6 Marzo 1998, 65° udienza, processo, Compagni di Merende Mario Vanni, Giancarlo Lotti e Giovanni Faggi per i reati relativi ai duplici delitti del MdF e Alberto Corsi per favoreggiamento.
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Avvocato Nino Filastò
Presidente: Allora, prima di ogni cosa, devo dire… Vanni, mi dicono che mi è stato riferito stamattina, che lei ha fatto una intervista televisiva, ieri. Allora, ricordo a lei – e capisco la buona fede perché era accanto al difensore, eccetera – però queste dichiarazioni lei non le può fare. Perché, almeno a mio avviso, sono contrarie alle disposizioni dell’ordinanza che ha disposto i suoi arresti domiciliari. Che ha disposto certi rapporti e basta. Questo vale in casa, ma vale anche fuori. Perché sarebbe molto comodo che lei potesse fare fuori di casa quello che in casa è proibito. Quindi, questo, non lo rifaccia più. Se ha dichiarazioni da fare, le faccia qui. Dico, ricordo a lei, che lei ha per ultimo la parola. Lei può fare tutte le dichiarazioni che vuole, per ultimo. Alla fine della discussione mi dice ‘voglio parlare’, e mi dice tutto quello che crede per suo interesse. Se lo vuol fare, lo fa. Capito? Bene. Possiamo iniziare. L’avvocato Filastò può continuare.
Avv. Nino Filastò: Devo dire, Presidente, che lei ha perfettamente ragione. E, che la colpa è mia a proposito di questa intervista. Sono stato sollecitato più volte, alla fine io ho detto: beh, due parole. Pensavo che non ci fosse niente di male. Senza riflettere, per dire la verità, a quel che lei diceva circa gli obblighi che Vanni, aveva sotto il profilo del suo arresto domiciliare. Devo dire che questa intervista è avvenuta nella cella qui accanto. E che io, in buona fede, ritenevo che fosse così, due battute per dire: ‘ma lei, insomma, cosa ne pensa della morte di Pacciani?’ Ecco, massimo una cosa così. Mi sono trovato di fronte e non ho avuto il coraggio e né la presenza di spirito di fermarlo, questo cronista che è arrivato con un papié di domande preelaborate, che sembrava un interrogatorio del Pubblico Ministero. E francamente, via via che andava, avanti, dicevo: ‘ora lo faccio smettere’. E mi è mancato l’impulso di farlo. È tutta la notte che ci penso anch’io, sa. È tutta la notte che dico: ma guarda, tante volte cosa significano questi interventi massmediatici in un processo. Quindi lei ha fatto benissimo a dire questo. Condivido perfettamente. Mi assumo, però, tutta la responsabilità. Mario Vanni non c’entra niente. Sono stato io a fare uno sbaglio. Detto questo, signor Presidente, sono anche dispiaciuto di come si è chiusa l’udienza ieri. E lo ridico un’altra volta. Vedano, succede questo, quando si parla a lungo, specialmente quando parla a lungo uno come me che non riesce ad usare i cosiddetti toni diaframmatici, ma parla molto di testa. Io soffro di una ernia iatale; quindi diaframmatica. Per cui, se parlo col tono diaframmatico finisce che, alla fine, come si diceva un tempo, la voce mi muore nella strozza. E quindi parlo molto di testa e tante volte mi scaldo. E avviene che succede un processo di iperossigenazione del sangue, per cui, arrivato ad un certo punto, diventa come una specie di ubriacatura. E quindi ieri io, certamente, non so non ho riletto quello che ho detto, ma probabilmente ho detto delle cose che andavano fuori dal vaso. Ecco perché mi piace, stamattina, riprendere quel discorso su quella specie di amore di cui parlavo all’inizio della mia discussione di ieri, per rasserenare l’atmosfera, riaprendo uno spiraglio alla finestra. Portandovi queste due, questa citazione da Piero Calamandrei che è un libro che ho citato ieri, “Non credere all’avvocato” – dice Piero Calamandrei – “che dopo aver perduto una causa fa l’adirato contro i Giudici e ostenta di odiarli e disprezzarli. Passato il breve malumore, fuggitivo come le gelosie degli innamorati, il cuore dell’avvocato è tutto per la Corte: croce e delizia della sua vita.” E dice, ancora: “E se in qualche pomeriggio domenicale l’avvocato esce solo a piedi verso la campagna, non pensare che egli vada a svagarsi. Cerca di seguirlo senza che egli se ne accorga e ti accorgerai che, quando finalmente crederà di essere solo, la sua faccia diventerà ispirata e sorridente, la sua mano si muoverà disegnando un rotondo gesto inconsapevole e le sue labbra, volgendosi verso gli alberi, abituali confidenti degli innamorati, ripeteranno i sussurri e la eterna passione: Eccellentissima Corte.” E, naturalmente, nella foga e nella impulsività, e in quella specie — come dicevo prima – di ottenebramento cagionato dalla iperossigenazione, è finita che non ho detto quello che volevo dire. Perché quando io vi ho detto: attenzione, perché questo è un processo importante, che cosa intendevo dire? Quando vi ho detto che di una sentenza di condanna ne parlerebbe il mondo; ho enfatizzato: il mondo no, ma forse l’Europa sì. Vedete, questo processo è un processo molto significativo, che per certi versi può diventare davvero un esempio negativo, da farne parlare quanto meno l’Europa. In una situazione in cui noi ci stiamo affacciando all’Europa, si parla addirittura della costituzione di una Corte Suprema Europea, sappiamo che a Strasburgo l’Italia è il Paese più condannato di Europa. E, vedano, prendano per esempio una situazione che in questo processo appare ed è importante: quella che riguarda la cosiddetta “legislazione premiale”, riguardante i collaboratori di cui ha parlato così approfonditamente il collega Mazzeo, Io non sono contro quella legislazione, tutt’altro. Sono fermamente convinto che solamente quel tipo di legislazione, quel tipo di previsione della figura del collaboratore, il quale aiuta gli inquirenti a capire che cosa avviene all’interno di certi nuclei di criminalità organizzata, quello è uno strumento indispensabile per battere la mafia. Ma pensate che invece qui, in questo processo, almeno la mia impressione è che quella legislazione sia stata usata per prendere la scorciatoia. | E questo non va bene. Questo indebolisce lo strumento. Questo diventa un fenomeno grave, negativo, da un punto di vista civile. Ecco. Voi dite: ‘ma avvocato, come fa lei a dire una cosa così, che è anche un po’ forte?’ E va be’, dopo lo vedremo insieme; misurando le dichiarazioni – le dichiarazioni all’interno delle indagini preliminari – di Lotti, vedremo. Vedremo com’è quest’uomo, per esempio, eh, che a un certo punto ha fatto il testimone per un certo periodo di tempo e a un certo punto gli inquirenti si sono accorti che lui non era un testimone ma era un indiziato, allora, beh, indiziato di che cosa? Indiziato di almeno cinque duplici omicidi, o quattro, quanti sono quelli che gli vengono addebitati. Allora, subito a Sollicciano. Poi, quando comincia a collaborare e si vede che collabora, allora, eventualmente, siccome la legge non l’osserva, allora… Ho, eh, non è andata mica così. Ecco, poi ne parleremo. Ecco cosa volevo dire con quella enfasi un po’ esagerata. E quindi andiamo avanti. Tentando una sintesi di quel che ho detto ieri, a proposito di Mario Vanni. Non ho parlato di pretese prove o di pretesi indizi a carico. Mi sono riservato di parlarne dopo e più approfonditamente; ho dato soltanto delle indicazioni sulla persona, cercando proprio di inquadrare una persona, un protagonista di questo processo. E ve l’ho – indicato come una persona umile, modesta. E naturalmente di questa umiltà, di questa modestia, di questo livello basso della persona che, insomma, per.. usare un latinismo – anche perché non mi piace esprimermi così avendo accanto questa persona che, come ho detto ieri, comincio a apprezzare, ho apprezzato certi suoi aspetti, una certa sua onestà, sincerità dì tratto – beh, insomma, “minus habens”, è questo Mario Vanni. Certificato come tale. Certificato da degli aspetti di carattere clinico che hanno una rilevanza somatica. E , naturalmente, fatto questo accertamento, constatato voi questo aspetto, lo mettete immediatamente in rapporto, lo dovrete mettere immediatamente in rapporto con quello che è stato definito non da me, ma da degli illustri criminologi e psichiatri e persone del mestiere, il “delirio di onnipotenza dell’assassino delle coppie”. Anche quello certificato, esistente nel processo attraverso un fatto: la lettera anonima alla dottoressa Della Monica. Quindi, un paziente davvero criticato attraverso un malanno: leucoencefalopatia. Poi vi ho indicato come questa stessa persona è, fin dall’origine, fin da quel processo del 1963 – e ne sono passati, di anni – fiducioso, e scoperto con i Giudici. Quando gli è capitato questo atto non si è rifugiato dietro il “non è vero” lo ha ammesso di avere schiaffeggiato la moglie. Fiducioso oggi con i Giudici, con i suoi Giudici, fiducioso scoperto con i Giudici. E vi ho citato quella frase all’interno di quell’interrogatorio con il dottor Vigna in cui, dopo le estenuanti domande che gli venivano fatte a proposito di questa lettera di cui il Magistrato voleva sapere il contenuto alla fine il povero “minus habens”, il “minus habens”, la persona sotto… ipodotata e che non se ne ricorda; un po’ non se ne ricorda, un po’ lo ha detto, alla fine dice: “Lo metta lei.” E poi vi ho indicato tutte quelle testimonianze che arrivano nel processo, che lo vedono amico di tutti. Generoso, persino prodigo nei confronti dell’Alessandra Bartalesi. Vi ho detto che l’ipotesi di una doppia vita, di uno sdoppiamento di personalità. Perché, a questo punto, dovremo parlare di un vero e proprio sdoppiamento di personalità, disturbo di sdoppiamento della personalità, quello che il DSAM4 identifica proprio come la doppia persona. Voi sapete che addirittura, negli Stati Uniti, in certi casi si è assolto una persona. Si è detto: ‘no, non eri tu che facevi queste cose, era il doppio che era in te’. Non sì arriverebbe mai noi ad una decisione di questo genere; là ci sono arrivati… Ma per individuare fino a che punto una sindrome può apparire tale, di sdoppiamento, di vero e proprio sdoppiamento di una persona. Beh, sì, è possibile. E ci vorrebbe una perizia, Giudici, eh. Per affermare una cosa di questo genere ci vorrebbe quella perizia psichiatrica che non abbiamo fatto. Ma ne parleremo anche di questo. E soprattutto, Giudici, una persona che non si nasconde, che non si maschera, come invece vedremo avviene per Lotti. Come invece vedremo avviene per questo soggetto; in maniera grave, evidentissima. Persona che non si maschera. Che anzi, in una certa circostanza in cui avrebbe potuto, in qualche modo, se fosse stato la persona callida, il furbastro che cerca di giocare a suo favore una evenienza che è obiettiva, è arrivata – è caduto in terra, ha perso la parola fa il contrario. E ve lo hanno detto i periti. Ed è questo che appare dagli atti, vi ho detto alla fine. È questo il Mario Vanni voi avete la possibilità di percepire dalle vostre esperienze, all’interno di questo dibattimento, dalle indicazioni che vi derivano dalle indagini preliminari. E poi vi ho detto, alla fine, che da questo esame, da questa desamina di un po’ tutte le cose che riguardano specificamente, intrinsecamente la persona, alla fine viene fuori una inammissibile, straordinaria tensione degli inquirenti, tendente a proporre aspetti di questa persona,della persona Vanni in un modo che, con tutti i mezzi, si inquadri nella morfologia di quei delitti. A tutti i costi, ahimè; compreso anche quello della deformazione del vero. E, alla fine, non per suggestionarvi, Giudici, non per indicarvi una circostanza, un fatto che in qualche modo possa arrivarvi al cuore, ma per… E quindi non dal vostro punto di vista, se pure ha la sua importanza; ma dal suo punto di vista. Un fatto che non è verbalizzato e di cui voglio parlare, perché, perché è avvenuto e, a un certo punto, è bene che, per un domani — e in ipotesi di un Appello – ne resti traccia. Io non ricordo per quale ragione, a un certo punto per l’unica volta — perché altre non ce ne sono state – il signor Mario Vanni è entrato lì, nell’emiciclo. Ora poi riguarderò i verbali di dibattimento, per individuare il momento esatto. A un certo punto – ve lo ricordate tutti, no? – Era là sopra, si è fatto da una parte e vi ha teso lì la mano a tutti.
Presidente: E?
Avv. Nino Filastò: Vi ha teso la mano, Presidente, E voi gliel’avete stretta, tutti. Io non voglio parlare del vostro atteggiamento, che può essere stato un atteggiamento umano, è un saluto. Non voglio dire: eh, ma voi avete stretto la mano forse all’uomo col coltellaccio. No, troppo suggestivo, no. Cerco di calarmi, ho cercato di interpretare questo gesto estemporaneo, quasi assurdo, dal suo punto di vista. E ci ho visto un parallelo con quelle lettere. Quelle che vi ho detto, così enfatizzate dall’accusa sotto il profilo delle minacce che Vanni avrebbe rivolto a delle persone. È come dire, il “minus habens”, dice, insomma: eccomi qua, eccomi qua; sono questo. Guardatemi bene, toccatemi con mano. Ed è questo il significato di quel, gesto, una invocazione anche di aiuto, nei vostri confronti. E so che voi gliela darete. Siamo ancora, come dicevano i vecchi avvocati a presentare le “dramatis personae” del processo. E quindi passiamo dal singolare Mario Vanni, al collettivo “amici di merende”.Cercando anche una relazione, un rapporto fra le due cose: fra Mario Vanni, il singolo Mario Vanni e questo gruppo. Cercando di individuare una ipotesi che è, credo, quella dell’accusa. Vale a dire di una persona che è suggestionata dal gruppo, che subisce la doppia suggestione, la doppia contaminazione, rispetto alla propria volontà del personaggio dominante Pacciani e del gruppo in sé. I compagni, gli “amici di merende”. Ed ecco subito… Voi mi scuserete stamani, Giudici, se io vado molto rapidamente, almeno per quello che me lo consente il fiato e consultando molto gli appunti, che è un modo anche più rapido di parlare. Ed ecco un’altra deformazione, per certi versi anche da un punto di vista più generale, direi sociale, più grave, che non quella riguardante Mario Vanni. L’invenzione degli “amici di merende” come associazione per delinquere di “stampo campagnolo e merendistico”, come l’ha definita con brillante espressione – e chissà dove l’ha trovata – il collega Curandai.
Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Curandai?
