4 Marzo 1998, 63° udienza, processo, Compagni di Merende Mario Vanni,  Giancarlo Lotti e  Giovanni Faggi per i reati relativi ai duplici delitti del MdF e Alberto Corsi per favoreggiamento.

Link a Radio Radicale per sentire l’audio delle deposizioni

Dato che le registrazioni presentano un audio non perfetto possono sussistere errori di trascrizione, nel caso se ne trovino durante la lettura contattateci per la eventuali correzioni: redazione@mostrodifirenze.com

Avvocato Antonio Mazzeo

Presidente: Lotti manca oggi? 

Avv. Stefano Bertini: Non lo so, Presidente. Non l’ho visto. 

Presidente: Ah. Per ora non c’è. Allora, Vanni con il difensore. Pubblico Ministero… Allora, avvocato Mazzeo, può iniziare. Grazie.

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Grazie, Presidente. Signor Presidente, Signore, Signori, stamattina continuerò a sottoporre all’attenzione delle Signorie Loro, la versione del narrante Lotti, con le sue parole, senza commenti…

Presidente: Con le sue—?

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Con le sue parole e senza commenti, riferita ai fatti, agli episodi omicidiari di cui è il processo. E questa prosecuzione, ribadisco, ha lo scopo di evidenziare, sempre seguendo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione e la regola positiva di giudizio introdotta dal Legislatore: è l’articolo 192 – quindi legge; legge – dell’articolo 192 Comma III del Codice di procedura, allo scopo di dimostrare, intanto la non credibilità del Lotti sotto il profilo personale, perché persona assolutamente negativa, la più negativa – come illustravo ieri – che possa presentarsi mai a un Giudice nella veste di chiamante in correità. In questa seconda fase, sempre seguendo il dettato della Suprema Corte Sezioni Unite, da cui credo sia molto difficile potersi discostare se non andando contro la legge, il profilo della intrinseca attendibilità: intrinseca attendibilità del racconto del Lotti. Cioè a dire: la Suprema Corte ribadisce, come ha già fatto in moltissime occasione e poi addirittura a Sezioni Unite, cioè tuta la Cassazione; tutte le Sezioni hanno fatto Giurisprudenza perché non ci siano dubbi. Dice che va valutata, appunto, la consistenza del racconto. Abbiamo visto la persona; adesso guardiamo la consistenza del suo racconto. La consistenza del suo racconto, quindi, con riferimento alla… Io ho diviso in quattro capitoli, sostanzialmente, riportandomi anche qui alla costante Giurisprudenza: contraddizioni nei racconti, inverosimiglianze nei racconti, falsità oggettive nei racconti. Qual è la differenza fra inverosimiglianza e falsità? Falsità è quando uno dice è bianco e invece è accertato che era nero. Non c’è versi. Poi si travalica e si supera il limite del ridicolo, addirittura. Questi sono i quattro capitoli, le quattro poste del rosario dei racconti del Lotti sotto il profilo della sua intrinseca attendibilità. E questo esame, questo esame condotto con rigorosissima attenzione alle carte processuali, quindi senza voli pindarici senza perdere tempo e far perdere tempo a voi in una esegesi, come dicevo… epistemologia del pensiero del Lotti, ecco, è utile anche con riferimento – e proprio vuole essere una risposta critica, anche, va bene? – a quanto vi ha riferito il Pubblico Ministero, laddove ha dichiarato, nella sua esposizione finale, dice: “Guardate, guardate, guardate la conferma, secca, precisa, puntuale, del racconto del Lotti e la sua coerenza con riferimento ai dati oggettivi acquisiti al processo dalle perizie, attraverso le perizie, attraverso i sopralluoghi. E quindi dati oggettivi, dati certi.” Ecco, il racconto del Lotti, secondo la versione del Pubblico Ministero, è assolutamente coincidente. E qui, la prima reazione è di meraviglia da parte del sottoscritto, perché finora abbiamo visto che non coincide proprio niente. Il Pubblico Ministero ha distinto i cosiddetti riscontri oggettivi, secondo la sua opinione dei riscontri oggetti, in riscontri documentali – vi ricorderete – che sarebbero rappresentati, appunto, dalle perizie, dai sopralluoghi, da tutti i dati scientifici, diciamo, della ricostruzione per esempio dei fatti omicidiari; già acquisiti al processo aliunde. Quindi, attraverso l’apporto della Squadra Scientifica della Polizia, delle perizie medicolegali, eccetera. E ha detto che questi dati documentali confermano la verità del racconto del Lotti, perché il racconto del Lotti si attaglia, si attaglierebbe perfettamente… eh, dice: ‘guardate, si attaglia perfettamente a questi dati documentali’. 

(voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Dice: ‘si attaglierebbero perfettamente’. E dice: “Questo è un primo riscontro della verità i del suo racconto.” Poi ci sarebbero i riscontri, secondo il Pubblico Ministero, documentali. Quindi, riscontri. . . eh, testimoniali, chiedo scusa. Quindi, riscontri documentali della verità del racconto del Lotti; riscontri testimoniali, a cui arriveremo dopo, della verità dei racconti del Lotti. Quindi, questo esame, che io vado a proseguire, delle dichiarazioni del Lotti riferito ai vari episodi omicidiari, è una risposta critica al cosiddetto riscontro della versione del Lotti con i dati scientifici già acquisiti al processo. Per fare un brevissimo riassunto, per esempio, ieri si è parlato di Baccaiano; si è parlato anche di Giogoli. E’ stato evidenziato come, i riscontri oggettivi delle perizie e dei sopralluoghi su Giogoli non sono assolutamente coincidenti col racconto del Lotti. A Giogoli è stato accertato che gli ultimi due colpi di pistola furono sparati dall’interno del furgone, e Lotti, abbiamo visto, cosa ha sempre detto. Sempre, con estrema convinzione. È stato accertato a Giogoli che la radio di quei poveri ragazzi era accesa e il Lotti non ha assolutamente mai detto di aver sentito la radio accesa. Il che è non solo inverosimile, ma falso. Supera il limite della inverosimiglianza, questo. È stato detto che le perizie e i sopralluoghi hanno riscontrato la presenza dei due cadaveri in alcuni punti del furgone, che sono quelli che, naturalmente, non ha indicato il Lotti. Quindi, dov’è questa coincidenza tra il racconto del Lotti e i dati oggettivi acquisiti – questi sì, dati oggettivi – acquisiti dalle perizie e dai sopralluoghi? Io, francamente, non… Ed è tutto così. Quindi, si parlava di Giogoli; eravamo arrivati a Vicchio. Basta dire un episodio per Vicchio. Sappiamo tutti com’è morta la povera Pia Rontini, dato oggettivo acquisito dalle perizie medicolegali, eccetera, eccetera; sappiamo benissimo la pertinacia con cui il Lotti ha sostenuto, contro ogni tentativo anche di suggerimento e di suggestione, la sua versione: la Pia Rontini non è mai stata attinta da colpi di pistola. Salvo cambiare opinione all’ultimo momento, quando era proprio insostenibile e avanzare, lumeggiare l’ipotesi che possa essere stata attinta anche da colpi d’arma da fuoco; ma questa è la classica pezza che è peggiore del male. Perché, come dice sempre e insegna la Corte Suprema, a cui voi dovete sempre avere riguardo, verso cui dovete avere riguardo: quando la correzione non è frutto genuino, spontaneo, di uno sforzo mnemonico, leale, sincero, di ricostruzione; ma è soltanto il frutto evidente, anche per il momento in cui è fatta, di una contestazione o di un dato già acquisito al processo e che quindi è noto a tutti, questa, non soltanto non può rappresentare riscontro alla genuinità del racconto, ma addirittura rappresenta la prova positiva della falsità di un racconto. Esattamente il contrario. E quindi proseguiamo. Capitolo contraddizioni. Premessa e ribadisco è insegnamento costante della Suprema Corte. Ho riportato massime che risalgono a 50 anni fa e arrivano fino ad oggi, secondo cui è ovvio che, siccome la memoria, come tutte le facoltà umane è fallace, è più che naturale e ammissibile che il Magistrato prenda in considerazione e assolva, diciamo, errori da parte del narrante su particolari, ripensamenti, imprecisioni, contraddizioni. Purché – perché nei processi non ci deve essere spazio ai sospetti, ci deve essere spazio per le certezze e per la verità, altrimenti non si condanna – purché queste condizioni, purché questi errori, purché questi ripensamenti, riguardino – insegnamento costante della Suprema Corte – dati di contorno, dati secondari, elementi marginali del racconto; non l’elemento centrale del racconto. Noi abbiamo evidenziato ieri come invece, spessissimo, le contraddizioni e le falsità del Lotti riguardano, purtroppo per lui, proprio l’elemento centrale del racconto, la narrazione della dinamica dell’omicidio. E quindi anche queste contraddizioni, che potrebbero in qualche modo… Quella per esempio che riguarda la luce, che è un tema tremendo questo qui, con riferimento a tutti, io mi limito a riportare quello che ha detto. Perché, c’è un problema sì di errore, di contraddizione, di ripensamento, di correzione, che la Corte valuterà laddove è giustificabile e laddove, a sommesso parere di chi vi parla, con riferimento a tutto quello che ho detto finora, non è mai giustificabile, sempre secondo l’insegnamento della Suprema Corte. La ira anche poi pesata, voglio dire, la qualità Sei dichiarante, sotto il profilo anche della sua attendibilità. Cioè, se questo è un dichiarante che è continuamente impreciso, che è programmaticamente impreciso, che infarcisce il suo racconto continuamente: di aggiustamenti, di aggiunte, di correzioni, beh, insomma, voglio dire, ecco, anche questo ha un peso. Tanto è vero che, tra i criteri di valutazione della intrinseca attendibilità di un racconto, la Corte Suprema di Cassazione ha sempre detto: bisogna guardare la coerenza, la costanza di una versione, sempre quella. La precisione. Precisione, coerenza, costanza, spontaneità, e così via. Guarda. Quindi, dico, in un quadro complessivo di incoerenza, di imprecisione, di incostanza, si inserisce, per esempio, quanto dichiara il Lotti a proposito della luce nei vari episodi. Allora, a Baccaiano, 1982, all’udienza del 3 dicembre fascicolo 57, dice così. Gli si domanda, dice: “Ma lei ha spento i fari della sua macchina?11 Dice: “Sì, io ho spento i miei fari.” Voi ricorderete che lui dice che a Baccaiano, il famoso dirizzone, rettilineo, di cui vi parlavo ieri, dove la figura del palo c’entra proprio come il cavolo a merenda insomma, ecco. Per capirsi. Guarda: merenda; si parla di merenda… Dico, a Baccaiano, dove c’è questo rettilineo, dice: “Io arrivo con la mia macchina, sto seguendo loro, mi tengo a un certa distanza. Fermo la mia macchina dietro la loro…” Dice: “Ma che fa lei? Spegne…” Tenete presente che lì non c’è illuminazione pubblica, eh. Questo credo che possa essere acquisito, che sia già acquisito tra i dati pacifici del processo. È campagna, è un rettilineo. Dice : “Sì, spengo i fari. Spengo i fari anche della mia.” Dice: “E Vanni e Pacciani?” Domanda l’avvocato del Vanni. Dice: “Sì, anche loro.” Dice… E poi, sempre su domande che riguardano la visibilità complessiva del posto, lui dice: “Mah, gl’è dopo cena, gl’ è buio…” Dice: “E lei dov’è, Lotti?” Dice: “Mah, di preciso ora non lo so. Mettiamo a 10 metri.” E questa è pagina 47 del fascicolo 57, udienza del 12. Vedete, c’è un contesto di una situazione che lui va a illustrarvi di buio totale. Tutti i fari delle macchine sono spenti, l’ha spenta Pacciani, l’ha spenta Lui. Dice: “Gl’è dopo cena, gl’è buio.” Qui non lo ha detto che c’è la luna. Poi noi sappiamo, perché è un dato anche questo acquisito, che tutti i delitti sono avvenuti in momenti di novilunio. Poi qui è stato anche direi più preciso delle altre volte. Ha detto: “Gl’è buio, gl’è buio…”, e tutti spengono le luci delle macchine. Giogoli: udienza del 3 dicembre, fascicolo 57. Anche su Giogoli viene interrogato su questo tema e dice: “Sì.” La risposta è “sì”, cioè: ‘Sia io che Vanni e Pacciani spegnemmo i fari’. C’è un “sì” lapidario. Vicchio: udienza del 03/12, fascicolo 59. Lotti: “Io li spensi i fari.” Domanda: “E quelli della macchina del Pacciani?” “Gl’erano spenti.” Pagine 17 e 18. Domanda: “Era buio?” Risposta del lotti: “Dopo cena, anche se era estate, era buio.” Insiste l’avvocato Filastò, se non sbaglio. Dice: “Ma uno dei due aveva qualche luce?” Allora, a Vicchio noi abbiamo una situazione di aperta campagna; non c’è illuminazione pubblica. Vi ricorderete che proprio il sottoscritto chiese a un testimone – non mi ricordo il nome…

(voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Il nipo… No. Un testimone che era arrivato sul luogo del delitto tra i primi, durante la notte, quando le famiglie dei poveri ragazzi si erano allarmate e avevano avvisato i Carabinieri. Non ricordo il nome del testimone, ma comunque è venuto qui e gli feci questa domanda: ‘senta, dice, ma quando lei è arrivato lì, come ci è arrivato a quella piazzola?’ Dice: ‘ma ci sono arrivato perché sapevo dov’era, sapevo di solito si appartavano’. Dico: ‘com’era la situazione del…’ “Buio completo. Se non tenevo i fari della macchina accesi non si vedeva nulla.” Questo è agli atti del processo. E allora, a Vicchio lui ci sta dicendo: “Io spensi i fari. I fari della macchina di Pacciani erano spenti, gl’erano spenti.” Precisa anche che è il contesto della situazione era tale per cui, dopo cena… c’è sempre questo riferimento al mangiare, ai bisogni elementari del corpo, dice. Perché lo dice anche a Baccaiano: “Gl’è dopo cena, gl’è buio.” E ancora per Vicchio, guarda un po’, dice: “Dopo cena. Anche se era estate, era buio.” Quindi, è chiarissimo. Non si parla di luna. Lo dice chiaro: “Anche se era estate, era buio.” E allora, in un contesto di buio, illustrato in modo così esatto, mi pare, una volta tanto dal Lotti, si insiste con le domande. Perché uno dice: per uccidere, per muoversi in modo efficace, in modo puntuale… Qui, c’è una contestazione di associazione per delinquere, quindi fissazione dei ruoli reciproci, eccetera. Poi, operazione di omicidio che sappiamo poi, con gli squartamenti, con questi orrori che implicano evidentemente la necessità di vedere, no? Voglio dire, qui siamo ancora una volta nel campo del buonsenso comune. E quindi si insiste nella domanda e si dice: “Ma uno dei due aveva qualche luce?” Perché lui non aveva mai parlato di luci, prima, in tutte le sue precedenti dichiarazioni. Lasciamo perdere le progressioni, tra le primissime dichiarazioni e quelle a cui poi arriva in occasione dell’incidente probatorio, che è prova processuale a tutti gli effetti, e dell’esame dibattimentale. Risposta del Lotti: dunque, pagina 35, udienza del 3 dicembre, fascicolo 59. “Se gli avevano una luce è una cosa un po’ difficile. Non ricordo se c’era o no.” E già questo deve allarmare. Perché come fai a non ricordarti in una situazione di buio totale? Confermata anche da un testimone che è venuto, che è andato sul luogo del delitto a trovare quei cadaveri a pochissimo tempo dopo ; è stato il primo a scoprirli. In una situazione di buio totale, tu che stai raccontando un fatto… Già, come fai a raccontare un fatto se c’è una situazione di buio totale. Va be’. Ma in una situazione di buio totale come fai a non ricordarti se c’era un minimo di luce e da che parte veniva. Qualcuno, poi arriveremo a scoprirlo, infatti, ha parlato di “albore”. Se ben ricordate, quanta polemica, quanta diatriba si è svolta su questo argomento. Ma poi lui è ancora più preciso. Prima dice: “Se gl’avevano una luce… È una cosa un po’ difficile. Non ricordo se c’era o no.” Pagina 35, sempre. Ulteriore risposta: “Mah, io non ho visto luce.” Non è che non ricorda se c’era o no; nello stesso contesto di domande, nella stessa pagina, dice: ‘no, io non ho visto luce, via, non mi fate dire cose… non ho visto luce. Non ho visto…’ “Non ho visto luce”, significa non c’era luce, eh. Perché, voglio dire, in una situazione di buio totale come quella che ha descritto lui – buio, perché i fari delle macchine erano spenti, buio ambientale, confermato da un testimone estraneo sicuramente – dire “Non ho visto luce”, significa dire non c’era luce. No, che non l’ho vista, ma ci poteva essere’. Non c’era luce. Insiste, pagina 36. La pagina successiva: “Mah…” – perché le domande qui si accavallano, no? – “Mah, io luci un l’ho viste.” Insisto io: dire “non l’ho viste” equivale a dire non c’erano. Perché non c’erano altre fonti di luce, nessuna altra fonte di luce. “Io, luci non l’ho viste. Io non ho visto luce. Luce non c’era.” Insiste il Lotti… Poi, siccome la cosa anche qui diventa insostenibile, sotto un profilo proprio, no, ma insomma, voglio dire, è attentato all’intelligenza dei Giudici. Già prima ci sarà stato qualche attentato all’intelligenza degli inquirenti, ma intanto però questa storia è arrivata al processo. Quindi, parliamo di attentato all’intelligenza dei Giudici. Dice: “S’avrà avuto qualcosa.” Guardate, guardate la progressione, direbbe il Pubblico Ministero. Io dico: guardate l’aggiustamento che serve a far quadrare una narrazione con dati oggettivi incompatibili con quella narrazione. Siamo in un contesto di buio totale, confermato anche dai testimoni sopraggiunti. E allora lui dice: “S’avrà avuto qualcosa per arrivare lì, per fare un po’ di luce. Sennò…” E qui, no, ci arriva anche Lotti: ‘sennò come si fa ad arrivare lì al buio?’ E allora, giudicate voi, Signori Giudici. Stiamo parlando di dati, come dice la Corte Suprema di Cassazione, scusabili, di contraddizioni, errori e correzioni scusabili, di puro contorno, che fanno parte, diciamo, del bagaglio di fallacia e di debolezza della memoria umana, che è comune a tutti noi, o stiamo parlando di cose inammissibili? Perché riguardano il contesto dell’omicidio che sta per essere compiuto; e si sta parlando di un dato naturale: buio, o luce. E qui abbiamo uno che non sa niente. Perché dice prima buio, ma poi dice: ‘’mah, una luce l’avranno avuta’. Non ci si può spagliare su queste cose. Non ci si può correggere su queste cose. Quando si è capito che si è andati troppo oltre nella stupidità. Scusate, eh, perché di questo si tratta. Perché le bugie le raccontano i bambini che vanno all’asilo, e sono di un certo tipo. Le bugie le raccontano quelli che vanno alle scuole medie – avrete figli anche voi – e sono di un certo tipo. Poi le raccontano gli adulti e possono essere di un altro tipo. Chi non ha bambini piccoli, insomma, ecco… Io ce l’ho. La bugia che mi racconta la mia figliola di tre anni, è la bugia… e questa è la bugia di un bambino di tre anni. Non è neanche la bugia di un uomo adulto. E poi insiste, stesso contesto, stessa pagina, stessa udienza. Finalmente si è reso conto anche lui, no? ‘io come faccio a dire che ho visto una serie di operazioni, una serie di cose, se la luce era buio totale?’ Allora, aggiustamento progressivo non genuino. Dice: “Qualcosa di luce?” “Una pila, sì.” Notate la “pila” – parola pila – interviene per la prima volta. Sono due anni, quasi, che sta parlando il Lotti. C’è un numero imprecisato, io non ne ho neanche fatto il conto, di verbali, di dichiarazioni. Dice: ‘la progressione, prima non aveva preso ancora, diciamo, la deliberazione di parlare completamente. La piena del cuore frutto di un pentimento spontaneo e catartico e quindi di un desiderio di autoliberazione ancora non c’era stato, allora le cose le diceva a spizzichi e bocconi e non ha mai parlato prima della pila e della luce per questo… Mah, è un po’ deboluccia. Perché, voglio dire, semmai, se prima doveva avere una preoccupazione il Lotti, era quella, come succede sempre, le abbiamo lette le massime della Corte Suprema, quella del chiamante in correità, essendo non un testimone, ma essendo un imputato, essendo un colpevole, confesso reo, è quella magari di limitare le sue responsabilità, no? Di dire: ma io ero lì, c’ero e non c’ero. Ho fatto il palo, non ho mai partecipato in modo particolarmente attivo… E questo è comprensibile. Allora, una progressione di rivelazioni che abbia, ecco, questa connotazione. Cioè, uno prima è testimone – e infatti, se non vado errato, lui all’inizio come testimone è comparso – e poi gli è stato contestato il concorso in questi delitti, l’associazione per delinquere. Perché è più spiegabile su un piano direi di logica elementare, anche questa deviazione umana. Cosa si diceva ieri? La confessione è una prova delicatissima, perché va contro natura – parole della Corte Suprema – va contro natura. Perché la natura dell’uomo è quella di respingere gli addebiti, di difendersi, non di accusarsi. Ecco perché è ima prova infida, che va riguardata con estrema attenzione. Allora io dico: la progressione del Lotti, di cui si parla tanto da parte dell’accusa, si spiega con riferimento a situazioni in cui lui deve minimizzare, per esempio, la sua partecipazione, l’attività della sua partecipazione. Ma situazioni di questo genere – perché lui di Vicchio ha parlato fin dai verbali e durante l’istruttoria prima del dibattimento – perché che motivo aveva di non parlare prima della pila elettrica e di parlarne dopo? Qui non si può spiegare con una progressione, con una rivelazione centellinata, perché questa non influisce sulla sua responsabilità, cioè sulla misura della sua partecipazione: la storia della pila elettrica se c’era o e non c’era. Questo è un aggiustamento. Siccome è insostenibile anche di fronte a un consesso di bambini delle scuole elementari, che uno abbia visto una dinamica di omicidio così complessa e articolata, fra l’altro, va bene, di duplice omicidio, in una situazione di illuminazione come quella che sappiamo, è insostenibile anche di fronte a un consesso di bambini delle scuole elementari che non ci fosse una fonte di luce, allora dice: eh, va bene, sì, è vero, non ci avevo pensato. Qualcosa… Notate anche il linguaggio, eh. Perché il linguaggio è importante: “Qualcosa di luce. Una pila.” Sì, qualcosa.. . Non poteva mica dire una torcia come nel Medioevo, vero? Non so. Oppure una lampada a petrolio. Siamo alle soglie del 2000, sarà stata una pila elettrica. Non ci vuole un grande sforzo. E quindi diventa: “Una pila?” “Sì.” “E quando sparavano” – gli si domanda – “a Vicchio?” Udienza del 5 dicembre, fascicolo 60, pagina 22. Perché, nella narrazione, c’è stato… Diciamo, nel succedersi dei movimenti dei protagonisti, c’è stato questo tornare indietro del Pacciani, prendere la pistola sotto il sedile della sua macchina, tornare verso l’auto dei ragazzi, i quali naturalmente stavano… loro recitavano la parte, no? Loro erano nella parte della vittima, quindi, giustamente, mica reagiscono in un contesto come quello che vi è narrato dal Lotti: stanno lì fermi per farsi sparare, ecco. E allora: “Quando sparavano” – dice – “che ha visto lei?” “Eh” – risposta a pagina 22 del 05/12 – “qualcosa avevo visto, una luce. Non luce dei fari delle macchine.” Vorrei ben vedere, perché lo ha detto prima che erano tutti spenti. “Non luce dei fari delle macchine, una di queste cose per far luce.” “Una di queste cose per far luce”. Non ci ha neanche tanto il coraggio di chiamarlo col suo nome: pila. Il Pubblico Ministero ha fatto un po’ di ironia a proposito del collega, il quale vi faceva notare, nel corso del dibattimento, che ci sono studi approfonditi sul linguaggio che hanno accertato questo: quando una narrazione non è genuina, quando una narrazione non è spontanea, l’uso di “cosa cosare”, no? Ha tanto ironizzato il Pubblico Ministero. Io non sono un esperto di epistemologia, di glossologia, di fonemi, non so niente. Però un dato è certo, verificato da me nella mia relativa esperienza processuale; sicuramente dai Giudici togati nella loro ben più profonda esperienza processuale. Sintomo della genuinità di un racconto è anche l’uso del linguaggio. Perché se a un illetterato, no, come può essere il Lotti, noi gli vogliamo fare esprimere un concetto difficile, alto, è più che giustificato, che si impappini. Ma quando qui si tratta di chiamare una cosa col suo nome, e lui sistematicamente si rifiuta di farlo e dice “cosa, cosare…”, questo è un sintomo di perplessità. Cioè, uno che ha paura a dir le cose, perché dice: ‘Madonna, adesso ne sparo un’altra. Va a finire che mi ci attorciglio anche di più’. E allora dice: “Una di queste cose per far luce.” Ma che senso ha esprimersi così? Questa la offro, come direbbe il Pubblico Ministero, ve la offro così com’è. Io non ve la offro così com’è; la offro all’attenzione, all’esperienza specialmente di voi Giudici togati. E anche all’esperienza di vita quotidiana di voi Giudici non togati. I quali anche voi avrete le vostre attività, il vostro lavoro e sarete anche voi, nelle vostre attività e nel vostro lavoro, necessariamente – perché la vita è continua scelta, opzione – nella condizione di avere un interlocutore che si esprime in un modo o nell’altro e di apprezzare la differenza del modo di esprimersi. “Una di queste cose per far luce.” E qui si arriva alla falsità, non alla inverosimiglianza, alla falsità obiettiva. Finora siamo arrivati agli aggiustamenti non genuini, che sono sintomo comunque di falsità del racconto; poi qui si arriva proprio al bianconero, che è bianco e non può essere nero. Domanda: “Vanni aveva una pila quando compiva le escissioni?” Gliel’ho fatta io questa domanda. Siccome lui ha parlato di pila, finalmente, dopo due anni che sta parlando, in un contesto di buio assoluto e ha parlato “Di queste cose per far luce”, la domanda sorge spontanea, dice quello, ma insomma… Non si sa chi tiene la luce mentre quell’altro spara. Che fa? Pacciani spara, ma siamo in un contesto di buio assoluto; e Vanni, con la pila, oppure Pacciani con una mano ci ha la pila e con l’altra c’ha la pistola e spara? Perché siamo in un contesto di buio assoluto, eh. E questi sono stati presi, la povera Rontini, in testa, preciso, mortale. Anche il ragazzo è stato attinto. Quindi, qualcuno doveva pur avere qualcosa in mano. Allora, come ce l’aveva, Pacciani, una pila, e con l’altra mano la pistola, oppure lo guidava il Vanni con la pila elettrica e quell’altro sparava? Non si sa. Non interessa. Interessa, interessa a voi. A me in particolare interessava il momento ancora più delicato. Quello nel quale, proprio, se non c’è ima fonte di luce ferma, non si può fare quello che disgraziatamente è stato fatto. E quindi la domanda era: “Vanni aveva una pila, quando compiva le escissioni?” Risposta del Lotti: “Eh…” – e siamo sempre lì, no? apprezzate il linguaggio – “di notte, qualcosa gl’avrà…” “Ma come la teneva?” Ma come la teneva. Voi sapete tutte le ipotesi che si sono fatte, ipotesi di scuola. Qui non siamo per fare ipotesi di scuola, qui siamo per giudicare. E non si giudica mai in base ad ipotesi ed ai sospetti, ma in base ai fatti. E allora, la risposta era tale che lui poteva un momentino, in gualche modo, dare gualche risposta, diciamo, logica, comprensibile, diciamo, a una logica elementare. E invece risponde in un modo tremendo. Dice: “Vanni la teneva così in mano.” Per esempio, lui poteva dire: ‘ no, guardi, c’era… siccome erano già morti i ragazzi, c’era Pacciani che gli teneva la pila’. Perché aveva finito la sua opera, no? Il “vicemostro” Vanni è quello che usa il coltello, secondo la… ecco, come diceva il giornalista: “Con le panze rasoterra e l’alito al Chianti, andavano a fare i Casanova, questi sessantenni, con le ragazze di 20 anni fidanzate. E quando queste gli dicevano di no, si vendicavano e le uccidevano.” E noi dobbiamo bere anche i moventi di questo genere, vero? Allora, Lotti poteva dire… un adulto, quando dice una bugia, non un bambino delle elementari, dice: ‘va be’, per forza, Pacciani tiene la pila e Vanni compie le escissioni. Ah, insomma. Ancora accettabile in natura. E invece non dice così. Ci casca proprio come una pera, come si direbbe. Perché dice: “Di notte qualcosa gl’avrà”, il Vanni. Dice: “Ma come la teneva, il Vanni”, chiede il difensore. Domanda suggestiva, lo riconosco, ma eravamo in sede di controesame. Dice: “La pila la teneva così, in mano.” Per cui si arriva a questo assurdo in natura, a questo ulteriore attentato alla vostra intelligenza e alla vostra dignità di uomini -scusate, ma ci vuole ogni tanto – di uno che vi racconta che queste escissioni il Vanni le ha fatte in questo modo: con un coltellaccio da cucina, perché secondo gli inquirenti quello era il coltello delle escissioni, poi ci arriveremo. Con una mano teneva la pila e con l’altra faceva… Provate a immaginare, io… eh? Se non fosse terribile, tragico, orrendo, ributtante, sarebbe da sbellicarsi dalle risate. Siccome quando, poi, voi farete la sentenza dovrete prenderle in considerazione queste dichiarazioni, io non ho altre risposte, aspetto di conoscere le vostre. Allora, Vanni teneva con una mano la pila e con l’altra il coltello. E all’udienza dell’11 dicembre ’97, fascicolo 64, pagina 30 e seguenti, sempre sulla lampada a Vicchio, in sede di controesame, i colleghi di parte civile. Beh, anche loro si inquietano, mi immagino, no, di fronte a una rappresentazione granguignolesca e ridicola di questo genere. E allora, in qualche modo, parte qualche tentativo -per carità, legittimo: le domande suggestive sono ammesse – in qualche modo di recuperare la situazione. Ma ancora una volta il rimedio si rivela peggiore del male. C’è una vecchia regola di pratica processuale -che riguarda noi avvocati, ma penso che riguardi anche i rappresentanti dell’accusa, che si impara prestissimo – secondo la quale non bisogna mai fare domande quando non si è certi della risposta. Perché se tu non sei sicuro di come ti risponde il testimone succede l’ira di Dio, succede che ti fai un danno, che fai un danno anche alla ricerca della verità. E quindi la lampada a Vicchio, pagina 30, si diceva, fascicolo 64, udienza 11/12. Avvocato Colao: “Allora, questa lampada com’era? Era un lampada? Si poteva appoggiare a terra? Pensi un po’ bene.” “Imputato Lotti: La tenevano in mano per vede’ meglio quello che facevano, no? Un l’ho vista per bene com’era.” Dice l’avvocato Colao: “Aveva una base per potersi appoggiare a terra?” Perché anche questa è suggestivissima, perché uno dice: va be’, magari vediamo se si riesce a fargli dire che è una di quelle grandi, che si poggiano a terra e finalmente il Vanni ha appoggiato la lampada a terra. Guarda cosa bisogna sentire in un processo, no, di suggestioni di domande. Quello ha già risposto, lo valutate voi, eh, perché voi siete liberi di cercare la verità. Noi si ha un ruolo e quindi in qualche modo siamo sempre appassionati nella difesa delle nostre tesi. A volte si perdono di vista, come dicevo ieri, si corre il rischio di perdere di vista il buonsenso comune e anche la decenza. Ma voi dovete cercare la verità. Allora, voi sapete che lui, all’udienza precedente ha risposto che Vanni la teneva in mano: “così, in mano” – mi fece anche il gesto – “così, in mano”, la pila, mentre faceva le escissioni.” Ora qui si innesta, come già vi ho illustrato ieri in altri episodi, un tentativo di fargli dire una cosa che in qualche modo sia compatibile. E allora dice: ma magari non era ima pila di quelle che si tengono in mano, no? Gli suggerisce l’avvocato Colao. Di quelle che si mettono in terra. E così finalmente Vanni poteva agire con tutte e due le mani. Perché questo è sicuro, eh, rileggetevi le perizie, guardatevi le escissioni, come si chiamano con termine asettico, guardatevi gli squartamenti : non si possono fare con una mano sola. E allora dice: “La tenevano in mano”, insiste lui. Mannaggia, non l’ha capita, eh? Quella che gli ha lanciata non l’ha capita. “La tenevano in mano per vede’ meglio quello che facevano, no? Un l’ho vista per bene com’era.” Dice: “Aveva una base per potersi appoggiare a terra e fare luce in alto?” Appoggiare a terra, guarda com’è sottile la domanda del collega. Una base. Sarebbe stata la lampada ideale in questo contesto, magari il “mostro” vero ha usato proprio una lampada così. Una base da appoggiare a terra e che lancia la luce in alto, in modo che lui possa lavorare, fare quello che fa. E allora lui, a questo punto, dice: “Ma perché…” “Ci sarà stata, un lo so io.” “Ci sarà stata, un lo so io.” E allora insiste l’avvocato Colao: “Non sarà stato con un neon?” Addirittura qui si arriva a stabilire, a tentare a stabilire il tipo di luce. “Lei conosce il neon?” “Imputato Lotti: Ma che ero vicino e vo a guarda’ come l’era fatto ogni cosa?” “Avvocato Colao: Ma faceva una bella luce?” Perché lo sappiamo che ci vuole una bella luce per fare quello che è stato fatto. “E una luce la faceva.” Non si sa che luce faceva. “Una luce forte?” Insiste l’avvocato. “Un po’ faceva.” “Forte o scialba?” Insiste ancora. “Come sarebbe a di’ scialba?” E qui si… “Come sarebbe a di’ scialba?” “Una luce forte o tenue?” Insiste. E lui: “Come fo a dillo se gl’era luce forte, o no.” E invece no. Se tu hai visto lo fai a dirlo, eccomi Era a tre-quattro metri ha detto. Poi dice che era a 10 metri, ma insomma siamo lì, 10 metri sono da qui a lì. “Senta, Pacciani…15 Va be’, qui il Presidente… No, niente Pacciani. “Scusi, avvocato Colao.” Interviene il Presidente. “Lotti, questa luce che aveva il Vanni…” Il Presidente vuole ovviamente, ovviamente, correttissimamente, ma è inutile anche dirlo, che ben si ricorda che nell’udienza precedente lui ha detto: “No, la luce la teneva Vanni e la teneva così in mano.” Allora il Presidente si rende conto dell’eccesso probabilmente di suggestione di queste domande e di questo che non recepisce, di questo che non risponde, allora dice: ‘aspetti, avvocato Colao’, dice il Presidente: “Questa luce che aveva il Vanni…” dice il Presidente. Dice il Lotti: “A me tanto forte la un mi pareva.” Insiste il Presidente: Questa luce che aveva il Vanni, l’aveva in mano? La reggeva in mano, tipo coltello?” Come aveva detto all’udienza prima. La teneva in mano, così, e con l’altra usava il coltello. Dice il Presidente: “L’aveva in mano, la reggeva in mano tipo coltello, oppure?” “Imputato Lotti: No, la…” Sicuramente qui è completamente nel pallone, perché lui non lo capisce cosa vuole da lui. Dice: “Imputato Lotti: No, la reggeva in ma… o c’aveva qualche cosa, qualche…” Insiste il Presidente: “Reggeva qualche cosa che era più grande della mano? Come posso dire? Ha capito il discorso?” “Sì, ho capito.” Dice Lotti. E il Presidente lo specifica: “Era una pila piccola, lunga, affusolata, oppure una luce più grossa?” “Imputato Lotti: No, una di quelle così, come si può di’? Normali.” Come m’ha detto a me il giorno prima. “La teneva in mano, così, normale.” Normale. No al neon, che s’appoggia a terra, che gli può lasciare due mani libere: normale. “Io non so come spiegarvi per bene.” Poverino. Il sentimento del difensore del Vanni, nei confronti del Lotti, oscilla continuamente dalla rabbia nei confronti dell’impostore, alla pietà nei confronti dello sprovveduto. “Una di quelle così, come si può dire, normali. Io non so come spiegarmi per bene, era una torcia.” “Oh, va bene. Torcia ha un significato ben preciso. Torcia.” “Torcia.” Torcia elettrica, ovviamente. “La torcia l’è un’altra cosa diversa, è più grande. “Presidente: È una cosa piccola.” Giustamente, una torcia… Dice: “Imputato Lotti: Sì, secondo come le c’enno. E c’enno di quelle così, di quelle più grandi.” Capito? Qui si sta ragionando di torce: grandi, piccole. Dice, il Presidente: “E quella che ha visto lei che era: piccola, grande?” “Imputato Lotti: Era giù per su così.” Presidente: Tutto il palmo della mano ha fatto lei.” Si è ricordato, il Presidente, di come aveva risposto a me. “La teneva così in mano.” E quindi impegnava tutto il palmo di una mano. Infatti il Presidente insiste: “Tutto il palmo della mano ha fatto lei”, ha fatto, cioè ha fatto il gesto. “Imputato Lotti: Quanto una mano, forse qualcosa di più.” “Presidente: Bene.” Allora, questa è una falsità oggettiva. Cioè, nei vari capitoli che mi sono permesso di predisporre per incasellare su fatti decisivi che riguardano questo processo, la verità o non verità della versione del Lotti, questo rientra nel capitolo delle falsità oggettive. Cioè delle cose impossibili in natura. Cioè non che teoricamente… No, proprio neanche un funambolo, guarda, neanche uno da circo, neanche un prestigiatore. Ce l’avete presente i prestigiatori cosa non fanno con una mano sola? Beh, neanche un prestigiatore. Provate, provate. Calatevi con la memoria, voi. Cosa è stato fatto? Tenete presente le foto di quello scempio di quella povera ragazza, il seno, quelle parti intime, delicate: con una mano sola, il Vanni, col coltellaccio della cucina. Secondo il racconto del Lotti. Questa è una falsità, in quanto è impossibile in natura e, a modesto avviso del difensore, è una di quelle falsità che addirittura superano quel famoso limite dell’assurdo ridicolo, dell’assurdo comico, cioè si va decisamente nel ridicolo, e come mi sono permesso, sommessamente, di pregare ieri: da un errore giudiziario, voglio dire, uno si può anche autoassolvere. E dice: è stato ciuco l’avvocato, il difensore, è stato bravo il Pubblico Ministero, me 1’hanno messo in un modo tale che sembrava… eccetera. Poi dopo magari si scopre, quante volte si è scoperto dopo, nella vicenda del “mostro di Firenze”, di quanti errori – diamo atto all’onestà del Pubblico Ministero, ve l’ha sottolineato anche lui – è costellata questa indagine? Ma questo non è un buon motivo, vero, perché voi siate chiamati a dare una patente finalmente definitiva di assoluzione agli inquirenti che hanno sbagliato: sono uomini, come noi, come tutti, non c’è niente di male. Non mi fate tornare alla mente le parole del Manzoni, di quei Giudici della peste di Milano del 1630 quando dice: “potevano fargli tante domande, ma avevano paura di non trovarlo reo.” E che le domande non gliele abbiano fatte al. .. Ora visto che si apre questa parentesi, chiudiamo anche subito, una volta per tutte. E che le domande non gliele abbiano fatte al Lotti, mentre invece era loro dovere di fargliele. Perché sta venendo da te non un testimone, ma sta venendo da te un colpevole, uno che si dichiara colpevole. Ma mica colpevole così, eh? Di cose, di cosette da bar. Quante volte entrano i bar in questa storia? No, no, colpevole di cose orrende, di cose che non ricorda la cronaca giudiziaria italiana, ma non di questo secolo, bisogna andare… Non lo so, a me mi viene in mente Gii de Rez (?), il Maresciallo di Francia della fine del ‘400, che era un pedofilo che uccideva i bambini, che però ebbe un bellissimo, catartico, pentimento, si dichiarò colpevole e andò, per espiare, sul rogo, pur essendo un pari di Francia. Qui purtroppo no, siamo proprio nella terra, terra. Qui di catartico non c’ho visto nulla. Ecco, allora, quando arriva un colpevole, da te inquirente, quale deve essere – e qui l’abbozzo, eh, signori, faccio solo un accenno, però ve lo propongo sotto un profilo di movente, di causale a cui arriveremo – quale deve essere, secondo voi che non siete poliziotti di professione, l’atteggiamento psicologico e intellettuale dell’inquirente nei confronti di chi si sta confessando colpevole – hai detto niente – di cose di questo genere? Deve essere un atteggiamento – la risposta che il buonsenso comune detterebbe – estremamente critico, per tutte le ragioni che abbiamo illustrato anche ieri mattina e che riguardano la Corte di Cassazione, la Giurisprudenza pacifica e il buonsenso comune. Che faccio, me lo bevo subito? Ah, finalmente. Come dice Alessandro Manzoni: “dissero: finalmente”, quando trovarono uno che sotto tortura confessava. Invece avrebbero dovuto dire “siamo da capo”. Deve essere quantomeno un atteggiamento di sana, realistica, razionale diffidenza. Ma anche perché glielo impone la legge, fra l’altro. Guardate, Signori, questa non è psicologia, diciamo a buon mercato o di bassa lega, è la legge che impone all’inquirente, come lo impone al Giudice – è il comma III dell’articolo 192 del Codice di procedura penale – che detta una regola di giudizio. Dice: quando arriva un chiamante in correità, cioè quando arriva da voi un signore, quando trovate uno che si dichiara colpevole e chiama come colpevoli a loro volta altre persone, la legge cosa dice? Lo dico per i Giudici non togati, ovviamente, l’ho detto ieri mattina. Dice: “c’è una presunzione relativa di non credibilità”. Intanto io non ti credo. Infatti il comma III cosa dice? Dice: “Le dichiarazioni di colui che chiama in correità vanno valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne corroborano la veridicità,”. Quindi l’atteggiamento psicologico – qui non si va a psicologismo – l’atteggiamento psicologico in questo caso è imposto dalla legge. Come è imposto al Giudice a maggior ragione è imposto all”inquirente che inizia un’inchiesta; che impegna, come si suol dire, i soldi dei contribuenti, montando… provocando a volte processi elefantiaci che durano anni, distogliendo dalle loro normali occupazioni persone che di queste cose non volevano magari neanche occuparsene ma che per dovere civico lo devono fare. Impegnando anche le coscienze, oltre alla sofferenza di una persona che, comunque vada, ha passato un anno e 8 mesi, eh. Come diceva Salvatore Saatta – e sanno chi è i Giudici togati – forse il più grande giurista di questo secolo insieme a De Marsico: ”Il processo è già la pena.” 220 lettere in un anno e 8 mesi sono già la pena. Allora, siccome si sta parlando di carne viva, di persone vere, non si sta facendo finzione, spettacolo, maledizione, anche alle televisioni, tutto. C’è sempre una la sensazione… adesso ormai ci invade lo spettacolo, anche nella vita privata. Qui però non è spettacolo. L’atteggiamento dell’inquirente, intanto per una ragione morale, che va prima ancora della legge, di rispetto, di rispetto del prossimo, di conformità a quella vecchia regola che, prima ancora di essere una regola positiva, cristiana, è una regola di convivenza: non fare agli altri ciò che non vorresti che fosse fatto a te stesso. Che deve fare? Deve semplicemente avere un atteggiamento di sana diffidenza. Perché questo non è un testimone, è il Lotti: è molto peggio, è un colpevole perbacco! E noi sappiamo, no? Prova infida, prova aggravata di sospetto; lo abbiamo detto ieri. E quindi in un atteggiamento di sana diffidenza, imposto dalla legge – presunzione relativa di non credibilità’, dice quell’articolo 192 comma III; regola positiva di giudizio, ora per voi, ma prima anche per loro – deve cominciare a mettere sotto chi parla. Ma metterlo sotto per davvero. Fare, cioè, quello che impone di fare, in applicazione della legge, proprio la Corte Suprema, Sezioni Unite. Quindi: la personalità. La personalità. La personalità già deve mettere ancora di più sull’avviso 1’inquirente, in questo caso. E sappiamo, 1’abbiamo detto ieri. La personalità, le sue condizioni socio-economiche. Che rischi corre a parlare, questo? Nessuno, tutti vantaggi. Questo è uno che non c’ha passato, non c’ha niente dietro, non ha da rendere conto a nessuno. È ospitato per dormire. E familiari non ci sono. Il suo passato, affetti, credenze religiose: niente. I rapporti con i chiamati in correità: zero. Tipo ideale, si diceva ieri, di calunniatore professionista, per tornaconto. Allora, un inquirente, che si fosse posto in questo sano atteggiamento, sarebbe stato un inquirente come — perché a volte le esemplificazioni letterarie, a modestissimo avviso di chi vi parla, evidentemente sono molto più efficaci per rendere un’idea delle modeste parole dell’avvocato – “Delitto e castigo”, qualcuno di voi l’avrà letto, Dostoevskij. Anche lì c’è uno che confessa. C’è un inquirente. C’è il giudice Porfiri che a un certo punto si vede arrivare un tizio che dice: ‘io, io sono colpevole, io ho ucciso la vecchia, l’usuraia, io ho ucciso sua sorella. Sono io, sono io, sono io’. E sapete, siccome il Giudice è una persona che ragiona, che si pone senza che ci fosse, forse, a quell’epoca, nella Russia dell’500, l’articolo 192 del Codice di procedura penale che c’abbiamo invece oggi e che è una conquista di civiltà giuridica, non ce l’avevano allora, avevano le mani molto più libere di adesso; lui, quando poi parla, parla con quello che lui ritiene essere il colpevole vero, guardate un po’ con che atteggiamento si è messo di fronte a uno che è venuto a confessarsi colpevole. Dice: “Lui stesso mi racconterà tutto. Verrà da me. Credete che resisterà? Aspettate. Si disdirà ancora. Da un’ora all’altra aspetto che venga a ritrattare la sua confessione.” Non ci crede alla confessione: sano atteggiamento di diffidenza. “Io a quel Mikolca ho messo affezione e lo studierò, lo studierò sino in fondo.” Io non ho visto nessuno studio sul Lotti. Si sta facendo in questo processo, ma mica l’hanno fatto gli inquirenti prima. “Lo studierò sino in fondo” – ci sono le repliche eh, Pubblico Ministero – “e che cosa credereste? Su certi plinti…” Attenzione, qui ci sono delle analogie impressionanti. “Su certi punti mi ha risposto in modo molto sensato, evidentemente aveva ricevuto le necessarie informazioni e si era preparato abilmente.” – Lo stesso non si può dire del Lotti – “Su altri punti, invece, cade subito in fallo. Non sa un bel nulla….” E quante volte lo stiamo vedendo per il Lotti, poverino: non lo sa cosa deve rispondere. Non c’era, non ha visto. Cosa ha detto nella telefonata alla Filippa? ‘Ma io un c’ero, ma che gli dico? L’avvocato mi dice devi dire di più, ma che gli dico?’ “Non sa un bel nulla, non è informato.” Non era informato della posizione del cadaveri nel furgone a Giogoli. “E lui stesso non sospetta di non sapere”, è bellissima questa. Guardate a Vicchio, quante volte non hanno sospettato di non sapere a tal punto che non capiva neanche le domande suggestive che gli venivano fatte dai difensori per metterci una pezza sulle falsità che aveva detto. “No, Mikolca non c’entra. Questo è un fatto fantastico” – e si potrebbe dire anche di questi fatti – “tenebroso, un fatto di attualità, un caso proprio di questo nostro tempo, in cui il cuore dell’uomo si è ottenebrato…” Eccetera, eccetera, eccetera. E io chiudo l’argomento atteggiamento psicologico degli inquirenti, di fronte a uno che non è un testimone, ma che è un colpevole, che si sta confessando colpevole e chiama altri. Atteggiamento psicologico che, secondo l’opinione modesta di chi vi parla, questo doveva essere. E secondo la legge, prima ancora che secondo la mia opinione, questo doveva essere e non è stato. Ma può essere il vostro. Deve essere il vostro. E quindi andiamo avanti, continuiamo a far parlare il Lotti. La luce a Vicchio. Gli Scopeti. Si comincia da alcune contraddizioni che riguardano le distanze. E qui ho già detto. Cioè, possono anche essere classificate come dati marginali, ma in una valutazione complessiva di credibilità di colui che narra, cioè di capacità -addirittura anche in buona fede – di capacità di colui che narra, di raccontare le cose per davvero come stanno, beh, deve influire questo. Domanda: a che distanza erano Vanni e Pacciani quando minacciarono il Lotti che si era portato dietro il Pucci. Vi ricordate no? C’è questo strano palo che… poi, in questo caso non è neanche un palo. Lo notò, mi ricordo, anche il Presidente. Dice: come? Uno che fa il palo si mette d’accordo, ci si I ritrova, anche separatamente, ma ci si ritrova nello stesso momento, o, comunque, prima di cominciare ad agire si aspetta che ci siano tutti i complici sul posto. A Scopeti neanche questo è successo. Anche qui siamo a livello proprio terra terra, eh, voglio dire, dal punto di vista della credibilità. Questo arriva, loro non lo hanno neanche aspettato, tant’è vero che loro sono già in azione. Quando lui arriva dice che sta vedendo già il Vanni che sta squarciando la tenda, lui dice: “Sul davanti dello stradello per chi sale.” E dice un’altra palesissima falsità. E poi la illustreremo. Va bene? E quindi questo palo qui non è neanche un palo. Ma i che palo è? Questi hanno cominciato a fare senza di lui? Anche qui, causale: non si sa. Certo un palo non può essere. Perché a Scopeti, da un punto di vista di, voglio dire, della conformazione dei luoghi, in effetti un palo si poteva spiegare, giustificare. Non è come a Baccaiano, siamo sul rettilineo con le macchine che arrivano a 200 all’ora e quindi 11 un palo lo possono soltanto mettere sotto, non serve a niente un palo. Qui invece il palo poteva servire, perché era un luogo notoriamente frequentato da coppie, d’estate, a quell’ora, più che verosimile, sabato o domenica che fosse – si parlerà di questo, ne parlerà il mio collega – va bene?, e quindi fine settimana, sera di festa se non sbaglio in un paese vicino. Più che naturale che ci fossero altre coppie che potevano imboccare quella stradina che portava su quella piazzola. Lì un palo poteva servire, come deterrente. Madonna c’è già qualcuno, via via, andiamo via. E proprio quando il palo deve servire, in questo caso il palo non c’è. Perché Vanni e Pacciani hanno già cominciato. E lo vedremo, perché lui li descrive… descrive in particolare la prima cosa che ha visto: Vanni che squarcia la tenda. Quindi proprio di lui se ne sono importati il giusto, come si dice, cioè niente, i Addirittura poi lo considerano così poco palo e così poco complice che lui… immaginate voi un 1 palo che si porta dietro un testimone? Cioè, anche questo, questo… come si chiama? 

(voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Pucci. Questo Pucci, va be’, è testimone. Poi arriveremo anche a lui. Di forma è testimone, no? I Voi vi aggrappate alle forme perché avete perso di vista i principi. Dico, ma ve lo immaginate voi un palo, . in un’associazione per delinquere – queste sono le contestazioni eh, i capi di accusa sono questi – un palo, in un’associazione per delinquere, che intanto non è un palo, perché arriva lì e quelli hanno cominciato tranquilli senza di lui, e poi che si porta dietro un testimone. Allora non era un testimone Pucci. Perché su un piano di buona logica, o si dice che Pucci era della combriccola, e allora si spiega che hanno continuato a fare lo scempio che hanno fatto alla presenza sostanzialmente del Pucci, come ci viene detto; oppure, se Pucci è un testimone, la cosa non si regge più, su un piano di logica elementare, anche qui, di buonsenso comune. Voi ce lo vedete tre che vanno a fare una rapina in banca, c’è il palo – quello che sta fuori della banca mentre i due con le pistole dicono ‘in alto le mani’, eccetera, eccetera – e il palo c’ha il suo amico, dice: ora stai a vedere che succede. Ma siamo impazziti? Ma dico, la prima risposta è: siamo matti? Ma non solo. Questi qui si arrabbiano – meno male, una reazione comprensibile – quando vedono un terzo estraneo, dice: ‘ che sei impazzito? ‘ Ma, nonostante l’arrabbiatura, proseguono nella loro azione omicidiaria e quindi cooptano un possibile delatore. Tant’è vero che poi: ‘se ne parlò al bar’, ci dice il Pubblico Ministero: tutti ne parlavano al bar, tutti lo sapevano, tutta San Casciano lo sapeva e nessuno ha mai parlato. E qui si arriva proprio nell’iperuranio. Questa come situazione di contorno, eh. La vogliamo chiamare di contorno? No, questa è decisiva, è fondamentale. Cioè, di assoluta inverosimiglianza. Questo fa parte del capitolo dell’inverosimiglianze. Assoluta, totale. Ma come si può giustificare una cosa del genere? Stiamo parlando di omicidi, di squartamenti. E quindi le distanze. Dice: a che distanza erano Vanni e Pacciani quando minacciarono il Lotti che si era portato dietro il Pucci? Incidente probatorio, volume II, pagina 39. Risposta del Lotti: “A tre-quattro metri il massimo.” Cioè, da qui a lì. Tre-quattro metri il massimo.” Invece poi, all’udienza del 09/12/97, fascicolo 63, pagina 17, risposta del Lotti alla stessa domanda: “No, no, io ho detto una distanza di 12 metri.” Come? Tre-quattro metri: “12 metri.” Sta cominciando, si potrebbe dire, a prendere le distanze. Visto che si parla di distanze… Proseguiamo con le situazioni di contorno. Già 17inverosimiglianza diciamo di base: palo, che non è un palo perché non lo considerano neanche loro un palo; palo che si porta un testimone, non si è mai visto in natura; testimone che dovrebbe far fallire il piano, tant’è vero che loro si arrabbiano in effetti quando lo vedono, e che il piano invece non lo fa fallire perché loro lo vedono, si arrabbiano, ma continuano a fare quello che dovevano fare; testimone che, come era più che prevedibile, insieme al palo un po’ meno prevedibile, il giorno dopo, la sera stessa, ne va a parlare al bar dicendo: ‘ma eravamo agli Scopeti’, facendo chiaramente intendere, gli Scopeti significava l’omicidio in quel contesto, in quella situazione. Ulteriore, straordinaria inverosimiglianza, ma ci vorrebbe una prova più efficace di inverosimiglianza per dire… assurdità. E quindi, in questo quadro di premessa, va bene, luce agli Scopeti. Sappiamo come ha parlato della situazione di assoluto buio. Qui c’è la questione della luna nascente, crescente, io non ci voglio neanche entrare. Queste sono le parole del Lotti. Allora, si parla della luna, a incidente probatorio, volume II, pagina 41. “Lotti, c’era la luna?” “Ci sarà stata la luna.” Non: c’era. “Ci sarà stata la luna.” Poi, all’udienza del 09/12, fascicolo 63, pagina 34. Lotti più preciso, anche qui: “C’era un po’ di luna.” Io non sto dicendo, non sarò io a chiarire – voi lo dovrete valutare dalle carte processuali, dalle testimonianze, Osservatorio di Arcetri, quello che vi pare – se la luna c’era o non c’era. Io mi sto fermando su quello che lui dichiara. Guardate la progressione, si direbbe, guardate l’aggiustamento. Da un contesto iniziale, come è successo negli altri casi, di buio totale, quando si capisce l’assoluta falsità e inverosimiglianza di qualunque racconto in un contesto, piano piano comincia a emergere qualche luce. La pila elettrica a Vicchio. Ora, all’udienza del 09/12: “C’era un po’ di luna”. Poi gli si chiede: “Ma la tenda era illuminata?” Perché magari, se c’era un po’ di luna, poteva non bastare quel po’ di luna che c’era per fare quello che si doveva fare, come gli si è chiesto a Vicchio. “La tenda era illuminata?” “Lotti: No, non vedevo luci dentro.” Poi dice: “Non lo so.” In un unico contesto dice queste due cose. Pagina 41, incidente probatorio, volume II. Insiste, invece, all’udienza del 09/12. Guardate l’aggiustamento, guardate l’aggiustamento. Dalle luci, dal buio totale, ecco, nasce la luce. Dal buio emerge la luce, piano piano. Perché, mentre all’incidente probatorio aveva detto: “Io non vedevo luci dentro la tenda. Non so.” Alla stessa domanda fattagli il 09/12, fascicolo 63, dice Lotti: “Sì, c’era la luce dentro la tenda.” Stessa domanda sulla pila. Gli chiedono: “Ma ce l’avevano la pila?” E siamo nel contesto delle udienze dibattimentali, quando finalmente emerge a Vicchio, per la prima volta, una pila elettrica e quindi chiaramente fioccano le domande anche sugli altri episodi omicidiari, no? Pagina 80, fascicolo 60, udienza 5 dicembre: “Ce l’avevano una pila agli Scopeti?” “No. Agli Scopeti no.” Perché siccome ha detto una grossa bugia a proposito di Vicchio, un istinto proprio elementare gli impone di limitarla questa storia delle pile, perché è un terreno paludoso questo qui; sabbie mobili sono. Allora la prima risposta: “No.” Poi dice: ‘Madonna, come si fa? C’era un po’ dì luna, non basta’. Perché poi dentro la tenda non è possibile che non si vedesse nulla. Allora, udienza 09/12, fascicolo 63. Stessa domanda: “Ce l’avevano una pila…?” Dice: “Non ho visto nulla.” È questo il refugium peccatorum. “Non ho visto nulla”, fate voi. Dunque, i Magistrati, a proposito di luci, e mi limito a riferire cosa ha scritto uno dei Magistrati che si sono occupati di questa vicenda, con riferimento a Pacciani, prima di noi. A proposito degli Scopeti, dice, commenta così: “Questo, completamente al buio. Perché, per quanto il Giudice di I Grado dica che c’era la luna che mostrava metà della sua faccia, in realtà risulta, senz’ombra di dubbio, dalle attestazioni dell’Osservatorio di Arcetri, che era iniziato da un giorno l’ultimo quarto di luna. E che l’8 settembre la luna sorgeva alle 23.14 con ora solare e quindi a mezzanotte e un quarto con l’ora legale, che al momento vigeva. “Era buio pesto. E anche una certa luce, anche secondo i periti di Modena” – De Fazio e compagni – “ci sarebbe stata solo a partire dalle due di notte.” Non aggiungo altro sulla luce agli Scopeti, perché a me interessa quello che dichiara il Lotti. A me interessa soprattutto – poi voi valuterete anche il resto, valuterete questo, valuterete le testimonianze e tutto – in questo momento deve interessarci, Signori della Corte, come direbbe qualcuno, dice: la progressione, no. Ha da interessarci i successivi aggiustamenti, in modo tale, come dice la Suprema Corte delle Sezioni Unite, a far quadrare la propria versione a dati, con dati che con essa sarebbero incompatibili. Dati naturali: la pila in mano, il coltello. Dati naturali: l’illuminazione. Dati accertati da perizie e da sopralluoghi. Come morì la Pia Rontini, alla fine dice: ‘boh, l’avrà anche presa, qualche colpo gliel’avrà anche sparato’. Questo, Signori, non è semplicemente – insisto -un sintomo, diciamo così, che non possono essere utilizzate queste affermazioni per dire che la sua versione è intrinsecamente credibile. No, no. Questa è la prova provata della falsità intrinseca della sua dichiarazione, eh. È la prova provata, questa. Non è un indizio. Quando c’è la prova che il ripensamento, la ritrattazione, l’aggiustamento, non è genuino, ma è conseguenza di contestazioni, ma è conseguenza di incompatibilità con dati acquisiti processualmente, uguale: ciò vuol dire che è falso il racconto. Scopeti: falsità obiettive. Allora, a proposito del taglio della tenda, incidente probatorio, incidente probatorio volume I pagina 79. Dice Lotti: “E poi sento tagliare la tenda lì, sul davanti…” Sul davanti, tenete presente quello che dice. Questa è la prima affermazione che fa nell’incidente probatorio. “Sento tagliare la tenda lì, sul davanti, che viene dalla strada andando in su” – è un po’ arzigogolato, ma si capisce – “sul davanti che viene dalla strada andando in su.” Lui sta salendo la strada, c’è la tenda lì, sulla piazzola. E lui parla di taglio sulla tenda sul davanti, che viene dalla strada. Cioè a dire: io l’ho visto, perché… Perché dice poi varie volte che lo ha visto tagliare. E quindi il taglio si presuppone che sia sul davanti; perché se il taglio fosse sul di dietro, non avrebbe potuto vedere tagliare. Noi sappiamo che questo è contro un dato oggettivo acquisito dalle perizie, dai sopralluoghi. Perché il taglio, quando poi il Lotti lo ha addirittura indicato con la penna, lo ha indicato in un punto completamente sbagliato e opposto. Cioè, lui non poteva vedere, salendo lo stradello, il taglio della tenda. E invece insiste e ci si infogna. Perché? Pagina 79, incidente probatorio, volume I: “E poi sento tagliare la tenda lì, sul davanti, che viene dalla strada andando in su”, pagina 78. Poi, pagina 7 9, dice: “Io ho visto…” – “Ho visto”, precisa – “Ho visto, c’era Mario che tagliava la tenda lì dentro.” Incidente probatorio volume II, pagina 37. Domanda dell’avvocato Santoni Franchettti: “Lei conferma che il Vanni entrò dalla parte posteriore della tenda?” Perché, ha detto prima: “Sul davanti che viene dalla strada andando in su”, poi dice lo ha visto. Se era sulla parte posteriore, non lo poteva vedere. Dice: “Sì.” Pagina 37. Siamo al dibattimento. Udienza 28/11/97, fascicolo 54, pagina 62. Questa è ancora più chiara. Fascicolo 54, pagina 62: “Io l’ho visto tagliare da una parte la tenda, come uno strappo, così.” Ancora: udienza 5 dicembre, fascicolo 60, pagina 53. Domanda: “Ma è sicuro di averlo visto?”, perché la domanda è questa, no? Perché noi abbiamo il fascicolo fotografico della Polizia Scientifica che inquadra la piazzola, la inquadra proprio dalla posizione che aveva il Lotti, mentre saliva lo stradello, e non c’è versi, Signori. Questo è proprio impossibile in natura. A meno che non fosse Mandrake che vede attraverso le cose, dico, perché è proprio dalla parte opposta il taglio. E allora la domanda gliela fanno 25 volte. Fascicolo 60, pagina 53: “Ma lo ha visto tagliare la tenda?” Non poteva dire: l’ho sentito. E’ già diverso, no? “Ho sentito, ho sentito questi sinistri rumori di strappo”. Però poi, quando si tratta di dire quanti colpi di pistola sono stati sparati, sbaglia sempre regolarmente: ‘ne avrà sparati due’. Porca miseria, ma un colpo di pistola sarà un po’ più forte di uno strappo di tenda con un coltello! Dice: “L’ho visto si, tagliare la tenda.” E insiste, lo ha visto, visto, visto, visto. Udienza 09/12, fascicolo 63, pagina 18: “L’ho visto tagliare. E quanto lo devo ripetere?” ‘E quanto lo devo ripetere? Basta, non me lo chiedete più. Quante volte ve lo devo dire? L’ho visto’. E noi quante volte glielo dobbiamo ripetere? Sei un bugiardo, perché non lo potevi vedere. E sei cosi bugiardo che te la sei firmata la tua bugia. Ma che faccia tosta, se l’è firmata la bugia. Gli ho messo la penna in mano e lui, con molta tranquillità, ha segnato le crocine. Andate a vedere. Qui sono le falsità oggettive. Non è ridicola, questa è tragica ma è sempre una falsità oggettiva. Ci sono le fotografie. È la foto numero 7, se non vado errato – l’ho qui sottomano – è la foto numero 7 del fascicolo fotografico degli Scopeti, dove lui ha lasciato il segno indelebile dell’inchiostro penna biro, indicando il punto dello strappo della tenda in un punto in effetti compatibile col suo racconto, perché è sul davanti per chi sale lo stradello. Semplicemente, però, il punto è quello sbagliato. È esattamente opposto a quello vero. Falsità oggettiva. Dice: ma… Attenzione, perché questa è una falsità proprio callida, eh, se ci pensate bene. Non è una di quelle falsità cosi, eh. Perché il momento del Vanni, che col coltello – è tornato una marea di volte in questa storia – che col coltello, questi sinistri rumori di strappi di tende, del Vanni che col coltello taglia, beh, insomma, lì è Vanni, eh. Lì c’è Vanni: ‘l’ho visto, era Vanni che tagliava’. Se invece si scopre che tu hai detto una falsità su questo, bah, e allora per me è falso anche che tu hai visto Vanni. Del resto lo ha anche detto, lo ha detto alla Nicoletti in quella telefonata. L’unica volta in cui non stava parlando circondato da poliziotti, circondato da Magistrati, circondato da toghe nere, circondato dai Giudici. Per uno sfogo umanissimo, lo ha detto, ma… Dice: ‘ma io non li ho riconosciuti. Mah, io ho visto due, non li ho riconosciuti’. Dice: “Io non li ho riconosciuti.” Se ha visto qualcuno. E se lo ha visto, non lo ha riconosciuto. E allora, fascicolo 63, pagina 18, udienza 09/12: “L’ho visto tagliare. E quanto lo devo ripetere?” E quindi, Lotti, ricordo a questa Corte, indica il Vanni esattamente in corrispondenza della lettera C della foto numero 7 del rilievo fotografico. Credo che sia pagina 25, questo rilievo fotografico. Che è, ripeto, falso. Bugia, non sbagliato. È stato coerente, lo ha portato fino in fondo. Siccome non poteva più dire, dopo aver detto una decina di volte: “Ho visto, ho visto, ho visto…”, non poteva più con la penna andare a segnare di là; perché, se segnava di là, dice: ma come hai fatto a vederlo? E allora doveva indicare un punto compatibile con la sua posizione. Soltanto che il punto compatibile con la sua posizione, insisto insisto, insiste l’evidenza, la verità, la realtà – era il punto diametralmente opposto a quello dove c’era il taglio della tenda. E, all’udienza dell’ll dicembre ’97… Perché su questa cosa naturalmente si scatena poi la folla delle domande, il conflitto delle tesi, no? La verità deve emergere dal conflitto delle tesi i contrapposte. Ottimo criterio di ricerca della verità. La verità non deve mai essere preconcetta, la verità non deve essere una cosa che uno si tiene dentro per sensazione. Può avere le sue opinioni, le sue sensazioni. Ma quando è chiamato a fare il Giudice, la verità deve essere il risultato di un lavoro, di un ragionamento, di una conferma. Quindi, fioccano le domande su questo: vediamo un po’, ma non è sicuro, ma… Ma forse possiamo farlo rifugiare… possiamo farlo rifugiare in qualche “non ricordo”, in qualche refugium peccatorum. Eh, e allora, fascicolo 64, pagina 20. Fascicolo 64 pagina 20, Signori, udienza dell’11 dicembre. Presidente… No, Presidente, evidentemente le mie osservazioni non riguardavano il Presidente, riguardavano le parti civili. E il Presidente che, anche lui, dice: ma com’è possibile? Mi hai appena segnato con una disinvoltura, con una faccia tosta, bisognerebbe dire a questo punto, da presa in giro di tutti noi. Del resto, un autistico come lui… Come lo ha descritto il Pubblico Ministero? Uno che non gliene importa niente del suo prossimo. E quindi non gliene importa niente neanche di voi, di noi. ‘Giudicatemi come diavolo vi pare, io segno quello che mi pare…’ Dice: ‘ma è un’offesa alla nostra intelligenza, ma ci stai considerando degli imbecilli’. ‘E che me ne importa a me? Io ve lo segno lo stesso’. Sicché il Presidente, dice: “Ma quando lei dice” -pagina 20 – “che il Vanni ha tagliato la tenda, ha mimato, ha fatto un gesto così.” Imputato Lotti: “Sì, dalla parte opposta, così. Però…” “Scusi” – dice il Presidente – “lei ha detto, lei gli ha visto il coltello in mano, lo ha visto il coltello, o non lo ha visto?” Imputato Lotti: “Sì, sì, l’ho visto.” Non lo poteva vedere. Il Presidente insiste: “O ha immaginato che tagliasse?” Forse si sta confondendo. “No” – dice Lotti – “No, io ho visto…” Presidente, “Io ho visto tagliava con il coltello. Sì, e vedevo.” Insiste Lei: “Lo vedeva lei, sì o no?” “Sì e vedevo, anche se gl’ero un pochino distante, si vede.” “Dov’era lei, dov’era lei?”, dice il Presidente. “Sì, dov’ero io.” Il Presidente, si conclude con un “Mah….” È suo. Un “Mah…” con tre puntini di sospensione. Fine dell’esame sulla questione del taglio della tenda. Sempre all’udienza dell’11 dicembre, fascicolo 64. E qui c’è l’avvocato Bertini, eccolo qui, all’udienza dell’11 dicembre, fascicolo 64, pagina 43. Siamo sempre al taglio della tenda eh, perché sa, quella è una cosa insormontabile, eh. L’avvocato Bertini dice: “Soltanto due precisazioni. La prima riguarda gli Scopeti.” Dice: “Lei ha detto alla scorsa udienza e oggi lo ha ripetuto…” Mi pare proprio lo avesse ripetuto a lei, mi pare, alla stessa udienza, Presidente… Sì, fascicolo 64, 11/12. Poco dopo il suo esame. Dice: “E oggi lo ha ripetuto, che ha visto il Vanni tagliare la tenda.” Imputato Lotti : “Sì.” “Avvocato Bertini: Lei ha detto alla scorsa udienza… Quando ha visto il Vanni compiere questo gesto” – dice – “il Vanni era di spalle? Lo vedeva di spalle, lei?” Risposta del Lotti: “No, proprio di spalle no. Vedevo quando tagliava. Quando faceva lo strappo cosi, vedevo.” Ma che altro vi devo dire? Lo ha detto prima, glielo avete chiesto 50 volte. Va be’, abbiamo visto cosa ha visto, come lo ha visto, che rispetto ha avuto per la vostra persona di Giudici. Andiamo avanti, perché a Scopeti la dinamica è particolarmente complessa, come sappiamo, come risulta dalle obiettive ricostruzioni che sono state effettuate dalla Polizia Scientifica, da seri inquirenti: dottor Perugini, eccetera; dai medici legali, eccetera, eccetera. Allora, cosa succede dopo che Vanni taglia la tenda? Domande: “Una volta tagliata la tenda, Vanni che fa?” Perché uno dice: ma Vanni taglia la tenda, che farà? Entrerà dentro. Noi sappiamo, Signori della Corte – anche questo è un dato assolutamente oggettivo e incontrovertibile – che lo strappo è di circa 40 centimetri. Quindi, in natura, è impossibile a Vanni – per secco e lungo che sia – entrare nella tenda da quello strappor eh. Attenzione, questo è un fatto oggettivo. Quindi, domanda: “Una volta tagliata la tenda, Vanni che fa?” All’incidente… incidente probatorio, volume I, pagina 80. “Lotti: Poi si sente entrar dentro.” Incidente, volume II, pagina 37. A domanda dell’avvocato Santoni Franchetti: “Lei conferma che il Vanni entrò dalla parte posteriore della tenda?” Risposta del Lotti: “Sì.” Forse ancora non sapeva di quanti centimetri era il taglio. Signori, queste sono falsità oggettive, eh. Queste sono le parole del Lotti. C’è un fatto certo e c’è la risposta del Lotti. Voi dovete comparare il racconto del Lotti col fatto certo. Quelle che, secondo il Pubblico Ministero, sarebbero aderenze perfette, incontrovertibili, queste sono, eh? Il racconto del Lotti coincide perfettamente con le ricostruzioni… Ma non è che le ricostruzioni sono immaginazioni degli inquirenti; la ricostruzione è: c’è un taglio, uno solo – quindi quello deve essere il taglio di cui sta parlando – che è tale da non consentire a nessuno, neanche a un bambino, di entrare. Falso. Quindi, qui sono falsità. Io non le ho ancora contate, mi auguro lo facciate voi, poi, quando giudicherete. “Lei conferma che il Vanni entrò dalla parte posteriore della tenda?” Lotti, pagina 37, incidente probatorio: Sì.” Poi arriviamo al dibattimento. Forse ha avuto qualche divinazione. Chi lo sa, forse è riuscito a immaginare quanto era lungo questo strappo. Udienza del 5 dicembre, fascicolo 60, pagina 54. A domanda dell’avvocato Filastò: “E lei ha visto, subito dopo, entrare dentro la tenda il Vanni?” Lotti, guardate bellina: “Può darsi che in quel momento mi sia spostato. E che sia andato dentro. Poi non l’ho rivisto più.” Ora non è più tanto certo l’ingresso del Vanni dentro la tenda dallo strappo, dopo sei mesi dall’incidente probatorio. Guarda bellina! Pagina 55, Lotti, stessa domanda: “No, non l’ho rivisto più. Sarà entrato di certo.” Però non dice più: ‘l’ho visto entrare’. “Sarà entrato di certo.” Andiamo avanti. Questi sono i famosi aggiustamenti non spontanei, ma correlati, va bene, a risultanze processuali oggettive, incontrovertibili, E quindi sono aggiustamenti. Non genuini ripensamenti, sono aggiustamenti. Quindi sono la prova della falsità del racconto, eh, lo dice la Cassazione, Sezioni Unite. Queste sono la prova della falsità del racconto, della falsità di chi parla, eh. Andiamo avanti: “Nel momento in cui il giovane francese scappava…” Allora, Vanni fa questo taglio; lo fa, dice che lo ha visto, non lo poteva vedere. Falso. Poi dice che entra nella tenda. Falso, il taglio non lo consente. Dice: ‘va be’, non l’ho visto. Sarà entrato, non sarà entrato… Poi non l’ho rivisto più, quindi sarà entrato’. Non è più: “È entrato”, “Sarà entrato”. In questo momento il Vanni noi non sappiamo più, in base al racconto del Lotti, se è dentro la tenda, se è fuori dalla tenda, se ci è entrato dallo strappo e se non ci è entrato dallo strappo. “Nel momento in cui il giovane scappava” – noi sappiamo che uscì di corsa dalla… ci fu un inseguimento, no? Eccetera – “Vanni, dov’è?” Udienza 28 novembre, fascicolo 54 pagina 62. Risposta del Lotti: “Lì fuori un c’era. Dentro la tenda.” “Lì fuori un c’era”. – Plinto – “Dentro la tenda.” Udienza del 5 /12, fascicolo 60, pagina 57. Stessa domanda. Risposta del Lotti: “Io l’ho visto, gl’era dentro certamente.” “Io l’ho visto. Gl’era dentro certamente”, pagina 7. Poi: “Io l’ho visto entrare, ma dopo, se c’era sempre dentro…” Pagina 58: “Pensai che fosse entrato dentro, ecco.” Che bello quell’ “Ecco”. Oh, che sospiro di sollievo. Cominciava a sudare. Dice; mah, questa storia… è dentro, fuori, dentro fuori… Io pensai che era dentro. Quindi, noi abbiamo una verosimile, o certa, in base al racconto del Lotti, presenza del Vanni dentro la tenda – sarebbe entrato non dall’entrata principale, ma dallo squarcio – nel momento in cui il ragazzo francese esce di corsa dalla tenda. E insiste, pagina 58, udienza 05/12, fascicolo 60. Risposta del Lotti: “Sì, quando un l’ho visto più, sarà entrato dentro la tenda.” “Sarà entrato dentro la tenda,” “E’ entrato.” “Sarà entrato.” “Non l’ho visto più.” Quindi, siccome la tenda, Signori, è alta 1 metro e 40, con una circonferenza di 1 metro e 10. Non lo so, comunque è alta 1 metro e 40. A igloo, non a capanna, com’è stato detto. Proprio tonda, a igloo. Guardate le foto. Quindi, c’è questo, che tra l’altro è alto il Vanni, che scompare alla sua vista, la risposta più verosimile è che sia dentro la tenda, quando scappa dalla tenda il ragazzo francese. Dice… Attenzione, allora: pagina 58… siamo, guardate un po ‘, qui si comincia proprio in modo impressionante a beccheggiare la barca, no? Proprio così, di fronte all’urto dei flutti, delle onde. Udienza 05/12, fascicolo 60. Ha detto, pagina 58: “Pensai che fosse entrato dentro, ecco.” Pagina 58: “Sì, quando un l’ho visto più, sarà entrato dentro al tenda.” Pagina 58, stessa pagina: “Mah, io credo dentro non c’era.”. Pagina 58: “No, gl’era fuori della tenda.” Nella stessa pagina, nello stesso contesto, ha detto tutto e il contrario di tutto. “Ma io credo dentro non c’era.” “No, gl’era fuori la tenda.” La domanda era: Quando è scappato il ragazzo francese.” Pagina 59, stessa domanda, stesso contesto: “Ma se era rimasto dentro, come fo a vedere io? Sarà risortito quando gl’è sortito il coso.” Anche il ragazzo francese, a questo punto, diventa “coso”. “Sarà risortito…”, allora, ma com’è, com’è risortito quando è sortito il coso? Cioè… Vanni, non si sa come, entra dentro la tenda. Ci sono due persone. Non si sa la povera donna che fine fa, perché ancora non se ne sta parlando. C’è questo ragazzo francese, che, siccome è stato trovato fuori il cadavere, sarà uscito dalla tenda. Non ci sta dicendo mica niente di nuovo, il Lotti. Lo sanno tutti che il cadavere del ragazzo francese è stato trovato fuori dalla tenda, su un cespuglio. Quindi sarà per forza uscito dalla tenda. È meno verosimile pensare che qualcuno lo abbia preso in braccio e se lo sia portato fuori. Per quale ragione? No? Posto che, dato di esperienza comune anche per chi ha letto i giornali e le cronache di questi fatti, il ragazzo francese fu trovato fuori. Caso particolare, perché generalmente il “mostro” porta fuori dalla macchina la vittima femminile. In questo caso, la vittima femminile è rimasta dentro la tenda. E il ragazzo ha avuto una reazione, poverino, non è morto subito, e quindi è uscito. Dice: “Ma io credo dentro non c’era. No, gl’era fuori della tenda. Ma se era rimasto dentro, come fo a vedere io? Sarà risortito quando gl’è sortito il coso.” Stessa domanda, udienza 9 dicembre, fascicolo 63, pagina 27. Domanda: “Ma insomma, Vanni dov’era?” “Nella tenda” – dice lui – “Questo un… O gl’era sortito da una parte.” O quante uscite ci avrà questa tenda? Siccome la questione è importante… Perché lì abbiamo Pacciani, nella ricostruzione, nella narrazione del Lotti, che ha in mano la pistola – ancora non si sta parlando di spari, eh – e che però sta fuori, no? Perché è il Vanni quello che è stato visto nei modi che sappiamo, col coltello squarciare la tenda. E si presume che, chi faccia questa operazione, la faccia perché vuole entrare. Fin qui è elementare, no, la cosa. Però, siccome c’è anche il dato che complica il racconto, di questo ragazzo francese che schizza fuori dalla tenda, eh, non so, poi il contesto è unico. Ci sono gli spari. Attenzione, Signori della Corte, altro dato oggettivo acquisito al processo – questo sì, dato oggettivo risultato dai sopralluoghi, dalle verifiche, eccetera, è che tutti i bossoli, nove, della pistola, della Beretta calibro 22, sono stati trovati vicini, davanti alla tenda. Davanti all’ingresso principale della tenda. Il che, come dicono nella ricostruzione – ce ne sono due, tutte e due disposte dalla Procura di Firenze – i vari periti fanno presupporre che ci sia stato un tentativo dal dietro dell’autore, quello vero, di squarciare la tenda. Poi, questo tentativo deve essere abortito; lui è girato, è passato davanti. La tenda è alta 1 metro e 40. Verosimilmente si è inginocchiato. Perché, dico verosimilmente, ma è confortato, questo ragionamento dei periti, da un dato certo: si è inginocchiato e si è messo a sparare in direzione della tenda. Tanto è vero che i bossoli sono tutti davanti alla tenda. Questo lo potete verificare rileggendo le perizie. E già questo fa un contrasto incredibile con la famosa frase: “Sparava correndo”, che tanto ha colpito la mia modesta fantasia. “Sparava correndo”. Pacciani, quando il ragazzo francese è uscito dalla tenda, lo ha inseguito con “la panza rasoterra e l’alito al Chianti“, con la pistola in mano e magari col coltello nell’altra mano, sparava correndo… Provateci voi a sparare correndo. E lo ha pure raggiunto, eh? Non è vero. Non è semplicemente una grottesca inverosimiglianza, è una palese falsità su un dato centrale della narrazione. Perché riguarda la ricostruzione dell’omicidio. E perché è una palese falsità? Perché tutti i bossoli della pistola stanno lì. Non ce n’è uno verso la boscaglia, dove poi è stato raggiunto il povero ragazzo. Quindi voi dovete fare i conti anche con questa palese falsità. A meno che non si voglia andare contro le leggi della natura. Ma, voglio dire, se uno vuole – faccio un discorso di scuola, eh, signori Giudici, ovviamente non è riferito a voi -si può fare tutto, no? Dico, ieri ricordavo la ricostruzione dell’omicidio del presidente Kennedy fatto dalla commissione Warren. C’era un’unica pallottola che, incredibilmente, con esperimenti fatti in laboratori di Fisica, si poteva dimostrare che realmente aveva avuto tutta una serie di percorsi, eccetera. Ecco, allora… Quindi, le domande che gli vengono fatte con riferimento alla posizione del Vanni sono importanti. Perché siccome tutto si volge in un contesto abbastanza compresso, ravvicinato nel tempo, insomma, qui abbiamo fuori un Pacciani pronto a sparare, eh. E un Vanni che è entrato nella tenda. Poi, dice: ‘no, ma forse non è entrato’. Ma insomma, sembrerebbe prevalere, da questo affastellamento di monosillabi, la versione che Vanni comunque era rientrato. Tanto è vero che il ragazzo è uscito. È importante, questo. Perché poi quando arriviamo nel momento in cui Pacciani comincia a sparare, una delle possibili spiegazioni della falsità del tutto, è che Pacciani non poteva sparare, a meno che non volesse eliminare il Vanni; così come hanno tentato di fare col Lotti quando gli hanno detto di fare il palo a Baccaiano. Metterlo in mezzo a un rettilineo con le macchine che sfrecciano a 100 all’ora, dove il palo non serve a niente, non lo farebbe nessuno. Vogliamo scherzare, vogliamo divertirci? L’assurdo comico, come diceva quel filosofo Bergson, è uno scherzo. È la mente che smette di lavorare. È il buonsenso comune che si prende una pausa. E allora, seguendo questi ragionamenti del Lotti, noi va a finire che diventiamo come lui. Perché lui sta scherzando con voi, eh. Quindi: “Ma se era rimasto dentro, come fo a vedere io? Sarà risortito quando gl’è sortito il coso.” Sempre solita domanda: “Dov’era Vanni?” “Questo… O gl’era sortito da una parte?” Io gli domando: “Dopo che è uscito il francese, è uscito anche il Vanni?” “Dopo che è uscito il francese, è uscito anche il Vanni?” Allora siamo sempre al fascicolo 63, 9 dicembre, pagina 68. Risposta: “Sì.” Allora, il Vanni sarebbe uscito. Quindi vuol dire che prima c’era dentro. Entra il Vanni, il Vanni nella tenda. L’agguato, no? I pellirossa che piombano dentro il carro … : Ahh! Tutti che urlano e cominciano a schizzare fuori. Forse ci aveva in mente qualche fumetto di Tex Willer che avevo letto. Sai, l’immaginario di