramente un’imputazione che riguarda fatti marginali, completamente diversi. Perché è imputato del reato di favoreggiamento, per avere favorito e aiutato Mario Vanni ad eludere le investigazioni delle Autorità tacendo quanto a sua conoscenza, in relazione a quella famosa lettera ricevuta da Pacciani… da Vanni, spedita da Pacciani. Questa è l’imputazione. Dietro questa imputazione, che è l’unico fatto obiettivo che si contesta al Corsi – quindi la portata della sua implicazione in questi fatti è limitata a questo episodio – il processo ha sicuramente fatto maturare in molti di noi, nel P.M. senz’altro, la convinzione che l’avvocato Corsi, o per amicizia o per professione, da Vanni abbia saputo qualcosa di più. Questa ovviamente non è la prova di un coinvolgimento in niente, del Corsi, in questi gravi fatti. È la convinzione che quel suo comportamento volto a favorire il Vanni, è perché Corsi, chissà come, certamente per parole dettegli da Vanni, certamente per avere letto qualche documento, qualcosa ha annusato, qualcosa ha capito, qualcosa ha saputo, qualcosa ha inteso. E sicuramente la sua condotta, quella che gli viene contestata, è nell’ambito di una conoscenza di fatti. E anche questo è una circostanza che deve essere molto chiara a voi, perché uno che sa qualcosa, se ostacola le indagini favorendo, è persona che commette un reato. Quindi dobbiamo prima essere sicuri che qualcosa sapesse, per potere essere sicuri che ha commesso un reato. Dobbiamo quindi avere la certezza di questo. Vediamo, sempre nello stesso metodo, elementi obiettivi per dire che l’avvocato Corsi qualcosa sapeva. Nel caso in cui questa prova il dibattimento ce l’avesse data, capite che il suo comportamento è sicuramente quello contestato. Vediamo. Vediamo cosa sapeva e cosa è provato che sapesse. Cerchiamo di capire perché ha taciuto. Il perché ha taciuto mi sembra che sia evidente da quello che ho detto finora, nel caso
in cui provassimo la circostanza a monte. I fatti: sicuramente il fatto è quella lettera a Vanni. E il fatto storico della lettera a Vanni è pacifico. Ne ha parlato lo stesso Vanni – ora vediamo in che termini – ne hanno parlato una serie di persone che sono tutte diverse fra loro, a diverso titolo implicate come conoscenza in questa storia, che ci danno la certezza che la lettera è arrivata. E non si capisce come, se tutti l’hanno vista, e diamo la prova che ne ha saputo qualcosa anche Corsi, perché il Corsi è l’unico che la nega. E quindi vediamo se la situazione obiettiva è quella che io vi ho descritto. La lettera è esistita e ha destato paura in Vanni. Perché è chiaro che da questa lettera emerge, dalle sue stesse dichiarazioni e dalle dichiarazioni dei terzi, che dopo quella lettera sono nate ansie e timori, paure in Vanni. Lo ha dimostrato chiaramente col suo comportamento. Cioè, non era una lettera che poteva passare inosservata. E quindi noi dobbiamo crederlo quando questi signori dicono, avevano bisogno della consulenza di qualcuno più importante, che fossero i Carabinieri, che fosse un avvocato. È una lettera che a Vanni ha destato sicuramente paura e ansia. Non è andato dai Carabinieri. Lo ha detto lui stesso. ‘Dopo che l’ho avuta volevo andare, ma non ci sono andato. Ho avuto paura delle conseguenze che poteva avere, che mi chiedessero qualcosa’. Sono state le sue parole, ora lo vediamo.
P.M.: Aveva una paura tale che il Nesi ce l’ha raccontata così, in estrema sintesi: ‘Un giorno, non so dire quando, Vanni mi disse: ‘portami dall’Angiolina Pacciani, ho ricevuto una lettera da Pietro’. Dissi: ‘vacci domani, quando fai il giro posta’. Ma volle andarci subito la sera, aveva una gran fretta. Ce lo portai, lo lasciai lì. Non so nemmeno come fece poi a tornare a San Casciano’. Anche questo è un mistero, però non serve ora pensare a un mistero. Serve capire la grande fretta, l’importanza che aveva per Vanni questa lettera. Ne sappiamo qualcosa di più? Sappiamo qualcosa di questo suo contenuto? Ce l’ha spiegato sia il Nesi, ma lo stesso Vanni. Il contenuto era questo: “Mi disse che la doveva portare subito all’Angiolina perché c’erano cose grosse, fatti brutti, cose di sangue”. È un po’ lo stesso discorso che Nesi ha riferito avere appreso da Vanni: “Con Pacciani si fa cose brutte, cose che non vanno bene”. Lo stesso identico discorso proviene da Nesi e, come vedremo, dallo stesso Vanni. Vanni ha sempre ammesso di aver ricevuto la lettera, prima che Pacciani fosse scarcerato. È scarcerato il 6 dicembre del ’91. Bisogna che siate così cortesi di porre attenzione sulle date, perché le date servono per capire se il Corsi ha detto o meno la verità, o se abbiamo tutto il motivo di non crederlo. Doveva essere scarcerato per via delle figlie. Nei vari interrogatori questo lo dice. E addirittura, è talmente puntuale che il suo tentativo di essere evasivo sul contenuto di questa lettera, dato che è una lettera che non riguarda sé Vanni, è fallito. Perché il racconto che fa invece è molto puntuale. Nell’interrogatorio del 19/02/96 dirà: “L’Angiolina rimase male quando gli lessi la lettera. Non pensava mai che lui, Pietro, facesse queste cose. Non portai la lettera ai Carabinieri perché non volevo che mi facessero domande”. Eh, mi sembrano risposte più che significative, sul quale fosse il probabile, possibile, ma direi a questo punto sicuro, contenuto di questa lettera, in termini di ansia per Vanni. Di questa lettera però non ne ha parlato solo a Nesi. Non ne ha parlato a lui stesso. Ne ha parlato un po’ a tutti il Vanni. Tant’è che ha lasciato tracce di questa sua paura in tutti i familiari. La Mazzei Laura, la cugina, vi ha riferito: “Venne a casa mia. Mi disse che Pacciani gli aveva scritto una lettera, minacciandolo di morte: ‘quando esco ti sistemo io’, gli aveva scritto. ‘Io ho paura perché è un uomo forte’, aveva detto alla cugina. E ancora il Ricci Walter. Il quale, stranamente, è quel cugino che pian piano dimostra di saperne tante. È il marito della Mazzei. Cosa vi racconta dettagliatamente sulla lettera? Dice: “Mi disse che aveva ricevuto una lettera da Pacciani, che era in carcere, quando era in carcere per la storia delle figlie, mi disse” – a me Ricci – “ora la prendo e vo dall’avvocato” -aveva detto Vanni a Ricci – ‘gliela fo vedere all’avvocato’. Non disse da quale avvocato. “Penso sia stato l’avvocato Corsi. Perché tutte le cose che aveva Vanni, andava dall’avvocato Corsi.” È una deduzione, è logica. È un parente, sa come si comporta il proprio parente. “Gli dissi” – io Ricci – “fammela vedere. ‘Non la fo vedere a nessuno, vo dall’avvocato, la