Avv. Nino Filastò: Scusate… Per l’amor di Dio! accidenti! Il collega Mazzeo. “Associazione di stampo merendistico”. Molto bellino Antonio, molto. “Gli amici di merende”. Il P.M. dice: Vanni è una persona di mente debole, ma perverso, ovviamente suggestionabile dominabile. E parteciperebbe con funzioni prevalenti di escissore, subendo la suggestione del collettivo e di Pacciani. Non sono fra virgolette queste parole, eh. Sono il significato del discorso, almeno quello che io ho ricavato, il significato del discorso del Pubblico Ministero. E gli altri? E gli altri sono… sono quelli che agiscono e quelli che guardano. Il tutto è un collettivo. E quelli che coprono, no? Certo, sì. Anche quelli che coprono, quelli che non parlano, quelli che hanno visto o sentito, come Lotti e Pucci. E Pucci, anche lui, no? Che per 11 anni sono stati in silenzio e che ‘stanno zitti. Proteggono l’omertà che investe, riguarda un paese, o quasi. “Il gruppo campagnolo di persone normali”. Questo, e fra virgolette.- È così che ha detto il P.M. E come ci si arriva? Ecco, è importante vedere come questa espressione “gruppo campagnolo di persone normali”, arriva nel processo, nella requisitoria orale del Pubblico Ministero, alla fine del dibattimento. Un dibattimento che, a sentir lui, non avrebbe avuto storia. Una storia che questo dibattimento avrebbe dovuto avere, non tanto qui all’interno, quanto piuttosto all’esterno. Voi ricorderete certamente nella esposizione introduttiva del Pubblico Ministero, il Pubblico Ministero che dice: “le indagini sono ancora in corso. Chi vivrà vedrà; e vedremo se potremo portarvi qualche altra cosa”. Eh, no, non è arrivato proprio nulla da questo punto di vista, sotto questa angolazione. Ora è arrivata un’agenda di Faggi, poveraccio, che cambia il quadro probatorio, parrebbe. È arrivato un po’, come i soccorsi di Pisa, come si dice in Toscana, che arrivavano sempre tardi, Antonio, sempre all’ultimo momento, di notte. Tanto è vero che si dice anche, in Toscana, ai bambini quando cominciano ad addormentarsi: “sono arrivati i pisani”. Bene. “Gruppo campagnolo di persone normali”, un po’ forte, eh. Un po’ improbabile dal suono improbabile. E dà l’idea di un ripiegamento. È infatti, questa del gruppo di persone normali campagnole, o gruppo campagnolo di persone normali, una ipotesi distruttiva, catabolica anch’essa: all’interno di quel catabolismo di questa indagine che lentamente mangia se stessa, distrugge se stessa. Il fatto, com’è che si arriva? Il fatto è che è tramontata, infelicemente tramontata in questo processo, già nelle indagini preliminari e nelle indagini successive, parallele che sono state fatte, l’ipotesi seicentesca dal “Processo di Salem”, davvero dal “Processo di Salem”. Tanto, siccome faccio le citazioni, è una delucidazione da Henry Miller “Il Crogiuolo”. Grandissimo testo di teatro. È un paese, un piccolo paese del New England negli Stati Uniti, dove nel ‘600, a un certo punto, la collera, l’ansia – perché c’è stata una pestilenza – delle persone di quel Paese – si scarica su un gruppo di giovinette che vengono accusate di stregoneria e vengono tutte poi bruciate, vive. E questo è il “Processo di Salem”, una “Storia della colonna infame” americana. Uno degli episodi storici di intolleranza giudiziaria più biechi che si conoscano. E questo, questo, per fortuna da noi qui, in questo processo, è tramontato in un clima imbarazzante, a dire la verità, è tramontata in un clima imbarazzante l’ipotesi della setta satanica di San Casciano. E guardino, che questa setta satanica, da un punto di vista criminologico, un minimo, un minimo eh, proprio uno zinzino, per dirla con una parola volgare, di attendibilità ce l’aveva. Perché, pensino a Mason, al Gruppo di Mason americano, ci sono stati anche qui dei consulenti, periti che vi hanno detto: beh, se si deve parlare di gruppo, il gruppo ha questa… capita, succede. Ma allora il gruppo ha questo cemento, questa amalgama che ha a che fare con un certo tipo di religiosità deviata, di superstizione, di atteggiamento di un certo tipo. E questo ci sta portando apparentemente ad affrontare il tema del movente, quello che il Pubblico Ministero ha intitolato nella sua requisitoria orale “Due parole sul movente” Come se quello del movente, in un processo in cui si affrontano delitti di questo tipo commessi nell’arco di quasi 20 anni, fosse un tema da trattare in due parole. Da sbrigarsela con ipotesi alternative. Facevano riti, boh’, ha detto il Pubblico Ministero. Chi lo sa? Come, “chi lo sa?”. E chi lo deve sapere? Eh, l’ipotesi “amici di merende” è il Pubblico Ministero che l’ha portata qui al dibattimento, con un capo di imputazione che la riflette in un preciso reato, quello dell’associazione per delinquere. Ma, vedano, non è solo questione di movente, è questo il punto. È questione di ricostruzione storiografica, perché questo si fa, anche, in un processo e soprattutto in un processo di questa vastità e di questa importanza, anche una ricostruzione storiografica attendibile dei fatti. Quindi, la storia, l’ipotesi della setta satanica, che qui a un certo punto è stata, come dire, a un certo punto, quasi eliminata. Insomma, no, eliminata, perché nella requisitoria finale c’è solamente questo discorso: ‘facevano riti? Mah, chi lo sa?’ Come: “Mah, chi lo sa?” S’era in qualche modo abbandonata. ‘Noi abbiamo ..indagato, va bene, però…’. Forse in replica dirà così il Pubblico Ministero: ‘noi si è indagato, non s’è trovato niente, o quasi, insomma, e quindi…’. No, eh. No, no, questa è un’emergenza negativa questa di non aver trovato niente, è un’ipoteca negativa ai risultati del vostro ‘ lavoro. Le. indagini accurate, serie, approfondite che avete fatto, da questo pungo di vista hanno portato uno zero; non solo uno zero, un sottozero. E questo incide solo sul movente? No. Dico, incide su una ricostruzione storiografica dei fatti, con riferimento a questo lunghissimo lasso di tempo che noi abbiamo, attendibile. Attendibile in che senso? Perché solo questa ricostruzione attendibilmente poteva contrapporsi a quella che era e quella che rimane l’ipotesi attendibile, quella del serial-killer della provincia di Firenze. Se voi contrastate questa impostazione, se voi dite che questa impostazione è stata un errore che vi ha costretto in un angolo dal quale a un certo punto siete usciti attraverso il “bel sole di York” – Lotti — oggi, come dice? “L’inverno del nostro travaglio sì è mutato in splendida estate grazie a questo bel sole di York”; Riccardo. III, Shakespeare. Eh, se voi dite cosi, a un certo punto dovrete poi suffragare, no? E, soprattutto, questa situazione consente anche di valutare l’attendibilità di Lotti e della sua confessione. Perché la confessione di Lotti — poi ne parleremo – ha quest’aspetto, no? È come dire, una sequenza, anzi, un gruppetto di inquadrature, non lo chiamerei un piano sequenza, il piano sequenza è una cosa molto più lunga. Il piano in sequenza è, un termine cinematografico, una struttura narrativa che si sviluppa, è un capitolo del film. No, lui, lui dirà tre o quattro inquadrature che son quelle di alcuni delitti, dei flash. E poi? E poi più niente. E poi se la cava con un: ‘c’erano quelli che guardavano e quelli che facevano’ . E fine. Ma che è? È una confessione questa? È una confessione attendibile da questo punto di vista? Vi soddisfa a voi? La si può enfatizzare, una volta rilevato che si tratta così, di flash che propone il signor Lotti in questo modo? Lo possiamo davvero considerare soddisfacente, tranquillizzante, così come vi dice il Pubblico Ministero? Ma nemmen per sogno. Ma nemmeno per sogno. È quello che farebbe dire a chiunque, e quindi penso anche a voi: delle due una; o questo dice tutte fandonie, o questo nasconde una parte di verità. Perché, vedano, questa confessione di Lotti e questa sua parzializzazione di una realtà che | invece evidentemente deve essere più vasta, che cosa vi indica? Vi indica che questo signore o ha qualcosa da nascondere, o tutto quel che dice è una fandonia. E non c’è mica versi di uscir da qua. Perché dico questo? Perché Lotti voi lo scoprite nella sua intima, fondamentale debolezza, come soggetto del processo e come fonte di informazione, nel momento in cui voi gli rivolgete una domanda. “Perché?” Perché te ne andavi con questa gente? Perché li seguivi? E la risposta? L’omosessualità. Il rapporto col Butini, il rapporto col… Ma dove? Lì……è un annaspare proprio, eh. Lì il processo offre la mattinata umiliante di stare una mattina intera ad affrontare il tema se questo povero signor Butini che io mi vergogno persino a nominare, poveraccio, vero è omosessuale o meno… In una altalena, poi, di dichiarazioni. Perché prima aveva detto che nossignore, perché aveva paura di Pacciani. Poi dopo diventa l’omosessuale. Poi dopo diventa la paura che parlino, che Pacciani parli . dell’omosessualità sua, di Lotti. E perché Pacciani dovrebbe parlare dell’omosessualità di Lotti? Ammesso che questo rapporto ci sia stato, il primo, ovviamente, a far la figura del “buco” è proprio Pacciani, no? Figurarsi Pacciani, quando l’ha sentito dire una cosa di questo genere, subito ha convocato tutta la stampa, ha fatto una conferenza stampa ha fatto. Dice: ‘io? Ma manco per idea, non scherziamo nemmeno’. Ora, insomma, le solite “paccianate“ sue, insomma, di questa sua, come dire, capacità di esprimersi al di fuori delle linee. Quindi, è la struttura di questa ipotesi accusatoria che viene a mancare, venendo a mancare la setta satanica. E, diventa, allora, questa setta soltanto una suggestione che sta là appesa e che a un certo punto permane nelle indagini: affidata alle dovizie di Pacciani; mai sentito niente di più enfatizzato in questo processo. ‘Pacciani, come ha fatto…’. Come, come ha fatto? Se io e l’avvocato Mazzeo si vivesse come il Pacciani, lo sai Antonio, si sarebbe ultramiliardari noi. Perché, per aver tutti quei soldi da parte, sai cosa basta? Basta non vivere. Basta mangiare la carne dei cani, quando ci viene affidato gli animali da un altro. Basta andare nelle discariche a raccogliere le mattonelle per rivestire la cucina. Basta lavorare dovunque, dovunque, dovunque si crei l’occasione: zappando l’orticello del vicino, facendo tutto quello che è possibile fare, dodici ore il giorno, come quest’uomo continua a dire. E non spendere niente. Mangiare i frutti dell’orto. Poi mandare le figliole a servizio, prendere i soldi di loro. Monetizzare la pensione dei genitori. E così via. Quando si va… vero Vanni?.
Mario Vanni: Sì.
Avv. Nino Filastò: Quando si va al bar e siamo… alla Cantinetta, non pagare mai.
Mario Vanni: Uhm.
Avv. Nino Filastò: E allora, poi, ogni cosa si mette lì, fa interessi, raddoppia in dieci anni il capitale, eh. E si arriva alla cifra. E lui, lui dice era il succube. A lui gli avrebbero dato le briciole, a lui, di questi emolumenti. Le briciole. Infatti, a guardare questo allegato qui dell’11 novembre del ’97, dal Pubblico Ministero, che riguarda le dovizie invece di Vanni, io vi segnalo solamente, in una pagina che qui non è indicata, è la pagina 2, però è la cosa in cui si fa riferimento all’entità della pensione complessiva percepita fino al ’97 dalla Landozzi Luisa, la moglie del Vanni. La Landozzi Luisa ha percepito in tutti questi anni una complessiva somma di 96.448.530 lire. Volete dire che ne ha messe da parte la metà? Benissimo, diciamo solo la metà: sono 48 milioni. 48 milioni ha messo da parte, onestamente, come fa lui, accendendo dei buoni postali, come risulta, a nome di Landozzi Luisa e suo. Persona onesta, vedi? Ma a parte queste considerazioni in fatto che farete, che valuterete anche guardando questi documenti contabili che il Pubblico Ministero vi ha fornito e nei quali io, francamente, fra l’altro, ho cercato anche di addentrarmici ma mi ci son fermato perché non mi riesce, non mi piace, io per i numeri c’ho una specie di idiosincrasia fin da quando ero ragazzino, quindi faccio i conti e li sbaglio. Questo l’ho fatto bene, però, eh 96 milioni, la metà fa 48, siamo d’accordo, ecco. E voi, fra l’altro forse qualcuno di voi è anche un tecnico della materia e qui io, fra l’altro in certi tipi di tabulati fatti dalle banche, anche quando arrivano a me per il mio conto corrente, mi fanno arrabbiare perché sembra lo facciano apposta a rendere le cose complicate. Va be’, insomma, lo valuterete, vedrete. Ma a parte questo, che si può, a un certo punto, dire: ‘c’è i soldi, quindi c’è l’introito dei feticci’? Ma dico, ma scherziamo? Si vuol far fare un salto acrobatico di questa natura che il massimo, il più grande atleta di circo non farebbe mai, per arrivare a dire una cosa di questo genere. Ma come si fa? Intanto bisognerebbe dire: ma, insomma chi li comprava? Già di per sé, almeno a me pare, poi può darsi mi sbagli, ma insomma, io a me, io ho quest’impressione, già di per sé, messa sul terreno l’ipotesi che tutti questi milioni — che poi,’ voglio dire, come entità poi sembrano la fine del mondo, ma non lo sono, ma insomma, mettiamo anche una cinquantina di milioni, poi gli interessi diventano i centocinquanta che hanno trovato a Pacciani. Tutti questi milioni, cinquanta dicevo prima, arrivino dalla vendita di questi oggetti a qualcuno. Ma chi è che fa… ma chi è che acquisterebbe? Per farsene che? Per farsene che? I filtri d’amore? Cosa dovrebbe fare uno, non so, mescolarli? Ma non lo so, ma capite dove siamo arrivati in questo processo? Quando appena appena un tantino si cerca di entrare dentro alle ipotesi, di fargli passare quel varco che c’è fra la intuizione – per citare il dottor Giuttari – e la attendibilità razionale, no, l’attendibilità di tipo da senso comune, lì subito, subito uno dice: ma fammi il piacere. Ma quando mai è successo? Siete stati in grado di citarci un episodio in cui è avvenuta una cosa di questo genere? Altrove. Altrove, per carità! In paesi sottosviluppati, di gente ignorante, di stregoni, di quello che volete, in Africa, ma siete stati in grado di citarci una cosa di questo genere? Avete sentito parlare di effetti afrodisiaci di questi poveri resti? Oppure no? No. E allora che cosa resta? Resta quell’ipotesi criminologica, seria, attendibile, che è stata fatta, che vi è stata portata in questo dibattimento, per cui questa persona che fa queste escissioni le fa perché ha quella perversione e vuole provocare il male; poi l’escissione e il ricordino… il ricordino, insomma, per parlarci in termini volgari, è brutto dir cosi, ma insomma, questi poveri resti se li porta via e li conserva gelosamente, perché gli richiamano alla memoria l’episodio, il momento. E quindi, come farebbe un feticista, perché è anche feticista, con le mutandine o con il reggipetto o con l’oggetto appartenente ad una persona, lui con questi oggetti riesce a rivivere il momento, e a riprovare di nuovo quel sentimento di appagamento di tipo sessuale che, quando ha commesso quei gesti, ha provato forse per le uniche volte nella sua vita, perché è un personaggio così. E a tutto questo, con questa attendibilità scientifica – poi vedremo meglio quando parleremo di quest’aspetto – voi cosa contrapponete? La compravendita? Lo scopo di lucro? Dicevo, naufragata questa ipotesi della setta satanica, nonostante le indagini ampie, approfondite, eccetera, sulla casa di Faltiqnano, sul mago Indovino, sul mago Manuelito col camper, sul sangue sulle lenzuola — in una casa dove c’è un moribondo di cancro, ci sono delle lenzuola con del sangue – sui filtri amorosi, sul cartellone con le lettere, con i numeri e il “sì” e il “no”. “Prova documentale” del rapporto, questo ha detto il dottor Giuttari, “prova documentale”, questa è la sua — aperte virgolette — “prova documentale” – chiuse virgolette — del rapporto di Pacciani col gruppo dei maghi di Faltignano. Prova documentale. Il bar di Prato. Momentino di riflessione su questa prova documentale, ne ho già parlato. Anche qui mi tocca fare un’altra citazione: “Il Giardino dei Finzi Contini” di Bassani, grandissimo libro. Ne “Il Giardino dei Finzi Contini” si parla appunto di questo gioco, che si fa in, che devo dire, diciamo, una casa su tre in Italia. Sa, Presidente, io ci stavo per rimettere la tesi di laurea. Avevo lavorato come un cane per prepararmi all’esame di laurea e, insomma, poi, alla fine, decisi di andare a fare una girata, andai a trovare un amico. Verso le dieci e mezzo, arrivo in questa casa, c’è questo amico con altri amici, intorno a un tavolo, con questo cartellone, con questa, tazzina, fanno questo gioco – sto parlando di quando mi son laureato, eh, che è passato molto tempo — e insomma dico: ma mi state prendendo in giro? Ma che roba è? Ma cos’è? Insomma, ci feci le due della mattina e la mattina dopo dovevo discutere la tesi. E tutti lo fanno. Addirittura c’è, non so se sia una leggenda o sia la verità che, via Gradoli sia venuta fuori cosi, e che questo venir fuori di via Gradoli a questo gioco in cui viene fuori il nome Gradoli, sto parlando del sequestro e dell’omicidio dell’onorevole Aldo Moro, abbia partecipato l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, l’onorevole Prodi. Per dire che è una delle cose più consuete che si possano immaginare, che non ha nulla a che vedere con la magia nera; ma per carità di Dio, non ha niente a che vedere con i riti satanici. Ma per carità di Dio! Ma che scherziamo, ma chi l’ha detto? Questo è una questione proprio come dire… Beh, lasciamo perdere che questione è perché sennò non si finisce. I ceri, il pentacolo, le carte dei tarocchi. L’impiccagione del Malatesta, c’è anche quella. Si è già parlato ieri, citando il figlio. Non so, che altro? La morte in carcere del Limongiu, perché s’è parlato anche della morte in carcere di un certo Limongiu; tanto, così, per accrescere il pappone con qualche ingrediente che proprio non ci sta. La scomparsa dell’Agnello, si è parlato anche di un certo Agnello che è scomparso. L’Agnello non nel senso dell’animale che bela, e che trotticchia nei prati, no, di un certo Agnello che non si sa bene chi sia, io non lo conosco, non ho mai avuto il piacere, ma pare sia scomparso. Le minorenni nella casa di Faltignano. Che altro? Il misterioso pittore svizzero, ho letto sui giornali anche questo; di cui si è parlato sui giornali e che sembra abbia costretto il dottor Canessa a fare una trasferta fuori via, a dire fuori d’Italia.
P.M.: Una trasferta?
Avv. Nino Filastò: Fuori d’Italia. L’ho letto da qualche parte che lei era andato in Svizzera.
P.M.: Vede, i giornali…
Avv. Nino Filastò: Eh, non era vero. Lo sapevo io, guardi, c’avrei …. scommesso. Come il pittore svizzero, però, sì. No? Non si può sapere nemmen questo, mistero. Il pittore svizzero meglio lasciarlo perdere, perché non s’abbia a risentire la Svizzera, vero, in una situazione di questo genere.
P.M.: C’ha un difensore, quindi…
Avv. Nino Filastò: Ah, addirittura c’ha anche il difensore…
P.M.: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Eh, lo so, lo so…
P.M.: L’avvocato Bevacqua.
Avv. Nino Filastò: Eh, benissimo. Qui non s’è visto, però, eh; qui non s’è visto pittori svizzeri, eh, qui in quest’aula.
P.M.: Può darsi sia…
Avv. Nino Filastò: Eh?
P.M.: Sono fatti diversi.
Avv. Nino Filastò: Qui, in quest’aula di pittori ce n’è uno solo ed è il mi’ figliolo che sta lì. Ecco, va bene. Indagini, si dice, in corso; si dice o si diceva: non disturbate il manovratore. Invece io lo disturbo eccome, vero. Lo disturbo dicendo che si tratta, e che questo sia chiaro, si tratta di un insopportabile minestrone filtrato sui giornali, non si sa come fondato esclusivamente sotto il profilo della prova di questo processo degli indizi di questo processo fondato esclusivamente sulle illazioni di una prostituta alcolista tale dichiaratasi a più riprese – il bottiglione, il bere, il vino, cioè a dire la Gabriella Ghiribelli; e sulla vita irregolare, certamente anzi sgangherata di uno sfruttatore della prostituzione professionale, vale a dire Salvatore Indovino, malato e morto di cancro. Miserabile sul piano delle sue possibilità economiche poveraccio che abita in una casaccia sfasciata, in cui dentro ci piove, che se le avesse avute le dovizie – Salvatore Indovino – eh, più che comprare feticci io penso che le avrebbe usate per curarsi un po’ meglio il cancro, invece. Anziché accontentarsi delle iniezioni della prostituta, briaca fissa, Gabriella Ghiribelli, e quanto meno per ripararsi il tetto della casa in modo che non gli ci piovesse dentro. Altro che comprare a suon di milioni, che chissà chi glieli dava, i feticci per fare i filtri amorosi. Eppure tutto questo “pacciugo”, questa melletta infida, questa farragine – per usare il termine più esatto, che significa mescolanza di cose confuse — in cui si mescolano cose serie, anzi, serissime, – come delitti insoluti e tali rimasti, eh, a tutt’oggi rimasti: Francesco Vinci e il suo servo pastore; Milva, detta Silvia, e. il suo bambino Mirko Malatesta – con ipotesi; la mescolanza di cose confuse che riguarda questi I delitti — sono cose serie. Indagate, per piacere, e approfondite — con ipotesi seicentesche oltre il limite di quel ridicolo bergsoniano, di cui vi ha parlato il valoroso collega Mazzeo. E come dicevo ieri, è malinconico osservare che questa farragine, questa mescolanza di cose confuse, questo scenario seicentesco, degno… indegno dell’epoca- in cui si vive, indegno, indegno, ci fa tornare indietro tutto questo, di secoli ci fa tornare indietro. Ecco perché vi ho detto dianzi, avevo detto prima, male, attenzione Signori, attenzione, perché questo è un processo di cui si può parlare, voglio dire. Trova ancora i suoi cultori, affezionati cultori, affezionati a questo, come è affezionato ai trincetti che fanno le impronte sulle ossa di una vittima… Insomma, voglio dire, basterebbe pensarci un momentino, avvocato Colao, abbia pazienza, scusi. È andato avanti in questo processo sempre con questa storia di questo trincetto, ogni tanto ce lo trovavamo, non dico in mano, ma insomma, stavo per dire fra… Insomma, basterebbe pensarci un momentino, insomma. Un trincetto non ha il manico, no, e quindi, quando a un certo punto io uso una cosa di questo genere non lo provo con uno stampo su un osso, dopo avere trapassato… Perché mi sfugge, no, non c’è manico. Il trincetto serve ai calzolai perché hanno il piano e così incidono, ma, capito, non c’è versi. Taci Non c’è versi, eh. Va be’, e dicevo che l’avvocato Colao è rimasto fedele… e quindi, l’avvocato Colao vede lui i feticci messi a seccare al sole da Pacciani, l’ho detto ieri, fine del discorso. Va be’. Lasciamo perdere. Ma a un tratto, a un tratto, un colpo di reni di Lotti nelle indagini preliminari e qui al dibattimento, e tutta si sposta. Par di vedere i macchinisti di una scena teatrale che sbaraccano il palcoscenico. Lo scenario di cartone cambia, si smontano i fondali con i crogiuoli, il fuoco finto, le ragnatele della casaccia di Faltignano, si levano le quinte con i cartelloni, le candele, i pentacoli e via. Si sbarazza la scena anche dai maghi, quelli col camper e quelli senza; le fattucchiere; le misteriose signore che acquistano i filtri; le minorenni e si fa sbaluginare una scena da cinema espressionista dell’anteguerra, tipo “II Gabinetto del Dottor Caligari”. Ma no, non ci siamo, perché quello era un bellissimo film e tale resta. Tipo i peggiori horror americani di serie C, quelli proprio che non si posson vedere da quanto sono fatti male, imbrogliati, confusi, da un punto di vista narratologico. E spunta il misterioso, doviziosissimo dottore, acquirente dei feticci, senza fondali lui, senza spezzati, senza neri di contorno, perché non si sa nemmeno né chi sia né dove abiti; non c’è casacce con lui, non c’è prostitute, non c’è minorenni, niente. È cosi: un’immagine. È una figura quasi medianica, un ectoplasma che incombe in questa processo e sulla vostra decisione. Dovrebbe incombere, dovrebbe suggestionarvi, perché è solo lui il nefasto dottore, meglio non mettergli nessuno intorno, né Ghiribelli, niente, niente, dottore. Dottore di Pacciani. Ginecologo. Ginecologo? Sì, forse. Ginecologo. E qui, scusate, ma siamo un po’ al sotto dai romanzi di stazione; molto al di sotto, molto. Perché? Anche qui basta rifletterci un momentino: ma per farsene che? Ancora, ancora l’ipotesi esoterica, insomma un qualche valore poteva anche averlo – per modo di dire, ma insomma – siamo a valutare, no, a fare la graduatoria dell’attendibilità dì una situazione, partendo da un criterio di paragone, ecco. Le sorbe. Partendo dalle sorbe. Secondo il dottor Giuttari, un testimone è attendibile perché ha parlato di sorbe, in un certo… poi lo vedremo. Ecco, diciamo, teniamo come punto di riferimento — perché è questo purtroppo, basso, il punto di riferimento – le sorbe, per valutare l’attendibilità, la probabilità, il livello di probabilità di un’ipotesi. Ecco, partendo… qui siamo sotto le sorbe, molto, molto, molto. Perché, che se ne fa? A suon di milioni. Eh?
(voce non udibile) Decine.
Avv. Nino Filastò: Decine. Purtroppo devo farvi un’altra citazione. C’è una cosa del genere nel romanzo “La pelle” di Malaparte. Dove però questi oggetti, che vengono — dice lui eh, e che secondo me se la inventa di sana pianta la storia, perché Malaparte va preso con le molle dal punto di vista delle invenzioni — questi oggetti che venivano venduti da dei manutengoli napoletani alle truppe di occupazione americane, non erano mica queste cose qui che sappiamo. Quelli erano oggetti confezionati bene, avevano sì un’efficacia, tipo vibratore ecco, l’inverso del vibratore, ma veramente usati, secondo lui, in questo modo. Di plastica ovviamente e seta, dice lui. Con la seta… va be’… Sarà vero, non sarà vero, chi lo sa, comunque. Queste povere cose che da un momento diventano incartapecorite, lasciamo perdere via. Il dottore. Il dottore li acquista. Per farsene che? Perché capite, voglio dire, hanno un significato per uno che ha partecipato al fatto, nel senso che ha compiuto l’opera e allora rivive. Ma quello che le compra dopo… A meno che non si dica che il dottore è quello della 131 metallizzata, argentea; che il dottore è quello non so… A Vicchio non so come ci è andato il dottore, a Vicchio, anche a sentir la Frigo, di dottori non se ne vede, altrove nemmeno. Insomma, ma voglio dire, capite che qui il processo si fa in questo modo? Affondando i piedi fin questo dire e non dire, in questo suggerire, in questo fare intuire, in questo fare immaginare. E tutto, poi, naturalmente coperto da questa indagine in corso. Allora, dottor Giuttari si fa una scommessa? Di quanto vuole lei, guardi, le parlo col cuore in mano, perché io la considero anche lei un lavoratore, un professionista come me. Di cosa si scommette che questo dottore non lo troverà mai lei? 50 milioni le va bene? Guardi, io c’ho appena quelli.
Michele Giuttari: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Ecco, bravo. Mi piace questa risposta, ci ritrovo le origini mie, che sono anche le sue. Dicevo, dopo l’eclissi, dopo il tramonto della setta esoterica, dopo lo sbaluginare del — qui chiamiamolo col loro nome — del pianetino artificiale, dello Sputnik costruito in laboratorio, dottore; alla fine, sul fondo del bicchiere sono rimasti “il gruppo campagnolo di merende” Il gruppo campagnolo. Chi sono gli amici o compagni di merende? “Nomina sunt consequentia rerum”, si dice. Si è creata un’espressione con un impatto massmediatico tale, con una forza tale da rimbalzare nel linguaggio dei politici. È tutto dire, perché se c’è delle persone disattente su questo pianeta sono i politici. Non sanno mai un accidente di niente, sono sempre al di fuori di tutto, parlano di tutto, bla bla, bla bla, bla bla, bla bla, però delle cose poi se ne occupano poco. E qui, ho sentito un giorno in televisione uno di loro dire: ‘questi qua’ — parlando degli avversari’ — sono “compagni di merende”.’ Ma esiste una cosa, un fatto reale, oltre l’immaginazione dei giornalisti che ha coniato questa espressione? In che consiste questa cosa massmediatica? Quali sono i suoi connotati, le sue: caratteristiche reali? In che modo e su quali addentellati, su quali elementi se non di prova, almeno indiziari, si trova, in questo processo, Qualche cosa che faccia superare a questa espressione il suo significato letterale, innocuo, confortevole, che evoca pacifici pomeriggi domenicali: la saletta di un bar, il caffè, le bevute fra gli amici, le gite alle feste paesane? Su quali fatti si arriva invece in questo processo ad evocare, con questa espressione, suggestioni di tutt’altra natura, ricavate dall’accostamento con i delitti più sanguinosi, più orribili di quest’epoca, tuttavia così perversa e così dura. Insomma, dove sono questi “amici di merende”? Chi sono? Come si comportano? Chi sono, oltre una sorta di immaginario collettivo creato dai mass media e prima di tutto dagli inquirenti? Dagli inquirenti. In che consiste? Come gruppo, guardino, eh. Se uno dice: ‘beh, chi sono?’ Eccoli qua. Uno è qui. Amico di merende.
Mario Vanni: Uhm.
Avv. Nino Filastò: L’ha inventata lei la cosa. Accidenti, Vanni. Io cosa le ho detto la prima volta che l’ho vista? …
Mario Vanni: Sì, sì.
Avv. Nino Filastò: Sì, sì. No, gli ho detto: ‘Vanni, non pronunci più la parola “merende”, sennò io non la difendo’.
Mario Vanni: ‘Sì.
Avv. Nino Filastò: Ho detto così, o no?
Mario Vanni: Sì, sì.
Avv. Nino Filastò: Uhm. Chi sono? Non dico Vanni, non dico Lotti, non dico Pucci, non dico Toscano, maresciallo Simonetti. Come si chiamava il precedente postino, Dori?
Mario Vanni: Dori.
Avv. Nino Filastò: Dori.
Mario Vanni: Oliviero.