quest’uomo potrebbe essere anche questo, sai. “Dopo che è uscito il francese, è uscito anche il Vanni?” Lotti: “Sì.” Presidente, domanda del Presidente: “Quando lo ha rivisto, lo ha rivisto che usciva dalla tenda?” Dice: “No, gl’era accosto alla tenda.” Questo è diventato un fantasma che passa attraverso le tende; sorte, esce, entra… Gli spari a Scopeti. E qui la domanda: “Quando comincia a sparare Pacciani?” Perché fino ad adesso noi abbiamo parlato del Vanni nei modi che sappiamo; dell’avvistamento del Vanni e di quello che faceva il Vanni e che non poteva essere visto nel modo che sappiamo, va bene? Dell’ingresso, non ingresso, da che parte entra, da che parte non entra il Vanni nella tenda, nel modo che sappiamo. Arriviamo agli spari. Finalmente entra in scena Pacciani. “Quando comincia Pacciani a sparare?” Allora, incidente probatorio, volume I, pagina 80. Lotti: “Pietro gli dà dietro.” Cioè, allora, abbiamo visto il francese che schizza fuori dalla tenda. Allora, il racconto di Lotti dice così: “Pietro gli dà dietro, sento sparare.” “Gli dà dietro”, sembrerebbe di capire che Pietro, quindi, lo insegue, non sta fermo. Perché gli dà dietro, è una bella lingua italiana, tra l’altro: significa proprio che lo insegue. E già qui abbiamo un primo contrasto, insormontabile, con la posizione dei bossoli che sono tutti davanti all’ingresso della tenda. Se Pietro gli dà dietro, sparando – correva sparando, sparava correndo – ha detto 1’ennesima gigantesca falsità. Non contraddizione o inverosimiglianza. “Pietro gli dà dietro, sento sparare. Poi non sento più nulla. E si disse” – non si sa chi lo disse – “che non l’aveva preso.” “Che non l’aveva preso.” “Che non l’aveva preso, si disse.” Pagina 80, incidente probatorio, volume I. Poi, nel volume II, sempre dell’incidente probatorio, a pagina 43, stesso contesto di domanda: “Quando comincia il Pacciani a sparare”, dice: “Io ho sentito gli spari quando il ragazzo era fuori della tenda.” Va bene, d’accordo. Fin qui può essere. Ma non mi devi venire a dire, come hai detto prima, proprio che gli dà dietro. Perché quello non toma più con la realtà, con la verità. Pagina 39 del volume II dell’incidente probatorio, stessa domanda: “Quand’è che comincia Pacciani a sparare?” “Dopo.” Comincia a sparare – ovviamente, io direi, meno male che ha detto dopo, perché sennò se sparava prima, vuol dire che sparava contro la tenda quando dentro c’era il Vanni, e allora –“dopo che è sortito dalla tenda…” – ma sentite che risposta dà, è la prima risposta dell’incidente probatorio… Perché poi uno si domanda: ma com’è morto questo povero ragazzo? Su come sono morte le vittime abbiamo sempre delle gigantesche castronerie. Ricordate quella della Pia Rontini, qui ce n’è un’altra. Dice: “Dopo che è sortito dalla tenda lo ha preso per il collo, dopo gli ha sparato.” Pagina 39 dell’incidente probatorio, volume II. Come sarebbe a dire: lo ha preso per il collo e dopo gli ha sparato? Che ha fatto, l’ha preso per il collo e gli ha sparato così? A bruciapelo? Allora c’aveva la pistola in mano. C’aveva in mano cosa? La pistola, il coltello? Cosa c’aveva in mano? Ma voi lo sapete come è morto il francese, avete le perizie medico-legali. “Dopo gli ha sparato.” Stessa domanda, insiste: “L’ha colpito prima di sortire dalla tenda.” E qui veramente ci siamo persi, eh, Signori? Qui ci siamo persi. Del resto, seguire un ragionamento falso di una persona non particolarmente capace di ragionare, io penso che sia l’operazione più difficile che sia data in natura. Uno cerca di capire, cerca di seguire, di dare un senso a quello che gli viene spiattellato sul muso. Si sta parlando di omicidi, Signori, eh, non si sta parlando di racconti a fumetti. E qui uno si perde, perché dice: “L’ha colpito prima di sortire…”, come sarebbe a dire “prima dì sortire dalla tenda”? M’hai detto l’ha colpito dopo. Va be’, dice: può averlo colpito però anche prima. In effetti, la ricostruzione dice che il francese sarebbe stato ferito leggermente e quindi sarebbe scappato fuori dalla tenda. Però, poi, a pagina 72 dell’udienza – e siamo arrivati al dibattimento – a pagina 72 dell’udienza del 27 novembre, fascicolo 53, dice Lotti: “Sì, gli hanno sparato innanzi.” Innanzi, e qui altra cosa. Allora, gli ha sparato “dopo” o gli ha sparato “innanzi”? Gli ha sparato quando è uscito dalla tenda o gli ha sparato quando era ancora dentro la tenda? E si oscilla: innanzi, dopo… Ma perché oscilla? Perché non lo sa. E perché non lo sa? Perché non l’ha visto. E perché non l’ha visto? Perché non c’era. L’ha detto alla Filippa Nicoletti, l’ha detto alla Filippa Nicoletti. Dice: “Ho visto due ma non li ho neanche riconosciuti”. Se vogliamo prendere per vero quello – e dovete dire perché non prendete per vero quello, eh, nella vostra sentenza, se riterrete di non prenderlo per vero – vi toccherà prendere per vero questo, codesto. Ancora: “Gli hanno sparato innanzi, lì dentro, prima di sortire.” 27 novembre, fascicolo 53. Udienza 9 dicembre, fascicolo 63. Udienza 9 dicembre, fascicolo 63. “Quando il francese è uscito” – tra parentesi dice – “non gli ha sparato più.” Eh, oh, qui è chiara, eh. Pagina 31/32 – 31 barra 32 – dell’udienza del 9 dicembre, fascicolo 63. Pagina 31/32, udienza 9 dicembre del fascicolo 63: “Quando il francese è uscito non gli ha sparato più. “ La domanda era: “Ma quando il francese è uscito che cosa gli ha fatto?” Risposta: “…non gli ha sparato più.” Torniamo all’incidente probatorio, sempre sulla questione: quando Pacciani sparava. Questo pot-pourri, come si può definire? Non lo so neanch’io; questo minestrone, vai, parliamo una lingua più familiare, questo minestrone di bassissima lega, indigesto, vomitevole. Pagina 38 dell’incidente probatorio, volume II. “Pacciani sparava” – sulla domanda – “mentre scappava questo ragazzo.” Domanda dell’avvocato Filastò all’udienza del 5 dicembre, fascicolo 60, pagina 70: “Lei ha visto colpire il giovane mentre correva?” “No,” – ma sentite questo – “No, mentre correva no. Sono sicuro.” Dice pure “sono sicuro”, udienza del 5 dicembre, fascicolo 60, pagina 70. Cosa bisogna concludere da tutto questo? Cosa dovete concludere da tutto questo? Io comincio a credere davvero che se si abbandona l’attenzione alle forme, perché in questa vicenda vi sono stati presentati dei simulacri, delle forme. La forma del testimone – ora ci arriviamo – del Pucci; la forma del colpevole, confidente e chiamante in correità. Sono delle forme processuali, ma non vi sono stati presentati contenuti. Ovvero, i contenuti sono quelli che sappiamo, quelli che stiamo vedendo. I contenuti di queste forme. Allora, stiamo attenti, perché un processo che si fa sulle forme – e non lo dico ovviamente al Giudice togato – e che non tenga in considerazione, evidentemente, i contenuti, non è neanche un processo, è un simulacro di processo. E mi torna sempre a martellare alla mente quella frase di Robespierre: “voi vi aggrappate alle forme perché avete perso di vista i principi”. Io direi la sostanza. Ma se noi guardiamo la sostanza, forse quell’aggettivo che tanto mi ha disturbato del Pubblico Ministero: ‘non dobbiamo affannarci a capire, dobbiamo solo verificare, è più facile, dovete essere sereni e tranquilli’. Forse sì, qualcuno di questi può essere adatto, perché è così evidente. Qui non c’è da fare un grande sforzo per capire quello che sta dicendo quello, ovvero quello che non sta dicendo, ovvero come lo sta dicendo. Scopeti: l’inseguimento e la morte del giovane francese. Perché non è finita, vero, la dinamica è complessa a Scopeti. Quindi, noi sappiamo, attenzione, dato certo: dalla tenda, dallo squarcio nella tenda non si poteva entrare. Falsità quando si dice il contrario. Secondo dato certo: al di là, quindi, di tutto l’affastellamento di contraddizioni, inverosimiglianze, eccetera, sparava correndo, eccetera. Falso. Secondo dato certo, perché? Perché non poteva sparare correndo, in quanto che poteva sparare stando fermo, in quanto che tutti i bossoli sono stati trovati davanti alla tenda. Quindi, incidente probatorio, volume II, pagina 8: Come lo colpì il francese Pacciani?”. Perché noi vogliamo sapere come è morto questo povero ragazzo. Cioè, in realtà lo sappiamo benissimo, perché ce lo dicono le perizie medicolegali. Ma siccome c’è un… non sappiamo la successione delle aggressioni. Le perizie medico-legali dicono che è stato attinto di striscio anche a un, credo, incisivo superiore, verosimilmente, da un colpo di pistola. E sicuramente poi è stato assassinato a colpi di arma bianca, a colpi di coltello. Quindi, è più che naturale chiedere al delatore, al narrante, dice: ‘ma insomma lei c’era, no?’, dice: ‘sì, ho visto tutto’. Benissimo, allora, come è morto?. Dice: “Come lo colpì il francese il Pacciani?”, pagina 8. State a sentire questa eh, pagina 8, dell’incidente probatorio, volume II. “Pacciani colpì il francese con il braccio al collo.” Cioè, qui rimanda a qualcosa che ho letto prima, se non sbaglio, cioè che lo avrebbe raggiunto da dietro, lo avrebbe preso per il collo e gli sparò. Poi dice: B… con il braccio al collo.” Poi, a pagina 9, sempre dell’incidente probatorio, volume II, dice: “No, io il coltello non l’ho visto. Io ho visto che aveva il braccio al collo; così l’aveva, stringeva.” Sembra di capire che l’abbia strozzato. O comunque il coltello non l’ha visto, non ha visto la pistola. Che ne ha fatto della pistola? L’ha buttata via durante la corsa? Perché insomma, le mani sono due, no. Ancora una volta una delle più facili chiavi di lettura di menzogna di un bambino è quando si comincia a ragionare con la matematica. Siccome le mani sono due, ecco, se un bambino sta raccontando una vicenda in cui una mano sola non può essere adoperata ma devono essere adoperate tutte e due, oppure uno c’ha in vari momenti successivi, cose diverse nelle mani, oppure con le mani fa diverse cose, inevitabilmente costui diventa un marziano, perché bisognerebbe che avesse cinque o sei mani, perché il racconto di chi parla abbia un senso logico. E allora guarda che succede, la pistola non si sa più. che fine ha fatto, poi dice che il coltello non l’ha visto e ha visto che aveva “il braccio al collo, così l’aveva e stringeva.” Pagina 9 dell’incidente probatorio, volume II. Ma a pagina 11 dell’incidente probatorio, volume II, insiste, e questa Signori… “Lo colpì col pugno, gli ha strizzato…” L’idea dello strizzare. Ha detto prima: “stringeva”, ora diventa “strizzare”, “…gli ha strizzato il collo così e poi gli avrà dato dei colpi nello stomaco con le mani.” Non lo sa come è morto questo ragazzo. Non lo sa come l’ha ucciso. È uno che non gliene importa niente, neanche della vostra opinione nei suoi confronti. Per tutta la vita al Lotti non gliene è importato niente dell’opinione degli altri, lo ha detto il Pubblico Ministero. E come dice Antonio sulla bara di Giulio Cesare: e certamente il Pubblico Ministero è un uomo d’onore. E quando vi racconta la personalità del Lotti, va creduto. Allora, senti un po’ che arrampicatura sugli specchi per capire: pistola, coltello, mani. Come muore questo disgraziato. Allora, a pagina 11 dell’incidente probatorio, volume II, dice: Lo colpì col pugno, gli ha strizzato il collo così e poi gli avrà dato dei colpi nello stomaco con le mani.” Veniamo al dibattimento. Quindi, allora, nell’incidente probatorio abbiamo accertato che lui non sa come morì il francese e che, invece di dire non lo so, in questa enfasi di raccontare nella sua condizione di protetto dalle leggi premiali, sta dicendo delle cavolate gigantesche, come ha confessato in perfetta buonafede alla povera Filippa Nicoletti. Dice: ‘ma io un so nulla, mi dicono che devo di’ di più, ma che dico di più io. Ma cosa dico?’. E qui sta inventando ima gran… Attenzione, finito l’incidente probatorio, risultato: questo non è morto in conseguenza di colpi di coltello, non è morto in conseguenza di colpi di pistola, sembrerebbe sia morto proprio strozzato, dice: “Gli ha strizzato il collo così e poi gli ha dato nei pugni nello stomaco.” All’udienza del 27 novembre, fascicolo 53, pagina 72. Lotti: “Lo prese per la gola…” e poi finalmente appare un coltello, guarda un po’: voilà, il coniglio dal cilindro del prestigiatore. “Lo prese per la gola e poi veddi che l’aveva un coltello e lo cosava, lo cosava davanti, qui.” Ma questo coltello prima non c’era com’è che compare dopo otto mesi dall’incidente probatorio? Eh, come va interpretata questa cosa su un dato centrale della narrazione, non secondario o di contorno o di secondo piano? Nell’unico modo ragionevole possibile: come un tentativo – non spontaneo, ma callido – di fare quadrare la propria narrazione con dati processuali, già acquisiti perché noi sappiamo, dai dati processuali già acquisiti, come è morto il ragazzo francese. E lui invece, quando gli hanno fatto l’incidente probatorio non lo sapeva, evidentemente; l’avrà saputo dopo, non lo so io. Pagina 76, sempre dell’udienza del 27/11, fascicolo 53, sempre su come è morto, dice: “Il coltello ce l’aveva con la mano sinistra.” Vi ricordate, no, questo particolare? Mano sinistra. Dice: ‘ma come mano sinistra? Non risulta che Pacciani sia mancino.’ E qui il giorno dopo dice: ‘no, mi sono sbagliato era la mano destra’. Ma questa gliela possiamo anche passare, voglio dire, però quello che disturba è il fatto che ha voluto precisare… Una volta che quest’uomo, nelle sue narrazioni, tira fuori un particolare, ovviamente, essendo falso e non essendo lui particolarmente sveglio, il particolare è decisamente sbagliato. In questo senso è rilevante la cosa. Chi gliel’ha detto a lui di dire che era con la mano sinistra? Se l’è inventato lui, se l’è inventato sì, perché non era mancino, non era mancino il Pacciani, era destrimane. Udienza 28 novembre, fascicolo 54, pagina 61: “Con il braccio destro” – insiste con questa storia –“lo prende con il braccio destro, lo prende qui, non vedo bene se lo colpisce alla gola.” Si desume che l’abbia colpito col coltello, con la mano sinistra. E lui, naturalmente si avvia ulteriormente nella sua menzogna. Io sono mancino, Signori, io potrei fare questo. Ma il coltello un mancino lo impugna con la mano sinistra, specie se deve colpire, un destrimane lo impugnerà con la mano destra, e invece con la mano sinistra terrà ferma la vittima. Altra palese falsità, questa non è una contraddizione ma una palese falsità. Perché, come la radio accesa—non accesa nel furgone dei tedeschi a Giogoli, dice; “io non ho sentito nessuna radio”, eccetera. Non è possibile. Non è possibile che tu non l’abbia sentita. Anche qui dice: “Com’era il giovane francese quando uscì dalla tenda?” Vi sta raccontando, Signori, di squartamenti, di scannamenti, di coltelli, di pugni nello stomaco, di sparatorie,, “sparava correndon, eh? Di Vanni che l’ha visto benissimo squarciare. . . Quindi era lì. Come fa a dire che, pagina 42 dell’incidente probatorio, volume II: “A me mi pareva vestito quando sortì fori.” No, eh, era nudo. E allora poi l’aggiusta un po’, anche questa. Dopo qualche mese all’udienza del 5 dicembre, fascicolo 61, pagina 19: “Io qualcosa, sotto, mi pare che gl’aveva, dei pantaloncini.” Era nudo. Ma insonnia, c’era qualcuna di queste vittime che aveva un qualche contorno di umanità e che non erano semplici fantocci, che dovevano in qualche modo quadrare – come dice la Suprema Corte di Cassazione – nel racconto del Lotti? Allora gli si chiede: ‘ma i lamenti, non li hai sentiti i lamenti? Eccetera. Allora, anche su questa, incidente probatorio volume I, pagina 80: “Poi si sente entrare dentro. Sento dei lamenti e tagliare della roba.” “Tagliare”. “Tagliare della roba” che vuol dire? Che fa un rumore il taglio di parti del corpo umano? Perché a questo sta pensando lui, non alla tenda che è già stata tagliata. Neanche un bambino della prima elementare dice una stupidaggine di questo calibro: ‘sento tagliare della roba dopo che sono entrati dentro la tenda’. Sì, perché ancora nessuno ha detto: quella povera figliola dentro la tenda che fine ha fatto? No, giustamente, lei è un fantoccio, lei stava lì pronta per essere funzionale al racconto del Lotti. Eh, ci mancherebbe altro. Però anche su questo si contraddice, perché nell’udienza poi dibattimentale del 5 dicembre, fascicolo 61, pagina 24, non li sente più i lamenti. “No.” ,Ha sentito i lamenti?” “No.” Ma insomma, come fu uccisa la ragazza francese? Lotti, pagina 40, incidente probatorio volume II: “No, io sparare alla donna non l’ho sentito sparare alla donna.” E invece la donna fu uccisa proprio con un colpo di pistola, che la fulminò quando era stesa dentro la tenda, alla testa. Allora, sono morti i due nel modo che vediamo, nel modo che sappiamo. Dice, insomma: ‘e dopo che il Pacciani, dopo aver ucciso il francese, eccetera, eccetera, torna indietro, che succede?’ Udienza 5 dicembre, fascicolo 60, pagina 74: “Erano tutti e due insieme lì nella tenda.” Sappiamo la questione, la tenda è alta 1 metro e 40, Signori, non c’è versi. E’ una tenda canadese di quelle a igloo, non è a capanna, la capanna è così; perché poi ci torneremo col Pucci su questa storia, su come era la forma della tenda. La tenda a capanna è così, la tenda a igloo è tonda. Se voi guardate le foto, quella è una tenda a igloo, è anche distinta così. Quindi, uno che dice: no, non era tonda, era a capanna, dice una bugia, dice una falsità. Dice: “Erano tutti e due insieme lì nella tenda dopo” – Lotti – “poi sono entrati dentro.” – tutti e due, eh – “Poi s’enno entrati dentro la tenda tutt’e due.” Pagina 74, fascicolo 60, udienza 05/12. A domanda dell’avvocato Filastò: “Ma come sono entrati, camminando come?” La tenda è altra 1 metro e 40. Lotti: “Camminando.” Lui non la capisce neanche la domanda, perché non ha neanche presente come era la tenda, e solo questo può spiegare la risposta, dice: “Camminando come una persona che cammina normale.” In piedi ci sono entrati dentro la tenda. Filastò: “Normalmente?” Lotti: “Sì, sì, un andavano mica di corsa.” Non ha capito. Non ce l’ha presente la tenda. E insiste, eh, perché qualcuno gli fa ulteriormente delle domande, dice: “Ma insomma, via, non è possibile, ma come entrando normalmente, non li ho visti entrare di corsa.” Dice: “Ma se ero presente l’avrò visto bene. La vista l’ho ancora bona, sapete.” “La vista l’ho ancora bona.” Abbiamo visto come ce l’ha la vista bona, è la faccia tosta che c’ha bona. C’ha una faccia tosta da qui a Pechino. Gli si fa presente, a questo punto, che la tenda è alta 1 metro e 40, per pietà gli si dice: guardi, Lotti, la smetta di dire che questi entrano normalmente non di corsa, sono entrati normalmente tutti e due, ma guardi che la tenda è altra 1 metro e 40. Dice: “Se so…” – allora dopo che ha saputo, finalmente, l’ha appreso qui al dibattimento, non l’ha appreso prima, che la tenda è alta 1 metro e 40, dice – “Se sono entrati abbassando, no. Io li ho visti in piedi.” Insiste, eh. C’è un’osservazione di Simenon, l’autore di Maigret, che dice, fa dire al commissario Maigret: la peggior cosa che possa capitare a un commissario, quando mette sotto interrogatorio qualcuno, è di trovarsi davanti una persona, diciamo, non particolarmente colta, non particolarmente sottile nel ragionamento. Perché quando una persona, diciamo, normalmente colta, capace di sviluppare un ragionamento, magari articolato, si pone il problema di rispondere alle domande che gli vengono fatte dagli inquirenti, in qualche modo adatta la sua risposta alla realtà, adatta la sua risposta ai dati che provengono dall’esperienza, cerca, si sforza di dare delle I risposte verosimili. La cosa tragica, invece, è quando insiste in una versione uno… un oligofrenico, e lì non c’è verso. Siccome lui non ha questi strumenti, lui diventa la bestia nera per l’inquirente. Perché quella versione, che a qualunque persona normale parrebbe contro ogni evidenza, per lui è quella, non la cambia, non gliene importa niente. Perché lui non ha presente l’evidenza, come la può avere una persona dotata di normali strumenti di critica e di autocritica. E’ questo, eh. Questo che insiste a dire: “l’ho visto lo squarcio qui”. Che insiste a dire: ‘no, eh, non si sono abbassati’. Quando gli fanno notare che la tenda è alta 1 metro e 40, almeno a quel punto poteva tentare, dice: “va be’, non l’ho visto, non me lo ricordo”. No. “Se sono entrati abbassandosi? No, io li ho visti in piedi così.” Pagina 77. E il Presidente domanda: “Ma insomma le escissioni, a questo punto, dove le hanno fatte?” E il Lotti: “Io la ragazza non l’ho mai vista, non l’ho mai vista tirarla fuori.” Anche qui, tipica risposta di uno che non riesce ad adattare la sua menzogna ai dati che gli fornisce la realtà. Perché, insomma, è una tenda di 1 metro e 40, una canadese; ci stanno due persone sdraiate dentro e basta. Serve solo per dormire. Tu l’hai visti entrare in piedi, addirittura. Cioè, addirittura, non li hai visti entrare, tu non hai visto niente, ma siccome tu sei quello descritto dall’autore di Maigret, tu vai a diritto, tetragono. “Io la ragazza non l’ho mai vista, non l’ho vista tirarla fuori.” Deduzione logica – aggiungo io – le escissioni sono state effettuate stando in tre, Pacciani, Vanni e la vittima, dentro la tenda di 1 metro e 40. Palese falsità. Anche sullo spolverino… e qui abbiamo finito con la descrizione, nei quattro capitoli che vi ho illustrato prima, sotto il profilo della intrinseca attendibilità, come insegna la Suprema Corte di Cassazione, sentenza Sezioni Unite, 21 ottobre ’92: “Va valutata obbligatoriamente nella motivazione del Giudice, oltre che la credibilità e la personalità del dichiarante, l’intrinseca attendibilità del suo racconto.” Seconda operazione logica che deve, come positiva regola di giudizio stabilita dalla legge, che deve effettuare il Giudice. E allora, in base a questi parametri della intrinseca attendibilità, parametri che questo difensore vi ha esemplificato nei capitoli contraddizioni, inverosimiglianze, falsità, ridicolo – ecco, mi pare che abbiate qualche elemento di riflessione. Poi ci sono altri elementi che non sono di contorno, perché riguardano sempre situazioni e particolari riferiti agli episodi omicidiari. Per esempio quello dello spolverino. Ve lo ricordate lo spolverino? Lui dice: no, io l’ho avuto uno spolverino, facevo il postino, io c’ho avuto lo spolverino quando spazzavo con la scopa nella, immagino, la sede della Posta di San Casciano. Non lo so. ‘C’ho avuto uno spolverino, c’ho avuto uno spolverino’. Attenzione, eh, spolverino. Perché viene fuori lo spolverino? Questo è un particolare che noi non conoscevamo. Ovvio, Signori, sui Intanto i particolari che noi non conoscevamo devono venire dal dichiarante, questo lo dice la Giurisprudenza costante e devono essere confermati – eccolo il riscontro oggettivo – ab exteriore, dall’esterno. Cioè, la fonte di conferma del particolare che prima noi non conoscevamo e che ci viene dal dichiarante, la fonte di conferma non deve essere il dichiarante esterno, deve essere un qualche cosa di esterno al dichiarante. Sennò è acqua fresca. Troppo facile. Ora, la prima domanda che tutti si sono posti di fronte a un caso giudiziario così di cronaca, così impressionante, che ha talmente colpito la fantasia di persone, di dilettanti di varia estrazione, – ma qui non siamo dilettanti, eh, voi siete i professionisti, voi siete i professionisti del giudizio, voi siete i Giudici, basta con i dilettanti – i dilettanti di qualunque estrazione e natura hanno sempre detto: mamma mia! Con sbranamenti, con squartamenti di quel calibro, con operazioni di quel genere, questo poi come faceva a tornare a casa, ammesso che magari… beh, lo poteva fermare un posto di blocco, la psicosi del “mostro” ve la ricordate tutti, siete abitanti di qui: “Occhio ragazzi!”, “SAM”, Squadra Anti Mostro. Quei disgraziati di Baccaiano si erano ridotti a fare all’amore sulla strada. E quindi, chiunque lo immagina, dice: ma, insomma, si ferma a un posto di blocco, lo trovano inondato di sangue. Quanti sono i litri di sangue umano? Quanti litri può contenere un corpo umano? 7-8 litri. Inondato di sangue. Quindi si sono tutti sperticati nell’immaginazione, romanzieri più o meno professionisti, professionali, eccetera, commissari, eccetera, dicono: avrà avuto qualcosa addosso, avrà avuto, per esempio uno spolverino. Qualcuno dice una tuta da sub, qualcuno… Ma sono ipotesi, sono i famosi sospetti, le famose suggestioni; le famose ipotesi che non devono trovare ingresso in un consesso di professionisti come questo. Però perché dico questo? Perché, insomma, lo spolverino dice: Lotti ha detto che c’aveva lo spolverino. Va be’, ha inventato l’acqua calda. Si è posto un problema, dice: ma insomma, Vanni, che tra l’altro c’ha anche la moglie, quando poi dopo tutto questo sbranamento – perché è Vanni, no, secondo il Lotti, dice “mostro Vanni”, quello che faceva gli squartamenti – poi tornava a casa, ma insomma, come faceva? E ha trovato anche una risposta abbastanza rudimentale, perché voi mi insegnate, specie i Giudici togati, che di .fronte a operazioni come quelle che voi avete potuto apprezzare nelle relazioni medico-legali e nelle fotografie, non basta neanche uno spolverino. A che serve uno spolverino? Uno si fa un bagno di sangue con quell’operazione. Le scarpe, le calze… Lo spolverino dove arriva? Sopra il ginocchio, sotto il ginocchio. Ma scherziamo! E quindi, anche, proprio, è debole, è deboluccia anche l’immagine che lui oltre lo spolverino… E perché lo spolverino? Perché, per l’appunto, siccome si frequentavano, uno spolverino gliel’ha veduto da qualche parte. E quindi, quand’è che Vanni lo indossa questo spolverino? Dunque, a proposito di Vicchio, udienza 28 novembre, fascicolo 55, pagina 51. Dice… Sì, ce l’ha a Vicchio. “Vanni indossava lo spolverino celeste?” “Sì.” Udienza 28/11, fascicolo 55, pagina 51. All’udienza precedente, il 27/11 invece… anche questa vedete, pur essendo banalissima come escamotage, vien fuori anche questa, faticosamente e male e sbagliata, perché il giorno prima, il 27/11, fascicolo 53, pagine 64, aveva detto: “Insomma, ce l’aveva a Vicchio lo spolverino?” “Mah,” – aveva detto – “quella sera, mi pare, un/avesse lo spolverino.” “Un’avesse”, nel linguaggio parlato toscano, se non sbaglio, significa, “non avesse”. “Un”, – apostrofo – “avesse”, così è stato trascritto dal… lo spolverino. “Mi pare un’avesse.” Poi, il giorno dopo dice: “Sì.” Baccaiano. A domanda dell’avvocato Filastò: “Quando Vanni scende dalla macchina, ce l’aveva questo spolverino?” E dice: “Sì, quella sera sì.” Udienza 3 dicembre, fascicolo 57, pagina 54. Nell’85 non aveva lo spolverino. E poi c’è l’udienza 27/11 – scusa, me la puoi prendere – perché sembrerebbe di capire che, invece, all’udienza 27/11, fascicolo 53, pagina 69, abbia detto: nell’85, cioè agli Scopeti, Vanni l’aveva invece lo spolverino. Se, senza perdere troppo tempo, riesco a chiarirvela, 27/11, pagina 69, oh, eccolo qui. Sì, benissimo. Dunque, pagina 69, udienza 27/11, fascicolo 53: “Mah, non son sicuro se l’aveva o no.” Vediamo di che cosa stanno parlando. Stanno parlando… “Ha detto non ce l’aveva”… Presidente… Baccaia… “Ha detto che non ce l’aveva”… “Non l’ho detto ora io”… “Ma Santo Cielo, allora…”, “Si vede ho sentito male, anzi…” Allora, quella sera non c’aveva lo spolverino. Di quale sera stiamo parlando? “Non son sicuro se l’aveva o no.” E allora dice: “L’ha detto altre volte che aveva lo spolverino?” – domanda del Presidente – “Quali altre volte l’aveva?” – oh, eccolo – “Quali altre volte l’aveva?” E risponde lui: “Nell’85.” Presidente: “Ma l’85 deve venire ancora l’85, siamo all’84.” Stiamo parlando allora di Vicchio, ecco. Imputato Lotti: “Sì.” Pubblico Ministero: “Presidente, se lui l’ha visto una volta, una volta sola e ci dice…” Presidente: “Va bene, l’aveva nell’85.” Lotti: “Sì. Ma nell’84 non sono sicuro se l’aveva o no. Questo.” Presidente – insiste “Vicchio, Vicchio, non l’aveva lo spolverino?” Lotti: “Non sono sicuro.” Presidente: “Allora gli serve l’85.” Interviene il Pubblico Ministero: “Presidente, sta dicendo “non sono sicuro”, eh.” Presidente: “Va bene, è un imputato che racconta queste cose…” E qui, a questo punto, quindi, il risultato qual è? Che questo è uno spolverino fantasma, come il fantasma del Vanni. Già ce l’ha un po’ l’aspetto, secco, no, allampanato, mi scusi, eh, Vanni. Vanni che entra nella tenda, che esce dalla tenda, che entra dallo squarcio di 40 centimetri dove non potrebbe entrare neanche un bambino, solo un fantasma ha questi poteri. E anche questo spolverino un po’ fa pensare a un fantasma, no. Ce l’aveva, non ce l’aveva. A cosa gli servisse non si è capito bene, perché se uno si vuole veramente, seriamente, uno che poi torna a casa dove c’ha la moglie, questo lo sappiamo, preoccuparsi di non farsi un bagno di sangue -cosa che peraltro alcuni maniaci sessuali desiderano proprio, e lo vedremo, sotto il profilo del movente – farsi un bagno di sangue con la vittima, perché è il loro modo distorto di concepire il rapporto che in modo normale non riescono a avere con le persone. Qua di Vanni sono riusciti a provare che andava a prostitute, che usava degli aggeggi – liberamente in vendita – che aveva delle preferenze per certe posizioni. Poi si è parlato anche di un mago con un mantello rosso in una stanza, non ho capito bene di che si tratta. Insomma, andare a dire che è uno di questo genere… che questi sono indizi – attenzione Signori, perché poi… – che sono indizi che possono portare alla perversione del Vanni, che è accusato di aver compiuti questi bagni di sangue che sappiamo; insisto, è come voler paragonare un topolino – e ciascuno di noi potrebbe essere quel topolino – a un elefante. Anzi, no a un elefante: a un dinosauro. Dieci Allora, i feticci. Perché i feticci, nella ricostruzione dell/accusa, diventano una cosa…
Presidente: (voce non udibile)
Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Prego?
Presidente: Possiamo fare una sospensione? Va bene?
Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Grazie, Presidente.
Presidente: Un quarto d’ora.