fo vedere a lui'”. Questo è Vanni nei confronti del Ricci. Guardiamo quando. Perché cosa ci ha riferito Ricci sul punto? “Ho visto parlare insieme Vanni e l’avvocato Corsi nella piazza dell’orologio”. Ricordate il racconto di Lotti e il racconto di Vanni? Di quando è stata vista questa lettera e quando è stata… “Quando se ne è parlato con Corsi?” “Nella piazza dell’orologio. Li ho visti parlare due volte da soli quando a me mi disse di questa lettera. Cioè Ricci colloca nel tempo la lettera e il colloquio dell’avvocato Corsi, in piazza dell’orologio, con Vanni come coeve, nello stesso momento. “Era due giorni dopo. Mi sembra fosse il giorno dopo. Era pomeriggio, non ricordo se c’era Lotti.” Cioè, il Ricci ci colloca la lettera esattamente nello stesso momento in cui la collocano Vanni, nel racconto in cui la colloca Lotti, in cui la collocano i parenti. Quindi il periodo è semplice. Ricci: “Si tratta di una lettera, forse due, ma io non ricordo bene se una sia pervenuta prima…” “Io ne ricordo bene una” – chiedo scusa –“pervenuta prima della scarcerazione di Pacciani, del dicembre ’91.” La stessa cosa che dice Vanni. Cioè, siamo nel momento in cui Pacciani doveva essere scarcerato, nel momento in cui Vanni è al massimo della tensione. Poi arriverà quella telefonata, per cui prima di Natale – ci dirà – del ’91 andrà a cercare la pistola. Cioè, siamo esattamente in quella fase. Nella fase in cui Vanni colloca la lettera nell’imminenza della scarcerazione di Pacciani, che lo minacciava. È chiaro, perché il Pacciani in quel periodo, se voi riguardate gli atti, era indagato da un po’ e perquisito, ma in quel ’91. Ma ancora Ricci, come mai è così puntuale? Perché è Ricci che di più non dice perché questa è la realtà del paese di San Casciano, ma colloca l’incontro con Corsi nello stesso esatto periodo di tempo dell’arrivo della lettera. Capite che, nel momento in cui si dice: il giorno dopo, o il pomeriggio, o due giorni dopo, è chiaro che Ricci ne sa di più, e più non vuole, o può dire. Comunque è un periodo che è quello lì, signori. Non possiamo assolutamente pensare che sia in periodo diverso, perché è quello il periodo in cui Pacciani scalpitava e Vanni aveva paura. Ce l’hanno detto questi protagonisti. La Bartalesi Francesca vi ha detto anche lei qualcosa: “Un giorno mio zio mi disse: ‘sai, quello lì di Mercatale sta per uscire'” – sta per uscire quello lì di Mercatale – “‘e mi ha mandato una lettera e io ho paura'”. Questa è la Bartalesi Francesca, che è la sorella di Alessandra, nipote, la quale spontaneamente fa questo discorso. Anche lei sa della lettera. Guardate quanti familiari. La Alessandra Bartalesi, questa ragazza che volendo o non volendo, questo non abbiamo capito, dà degli spunti di oggettività molto forti, sul punto lettera, cos’è che dice? Rileggiamolo insieme, rileggete voi i verbali: “Un giorno in piazza sentii mio zio Vanni e Lotti che parlavano dell’avvocato Corsi. Io ero andata a prendere la macchina. Quando arrivai ebbi l’impressione che abbassassero il tono della voce”. Cioè, la Bartalesi, per qualche motivo che noi non sappiamo, colloca anche lei questo atteggiamento, quasi “carbonaro”, non si capisce perché, fra Vanni e Corsi. Ma guardate che strano. Ne sa qualcosa anche la Bartalesi e con quella sua ottica di scrittrice di libri, ve la racconta così. Stessa raqazza, la quale ha tutto il suo interesse a dire quello che crede, come nipote del Vanni. Però mi sembra che, quando tutti questi familiari dicono dell’esistenza della lettera, ci parlano del contenuto e la collocano nel tempo, cominciano a essere un po’ tanti gli elementi che sono a prova e del contenuto e del momento storico in cui la lettera è arrivata. Ci aggiunge la Bartalesi, a domanda di un difensore – e la quale Bartalesi non l’aveva mai detto – un altro argomento molto significativo. Dice: “Mi sembra che una volta mia zia Luisa” – moglie di Vanni – “mi disse che l’avvocato Corsi era stato a casa loro a pranzo o a cena. Fu prima che arrestassero Mario.” Anche qui, guardate buffo. Siamo in una situazione in cui la Bartalesi ci dimostra – credibile o non credibile, vero o non vero, tutto da valutare -una situazione in cui l’avvocato Corsi, il quale ci ha raccontato che andava a San Casciano una volta ogni tanto per motivi di lavoro, qualche volta andava al bar, la Bartalesi ce lo colloca addirittura a casa di Mario, a pranzo o a cena, invitato dalla Luisa. Eh, la Luisa nessuna l’ha portata qui per chiede… nonostante grandi impegni, ‘sarà portata, glielo chiederemo’, anche il difensore di Corsi mi sembra che abbia lasciato perdere. Questo che era uno dei motivi per i quali, quando sentì questa dichiarazione della Bartalesi: ‘lo chiederemo alla Luisa e lo verificheremo’. Lettera morta. Nessuno ha fatto questa verifica. Si vede che nessuno ne aveva interessa. Non spetta a me verificare. Io ho il dato, in questo processo, di una Bartalesi che non vedo perché non la devo credere. Quindi, attenzione. C’è questo rapporto Vanni-Corsi, che questi parenti Ricci e Bartalesi ce lo dipingono come un rapporto stretto. Eh, non è il rapporto che ci ha voluto dipingere Corsi: ‘era un rapporto sì e no, signor avvocato ‘. Era un signor avvocato che si portava a casa del cliente a mangiare. Quindi che fosse un amico, oltre che un rapporto cliente-difensore è un elemento fortemente acquisito al dibattimento. Quindi, nessun dubbio sulla sussistenza della lettera col contenuto che sappiamo. Nessun dubbio sulla esistenza del periodo. Vogliamo levarci ancora un attimo di curiosità, per ricordare cosa diceva Lotti su questa lettera? Lo ricordate bene? Ricordatevelo. Perché Lotti dice due cose: Guardate che di questa lettera, in piazza, ne parlarono Vanni e Corsi, c’ero anch’io. Voglio dire che Vanni mi ha spiegato poi che Pacciani voleva che Vanni facesse un omicidio per farlo uscire e che lo minacciava che altrimenti prima o poi l’avrebbe ammazzato. Guardate questa minaccia quale riscontro ha nelle dichiarazioni di tutti gli altri. Compreso nel fatto che lui voleva comprarsi una pistola. “Vanni era preoccupato soprattutto di questa minaccia e voglio dire che, per questa paura di essere ammazzato” – dice Lotti – “è andato più di una volta dall’avvocato Corsi. Per la verità ho visto che si incontravano spesso in piazza, a San Casciano, sotto l’orologio”. Convergenze. Questo orologio, Corsi e Vanni sotto l’orologio li hanno visti in troppi per dire che Lotti non dice la verità. “Io ero distante e li ho visti parlare insieme”. Ma non è lo stesso racconto che fa la Bartalesi?