Avv. Nino Filastò: Oliviero. No, io dico come gruppo, come entità collettiva, quella che riflette, è riflessa nel capo di imputazione, laddove si indica la sussistenza del reato di associazione per delinquere. Come si associa questo gruppo? Dove? Con quali strumenti opera? A che scopo soprattutto. Vedano, il significante “compagni di merende” , come l’espressione “metabolismo lento” è infelice. È infelice l’espressione “amici di merende” come era infelice l’espressione “metabolismo lento”, come si è visto ieri. Ed è indicativo di quanto questo processo si nutra di suggestioni massmediatiche: di etichette, di immagini da stampina popolare, ma nemmeno. Dunque, sarebbero un gruppo criminale; così si legge nel capo di imputazione. E più lo leggo quel capo di imputazione e più avverto il fastidio intellettuale della assurdità. Cioè, ed ecco perché dico assurdità: non due, o tre, o quattro – e più il numero aumenta più la cosa diventa improbabile — non dico due, o tre, o quattro persone, le quali per una eccezionale cattiveria del destino — delle volte il destino è perfido, accidenti se lo è, però tante volte è atroce…
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: No, voglio dire, vuole darmelo anche a me il telefono che chiamo anch’io? Così ci divertiamo tutti e due. Non due o tre perversi, o quattro, o cinque, che per caso si incontrano, capito? Voi avete… sott ‘occhio in questo momento, mentre sto parlando, voi immaginatevi quelle fotografie, no? Quelle foto di quei delitti, di quelle ragazze, rovinate, uccise in quel modo e violentate in quella maniera. Allora, a questo punto dovete immaginare due, tre, quattro persone, perversi a quel livello là, che tutto a un tratto, per qualche… la atrocità di un destino, assurdo, ..incredibile, si incontrano un giorno e tutti insieme decidono di mettere insieme questa loro pulsione criminale, avendo avuto la ventura di nascere e vivere nello stesso paese. No, non questo. No, non questo. Non c’è così in quel capo di imputazione, non è riflessa così | quell’associazione per delinquere. Non è Lucas e Toll che sono l’unico caso che si conosca, perlomeno io. Lucas e Toll sono questa coppia di serial-killer che agivano per conto loro, ciascuno. Poi, per questo scherzo orribile del destino, un giorno, su questa autostrada della morte, dove hanno seminato da un capo all’altro degli Stati Uniti 300 vittime, questi due si incontrano per caso. E da quel momento cominciano anche ad agire, insieme. Caso criminale, quello dei più atroci che si possa immaginare. Non è così. No, non è questo. Non è così, non è questo. E guardate, non pensate che indicandovi questo esempio, avendo fatto delle domande su questo argomento anche a quei periti, a quegli esperti, questo difensore, voglia fare della letteratura, eh? Qualcuno magari lo dirà anche. Siccome ogni tanto dice il “romanzo di Filastò”. Insomma, romanzo un accidente! A parte che, come dicevo prima, parlare di romanzi in senso denigratorio, è molto sbagliato; è sintomo, come dicevo ieri, di cultura mediocre, perché il romanzo è la più alta espressione artistica che si conosca. No, non è questo. Nessuno vuol fare della letteratura qui, per carità. No, no, assolutamente. Qui si vuole semplicemente, da parte di qualcuno che, modestamente, un po’ l’ha studiato, non approfonditamente: abbiamo letto i libri di Walker, abbiamo letto il libro che citavo ieri sulla perversione, abbiamo letto vari casi che sono stati pubblicati in Italia di fatti di questo genere, abbiamo letto i due libri di Fornari, due, non uno, due, sui serial-killer, due ne ha scritti. Quindi, cercare di entrare dentro a una materia che è quella lì, è questa la materia. Ecco, da questo punto di vista, l’ipotesi delle due persone che si incontrano per questa perfidia dei caso, questa è ancora possibile. Ma quando, da due cominciano a diventare tre, quando da tre dovrebbero diventar quattro, quando da quattro dovrebbero diventar cinque — con l’aggiunta del dottore – allora la cosa proprio diventa impossibile. Capite, voglio dire, è talmente eccezionale questo tipo di perversione, è talmente eccezionale – per fortuna, per fortuna nostra, non ci mancherebbe altro che non lo fosse; il dottor Nocentini parla di uno su 100 milioni; è talmente straordinario che, a un certo punto, pensare che nello stesso paese si assommino queste psicopatologie e che queste persone si incontrino e si associno è completamente assurdo. Quindi, allora… Quindi perversione no. L’incontro dei perversi no. E poi non è lì, non è questo il capo di imputazione. Il capo di imputazione dice: si associavano allo scopo di vedere, spiare delle coppie, preparare il terreno, andare, preparare gli strumenti e tutto il resto. Quindi è una cosa diversa, un obiettivo diverso, un’origine diversa… Ma quale? Quindi non l’ipotesi delle singole individualità che si trovano, no, no, no. Qui dovremmo trovare il gruppo organizzato, associato intorno ad uno scopo preciso, con la divisione dei compiti – come si legge nel capo di imputazione — con i pedinamenti. Beh, ma se esiste un mostro di questo genere — perché sarebbe un “mostro” straordinario, incredibile ma qualche traccia se ne troverà. E questa traccia non c’è neppure nel confesso, neppure in Lotti; non c’è neppure in Pucci. Non c’è fino al punto che nessuno gli domanda niente su questo argomento. Dice: ma questo gruppo dove si trovava? Dove sì associava? Di cosa parlava? Quando si incontravano? Quando si sono conosciuti per la prima volta? Com’è che gli è nata l’idea? Quando il misterioso dottore li ha contattati? Quando è nata l’idea di vendere i reperti? Diciamo così: a chi, come, in che occasione, perché? Lo dice Lotti questo? Lo dice Lotti nella sua confessione? Può bastare la parola “campagnolo” per identificare questo gruppo? Non solo non può bastare ma è una deformazione. E qui, ecco, entra in discussione l’aspetto, che dicevo prima, sociale; l’aspetto anche, se vogliamo, culturale di questa ipotesi. Bene. Tempo fa io parlavo con un – tanto per esemplificare — parlavo con un giornalista della Nazione, che non nomino, e facevo queste osservazioni, come si può parlare così, dicevo: ma, insomma… E questo che è uno che, fin dall’origine, va be’, ha scritto articoli, Pacciani, demonio, eccetera. ‘Eh, San Casciano guarda, è un posto…’, come dire lo so io, eh. Ah sì? Ah, deve esser questa? Dobbiamo andarle a cercare qui quelle tracce che dicevo, nel paese campagnolo di San Casciano? Nella campagnolità, nella non cittadinità? In Toscana, a casa mia? Il mio nonno materno faceva il fattore nella tenuta dei Della Robbia a San Polo in Chianti. Poi fece il carabiniere, andò a fare la Prima Guerra Mondiale, prese freddo e morì. Era un fattore. E nella campagna toscana, a San Polo, io ho passato alcuni anni della mia infanzia e ci sono molto affezionato a quei posti, ci sono molto affezionato a quella gente. La piglio come un’offesa personale io questa, sapete. E siccome mi è sempre piaciuto sono un appassionato della campagna toscana, la più bella del mondo, il Chianti poi, anche il Mugello, il Mugello però ha quelle tinte più cupe, è più severo il Mugello. Capite, c’è questa distinzione che si fa e che si fa giustamente, da parte dei sociologi, di quelli che si occupano di paesaggi e tutto il resto. Il Mugello è ancora una terra di barbari, da Fiesole in poi si comincia a vedere l’intervento dei romani, della loro agricoltura, della loro cura, della loro trasformazione della terra. A San Casciano siamo proprio in questa parte del mondo. Beh, ma passando dai ricordi personali ai ricordi letterari, eh, insomma, c’è chi se n’è occupato, c’è chi ne ha parlato. Uno splendido romanzo di Mario Pratesi, “L’eredità”, da cui il film “La viaccia” di Boloqnini, chissà se qualcuno di voi se lo ricorda, un bellissimo film e grandissimo libro. C’è il senso di isolamento, la cupezza, anche la violenza, del contadino toscano; quando viene messo alle strette, il senso della roba quasi verghiano, l’ossessione dell’accumulo. In “Ad occhi chiusi” di Federico Tozzi, c’è l’ansia, il desiderio della donna, della sessualità e la prostituta, il rapporto con la prostituta. In “Perla”, un raccontino di Renato Fucini, c’è la superstizione. In “Scampagnata”, del sorridente Fucini, sempre, il gusto delle mangiate. Il gran mangiare e il gran bere. Eh, va be’, ma sempre e soprattutto l’individualismo, la solitudine. I toscani, i contadini toscani come i cittadini toscani, sono troppo di vecchia civiltà per associarsi, mettendo insieme pulsioni anche, magari, negative. È fuori dal mondo questo, bisogna non essere toscani per pensare a una cosa di questo genere. La socialità dei toscani può esprimersi in quella forma civile che è la politica, dei contadini toscani. Le debolezze no, non si associano mai. Si vivono come le vive Mario Vanni, con questa moglie che gli si rifiuta; massimo si va con l’amico, con un amico, il Nesi, a prostitute. Un altro amico, dopo, il Lotti. Farsi accompagnare ogni tanto, visto che si ha delle difficoltà a prendere l’autobus e non si sa guidare l’automobile. Ma si rendono conto, io mi sono chiesto questo in tutti questi anni in cui anni, in questi due anni in cui ho seguito questa storia degli “amici di merende”, ma se ne rendono conto, questi signori anche della stampa, oltre che gli inquirenti, del guasto che stanno facendo nell’immaginario collettivo di un paese, di un popolo, di tanta gente. Ripeto, là nel Mugello, vicino a Vicchio, c’è Barbiana, un faro di civiltà. Barbiana, dove don Milani insegnava ai ragazzi dei contadini del posto. Con questa immagine del paese omertoso, San Casciano Val di Pesa, di questo utero che nutre, che fa vivere il gruppo degli “amici”, o “compagni di merenda”. I fatti, dice il dottor Giuttari. Ma dove sono? È un fatto il Bar Sport? Il piazzone? La Cantinetta? La trattoria Da Nello? Aggiungo io. Sarebbe qui che si preparano le spedizioni? È qui che si dovrebbe, come dire, condensare il cemento di questa associazione, di questi posti dove si gioca a carte, si beve, si mangia, si chiacchiera, si fanno scherzi pesantini, non solo al povero Butini, anche ad altri? Si dimentica col vino la moglie malata, le faticacce, le frustrazioni. E se tutto può essere – perché al mondo tutto può essere, vero – “finché l’uomo ha denti in bocca, non sa mai quel che gli tocca”: provatelo però. Provatelo. Tanto non ci vuol molto. Eh, diamine, altroché, qui ci vuole. Almeno tentate di provarlo. Fate un tentativo. Comunque, su questo, su questa “associazione per delinquere di stampo campagnolo, paesano e merendistico” – secondo la brillantissima espressione dell’avvocato Mazzeo – quali sono le prove? Non Lotti e non Pucci. Dovrebbe bastare la frase di Lotti, c’erano quelli che facevano e quelli che guardavano? Ci vuole altro. Il fatto è, si ricorda dottor Canessa, abbia pazienza, si è fatto tanti processi sui reati associativi, no, forse lei no, con il suo collega dottor Vigna accidenti se ne abbiamo fatti. Eh, cavolo, altroché. E lì, perbacco, le prove tutta un’altra cosa. E la ricerca delle prove era tutta un’altra cosa. Il fatto è che non si cerca neppure la prova e quindi scendendo alla fine di questo discorso, dal letterario al giuridico, dall’aulico, – qualcuno direbbe enfatico, al tecnico c’è in un’associazione, come punto di riferimento tecnico fondamentale del giurista, il quale deve accertare l’esistenza o meno del fatto-reato, cioè che si chiama, “affectio societatis”, il cemento; un “affectio societatis” che ha a che fare con lo scopo. Scopo rispetto al quale, le due parole sul movente, del Pubblico Ministero, non bastano assolutamente e ci si barcamena fra i riti di Faltignano e il misterioso dottore, facoltoso acquirente, con questo, proponendo un’alternativa che è antitetica e che cerca di coincidere, far collimare due cose che sono completamente diverse, come se fossero la stessa cosa, in un’alternativa inconciliabile e ugualmente caratterizzata dalla assurdità, rispetto a quello che è il buonsenso comune e rispetto a quello che è l”id quod plerunque accidit”, in falsità… falsità, non falsità, scusate, assurdità e come inverosimiglianza – a che gli ‘ servirebbero al dottore i feticci, ne abbiamo parlato – e la perversione dei prezzolati agenti come si innesta. Che, se son perversi come si innesta poi col fine di lucro? Se lo scopo è quello della perversione, poi perché diventano tutto a un tratto così interessati, no? Interessati, però strano. E io vorrei sapere in replica, dottor Canessa, come mi risponde a questa obiezione. Se l’appunti per piacere.
P.M.: Me la ricordo, stia tranquillo.
Avv. Nino Filastò: Bene. A posto. Interessati, no. Scopo di lucro, no. Andate a guardare il portafogli del. povero Stefanacci, i soldi ci son tutti. Andate a guardare gli altri valori di questi altri poveri ragazzi: i soldi ci sono sempre tutti. Andate a guardare le macchine fotografiche, gli oggetti di valore contenuti nel furgone dei poveri tedeschi: ci son tutti. II processo a Pacciani ha identificato l’asportazione di un portasapone marca Deis, dal furgone dei tedeschi e di un blocco da disegno marca Skizzen Brunnen. Non ve ne ricordate voi, non lo sapete, non le potete sapere queste cose. Io vi ho chiesto di informarvi, vi ho chiesto di ampliare la vostra ricerca anche a queste cose. Avete risposto di no: ora però sono importanti, lo vedete? Ah, quindi lucro? Ah, quindi interesse? E come mai? Come si concilia questo aspetto costante, riguardante, tutti i delitti, anche quello del ’74 sissignori, anche quello dell’81, sissignori: dell’81 numero uno: ’81 di giugno, Carmela Di Nuccio e Giovanni Foggi. I soldi ci sono sempre. E quindi… E gli strumenti? Abbiamo parlato dello scopo, deli.. “affectio societatis” adesso parliamo dei mezzi, degli strumenti che queste persone userebbero. La confessione di Lotti ha portato qualcuno a trovare la famosa Calibro 22? Ho detto e dirò ancora che non è stata, per codesto, tramite Lotti, neppur cercata. Perché la mancata perquisizione della casa della draga è una cosa che veramente, che qui veramente, non c’è parole per pronunciarsi. Ne parleremo però, perché qualcosa vi ha detto, perché fa il paio con un’altra omissione persino più grave; persino più grave dal punto di vista dell’accusa. Non dal punto di vista della difesa, dell’accusa. Ne parleremo quando si scriverà, avvocato Curandai, il romanzo di Baccaiano, va bene? Sentirà il romanzo dopo. Benissimo. Romanzi, come si fanno qui, quando si fa gli. avvocati, che si fanno seriamente, si fa seriamente l’avvocato, come si fa seriamente il romanziere, sa, seriamente.
Avv. Giampaolo Curandai: I processi si fanno seriamente.
Avv. Nino Filastò: Esatto. Ecco, siamo alle solite, vero? Siamo alla iperossigenazione del sangue e quindi, Presidente, me la piglio subito col Curandai. Mi dà un intervallo per piacere? Grazie.
Presidente: Prego.
Presidente: Prego, avvocato Filastò.
Avv. Nino Filastò: Sì, grazie. Presidente. Un’ultima annotazione su questo gruppo. E che è tratta dal dato più rilevante che riguarda il processo, vale a dire l’uso della stessa arma da sparo, la famosa Calibro 22; quella che il dottor Perugini ha definito “la firma”. Come si inquadra?’ Provate ad immaginarlo, astrattamente, questo gruppo che comincia a fare i cosiddetti “lavoretti” – per usare questo termine “lottiano” insopportabile, anche per il rispetto e la pietà che si deve a queste povere vittime, insopportabile anche per questo – nel lontano 1968. Vogliamo viverlo non nel ’68, nel ’74? No, non è cosi ma per essere, per andare più sul sicuro. Insomma, voglio dire, all’interno, ci sarà stato anche qualcuno che dice: ‘ma così ci si fa scoprire noi eh’. Che la usa a fare la stessa arma, il gruppo? Per identificarsi? Per individualizzare, precisare la fonte di quegli omicidi? Se lo rapportiamo a quella sintomatologia, a quella sindrome che riguarda l’individuo, allora altro se torna! È perfettamente in chiave, anche con la lettera spedita alla Della Monica. Ma al gruppo? Per dire una cospicua indicazione negativa, gravissima. E poi, dicevo, la assoluta carenza di qualsiasi, persino tentativo serio di provarlo, questo collettivo criminale, appunto, che io mi sento, a chiusura di questo discorso, di dire che, nella sostanza, basta la mossa; basta cioè la suggestione del collettivo campagnolo di uomini normali per offuscare – dovrebbe bastare, eh, perché non basta affatto per offuscare quasi 15 anni di indagini centrate sul serial-killer, cioè su un uomo solo, non super-uomo. Ma chi lo ha detto super-uomo? Ma che super-uomo! Questo orrendo disgraziato, questo atroce personaggio. Ma freddo, determinato, abile, callido; dotato di conoscenze e di informazioni. Altro che… Questo, sì. Basta? No, non basta. E alla fine non serve nemmeno provarli i “compagni” o “amici di merende” che si appalesano nella costruzione accusatoria per essere quello che sono: cioè, un espediente retorico. Vedano, Signori Giudici, la premessa dell’uomo solo è stata quella. Si, è vero. Si dice: però le indagini orientate in quel modo, su quel binario, non hanno dato esiti. Ma non hanno dato esiti perché è stato cercato davvero? Ma davvero si sono fatte indagini alla ricerca di questo personaggio? Ecco che, vedano, a questo punto serve, o serviva, una analisi di tutta l’indagine, per accorgervi che non è mai stato seriamente cercato. Guardino, poi lo vedremo meglio. All’inizio, all’origine, non è l’ipotesi dell’uomo solo, ma l’ipotesi del clan dei sardi. Ma ve ne ricordate? Hanno cominciato a cercarlo, a cercarlo, ad adattargli, ad adattare questa seria impostazione che_ viene dall’equipe di Modena, al personaggio Pacciani quando dice dal computer, è spuntato fuori il personaggio di Pacciani; dice dal computer. o già detto che io non ci credo; che, anzi, mi risulta diversamente. Ma, insomma, questa è una cosa che, se sarà necessario, cercheremo di provarla, eventualmente, in sede di Appello. Qui ho preferito non appesantire il dibattimento con una produzione. Tanto che a me ha colpito, nella requisitoria del Pubblico Ministero, il dato statistico che lui vi ha portato: 60% omicidi impuniti. E io mi sono chiesto se, altrove, nel mondo cosiddetto civilizzato, è così. E mi è venuto spontaneo di osservare che a Firenze e provincia, negli ultimi 30 anni, la percentuale di impunità è più alta. Per lo meno ad occhio. Mah, sì. Guardi, non credo che statisticamente esista il dato, ma insomma…
P.M.: Le relazioni annuali.
Avv. Nino Filastò: A Firenze?
P.M.: C’è la relazione annuale…
Avv. Nino Filastò: Lei si riferiva… Col 60% si riferiva…
P.M.: Io li ho presi dal…
Avv. Nino Filastò: Lei diceva il 60% a Firenze? Oppure in Italia?
P.M.: Quelli sono in Italia.
Avv. Nino Filastò: In Italia, eh…
P.M.: Poi, se lei vuole i dati, prende il Procuratore Generale…
Avv. Nino Filastò: Eh, va beh, io non lo prendo il Procuratore Generale, perché non so come fare. Lasci perdere, insomma, comunque…
P.M.: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Beh, comunque, a me sembrerebbe un po’ più altina, perché c’è tutte le prostitute, appunto — se ne parlava ieri — morte ammazzate, almeno cinque. Poi ci sono tutti gli omosessuali, no? Anche quelli ce n’è un bel po’, eh. Fino a De Robillant, l’ultimo, che non si sa chi l’abbia ammazzato; il Cuccarini, quello ammazzato in via del Proconsolo, nell’ora di punta, dentro un negozio. Alcune ragazze sole. Senza contare quegli strani episodi, passati per strani suicidi, di gente bruciata viva in automobile. Due dei quali, due dei quali… va be’, passati per suicidi, strani… uno, un incidente, un altro, un suicidio. Avvenuti: uno a Giogoli, a distanza di 100 metri da dove c’erano i tedeschi; un altro a Travalle, a distanza di altri 200 metri. Macchina bruciata e dentro il cadavere, che fa venire in mente quelle macchine bruciate nell’agosto del ’93, con dentro due cadaveri in una e due cadaveri in un’altra. Quindi, tutte queste cose sono rimaste insolute, vero? C’è anche l’episodio di una conoscente, amica di Susanna Cambi: Elisabetta Ciabani, ammazzata a Sicli, in Sicilia, nell’82, nell’agosto. Squartata con un coltello da — scusate — dall’estremo margine del pube fino allo sterno. È stata archiviata come suicidio. Era una che conosceva Susanna Cambi. Stavano tutte e due a distanza di un breve tratto di strada. Un’altra coppia di amanti a Borgo San Lorenzo ammazzata a revolverate, in epoca successiva all’arresto di Pacciani. Io di questi due, io, non ho saputo più nulla. Ammazzati a colpi di pistola, tutti e due, vero. A Borgo San Lorenzo. Certo, la pistola, non era la stessa, anche dei fidanzati di Lucca, la pistola non era la stessa… Beh, mi domando: ma questa percentuale così alta di impunità, si ritrova anche negli, altri Paesi cosiddetti civilizzati? No, a me risulta che altrove non è così. Negli Stati Uniti, per esempio, i serial-killers vengono scoperti al 90%; così leggo nel libro di Walker. E io, poi, può darsi che… Il Pubblico Ministero sorride, ma insomma, sarà che quello racconta fandonie, non lo so. Questo, specialmente dopo la istituzionalizzazione di un servizio speciale, di uno speciale Dipartimento dell’FBI – al quale questo Pubblico Ministero si è rivolto per avere un quadro – e la generalizzazione di una certa metodologia di indagine, che consiste proprio in quella metodologia che, a un certo punto di questa indagine, di questa indagine infinita, si decide di iniziare: nell’84, eh, mica prima. Vale a dire, si chiamano degli esperti, della gente che ha spiegato il problema, che è andata a interrogare nelle, carceri i serial-killers che sono già stati condannati, che li ha esaminati, che ha fatto delle indagini di tipo psichiatrico, psicologico e tutto il resto. E gli si dice: guardate, questi sono i dati obiettivi; fateci un quadro del personaggio. E questi, questo Dipartimento, ci riesce a farlo, li fa. E questo consente agli inquirenti di circoscrivere il quadro delle loro indagini. Perché qual è il problema più grave nel caso dei serial-killers? Che cosa rende particolarmente difficili, complicatissime, quasi impossibili le indagini, quando si ha a che fare con un serial-killer? La mancanza di relazione fra vittima e carnefice. Nella maggior parte dei casi degli omicidi, se voi guardate come funzionano le indagini, su cosa indaga la Polizia? Indaga sulle relazioni della vittima: l’amante, il datore di lavoro, il marito. Tutte le persone che, in qualche modo, hanno avuto a che fare con la vittima e che potrebbero avere un movente, un interesse, o una situazione di qualsiasi genere. Ma quando si ha a che fare con una serie di delitti come quelli che ci riguardano, in cui si capisce immediatamente che la relazione non c’è; ed è stato lì l’errore gravissimo, iniziale, del processo del 1968. Quello di aver ritenuto che il delitto nascesse da una relazione Barbara Locci, con qualcuno che gli era vicino: il marito. Il marito, eh, si sa, il marito che è marito… Per forza, questa era una, come si dice? Una “belle de jour”, un po’ dilettante e un po’ no, per parlarci chiari, la Barbara Locci. Poverina parlandone da viva. Una donnina di costumi piuttosto allegri e che aveva tutta una serie di relazioni. E lì non si va a guardare, in quel caso, il fatto che lo Stefano Mele portava il caffè a letto agli amanti della moglie, perché era uno così, poveretto. Si dice: beh, te, l’hai ammazzata te perché… prima si dice per gelosia, poi si leggerà nella sentenza di I Grado del processo Pacciani, che lo ha fatto per 23.000 lire. Bene, lasciamo perdere. E quindi l’investigazione quel dirizzone lì. Ecco come avviene, secondo me, l’errore giudiziario Stefano Mele. Quando poi arriva il collegamento, nessuno ha detto: mah, allora si è sbagliato. Nessuno ha avuto il coraggio civile di dire: si è fatto un errore. Eh, lì è stato un errore grave. Ecco gli errori; gli errori di questa indagine stanno qui. Quando si scopre che la Calibro 22 ammazza poi a Borgo San Lorenzo, poi a Scandiccì, poi, poi, poi a Scandicci ancora… No, a Scandicci… No, poi dopo, il secondo è a Calenzano, il terzo è a Calenzano, e così via, si doveva dire: ah, allora che c’entrava poveraccio? E invece, no. E invece no, c’è ancora la spinta, la resistenza del vecchio processo che ha portato in galera Stefano Mele. E si continua ad indagare nel clan dei sardi. Ecco, e si fanno degli altri errori. Francesco Vinci, per il primo; Mele e Mucciarini, per gli altri due; Salvatore Vinci, numero 4. E, allora, io dico che, se si vuole andare a cercare gli errori nelle indagini, invece di prendersela con una ipotesi che poi vedremo perché la esamineremo in dettaglio e ci costerà un po’ di fatica e un po’ di lavoro, in quella impostazione data dall’equipe di Modena e non solo da loro -sapete quanti sono gli esperti che se ne sono occupati? Otto, otto – invece di prendersela con questa impostazione, che poi corrisponde alla metodologia che altrove si usa. Perché, ripeto, si tratta di trovare il classico ago nel pagliaio. E prima di trovarlo… Perché, capite, in un delitto normale non è che gli inquirenti debbono indagare tutto il mondo; in un delitto normale vanno a indagare quelle che sono le relazioni. Delitto dei coniugi Bebabi, va be’, insomma. Il marito, la moglie, tutti e due. O tutti e due, o uno, o quell’altro. Delitto della cosiddetta “Circe”. Quell’altro delitto di quell’altra signora che sta in galera e che dice che è innocente, non mi ricordo qual è. Insomma, anche lì, relazioni, si capisce. Voglio dire, cioè, questa signora, per esempio, poi fra l’altro quella processata a Lucca, no? Come si chiama?
Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Regoli.
Avv. Nino Filastò: Regoli, ecco. Insomma, mica per parlarne male. Lì bastava che nel capo di imputazione ci fosse scritto che poteva essere stato un sicario per far quadrare tutto. Va be’, lasciamo perdere, lasciamo perdere. Ma insomma, voglio dire, si fa; si va a indagare nelle relazioni, nei rapporti, nella sua vita, nei suoi vissuti, nei suoi . dissapori, odii, nei confronti della vittima. Eh, e allora il quadro… Ma qui, qui .gli inquirenti si_ trovarono davanti tutto il mondo. Come si trovarono’ davanti tutto il mondo gli inquirenti quando indagarono il povero Girolimoni. Perché, capite, non è che questo è: il primo fatto di questo genere che avviene in Italia. Eh, in tutto il periodo che va dagli anni ’30 fino alla guerra, che cancella un po’ il ricordo di tutto, le mamme di Roma, quando volevano rimproverare il bambino perché faceva le bizze, dicevano: ‘stai buono, sennò chiamo Girolimoni’. E Girolimoni era innocente come l’acqua. Perché le ragazzine ammazzate nel quartiere romano erano le vittime di un serial-killer. Popolano, fra l’altro, tutt’altro che super-uomo; pazzo come una capra; cattivo, che stava lì. E che lui è morto nel suo letto; Girolimoni, invece… E quindi è necessario, diventa indispensabile, capite? Indispensabile quello’ di riuscire, in qualche modo, a circoscrivere l’indagine. E come si può fare? Lo si può fare soltanto individuando, dai fatti, dalla osservazione dei fatti, dalla osservazione dei delitti, dall’osservazione di certi dati che li riguardano, individuando una persona. Individuandola sotto il profilo del tipo speciale, particolare, di pulsione psicopatologica di cui soffre, di eventuali suoi precedenti che possono essere messi in relazione con questo tipo di pulsione, di certe sue caratteristiche fisiche: l’altezza, ovviamente, la forza, l’età. E tutte quelle cose per cui, ad un certo punto, gli inquirenti, sulla base… l’identikit, le fattezze. Importantissimo l’identikit. Per cui, ad un certo punto, facendo le indagini, cercandolo, questo ago, alla fine, nel momento in cui hanno trovato qualcuno, lo paragonano a questo – hanno trovato, hanno un sospetto – lo paragonano a questo, come dire, non proprio identikit, ma insomma, quadro complessivo e dicono: sì, collima, non collima, si va avanti su questo. Oppure, non si va avanti. Se si dovevano individuare degli errori, bastava, da questo punto di vista, riflettere alle critiche rivolte dal Presidente del processo Pacciani durante il dibattimento, alla faciloneria, alla negligenza, al …disordine, al pressappochismo con cui furono svolte le indagini iniziali. Quelle che decidono, perché sono “le prime 24 ore di indagini che decidono i risultati. Di facilonerie che riguardavano i luoghi dei delitti, le macchine, le impronte digitali. E per concludere che la ragione di risultati negativi non sta nell’obiettiva difficoltà delle indagini, in tema di omicidi in linea generale, come ha detto il Pubblico Ministero, ma nell’obiettiva difficoltà di indagini riguardanti questo tipo di delitti. E anche nella faciloneria, nella negligenza, nel pressappochismo che avevano caratterizzato quelle indagini nei primi momenti, facendo in modo che la raccolta delle tracce utili era particolarmente scarna. E per fare un esempio di questa negligenza, faciloneria: le impronte digitali sulla Panda coinvolta sul luogo dell’omicidio di Vicchio, 1984. Ma siamo certi che non siano comparabili? La comparazione con le impronte digitali di Pacciani o di Vanni, è stata fatta, o no? Non è stata neppure tentata. Ma non è stata…
P.M.: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Eh, sì, ma prima di dire questo, signor Pubblico Ministero, mi ci vorrebbe una perizia a me. Abbia pazienza. Non solamente l’indaginetta del laboratorio di polizia Scientifica, scusi, eh. Perché oggi a me consta che esistono degli strumenti anche computerizzati che consentono, da un frammento di impronta digitale, di ricostruire l’intero. Può darsi che mi sbagli, ma mi pare che non ci sia…
P.M.: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Come? Eh?
P.M.: Sarebbe grave riuscire a ricostruirlo.
Avv. Nino Filastò: Come grave? Perché, no, grave? No, non è affatto grave; si può fare.
P.M.: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Però, una perizia almeno, fatta in un laboratorio di analisi che abbia, così, dei crismi, degli strumenti, anche. Ma insomma, io ho visto, io ho seguito il processo della Moby Prince, lì c’è stata una superfetazione di strumenti tecnici. Per arrivare a quel bel risultato a cui siamo arrivati, vero, e proprio funzionale a quel pessimo risultato, dico io, c’è stato addirittura… niente, siamo andati in Inghilterra a fare delle prove, delle cose, con gli strumenti, col computer. Roba da perderci la testa. E qui invece no. Ma comunque andiamo avanti. lo spolverino sequestrato al Vanni. Sì, è stato analizzato, dice. Ma come? Anche qui poteva essere materia di perizia anche questo, magari collegiale. Per la ricerca delle emazie. Sarà stato lavato, si capisce. Ma accidenti, se se n’è servito per fare quella cosa lì, ma voglio dire, in una cucitura, da qualche parte poteva essere trovata una minima traccia. E fino, queste analisi e queste ricerche frammentarie, fino alla omessa perquisizione della casa di Lotti vicino alla draga. Che è, come dire, la quintessenza del ritenere quel soggetto processuale la bocca della verità. Lui ha detto che era semplicemente quasi uno spettatore. E noi gli crediamo. Tanto è vero che sta dall’81-’82, fino all’ 88 ma in questa casa enorme, dove ci può essere nascosto tutto, e non ci si va nemmeno a vedere.
P.M.: Ci si andò.
Avv. Nino Filastò: Sì, ma dopo sette anni, ma certamente. Ma abbia pazienza, il famoso proiettile trovato da Pacciani, o non sarebbe stato lì da cinque anni?
P.M.: Ci stava lui…
Avv. Nino Filastò: Come? Anche nella, casaccia di… Guardi, Pubblico Ministero, ho parlato con la signora Scherma, io. E ho cercato di introdurla questa circostanza portando le fotografie, eccetera. Eventualmente, poi, si può anche fare, si può sentire la signora Scherma: andato via lui, non c’è stato più nessuno in quella casa. Come si vede da quelle foto fatte ora. È una casa che è rimasta abbandonata. Però, questo dato statistico riferito dal Pubblico Ministero, a me mi sollecita mi costringe ad alcune riflessioni. E la riflessione fondamentale è questa, che affido alla Corte per quello che può valere: se da noi le indagini si fanno nel modo approssimativo, che via via vedremo, forse – mi dispiace dirlo – ma con tutto l’affetto da Calamandrei che gli porto, un po’, forse, dipende anche dai Giudici, tante volte. Perché se ci fossero sentenze rigorose, serie – ce ne fossero di più di sentenze rigorose, serie – come quella del processo di Appello del processo di Pacciani, gli inquirenti, secondo me, si attrezzerebbero meglio. Vedete, qui c’è il discorso dell’allarme sociale. Dice: ma come, io… Si assolve così., si rischia – di mandare a giro un colpevole, un “mostro di Firenze”. Ma, insomma, questa è una vocazione legittima, certamente. Ma da un punto di vista civile c’è quell’altra. Quando si parla di garantismo… Io, perché parlo poco volentieri di garantismo io? Perché il garantismo non riguarda solamente il signor Mario Vanni, ma riguarda tutti noi. E non riguarda tutti noi solamente, come vi diceva il collega: ‘attenzione, perché potrebbe capitare a voi’, che è vero. Ma c’è un altro punto di vista, c’è il punto di vista della collettività. C’è il punto di vista della collettività che ha diritto a che, quando avviene un omicidio, le indagini si facciano in un certo modo. Perché il primo obiettivo di un processo non è la punizione del colpevole, è l’aspetto cognitivo. I cittadini hanno il diritto di sapere come sono andate le cose e di saperlo per bene, in modo soddisfacente. Che riguardi non solo il meccanismo di produzione di quel determinato evento, ma il perché e il percome, le circostanze. Devono sapere. È giusto sapere. Se qui c’è una situazione germinativa, prodromica a San Casciano Val di Pesa, ma insomma, se esistesse questa situazione, no, fra maghi, dottori, esistesse questo utero, questo germinalo da . cui può nascere un collettivo di questa pericolosità, di questa cattiveria, eh, insomma, avvertiamo il Sindaco, eh. Eh, diciamoglielo, eh: ‘Guardi Sindaco, stia attento, perché qui è un brutto affare in questo paesotto’. Quindi, vedete, il cittadino che vuol essere tutelato ha diritto, nell’ambito di questa tutela ad un procedimento cognitivo che sia, non solo giusto, ma anche rigoroso, serio. E vediamo se questo lo è stato. A questo punto si | comincia a addentrarci un po’ di più nel merito. E cominciamo dalle origini di questa indagine. Qui abbiamo un dibattimento al quale il Pubblico Ministero, voi sapete — ve ne ha già parlato il collega Mazzeo — ha imposto un binario, la falsariga di un controllo, stile vecchia maniera, stile Vecchio Codice, della affermata esistenza della prova diretta: confessione, chiamata di correo, testimone oculare. Che si vuole di più? E il controllo, la verifica della confessione di – Lotti — che esisterebbe di già, in quanto prova, prima che interveniste voi — con buona pace di quei principi per cui la prova si forma al dibattimento, secondo il Nuovo Codice di procedura penale e di cui voi avreste dovuto soltanto ed esclusivamente valutare l’attendibilità. Quindi a voi, tutto sommato, tutti i balbettamenti, le incongruenze, l’atteggiamento a volte anche sfottente, di questo personaggio; questo mascherarsi, come vedremo, tutto sommato non vi deve interessare. Non vi dovrebbe interessare, secondo questa falsaria che vi ha imposto il Pubblico Ministero e che io rifiuto. A voi basterebbe dire a un certo punto insomma, se l’ha detto vuol dire che è vero, sennò ; non lo diceva. Alla fine dovrebbe essere questo il vostro ragionamento, no? Anche la chiamata di correo è già esistente — dice il Pubblico Ministero — è già stata fatta, anche in sede di incidente probatorio. Il quale incidente probatorio io, poi, qualcuno un giorno mi spiegherà perché è stato fatto. Io poi ho fatto tutte le mie osservazioni, qui ripropongo l’eccezione di nullità, la riproporrò alla fine. E non sulla base di quelle indicazioni, che pure ho dato, relative all’intervento del Giudice, ma soprattutto sulla base dell’omessa notificazione della richiesta al difensore e all’imputato Pacciani, che avrebbe consentito, a quel difensore, di fare le opposizioni. Gli altri non l’hanno fatta, lo sappiamo benissimo, va be’, fatti loro; gli altri difensori. Ma quello di Pacciani? Ormai Pacciani è morto. Lasciamolo fare, Pacciani. Un corno eh, altroché. È un fantasma pesante, quello di Pacciani, in questo processo. Riscontri sulla chiamata di correo, dice il Pubblico Ministero, è questo il percorso che il Pubblico Ministero intende fare, dice a pagina 27 e a pagina 2 8 della sua esposizione introduttiva. A pagina 28 insiste: “Verifica dell’attendibilità e della sussistenza dei riscontri…” E qui però vi inserisce addirittura un’altra cosa: “Verifica che hanno già fatto” – state a sentire eh, testuale – “che hanno già fatto gli Organi Giudiziari”.
P.M.: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Si capisce: ad altro fine; ma che gliene importa a loro, voglio dire. Scusi, eh, ‘abbia pazienza. Io… non mi provochi, via, sia carino. Abbia pazienza, sennò mi riparte un’altra volta l’impulsività. Sia gentile, mi lasci parlare. La Cassazione, il Tribunale della Libertà, sull’esistenza degli indizi; l’incidente probatorio. “Quindi” – dice a pagina 30, aperte virgolette — “avete già” – sempre sto parlando, non della requisitoria finale, ma sto parlando, che poi la requisitoria finale più o meno è sulla stessa falsariga — “quindi avete già la possibilità di verificare, leggendo quegli atti…” Ma sentite, eh. Ah sì? E tutto quel lavoro che è stato fatto da parte di tanta gente per rinnovare il Codice; la riforma più importante: l’unico Codice della Repubblica è questo, lo sapete, vero? L’unico, l’unico Codice, vale a dire complesso di leggi, sistematico complesso di leggi partorito dalla Repubblica Italiana dalla liberazione in poi è il Codice di procedura penale. Tutto quel lavorio teoretico non serve più a nulla. Dovete leggere gli atti voi, gli atti fatti a suo tempo? È su questo, che dovreste, basarvi? “Leggendo quegli atti da una parte come si sono svolti e come sono stati ricostruiti i fatti dal punto di vista della dinamica allora, nell’85, nell’84 e nell’83…” Si è dimenticato l’82’e il ’74 no? E l’81, primo delitto dell’81 no? Dì Scandicci, no? “E di verificare questi elementi oggettivi, sicuri di allora – non c’erano imputati e quindi più obiettivi di quelli — con le dichiarazioni di Lotti…” E poi tutto questo si riflette in quello che dice al dibattimento, alla fine del dibattimento, il Pubblico Ministero : “I cosiddetti delitti del ‘mostro di Firenze’, fortunatamente superato…” Speriamo, eh. Speriamo sia superato il “mostro di Firenze”. “Tre fasi, una fase, si brancolava nel buio…” Nel buio. Si brancolava nel buio sì. E si brancolava nel buio perché si cercava il clan dei sardi. “Seconda fase, processo a carico di Pacciani…” Ora poi è arrivato Lotti, siamo a posto. C’è in questo progetto del Pubblico Ministero, in questa sua premessa, che poi corrisponde anche a come ha impostato il dibattimento sotto il profilo delle prove – vi ricorderete che a un certo punto certi elementi di prova generica sono stati inseriti in questo dibattimento per iniziativa di questo difensore – abbia pazienza, non se n’abbia a male dottor Canessa, secondo me, tutta l’esaltazione acritica, seppure storica e mi auguro, contingente, vale – a dire condizionata dall’oscurità di questi, tempi, del suo ruolo . Una consapevolezza di quasi regalità del suo ufficio. Una specie di sentimento di onnipotenza. La coscienza che le indagini sui fatti criminali appartengono solo, a lui. Che qualsiasi diversa sia pure di ordine logico, deduttivo o induttivo che provenga da un’altra fonte, compresa la vostra, non ha voce in capitolo. Compresa quella che un eventuale Giudice terzo abbia la volontà di svolgere. Che poi tutto sommato è l’impostazione del professor Voena, che ho letto nelle sue indicazioni iniziali. Francamente professore abbia pazienza se glielo dico ma mi sono sentito un po’ male su quella cosa. Scusi. Voglio dire, non son mica tanto d’accordo sa. Quasi per niente d’accordo. Con tutto il rispetto per la cattedra, però io non son per niente d’accordo su questo. E credo non sia nemmeno d’accordo il Codice che qui si debba soltanto controllare se l’ipotesi del Pubblico Ministero è quella autentica oppure no. E quell’articolo del Codice di procedura, penale che dice: “si assolve quando la prova è …contraddittoria, o alternativa”? E io come difensore non devo avere la possibilità di introdurre un discorso che riguardi una prova contraddittoria alternativa? Perché io devo stare a quello che dice il Pubblico Ministero e devo mantenermi all’interno… Ma insomma, voglio dire. Lasciamo perdere le discussioni teoretiche, anche perché io, per dire la verità, di teoria… ho associato il collega Mazzeo perché lui è bravissimo come civilista, da questo punto di vista: legge dalla mattina alla sera le sentenze della Cassazione, invece a me annoiano tremendamente, ne faccio a meno finché posso. Eh, e quindi lasciamo fare. Insomma, sembra che vi dica, il Pubblico Ministero: la minestra è questa, io e i miei coadiutori ve l’abbiamo cucinata, altri Giudici hanno già detto che è buona, che non è né scipita, né troppo salata, né troppo carica di spezie, magari oggi il piatto è un tantino freddo, ma ha l’odore della verità… Quell’odore di saponetta a basso prezzo che dicevo prima io , “no? “Quello della verità. Mandatela giù questa minestra e non vi azzardate a cercare il pelo nell’uovo, perché non c’è. E non vi venga in mente di mettervi voi ai fornelli per cucinare qualche cosa perché sarebbe un fuor d’opera. Voi, intendendo Giudici e intendendo difensori, questo difensore la sfida l’ha accettata, con riferimento a un solo episodio per dir la verità, dopo aver tentato vero di introdurvi tutti, da questo punto di vista. E poi si vedrà come sarà andata quando faremo il romanzo. Si vedrà come è andata. Per Baccaiano, dico, l’ho accettata. Ma questo processo ha anche il suo alter ego, la sua alternativa: è il processo a carico di Pietro Pacciani. Quindi, processo Pacciani da un lato e processo agli “amici di merende” da quell’altro. Caratteristiche fondamentali molto diverse, dice il P.M., e in che consiste questa diversità? Ve lo dice lui: ‘Pacciani indizi, qui abbiamo le prove’. No, non è solo questa la diversità, ce n’è un’altra, ammesso che sia così : come dice il Pubblico Ministero, che là c’erano gli indizi e qui invece c’erano le prove. A me mi sembra che qui c’è molto meno di quel che c’era con Pacciani, molto meno… Proprio qui siamo a zero; anzi a qualcosa di peggio, purtroppo. Dicevo con Pacciani gliel’ho detto al dottor Perugini – un minimo di attendibilità scientifica per lo meno ce l’aveva l’ipotesi, minimo eh, proprio un’inezia, però qualche cosa c’era. Qui si naviga proprio nel buio più totale, eh, proprio siamo allo sbandamento totale, secondo me. Ma c’è un’altra cosa. Una diversità più di fondo, ed è questa: Pacciani venne processato per otto duplici omicidi, per 16 vittime. Invece gli “amici di merende”, che sono persino di più, e rispetto ai quali, proprio, a maggior numero di imputati, così a occhio, dovrebbe corrispondere, come dire, un maggior approfondimento, un maggior allargamento delle indagini e dei risultati delle indagini. E invece no. Guarda strano, caso strano, qui vengono processati solo per quattro episodi, per quanto riguarda Lotti, e per cinque episodi, per quanto riguarda il mio amico Mario Vanni. E perché questo? Ecco, a che logica corrisponde questo?
Avv. Nino Filastò: Noi abbiamo un dato fondamentale in questo processo e, voglio dire, questo dato fra l’altro è avvenuto un fatto quasi un po’ umoristico, se volete. Che verso la fine del dibattimento, il Presidente sì è accorto, dice: ma a noi da che ci risulta che questa pistola è sempre la stessa? Si ricorda, Presidente? Acquisiamo l’elemento, no. Eh, giusto, non c’era, nemmeno quello. Non c’era jr nemmeno questo cardine, questo sostegno che individua la sostanza di questa inchiesta nella sua globalità; mancava persino quella. Ed era tanto importante, nelle indagini su Pacciani, che nonostante l’assoluta mancanza di altri indizi per gli episodi del ’68, del ’74, dell’81 di giugno e dell’81 di ottobre ed anche dell’82, Baccaiano, vale a dire, Lastra a Signa-Borgo San Lorenzo ’74, Scandicci ’81, Calenzano ’81 di ottobre e’ Baccaiano dell’82, perché gli indizi che riguardavano Pacciani erano relativi soltanto, del processo Pacciani: a i tedeschi, per via del portasapone e dello Skizzen Brunnen, più che altro, e gli Scopeti; nonostante questa mancanza assoluta di indizi riguardanti Pacciani, il Pubblico Ministero ritenne all’epoca che il fatto che questi . delitti fossero stati commessi dalla stessa arma, individuava la stessa persona e quindi Pacciani. Giustamente. Processato e condannato- in I Grado per tutti i delitti, salvo il ’68 dal quale venne assolto perché lì il Giudice di I Grado ritiene ancora l’ipotesi dello Stefano Mele. Ora, qui l’impostazione cambia.’ Ma perché? io mi son chiesto. L’arrivo della confessione di Lotti, invece di arricchirlo il quadro – perché c’è una confessione no? C’è uno che c’era, che ha fatto parte del gruppo, con un ruolo magari sia pure subalterno, ma insomma eccolo lì – e, tutto a un tratto, e invece c’è un arretramento? Il quadro invece di | arricchirsi si impoverisce? O perché Lotti parla soltanto di cinque duplici omicidi? Perché sa solo questo? Uhm. Poi lo vedremo. Quante volte gli è stato chiesto al Lotti informazioni, noti… Chiesto, eh, non che ne abbia parlato lui spontaneamente. Chiesto, domande sull’argomento, quante volte, quando, come, con che domande? Lo vedremo, si analizzerà tutto. Non sarà che magari – io dico, vero, sospettoso-come sono, infido, suscettibile addirittura di eventuali reprimende, non so bene in che sede, ma insomma – io dico, non sarà che magari ci sono degli omicidi che con la ipotesi accusatoria proprio non legano assolutamente e che per questo si tolgono dal quadro? Perché se la impostazione del Pubblico . Ministero del gruppo, degli “amici di merende” che agiscono a scopo di lucro per procurare i feticci al dottore misterioso è autentica, e dobbiamo seguire questa ipotesi, come la mettiamo con il delitto del 19 74 in cui viene uccisa Stefania Pettini, alla quale – Stefania Pettini — nessuno fa delle escissioni? E nessuno porta via nulla. Non c’è niente da vendere. Accidenti a dover discutere dei fatti tragici di 1uesto genere in questo modo, che mi ripugna! Non c’è niente da vendere. C’è il disprezzo della donna, espresso in quel modo che sappiamo: 1ueste incisioni sul cadavere, che formano quasi un disegno, un arabesco. C’è l’introduzione nella vagina del pezzo, del frammento di un tralcio di vite. E allora? E nel ’74 questa gente si conosceva. Lei lo conosceva Pacciani nel ’74, lei?
Mario Vanni: Sì.
Avv. Nino Filastò: Sì lo sapevo che diceva sì. Te lo immagini, dice sempre di si…
P.M.: Si sarà messo d’accordo.
Avv. Nino Filastò: … Eh?
P.M.: Questo…
Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Non s’era messo d’accordo…
Avv. Nino Filastò: Io non mi posso mettere d’accordo, lei lo sa benissimo dottor Canessa. Non è possibile mettersi d’accordo con Vanni, perché io…
P.M.: … rilassare.
Avv. Nino Filastò: Si, ma infatti mi sto rilassando. .Mi sto rilassando, infatti. Non ci si può mettere d’accordo con Vanni. Tanto Vanni dice quello che sa, quello che gli risulta. Lotti no, però, non lo conosceva Pacciani, questo è sicuro. Il sodalizio si era formato, allora? No. E se il gruppo, all’epoca del ’74, non si era ancora formato, come la mettiamo con le orribili_ analogie che ritroviamo in tutti gli altri delitti successivi? E qui ecco il primo, un orribile scricchiolio a questo impianto accusatorio. Qui, capite, fra l’altro c’è anche questo problema: che mancando, a torto o a ragione, la fonte Lotti, se per guanto riguarda il ’74, il ’68, c’è……… stata. nel processo Pacciani l’enfatizzazione e la, come dire, la assunzione a livello di indizio delle visite pretese di Pacciani alla ex fidanzata Bugli; guarda che combinazione, lui va a trovare la Bugli, stava qui, stava là, e qui c’è i delitti. Qui, per quanto riguarda gli “amici di merende” non c’è nemmeno quello. Sono andati a pescare un poveretto — che è il signor Faggi – il quale ha la sventura di abitare | da quelle parti dove è avvenuto il delitto di Calenzano. Che in questo processo, vero, fra l’altro, la posizione di Faggi è perfettamente identica a quella di Vanni, eh, intendiamoci bene. Quindi voi avvertite la parzialità di un’istruzione probatoria che è fondata su una ipotesi surrettizia. Cioè a dire strumentale e artefatta, che precede le indagini e non le segue. Guardate, che se voi affrontate l’aspetto di questo processo su questa angolazione, immediatamente avvertite che questa origine, della accusa, nei confronti degli amici di merende e quindi del mio assistito, Mario Vanni, è una base di partenza che è quanto di più infido si possa immaginare. La base di partenza da cui può veramente nascere l’errore giudiziario. E la Relazione introduttiva del Pubblico Ministero, pagina 11: “La Polizia Giudiziaria e il Pubblico Ministero individuano un autore” – dice — “con le difficoltà e con i limiti, se limiti sono, che tutti conosciamo. Quell’autore è Pietro Pacciani; imputato, non condannato.” Quell’autore, Pietro Pacciani, che tutti conosciamo, non l’autore, i limiti. Ma noi qui di Pacciani non conosciamo né lui, né i limiti. Il Pubblico Ministero non chiede di sentirlo ex 210 del Codice di procedura penale, qui dentro non c’è venuto. A me pare di averlo chiesto io, io non mi ricordo bene, non ho visto la lista, se l’ho chiesto. Però non è venuto, non l’ho chiamato, non l’ho citato, perché insomma, per fare che, alla fine? E ho sbagliato. Ho sbagliato. Avrebbe dovuto essere chiamato nel momento in cui me ne sono andato. Voi sapete benissimo cosa1 e’ successo. Ho. preso.- il cappello, sono andato via. Poi sono tornato, mi ha chiamato lui. Ne avrei fatto anche a meno Mario, comunque. E quindi è passato quel momento lì e la cosa… Ora è grave, ora è diventato un fatto grave, perché è morto. Almeno. Contestargli la confessione, la chiamata di correo, bisognava farlo. Dice: io non l’ho fatto, dice il Pubblico Ministero, lei non l’ha fatto avvocato, oppure l’ha fatto e poi non ha assistito e quindi di che si lamenta? No, no, un pochino mi lamento. Un pochino mi lamento lo stesso, perché per l’articolo 358 – mi pare che sia — del Codice di procedura penale, se non sbaglio, il Pubblico Ministero ha il dovere di investigare anche su fatti che vadano a favore dell’imputato. E il suo impegno, molto più del mio, è quello dell’accertamento della verità, sì o no? Va be’, comunque. “Dal dibattimento” – dice poi il Pubblico Ministero — “del 1994…” Attenzione, questa è la pagina 17 della introduzione preliminare del P.M. “Dal dibattimento del 19 94, e non da una iniziativa della Polizia Giudiziaria, che si è maturata la convinzione che i fatti erano diversi, no serial-killer. Poi, spuntato il bel sole di Lotti : “Non più intuizioni, ipotesi, valorizzazioni degli indizi, ma esame, ricerca di fatti obiettivi, di dati oggettivi, non criticabili da nessuno” – dice — “che hanno un’unica spiegazione.” Insomma, un po’ enfatico, eh, un pochino sì. Un po’ enfatico e poi dico, altroché se si criticheranno, vero. Acciderba se si criticherà la signora Frigo, che a un certo punto dice di aver sentito un fragore, un boato e poi dice, e questo fragore e questo boato diventa importante per lei per identifica. Va be’, parliamone. Ci siamo, bene. Volevo riservarlo a un momento successivo. La signora Frigo. Ve la ricordate? Voi l’avete vista, io no. Parla a otto anni di distanza: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto. La domanda è questa’: come fa a ricordarsi… No, no… Lasciamo perdere che gli si chieda come ha fatto a riconoscere Pacciani: l’ha visto in una fotografia sul giornale L’Unità; eh, va be’, l’ammettiamo. Ma come ha fatto a ricordarsi che era quel giorno lì? E la risposta qual è implicitamente?…. La risposta era quei giorno lì perché: “ho sentito gli spari” Gli spari? Lei ha sentito un fragore… ha sentito… Ha sentito un boato. Tanto che dice all’amica: ‘sarà stato lo scoppio di un TIR’. E qui? E qui, allora? E qui che succede? Qui succede che si assiste ad un specie di produzione di una singolare teoria di tipo fisicoacustico, per cui la eco trasformerebbe nove colpi di Calibro 22 in un unico fragore, capito? È come se io, ora, vero, dicessi, non so… No, non io, l’avvocato Curandai dicesse…
Avv. Giampaolo Curandai: Sì.
Avv. Nino Filastò: Sì, ecco. Dicesse: ecco, io… Vanni ha buttato la moglie dalle scale e quindi io avrei delle difficoltà a difenderla. E la eco gli rispondesse: leggi le carte, Curandai. Roba da barzelletta. Va be’, per dire un esempio; anticipare un esempio di critica che, dice il Pubblico Ministero, non va fatta, invece io la farò. Perché lui, per fortuna non me lo può vietare. “La precedente impostazione di indagine è parziale.” Il P.M. non dice sbagliata, dice parziale. Parziale in che senso? Che cosa mancava all’indagine precedente, che dopo 20 anni almeno di indagini, senza contare l’indagine relativa al ‘68, aveva concluso per un autore unico? Mancava un punto di vista, mancava i più autori. Mancavano? Mancavano Lotti e pucci. E l’indagine in che consiste: “L’indagine consiste nella ricerca dei riscontri e si conclude con la confessione di Lotti e di Pucci.” Ecco. Cioè, si esamina cercando riscontri di un’ipotesi di due soggetti che vengono tenuti accuratamente in funzione di testimoni” cosi non c’è bisogno di difensori, eccetera “e si arriva alla confessione, cosiddetta, alla testimonianza oculare.” Come dire, una specie di ( ? ) , il serpente che si morde la coda, da un punto di vista logico: l’apice, la quintessenza della tautologia. Un processo senza storia. Un processo senza una reale ricerca, senza un reale accrescimento di questa ricerca. 11 anni di silenzio, 28 anni di indagini in tutt’altre direzioni. Non è vero. Si indagava il clan dei sardi, quindi si indagava comunque un fenomeno collettivo. Perché? Perché dice il testimone… “11 anni di silenzio, da parte di queste due persone, perché il testimone o protagonista hanno avuto difficoltà immani, timori di varia natura per raccontarci…” Ma dove? Chi l’ha detto? Dove, sono? In che consistono? Qui, a Lotti glielo abbiamo chiesto diverse volte: ma lei ha avuto paura di Pacciani? Sì. Ha detto sì, no? “Il dibattimento pubblico ha permesso di capire, ipotizzare e chiarire, già allora, che vi erano dei complici.” Ecco: “Il dibattimento pubblico del processo Pacciani ha permesso di capire, ipotizzare e chiarire, già allora, che vi erano dei complici. Quindi c’è stata, su sollecitazione della Corte di allora, una nuova inchiesta.” La sollecitazione viene dalla Corte. “L’imputato si era contornato di altri uomini, come lui vecchi, squallidi dentro, che ha dominato come ha voluto…” Eccetera eccetera. E il dottor Giuttari, a pagina 5 dell’udienza del 23/06/97, gli danno l’incarico per una lettura di atti, con uno scopo determinato; e gli dicono: ‘dottor Giuttari lei è venuto fresco fresco qua a Firenze, e di questo caso se ne occupa approfonditamente per la prima volta, legga un po’ gli atti e veda un po’ cosa si può ricavare’. No, gli fanno leggere gli atti con lo scopo di un esame, affinché – aperte virgolette – l’ha detto lui, questa è l’espressione del dottor Giuttari: “potessero emergere elementi utili per dimostrare” – ha usato questa parola “dimostrare” – “che, oltre Pacciani, potessero esserci stati eventuali complici, quanto meno nel delitto degli Scopeti. Perché la Corte di Assise aveva ipotizzato la compartecipazione di un altro soggetto nel delitto degli Scopeti.” Parte così quest’indagine, capite? Vi sembra un buon piede di partenza a voi? A me no. Un inquirente che viene sollecitato ad indagare in una certa direzione. Ma quante volte noialtri avvocati si dice: ‘questa è un’inchiesta a senso unico’- È un cavallo di battaglia, no. ‘Eccola qua l’inchiesta a oggetto determinato’. Più di così? Un input che viene da una sentenza. E, devo dire, da questo punto di vista, che il dottor Giuttari purtroppo è in qualche modo un po’ inesatto, e non ha ben meditato la sentenza. Perché? Perché dice che la sentenza di I Grado, ..Pacciani aveva ipotizzato la compartecipazione di un altro soggetto nel delitto degli Scopeti. E non è vero. Perché’ la sentenza di I Grado del processo Pacciani aveva ipotizzato la compartecipazione, di un altro, soggetto nel delitto degli Scopeti e nel delitto di Vicchio. Ed è questa la prima inesattezza che io rilevo nella deposizione del dottor Giuttari; tanto che il dottor Giuttari poi allega, produce, sia pure idealmente, tre pagine di quella sentenza che poi voi avete espulso, che sono dalla pagina 442 alla pagina 445, dimenticandosi che c’erano altre – 451 – altre- 6 pagine, dopo. E tutto questo complesso di pagine della sentenza di I Grado del processo Pacciani, di che cosa si occupava? Si occupava dell’ipotesi di un complice o più complici, nel delitto degli Scopeti, ma dalla pagina 445 alla pagina ’454- — quindi anche di più di quello che ho detto prima, mi ricordavo 451… quasi 10 pagine – ipotizza la presenza di un complice anche nel delitto dell’84, Pia Rondini e Stefanacci. Ed è opportuno ripercorrere, o per lo meno io ve lo indico, l’iter di questo ragionamento induttivo del Giudice di I Grado, per osservare fino a che punto l’input alle nuove indagini sia fondato su ragionamenti deboli di quel Giudice, molto deboli. E soprattutto, come bene disse il Giudice di II Grado, surrettizi. È l’ipotesi che è surrettizia. Perché? II Giudice di I Grado ne parla in questa parte della sentenza, di cui in questo processo bisogna parlare, Presidente, perché è quasi una notizia di reato. A sentire quello che dice il dottor Giuttari, in fondo, questa parte della sentenza equivale quasi a una notizia di reato. Il Giudice che condanna Pacciani si trova di fronte a due dati obiettivi che contrastano con l’accusa. E sono due dati obiettivi, veramente obiettivi, che riguardano uno gli Scopeti e un altro l’84. Per gli Scopeti chi trova? Eh, si trova di fronte il dottor Zanetti, dell’avvocato Zanetti, scusate, che avete sentito anche voi; il quale avvocato Zanetti, insomma, fa una constatazione piuttosto importante. Perché che questa macchina, con quelle caratteristiche stia sul luogo degli Scopeti per tutto quel tempo, per nove giorni precedenti — sono nove volte – lì così, a caso, sembra un po’ strano cioè direi impossibile. Poi lui vede anche questa persona, che esce dalla macchina; la vede, la individua la descrive gli si fa vedere Pacciani, dice: ‘no assolutamente non è lui’. Gli si fa vedere le fotografie di Pacciani all’epoca e dice: ‘assolutamente non è lui’. Gli abbiam fatto vedere a questo dibattimento il signor Mario e ha detto: ‘non è lui’. Ecco perché la sentenza di II Grado dice “surrettizia l’ipotesi del complice”. Perché lo dice la sentenza dice: “Zanetti si spiega con il complice”. Per il delitto dell’84 c’è qualche cosa addirittura di più cospicuo. Vale a dire ci sono delle impronte dì ginocchio che sono sulla fiancata della Panda. Queste impronte di ginocchio corrispondono a delle impronte di mano che sono sullo sgocciolatoio della macchina. Mi fai venire qui voglio fargli vedere… Mica per nulla, scusate, eh guardate. Io identifico una posizione, fate conto che qui ci sia lo sportello ecco. Vedete? Guardate. Vedete? È la posizione tipica di chi sta prendendo la mira appoggiandosi così, e che sta sparando all’interno della macchina. E le impronte di ginocchio son l. La maggior parte delle pagine di questa sentenza di I Grado sono per dire che queste impronte forse non hanno a che vedere con lo sparatore. Beh, insomma si può dir tutto, vero? Sono frammenti di impronte digitali sul montante superiore dello sportello destro sopra la cornice del finestrino. Due aloni da spolveratura, appaiati, di forma semicircolare, che distavano da terra circa 60 centimetri, misurati dal bordo inferiore.” Dice l’equipe De Fazio. “Tenendo conto di un’altezza da terra del punto medio dell’impronta che poteva corrispondere al punto medio rotuleo, di 55-5 6%, con riferimento alle tavole antropometriche di Rollé, si poteva fondamentalmente presumere che la persona che si era appoggiata allo sportello destro della macchina, contemporaneamente afferrandosi allo sgocciolatoio sopra il montante superiore dello sportello destro della Panda, era una persona di Altezza superiore a 1 metro e 80, e non di poco.” Gli spari che colpiscono le due vittime, e non sto a ripetere quello che ha detto così bene il collega Mazzeo – dove l’è andato? Eccolo là. — vengono sparati dallo sportello destro, questa volta, eccezionalmente, rispetto agli alti casi in cui si spara dal finestrino sinistro. Ma la macchina è in posizione tale che al finestrino sinistro non ci si può arrivare. E le impronte sono proprio lì e identificano questa posizione. E i periti dicono: queste sono dello sparatore, attendibilmente. Sapete perché il Giudice di I Grado ritiene che potrebbe non essere lo sparatore? Ma io ve lo racconto; voi la sentenza non l’avete, ve lo racconto. Se poi non è vero, qualcuno mi dirà in replica: avvocato, lei dice delle cose che non sono vere, commentando un documento che è scritto nero su bianco, raccontando delle fandonie. Lo dice con dei contorcimenti, proprio senza aggettivi, perché dice: “Sono troppo vicine l’una all’altra.” Perché secondo lui lo sparatore doveva stare per forza a gambe divaricate e non gli viene neppure in mente l’idea che questo qua, in un certo momento, abbia perso un po’ l’equilibrio, si sia agguantato e appoggiato, in un momento in cui a gambe divaricate non stava. Siccome queste impronte sono troppo vicine l’una all’altra, dice: ‘no, allora non ci siamo oppure forse questa è un’ipotesi si, sì, insomma, potrebbe anche essere’, perché poi dopo discute anche tutto questo, dice: “sì, potrebbe anche essere, però c’è tutto questo aspetto” …. E con una dovizia di ragionamenti, a mio parere, pseudologici, per cui questa ipotesi viene ritenuta come “affacciata da chi si avventuri per i sentieri fantasiosi prospettati”. Insomma, è una di quelle situazioni, a leggere quella sentenza in questo punto, che m’hanno rammentato quel che dice il Cordero nel commento al Codice di procedura penale, sulla iperfasia dei Giudici, quando dice che “la iperfasia dei Giudici non è mai innocua”. E commenta l’articolo 609 del Codice di procedura penale, che impone la concisione, o per lo meno consiglia la concisione, con questo commentino, che è un modo anche un tantino per interrompere la tensione… la tensione, insomma: “N e P sono due Giudici, devono stabilire l’attendibilità” – dice, questo, il Cordero, eh — “di un testimone. Il Giudice N lo dice e basta, meno naif, il Giudice P mutua interi blocchi dall’universo verbale degli exempla offerti dalla Cassazione, affatturando un caleidoscopio imponente, sonoro, vuoto. Sono due decisioni equivalenti all’origine, ma solo una appare votata all’annullamento: l’ingenua. La pseudomotivata può darsi che lo schivi. Non è mai innocuo il gergo esoterico applicato alle cose serie. E ne fiorisce anche qui, paragonabile al latino dottorale schernito da Rabelais, modulandolo: uno accumula quanta prosa vuole senza dire niente. Nascono prodotti simili agli oracoli dei templi, in cui ‘non tenebatur, judex, in sententia esprimere’. Bello eh? Ma come scrive? Comunque, alla fine il Giudice di Pacciani è costretto ad affacciare l’ipotesi che, quanto meno, le impronte siano stata lasciate in occasione del delitto. E se si tratta dello sparatore, però, il dato contrasta ineluttabilmente con Pacciani, come per Zanetti, che ha visto un uomo alto 1 e 80 e che non è Pacciani. Così qui, in questo caso – e Zanetti, fra l’altro, riduce l’altezza, quella che gli appare, e dice anche perché: perché lui lo vede dall’alto verso il basso; poteva essere anche più alto. Ed è qui, in particolare, che la sentenza si produce in quell’iperfasia, in quel gergo esoterico di cui parlava il Cordero. E questo per dire che cosa? Che non dello sparatore Pacciani si tratta,- il quale comunque resta lo sparatore — secondo il Giudice di I Grado – ma del complice, nell’atto di tenere la portiera aperta a Pacciani, il quale estrae il corpo della ragazza dall’auto, come dire: l’assassinio è sempre il maggiordomo’. Perché qui, capito, nell’economia di questo fatto, abbiamo Pacciani che spara, Pacciani che ammazza, il correo il quale – come dire, c’è già quest’aspetto, no, di sudditanza, c’è già questa specie di reverenza, c’è già questa specie di “succubanza” del complice, rispetto al demoniaco Pacciani – gli tiene aperto lo sportello perché possa agevolmente tirar fuori la vittima e così facendo lo sportello gli viene a battere sulle ginocchia. E scusi, dottor Ognibene, perché è lui che l’ha stesa la sentenza, no, scusi dottor Ognibene, e le impronte della mano? Uno apre lo sportello tenendosi da su? A me questa storia mi ricorda la nebbia della Moby Prince, scusate, eh, perché io ho questo veleno addosso. Veleno. Ho letto 800 pagine di una sentenza in cui si dice: ‘c’era la nebbia, è per questo che è avvenuto il fatto’. Anche veleno di carattere personale, perché avevo scritto un articolo, a suo tempo, su un settimanale, L’Europeo, dicendo: non c’era nessuna nebbia e chi ne aveva parlato era un gran bugiardo e voleva nascondere delle cose, e questo mi ha querelato, mi ha, va bene – tanto per dire che a me non mi fa paura nessuno – m’ha fatto una querela per diffamazione, sono stato processato dal Gip di Milano, sono stato assolto perché il fatto non sussiste, con una sentenza la cui motivazione dice: ‘quello lì è anche un buon giornalista’. Ecco, e dopo tanto faticare in quel dibattimento, dopo tanto contrastare quest’ipotesi di questa nebbia, ritrovarsela avventizia, improvvisa, che improvvisamente nasconde l’AGIP Abruzzo, mi ha dato uno dei dolori professionali più gravi della mia vita. Non sono riuscito nemmeno a scrivere una memoria da mandare al Procuratore Generale, perché avevo da preparare questo processo qui, e va be’, non si può far tutto nel mondo. Ma è un dolore, eh, è un dolore, guardate, è un dolore intellettuale. Come mi danno dolore intellettuale queste affermazioni del dottor Ognibene su questo fatto. E allora? E allora questa ipotesi, dice la sentenza di II Grado, è surrettizia. Ed è surrettizia in che senso? Surrettizio, scusate, viene dal latino “subrepticius”, e nel linguaggio giuridico significa: “Atto in cui si tace intenzionalmente un fatto.” E nel linguaggio filosofico si dice: “Concetto introdotto illegittimamente, in quanto contrastante con i principi fondamentali professati, o, in ogni caso, senza una giustificazione speculativa. Devoto-Oli. Più pedrestroide: si potrebbe parlare di “escamotage dialettico”. E dice la sentenza di II Grado, a pagina 146, che io vi cito come potrei citare un qualsiasi scritto che riguarda questo caso : “Fino a che tale nuova situazione processuale non si sarà verificata” — e si riferisce a Lotti e Pucci — “appare veramente arbitrario ed ai limiti del paradosso, affermare da parte del Giudice la presenza di correi, che nulla porta a ritenere esistenti, per sostenere surrettiziamente l’impostazione accusatoria contro Pacciani tutte le volte in cui le risultanze portano in una direzione diversa o addirittura incompatibile con essa.” Ed è questa la realtà dell’input del Giudice di I Grado, enfatizzato, questo input, dal Pubblico Ministero e dal dotto Giuttari, come sublime illuminazione dei Giudici di I Grado che finalmente metterebbe dopo vent’anni, se non ventisei, di indagini parziali e sbagliate perché fondate sul falso, presupposto dell’autore è unico e solo — l’inchiesta finalmente sulla strada giusta. Un argomento specioso, in realtà, surrettizio; escogitato per superare alcune circostanze incompatibili con la responsabilità di Pacciani. Quindi, è una base di partenza infida. Accettata acriticamente dal dottor Giuttari, quasi impostagli, per dire la verità, il quale si trova in questo modo su questo terreno melmoso ad affrontare, come dice a pagina 6 della sua deposizione del 25 giugno del 1997: “Il primo incarico di un certo spessore investigativo, nella nuova veste di dirigente della Squadra Mobile.” Per di più, per di più, insomma, il funzionario che fa questa indagine, in questo modo, in qualche modo spinto, non è che abbia una grande esperienza di queste indagini. Diciamo la verità. La lettura della sua deposizione, glielo dico, ho piacere che sia qui, perché così… insomma, dice: ‘ah, l’avvocato Filastò ha detto…’ no, l’avvocato Filastò dice questo. Leggere la sua deposizione del ‘ 25 giugno ’97 mi ha dato una impressione abbastanza fastidiosa, di soggettivismo, di grave soggettivismo. Alcune espressioni usate sono fuori linea, a mio parere, da un punto di vista lessicale; perché io interpreto, io non c’ero, l’ho controinterrogata dopo su un aspetto parziale del processo, controinterrogando il dottor Giuttari dopo, smettiamola si parlare così, perché sennò sembra che faccia il dialogo… Ecco, non c’ero; però il testimone che è obbligato a deporre sui fatti, astenendosi dal giudizio e da considerazioni – come dice il Codice – personale non dice: “Mi accorsi purtroppo che le testimonianze non erano state portate alla conoscenza della Corte di Assise.” Questa era un po’ tirata a lei, dottor Canessa, abbia pazienza. Come dire, si era dimenticato…
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Oh, benissimo, mi fa piacere. “La lettura di tutti gli atti mi consentiva di avere un’ottica investigativa completa, non parziale.” Eh, no abbia pazienza, scusi, no. Cosa ha letto lei del processo dei ’68? Mi dica la verità. Verbali di dibattimento di quel vecchio processo, quando Vinci parla e dice: ‘io ho visto una certa persona alle ‘Cascine del Riccio’? Scommetto non la sapeva nemmeno questa storia. Quando un certo, mi pare sia proprio il Cutrona Carmelo, racconta che la Barbara Locci era seguita da uno in motorino, che una volta l’aveva minacciata con una pistola? Eh, e così via, così via, vero. Che è stata grave, ponderosa, piena di un sacco di carte. A proposito della teste Frigo, di cui abbiamo parlato così, dianzi, anticipando un esame che faremo più approfonditamente, dice: ‘vedremo che è una testimone che mi ha impressionato veramente in una maniera eccezionale’. Va be’, sono le sue impressioni, abbia pazienza, se le tenga. Che importa a me se la Frigo l’ha impressionata a lei? L’importante è che la Frigo dice certe cose e vedremo se hanno un minimo di attendibilità qui, eh. “Testimoni molto importanti, per cui i delitti erano da ritenere fatti da più persone.” E questo dopo aver riferito le testimonianze di Andrea Caini e di Tiziana Martelli. Che vedono. “due auto in prossimità della piazzola, che percorrono…” In prossimità della piazzola no, perché questa gente, se non sbaglio, sono quelli che vedono vicino a San Martino a Scopeto, oltre San Martino a Scopeto, perché questa strada ha questa cesura – San Martino a Scopeto… ho provato anche a farla, a me un m’è riuscito, a me un m’è riuscito, poi mi sono procurato delle carte, ma lo vedremo questo – hanno visto queste due auto che percorrono un po’ spericolatamente, la seconda che tallonava la prima, una strada di campagna, interrata – fuori strada assolutamente rispetto a un percorso normale di qualcuno che se ne vuole andare dopo aver fatto un delitto di quella natura – verso le 24.00; gente che conosceva bene quei posti; non riconoscono nessuno; tutto quello che possono vedere è un’auto rossa. “Testimonianze importanti che colpiscono e impressionano.” Bah! Qui, oltretutto, non si parla mica di incidenti stradali, eh. Poiché non avrebbero potuto essere – ecco, qui – come diceva, parlando di riscontri, il collega, che sono quelle cose che non ammettono ipotesi alternative – perché non avrebbero potuto essere due spericolati che si allenavano su quella strada a correre, come fa un sacco di gente in quella zona, perché siamo vicini all’autodromo del Mugello – e basta andarci una volta per accorgersi di quanta gente fa i furbi per quelle strade là; con le motociclette, con le macchine e tutto il resto. Poi, questa è una cosa che vedremo meglio dopo, quando esamineremo tutta la circostanza, cominciando, appunto, dalla Frigo. Aveva un atteggiamento piuttosto preconcettuale, appunto suggerito da questa sentenza, per ritenere “particolarmente impressionanti” due testimonianze I che invece ne hanno, di valore, direi, tutto sommato, molto… molto relativo. Ma, insomma, di queste cose ce ne occuperemo meglio. Ancora Giuttari dice: “Analizzerò questa fonte” — parlando di Frigo — “sotto un altro versante, però qui mi preme dire subito che la sua posizione, se può essere utile per corroborare la prova…” Va be’, lasciamo perdere per ora, Sharon Stepman, Sabrina Di Carmignano, Rufo Giancarlo; tutta gente che poi analizzeremo, vedremo punto per punto. Io dico che prima dell’avvento di Lotti e di Pucci, al di fuori dalle enfatizzazioni del dottor Giuttari, in quella sede — e poi mi direte dopo l’analisi che faremo insieme, se questo non è vero — tutto quello che si può dire è che prendeva consistenza l’ipotesi che su quelle strade… o meglio, la realtà, su quelle strade, nell784 e nell’85, in epoche precedenti e successive al delitto, avessero transitato alcune automobili: color chiaro, color scuro, una rossa, una bianca, una forse argentata, eccetera. Il che è molto normale, Signori. È molto normale, visto che siamo su due strade, e che in genere queste strade vengono percorse dalle automobili, le quali talvolta si fermano, talvolta sono rosse, con la coda più o meno tronca, talaltra sono bianche, qualche altra volta., più raramente sono argentate; ma i complici di, Pacciani come fanno a diventare per questo un’ipotesi consistente? A me sembra che tutta questa parte della prerequisitoria del dottor Giuttari mette in luce un preconcetto: cioè una predisposizione a vedere significati di un certo tipo, in circostanze che non ne hanno affatto. Poi il dottor Giuttari parla del cartellone, lui è il regista della indagine. E questo : “Siccome la Ghiribelli stessa dice che Pacciani frequentava l’abitazione dell’Indovino, mi sembra che sia un riscontro documentale molto chiaro”. Di che? Pagina 82. Tanto è vero che, in questo momento, il Pubblico Ministero ritiene opportuno, finalmente, intervenire e gli dice: “Dottore, cosa sembra è un fatto nostro.” Dice: “Beh, andiamo avanti. Non si preoccupi.” Va be’, ne parleremo di questo, perché mi preme un punto centrale. Prima dell’avvento di Pucci e di Lotti, in realtà, c’è soltanto un certo Nesi Lorenzo. Il quale Nesi Lorenzo, dopo aver partecipato al dibattimento come teste senza dire nulla di quello che dirà dopo, siccome capta una reazione di Pacciani che dice: ‘ma questo qui, chi lo conosce?’ Se ne ha a male, torna e dice: ‘ah sì? Tu hai detto che… Si presenta spontaneamente, torna e dice: ‘Ah sì? Tu hai detto che non mi conosci? Allora ti dirò che te tu eri in questo posto, quella sera, su una macchina insieme a un altro’. Come abbia fatto a riconoscere il Pacciani a tutti quegli anni di distanza, sono tutte cose che vedremo quando le analizzeremo. Ma ora che ci serve indicare, indicare proprio che quella ipotesi surrettizia, considerata tale dalla sentenza di II Grado, che esamina anche la posizione Nesi – e dice quel che dice su quel che riguarda questo testimone – all’epoca, prima dell’avvento di Pucci e di Lotti è suffragata soltanto da questo. Poi vedremo che dopo non c’è assolutamente nient’altro. E la rende fondata l’ipotesi dei complici senza considerare che — questo, poi, ne parlerò quando affronterò il processo, secondo quell’angolazione che non mi convince, ma che devo fare? Per correttezza e per dovere professionale nei confronti del mio rappresentato – senza contare che il Nesi Lorenzo è la fine dell’accusa nei confronti di Vanni. Perché il Nesi Lorenzo vede, dice di aver visto due persone di cui una Pacciani, ma non dice di aver riconosciuto Vanni. E Vanni per lui non è un’illustre sconosciuto, Vanni è una persona che lui conosce da quarant’anni. E se ci fosse stato Vanni accanto a Pacciani in quella circostanza, era Vanni che avrebbe visto per primo e riconosciuto come tale. Ora, io dico e chiedo a voi: basta questo per ritenere carta straccia e per catabolizzare, distruggere le ipotesi dell’unico autore e del serial-killer?
Avv. Nino Filastò: E questo, questi signori lo deducono dalla scena del delitto, in quanto il tipo di lesioni che si trovano, il tipo di tracce che si trovano nella scena dei delitti, sono evidentemente lasciati.. non sono evidentemente lasciati da mani diverse e non hanno un diverso “modus operandi” e non | esprimono una diversa modalità della loro | aggressività e della loro sessualità. “Inoltre” — dicono sempre questi signori – “delitti, in cui, gli omicidi a sfondo sessuale, vi sono più partecipanti, generalmente non sono ritualizzati. La ritualizzazione generalmente non prevede la presenza di nessun altro.” Beh, siamo ancora ad una analisi in linea generale. Il De Fazio, in linea generale. De Fazio, udienza 15 luglio 1994, farò un’esposizione piuttosto noiosa, da parte mia, fatta di citazioni, di letture, perché non voglio proprio soggettivizzare nulla. Voglio fondarmi su quel che emerge e basta. Qualche volta sarò anche costretto a, sì, farò anche gualche considerazione. Allora. Qui è De Fazio che parla, all’udienza del 15 luglio 1994, fascicolo 74, pagina 43: “L’autore, da noi supposto unico per i motivi detti, rientra per dati di personalità in campo psico-patologico che si riflettono su tante cose, sessualità compresa.” Quali sono questi motivi? Eccoli. Ancora De Fazio, sempre il 15/07/94, fascicolo 74, pagina 68: “La dinamica dell’azione” — guardate eh, lui non parla di impressioni, considerazioni; ‘lui fotografa, indica la dinamica dell’azione – “dello sparare e la dinamica dell’azione dell’escindere non sono assolutamente tali, da poter autorizzare l’ipotesi di due persone diverse”. In linea generale, vista la situazione, obiettivizzato tutto, valutato ogni cosa nelle sue linee, nelle sue apparenze — perché sono apparenze, certo, che cosa si fa se non constatare delle apparenze; in questi casi attraverso i sensi quelli degli occhi, quegli strumenti che adoperiamo, nient’altro che questo – “non sono assolutamente tali da poter autorizzare l’ipotesi di due persone diverse.” Abbastanza secco, direi, questo. “Le due persone sono un’ipotesi non autorizzata scientificamente.” Ancora Galliani sentito, fascicolo 74, sempre in quel dibattimento, a pagina 69, fascicolo 74: “Uccidere” — dice Galliani — “significava i preliminari del fine di quella azione; mentre l’azione di escissione riguardava la realizzazione dell’equivalente sadico dell’atto sessuale.” Questo gli appare allo psichiatra che “l’uccidere è un preliminare.” “È un preliminare dell’azione come fantasia” -I poi lo preciserà meglio — “fantasia erotica di quella forma di erotismo dell’odio.” Perché prima si uccide, ma. lo scopo è quello dell’escindere, del disprezzare, fino a quelle lesioni orribili, il corpo della ragazza. Allora dice: “Uccidere significava i preliminari del fine di quell’azione, mentre l’azione di escissione riguardava la realizzazione, l’equivalente sadico dell’atto sessuale. “ Cioè, l’escissione è una specie di surrogato orribile dell’atto sessuale. E dice: “Sono due tempi diversi, motivati in modo diverso dalla stessa mano.” Come collima? Capite, questo è molto importante, perché questo è lo scienziato, vero? Lo psichiatra che parla. Come si collima, qui, con questo quadro che vi fa il Lotti, che a me ricorda una filastrocca che mi hanno insegnato da bambino e che poi ho ripetuto sempre con i miei figlioli quando erano piccini. Non lo posso ripetere con i nipoti, perché due ce l’ho in Nuova Zelanda e uno sta a Montepellier. Quella filastrocca: “Mana piazza, mana piazza”. Ai bambini si fa così: “Mana piazza, mana piazza, ci passò una lepre pazza. Uno la vide, uno l’ammazzò, l’altro la scoiò, un altro la mangiò. E al più piccino, non gli rimase nemmeno un briciolino.” Come coincide tutto questo con la “mana piazza” che vi prospetta il signor Lotti? Quello spara, quello escinde. Partendo evidentemente da due motivazioni diverse. E li deve mettere in qualche modo insieme: lui spara, l’altro va col coltello. “No” – dice Galliani – “l’uccidere solo con la pistola sono i preliminari del fine ultimo di una azione che riguarda la realizzazione dell’equivalente sadico dell’atto sessuale ” – sono due tempi diversi — “motivati in modo diverso dalla stessa mano.” E il professor Bruno vi fa toccar con mano come il catabolismo di questa indagine abbia prodotto in linea generale non la sostituzione, capite, dell’ipotesi psicopatologica- Perché, su questi, fino a questo punto non ci può arrivare il Pubblico Ministero. Voi lo vedete, no? Eh, è un po’ difficile, un po’ duro da dire, eh. Che qui… Sì, va bene, lui ha detto. “Gruppo di persone normali campagnole”. Insomma, tanto normali non possono essere delle persone che fanno queste cose. Ma se lo fossero, Signori, accidenti! Ma non si potrebbe nemmeno mettere più piede fuori di casa propria, no? Eh, non ci mancherebbe altro! Quindi, in qualche modo la perversione di qualcuno la deve recuperare. No, no. A stargli dietro c’è l’azzeramento dell’evidenza psicopatologica di questo… processo,. di questa motivazione. L’azzeramento. “Si va a fare un lavoretto”, dice Lotti. Capito? Come se, a un certo punto, tutta la cosa fosse così, nascesse così: siamo lì alla Cantinetta, oppure… “Si va a fare un lavoretto…”, estempora lui. Per il delitto di Baccaiano lui stava alla casa della draga. A un certo punto vengono a trovarlo con la macchina, questo qui gli dice: ‘vieni, si va…’ — ‘In dove?’ — ‘Eh, vieni, vieni. Lo so io’. Non lo so, io. Provate a immaginare di scriverla questa ipotesi, nella sentenza. Metterlo giù, nero su bianco. Ho l’impressione che la mano cadrebbe esausta sul foglio, io. Dice Bruno: “È un serial—killer, quindi direi unico. Ci sono moltissimi elementi che fanno pensare all’azione di un’unica persona che ha individuato come obiettivi del suo delirio delle coppie e che ha , esercitato una ritualità omicidiaria tale da essere inequivocabile per il significato patologico che gli è connesso.” Ma queste sono parole serie no? E che è un significato evidentemente di natura sessuale, eh, dico, non hanno un significato sessuale quei delitti? Con quelle escissioni, con quella esposizione di quei corpi in quel modo? Con quella ostentazione? Davvero volete ritenere così ambiguamente che invece della natura sessuale ci sia una natura di lucro? Da una parte l’ostentazione di quei corpi in quel modo, quelle lesioni fatte in quelle parti del corpo in quella maniera; e, dall’altra, i portafogli che restano con i valori dentro, delle vittime maschili? E i valori, valori cospicui dei tedeschi, che restano nel furgone? Scusi, Presidente, bisogna interrompa, abbia pazienza. Sono molto stanco e mi è venuto un dolore qui. E mi fa paura. I dolori qui fanno paura. Si va a lunedì, Presidente.
Presidente: No, andiamo a domani mattina, avvocato.
Avv. Nino Filastò: No, Presidente, abbia pazienza. No.
Presidente: Come si fa?
Avv. Nino Filastò: Non me lo può fare questo, a me solo. Eh, no.
Presidente: Sono troppo lunghe, sono troppo lunghe, avvocato …
Avv. Nino Filastò: Io poi, fra l’altro, Presidente, scusi se glielo dico, ma guardi…
P.M.: Si salta il pomeriggio.
Presidente: Eh, capito? Eh allora…
Avv. Nino Filastò: Ma come, sempre si è saltato il pomeriggio. E perché io devo avere un trattamento speciale?
P.M.: Domani mattina non è pomeriggio. Stai calmo, stai Calmo.
Avv. Nino Filastò: Eh, no. Io, domani ma..
P.M.: Stai calmo!
Avv. Nino Filastò: Eh, come, io sto calmo. Eh, non sto calmo affatto. Perché io, fra l’altro, non sto per niente calmo su questa cosa. Esprimo una protesta formale. Perché io qui, fra l’altro soffro di pressione arteriosa alta, ecco, e non ce la fo a venire qua domattina. Poi, se mi viene imposto, vengo domattina. Ma bisogna che mi venga imposto in una ordinanza della Corte.
(voce non udibile) Presidente…
Avv. Nino Filastò: Che, per la prima volta, impone al difensore di venire a parlare – al difensore di Vanni – di venire a parlare di sabato, quando non è mai successo nelle scorse udienze, per nessuno. Compreso il Pubblico Ministero che da venerdì, è andato a lunedì.
Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: È vero, Presidente.
P.M.: Questo è vero, Presidente. .
Avv. Nino Filastò: Eh, meno male.
Presidente: Va bene. Andiamo a lunedì, andiamo a lunedì.
Avv. Nino Filastò: Grazie, Presidente.
Presidente: Lunedì mattina alle 9.00. Non c’è problema.
Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Sempre signorile. Grazie, Presidente.
Presidente: Senta, avvocato. Avvocato, volevo sapere: previsioni di tempo del suo…
Avv. Nino Filastò: Lunedì e martedì, Presidente.
Presidente: Lunedì e martedì.
Mario Vanni: Che devo dir qualcosa?
Avv. Nino Filastò: Dopo, Mario, dopo.
Presidente: Dopo, dopo parla, Vanni. Dopo ci parla lei.
Avv. Nino Filastò: Dopo, alla fine.
Presidente: Alle ore 09.00. L’udienza è tolta.