Presidente: Prego, avvocato Mazzeo.

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Ecco, questa difesa si avvia a concludere la disamina, sotto il profilo della intrinseca falsità del racconto del Lotti, esaminando altri pochi argomenti che non sono di contorno e quindi in ordine ai quali – come insegna la Corte Suprema – non è ammissibile l’errore, non è ammissibile la contraddizione, non è ammissibile la falsità. Uno di questi argomenti riguarda i feticci, i cosiddetti feticci. Voi ricordate, nella sua orazione finale, il Pubblico Ministero ha, sotto il profilo del movente, pur sottolineando che il movente – i Giudici togati conoscono la Giurisprudenza sul punto, che peraltro non è univoca – non è elemento indispensabile, pregiudiziale, in ordine al giudizio; vero è anche che c’è Giurisprudenza pacifica che ricorda come il movente può diventare un elemento fondamentale, specie quando ci si trova di fronte a vicende di natura indiziaria. E stante, nella fattispecie, la presunzione relativa di non credibilità del chiamante in correità – presunzione relativa di non credibilità stabilita dalla legge – il movente, ad avviso di questo difensore, è decisivo. E sui feticci. Abbiamo modo di apprezzare, quindi argomento decisivo: movente sadico sessuale. Due. Abbiamo, nella prospettazione dell’accusa, abbiamo la presenza di due moventi contestuali. Vi è stato detto: questi sono… Il “mostro di Firenze” non esiste è stato detto. Il “mostro di Firenze” non esiste, bisogna farla finita. Manco si stesse parlando di… Il “mostro di Firenze” è un essere umano. Ma nell’uso delle parole da parte del Pubblico Ministero sembra quasi che il “mostro di Firenze” sia una specie super-io, di super-uomo, eccetera. “La mano unica non c’è.” “Sono dei campagnoli, delle persone normali ma anche perverse.” E qui veramente ci addentriamo su un terreno estremamente minato. Io mi limito a ricordare queste parole e a sottolineare, senza nessuna ironia, come sia difficile, veramente, fondare una opinione certa, come è richiesto in un processo, e non un’illazione, su questa storia della mano unica o delle più mani. Sentite queste parole: “Il coltello usato” – ascoltate eh, Signori della Corte – “e la meccanica dei movimenti dell’autore nel produrre le lesioni e le escissioni, dimostrano che: primo, l’autore è probabilmente destrimane; usa uno strumento di tipo tagliente, probabilmente monotagliente; terzo” – va be’, il secondo è stato saltato –“più importante, l’analisi delle lesioni e delle escissioni di parte della regione genitale di tre delle vittime di sesso femminile dimostra che, al di là delle identiche caratteristiche tecniche di produzione delle stesse, vi sono inequivocabili analogie tra le lesioni, portando così ad avallare,” dicono i periti, “l’ipotesi che l’azione sia di una stessa persona e ad escludere il concorso di complici. Non solo l’arma, ma le lesioni e le escissioni dimostrano un unico autore. Si cercherà così di dimostrare con questo, quanto infondate siano quelle voci che hanno lamentato come l’indagine, anziché nei confronti dell’odierno imputato, non si sia rivolta verso più autori, non si sa se membri di sette od altro. L’autore è unico, ce lo prova l’arma, ce lo prova l’azione. Vedremo nei dettagli, quando sarà il momento, come e perché è la stessa mano.” Queste sono parole del Pubblico Ministero, dottor Canessa, in sede di relazione introduttiva nel processo Pacciani di I Grado. Le dico senza ombra di intento speculativo – visto che qui invece, questo processo si fonda su presupposto che non c’è la mano unica – per sottolineare a voi, Signori Giudici, quanto difficile sia. Quanto difficile sia acquisire certezze quando ci si addentra in una vicenda di questo genere, con riferimento al discorso compagni di merende, complici, mano unica. Lo stesso Pubblico Ministero, convintissimo fino a poco tempo fa della mano unica, sono sue queste parole, ora vi ha portato… 

P.M.: (voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Vi ha portato invece un materiale che dovrebbe condurre il vostro giudizio, che è su direzione diagonalmente opposta. Ecco perché deve essere particolarmente attenta l’analisi, priva di spurie illazioni, sospetti, fumi, ombre. Cioè elementi tutti che conducono teoricamente verso direzioni le più diverse possibili. Insisto – non insisto io, insiste la ragione e la Suprema Corte di Cassazione – che un indizio, e anche il riscontro oggettivo, come vedremo, deve avere la connotazione, la caratteristica della certezza. Certezza che significa univocità, cioè a dire l’elemento che dovrebbe corroborare la narrazione – falsa, l’abbiamo visto – del dichiarante, deve essere un elemento, la cui interpretazione non può che essere una, deve essere unica. Perché sennò rimane a un livello di ipotesi di lavoro, di certezza, di suggestione, che deve rimanere fuori. Quindi deve condurre, tutti gli elementi che sono stati impropriamente – secondo chi vi parla -chiamati riscontri oggettivi. Non lo sono per la semplice ragione che il riscontro oggettivo, come ci insegna la Giurisprudenza della Suprema Corte, anche di Giudici di merito da qui a 50 anni risalendo, il riscontro oggettivo è una cosa diversa. Il riscontro oggettivo è un elemento che deve condurre verso l’accusato. Solo verso di lui. Deve collegare l’accusato al fatto di cui lo si accusa. E solo lui deve collegare. E allora parliamo di feticci. Sempre Lotti. Chiede il Giudice nell’incidente probatorio, volume II, pagina 12: “A che servivano?” Perché a che servivano è importante. Se noi abbiamo presente il movente di natura maniacale, sadica, feticistica, per l’appunto – perché feticcio è preso proprio dalla scienza della psichiatria in questo caso – il feticcio serve a qualche cosa. Se invece lo consideriamo, come anche stato contestualmente considerato, merce, merce di scambio, a fronte della quale si ottengono dei proventi di carattere economico, è tutta un’altra cosa. E allora Lotti risponde, sulla domanda a cosa servivano i feticci, domanda decisiva. Incidente probatorio, volume II, pagina 12: “Mah” – dice – “tagliavano. A me non mi hanno mica detto a loro perché gli servivano.” E fin qui siamo sul generico. Chiede l’avvocato Colao, a pagina 13 dell’incidente probatorio, volume II: “Le ha mai viste lei queste parti?” Risposta del Lotti: “No.” Poi andiamo invece all’udienza dibattimentale del 27 novembre, fascicolo 53, pagine 20-24. Dice così: “A me mi disse” – sta parlando del Vanni – “che gl’era un dottore.” Ce lo dice per la prima volta all’udienza dibattimentale, eh, Signori. Una cosa di questa rilevanza. Che ha una diretta attinenza con lo scopo di questo processo, con lo scopo dei delitti, con la causale, col movente, chiamatelo come volete. Perché facevano questo? Salta fuori il dottore che sposta completamente, ontologicamente vorrei dire, sposta la direzione dell’indagine, poi. Perché un conto è fare un’indagine avendo presente il maniaco o i maniaci sessuali – ipotesi di scuola, che in casi del genere possono essere più d’uno -e un conto invece è indirizzare l’indagine verso un commercio. Allora, in questo insieme di cose si introduce una novità assoluta, soltanto il 27 di novembre del 1997: “A me mi disse Vanni che gl’era un dottore, ma lo conosceva però meglio quello di Mercatale, Pietro. M’hanno detto che questo dottore andava a Mercatale, da Pietro, per prendere questa roba delle donne e basta. Dice gliene pagava, questa roba qui, a Pie…” “Gliene pagava”, pagava. Quindi il movente spostato di 36 0 gradi. “Gliene pagava, questa roba qui, a Pietro Pacciani.” Udienza 27/11, per la prima volta compare questa specie di… questo dottore. Un dottore. Fa venire in mente il commendatore del Don Giovanni di Mozart che compare finalmente, per la prima volta, nella scena finale e se lo trascina nell’inferno; non meglio identificato. Fascicolo 53, pagina 20-24. E poi gli si domanda: ma l’incontro con questo dottore, nel piazzone di San Casciano, ve lo ricordate? Nel piazzone ci terranno il mercato, ma per ben altre cose. Dice: “No, si trovavano nel piazzone.” Dice: “Quando è avvenuto?” E lui dice, a pagina 24, siamo all’udienza sempre del 27/11: “Questo di preciso non è che mi ricordi bene.” Quindi non riesce, in un primo momento, a collocarlo nel tempo questo incontro. Però poi, all’udienza del 9 di dicembre, pagina 45, prende sempre più corpo invece questo fantomatico commendatore. Perché lui ci dice: “Sì, sì.” Risponde: “Sì, sì.”, alla domanda se l’incontro è avvenuto dopo l’episodio degli Scopeti. E lui dice: “Sì, sì.” E stavolta lo colloca invece nel tempo. E qui siamo a pagina 45, fascicolo 63, udienza del 09/12. E quindi qui abbiamo uno spostamento di prospettive vertiginoso. La parola è vertigine. È come se una inchiesta, va bene, iniziata avendo presente che il Giudice, nel giudicare… La Giurisprudenza dice: siccome il diritto, siccome la legge, siccome il giudizio si deve occupare prima di tutto dei comportamenti delle persone, se lo acquisisco, io Giudice, acquisisco la certezza che tu tizio hai ucciso, certamente che posso utilizzare il movente – quindi una ricerca sul movente la devo fare – per arrivare a capire perché, quindi a fondare anche la mia decisione sul perché tu hai ucciso. No? Tu hai ucciso per odio, hai ucciso per interesse, hai ucciso per gelosia, hai ucciso… Qui hai ucciso perché? Perché sei un maniaco, è dire una cosa; hai ucciso per interesse? Ma sono due cose completamente opposte. E anche su questa abbiamo il nostro dichiarante, il quale sembra che proprio – non voglio dire si diverta, ma insomma – sembra proprio che ce la metta tutta per confondere, per confondere, per confondere, non per chiarire. Per portare la nostra mente altrove. Il famoso coltello del Vanni, trovato non in un cassetto della cucina, ma nel forno. E questa Signori – non perché lo dico io – è proprio una suggestione. Perché far partire un sospetto, che rimane sospetto, l’abbiamo detto ieri, nulla di quel coltello tecnicamente conduce al coltello degli omicidi. È venuto il professor Maurri. Il Pubblico Ministero, trascinato evidentemente dalle sue convinzioni, ha alterato il pensiero del professor Maurri. “Ha detto perfettamente compatibile.” Il professor Maurri non l’ha mai detto perfettamente compatibile, andate a rileggervi i verbali. E se l’avesse > detto il Lotti, che era perfettamente compatibile, non varrebbe niente. Perché questo ulteriore elemento, per fondare le dichiarazioni del Lotti, non può venire dal Lotti stesso, sarebbe troppo facile. Io dico una cosa e sono io stesso che me la confermo. Io sono la verità. No, che io dico la verità lo deve dire qualcun altro, lo deve dire un elemento esterno a me. E anche sul coltello, comunque, apprezzate queste descrizioni del Lotti, le varie descrizioni del coltello. Volume III dell’incidente probatorio, pagina 6 e volume I dell’incidente probatorio, pagina 79. Dice: “Mah, un coltello di quelli normali, non tanto grande.” E fin qui, come si fa a connotarlo e a legarlo a questa vicenda? Poi a pagina 33 dell’udienza 27 novembre del ’97, fascicolo 52, precisa: “Un coltello da cucina” – da cucina – “tanto piccolo non è.” E siamo sempre molto nel vago. A che cosa ci aiuta questo riferimento? In che cosa conferma la narrazione del Lotti? Cosa conduce questo coltello… Cosa conduce, questo coltello degli omicidi che Lotti avrebbe visto, al coltello che è stato trovato nel forno da cucina del Vanni? Niente. Un’ipotesi, una suggestione, un desiderio degli inquirenti, finalmente di trovare una conferma, ma non certo qualcosa di certo, di univoco, di unidirezionale. Si è fatto un gran discutere della pistola, la firma, quella sì, la firma e le firme le usano solo i maniaci sessuali eh. Qui vi è stato detto autorevolmente dal commissario Perugini: ma perché uno che, visto che stiamo parlando di feticci venduti, è già improprio, non più si chiama feticcio a questo punto, perché se viene venduto è merce di scambio. Il feticcio ha un significato ben preciso nella psichiatria. Dico: perché, secondo lei, dottor Perugini, uno ha usato sempre – perché questo è un dato, anche questo, certo e incontrovertibile e da lì bisogna partire per cercare di capire – perché ha usato sempre la stessa arma, no? Guardate come questa domanda trova risposte diametralmente opposte -logica una, completamente illogica l’altra – a seconda dello scopo dell’omicidio. Se si dice che, come ritiene il competente — io ho avuto l’impressione di una estrema competenza e serietà e di amore per il proprio lavoro commissario Perugini, che quest’arma è stata usata sempre quella, perché è stata usata da un maniaco sessuale, sadico, feticista, questa è studiatissima in psichiatria, è studiatissima nella criminologia: è la firma. Cioè a dire, uno usa la stessa arma, con ciò esponendosi ad essere intercettato, ma la vuole usare, per lui è fondamentale lanciare un messaggio e dire: ‘guardate, sono io. Io e nessun altro’. In un contesto invece diametralmente opposto, come pure ci viene prospettato dall’accusa, in cui invece lo scopo di questi massacri aveva a che fare con compravendite per vendere, e perché mai avrebbe dovuto usare sempre la stessa pistola, l’assassino? Per dare un elemento di indagine in più, che potesse condurre a lui? La firma la usa solo il maniaco, perché è un rischio per lui. Vedete come diventa importante chiarirsele queste idee in ordine al movente. Perché nel primo caso l’uso della pistola è logico, consequenziale, studiato, lo capisce chiunque: sono io che vi sfido, è la mia firma, io sono più bravo di voi, non mi prenderete. Nel secondo caso cos’è? Stanno giocando a farsi, invece, prendere? È autolesionistico usare la stessa arma, nel secondo caso. E quindi veniamo alla attendibilità estrinseca -cioè a dire ai cosiddetti riscontri oggettivi -richiesta e voluta dalla legge, comma III dell’articolo 192, affinché il Giudice possa, dopo avere effettuato quelle precedenti operazioni logiche che impone la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Unite, che qui sono state illustrate, in questa sentenza 21 ottobre ’92. Ma non è l’unica, perché poi parte dalla legge. Cioè, la Corte dice, poiché c’è una presunzione relativa di inattendibilità, di non verità di uno che fa una chiamata di correo, tu Giudice devi: primo – prima operazione logica – valutare e motivare in ordine alla credibilità del dichiarante, nei modi che sappiamo. E a questo punto possiamo anche darci la risposta a questo esame. Datevela. Secondo, devi valutare, studiare, approfondire, motivare in ordine alla intrinseca credibilità del suo racconto. Se è un racconto vero, se è un racconto falso, se è un racconto verosimile, se è un racconto contraddittorio, se è un racconto che rasenta e supera la soglia del ridicolo. E anche su questo aspetto ci siamo già dati delle risposte. Qui il Pubblico Ministero ha detto, nella sua requisitoria finale, che basterebbe addirittura la narrazione, eccetera. Non sarebbero neanche i riscontri, che pure sono ridondanti per il loro numero, secondo lui… No, ha detto una cosa inesatta, dal punto strettamente giuridico. E’ quello a cui noi dobbiamo attenerci. No, i riscontri ci vogliono. Perché senza riscontri, come ho già detto ieri e non mi voglio ripetere, dice la legge: “Viene valutata la dichiarazione unitamente” – unitamente – “agli altri elementi di prova che servono a fondarla, a confermarla.” Senza questi riscontri quindi, se anche a voi fosse parso credibile il Lotti sotto il profilo dell’esame e dell’analisi della sua personalità, del suo vissuto, di tutto quello che sappiamo; credibile il suo racconto, sotto il profilo intrinseco della sua compatibilità, con i dati già acquisiti, con ciò che è la natura delle cose; e poi non trovaste, non ci fossero riscontri; anche se ci fossero, uno e due, queste prime due risposte positive alla sua credibilità, voi non potreste utilizzare la chiamata di correo del Lotti per fondare il vostro giudizio. “Unitamente agli altri elementi” – dice la legge -“che ne confermano l’attendibilità.” Quindi, a questo punto, come l’indizio, di cui si è parlato ieri… I concetti, purtroppo bisogna addentrarsi nei concetti, ma non è come mettere un bisturi in mano al sottoscritto, grazie a Dio. Dico, i concetti rispondono a dati di comune esperienza. Il riscontro oggettivo, vi ha detto il Pubblico Ministero, i riscontri oggettivi in questo caso sarebbero rappresentati: da riscontri documentali, cioè a dire dai dati acquisiti al processo, dai sopralluoghi, dalle perizie, eccetera, che confermerebbero, bontà sua – e noi abbiamo visto come non lo confermano affatto su punti decisivi e numerosissimi, il racconto del Lotti – poi altri riscontri oggettivi sarebbero rappresentati da riscontri di tipo testimoniale, e adesso ci veniamo e poi ci sarebbero il coltello da cucina e cose vari. Quali sono questi riscontri testimoniali? Intanto c’è un apparente, formale – che ora veniamo ad esaminare – riscontro testimoniale rappresentato da questo Pucci. Gli altri sono tutti ‘ di tipo indiziario, eh. La testimonianza è la prova diretta. Cioè a dire, viene un testimone che dice: ‘io c’ero, io ho visto, non ho appreso da altri’, quindi è prova diretta, riscontro testimoniale. Quindi va esaminato il testimone, perché del testimone bisogna stabilire: se è vero o se è falso, se è reticente, se dice delle cose… un po’ come si è fatto fino a ora per il Lotti. Perché in fondo il Lotti è il testimone-imputato. La figura del chiamante in correità riunisce in sé questi due concetti. Pucci sarebbe un testimone puro e semplice, quindi elemento di prova diretta, di riscontro esterno al Lotti – perché Pucci è esterno al Lotti – della verità del racconto del Lotti. Tutti gli altri di cui ha parlato il Pubblico Ministero sarebbero tutti riscontri, nel suo concetto, di natura indiziaria. E ieri ci siamo detti, abbiamo ripetuto varie massime della Suprema Corte, che ciò che distingue l’indizio, che è un concetto giuridico ben preciso di cui parla il comma II dell’articolo 192 sempre del Codice di procedura, quando dice: “gli indizi” -usa il plurale intanto – “devono essere univoci, certi, concordati, numerosi, gravi.” Tutti gli altri cosiddetti indizi di cui parla il Pubblico Ministero non hanno queste caratteristiche. In parte l’ho detto ieri, lo ripeterò stamattina esaminandoli, va bene, dalla deposizione del dottor Giuttari. E quindi occorre tener presente che cos’è il riscontro oggettivo. Il riscontro oggettivo è un elemento di prova, unitamente agli altri, li chiama elementi di prova, quindi di prova anche indiziaria, per l’appunto. Quindi prova diretta, come può essere ima testimonianza di uno che ha visto. Oppure prova indiziaria, un segno che è certo e mi porta a ciò che io voglio provare. Nella suggestione che ha suggerito il Pubblico Ministero, il coltello trovato sarebbe per l’appunto un riscontro indiziario. Questo difensore vi ha fatto presente che quel coltello nonostante la modifica, diciamo, delle parole che è stata fatta del professor Maurri, non può essere un indizio. Perché l’indizio deve condurre verso l’unica soluzione, deve collegare Vanni agli omicidi. Quel coltello non può univocamente collegare Vanni agli omicidi, perché su quel coltello possono essere possibili, varie, numerose interpretazioni. Non c’è la certezza. Quindi la norma, ci dice la Suprema Corte, pone quindi due precetti, a proposito di riscontri oggettivi, a proposito cioè di quegli elementi esterni al dichiarante, che devono fondare però la verità di quello che lui dice e senza i quali il dichiarante non va preso neanche in considerazione. Pone quindi due precetti: “il Giudice deve attivarsi a reperire elementi di integrazione e conferma della forza persuasiva della chiamata di correo, da valutare unitamente. In caso di esito negativo della ricerca del riscontro, il Giudice deve estromettere dalla piattaforma del proprio convincimento, le dichiarazioni incriminanti, anche se fossero intrinsecamente credibili.” E insomma, le operazioni logiche numero uno e numero due che noi abbiamo fatto, in conformità con la Suprema Corte, credibilità dell’uomo Lotti e credibilità intrinseca della narrazione Lotti, valutate voi se portano a una conclusione di, appunto, credibilità o di non credibilità. E anche se avessero portato a una conclusione di credibilità, mancando l’elemento numero tre, di cui parla la Corte, di cui prima ancora parla la legge – esistenza del riscontro che corrobori, che fondi – dovrebbe essere estromesso comunque dalla piattaforma del giudizio. Naturalmente si dice che il riscontro oggettivo, ovviamente, non deve essere una prova autonoma di per sé. Perché se ci fosse già una prova, di per sé autonoma, contro il Vanni, non ci sarebbe neanche bisogno della chiamata di correo del Lotti. Il Vanni sarebbe comunque colpevole indipendentemente dalle dichiarazioni del Lotti, perché siamo in presenza magari di un’altra prova, autonoma, completa, esterna, che conduce direttamente Vanni ai fatti di cui è accusato. Deve invece avere una funzione di verifica, dice la legge, a riscontro. Quindi deve essere un elemento esterno, anche indiziario. Allora, cosa dice la Suprema Corte, per focalizzare l’aspetto riscontro? Dice delle cose assolutamente analoghe… Del Pucci parleremo con calma dopo, Pensiamo un attimo ai riscontri di tipo indiziario, che vi sono stati elencati in misura ridondante. Il riscontro indiziario. Pensiamo al discorso di ieri in ordine all’indizio. L’indizio deve essere intanto non uno, devono essere numerosi. Poi devono essere concordanti, cioè in presenza di indizi discordanti, nel senso che uno mi porta verso una direzione, un altro mi porta verso un’altra: io non devo prendere in considerazione nessuno dei due. Devono essere univoci, unidirezionali. Non deve essere possibile cioè una diversa interpretazione dell’indizio. Devono essere dei segni certi. Non sto qui a ripetere tutta la Cassazione sulla certezza dell’indizio di cui si è parlato ieri, cioè il collegamento tra il fatto indiziante e l’indiziato deve essere automatico. Vi ricordate l’episodio del Bozano? Fu visto, Bozano, intorno all’ora del rapimento, davanti alla scuola svizzera, sulla famosa spider rossa. Il collegamento tra l’indiziato, in questo caso, e il fatto di cui è incolpato è automatico, dice la Corte Suprema. Quindi, sul riscontro oggettivo, quando si tratta di un riscontro oggettivo, cioè a dire esterno al dichiarante, di tipo indiziario, valgono gli stessi argomenti esposti prima. Dobbiamo tener sempre presente che le parole hanno un peso, va bene, che va al di là delle costruzioni giuridiche. La differenza fra indizio e sospetto va tenuta presente. Tra indizio e suggestione. La suggestione: siccome l’ho visto nel forno… Tu volevi vedere ciò che hai visto, non hai visto ciò che era, hai visto ciò che volevi vedere. Ecco la differenza tra l’indizio e il sospetto. Quando tu vedi ciò che vuoi vedere e non ciò che è, ciò che appare ai tuoi sensi, tutto diventa ombra. Quando la tua direzione, la direzione delle tue ricerche è soltanto un’affannosa ricerca di conferme a una verità che tu ritieni verità senza aver criticamente sottoposto a vaglio – che sarebbe quella del dichiarante – tutto diventa un terreno minato. Corte Suprema Cassazione, Sezione I, 19 febbraio del ’90, Pesce, in Cassazione Penale del ’91, 2, numero 14 : “Il riscontro oggettivo deve centrare fatti” -deve essere un elemento esterno al Lotti che deve centrare però fatti – “che riguardino direttamente la persona dell’accusato.” Direttamente. Pensate al carosello di macchine viste in prossimità, non davanti o sopra i luoghi dei delitti di Vicchio e di Scopeti… Io difendo Vanni. Io il nome di Vanni non l’ho mai sentito fare dai cosiddetti testimoni, che offrivano elementi indiziari. “Deve centrare fatti che riguardino direttamente la persona dell’accusato, in relazione allo specifico fatto che gli viene addebitato.” E sennò rimane un sospetto, benedetto il Signore! Siamo alle solite. Rimane una suggestione, rimane un’ipotesi di lavoro. Andiamoli a trovare gli indizi veri se ci sono, sennò vuol dire che il nostro lavoro si ferma e prenderà altre direzioni. Al di là del Lotti. Cassazione, Sezione II, 7 febbraio del ’91, Vannini, in Cassazione Penale pubblicata 19 92, numero 998. Ancora più specificatamente, sempre in ordine al concetto di riscontro oggettivo, teniamo presente gli elementi indiziari. Del Pucci parleremo dopo. “L’oggetto della conferma dell’attendibilità…” Allora, Lotti: per me sei inattendibile. Io devo trovare una conferma esterna a te della tua attendibilità. Allora: “L’oggetto della conferma della attendibilità deve essere individuato in quei dati storici – dati storici – che attengono alla responsabilità del chiamato in correità e non già a quelli che risultino di mero contorno descrittivo di luoghi o di persone.” Quanto vi hanno gabellato di riscontri oggettivi? Ha fatto il sopralluogo, ha riconosciuto il ponticello, c’era meno acqua, qui c’era la fontana… Intanto, secondo il modestissimo avviso di questo difensore – l’ho già detto ieri – questa è la prova provata che lui non c’è stato lì, proprio per le circostanze d tempi e di luogo in cui lui ha descritto la sua presenza lì quel 2 9 luglio, per esempio, dell’84 a Vicchio. Perché non poteva mai dire: c’era meno acqua, o c’era più acqua, c’era il ponticello… in una situazione di notte in cui vedeva appena le luci di posizione della macchina davanti a lui. Ed era investito da una nuvole di polvere, come ha detto lui. Ma lasciamo perdere questo. Stiamo al concetto di riscontro oggettivo: “L’oggetto della conferma della attendibilità” -dice – “deve essere individuato in quei dati storici che attengono alla responsabilità del chiamato in correità, e non già a quelli che risultino di mero contorno descrittivo di luoghi o persone.” E sarebbe bellina, sennò. Perché viene il Lotti: oh, finalmente. “Deus ex machina”; viene lui, “relevatio ab onere iudicandi”, finalmente nessuna fatica. Come ha detto il Pubblico Ministero all’inizio? Voi non dovete lavorare, voi non dovete faticare, voi non dovete sforzarvi di pensare. Eh, no. Di tutte le cose che ha detto, quella che condivido di meno è proprio questa. “Non dobbiamo affannarci a costruire, a dedurre, a vedere e a capire.” 