‘Io ero distante e loro due parlavano, confabulavano. Io Bartalesi ho capito che non volevano che sentissi cosa dicevano’. Che strano questo rapporto che ci è stato dipinto dal Corsi come due che si salutavano. Andavano a pranzo insieme, però si salutavano sotto 1’orologio. “Ero distante e dopo questi colloqui Vanni mi riferiva che Corsi gli diceva sempre di stare calmo, che non gli sarebbe successo nulla. Vanni però mostrava di non essere per niente tranquillo, nonostante le rassicurazioni del Corsi. Voglio aggiungere ancora che un giorno, mentre Corsi e Vanni erano in piazza a San Casciano a parlare tra loro, Corsi chiamò me” – Lotti – “e disse davanti a me che non c’era da preoccuparsi delle minacce di Pacciani dal carcere. Vanni e Corsi erano, per quel che ho capito, intimi amici e Vanni aveva fiducia di lui”. Quindi, allora, noi abbiamo una situazione in cui: la lettera esiste, il contenuto lo conosciamo, il Lotti dice una certa cosa, tutti riscontrano ciò che dice Lotti, Vanni, sulla esistenza, sul contenuto e sul momento storico in cui questa lettera è stata fatta vedere, o forse il contenuto è stato letto. Su questo l’importanza è relativa. Ma che non ci sia dubbi sul fatto dell’esistenza e che in una situazione simile il Corsi sia stato invitato a dare un consiglio su questi fatti, oramai mi sembra che, in virtù o di una amicizia o del fatto che era l’unico avvocato noto a San Casciano, è un fatto inequivocabile. È il consiglio che si chiede a persona competente. Io Vanni, che non voglio andare dai Carabinieri, perché ho paura che qualcuno mi chieda qualcosa a me, che abbia paura di essere coinvolto. Guardate come toma tutto. Ma non perché lo vogliamo far tornare, è perché il dibattimento ci ha consentito di valutare questi fatti. Quindi, persona competente che viene invitata a dare un consiglio. Persona che sicuramente – e questa è la verità per cui il Corsi poi ha negato la circostanza – è stata resa edotta di fatti che è bene non sapere, oppure che si possono sapere come difensore nominato e che può ammantarsi, nascondersi dietro il segreto. Non essendo nominato il Corsi si è visto chiamato dentro come amico e quindi non ha fatto altro che prendere le distanze. Non si è sentito legato come difensore. Tant’è che non era difensore e non ha potuto, né voluto, né ritenuto opportuno nascondersi dietro questo angolo visuale. Ma le ammissioni di Vanni, sul punto lettera, sono sì inutilizzabile nei confronti dell’avvocato Corsi. Però sono ammissioni fortissime – e voi le conoscete – circa l’esistenza di questa lettera e del fatto che Lotti ha ragione quando dice che Corsi disse che la lettera andava distrutta. Ma il riscontro forte che avete nei confronti di Corsi sono le dichiarazioni di Lotti, poi riscontrati indirettamente dalle ammissioni di Vanni. Come si difende, in una situazione del genere, l’avvocato Corsi? Direi che il modo in cui lui vi ha spiegato il suo coinvolgimento è la prova indiretta e certa che le cose stanno come io vi ho descritto finora. Perché l’unica cosa che è stato capace di portare alla vostra attenzione è: ‘si, è vero, me ne ha parlato. Ma mi ha parlato di cose ben diverse, non certo di quello che si dice era scritto nella lettera, nell’estate del ’90’. Ecco qua la prova che il Corsi ha tirato fuori: un argomento inopponibile a voi. Perché cosa vi ha detto? E con dovizia di particolari e con dovizia di prove? ‘Guardate, mi ha parlato di qualcosa’ – e ci ha detto anche cosa – ‘nell’estate del ’90. Era fra…’ – ha fatto tutta una lunga dimostrazione probatoria di cui gli diamo atto – ‘fra il 10 e il 20 luglio del ’90, ci fu una certa festa’ – ha portato le fotografie – ‘e io ricordo che evidentemente era il 19 luglio ’90, perché in quella festa non venne perché era stato portato in Questura’. Verissimo. C’è la prova, voi avete tutti i verbali di Vanni: 19 luglio ’90 Vanni viene portato in Questura a Firenze e viene sentito insieme a Lotti – se guardate è la stessa data – a entrambi gli viene chiesto se conoscono Pacciani. Allora, il punto fondamentale da cui emerge chiaramente che Corsi sbaglia, o comunque mente dicendo che era quella volta lì, perché vi dice in più, Corsi: ‘in quella occasione che venne, mi diceva: un’altra volta, avvocato, mi hanno di nuovo perquisito; mi hanno di nuovo sentito, mi dicono mi perseguitano ‘. Signori, il 19 luglio ’90 era la prima, unica volta all’epoca nel ’90, che Vanni veniva sentito. Se voi prendete e leggete il verbale, vedrete che non si parla di lettere, non si parla di nulla. Non si sono mai fatte perquisizione. E la prima unica volta viene sentito mezzora. E nessuno ha, a quel punto, fatto perquisizioni o lo ha sentito. Non è possibile che quella sia l’occasione che riferisce il Corsi in cui Vanni si lamentava di questa lunghissima attività di attenzione della Polizia nei suoi confronti. Perché questa attività di attenzione nei confronti del Vanni, che sicuramente ha indotto Vanni a lamentarsi, è esattamente dell’anno successivo.