P.M.: (voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: “Costruire”, pardon. Chiedo venia. Pagina 20 della sua requisitoria. 

P.M.: Citiamo bene.

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: La dico per benino, guardi. Mi corregga se sbaglio. “Non dobbiamo affannarci a costruire, dedurre, vedere, capire.” 

P.M.: (voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: “Dedurre, vedere, capire. No, la situazione è chiara, è oggettivamente chiara. Dobbiamo solo” — alla faccia del solo – “se non verificarla, riscontrarla.” 

P.M.: (voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: C’è scritto così. Benissimo. Il “solo”, è suo. Perché la legge non dice “solo”, dice che: se non c’è riscontro oggettivo, anche se Lotti fosse stato Cristo in terra, non poteva essere utilizzato come riscontro. 

P.M.: (voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: La prego, signor Pubblico Ministero. 

P.M.: Siccome insiste, insisto anch’io. Anche stavolta cita cose non…

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Pubblico Ministero, la prego di farmi fare il mio lavoro; lei ha la replica. Eh?  

P.M.: Deve dire anche la verità.

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Signor Pubblico Ministero, sto riferendo le sue parole. Io… 

P.M.: No, sta riferendo…

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Io non voglio polemizzare con lei. Presidente, intervenga.

PRESIDENTE: (voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Quindi: “Non in dati che risultino di mero contorno descrittivo di luoghi o di persone.” Ho detto Cassazione Penale, l’ho citata. Anche il Tribunale di Roma, anche il Giudice di merito. Tribunale di Roma, 7 novembre dell’89, Canzulli. In critica del diritto, 1990/31. E perché non deve, il riscontro oggettivo, perché non deve riguardare dati di mero contorno di luoghi o di persone? Ma è ovvio, no? Perché il riscontro deve venire da fuori di me che sto parlando. È ovvio che se io vi dico : ho commesso un delitto e insieme a me c’erano degli altri, voi mi portate sul luogo. Io vi dico, posso benissimo inventare quello che mi pare: io ero lì, quell’altro era là; abbiamo visto come, lo ha detto… Qualcosa devo dire. Non posso mica dire che è venuto l’Arcangelo Gabriele e dopo ci ha portati via con le ali. E lo spiega con un esempio molto bene il Tribunale di Napoli, questo aspetto, che è stato tanto enfatizzato. Cioè a dire del riconoscimento dei luoghi, cioè a dire di un riscontro che proviene dallo stesso dichiarante accusatore. Il riconoscimento dei luoghi che fa il Lotti, proviene da lui stesso, eh. E per questo non vale niente. Secondo l’esempio della Corte di Appello di Napoli, 15 settembre 1986, Acquaviva: “Se Tizio afferma…” Per esempio, allora veniamo a noi: se Lotti afferma che Vanni ha ucciso la povera Pia Rontini sotto la Torre di Pisa, per esempio – e indica un luogo — non può essere l’accertata esistenza della Torre – la Torre di Pisa esiste e quindi lui sta dicendo la verità. No, eh – non può essere l’accertata esistenza della Torre a dimostrare la credibilità del Lotti, ovviamente. L’esistenza della Torre, quindi il riferimento al dato del luogo, comunque indifferente rispetto al tema storico da ricostruire, cioè a dire l’omicidio della povera Rontini, “può diventare efficace” – dice la Corte di Appello di Napoli –“a dimostrare il tema probatorio intermedio”. Cioè la credibilità del Lotti. Allora, Lotti ha detto: Vanni ha ucciso la Pia Rontini sotto la Torre di Pisa. Il riferimento alla Torre di Pisa può diventare un elemento interessante che corrobora, conferma la credibilità del Lotti se, in questo luogo, sotto la Torre di Pisa, sono state trovate tracce di sangue dell’ucciso. Non tracce di sangue in generale, eh. Qui, sulle tracce di sangue ora parleremo. Tracce di sangue dell’uccisa. E, prima delle dichiarazioni accusatorie, tutti ignoravano la circostanza che l’omicidio fosse stato consumato sotto la Torre. Allora sì. Ecco il riscontro esterno: tu mi stai dicendo una cosa. Io vado sotto la Torre di Pisa, trovo tracce di sangue – non basta – trovo tracce di sangue che è compatibile con quello della vittima, quantomeno. E poi nessuno sapeva, prima che tu me lo dichiarassi, che veramente l’omicidio è avvenuto lì. Allora quel “lì”, quel “lì” che tu mi stai indicando, anche se proviene da te, trova una conferma esterna, un riscontro esterno. Questo è il riscontro oggettivo. La differenza tra soggettivo e oggettivo è evidente: soggettivo viene da me, oggettivo sta fuori di me. Viene da altri, viene da altrove. Qui non ce n’è di queste cose. Anzi, a proposito delle macchie di sangue, ecco, siccome se n’è riparlato anche nelle discussioni finali, io do atto che, tra i vari cosiddetti riscontri oggettivi di cui ha parlato il dottor Giuttari e che fortunatamente non sono stati presi in considerazione dal Pubblico Ministero nella sua esposizione finale, c’è proprio questa storia delle macchie di sangue. Attenzione, ipotesi e situazione ben diversa, eh, da quella illustrata dalla Corte di Appello di Napoli, per esemplificare, comprensibilmente per tutti, il concetto di riscontro oggettivo. Dice: andare a lavarsi le mani sul greto del fiume e poi dei testimoni hanno visto delle macchie di sangue. Già tutto inutilizzabile, perché, voglio dire, il Presidente è intervenuto, pagina 50. Io, ripeto, che non ho visto…

Presidente: (voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Ecco, appunto. No, Presidente. Ma è interessante…

Presidente: Sembravano macchie di sangue. Sì, sì.

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: …per prendere le distanze. Perché… Teste Giuttari, prima parte del mattino, udienza 23/12/97, proprio mentre veniva interrogato Giuttari, fascicolo 64, pagina 50, il Presidente dice: “Avvocato, su questo punto c’è una perizia medicolegale che ha escluso che si tratti addirittura di sangue.” Neanche sangue, era. Ma tu guarda, quando si dà una indicazione sbagliata, che valanga che viene fuori, dopo. Perizie, controperizie, testimoni. E poi, alla fine, non era neanche sangue. Io mi auguro fin qui di avere esposto chiaramente la differenza tra il riscontro oggettivo e quello che viene gabellato per riscontro oggettivo. A proposito di sangue, facciamo un passo indietro: ma questo benedetto, o maledetto, spolverino del Vanni, mi pare – mi corregga, Presidente – che esiste una perizia, o non è mai stata fatta una perizia che accertasse se c’erano tracce di sangue? No.

(voce non udibile)

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Ma, anche questa, ve la – come direbbe il Pubblico Ministero – ve la lascio così. Perché voglio dire, questo spolverino è un elemento decisivo, eh. Le tracce di sangue, mi insegnano i Giudici togati, rimangono, eh. Rimangono a distanza di anni. 

P.M.: Legga gli atti, avvocato, prima di fare…

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Prego? 

P.M.: Legga gli atti.