P.M.: È proprio di quell’autunno-dicembre del ’91, nel quale abbiamo cercato di dimostrare che sono avvenute tutte le cose. È quell’anno in cui, quell’anno di cui parla esattamente Ricci, Bartalesi e lo stesso Vanni. Cioè, tutti i fatti che poi il Corsi, per mania difensiva, impeto difensivo, anticipa al 1990, sono in realtà proprio del dicembre, ottobre-dicembre ’91. Dove avvengono, sì, perquisizioni a Vanni; dove avvengono, sì, interrogatori a Vanni, interrogatori a Pacciani, perquisizioni a Pacciani. È il periodo caldo in cui giustamente Vanni, come ha sempre detto, aveva una gran paura, aveva paura di Pacciani. Quindi, non è vero che fosse il 19 luglio ’90, quel discorso. Il discorso che ricorda bene, come contenuto, l’avvocato Corsi, è esattamente l’anno successivo, in dicembre. Quando veramente Vanni aveva ricevuto una, due perquisizioni. Aveva -vedete voi gli atti – aveva ricevuto più interrogatori, era una persona che era sotto 1’attenzione. Però, attenzione, non era inquisito, era solo un teste. Quindi è giusto che nel ’91 si lamentasse; è giusto che il Corsi ricordi queste sue paure, le paure di Vanni. Però non sono sicuramente nel luglio ’90, quando ci vuol far credere lui. Quindi, luglio ’90 è un espediente difensivo che vale quel che vale, perché voi leggete il verbale del 19 luglio ’90. Di queste cose non si parla e non può aver parlato Vanni a Corsi in quel giorno, o in quel periodo immediatamente successivo, perché in quel periodo, né perquisizioni aveva avuto, né interrogatori, né nessuna persecuzione. Sono esattamente l’anno dopo. Quindi è chiaro che il coinvolgimento conoscitivo, perché non c’è niente di più, di Corsi con questi fatti, da parte di Vanni, è successivo. E che sia avvenuto in piazza, che sia avvenuto sotto l’orologio, è un fatto talmente pacifico che è sotto ai vostri occhi, valutabile sulla base di elementi certi che vi consentono di dire che, quando è stato interrogato, sicuramente, perché a conoscenza di qualche… non so se segreto, di qualche elemento sul quale era bene che il Corsi non rimanesse coinvolto, non voleva far pensare di essere a conoscenza, ha pensato bene di dire: ‘no, non lo sapevo. Io non ne so niente’. Ma, vedete, c’è ancora un elemento in più. Perché quando vi dice il Corsi subito dopo andò a nominare il difensore, nominò un altro. Ma insomma, le nomine dell’avvocato Pepi, in questo processo per Vanni, sono esattamente del 13 febbraio ‘96. Quindi è impossibile che, nel periodo precedente, qualche consiglio non lo abbia accettato dall’amico. Però è anche un argomento, questo, da valutare molto bene. Ma pensate Vanni che riceve una lettera di quel genere, la prima cosa che fa, ma che va dall’avvocato estraneo? La prima cosa, cerca l’amico. Cerca la persona, come dice il Ricci, che poteva dargli un consiglio, come dice il Lotti. Non potendo andare dai Carabinieri, non si va dal difensore tecnico, si va da quello che, sia difensore che amico, al quale si può confidare un segreto e dal quale si può accettare anche il consiglio – come dice il Lotti – gli consigliò di strappare la lettera. Tutto qua. Quindi, Corsi, secondo me, sul discorso delle date ha compiuto un’operazione di difficile credibilità oggi nei vostri confronti. Tutti gli elementi sono nell’altra direzione. Tutti questi fatti sono avvenuti l’anno successivo, proprio quando Pacciani era sotto gli occhi degli investigatori, aveva il riflettore puntato sui suoi occhi, era chiaro che scriveva lettere e nessuna lettera risulta spedita nel ’90 come ci vorrebbe far credere l’imputato Corsi. Direi quindi che il reato di favoreggiamento è stato non solo compiuto, è stato sicuramente provato in questo processo. Ci fa giustamente, a mio avviso, pensare che Corsi, avvocato; Corsi amico di Vanni, Corsi che qualche volta andava al bar; che quello Zanieri ci ha anche detto che era presente il Corsi sicuramente nel bar quando quella notte Lotti parlò del fatto che si erano fermati a Scopeti, il Corsi qualche notizia in più da Vanni l’ha avuta. E quindi il suo comportamento nei confronti degli inquirenti che lo interrogavano sul punto, è il tipico comportamento di colui che vuole favorire Vanni per restarne fuori. Non ha scelto la strada di essere suo difensore, perché onestamente ci ha detto che non era suo compito. Ma è persona che, indipendentemente dal ruolo di difensore, come amico, è venuto a conoscenza di fatti sui quali è stato interrogato e sui quali ha taciuto. E quindi, con questa condotta, ha sicuramente commesso il reato a lui contestato. Signori, due parole ancora, dopo avere esaminato tutte le posizioni, sul movente di questi delitti. Mi sembra che siano due parole doverose. Due considerazioni che io faccio a voce alta sulla base di quello che è emerso. Perché tutti sappiamo che non c’è omicidio senza movente; e più il movente è semplice, più è semplice la soluzione del caso di omicidio; più è complesso, più ci sono, se ci sono, più di una ragione. E’ chiaro che anche la oggettiva dinamica dell’omicidio, ne soffre. E quindi il fatto che si tratti, in questo caso, di omicidi così complessi, di una organizzazione così complessa, ci deve mettere in un’ottica di dire: guardate, cerchiamo di capire qual è il movente, ma non pensiamo oggi come Corte di Assise e come inquirenti di avere le idee chiare al cento per cento. Dobbiamo però avere oggi, davanti agli occhi, presenti quali che sono, come sempre ho fatto in questi tre giorni – almeno credo, almeno spero e questo era il mio scopo – valutare solo gli elementi obiettivi. Lo farei anche, e lo voglio fare sul movente. Perché più si riesce a verificare la sussistenza di un movente particolare, più si ha la verifica o meno della compatibilità, o meglio, della sicurezza dell’accusa mossa a alcune persone come in questo caso. E allora vediamo gli elementi obiettivi per capire il movente. Vediamo se qualcuno ci ha detto qualcosa e se sul discorso movente, molto importante, verifica finale di tutta questa costruzione dell’accusa, costruzione che ormai non è più un castello, ma è basata sui pilastri che voi avete potuto valutare in questi mesi, vediamo se gli elementi obiettivi a favore del movente, ci consentono di dire qualcosa di certo e non di fare illazioni. Vediamo su questo. Dice la difesa Vanni più volte: sarebbe l’ora che il P.M. decidesse qual è il movente. Signori, io sono rimasto veramente sconcertato da una affermazione di questo tipo. In un processo di questo genere, come se fosse il P.M. che deve decidere qual è il movente. È l’ultima cosa che il P.M. ha interesse a fare, o ha voglia di fare. O ci sono elementi obiettivi per capire qual è, oppure dobbiamo fare una operazione sui fatti. Non può essere il P.M. che prima decide e poi cambia, come vi è stato cercato di pensare che era il P.M. che aveva cambiato idea. Assolutamente no. Sempre esclusivamente i fatti. E continuiamo. Quali sono? Pacifico. Di serial-killer, oramai è inutile parlare. Ma non perché qualcuno ha cambiato idea. Perché coloro che avevano un tempo parlato di serial-killer, davanti a voi hanno spiegato come sono andate le cose. E per onestà intellettuale di quei signori, cioè i componenti l’equipe del professor De Fazio dell’università di Modena, io devo riconoscere oggi che sono stati quanto meno intellettualmente coerenti e hanno detto le cose come stanno. Bisogna riconoscergli una onestà intellettuale non da poco, in una vicenda di questo genere. Ovviamente le indagini erano già andate in una direzione molto chiara; che uomini normali erano e non serial-killer, ma la scienza che aveva dato quella indicazione prima è stata una scienza che ha dimostrato il perché l’aveva data, a quale fine e sulla base di quali presupposti. Quindi, la teoria che era stata ipotizzata in questo caso dello psicotico organizzato, unico, di cui ho parlato all’inizio; colui che studia le vittime da solo, studia i luoghi, è perfetto, non lascia nessuna traccia, è un superuomo, non è superata perché loro hanno cambiato idea, ma perché gli elementi obiettivi sono aumentati per consentire di dire come stanno le cose. Eh, il professor Beduschi e il professor Luberto, nella loro deposizione, mi sembra che abbiano fatto la chiarezza doverosa che ci si aspettava dai rappresentanti della scienza, sul plinto. Ma non perché era una pretesa, è perché hanno dato una spiegazione logica di come stavano le cose. E direi che ci hanno spiegato come l’idea del serial-killer o della… Loro non avevano mai parlato, usato questo termine né di psicotico organizzato, o di psicopatico disorganizzato. Loro avevano unicamente elaborato una serie di ipotesi sulla base di un presupposto. E questo ce lo hanno spiegato: il presupposto – ma era solo un presupposto – che l’autore materiale di questi fatti fosse unico. Se l’autore materiale di questi fatti fosse unico, la scienza poteva dare questo contributo. Che è quella relazione oramai datata 13 anni fa. Anzi, 14: 1984-1985 che ci hanno spiegato, ha – come tutte le cose umane – una data. E quindi, come data, è vittima di quelle che erano le circostanze di conoscenza di allora. Cosa vi hanno detto apertamente, onestamente, penso anche da veri scienziati, il professor Beduschi e il professor Luberto, che ci hanno spiegato erano quelli che avevamo a fondo studiato queste cose? ‘Guardate…’ – ricordate l’intervento Beduschi? -Dice: “Ci siamo sempre accorti anche all’epoca che la ricostruzione della dinamica materiale, soprattutto nell’omicidio dell’85, era una ricostruzione che stava troppo stretta, che avevamo noi necessità di farla, ma quando abbiamo descritto tutto quello che avveniva intorno alla tenda” – io ve l’ho riletto pochi giorni fa –“noi” – Luberto-Beduschi – “ci siamo resi conto che era stretta. Avevamo forzato le carte. Ma perché? Perché noi partivamo da un presupposto non dimostrato che fosse un autore unico. E quindi, per dire che era unico,
ci trovavamo in difficoltà, perché avevamo due coltelli, avevamo qualcuno che sparava…”
 E infatti la dimostrazione è la lettura che quell’autore unico, o aveva dieci mani, o aveva dieci gambe. E tant’è, oggi loro riconoscono come la lettura di quegli atti di allora era una lettura che li aveva costretti a delle forzature. Ma delle forzature fatte con uno scopo ben preciso, non certo per accertare una verità processuale, ma quella di dare indicazioni agli investigatori. Questa è la realtà. Lo hanno detto, spiegandolo con parole chiarissime fino all’inverosimile: non era una teoria che serviva a giustificare come erano veramente andate le cose; era una indicazione nei confronti degli investigatori che non avevano nemmeno quella indicazione. Questo era lo scopo. Fu sbagliato a dare quell’incarico. Forse, non ha importanza. Ma, quando siamo in condizioni simili, è giusto che l’investigatore o l’inquirente, non tralasci nessuna ipotesi, compresa quella di farsi aiutare dalla scienza. Se poi la scienza, man mano che ha conoscenze maggiori, ti spiega come sono veramente andate le cose e ti spiega che, a quell’epoca, non avevano gli elementi per dire di più, quando la scienza ha l’onestà di dire: ‘guardate, noi eravamo carenti di informazioni e facevamo solo delle ipotesi a fine di contribuire a indirizzare indagini…’, guardate come siamo a monte: “Al fine di contribuire ad indirizzare indagini.” Come si può oggi pensare: i periti di Modena avevano detto che era uno solo? No, avevano detto, in un’ottica di questo tipo, che partiva da questo presupposto non dimostrato, ai fini di indirizzare i piani investigativi. Niente di più. Non si può oggi dire: quella era una perizia che aveva dimostrato che era uno solo. No, aveva fatto del tipo di valutazioni sulla base di elementi molto parziali. Nel momento in cui gli elementi sono più forti, cioè elementi circostanziali che noi abbiamo portato, anche l’equipe del professor De Fazio ha spiegato come stanno le cose che vanno integrate e riviste. E quindi: ‘noi’ – ci hanno detto – ‘eravamo partiti da presupposti di conoscenze sulla dinamica materiale talmente inconsistenti e talmente minime che non potevamo dare che una indicazione che è quella che abbiamo dato’. Ma se è emerso che si tratta e si è trattato di una dinamica materiale molto complessa, pacifico che non si trattava assolutamente che non di una impostazione della scienza, del fatto autore unico, non sorretta da alcun elemento. E quando gli elementi sono venuti, anche la scienza ha riconosciuto l’ambito di quel lavoro, dobbiamo vedere allora cosa abbiamo nel momento in cui diciamo sono più autori.

Quali elementi di fatto abbiamo per verificare se questa spiegazione che abbiamo oggi è una spiegazione che ci consente ima verifica sul movente di queste dinamiche. Sicuramente questo, al di là del serial-killer o meno, è un elemento forte, obiettivo, che l’indole di chi ha commesso questi delitti è un indole sicuramente perversa. Cioè, è pacifico che la commissione di questi reati, nel modo in cui sono stati commessi, al di là del perché o a quale specifico fine, sono delitti che hanno a monte degli esecutori con una indole particolarmente anomala. Direi, il processo ha dimostrato la perversità delle condotte degli autori, sia dai racconti che ci sono stati fatti, sia dall’esame degli elementi oggettivi. Si mettevano in mano o in testa a un serial-killer; ora abbiamo la chiarezza che si tratta di perversioni di più persone. Si ricava, questa perversione, dalla dinamica dei delitti, dalla presenza di un qualche motivo che ha a che fare con una sfera sessuale sicuramente anomala e deviata. Si capisce dall’oggetto di questi delitti. Quindi è sicuramente una personalità perversa di chi li ha commessi. Io non sto ora a rielencarvi quali sono le perversioni tipiche degli imputati Lotti, Vanni, Faggi, nei limiti di quella che è la prova della sua responsabilità. Credo di avervi detto parecchie cose sul punto. E vedete come queste perversioni, nei limiti che noi conosciamo, sono perversioni che hanno sicuramente una patente di corrispondenza con la dinamica materiale. E però è una sessualità perversa e deviata da sola sufficiente a spiegarci i delitti? Noi vorremmo, ovviamente, una spiegazione più dettagliata. Avremmo, saremmo ancora più tranquilli, anche perché non è detto che sempre un soggetto perverso debba per forza tenere simili condotte. Sennò, con tutte le perversioni che conosciamo essere presenti nel genere umano, chissà guanti delitti dovrebbero esserci. E allora vediamo se, al di là della perversione sicura, quantomeno di Faggi, nei limiti che sappiamo; di Lotti e Vanni con tutte le consistenze probatorie che abbiamo, se abbiamo qualche elemento ancora di verifica che ci possa consentire di dire: beh, il movente è in qualche modo chiarito, è in qualche modo un movente che ci consente di dire, questi signori si sono mossi in un ambito personale soggettivo molto particolare. Ma è l’operazione che abbiamo fatto tutti. Siamo partiti da Lotti, gli abbiamo chiesto: ma scusa, ma come mai ci andavi? Come mai facevate queste cose? E Lotti, sia pure nell’ottica di dire: ‘erano loro che mi portavano, erano loro che mi hanno costretto” due volte ha detto sempre la stessa cosa – ‘perché mi garbava, perché ci garbava, perché a quello di Calenzano gli garbava vedere uccidere’. Cioè, il concetto, la riprova che di perversione si trattava a monte in queste condotte, è proprio in queste parole. Ma c’è qualcosa di più. E’ una perversione, è una condotta che il processo ha provato derivare da un impulso di questi autori ; una soddisfazione di un impulso per assistere, per essere presenti, per compiere un evento eccezionale, o c’è qualcosa di più? Cioè: ‘Lotti, ma ne sai qualcosa di più? Ma sì, ho capito, vi piaceva. Ma perché lo facevate? E Lotti, con una naturalezza che ha lasciato gli inquirenti sconcertati – se lo ricorderà il dottor Giuttari che, dal primo momento, mi parlava di queste cose e era talmente sconcertato perché diceva: ‘ma come può essere?’, quindi nessuna prevenzione. Lotti, fin dal primo momento, a questa domanda, ha sempre detto: ‘eh, perché Vanni e Pacciani mi dicevano che si andava a fare un lavoretto ‘. Cioè, è un termine, “lavoretto”, che nel suo lessico la dice lunga, ma è molto chiaro. Cioè, tutte le volte in cui gli si è chiesto come mai andassero a fare questi omicidi, Lotti ha sempre dato la stessa risposta: ‘io che ne so, a me mi garbava, a quello gli garbava. Io ci sono andato, mi hanno costretto. Però questi mi dicevano che andavano a fare un lavoretto’. E su questo Lotti si ferma, eh. Dice il lavoretto, dice poche altre cose – e lo sappiamo – però non è che il Lotti/ come sempre inventi. Dice: ‘io so questo. A me mi dicevano questo e questo riferisco a voi. Siate voi a controllare, a verificare. Mi dicevano che qualcuno pagava per fare questi omicidi. Oltre le perversioni, qualcuno pagava’. Lotti, per carità! Cosa ci vieni a dire? Non aprire scenari di cui noi non sappiamo nemmeno come fare a districarci. Però l’inquirente, l’investigatore, i loro riscontri… Ma se è un lavoretto, se pagavano, andiamo a vedere. Quel riscontro forte, oggettivo – Pacciani è morto, non ci potrà dire nulla di più – però, signori, il riscontro oggettivo è lì, è nelle carte. Avete quegli elementi obiettivi sulla sussistenza di un patrimonio mobiliare e immobiliare di Pacciani sconvolgente. Se non c’è una dimostrazione più ovvia e più chiara e lampante, che Lotti dica su questo la verità, io non so cos’altro offrire ad una Corte di Assise. Ma comunque non compete a me. Io, il mio lavoro e qli investigatori, lo abbiamo fatto. La valutazione io la posso dare da inquirente; quella da giudice, la dovete dare voi. E qual è questa verifica incontrovertibile del fatto che forse, probabilmente, possibilmente, usate tutti gli avverbi che volete, ma noi a questo elemento obiettivo ci dobbiamo, con questo elemento ci dobbiamo, come si dice, oggi, confrontare. j Noi siamo stati increduli nel vedere j questo patrimonio, perché era un patrimonio che era nel forno, va be’, ma quelle sono valutazioni che lasciano il tempo che trovano. Qui, guardiamolo questo patrimonio. Eh, Lotti dice: qualcuno pagava per acquistare i feticci e qualcuno aveva del denaro. Mah, è vero? Non lo sappiamo. Noi abbiamo solo la sicurezza che un patrimonio anomalo Pacciani lo aveva. È un riscontro incontestabile, perché è un patrimonio mobiliare veramente consistente. Negli anni dei delitti, proprio quegli anni che ci interessano: ’80, ’78, ’79, ’85, abbiamo una consistenza di 150 milioni in titoli postali nascosti nel forno. Abbiamo un patrimonio immobiliare ancora più consistente: due appartamenti restaurati, entrambi; le autovetture. Tutto acquistato in quegli anni lì. Abbiamo un patrimonio sicuramente incompatibile con la attività professionale e personale di Pacciani. E guardate che è un valore non certo modesto, perché 150 milioni, o 100 milioni degli anni ’80 sono una cifra, due appartamenti, ridotti male o ridotti bene sono veramente notevoli. Per un personaggio che è stato 20 anni in carcere, fra le figlie e la precedente detenzione. Cioè, gli anni in cui questo signore aveva la cosiddetta capacità lavorativa massima, di fatto, lavorava poco. E quindi è un dato oggettivo sul quale noi ci confrontiamo solo come dato oggettivo di riscontro a quel discorso sicuramente incompleto. Perché Lotti, come sempre, dice: ‘io questo so; di più non so’. Ma sicuramente oggi oggettivo. Quindi è vero ciò che dice Lotti sul punto. È vero che noi dobbiamo crederlo quando ci fa questo discorso, perché gli dovevamo quel debito di credibilità che vi ho cercato di portare tutti i giorni in quest’aula. E un debito di credibilità su un elemento oggettivo che deriva da quegli accertamenti di Polizia Giudiziaria relativi al patrimonio di Pacciani, sul quale Pacciani ovviamente non ha mai detto niente. Non è stato interrogato, non era la sede ancora. La giustizia degli uomini si è fatta da parte, su questi fatti, involontariamente. Qualcuno pagava davvero? Questa è la domanda che noi ci possiamo fare. E noi dobbiamo solo pensare che Lotti ci ha detto quello che sapeva, come sempre. Quindi c’è, oltre la perversione degli esecutori materiali, qualcosa in più? Una ipotesi, solo una ipotesi. Noi dobbiamo rimanere agli elementi di fatto. Ci fermiamo qui, è giusto fermarci, perché noi, è un processo ad autori materiali. Questo processo ha provato la responsabilità precisa e individuale degli autori materiali dì questi fatti. Che poi ci fosse un qualcosa al di fuori, è una cosa che non è stata scandagliata e non era il compito di questa Corte di assise fare. Se sarà da fare, nessuno lo sa. Noi rimaniamo agli elementi obiettivi di credibilità di Lotti. E quindi, al termine di questo processo, io vi ricordo alcune circostanze: tutte le prove che avevamo chiesto di esperire in questo processo, tutti i fatti che ci eravamo proposti di chiarire, sono stati dimostrati, puntualmente. Così come sono state esperite con esito positivo tutte le prove ulteriori, sia di prova generica che di prova specifica. Non c’è stata nessuna defezione, nessuna ritrattazione di confessioni, di testimonianze. E non c’è stata nessuna controprova, nessun alibi di ferro portato da chicchessia. Qualcuno vi doveva dire, tipo il marchese Corsini, che Lotti vedeva i marziani. Questa era la prova. Quel signore della ambulanza vi doveva dire che lui aveva visto il cadavere del Mainardi in una certa posizione. E l’abbiamo visto com’è andata quella prova lì. Quel signor Calonaci che ha visto il poliziotto… Queste sono state le controprove offerte in questo processo; il resto è valutazione soltanto degli elementi di prova fortemente robusti, forti, chiariti con tutte le circostanze che ora ho cercato di elencare, comprese quelle ulteriori testimonianze venute fuori nel dibattimento. Ora dobbiamo e dovete solo valutare obiettivamente i fatti in un processo in cui vi dicevo e vi ho spiegato all’inizio, ci siamo trovati di fronte ad una prova diretta, sicura, certa, riscontrata nel quale le prove che già c’erano, come fonti nel corso dell’istruttoria, sono diventate oramai schiaccianti contro gli imputati. Allora concludevo nella requisitoria del processo Pacciani, con una indicazione di sensazioni che mi era sembrato quel dibattimento aveva portato. Vi dicevo che, per quello che era Pacciani in quel dibattimento, era emerso – perché all’epoca, come imputato, e voi sapete perché si conosceva Pacciani – era emerso, in
quel dibattimento a mio avviso, che si trattava di un uomo che si era contornato di altri uomini come lui, vecchi, dentro squallidi. Che aveva dominato i cosiddetti “compagni di merende”, che lo temevano. Con i quali, dicevo, aveva condiviso sicuramente parte delle sue perversioni. Guardate, già all’epoca, come si dice, venivano visti questi fatti: era un uomo sconosciuto, triste, pericolosissimo, che era, aveva primeggiato su tutti gli altri. Era un mondo su cui era stato aperto un varco in quel processo, nel quale tutti, in quel primo processo, avevamo avuto difficoltà ad entrare; un mondo che non pensavamo – dicevo – esistesse nelle nostre colline, nelle nostre campagne. Un mondo che per fortuna era apparso marginale; in cui nessuno di noi aveva voluto credere, nel quale erano maturate quelle perversioni. È, direi oggi, alla fine di questo dibattimento, direi che quelle intuizioni… e allora, se intuizioni erano di quella Corte di Assise, del lavoro di allora, sono intuizioni che hanno portato davanti a fatti che oggi sono interamente confermati in pieno.

P.M.: Li abbiamo scoperti gli uomini vecchi dentro, di cui si era avuto la sensazione che ci fosse l’esistenza, in quel processo. Gli uomini squallidi, dominati dal Pacciani, li abbiamo visti in faccia, in questo processo. Abbiamo avuto la possibilità, tutti i giorni, di toccare con mano le loro condotte. Lo abbiamo visto chi sono; ho cercato di volta in volta, di porre alla vostra attenzione la personalità di questi signori, proprio per far vedere come il dibattimento, in fondo, era un dibattimento che di questo mondo ci aveva dato piena conferma dell’esistenza; non solo come esistenza di persone, ma come condotte materiali. I quali uomini abbiamo visto noi, oggi, sono persone che hanno dimostrato di quale crudeltà, di quale capacità criminale consumata, siano capaci di farsi carico. Abbiamo scoperto nei dettagli, le loro azioni, le loro condotte; abbiamo visto gli scempi operati sulle vittime, il racconto dell’aggressione di Scopeti, e quello soprattutto, a carico di Pia Rontini, è stato chiarissimo. Abbiamo forse, forse – dico forse – scoperto in quelle dichiarazioni del Lotti uno squarcio ulteriore. Chi lo sa, non mi sento assolutamente in questo momento, nè di azzardare ipotesi, nè di fare nessuna altra previsione sulla possibilità di accertare altri fatti, oltre quelli dell’esistenza di autori materiali, sui quali ci sono prove schiaccianti. Un mondo forse, sicuramente, potrebbe esistere ancora più perverso e segreto dietro questi esecutori; non mi sento assolutamente di fare nè ipotesi, nè niente di tutto ciò. Se è una possibilità, nasce esclusivamente dalle dichiarazioni del Lotti. Se c’è qualcosa in più o di diverso, che prescinde i fatti di cui all’imputazioni contestati agli odierni imputati, la Polizia Giudiziaria, come sempre, e la Procura della Repubblica di Firenze, se sarà necessario faranno il loro dovere. Però la verità sicura, il punto fermo che nasce dal vostro lavoro, quello di aver sicuramente dato un volto agli esecutori materiali è un compito che è nato e maturato in questo dibattimento, e che voi avete portato avanti nei modi che ho più volte e pubblicamente riconosciuto. C’è un sollievo, oggi, da parte delle parti offese, non so perché. Sicuramente sollievo c’è, quando al termine di un dibattimento, abbiamo la certezza che con prove sicure sono stati individuati autori materiali, uno dei quali ha ampiamente confessato le sue condotte. Un procedimento in cui sono state individuate, chiaramente, le singole responsabilità in ogni fatto per quanto riguarda cinque degli otto omicidi, relativi alle coppie appartate in auto – come si dice – non più del mostro di Firenze, a mio avviso. Sono prove più che sicure, è inutile che ve lo ripeta. Una cosa è certa: è chiaro che il dibattimento che si è svolto in questi otto mesi è un dibattimento che ha fornito ulteriori elementi, che oggi, oggi… sono elementi che hanno, lasciano il tempo che trovano, a carico di Pacciani Pietro, come organizzatore di questi delitti. Come un Pietro Pacciani, deciso, determinato, interessato pronto a tutto. E la giustizia, nei suoi confronti, la giustizia degli uomini è arrivata tardi. Però è un processo, che oltre elementi inutilizzabili a carico di Pacciani, sono elementi che sono diventati prove certe, sicure, a carico di un perverso, spietato esecutore materiale delle escissioni: Mario Vanni. Un complice, prevalentemente con finizioni di palo, sottomesso, disponibile, insensibile guardone e perverso: Giancarlo Lotti. Un sicuro quanto inspiegabile favoreggiatore di Mario Vanni: Alberto Corsi. Ed, ancora, questo processo ha fornito elementi a carico di uno spettatore, anch’egli guardone, perverso, in parte complice, forse favoreggiatore, sul conto del quale però – come ho cercato di dimostrarvi obiettivamente – non sono state raggiunte prove sicure: Giovanni Faggi. Ricordo, a questo punto – e mi viene in mente, perché non ne posso fare a meno – una frase dell’infaticabile Renzo Rontini, padre di Pia, che non ha disertato un’udienza di questo e del processo precedente, dando a tutti noi, la spinta – se bisogno c’era di una spinta – necessaria, per continuare a investigare. Mi vengono in mente la compostezza, la dignità del grandissimo dolore di Renzo Rontini e quello di sua moglie, la signora Winnie, come quello di tutte le altre parti offese. Mi viene in mente la sua frase pronunciata in questa aula all’inizio di questo dibattimento, che io non ho dimenticato, nessuno l’avrà dimenticato: “Sento sapore di giustizia”. Io, vi dicevo, ho sentito a suo tempo, e sento ora lo stesso sapore. Sono sicuro che non potete non averlo sentito anche voi, e lo dimostrerete con la vostra sentenza. Chiedo, pertanto, che Vanni Mario, Lotti Giancarlo e Corsi Alberto siano dichiarati colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti, con riconoscimento della continuazione tra i reati contestati a Vanni e Lotti; con la concessione delle attenuanti generiche prevalenti a Lotti, in particolar modo, in considerazione del suo comportamento processuale e ad Alberto Corsi per la sua incensuratezza. E chiedo che siano, ciascuno, condannato alle seguenti pene: Vanni Mario, alla pena dell’ergastolo, con isolamento diurno per i primi sei mesi ai sensi dell’articolo 72 Codice penale; Lotti Giancarlo, alla pena di anni ventuno di reclusione; entrambi alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici ai sensi dell’articolo 29 Codice penale; Corsi Alberto, alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione. Chiedo inoltre che Faggi Giovanni sia assolto dai reati a lui ascritti, ai sensi dell’articolo 530 comma II, Codice procedura penale.
Presidente: Si è fatta l’una. Vuol parlare qualcuno, o si va direttamente a domani mattina? Le parti civili.
Avvocato: (voce fuori microfono) Andiamo a domani mattina.
Presidente: Bene. Allora a domani mattina alle ore 9.00. L’udienza è tolta.
P.M.: Presidente chiedo scusa, per quello che riguarda l’orario. Le avevo fatto presente di quella… Presidente: Dimentica…
P.M.: …necessità.
Presidente: …dimenticavo io. Il Pubblico Ministero è impegnato in Assise, domani mattina, per un’ora.
P.M.: In un’altra Assise, in un altro processo.
Presidente: In un altro processo.
P.M.: Si tratta solo di rinviare, un processo diverso, alla I Sezione della Corte di Assise.
Presidente: Allora, si rinvia a domani mattina alle ore 10.00; 10.00 domani mattina.
P.M.: Grazie, troppo buono.
Presidente: Scusate un’attimo. Avvocato, parli al microfono non così. L’ho detto prima, nessuno ha parlato, abbia pazienza. C’è l’avvocato Guidotti che fa presente, viene come sostituto dell’avvocato Santoni Franchetti, vuole leggere conclusione per Santoni Franchetti, che poverino è malato. Avvocato Guidotti: Grazie.
Presidente: Al quale va la nostra solidarietà.
Avvocato Guidotti: Signor Presidente e signori della Corte e signor Pubblico Ministero, chi ha l’onore di parlarvi è qui non per un’impegno personale, ma semplicemente per sostituire un carissimo collega, che sta attraversando per motivi di salute un momento assai difficile. Ed io ritengo di interpretare il pensiero di tutti quanti i presenti nel rivolgere un augurio fervido di ristabilimento a Luca Santoni Franchetti, e un’auspicio di poterlo riavere presto fra di noi.
Presidente: Speriamo.
Avvocato Guidotti: Le conclusioni formulate dal collega che ho citato sono le seguenti: Conclusioni per Mauriot Marise in Durain, Kraveichvli Serge Femand, parti civili generalizzate come in atti contro Vanni Mario, Faggi Giovanni, Lotti Giancarlo, imputati generalizzati come in atti. Voglia, la Corte di Assise di Firenze, se riterrà la penale responsabilità dei prevenuti, condannare i suddetti imputati alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno da essi cagionato alle parti civili indicate come sopra, da quantificarsi in via equitativa, in lire quattrocento milioni per ciascuna di essi. Ovvero, in quella maggiore o minima somma che sarà ritenuta di giustizia, oltre alle spese processuali come da separata notula allegata alla presente. Il mio compito è finito. Sottopongo alla Corte Eccellentissima, le conclusioni, la nota e la nomina a sostituto processuale ex articolo 102 del Codice di procedura penale.
Presidente: Bene. Allora si rinvia a domani mattina alle ore 10.00.
P.M.: Grazie, Presidente.
Presidente: Bene, l’udienza è tolta.

23 Febbraio 1998 56° udienza processo Compagni di Merende

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