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Ecco. Certamente, però, non è stata ripetuta dall’accusatore nella sua esposizione finale, evidentemente non è stata ritenuta congrua, come la storia delle buche, sotto un profilo di riscontro oggettivo. Poi parleremo anche delle buche che sono sparite nel frattempo. Sì fanno le bonifiche ambientali per trovare le buche con la bottiglia di vetro “Granini”, 11 anni dopo. Le bonifiche ambientali. Quindi, allora, lasciamo perdere i riferimenti che provengono dallo stesso narrante e che sono di mero contorno descrittivo di luoghi e di persone perché sono acqua fresca, quando non sono addirittura invece la prova provata della falsità del dichiarante per le ragioni che ho già detto prima. Perché lui, il ponticello che c’era più acqua o meno acqua, la fonte e tutto, in quella condizione che lui ha così ben descritto, che seguiva la macchina, non poteva vedere niente. Poi dice ancora la Corte Suprema di Cassazione: “Il riscontro deve essere certo.” E qui ci colleghiamo perfettamente al concetto di indizio, che anche lui deve essere certo come si è detto ieri. Obiettivamente certo e non soltanto possibile. Eccolo qui, la differenza tra indizio e possibilità, tra indizio e sospetto, tra indizio e ipotesi. L’ipotesi è una possibilità; l’indizio, invece, deve essere certo. Deve condurre in modo unidirezionale verso la persona dell’accusato. Sennò non si utilizza se è incerto. Se è incerto non è indizio, è un sospetto, è una ipotesi indimostrata. Quindi, dice: “Il riscontro deve essere certo, obiettivamente certo. E non soltanto possibile, o ancor meno congetturale.” La congettura, pensiero mio, una cosa interna mia. E io, quello che vedo fuori, siccome voglio vedere quello che ho dentro di me, lo faccio diventare un indizio. “Non essendo…”, e anche qui la Corte si prende il fastidio di spiegarlo in termini molto chiari. Dice la Cassazione, Sezione II, 16 febbraio ’72. Poi ce ne sono delle altre più recenti. Masci, in Cassazione penale ’73/884. Dice: “Non essendo” – perché deve essere certo? perché deve essere certo il riscontro oggettivo? – “Non essendo logicamente ammissibile” – logicamente ammissibile – “che sia attribuita funzione verificatrice della certezza di un fatto, a un elemento del quale, a sua volta, dovrebbe essere verificata la certezza.” Elementare, no? Noi abbiamo uno che fa una narrazione e la legge ci dice che già di per se stesso non gli dobbiamo credere. Presunzione relativa di non credibilità. Cos’ è che può fondare la credibilità di quest’uomo? Un qualche cosa di certo, non un qualche cosa che, a sua volta, se non è certo vuol dire che deve essere a sua volta verificato. Per esempio, che il coltello trovato a Vanni sia il coltello degli omicidi, deve essere tutto da verificare, questo. Dov’è la prova che è certo? E che fa, una cosa incerta che verifica una narrazione che di per sé è incerta. “Non essendo logicamente ammissibile che sia attribuita funzione verificatrice” – funzione verificatrice – “della certezza di un fatto”. Lotti dice: ‘ho visto Vanni’. E io non ti credo: “dammi un riscontro oggettivo”. Allora, qualunque esso sia, il riscontro oggettivo deve essere però certo, deve portare direttamente Vanni nel posto dove lo ha visto Lotti. Nessuno ha visto Vanni davanti agli Scopeti, davanti a Vicchio. Nessuno nomina Vanni. E che vogliamo dire? Che è un indizio o un riscontro oggettivo, il fatto che qualcuno dopo 12 anni ha detto che era al bar di Vicchio tre qiorni prima o cinque giorni dopo? O che davanti al bar di Vicchio ci fosse una cassetta delle lettere? Ma si travalica un’altra volta il limite del ridicolo. Quando non siamo ancorati alla sana ragione, all’esercizio che ci distingue dagli animali, che è questo. “Non essendo logicamente ammissibile che sia attribuita funzione verificatrice della certezza di un fatto a un elemento del quale, a sua volta, dovrebbe essere verificata la certezza.” Altra Cassazione: 2 giugno ’88, Colella, in Cassazione Penale ’90, numero 920. Cassazione, ancora, stessa massima: 14 marzo ’88, numero 3265, presidente Modigliani, Servillo ed altri. Io l’ho trovata citata nel testo: “La chiamata di correo nella Giurisprudenza del Viviani”, Giuffré Editore, 1991, pagina 295. Entrambe queste sentenze, in ordine al concetto di riscontro oggettivo certo, dicono la stessa cosa: quella sentenza di 20 anni prima. E dice: “I riscontri oggettivi che servono a verificare” – che servono a verificare – “la attendibilità, la credibilità della dichiarazione accusatoria, possono assumere qualsiasi contenuto.” Qualsiasi contenuto, anche indiziario si è detto, no? Quindi anche un segno qualunque. Qualsiasi controllo. “Purché sia certo e indipendente dalla chiamata di correo.” – Cioè, esterno a Lotti – “Non è quindi accettabile” – non è quindi accettabile – “come riscontro un dato opinabile o congetturale.” E siamo alle solite: che non porta in modo unidirezionale all’unica conclusione del Vanni, collegato ad un fatto omicidiario. Quindi: “Non è quindi accettabile, come riscontro, un dato opinabile o congetturale, non essendo possibile” – stesso concetto – “sul piano logico, attribuire efficacia verificatrice a un qualche cosa che debba, a sua volta, essere verificato.” Questo, significa riscontro oggettivo. Allora noi abbiamo apprezzato, nella esposizione finale del rappresentante dell’accusa, una serie di indicazioni che lui genericamente chiama testimoniali, no. Dunque, l’unica indicazione formalmente testimoniale è quella che riguarda il Pucci; tutte le altre indicazioni chiamate impropriamente riscontri oggettivi dal Pubblico Ministero riguardano indicazioni di tipo indiziario. E noi abbiamo illustrato, non noi, ma la Corte Suprema, i Giudici di merito da qui a 50 anni fa, va bene, in numerosissime e costanti sentenze, come sia l’indizio che il riscontro oggettivo in generale, qualsiasi elemento di prova, devono avere la connotazione della certezza. Cioè a dire: devono essere gli elementi che li distinguono dal sospetto, dalla ipotesi, dalla suggestione. Devono portare in modo univoco, unidirezionale, al di là di ogni possibile dubbio, diceva una massima che vi ho indicato ieri, al di là… alla persona dell’accusato. Di questi riscontri oggettivi c’è stato un gran parlare quando l’autore delle attuali indagini, il coautore, insomma, ecco, uno dei responsabili delle attuali indagini, il dottor Giuttari, è venuto il 23 dicembre a rendere testimonianza. Io intanto ho avvertito questa significativa cosa: che poi, non tutte le indicazioni fornite dal dottor Giuttari, alla … e anche prima, era venuto a giugno, come indicazione di riscontri oggettivi, ripeto, quelli del dottor Giuttari, escludiamo un attimo il teste Pucci, sono tutte indicazioni indiziarie; sono tutti riscontri oggettivi di tipo indiziario. Non sono state neanche utilizzate tutte dal Pubblico Ministero nella sua esposizione finale. In primis, avrete notato anche voi, che nessuno ha più parlato di buche. Si è fatto… I giornalisti ci hanno, su questa cosa, ci hanno marciato, delle buche… Hanno venduto giornali per un sacco di tempo. Poi, di buche non si parla più. Si fanno le bonifiche ambientali. Noi sappiamo cosa dice Lotti sulle buche. Non ve l’ho voluto ripetere, ma è agli atti. Parla di una buca a Vicchio e di una buca a Scopeti… prima di Vicchio… non importa. Le buche. Lo scopo delle buche avrebbe dovuto essere quello di nascondere le parti anatomiche asportate a seguito di squartamento e di escissione alle vittime femminili. Ora, già questo, comincia a farci navigare tra il cielo e la terra. Perché, voglio dire, se lo scopo… Allora, vediamo un po’ di seguire: se lo scopo, se il movente, se la causale è quella di tipo maniacale, sadico feticistico, cos’è quello, un nascondiglio? Ma che c’aveva, un frigorifero portatile, dove conservarla? E’ estate. In luoghi che, immediatamente dopo l’omicidio, sono stati invasi. Quante volte ha apprezzato anche il Presidente, a volte la, non voglio dire la faciloneria, ma insomma, il fatto che questi luoghi non sono stati adeguatamente isolati per poter svolgere indagini, le più approfondite possibili, senza che ci fossero contaminazioni da parte di curiosi da parte dei giornalisti. E io che faccio? Questo feticcio, già dice la parola che io do una importanza decisiva a questa cosa. Gliela posso dare l’importanza decisiva o perché sono un maniaco sessuale, o perché io ci faccio i miliardi. Perché si è evidenziato anche un sospetto – questo si chiama proprio sospetto, eh – perché dire: non mi interessa questa cosa. Perché è stato detto che è il Pacciani. Quindi, a me non interessa. Però dire: siccome Pacciani ci aveva un sacco di soldi, ergo… Guardate, eccola qui la differenza proprio papale papale, casereccia, tra indizio e suggestione. E le suggestioni non dovrebbero mai essere introdotte in un processo per turbare la serenità del giudizio dei Giudici. Quando si dice una cosa e poi la si dice a mezzo e non la si dimostra, si introduce un elemento di suggestione. Si dice: siccome a Pacciani gli hanno trovato tanti soldi nascosti nel forno, due case, eccetera, cosa vi si vuol dire poi, dopo? Cosa vi dovrebbe rimanere in testa a voi? Eh, quelli sono il provento della vendita dei feticci. E dov’è la prova che sono il provento della vendita dei feticci? E dov’è la prova che non possono essere altro che quello? Dov’è l’indizio, addirittura? Nessuna ha fatto ricerche su questo. Vi si lancia. Come l’impressione della nipote del Vanni – non mi ricordo più come si chiama – dice: ‘io ho avuto…’ eccola qui l’altra suggestione. Ma sai, quando poi vi si bombarda per giorni interi con suggestioni di questo livello, a questo punto, capito? ‘Io ho avuto…’ la bravura oratoria del Pubblico Ministero in questo consiste. La bravura di cui gli diamo atto, assolutamente, proprio. ‘Io ho avuto la sensazione’ – quando è stata col Lotti – ‘che lui…’. La sensazione. E lui infatti vi dice molto correttamente, come sempre: ‘io ve la lascio, ve la porgo così com’è’. Eh, no, non ce la devi porgere. Perché qui non facciamo giudizi sulle sensazioni. ‘Io ho avuto la sensazione.. .’, e qui siamo proprio… Dice: ‘che lui avesse un segreto tragico che nascondeva’. Eh, va be’, ma in un processo non si dicono queste cose, non servono a niente. No, servono a indirizzare in modo errato il vostro, il percorso del vostro pensiero. Allora, voi dovrete fare i conti, invece, con questi elementi, a proposito del Vanni. Che nessuno lo nomina in quelle macchine lì, che nessuno lo vede. Vi ricordate Bozano, eh? Trasportato, o guidatore, o quello che gli pare, in prossimità dei luoghi dei delitti, in ore vicine a quelle dei delitti. Nessuno nomina Vanni. Vanni viene nominato da qualcuno dieci anni dopo che dice: ‘l’ho riconosciuto’, dieci anni dopo. Per la valenza che può avere anche questo, stante la naturale fallacia dei sensi e poi specie quando questo riconoscimento avviene da parte di persone giustamente motivate in un certo senso. Zero. Perché, allora, tutti i frequentatori di un certo bar di Vicchio, che sono andati tre giorni prima, o cinque giorni dopo l’omicidio, sono possibili sospetti. Ma scherziamo!? Sono riscontri documentali, avete avuto modo di apprezzare, Signori della Corte, che l’esame di tutte le dichiarazioni del Lotti nei famosi capitoli: contraddizioni, inverosimiglianze, falsità e ridicolo, in sostanza sono la miglior prova – prova, questa – della inesistenza di una conformità, che vi ha tanto esaltato il Pubblico Ministero, tra i dati documentali acquisiti e i dati, invece, forniti da Lotti. Ricordatevi, il palo a Baccaiano, la radio accesa a Giogoli, la posizione dei cadaveri a Giogoli, i bossoli, ergo gli spari dentro al furgone, come fu uccisa la Pia Routini, il taglio della tenda agi Scopeti, l’ubicazione del taglio, gli spari agli Scopeti, tutti i bossoli vicini alla tenda, il ragazzo che era nudo, le escissioni dentro la tenda in tre. Eccetera, eccetera, eccetera. Sono tutte, queste, palesi falsità. Cioè, situazioni decisive, ai fini della ricostruzione degli episodi omicidiari, che sono in contrasto diametrale, diametralmente opposte ai dati oggettivi acquisiti a questo processo. Quelli che il Pubblico Ministero chiama dati documentali. Le molestie alla Rontini. Teste Van Pflug, teste Sordi Anna. Avventori del bar che le davano fastidio, qualche vecchietto che diceva: ‘sei bella, sei bona’, e lei se la cavava con una battuta scherzosa. E questo è l’indizio? E questo è il riscontro oggettivo? Le dichiarazioni della Nicoletti. Questa… Altra suggestione, come la nipote del Vanni. Le dichiarazioni della Nicoletti che è stata nella piazzola di Vicchio col Lotti. Porca miseria! “Guardate” – come ha detto il Pubblico Ministero –“Guardate la coincidenza di come va a mettere la macchina in modo assolutamente…”, ma Signori, ma nella piazzola, il Lotti, quanti metri quadri saranno? Come la mette uno? Quanti ci andavano lì? C’è mai stato il Vanni, poi? Voi, questo dovete decidere. E non perché lo dice il Lotti. La descrizione del casolare, lasciamola perdere, perché ha a che fare con quelle massime della Suprema Corte che dicono che: ‘i dati di contorno, di riferimento, che provengono da uno stesso dichiarante a luoghi o persone, che non porti…’, non significa nulla. Fra l’altro poi sbaglia clamorosamente anche sul casolare, perché il casolare dice che era un rustico in costruzione. E invece è una colonica di 200 anni prima. Insomma, lasciamo perdere. Ci sarebbe… Io mi fermo, perché mi fido della vostra, del vostro giudizio, sì; della vostra assennatezza, sì; del vostro buonsenso comune, sì. L’altro indizio, l’altro riscontro oggettivo, non si sa bene di chi è e non si sa bene questo riscontro oggettivo, cosiddetto oggettivo, che male dovrebbe fare al Vanni, la cosiddetta omosessualità del Lotti. Riscontro oggettivo, l’hanno chiamato. E perché lo chiamano riscontro oggettivo, il fatto che Lotti è un omosessuale? Ma la cosa clamorosa, più tragica, è che i testi indotti dal Pubblico Ministero a riprova dell’omosessualità del Lotti, Bonechi e Butini, rileggeteli, Signori. A parte il fatto che, come riscontro oggettivo non riscontra un bel niente. Perché il riscontro oggettivo deve riguardare direttamente, come abbiamo detto prima, la persona dell’accusato e non la persona dell’accusatore. Può essere però sintomatico e interessante, delle bugie che vi racconta il Lotti, quando lui, in qualche modo, cerca di dare un movente alla ragione per cui lui si trovava sempre su questi omicidi. E dice: ‘ma sa, io ho avuto un rapporto omosessuale con Pacciani. Io… Sennò lui mi minacciava…’ Anche qui l’ambiguità, no? Ne dice due, sempre due, minimo. Su questa storia dice: ‘io andavo lì perché mi minacciava, sennò, di svergognarmi in paese’. Gli è stato fatto sommessamente notare: ‘ah, e sicché lei si rendeva corresponsabile di omicidi, squartamenti, duplici, efferati, semplicemente per la paura che qualcuno in paese – bontà sua – nei confronti dei suoi figli e dei suoi parenti che non guardava neanche di scancio, gli vada a dire che ha avuto un rapporto…’. Vada a dire, vada a riferire. Dicerie di paese. Ridicolo anche questo, no? Poi dice: ‘no, perché lui mi picchiava, ci aveva un potere fisico su di me’. Ma anche sull’omosessualità del Lotti, eh? Ve lo ricordate cosa hanno detto? “Io finocchio non sono mai stato”, dice questo. “Finocchio”, chi è questo? Butini. Poi, a un certo punto, dice… Mi dispiace, ma questa è una favola. Usa una parola bellissima: “L’ho conosciuto al bar. Prima, Giancarlo. Siamo andati al cinema a luci rosse, per me l’è stata una persona per bene. È stato un amico com’è stato Mario Vanni. Ci siamo divertiti e basta. Pacciani non l’ho mai visto.” E poi Butini dice: “Mi dispiace”, dice proprio così, “Mi dispiace, ma questa storia dell’omosessualità l’è una favola.” “L’è una favola”, lo troverete. E allora, apprezzerete – con riferimento a quello che è l’insegnamento del buonsenso comune, della ragione pratica che guida sempre tutti i comportamenti della nostra vita; a maggior ragione i nostri comportamenti che sono così pesanti in una vicenda in cui siamo, siete chiamati a giudicare – quelli che sarebbero i cosiddetti riscontri oggettivi, che oggettivi a riscontri non sono. Stante l’insegnamento costante della Giurisprudenza di merito e di legittimità. Quelli che chiama riscontri testimoniali il rappresentante della Pubblica Accusa, è la cosiddetta testimonianza del signor Pucci. Il quale si presenta come un signore che era agli Scopeti. Quindi, lui è testimone, per la verità, perché sennò si continua a enfatizzare e si torna a non distinguere più la differenza che passa, ancora una volta, tra la suggestione, l’ipotesi di lavoro non verificata, eccetera. Questo signor Pucci, sarebbe, così come vi viene presentato dall’accusa, testimone. Cioè a dire: colui che ha visto. Prova diretta. “Io c’ero”; non: ‘ho sentito dire’, relativamente all’episodio degli Scopeti. Quindi, tutte le altre cose – se gli sono state fatte altre domande su altre vicende, su altri episodi, salvo un riferimento a Vicchio a ima sua presenza anche a Vicchio che poi esamineremo -sono situazioni che lui riferisce, come si suol dire in termine tecnico, de relato. Dice: ‘me lo ha detto il Lotti…’, e quindi è un serpente che si mangia la coda. Non riscontra un bel nulla. Laddove Pucci dice: ‘questo me lo ha detto il Lotti’, torniamo sempre al Lotti. Mentre noi sappiamo che il riscontro esterno deve essere, appunto, esterno a Lotti, esterno all’accusatore, esterno al dichiarante. E vediamo che ci dice questo Pucci a proposito della giornata. Io ho sentito che… Per la verità, io i verbali dell’esame del signor Pucci me li sono letti – io non ero ancora difensore del Vanni quando è stato sentito – e quindi me li sono letti recentemente. Mi ha colpito, però, nell’esposizione del Pubblico Ministero, nell’esposizione finale, l’uso delle parole. Il Pubblico Ministero lo chiama “un ragazzo”, “un omino”. Sono andato a vedere, ma avrà 60 anni, quanto ha? Però lo chiama “un ragazzo, è un omino”, parole del Pubblico Ministero, che va preso per quello che è. Poi io ho letto e mi sono fatto un’idea. Io, come dice il Pubblico Ministero? Io ve la porgo per quello che vale. Ora vedremo se vale poco o vale tanto. Per me non è neanche un testimone, è un disastro. Però mi aveva colpito questo fatto Ma perché lo chiama un testimone fondamentale… Perché è l’unica cosiddetta prova diretta a riscontro delle dichiarazioni del Lotti che sappiamo, abbiamo visto quello che sono, e me lo chiama “un omino, un ragazzo”, Dico: ma quanti anni ha questo? Perché lo chiama così? Poi vado a vedere che la sorella del Pucci, e così corrobora quest’uso del linguaggio da parte del Pubblico Ministero, no, perché, in pratica, parla di una persona molto limitata. Dice: “Perché a lui bisogna dirgli tutto.” Dice. “Icché deve fare, icché un deve fare; se ha da andare a fare una visita, bisogna andarci noi.” Teste Pucci, fascicolo 29, udienza 4 ottobre ’97, pagina 79. “Poi viene a chiederci tutto. Se lui va a Mercatale viene a dirmi: ‘Marisa, vo a Mercatale’. Ecco, capito com’è? Se va a farsi i capelli, mi dice: ‘Marisa, vado a farmi i capelli’, avverte che va via. Qualunque cosa, ha capito? Lui ci chiede tutto. ‘Vado a riscuotere la pensione’, ecco, tutto. A noi ci dice tutto.” Fra l’altro vengo a sapere che poi ci ha la pensione e non sa neanche perché ce l’ha la pensione, ma insomma… Questo, per inquadrare. Ecco. Poi si vanno a leggere i verbali delle dichiarazioni del Pucci che riguardano, come teste diretto, la domenica degli Scopeti. E qui… Si fa presto, eh, signor Presidente. Non ci vuole tanto. Io rilevo, nello stesso contesto, eh. Perché lui è stato sentito, Pucci, il 6 ottobre ’97 nella stessa giornata, 6 ottobre ’97, 6 ottobre ’97, 6 ottobre ’97: mattina e pomeriggio. Ecco, sono quattro. Li chiamo volumi, io, insomma ecco, così come mi sono stati dati. Ecco. E allora, vengo a vedere. Proprio l’ho ricostruita tutta, eh, dall’inizio da quando è andato con il Lotti, è partito da San Casciano. Io sento, io constato in queste dichiarazioni che lui dice: “Si partì alle tre e mezza.” Poi dice: “Si partì dopo cena.” Poi dice: “Si andò dalla prostituta, Gabriella.” Poi, dice: “No, si andò al cinema Arlecchino.” Poi, dice: “Ci si incontrò con la Gabriella in via Fiume.” No? Poi, dice, nello stesso contesto: “Si andò a casa della Gabriella.” Poi cambia, altra versione. Dice: “No, si andò con la Gabriella in una pensione.” Volume I, pagina 43 . Poi dice: “Dalla Gabriella venne Vanni, venne Vanni; no, non venne Vanni.” Volume I, pagina 16. Volume I, pagina 43. Poi dice: Ma agli Scopeti c’era la luna?” “C’era la luna, si vedeva proprio bene.” Volume I, pagina 17. Poi dice: “C’era la luna crescente, quella buona, perché nascono i funghi.” Volume I, pagina 26. Poi dice: “C’era albore.” Albore. Attenzione, Volume III, pagina 7. Qui le domande le fa il collega, codifensore. E dice: “Ma scusi, ma lei da un verbale di dichiarazioni rese alla Polizia Giudiziaria, ha detto che c’era albore.” E dice: “Ma che vuol dire che c’era albore?” Sapete cosa risponde il Pucci – tra l’altro conferma la perfetta conoscenza della lingua italiana da parte degli abitanti della Toscana, anche se illetterati – perché lui dice: “C’era albore.” Traduzione del Pucci, pagina 7, del Volume III: “Vuol dire l’alba, mattina presto.” Ed è vero, me lo sono andato a guardare anch’io sul vocabolario; se poteva avere altri significati. Preciso! Quindi, complimenti al Pucci per la proprietà del linguaggio. Il problema non era se Pucci conosceva una parola così aulica, oppure no. La conosceva e ne conosce perfettamente il significato. Quello che non torna, però, è che questo sposta completamente il discorso – rendendolo melmoso al massimo – dell’ora del delitto, di quando sono andati agli Scopeti; del resto in linea con quanto ha detto prima. “Si partì alle tre e mezza.” “Si partì dopo cena.” Allora dice: “C’era la luna si vedeva proprio bene; c’era la luna crescente, quella buona, perché nascono i funghi.” Noi sappiamo che il delitto è avvenuto – diciamo – tra le 10.00 e mezzanotte, poi dice: ‘c’era albore’. Gli si chiede: “Ma, che vuol dire albore.” Dice: “Vuol dire l’alba, mattina presto.” “Ah, allora quando tu sei andato lì, era l’alba, mattina presto.” Poi sul cinema Arlecchino, pomeriggio a Firenze. Volume III, pagina 4 dice: “All’Arlecchino no, c’eravamo andati la domenica prima, no la domenica degli Scopeti.” “Ma, insomma agli Scopeti perché vi siete fermati?” Sentite quante versioni. “Ci fermammo per fare pipì”. Dice: “No, per curiosità si andò a vedere.” “No” – dice – “ci fermammo proprio lì per riposarci”. Pagina 58 e 59 del Volume II. “Ma l’idea a chi gli venne?” Dice: “L’idea venne a tutti e due contemporaneamente”. Pagina 60 del Volume II. “Venne a tutti e due contemporaneamente.” Alla fine, verbale acquisito agli atti. Verbale del 9 febbraio del ’96, altra versione: “Ci fermammo per guardare una coppia.” Comincia bene, eh, Pucci; qui proprio… Qui siamo in preda ai marosi, il timone si è perso e la nave è sbattuta da venti che provengono da tutte le direzioni. Cosa ci si può capire, finora? Io ancora non ho capito niente. Ho capito che questo non si può neanche definire un testimone. Mi martella la mente quella frase di Robespierre: “Voi vi aggrappate alle forme…” È un testimone, è lì, un pezzo di carne 60 chili, 70. È che avete perso di vista, io dico, la sostanza. Questa è la sostanza. Poi ancora dice: “Aveva sentito Lotti, Vanni, e Pacciani concordare di spiare delle coppie in auto.” Verbale 9 febbraio ’96. Poi, invece, nel Volume II, qui, quando è stato sentito, pagina 67 e 69, dice: “Mai sentito una cosa del genere.” Poi, quando è stato sentito qui. Volume III, pagina 2, testuale: “Agli Scopeti vidi due uomini a bordo; a bordo di un’auto chiara, fermi, a pochi metri da una tenda. Scesero e vociarono contro di noi, minacciosamente.” Però, poi, dice subito dopo che non erano a bordo dell’auto. E come vociarono contro di loro minacciosamente? Dicendo: “Andate via, sennò vi si ammazza anche voi.” Frase che sarebbe stata pronunciata prima del taglio della tenda, no, dopo il taglio della tenda. Volume II, pagina 44. Poi: vide Vanni tagliare la tenda. ‘No, sentì solo il rumore del taglio.’ Pagina 37 e 38, Volume II. Poi. ‘La tenda non era tonda, ma a capanna.’ E qui è proprio falso, eh. Non l’ha vista lui la tenda. Dice: “La tenda era tonda.” Dice: “No, era a capanna.” Volume II, pagina 36. Volume I, pagina 26, testuale: “Appena ci si avvicinò, vedemmo due persone tra la macchina, che ho detto, e la tenda: una…” Ascoltate che descrizioni, questa è letteraria. “Una era più bassa e tarchiata; e l’altra era più alta. Quello tarchiato aveva in mano una pistola; quello più alto aveva in mano un coltellone da cucina.” E a me, scusate, mi è venuto in mente il capitolo XV del “Pinocchio”: il Gatto e la Volpe travestiti da assassini che inseguono Pinocchio per pigliargli gli zecchini d’oro. Uguale Potenza dell’opera d’arte: quando era alla Regina Margherita, in collegio, forse non l’ha letto Pinocchio, ma qualcuno glielo avrà raccontato. Quando deve descrivere, deve dare un’immagine – potenza del Collodi – vien fuori: andate a Collodi c’è una statua. C’è quello basso e tarchiato, che è il Gatto, e c’ha la pistola in mano – di un artista, che non mi ricordo, Iorio Vitarelli, credo – e quello secco e alto, sarebbe stato il Vanni, è la Volpe, col coltellaccio. Proprio dice così Collodi, eh. Coltellaccio da cucina, da cucina. Questo lo dichiara nel verbale, reso alla Polizia Giudiziaria, dichiarazione del 9 febbraio del 796: “Noi si girò le spalle e si scappò, dopo che quello tarchiato ci disse ‘vi ammazzo andate via’.” Allora Pacciani gli dice: ‘Vi ammazzo andate via.’ ‘E noi, noi cioè io Pucci e Lotti’ – va bene – ‘si girò le spalle e si scappò, quindi si scese lo stradello e si tornò verso la macchina’. Questo lo dichiara nel Volume I a pagina 27, nel Volume II a pagina 43. Però, poi, prima cioè, il 9 febbraio del ’96 alla Polizia Giudiziaria aveva dichiarato che, invece, aveva visto anche sparare. Dice: “Scappano quando vedono Pacciani inseguire, sparando, il ragazzo, e Vanni entrare nella tenda.” Allora, com’è questa storia? Cioè, qui dichiara che appena quello gli ha urlato dietro: “andate via sennò vi ammazzo” – che è più che comprensibile – sono scappati. Quindi non hanno visto nulla, perché quando lui fa questo grido, il Pacciani, l’azione – diciamo – omicidiaria non è neanche iniziata. Se voi andate a guardare, acquisiti agli atti, Signori, il verbale del 9 febbraio, dice: “No, io ho visto sparare, ho visto; io ho visto tutto.” Quante volte lo ha detto e rideva anche. Qualcuno lo ha richiamato dice: ‘Guardi, non c’è niente da dire, lo sa?’ Dice: “Scappano quando vedono Pacciani inseguire sparando il ragazzo e Vanni entrare nella tenda.” Versione numero 3, 9 febbraio 7 96: “Scappò via insieme al Lotti.” Poi dice: “No, Lotti rimase a guardare e lui lo aspettò davanti all’auto, vicino alla strada, per una mezz ‘ora.” E insiste, glielo hanno chiesto diverse volte: “Ma è sicuro?” “Sì, sì, una mezz’ora.” Volume II, pagina 48-49 dell’esame dibattimentale. Poi: “Sentì sparare due colpi” – attenzione al due, eh, noi sappiamo ne furono sparati nove, tutto il caricatore – “sentì, sentì” – udire –“sparare due colpi.” Volume II, pagina 47. E qui, una riflessione ci vuole. Siccome lui, poi vi dirà – e ve lo dico io — che sentì distintamente, molto distintamente il sinistro rumore che faceva lo strappo della tenda, con il coltello. Lo descrive in due modi diversi, ma insomma, lui c’ha un udito molto raffinato. Perché insomma, che è a una certa distanza, ha sempre detto, lui, che era a una certa distanza, come minimo, se non addirittura vicino alla macchina per una mezz’ora; però ha sentito questo sinistro rumore. E perché sente questo sinistro rumore? E poi sente solo due colpi di pistola, e non nove? Cosa è più forte? Il sinistro rumore del coltello che strappa la tenda, oppure i colpi di pistola? Colpi di pistola ne ha sentiti sparare due. Volume II, pagina 47. Poi dice: “Sentii grida di donna provenire da dentro la tenda.” Questo lo dichiara nel verbale del 9 febbraio del ’96. Però qui, nel Volume II, a pagina 41 dice, nella stessa pagina: “No, non sentii nulla.” Poi dice: “Non ne sono sicuro.” Quindi ha detto tutte e tre le cose: “Sentii”, “Non sentii”, “Non sono sicuro”. Poi: vidi Vanni entrare nella tenda dall’apertura che vi aveva praticato. Verbale 9 febbraio ’96: “Non lo vidi entrare.” Volume II, pagina 38: non sa se Vanni andò nella tenda o dietro la tenda. Volume IV, pagina 21, qui. Poi dice, insiste: “Si sentì due spari appena ci fermammo per fare pipì.” Volume II, pagina 63. Poi dice: “Vide il coltello?” “No, non vidi il coltello, ma sentii il rumore che faceva brrr.” È trascritto così: b-r-r-r, così. Volume II, pagina 37. Però nel volume II a pagina 56, dice: “E poi si sentì fare zumm! come strappo, no, la tenda!” Vabbè, lasciamo perdere: brrr, zumm. Però, perché mai sente due colpi di pistola, se è così preciso e attento nel sentire lo strappo nella tenda? Oh, Signori della Corte! Poi: “Si guardò la coppia nella tenda fare all’amore anche all’andata, nel pomeriggio di quella domenica.” Volume IV, pagina 7. Però, il 18 aprile del ’96, aveva dichiarato: “Della domenica prima dell’omicidio, che eravamo stati e avevamo visto la coppia fare all’amore.” Che, poi, le circostanze, spazio-temporali di questo vedere la coppia fare all’amore, io rimando alla lettura del verbale di questa udienza. Anche questo è assolutamente inverosimile: “Noi ci avvicinammo vicino all’apertura principale della tenda e stemmo lì a guardare questi due disgraziati.” Qualcuno gli fa notare: “Ma scusi, ma come è di pomeriggio, sole… non vi hanno visto.” “No, no, eh”, risposta proprio. Dice: “Ma loro erano impegnati a fare l’amore, figurati se guardavano noi!” Vanni gli disse che Pacciani aveva una pistola. No, non glielo disse. Volume IV, pagina 14. Poi parla di Vicchio e dice: “A Vicchio ci andò con il Lotti, prima”, poi dice: “No, dopo l’omicidio,” Volume III, pagina 54. Qui mi ero segnato “leggere”, non lo leggo; leggetelo voi. Sul movente, però, è interessante. Volume I, pagina 62 e 69, testuale: “L’avrebbero ammazzati, perché la ragazza…” Ah, sta parlando di Vicchio. Questo è l’unico caso, forse, in cui Pucci dice la stessa cosa che dice il Lotti. Cioè, dice una cosa di una assoluta inverosimiglianza, ma addirittura è una cosa che offende anche le vittime. Ecco, sì. Oltre ad offendere l’intelligenza, la sensibilità ed il cuore di chi deve ascoltarlo. Ed io non voglio fare più ironie, come ieri, i commenti giornalistici, una volta tanto appropriati sui “Casanova con la panza rasoterra.” Sapete che dice? “L’avrebbero ammazzata, perché la ragazza non voleva fare l’amore con loro.” Mah, cosa ci tocca sentire? “Andavano a Vicchio a trovarla, ma lei non cedeva alle loro proposte e per questo la volevano ammazzare.” Qualche amenità, invece va… amenità si fa per dire, eh. Qualche tragica precisazione, per così dire, di questo cosiddetto testimone. “Lui è venuto, si è presentato, si è sottoposto alla fila incrociata delle domande.” E che vuol dire che sia venuto e che si sia presentato? Bisogna vedere cosa ha detto. E dice, ad un certo punto, il Pucci – anzi è ricorrente questa cosa – proprio durante l’esame, continuamente fa riferimento, ma dice: “Ma nel foglio icché c’è scritto?” Nel foglio sarebbe – si capisce – le precedenti dichiarazioni rese alla Polizia Giudiziaria o al Pubblico Ministero prima del dibattimento, e lui è un continuo dire: “Ma nel foglio, ma che c’è mica scritto così?” “No”, dice il Pubblico Ministero. “No, no”, dice Pucci. Pagina 52, fascicolo 31, udienza 6 ottobre ’97. Sapete che dice? “No, lo voglio sapere icchè c’è scritto nel foglio. Lo voglio sapere, perché voi scrivete un monte di robe ; io non me lo ricordo.” Ed insiste. Giustamente il Pubblico Ministero gli fa notare: “No, ma lei non si deve ricordare cosa c’è scritto qui, capito signor Pucci? Lei si deve ricordare se questi discorsi li ha fatti e se sono veri?” “Ma io non me lo ricordo.” Poi ci torniamo eh, su questo ‘non me lo ricordo’. “Però vede se non se lo ricorda ora, è un fatto” -dice il Pubblico Ministero – “se non se lo ricordava nemmeno prima, è un altro.” E sapete che risponde il Pucci? “Non me ne ricordavo nemmeno prima, sicché…” “Non me ne ricordavo nemmeno prima” – pagina 53 –“sicché…” ‘Ora che vuole? È da tanto tempo, chi se ne ricorda? Bah!’ “Non me ne ricordavo nemmeno prima.” E, nel frattempo, interviene il callido assassino che dice: “Sono innocente, io non ho fatto nulla, non sono stati boni di trovare il ‘mostro’.” Ed insiste il Pucci, lo dice Vanni che non sono stati buoni di trovare il “mostro”, Signor Giudice a latere. “Ma allora la mi legga”– insiste il Pucci anche con il Presidente – “la mi legga, perché io non me ne ricordo, mica.” “Presidente” – interviene il Pubblico Ministero –“parli piano, per cortesia. Abbia pazienza, sennò.” Dice: “Con lui va parlato piano.” Il Presidente se n’è accorto. “Non me lo posso ricordare.” Il Presidente: “Vede che ha difficoltà, poi, a rendersi conto di tutto.” No ed insiste, insiste il Pucci. “No, vu mi fate dire le cose che un le stanno bene, eh, abbia pazienza. Va bene, ma io non mi ricordo nemmeno icchè mangiai ieri sera. La si figuri se mi ricordo dell’anno scorso!” E può bastare. Ma quello che non basta è un’altra cosa. Sapete Signori della Corte – ve li do se volete risparmiarvi la fatica – quanti “non mi ricordo” ho rilevato nella deposizione, cosiddetta testimoniale, del Pucci? Quanti “non ricordo”, sapete quanti? 123. 123, non uno, due, tre, tredici o ventitré: 123. Lo dico per i Signori Giudici popolari, esiste un reato che si chiama testimonianza falsa o reticente. Chi è reticente? È chi risponde, ma molto meno di 123 volte “non mi ricordo”. In un unico contesto: 123, Signori della Corte. Ed il pubblico Ministero, sapete come lo definisce questo testimone nella sua esposizione conclusiva? Testuale: “Lucido, lucidissimo, attentissimo nel controesame; noi abbiamo nei suoi confronti un debito totale di credibilità.” Qui cascano le bra. . . ma cosa ci può essere di enorme, di altrettanto enorme? L’invocazione di Marco Antonio davanti alla bara di Giulio Cesare? “oh, giudizio, ti sei rifugiato presso bestie brute e gli uomini hanno perso la ragione.” 123 “non ricordo.” Non mi risulta che si stia procedendo per testimonianza reticente contro quest’uomo. “Abbiamo nei suoi confronti un debito totale di credibilità.” “Debito totale di credibilità”, uè, ma non siamo mica al mercato, eh. Qui, non si tratta di presentare col dolus bonus, come bella una merce che è scadente. Qui si ragiona sulla carne viva delle persone. 123 “non ricordo”, 123. Debito totale di credibilità. A voi, il giudizio. E, adesso, mi avvio alla conclusione con qualche breve notazione essenziale, fondata sugli atti, che si riferisce al movente. Come ha illustrato il Pubblico Ministero e come illustravo brevemente prima, la Giurisprudenza, ritiene che il movente non debba essere necessariamente un elemento decisivo, da prendere in considerazione ai fini del giudizio. Perché il Diritto si occupa dei comportamenti esteriori delle persone; per cui se si raggiunge altrimenti la prova che Tizio ha fatto questo, che questo è un reato, io posso arrivare a condannare Tizio senza lambiccarmi il cervello sul movente. Però, dice anche la Giurisprudenza costante: “La causale o movente” – va bene – “assume rilievo anche decisivo ai fini della individuazione dell’autore del reato; allorché si tratti di un processo indiziario, potendo essa, in tal caso, costituire oltre che di per sé un grave indizio” -di per sé, un momento, un grave indizio –“l’elemento catalizzatore e il filo logico per il coordinamento degli altri elementi positivi di responsabilità, o di colpevolezza emersi a carico dell’imputato; così da attribuire al complesso degli stessi, la necessaria” – la necessaria –“sicura univocità.” Guardate che bel linguaggio anche quello giuridico, a volte. Somiglia un po’ alla matematica. Il tentativo sofferto, doloroso, doloroso, del Giudice di fronte a gualche cosa che è immensamente più grande di lui: la giustizia; di cui la legge è solo l’ombra. Ma noi sappiamo che dobbiamo stare sotto l’ombra della giustizia, dobbiamo stare dentro la legge. Almeno questo possiamo farlo. E questa è Cassazione 17 maggio dell’83, Pardea: “Che comunque trova una serie di conferme, in ordine cioè, alla necessità del movente che diventa, a volte di per sé, specie nei processi indiziari, elemento necessario, indiziante.” Cassazione 7 febbraio ’96 – ’96, questa è recente – numero 1428, Riggio: “In relazione all’affermata necessità di accertamento della causale.” In questo stesso senso, Cassazione 21 aprile del ’94, numero 4589. Quindi, il movente. Si è illustrato prima come la pensa il Pubblico… come la pensa l’inquirente, ecco, in ordine al movente in questa vicenda. Non c’è la mano unica, non si tratta del serial-killer del “mostro”, che poi non ha spiegato che cosa sarebbe questo “mostro”, però dal tono e dal linguaggio che ha adoperato sembrerebbe che, chissà perché, nel linguaggio comune il “mostro” dovrebbe essere una specie di super io, super… di extra-terrestre. No, no. Cioè, è una figura disgraziatamente presente, presentissima nella nostra vita civile, nelle società civili è studiatissima – tra l’altro – perché ha delle costanti anche di comportamento. Comunque, dice: “No, non sono ‘mostri’, sono campagnoli, uomini normali con delle perversioni.” Già questo ci fa addentrare ulteriormente in questa cosa. Perché nella memoria – per esempio scritta – del Pubblico Ministero del 23 dicembre del ’97, quando egli insisteva perché fossero negati gli arresti domiciliari a Vanni, egli lo ha continuato a definire “personalità sadica”. Ma, qui si dice delle cose. . . “Le parole sono frecce”, dice la Bibbia, no? Le parole sono pistole cariche nei processi. Dico “personalità sadica” è una cosa ben precisa; non è che uno può dire “perverso, personalità sadica”, e si rimane sempre, così, nel vaqo. No, eh. “Delitti” – li definisce nella sua esposizione finale – “delitti a sfondo sessuale.” E siamo sempre nel vago. Però “personalità sadica” è un concetto molto preciso, molto preciso. Anche se non viene sviluppato dal Pubblico Ministero è un concetto scientifico, addirittura eh. “Personalità sadica”, in questo caso – con riferimento agli esiti delle perizie medico-legali – è personalità sadica feticistica. E, però, siccome si diffonde, il Pubblico Ministero – sempre a proposito del movente – ha parlare degli indizi, secondo lui – ancora una volta quest’uso così improprio, così contro la legge della parola indizio – della personalità sadica del Vanni, io li ho elencati. Gli indizi, che secondo il Pubblico Ministero, sarebbero sintomatici di un concetto – come quello che poi illustrerò – di personalità sadica del Vanni, tale da renderlo verosimilmente capace di compiere le cose che vediamo, che abbiamo visto, che sono agli atti, sono: il possesso di falli di plastica, la preferenza per il rapporto anale, l’aver percosso la moglie in una circostanza, la frequentazione abituale di prostitute. Poi, ho sentito parlare di una stanza, di uno che apre una porta, un mago con un mantello rosso, non mi ricordo, non lo dico. C’è nella requisitoria del Pubblico Ministero, c’è però quest’altra. Ma, io, ancora una volta vi dico: Signori, questi non sono indizi. Queste sono suggestioni. La suggestione che fece vedere, nei Giudici di Milano della peste del 16 30, in quei signori intravisti da qualcuno – falsamente – a spalmare qualcosa di non meglio identificato sui muri, li ha fatti vedere come i propagatori della peste. E poi, non sapevano ancora che la peste, comunque sia, non si propaga così. Queste sono suggestioni. Si vuole, si vuole trovare, si vuole far entrare un quadro in una cornice prefabbricata e il quadro è o troppo corto o è troppo grosso; dei pezzi devono rimanere fuori: dei pezzi di verità devono rimanere fuori. Ma, insomma, che cos’è un assassino sadicosessuale? Perché – secondo la mia modestissima opinione – il Pubblico Ministero è come se avesse voluto paragonare con questi elementi raccolti, con questo frugare impudico nella vita privata di un essere umano – il processo è dolore, eh, si diceva; il processo è già la pena. Te sei, comunque, fregato quando ti fanno un processo – questo frugare impudico, questo immergere le mani in questi particolari e poi, come in uno specchio deformante allargarli o restringerli, secondo le proprie necessità investigative, è come se avesse voluto paragonare un topolino ad un elefante. Perché, Signori, sapete cosa dice il professor Fornari, che voi conoscete benissimo, perché è stato testimone in questo processo. Personalità nel campo della psichiatria forense di assoluta statura, e nel suo testo – che tra l’altro è del 1997 –“Trattato di psichiatria forense”, sapete finalmente… la vogliamo fare una descrizione scientifica del “sadico-sessuale”, “della personalità sadica-sessuale?” Ecco. Rimettiamoci ad un nostro testimone, il quale dice: “Il sadismo sessuale. Più complessi nella loro dinamica anche se rari” – più rari di questi omicidi – “rispetto al numero complessivo dei delitti commessi contro la moralità pubblica ed il buon costume, sono quegli atti di sadismo sessuale.” Il Pubblico Ministero è partito da questo concetto, anche se poi non lo ha precisato, chiama Lotti perso… Vanni: personalità sadica. Quindi – “sono gli atti di sadismo sessuali, in cui il comportamento sadico è di per se stesso fonte di intenso piacere. Il fine, apparentemente dominante nel delitto che si compie, è quello di raggiungere un’intensa eccitazione sessuale; che non sempre, non necessariamente, culmina nell’orgasmo. Il piacere sadico è contemporaneo e accompagna in piena coscienza una serie di atti violenti, che si svolgono con manifestazioni crudeli quali: ferimenti, morsi, mutilazioni corporee, introduzione nelle cavità anale o vaginale di oggetti che feriscono, contundono.” Vi ricordate il delitto del ’74 che, chissà perché non fa parte di questo processo? “Introduzione nelle cavità anale o vaginali di oggetti che feriscono, contundono.” E poi sapete che aggiunge il professor Fornari? “Asportazione dei genitali e delle mammelle.” Ma qui ci aveva in mente “il mostro di Firenze”. Perché quello nel ’74, ha fatto quelle operazioni orrende di introduzione negli orifizi, eccetera. Poi, a partire dall’81, comincia con le – diciamo – le eufemistiche escissioni alla zona genitale; e poi la progressione – per usare un termine usato per altre cose – dalle escissioni… Quindi introduzione nelle cavità vaginali; poi escissione nelle parti genitali; poi escissione esportazione delle mammelle. E’ un crescendo, un crescendo. Logico, eh. Descritto, studiato. “Mutilazione corporea, introduzione nella cavità anale o vaginale di oggetti che feriscono o contundono, asportazione dei genitali e delle mammelle.” E poi, si arriva in questo crescendo mostruoso – appunto, la parola è questa – “suzione del sangue, vampirismo, nutrizione con le carni della vittima, cannibalismo.” E chi lo sa? Boh! Potrebbe essere anche il nostro caso. “Questa può essere indifferentemente” – aggiunge il professor Fornari – “un uomo, una donna, un bambino, o un animale.” “L’omicidio per libidine…” Abbiamo presente le due contestuali e assolutamente incompatibili motivazioni che ci ha illustrato il Pubblico Ministero: personalità sadica, omicidi… “Per piacere ci piaceva farlo, ci piaceva vederlo fare.” Molto terra terra, descriverlo in questo modo, ma sono le parole dei protagonisti, no? Del Lotti, e, però, anche scopo di lucro. E allora, parliamo della prima. “L’omicidio per libidine è il termine con cui si è voluto designare l’espressione estrema e fortunatamente eccezionale…” – perché non è una casistica eccezionale quella di cui vi state occupando? Quanti precedenti ci sono qui? –“asportazione del pube, delle mammelle. Quindi espressione estrema e fortunatamente eccezionale di sadismo sessuale – personalità sadica del Vanni – che in siffatti soggetti non rimane mai un atto isolato, purtroppo, tranne che vengono presto arrestati.” Ahimè non è stato così, ce ne sono state un sacco di persone, in questa storia; ma erano tutti innocenti. Come ha, con molta lealtà, riconosciuto lo stesso Pubblico Ministero. “Tranne che vengano presto arrestati, cosa tutt’altro che frequente” – attenzione Signori: cosa tutt’altro che frequente – “dato l’aspetto formalmente corretto e il comportamento ineccepibile di questi soggetti, quando si trovano tra gli amici, sul lavoro e nella famiglia. Infatti, si tratta di persone che uccidono ripetutamente ad intervalli di tempo variabili con una coazione al ripetere che viene fermata solo o dal loro arresto o dalla loro morte”. Fornari: “Trattato di psichiatria forense”, Torino 1997, pagina 347. Addirittura, qui si parla di persone dal comportamento ineccepibile; mentre invece, la personalità sadica, “sadismo sessuale-feticista del Vanni” viene in qualche modo supportata da “indizi” del Pubblico Ministero che, invece, denoterebbero una personalità non proprio ineccepibile. “Ineccepibile tra gli amici, sul lavoro e nella famiglia”. Esattamente il contrario, proprio diametralmente opposto: come paragonare un topolino ad un elefante. Ecco, alcuni dati qui, oggettivi, che sottopongo alla vostra riflessione, con riferimento proprio a questa storia, a questa tematica del movente. Siccome il Pubblico Ministero, anche nella sua esposizione conclusiva, ha insistito nell’ipotesi del commercio dei feticci, no, s’è detto, la suggestione, il patrimonio del Pacciani, lui che regalava soldi alla nipote è diventato riscontro oggettivo, no. Dice: commercio dei feticci. Allora, io vi dico, per cortesia, volete gentilmente, nella vostra sentenza, spiegarvi se la ragione non è quella esemplificata dal professor Fomari, la ragione di questi omicidi. Cioè a dire: personalità sadica sessuale, feticista, che arriva in un crescendo all’asportazione e al cannibalismo. Se noi abbiamo a che fare non con una situazione di questo genere, ma con una situazione di commercio. Il sadico-sessuale- feticista, non fa commercio dei suoi feticci, no, mi pare evidente. Se li tiene per sé, se li conquista, sono le sue prede. Allora, se abbiamo invece a che fare con una situazione di commercio, proviamo a immaginare invece, no… addirittura mi pare che qualche collega che mi ha preceduto della parte civile, abbia, con una fantasia di cui gli devo dare atto, introdotto una differenziazione, addirittura, di personalità, tra Pacciani e Vanni e Lotti. Mi pare sia stato detto qualcosa su questo genere che, in Pacciani era prevalente l’int… tra questi due, sadico-sessuale-feticista e commerciale, era prevalente l’interesse commerciale, infatti c’ha un sacco di soldi. In Lotti, doveva essere prevalente l’elemento sadico-feticista-maniacale, in Vanni, pardon; e in Lotti, invece, era l’utile idiota. Ora, questa… siamo tutti bravissimi, partendo da una premessa sbagliata, ad arrivare a conclusioni disastrose. Perché disastrose? Perché non hanno un mi ni hip di appiglio nella realtà di questi fatti e di questo processo. Allora, pensiamo un attimo al fine commerciale. Intanto il fine commerciale fa a pugni, ma proprio a pugni, eh, a pugni sul muso col fine sadico-sessuale-feticista, perché il feticista il feticcio se lo tiene, perbacco. Perché gli ricorda il piacere intenso che ha provato e lo ripete. Studiato, studiatissimo anche questo. E poi per altre ragioni, molto più… molto meno psichiatriche ma molto più fattuali. Come si spiega, in una causale o movente di tipo commerciale, come si spiega l’invio alla dottoressa Della Monica del brandello di seno della povera signora francese? Perché? Non si spiega. Dice: ma erano due scopi co… coesistenti. No, signori, ma smettiamole, eh, di fare due parti in commedia! E allora insisto, come si spiega l’uccisione di coppie in un movente di tipo commerciale, in cui l’oggetto dell’interesse è rappresentato esclusivamente dalla donna? Siamo d’accordo su questo, no. Le escissioni le subisce solo la donna, gli squartamenti, i feticci. Perché mai allora andare a cercare sempre delle coppie? Mai donne sole. Se lo scopo era di fare soldi, molto più facile, molto meno pericoloso aver a che fare con un doppio omicidio, con uomo che può reagire molto meglio di una donna. Ricordiamo Baccaiano. Si dice, poi si vedrà se era vero, che inizi di reazione ci sarebbero stati. Questo nella ricostruzione, che io non condivido, del Pubblico Ministero. Ma perché, insomma, uno che vuol fare commercio di guesti reperti anatomici deve indirizzarsi, esclusivamente poi, eh – esclusivamente – verso coppie e mai verso donne sole, dove la cosa è molto più facile, molto meno complicata. E che è, un autolesionista questo? Qui bisogna spiegarlo. La spiegazione l’ha data magnificamente, secondo me, il commissario Perugini. Io dico, se lo scopo era di commerciare dei feticci, perché mai prendere di mira proprio delle coppie? Inspiegabile e più rischioso. Vi ricordate il dottor Perugini cos’ha detto? Dice: “All’assassino” – dice – “interessa non la donna in sé, ma la donna inserita in ima situazione di coppia.” E questo non c’entra niente con l’intento commerciale. “È una fantasia precisa” – il dottor Perugini la chiama – “fantasia sadica, talmente intima che” -dice lui – “è difficilmente condivisibile con altri.” Lasciamo perdere, però l’in… Allora, l’intento commerciale, qui bisognerà spiegare, l’invio del brandello di seno alla dottoressa Della Monica. Perché prendere di mira delle coppie e non delle donne sole? Guardate, questo è un macigno, eh. E’ un macigno che si frappone fra voi e la vostra decisione di avallare un movente sul genere di quello che vi è stato proposto. E poi perché adoperare sempre la stessa arma? Come dicevo prima. Ancora una volta, se l’intento è commerciale, ma che sono dei matti autolesionisti questi? Dire la stessa arma, significa, l’ha detto il dottor Perugini: sono io, guardate, sono io, io sono un fenomeno e voi siete dei bischeri – come si direbbe a Firenze – perché un mi trovate, ma sono sempre io. Perché la stessa arma è una preziosissima informazione nelle mani degli inquirenti, e uno che abbia semplicemente un intento commerciale, di andare a vendere al dottore di San Casciano che si ferma nel piazzone, va bene, a chiedere indicazioni sulla strada del Pacciani, questi reperti che vengono pagati centinaia di milioni, ma che, ma per l’amor di Dio! Ma va a cercare donne sole, usa quello che gli pare, quello che gli pare, certo non la firma, certo non sempre la stessa pistola. E vediamo un po’ come si fa a conciliare queste due cose. E infatti, il movente… c’è un principio di indagine poliziesca in base alla quale il movente è sempre debole quando non appare adeguato alle circostanze. Questo signore, John Douglas, è stato un funzionario della CIA e di quella scuola dove poi è stato anche il dottor Perugini, il quale, a proposito del movente – sta parlando un poliziotto, sta parlando un inquirente – fa una serie di osservazioni brevissime. Dice: “Il movente” – dice – “è uno dei punti più spinosi dell’analisi investigativa criminale e anche uno dei più critici. Se non si chiarisce perché è stato commesso un particolare delitto, è difficile arrivare a una conclusione significativa sul comportamento e sulla personalità dell’autore del reato”. E quindi aggiunge poi: “Se una volta esaminato quello che è sulla base della scena e delle circostanze del delitto,” – arriva l’inquirente: scena, circostanze del delitto, escissioni, asportazioni, squartamenti, esaminato questo, va bene – “se una volta esaminato quello che dovrebbe essere il movente ci si accorge che è debole,” -movente commerciale: uno guarda questi poveri corpi femminili martoriati, gli viene in mente il movente commerciale, gli parrà un po’ debole, sulla scena del delitto? O situazione di coppia, no – “se una volta passati al setaccio tutti gli altri motivi ‘logici'” – tra virgolette, va bene –“non si riesce a individuarne nessuno di convincente e adeguato alle circostanze, allora è il momento di avventurarsi in territorio psichiatrico.” E qui il territorio psichiatrico, non campagnoli, uomini normali, ma con delle perversioni che sono qualche cosa di più rispetto al vizietto di provincia; no, Signori, no, qui il territorio psichiatrico è una cosa seria. Era un obbligo, è un obbligo per voi. Lo era per gli inquirenti, lo era per voi a maggior ragione. Esaminare questo aspetto che è assolutamente incompatibile con l’aspetto commerciale. Perché se noi diciamo che questi erano dei sadici – vogliamo dire questi perché ormai si sta usando il plurale e dice che erano più di uno, va be’ -dei sadici-sessuali feticisti, il feticcio non lo vendono, le coppie non le aggrediscono, quelli che vogliono vendere, aggrediscono le donne sole. Quindi, il movente proposto dal Pubblico Ministero non so che… che è molto importante perché… e poi è la luce che deve illuminare il resto del percorso, eh, perché sennò porta in direzione diametralmente opposta, non soltanto è debole in questo caso, ma è addirittura contraddittorio. Ancora peggio, quindi, che debole. È equivoco, contrasta con questi dati. E quindi, conclusivamente, nell’esposizione, nell’orazione del Pubblico Ministero egli si è permesso di far proprie, dice lui, una espressione adoperata da uno dei disgraziati parenti delle vittime, il quale, con tutta la comprensione che gli si può dare, ma certo anche col grado di obiettività che gli si deve riconoscere stante la sua posizione, ha detto: ‘sento sapore… sento finalmente sapore di Giustizia’, e il Pubblico Ministero l’ha fatta propria: “Sento finalmente sapore di Giustizia”. Signori, io sento lezzo, tanfo, di errore giudiziario. Un’altra volta, sarebbe l’ennesima, Signori, perché se esiste l’esigenza di assicurare alla Giustizia i colpevoli, esiste un’esigenza moralmente e giuridicamente superiore. Vi ricordate la massima giuridica: “In dubio prò reo”? Non è il nostro caso, non c’è neanche dubbi qui. Ma quella massima indica che l’esigenza non solo morale ma anche giuridica superiore è quella di impedire che un innocente sia condannato. C’è una graduatoria. E perché è un’esigenza morale e giuridica superiore a quell’altra? Detto comune, no: “Meglio cento colpevoli fuori che un innocente dentro”, parole molto povere. Ma il Legislatore l’ha fatta propria questa cosa. Perché se noi mandiamo condannato un innocente, commettiamo due ingiustizie, non una, due. L’ingiustizia nei confronti dell’innocente e l’ingiustizia nei confronti del colpevole vero. Perché in questo modo impediamo, facciamo sì, sostanzialmente, di fatto, dando una patente di positività alle indagini sin qui condotte, suggellate dalla vostra sentenza eventualmente di condanna, noi impediamo che in questo modo, va bene, le indagini proseguano, che ci sia almeno una speranza, che proseguano, che quella porta rimanga aperta verso un’indicazione finalmente precisa, chiara nei confronti del colpevole vero. Guardate, io ho visto in questo processo, ho visto, ho visto delle persone serie, innamorate del loro lavoro, leali, che hanno sofferto per anni su questa storia, il dottor Perugini, il professor De Fazio con tutta la sua equipe; ho visto delle persone sinceramente, sinceramente, interessate alla verità. Una sentenza che rappresentasse una patente, un passaporto per questa ennesima indagine, dopo tutte le altre che sono andate in malora, significherebbe una doppia ingiustizia, significherebbe anche che quello può stare finalmente tranquillo se non è morto, e chi s’è visto s’è visto. Ma è mai possibile che in Italia ci debbano sempre considerare come dei bambini incapaci di ragionare, incapaci di conoscere la verità oltre ogni apparenza o suggestione? Non ve la prendete questa responsabilità nei confronti della verità e della Giustizia. Ovviamente non vi prendete questa responsabilità nei confronti di un innocente, ma non vi prendete anche questa responsabilità di un “de profundis” finale e definitivo nei confronti delle indagini, che saranno state sbagliate, saranno state sofferte, ma ci sono delle persone serie, competenti, leali, sincere, innamorate del loro lavoro, che forse potrebbero darcela una risposta. Tocca a voi decidere se deve essere chiusa quella porta oppure no. E allora quale viatico, quale viatico per voi che vi accingete a prendere la decisione? Non possono bastare le mie parole, no, proprio per quella misteriosità della funzione che vi andate, che vi accingete a svolgere: quella della Giustizia; questa statua enorme alla cui ombra, che è la Legge, voi dovete almeno a quell’ombra rimanere ancorati. Non possono bastare le mie parole. Forse può servire di più un’invocazione, un’invocazione alla misericordia, alla misericordia, che non è quella banalizzazione in mezzo alle tante in cui viviamo, che. . . secondo la quale la misericordia sarebbe la pietà verso il colpevole. No. Guardiamo il vocabolario, la misericordia ha un significato ben più alto, ben più misterioso. Misericordia significa: volgere l’animo all’infelicità, volgere l’animo alla sofferenza di chi andate a giudicare, e cioè non perdere di vista la sua umanità, nonostante tutti i tentativi che sono stati fatti per privarlo, spogliarlo della sua persona umana. Egli è come noi, è simile a noi e va giudicato con la mente oltre che col cuore, ma con la mente, in base non al fumo. Il proverbio dice: “Cento conigli non fanno un cavallo”, ma senza cavalli non si arriva alla verità, qui. E questa invocazione, ovviamente, non è mia, ma riguarda proprio voi, è un’invocazione ai Giudici, ed è di un uomo che ha scritto pochissimo nella sua vita e che è sempre riuscito a mettere d’accordo laici e credenti e a far provare a tutti quanti una forte nostalgia per quello che noi uomini potremmo essere, per quello che potremmo fare di bello e di buono e che non riusciamo mai a fare. Si tratta di Francesco D’Assisi dalla “Lettera a tutti i fedeli”, Capitolo V: “Coloro poi che hanno ricevuto la potestà di giudicare gli altri” – quindi voi – “esercitino il giudizio con misericordia, così come essi stessi vogliono ottenere misericordia dal Signore. Il giudizio, infatti, sarà senza misericordia per chi non ha usato misericordia.” Vi chiedo l’assoluzione di Mario Vanni per non aver commesso il fatto. 

Presidente: Allora, si rinvia a domani mattina alle 9.00. Nuova traduzione del Vanni. L’udienza è tolta.

4 Marzo 1998 63° udienza processo Compagni di Merende

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *