9 Marzo 1998, 66° udienza, processo, Compagni di Merende Mario Vanni,  Giancarlo Lotti e  Giovanni Faggi per i reati relativi ai duplici delitti del MdF e Alberto Corsi per favoreggiamento.

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Avvocato Nino Filastò

Presidente: Buongiorno.

Avv. Nino Filastò: Presidente, prima che inizi l’udienza. Proprio ieri sera, mentre finivo di guardare le carte, mi è arrivata la notizia della morte di Mario Persiani. E mi sembra il caso di dire due cose: lo conoscevo bene; mi onorava della sua stima, ma questo non ha niente a che vedere. Dicono che sia caduto di bicicletta. Io non ci credo. Penso che abbia continuato a salire su per questa erta, più leggero di prima, guidato da un bel vento, fino ad arrivare in cima e vedere la luce di Dio. Perché se c’era qualcuno che lo meritava, questo era Mario Persiani, il signor Mario Persiani. Un uomo davvero probo, davvero buono, un grandissimo professionista del nostro mestiere e un cittadino esemplare. Ecco, io volevo dire questo perché mi è uscito dal cuore, perché ancora sono sotto l’impulso di questa notizia, per me dolorosissima. 

P.M.: Presidente, non posso che associarmi alle parole dell’avvocato Filastò. Io non conoscevo così bene come Filastò il collega. Ma mi sembra che come lo ha dipinto Filastò sia la verità, per quel poco che ho avuto modo di conoscerlo, quando ero ancora sostituto alla Procura di Firenze. Penso proprio che come ce lo ha dipinto l’avvocato Filastò sia la esatta immagine che abbiamo, quelli che lo hanno conosciuto, di Mario Persiani. Mi associo, quindi, a quelle parole. E chiedo che la corte, magari, ne prenda atto.

Presidente: (voce non udibile) La Corte… (al microfono) … e in segno, diciamo, di cordoglio, sospendere per 10 minuti l’udienza. 

P.M.: Bene. Grazie, Presidente. 

Presidente: Allora, manca solamente il difensore dell’imputato: Zanobini. 

Avv. Sigfrido Fenyes: Lo sostituisco io.

Presidente: Lo sostituisce lei, Fenyes. Va bene. Allora, prego, avvocato Filastò.

Avv. Nino Filastò: Presidente, Signori, una rapidissima sintesi di quel che ho detto fino a questo momento attraverso soprattutto i richiami degli atti più importanti che vi ho proposto e che vi ho sottolineato. Ho tentato una analisi della persona di Mario Vanni allo scopo – per ora solamente quello – non tanto di contrastare pretesi indizi a suo carico, quanto quello di superare un preconcetto che vi ho detto favorito da suggestioni e da deformazioni del vero. Questo è quello che ha formato oggetto di un capitolo sul merito, dopo una premessa di un certo tipo per la quale mi richiamo a quel che ho detto, capitolo Vanni che ho definito il mio paziente, indicandovi l’età del malanno giudiziario di cui soffre quest’uomo. E il malanno giudiziario di Mario Vanni comincia dallo smilzo fascicoletto del processo di 34 anni fa, allegato dal Pubblico Ministero, chiuso con la sentenza di assoluzione del 6 ottobre ’64, prodotta da me all’udienza del 5 marzo scorso. Vi ho richiamato le dichiarazioni di Marisa Pucci del 4 ottobre del ’97, a fascicolo 29 e fascicolo 30. Di Maria Grazia Vanni, la sorella dell’imputato, del 12 dicembre del ’97, a fascicolo 66. Vi ho richiamato le dichiarazioni del teste Ricci: 08/07/97, fascicolo 20. Di don Poli, di Paolo Vanni: il 14 luglio del ’97, fascicolo 24. Di Alessandra Bartalesi: 14 luglio ’97, fascicolo 25. Questi ultimi due testimoni, in particolare sulle difficoltà anche di tipo intellettivo di Mario Vanni, da me definito con termine latino “rainus habens”. Il che è stato confermato dalle relazioni dei periti, professor Barontini, dottor Maurri, dottor Marello; e dei consulenti, dottoressa Niccheri e dottor Massimo Sottini; e dalle loro dichiarazioni all’udienza del febbraio di quest’anno. Relazioni e osservazioni che hanno confermato l’esistenza di un’encefalopatia di Vanni e, soprattutto – quindi, organica: una situazione di deficit intellettivo, mentale, organico e molto importante, lo vedremo anche da un altro punto di vista – e sul suo, soprattutto, non nascondersi. E quindi correlativamente non un finto tonto, il contrario. Anzi, una persona che nei suoi rapporti con questi medici ha teso, ha tentato, addirittura, di proporsi meglio di quel che non fosse in realtà. Vi ho parlato dell’atteggiamento di fiducia e di sostanziale collaborazione nei riguardi degli inquirenti da parte di Mario Vanni. E da questo punto di vista, vi ho citato l’interrogatorio trascritto, condotto in massima parte dal dottor Vigna del 21 ottobre del ’96. E in particolare vi ho sottolineato, quel “Lo metta lei”, a pagina 42 di quel verbale. Quando il Vanni non riusciva a rispondere come, a un certo punto desiderava, o si richiedeva insistentemente da parte degli inquirenti sul conto di quella famosa lettera a lui spedita da Pacciani; lettera che lui, non solo non ha mai nascosto, ma che ha sbandierato per tutto il paese. E, a un certo punto, il povero ipodotato, alla fine dice: “Lo metta lei”. Tre parole che indicano il suo livello intellettivo, la fiducia della persona scoperta, trasparente, nei suoi gravi limiti, da mettersi in relazione con un”altra uscita sua dell’imputato, all’epoca… sì, dell’imputato Mario Vanni, quella osservazione per cui il Mugello sarebbe “un paesino”, a pagina 7; e la dice lunga, anche, sulle sue conoscenze dei luoghi della campagna toscana, eccetera. Sui cosiddetti “amici di merende”, non sono stato in grado di indicarvi nessuna carta, perché non ce n’è nessuna, almeno significativa, sotto il profilo della accusa e della ipotesi riprodotta nel capo di imputazione, dal quale si ricava la eventuale ipotetica esistenza di una associazione criminale alla quale la stampa, i mass media hanno appiccicato, seguendo la terminologia proprio dell’imputato Mario Vanni, l’etichetta degli “amici di merende”. Qualcosa avrei potuto indicarvi. Avrei potuto indicarvi le dichiarazioni testimoniali in cui alcuni testimoni parlano di estemporanee o consuetudinarie riunioni conviviali al bar Sport di San Casciano Val di Pesa, La Cantinetta del medesimo paese, e altrove – alle quali riunioni partecipavano il dichiarante, il testimone che parla – e anche di gite e correlative bevute e mangiate. E vi partecipa a tutto questo, in epoca risalente, anche un ex maresciallo dei Carabinieri in pensione, tal Simonetti, amico di Pacciani, molto più amico di Pacciani di quel che non fosse Mario Vanni. Bevute, mangiate in questi posti che ho detto. E anche alle varie feste di paese: quella dell’Uva dell’Impruneta, per esempio; le varie feste de L’Unità, della Democrazia Cristiana, situate in vari posti. Forse la Sagra della Fettunta di chissà dove e quella della Pecora in Umido di Bengodi. Ma me ne sono astenuto, da queste citazioni, nella piena e incrollabile consapevolezza che bere vino e mangiare, in campagna, e in compagnia piatti seppur pesanti, non costituisca indizio e la sussistenza di una associazione criminale. In particolar modo di quella speciale associazione, con quelle caratteristiche indicate nel capo di imputazione. Insomma: la merenda non costituisce reato e quindi perché perdere tempo? Ho citato, poi, un testo di psicosessuopatologia -Stoller (?), intitolato “Perversione”, sottotitolo “La forma erotica dell’odio” – per documentare che andare con le prostitute non è indizio di perversione, in particolare quando ciò avvenga “faut de mieux”, cioè a dire “in mancanza di meglio”, com’è appunto il caso del Mario Vanni. E questo capitoletto che ho citato, del testo fondamentale, definito tale dal dottor Perugini, “La perversione. La forma erotica dell’odio”, questo capitoletto, “faut de mieux” si trova a partire da pagina 19 di questo testo. Vi ho detto anche che l’uso del vibratore non ha niente a che vedere con la forma erotica dell’odio, con la perversione; anzi, vi ho detto che, per certi versi, contrasta su questo aspetto. Sul fatto che Vanni frequentasse qualche prostituta, in mancanza di meglio – vale a dire “faut de mieux”, perché la Luisa Landozzi è ammalata e per queste ragioni di malattia anche neurologica, da cui molto attendibilmente deriva la conseguente nascita di questa bambina spastica, epilettica, con un deficit di tipo neurologico; capita che nascano figli di quel genere – e, da questo punto di vista, niente autorizza a dire che la ragione per cui quella bambina è nata spastica fosse un’altra. Queste sono cose che fanno parte di quelle deformazioni, di quelle esagerazioni, di quelle deformazioni, anche, della realtà che vi ho detto. Vi ho citato la sentenza del 6 ottobre del ’64; la sorella Maria Grazia, interrogata il 12 novembre del ’97, a fascicolo 66; Alessandra Bartalesi: 14 luglio ’97, fascicolo 25. Sul fatto che Vanni andava, ogni tanto, a prostitute perché c’era questo muro, questa chiamiamola incompatibilità con la moglie, determinata dalla malattia della stessa. Paolo Vanni che viene interrogato il 14 luglio ’97, a foglio 24; e lo stesso Lorenzo Nesi, il quale ne parla il 4 luglio ’97, a fascicolo 18. Vi ho poi parlato dell’origine di questo processo, come nascente da una indagine a direzione bloccata, che a questo punto mi sentirei di definire “ius sub iudice”: “per comando del giudice”. In latinetto significa “per comando del giudice”. Il che, a me sembra, a differenza di come interpreta questo aspetto il Pubblico Ministero e il regista di queste indagini, il dottor Giuttari, a me questo sembra il massimo della indagine di tendenza. A binario bloccato, per non dire tendenziosa all’origine. E, da questo punto di vista, sul fatto che l’input di questa indagine sugli “amici di merende” arriva per ordine del Giudice, in una direzione, come dicevo prima bloccata, vi ho citato il dottor Giuttari, il quale ne parla il 23 giugno del ’91, fascicolo 9; il 25 giugno del ’97, a fascicolo 10; il 26 giugno ’97, a fascicolo 11; il 27 giugno ’91, al fascicolo 12. E vi ho citato, sotto questo profilo, alcuni stralci della esposizione introduttiva del Pubblico Ministero del 23 gennaio ’98 e del 23… esposizione introduttiva del Pubblico Ministero, il 23/12/97, eccetera. Queste date sono sbagliate, vedo qui. Chi me le ha messe ha sbagliato, comunque è la stessa. Esposizione introduttiva del Pubblico Ministero, quando è stata, è stata. Il dottor Giuttari e il Pubblico Ministero, i quali dicono: vedete, è un magistrato, il quale… – un magistrato è un giudice; dico un magistrato per personalizzare, ma in realtà è una Corte – il quale si fa questa idea. Insomma, non è un sintomo di attendibilità, purtroppo. Perché, come vi ho indicato nel corso della mia discussione, questa ipotesi dei “compagni di merende” interviene in certi momenti topici in cui si tratta, da parte del Giudice di I Grado, di spiegare il perché certe risultanze non collimano, anzi contrastano in modo aperto, con la persona di Pacciani. Quindi, come ha detto la Corte di Assise di Appello nella sua sentenza: “una ipotesi surrettizia”. Vale a dire una ipotesi in cui si sostiene una cosa, nascondendone un’altra. Nascondendo, cioè a dire, che in realtà c’erano delle informazioni dettagliate, importanti, testimoniali. Io ho citato Zanetti, ma si potrebbe citare anche Bardazzi e soprattutto, quelle impronte di ginocchio su quello sportello che fanno, fra l’altro, il paio con quella impronta di scarpa trovata a Calenzano. E queste situazioni, questi aspetti, queste risultanze di carattere testimoniale ed obiettivo contrastavano con la figura di Pacciani. Il quale Pacciani, è vero, durante il dibattimento di I Grado – la Corte non lo sa, ma la informo io – insomma, venne addirittura, si tentò di stiracchiarlo, di farlo diventare più alto attraverso una singolare perizia antropometrica fatta a tamburo battente al dibattimento; per dire che lui, nel frattempo, si era, come dire, ristretto. Si era, in qualche modo, diminuito di altezza. Ma insomma, comunque sia, per quanto si potesse tirarlo, con riferimento al tempo passato, in alto il più il possibile, Pacciani – come si faceva a suo tempo attraverso il supplizio della corda, dopo la quale il suppliziato finiva sempre un po’ più alto di quel che non fosse all’inizio – in ogni caso restava sempre il dato incontrovertibile della non corrispondenza di quella persona a quelle persone viste da quei testimoni all’altezza di Pacciani, per quanto riguardava quelle impronte. Ed allora, è in questa situazione che la sentenza di I Grado – alla quale si ispirano fondamentalmente sia il Pubblico Ministero che il dottor Giuttari – propone l’ipotesi degli “amici di merende” e dei complici i quali, in qualche modo, si sarebbero affiancati all’autore. E quindi non più questo contrasto, perché il contrasto viene eliminato: c’è quest’altra persona che, in qualche modo, lo elimina. Beh, insomma, ma a me pare che tutto questo sia veramente il massimo, la quintessenza di una indagine che nasce sul piede sbagliato. Nel senso “sbagliato”: su un piede in cui si cerca di confortare una certa linea di tendenza, una certa idea, una certa ipotesi. Ora, però, su questo punto un attimo di riflessione un po’ più approfondito. Perché questa indagine, questo processo che ho definito di tendenza, ha una piega, prende, durante il processo Pacciani, una certa piega e, come vedremo, non riguarda solamente l’ipotesi dei complici, ma perfino l’individuazione di essi. Questo vi deve allarmare. Perché, capite, voglio dire: un conto è, così, prospettare un certo tema di indagine; un conto è esaurirlo, quasi, questo tema di indagine, addirittura indicando chi sono queste persone. E da questo punto di vista qui è importante esaminare e leggere insieme il verbale di dibattimento del processo Pacciani, all’udienza del 26 maggio del ’94, fascicolo 32, e le pagine sono quelle che vanno dalla pagina 2 alla pagina 58. Io ne ho scelte alcune. Il signor Vanni si mette a sedere su quella sedia. Siamo, come dicevo prima, all’udienza del 26 maggio del ’94. Il signor Vanni si siede e il Presidente lo invita a rispondere. Il Presidente gli chiede se ci sente bene. Dice: “Sentire, ci sento.” “Benissimo.” Il Pubblico Ministero gli chiede: “Signor Vanni, che lavoro fa lei? O quale?” E il teste Vanni dice: “Io sono stato a fare delle merende col Pacciani”, no? Ora bisogna… questa frase può sembrare sospettabile, così di colpo, così di brutto, all’inizio. Ma non lo è affatto. Perché noi – e lo sappiamo in questo procedimento – sappiamo che quando si va a sedere su quella sedia, il giorno 26 maggio del 1994, Vanni è già stato interrogato, reinterrogato. Addirittura lui, in quel verbale di interrogatorio che vi ho citato prima – quello in cui si parlava del suo atteggiamento scoperto, trasparente, “Lo metta lei”, con il dottor Vigna – lui dirà addirittura di essere stato chiamato almeno una decina di volte dai Carabinieri. Tanto che il dottor Vigna si allarma. Dice: ‘ma qua non c’è verbali, ma come mai?’ Il commissario Minoliti, insomma, lui ci aveva fatto il sentiero. Ed erano sempre lì a fargli domande, a chiedergli. Alcune sono verbalizzate, di queste cose; altre no. Ma insomma, la pistola… E poi si vedrà che è così. È inutile far le boccacce. Perché è vero, risulta da verbale. Risulta da queste dichiarazioni e dalle domande che fa il Pubblico Ministero. Se il Pubblico Ministero le avesse sapute certe cose, come faceva a domandargliele qui, in questa sede? E qui, come dice: “Io sono stato a…” E quindi, questo poveromo, che non ne può più – come del resto hanno detto vari testimoni: Paolo Vanni, altri testi qui interrogati in questo procedimento – che non ne può più di questa specie di persecuzione, appena seduto, nella sua semplicità e nella sua trasparenza, dice: ‘ma insomma, cosa volete da me? Io con questo Pacciani, ci ho fatto solo le merende’. Vuole mettere subito le mani avanti, immediatamente. E questo è quello che ha segnato il suo destino. Perché immediatamente il Pubblico Ministero dice: “Credo che qualcuno le ha già detto cosa deve dire.” Gli contesta. “Qualcuno”, si immagina che sia qualche altro “amico di merende”, evidentemente, della banda, del gruppo. Ma, insomma, io immagino eh. Però… “Qualcuno”. Chi sarà questo qualcuno? Pacciani, no, perché è in galera. Sarà qualcun altro, evidentemente. E subito interviene il Presidente, quello che poi stenderà quella sentenza, che costituisce l’input di questa indagine di tendenza, così come l’ho definita, il Presidente il quale dice: “Lei comincia male, perché sembra che venga a recitarci una lezioncina che si è imparato prima.” Ma accidenti alla diffidenza nei confronti di un testimone! Questa è diffidenza. Eh, questo, specialmente… Questo è, come dire, un sospetto, eh. È già un sospetto piuttosto, piuttosto evidente. Tanto è vero il Pubblico Ministero – pagina 7 – gli chiede: “E quindi, senta una cosa: e poi del Pacciani, questo rapporto diciamo professionale, oltre questo rapporto, diciamo professionale…” Il “rapporto professionale” è il fatto che gli andava a portare la posta, come dice lui. Cioè, gli andava a portare la posta. E poi lo avrà conosciuto anche altrimenti. “Ha avuto un rapporto di amicizia, siete diventati amici?” E il teste Vanni dice: “Sì, a volte siamo andati a fare qualche merenda. Così, vero; o a bere un caffè insieme. Io, altre cose, signor Giudice, non lo so.” E il Pubblico Ministero dice: “Vediamo un attimo, se ha un po” di pazienza, eh. Perché lei l’ha raccontata talmente tante volte…” Allora è vero, no, quello che dicevo prima io: che questo signore è stato interrogato, rinterrogato allo spasmo. “Lo ha raccontato talmente tante volte che, insomma, forse non è proprio così. Senta…” E quindi vuol sapere come nasce questo fatto che andava a fare le merende insieme a Pacciani. E lui risponde come riesce a rispondere lui. E qui poi, la prima… Ecco, a pagina 17 si comincia a chiedere al signor Mario Vanni notizie del vibratore. E siamo, guardate, alla data del 26 maggio del ’94. Dice: “Lei gli ha dato un vibratore a Pacciani?” Chiede il Pubblico Ministero. E lui dice: “Mah, ma io non lo ricordo.” Dice. “Allora come mai alla Polizia ha dichiarato questo? Cioè, così preciso e dice addiri…” Quindi c’è stato, questo è anche verbalizzato. C’è scritto, dice: “Addirittura all’edicola di San Casciano, voglio precisare, ho richiesto due… in due tempi; uno di questi l’ho dato a Pacciani.” Ma io voglio dire una cosa: ma rispetto all’accusa riguardante Pacciani, che il Mario Vanni abbia dato a Pacciani oppure no un vibratore, ma che gliene importa? Non c’è già, proprio, in luce, i sospetti che lo riguardano, con riferimento a questa circostanza fondamentale dell’uso del vibratore da parte del Mario Vanni? “Io non me lo ricordo. Per me, sì” – dice lui –“ce l’avevo.” “Cosa ne faceva? A cosa le serviva?” Chiede il Pubblico Ministero: “E a che cosa le serviva?” E qui io questa risposta ve l’affido. Perché, insomma, non c’è l’esame in questo procedimento dell’imputato, ma ci sono le sue risposte, ci sono tutte. Quindi non è che poi, da un punto di vista difensivo, ci sia… Sì, beh, insomma, poi ne ho già parlato, ne riparlerò, se è il caso. Vanni disse: “Eh, mi serviva. Qualche volta che andavo da qualche donna…” – sentite, eh, se poi non torna tutto con quello che è venuto fuori in questo processo – dice: “Qualche volta che andavo da qualche donna, siccome avevo la moglie malata” – ‘faut de mieux’, no? – dice lui, che non ha letto sicuramente il testo dello Stoller : “Siccome avevo la moglie malata, se lo pigliava, glielo davo e sennò non gli davo nulla.” Ecco, la perversione di Mario Vanni con riferimento al vibratore è tutta qui. Dopo, voi andrete a esaminare questo aspetto e voi avrete questa dichiarazione. “È mai venuto il Pacciani con lei, come dice, da qualche donna?” “No, insieme alle donne con Pacciani non sono mai stato. Lo può dire.” Ed è risultato vero. Quindi, con Pacciani, nella costruzione accusatoria, si va soltanto a fare le spedizioni. Questo è molto singolare, è molto strano. Direi assurdo. Ma io domando questo, a parte queste annotazioni che riguardano il merito e che hanno a che vedere con questa pretesa perversione di Mario Vanni, attraverso l’uso del vibratore, al quale lui risponde in quel modo spontaneo e immediato che abbiamo sentito e che, a un certo punto, costituisce la risposta più razionale, più ovvia: “Se lo pigliava, glielo davo, sennò no.” Perché, vero… Ma perché il Pubblico Ministero fa queste domande sull’uso suo, da parte di Vanni, di un vibratore? Che gliene importa al Pubblico Ministero di questa cosa, quando lì questo processo sta riguardando Pacciani? E qui c’è un testimone che deve riferire alcune circostanze. Per esempio se è vero che ha visto un pistolone a Pacciani, oppure no. Sulla quale lui è stato interrogato, strainterrogato… E queste cose del vibratore cosa gli interessano? Siamo già, voglio dire, siamo già sulla strada di questo procedimento, alla data del 26 maggio del ’94. E non è comparso ancora nessun Giancarlo Lotti. E non è comparso ancora nessun Pucci. Ma, dico, qui questa indagine – che ho definito di tendenza, non solo a binario obbligato, ma addirittura anticipato, a binario precognitivo si tocca con mano. Poi gli viene chiesto se Pacciani aveva un fucile: “Mah, l’ho visto.” E poi, sempre a pagina 18, lui continua, poveretto, con questo suo ripetitivo leit-motiv: “Io, levato che andare a fare qualche merenda, così poi…”, vero Vanni? Mario Vanni: Sì, sì. È così. Più che far merende… 

Mario Vanni: A far merenda.

Avv. Nino Filastò: E basta. 

Mario Vanni: Non si pole…

Avv. Nino Filastò: Eh, si capisce. Eh, certamente. Il Pubblico Ministero dice: “Sì, abbiamo già capito, signor Vanni. Va bene. E qualche bicchiere, via, insomma, questo lo possiamo dire, eh? Merende…”, puntini di sospensione. “Qualche volta c’era quell’oggetto e faceva comodo.” Mah! Poi gli chiedono se ha visto a casa di Pacciani un fucile a due canne tipo doppietta. E poi, tutto ad un tratto: “Senta, signor Vanni, lei conosce Sperduto Maria?” “Come?” “Conosce Sperduto Maria Malatesta?” Lui dice: “Ci portavo la posta.” “Qualche teste e la signora in questione ci ha detto che facevate anche qualche altra cosa, oltre che portare la posta.” Va beh, insomma… Allora lui se lo ricorda e lo dice subito, vero? “Sì, sì.” È vero. Perché la Sperduto Maria Antonietta, come poi vedremo meglio dopo, è una prostituta, Signori. Ce lo dice a chiare lettere la Ghiribelli. Quando, addirittura, non solo ce la indica come prostituta, ma ci dice anche che è una prostituta che rubava il lavoro alla figliola, che stazionava in una certa zona di Firenze, e la figliola si lamentava, dice: ‘la mi’ mamma, guarda, viene qui a darmi fastidio anche in questo’. E lui ci andava, si capisce: “Da me.” “E allora lo dica, non c’è problema. Ha avuto una relazione con questa signora?” Ora, parlare di relazione con la signora Sperduto, insomma, voglio dire, è meglio. Cioè, tanto, voglio dire, una relazione… “Ma ci sono stato una volta o due”, dice lui, “Poi…” “È sicuro di non esserci mai andato con il Pacciani?” “No, non ci sono mai andato col Pacciani.” “La signora dice diversamente.” “L’è bugiarda, allora.” Dice Vanni, eh. “E come ci andava?” “Con la vespa.” Dice lui. ‘Allora, si stava a Faltignano, non è mica tanto lontano. In vespa ci si può arrivare dalla Sperduto, no?’ Poi dice: “In che epoca andava da questa donna?” “A portar la posta?” Chiede lui. “No, a fare altre cose.” Il Presidente: “A portare il resto, insomma.” Interviene il Presidente, eh. A pagina 21 dice: “A portare il resto, insomma.” Che resto? Di che si tratta qui? Pagina 21, verbale 26/05/94. “Pacciani le ha mai detto che anche lui andava dalla Malatesta?” “Eh, l’ha detto qualche volta.” Dice lui. “Ha visto, vede come pian pianino lei, fra una merenda e l’altra, come riesce a ricordarsi tante cose?” Ma che cose sta ricordando? La frequentazione di tutti e due di una prostituta di paese. Oh! E lui l’ha bell’e detto che da qualche parte doveva andare, perché la moglie ha queste difficoltà, no? E siccome tanti soldi non ci sono, eh, ci si accontenta di questa signora qui, che abita in quella casa là, dove c’è proprio tutto un ambiente di questo genere, lo vedremo un momentino. “Senta una cosa, vediamo che ora ha un po’ più di ricordi, ritorniamo ancora a quel locale: La Cantinetta di San Casciano, dove c’erano varie persone a bere. Lei per ora ci ha detto c’era Pacciani, c’era lei, a volte c’era il maresciallo Simonetti.” “Sì, codesto maresciallo.” Ora io vorrei capire una cosa: ma il maresciallo Simonetti, non sarà mica, nella impostazione dell’accusa, anche lui un “amico di merende”? Io non ho mica capito niente in questo processo, ogni tanto. Questo è un poeromo morto, fra l’altro, non si può nemmeno difendere. E si inseriscono delle battute, delle indicazioni, per cui questo maresciallo Simonetti comincia a diventare anche lui un … Di che? Maresciallo dei Carabinieri. Certo, frequentava Pacciani. Perché beveva lui, beveva Pacciani. Gente… Ma insomma… L’altro giorno – poi non ne fo più di digressioni, perché il tempo stringe – l’altro giorno sono andato, come spesso vado, quando vado a trovare Mario là in questa casetta sua, vado a mangiare Da Nello. Accanto a noi c’era tre signori tutti rossi nel viso che ci davan dentro con questo vino della Gasdia. Da quelle parti ha messo su un podere col vino, la cantante Gasdia, cantante pucciniana, quella famosa, fantastica, nella parte di Liù della Turandot. È un vino straordinario, perché poi il vino va bevuto nei posti. E questi qua, tutti rossi così che, giù, dentro ci davano, bevevano come… E io ho detto: ‘guarda quei compagni di merende qui accanto, come ci dan dentro’. E insomma, voglio dire, siamo in un paese così, con della gente così, che sbevazza. Ma non ho capito. E poi, a questo punto: “Lei” – gli domanda il Pubblico Ministero – “ha mai visto col Pacciani alla Cantinetta, un signore che ha come nome Faggi Giovanni?” Hai sentito, Fenyes? L’avevi presente questa cosa? Quindi, non c’è solamente alla data del 26 maggio del ’94, prima che compaiano sulla scena i signori Lotti e Pucci, non c’è solamente l’ipotesi, ma c’è persino i nomi. Ora, io vorrei sapere al Pubblico Ministero, qui, che gliene importa di sapere da Vanni se la Cantinetta era frequentata dal Faggi Giovanni. E quando dopo voi vi ritrovate il Faggi Giovanni con quella sua faccia – in qualche maniera assomiglia a quell’identikit – imputato in questo processo come “amico di merende”, e vale a dire come correo, complice, è bell’e fatto tutto; era già fatto. Non c’era bisogno del Lotti e del Pucci. Insomma, ce n’era eccome bisogno, ma insomma, voglio dire… Però l’impostazione c’era di già, no? “Talvolta ho visto nel locale La Cantinetta di San Casciano, insieme a Pacciani Pietro” – gli contestano – “un uomo di cui ho visto alcune foto che mi avete mostrato oggi e mi dite chiamarsi Faggi Giovanni.” “Lei riconosce di aver detto questo alla Polizia?” E il teste Vanni, che è così che si scava la fossa, poveromo, vero, perché è onesto, una persona per bene, trasparente, dice: “Mah…” Mah. Perché sicuramente gli avranno fatto vedere delle foto. Gli avranno detto: ‘questo è…’, mah… Avrà detto: ‘mah, può darsi. Insomma, sì, forse lo riconosco…’ Come fa uno a vedere delle fotografie, a riconoscere una persona che 7-8 anni prima ha visto a bere alla Cantinetta? Una persona che è per bene e che è onesta, quando gli viene fatto vedere una cosa di questo genere e riconosce una certa persona da una fotografia, dice: ‘può darsi’. Solamente testimoni come la signora Frigo possono dire: ‘sono assolutamente sicura…’, eccetera. Va be’, quando una persona dice: “Sono assolutamente sicura”, eh, bisogna subito prenderla con le molle, insomma, no, perché vuol dire che ha qualche tensione emotiva, è convinta di una certa situazione, si sente portata a stabilire con gli inquirenti una sua relazione, una sua importanza di un certo tipo. “Mah, io un lo so, io un lo conosco.” Dice. Il Faggi Giovanni non lo conosce, e ha ragione. Chi lo ha mai visto? E qui il Presidente interviene. Cioè, sentano, eh? L’estensore della sentenza interviene e dice: “Ma senta un po’, Vanni, i portalettere normalmente conoscono tutti: vita, morte e miracoli, perché girano per il territorio.” Come? Ma lui il territorio suo è Montefiridolfi. Che c’entra con questo Faggi che poveraccio sta a Calenzano? “Ora lei ci vuol far credere che non conosce, non sa, non si ricorda. Lei mi sembra molto più sveglio di quanto voglia far credere, quindi faccia mente locale e dica quello che sa.” Mah! Ma io poi voglio sapere una cosa: ma qui si sta parlando del processo Pacciani, no? Siamo dentro il processo Pacciani. L’udienza riguarda un testimone del processo Pacciani. Si può sapere che c’entra Faggi Giovanni? Non lo so, io ogni tanto mi volto di là, da quella parte, vedo il Pubblico Ministero che mi fa… 

P.M.: È un’imputazione. Questa qui.

Avv. Nino Filastò: …dei segni, no? Nel processo Pacciani c’è una imputazione contro Faggi Giovanni? Sì, c’è una imputazione? 

P.M.: (voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: In questo. Ah, in quello. No, ma qui si… No, dice c’è l’imputazione, lo so che c’è l’imputazione per Faggi Giovanni, accidenti, poveraccio! Sento dire che forse si cambiano le conclusioni, si chiede l’ergastolo anche per lui. Così, voci di corridoio. No, io sto… ina qui siamo dentro il processo Pacciani. Siamo all’udienza del 26 maggio del ’94. Dice: “Io non lo conosco. L’ho visto insieme a Pacciani a bere con lui? E l’avrò visto”, dice poi alla fine il poveruomo, che è sempre così scoperto, così disponibile, oltre ogni… “E l’avrò visto.” E il Pubblico Ministero interviene e dice: “Credo di aver visto questo personaggio prima della morte del Malatesta.” Ahia! Perché qui, a questo punto, interviene anche questa situazione, no? Non siamo ancora arrivati, come arriveremo in questo dibattimento, ad accreditare a Mario Vanni, così – tipo “Toccata e Fuga” di Giovanni Sebastiano Bach, eh, vero – la morte e l’assassinio di una prostituta. Però ci siamo di già a addensare delle ombre intorno a chissà chi sull’impiccagione, sul suicidio del Malatesta. “Mah,” – dice lui – “dice che si impiccò.” Sentano ora, eh. E qui, processo Pacciani, Giudici, eh: “Mah,” – dice – “che si impiccò.”. Pubblico Ministero: “Lei ha mai avuto discussioni con il Malatesta?” Da discussione – da cosa nasce cosa – da discussione, poi, può anche nascere l’omicidio, no? “No” – dice lui – “No, davvero. Mai.” “Lei sa se il Pacciani ha mai avuto discussioni con il Malatesta?” Ora, l’altra volta, di questo Malatesta ne abbiamo parlato. Ne abbiamo parlato e vi ho indicato quelle informazioni che vi ha riferito il teste figlio del Malatesta. Il quale: il babbo era depresso, il babbo parlava di uccidersi. Ma non solo, vi ha detto: “Una volta gli ho levato la corda dal collo che aveva messo sul trave.” Quindi, non solo qui siamo nella insinuazione, perché questa è solamente una insinuazione, eh. Insinuazione gravissima – fra parentesi, vicina alla calunnia – per il Malatesta; ma quello che è più grave è che tutto questo sta dentro ad un verbale di dibattimento del processo Pacciani del 26 maggio del ’94. “Ma io questa cosa qui non la so.” Dice il Vanni. Dice: “Che sa se ha avuto una discussione il Malatesta?” “Ma io, questa cosa qui, non la so.” “No, lei quando apre le braccia” – dice il Pubblico Ministero – “dimostra che fa una distinzione. Questa cosa non la sa, cosa vuol dire? Prima, all’altra risposta, aveva detto di no; su questa dice: ‘io…’. La domanda gliela rifaccio e lei deve dire la verità: sa se Pacciani ha mai avuto discussioni con il Malatesta?” “No, non lo so. No, non lo so.” “Lei ha detto” – dice il Pubblico Ministero – “che normalmente andavate con Pacciani per queste merende, o quel che era.” Va bene? “Merende o quel che era.” L’associazione suggestiva fra le merende e i delitti c’è di già, eh. Poi gli si chiede se è andato qualche volta con la macchina insieme a Pacciani. E lui dice: “A volte nella 500, a volte nella Ford Fiesta?” “No, ci sono andato anche qualche altra volta” -dice Vanni – “per dire la verità.” “Io infatti le contesto che lei non solo dice che era un buon guidatore, ma che vi spostavate a bordo…” Gli contesta che cosa? Che poi, fra l’altro, dice: ‘era un buon guidatore?’ E Vanni ha detto: ‘guidava bene’. Non è vero che guidava bene Pacciani. Ma comunque Vanni ha detto che guidava bene. “Era un buon guidatore, guidava bene. E allora le contesto… io infatti le contesto che lei, non solo dice che era un buon guidatore, ma che vi spostavate a bordo della 500 di colore bianco o della sua Ford Fiesta. Quindi prendevate le macchine e andavate con l’una o con l’altra. Perché prima mi ha detto che con la Ford Fiesta ci è andato una volta sola?” Ora il Pubblico Ministero vuol sapere quante volte Vanni è andato nella Ford Fiesta di Pacciani. La Ford Fiesta che sappiamo è la macchina bianca, questa macchina bianca che sarebbe stata vista nei luoghi dei delitti, eccetera. Ecco, ma c’è tutto, no, c’è anche la macchina, c’è anche la frequentazione, c’è la frequentazione di Pacciani con quella macchina. Poi gli si chiede se sa della violenza alle figlie di Pacciani. Va be’, e questo qui ci siamo, è in chiave. “Se nessuna delle figlie si è mai lamentata con lei. “ Dice lui: “Per carità!” E poi ecco la lettera. La lettera; tutto, tutto sulla lettera, eh. “Lei è mai stato a casa della moglie di Pacciani?” Dice: “No.” “Mai?” “Non ci sono mai stato, no.” Dice Vanni. “Il teste ci ha raccontato di averla accompagnata a casa di Pacciani, dove c’era la moglie, perché lui era in carcere, mentre questo era in carcere.” E Mario Vanni, che evidentemente in questo momento a questo episodio non ci pensava, è lui spontaneamente che dice: “Ma codesto gl’avvenne quando mi mandò una lettera, no?” Quando dicevo l’atteggiamento collaborativo, trasparente, di quest’uomo. “Ma codesto gl’avvenne quando mi mandò la lettera, no? “ E questa sarà la decima, la undicesima volta che il Vanni ammette l’esistenza di questa lettera. E ne parla anche davanti ai Giudici, spontaneamente. Perché il Pubblico Ministero gli ha contestato: “Guardi, qualcuno dice che lei c’è andato a fargli vedere una lettera.” No, lo dice lui della lettera. “Allora” – dice – “c’è stato?” “Ci sono stato una volta, a Mercatale.” “Come mai andò a casa della signora Pacciani che lei, da quel che ho capito, frequentava poco? Qual era il motivo?” “Ma” – dice Vanni – “io andetti per fargli vedere questa lettera.” Allora il Pubblico Ministero vuol sapere: primo, perché ci andò a fargliela vedere; secondo, cosa c’era scritto. E cosa c’era scritto lui lo dice, solito ritornello: “E c’era scritto che s’andava a far delle merende, quella cosa, quell’altra”, perché non se lo ricorda, ovviamente. Un si ricorda icché c’era scritto. Poi proveremo, quando ne parleremo di questa storia, a cercare di ipotizzare quello che c’era scritto. E se rispetto a questa ipotesi, che poi sembrerebbe sotterraneamente ritenuta dal Pubblico Ministero, se questa ipotesi può collimare col fatto che lui di questa lettera ne parla a tutti. Questo è un dato significativo. Anche in questa occasione ne parla, spontaneamente. Dice: “E lei le merende (?) le porta a far vedere alla moglie? Signor Vanni, ma si rende conto di quel che sta dicendo?” “Ma io l’ho portata cosi, perché io gli dissi: non c’ho a che vedere nulla, Dio bono!” “Vedere nulla di che?” “A far questa lettera, dico, così…” “Cosa c’era…” “Gliel’ho detto. Dice: ma ti ricordi quando si andava a fare delle merende, di quei giorni? Poi disse…” “Signor Vanni, non tocca a me, ma lei deve dire la verità.” “Mi disse che le figliole gliel’avevano rovinate. Non lo so io.” Alla fine lo dice, un po’, cosa c’era scritto in questa lettera. Gli disse: “che le figliole gliele avevano rovinate. Non lo so io.” Dice: ‘in questa lettera si parlava di questo fatto delle figliole’. E allora il Pubblico Ministero si arrabbia anche di più: “E allora perché lei portò la lettera alla moglie? La lettera era indirizzata a lei o alla moglie?” “A me. ” “Perché, se si parla di merende, la portò alla moglie.” Non ha detto che parlasse delle merende. Ha detto prima che parlava anche delle figlie, no? “E mi venne l’idea di portare così, alla moglie, a me.” Dice lui. Allora interviene il Presidente e dice: “Io l’ammonisco. Guardi, che lei è singolarmente reticente a dire poco. ” “A dire poco”, dice. Siamo a pagina 30 di questo verbale, 26 maggio del ’94: “a dire poco”. “Lei rischia l’incriminazione per falsa testimonianza, con tutti i guai relativi.” Poi disse che lo portò il Nesi Lorenzo, dopo… “Ma lei ci è andato?”, “Come ci è andato?” Perché lui prima, dice: “Ci sono andato con la SITA…” Il livello è quello là, anche gli aspetti mnemonici sono quelli. Poi . “A me mi ci portò il Nesi Lorenzo.” Pubblico Ministero : “Lei ha un atteggiamento non solo di -reticenza, ma di paura.” “Mah”. – dice lui – “no, non ho paura di, nessuno.” Dice Vanni. “Di che dovrebbe aver paura lei?” “Di nessuno.” “E allora perché dice queste cose che non stanno né in cielo e né in terra?” Quali sono le cose che non stanno né in cielo e né in terra? Non ne ho mica viste qui dentro, io. “Ma io, insomma, col Pacciani…”, perché è un uomo con quelle difficoltà che abbiamo visto, però è un uomo che, insomma, al mondo ci vive. La demonizzazione di Pacciani lui l’ha subita come tutti. È questo il punto. E questo è uno degli aspetti — è molto difficile ad esprimersi, perché non è facile – è uno degli aspetti che, più di tutto, a me mi convince – sono sempre stato convintissimo, ma insomma — mi conforta in questa fatica che sto facendo, per tentare di farlo assolvere, questo poveruomo. Perché, vedete, insomma, lui di Pacciani “mostro di Firenze” ne ha sentito parlare come tutti. La demonizzazione c’è per lui come per gli altri. E allora dice… Quindi lui non sa nulla di questi fatti, perché non sa nulla. Dice: ‘ma io…’, e lui dice: ‘ma Pacciani sarà anche il “mostro”, ma io ci ho fatto solo delle merende con lui’, continua a dire cosi, eh. Non c’è mai un momento in cui, nemmeno in questo dibattimento, Vanni difenda Pacciani: ‘ma guarda, ma che Pacciani. Pacciani non c’entra nulla, è un mio amico…’. No, a lui non lo riguarda questa cosa. E’ chiaro che è così. ‘Ma io, insomma, col Pacciani non ci ho nulla che vedere. All’infuori di aver fatto qualche’ merenda, come ripeto…’.

Mario Vanni: Bravo.

Avv. Nino Filastò: Grazie. Ma il Pubblico Ministero gli dice: “Non sta che peggiorando una situazione per la quale valuterà il giudice competente.” “Insisto perché lei andò di corsa a chiedere un passaggio al Nesi a portare questa lettera diretta a lei e alla signora Pacciani.” “Perché la SITA subito non c ‘era”. Dice lui. “E perché, doveva andarci subito?” Ma si può sapere chi è che lo ha detto che ci è andato subito? Ecco una delle tante amplificazioni, anche del modo per me abbastanza. discutibile di interrogare del Pubblico Ministero. Dà per scontato una circostanza. E su questo, dar per- scontato una circostanza – che non può essere data per scontata, per niente – innestare immediatamente una domanda: “Perché ci è andato subito?” Ma chi lo ha detto “subito”? “Subito”, significa appena ricevuta, no? No, non risulta da nessuna parte. La circostanza fondamentale più importante che riguarda questa lettera – ne parlerò poi brevemente perché è una cosa significativa – è che noi non abbiamo il dato cronologico : non sappiamo quando questa lettera è, arrivata a Mario Vanni. Quindi non possiamo sapere, attendibilmente, se in questa lettera, c’erano – come potevano esserci state, eh? – delle preoccupazioni di Pacciani, relative al processo per il “mostro”; o se invece non fosse soltanto una lettera in cui diceva: “mi tengono in galera per la storia delle figliole -Guarda se tu vai dalla, mi’ moglie a dirgli che, insomma, alleggeriscano un po’ la mano, come io ritengo che sia così…” Ma voi potete anche ritenere che questa lettera riguardi, invece no, un momento successivo in cui per esempio, Perugini è andato a interrogarlo in carcere per tutte quelle ore, perché già è sospettato Pacciani per il “mostro”. E Pacciani dice, scrive all’amico e dice: ‘oh, Vanni, siamo stati insieme tanto tempo a fare delle merende, oh, se ti interrogano e dillo, eh, che io un facevo altro che le merende’. Va be’, può essere anche così. E questo signore qui, che viceversa è una persona per bene, e che lui storie di questo genere non ne vuol sapere, al momento in cui riceve una lettera di questo genere, o che si tratti delle figlie, o che si tratti dell’ipotesi “Pacciani mostro”, cosa fa? Oh, insomma, eh, ne parla con tutti. Dice: ‘mi ha mandato questa lettera, questo qui. Ma icché vuole da me? Io ci ho fatto solo delle merende con lui e basta. E perché scrive a me?’ Come avranno fatto sicuramente tutte quelle persone a cui lui ha scritto dopo, vero, dal carcere. Fra tutte quelle persone, 200 quante sono, che hanno ricevuto lettere sue, qualcuno per bene gli ha risposto, tipo il parroco, tipo qualche altro, la maggior parte avrà detto: ‘ma cosa vuole da me questo Vanni? Alla larga, per carità di Dio, non voglio sapere nulla’. L’ortolano, per esempio, di via… dove sta, lei? Di Borgo Sartiani, l’ortolano. Riceve una lettera anche l’ortolano. L’ortolano ha detto: ‘per carità di Dio! non abbiano a mettermi anche a me nel collettivo amici di merende contro le coppie in amore’. “Questa lettera conteneva delle minacce?” «Eh?» “Questa lettera conteneva delle minacce?” Cioè le minacce della lettera, vero, supposte. Già anche qui siamo, ripeto, a quella data che ho detto: il processo è il processo Pacciani. “No, niente minacce.” “È sicuro?” “Mah, sono sicuro.” Dice lui. “Però dice che lei’ aveva paura del Pacciani…” Insomma, la cosa va avanti in, questo modo fino al punto che a pagina 36 interviene il collega avvocato Bevacqua, che è un signore che l’avvocato lo sa fare, e dice: “Quando ci sono degli indizi a carico di una persona, si sospende l’esame, Presidente. È una regola del Codice.” E qui interviene subito: ‘no, macché, questo… gli indizi casomai riguardano una falsa testimonianza.’ . Eh no, l’avvocato ha capito qualche altra cosa anche lui, come l’ho capita io e come spero l’avrete capita anche voi. Poi si parla della paura di Pacciani; la pistola vista a Pacciani. Dice: “Ma io non me lo ricordo di avergli visto delle pistole.” Lui addirittura ha detto di aver visto un involto bianco…

Mario Vanni: Ah un so icché c’era.

Avv. Nino Filastò: Insomma, non ha mai saputo icché c’era, vero Vanni? E questo è quello che continua a dire per tutta la sua vita, nonostante quello che dice… E poi si arriva a pagina 55, pagina 55 di. questo verbale. Molto, molto importante. Molto importante: pagina 55. E il Pubblico Ministero, il quale sta facendo domande ad un testimone, rispetto alla responsabilità di un certo signor Pietro Pacciani e. rispetto a delle circostanze che questa persona potrebbe sapere, circa la pistola di questo Pietro Naturalmente, in che senso? Lui c’ha questa donna, questa donna lo rifiuta, e lui se ne ha a male! Reagisce. Perché reagisce? Perché non sa che è malata, lo saprà dopo. Tanto è vero che dirà: “I parenti mi hanno imbrogliato.” Dopo lo sa che è malata, dopo sa che non lo fa per disprezzo. Non lo fa per volerlo allontanare, ma lo fa perché c’ha questa situazione e quindi questa donna è così, è inavvicinabile per questo motivo. E dopo che lui ha saputo questo — come risulta a quel verbale dell’interrogatorio ai Carabinieri che vi ho sottolineato e che avete – lui a questo punto, dice: “Io preferirei non averci più a che fare, perché insemina, una donna così, è meglio perderla che trovarla.” Però, capirai dice : “Ma e se volesse tornare a casa?” “Allora, se volesse tornare” — dice lui – “che venga a casa. Starà a casa” – dice – “insomma venga, io penserò a lei, la manterrò. E che devo fare?” E al momento in cui lui, poi, questa notizia, questa informazione, questo fenomeno della malattia della moglie l’ha saputo. Ma, insomma, questo non è tanto importante per questa battuta/ quanto per il fatto che, addirittura, il Pubblico Ministero, in questo procedimento, due anni prima che compaiano sulla scena del processo, di questo processo, i signori Lotti, Pucci e compagnia, intanto sta lì già a contestare a Mario Vanni di aver buttato la moglie dalle scale, quindi la perversione, la cattiveria, il sadismo. Probabilmente anche il fatto che… e non è vero nulla, come abbiamo appreso; è tutta una storia che nasce da una lettura disattenta di una carta processuale in cui c’è un vicino di casa che dice: “Ma quando finisce, sulle scale, questa storia?” Ecco. Per concludere in che modo? Questa è veramente un’indagine di tendenza. Questa – … è veramente è una inchiesta mirata; ma non mirata soltanto ad un’ipotesi, mirata anche a delle persone determinate: abbiam visto Faggi e c’è Vanni.. Benissimo. En passant, o per lo meno così, trascorrendo, nel discorso, vi ho intrattenuti sulla assoluta inconsistenza dell’ipotesi accusatoria della setta satanica. E vi ho citato a questo proposito la Gabriella Ghiribelli, le sue non informazioni, perche una che dice: ‘ ho visto il cartellone, ho visto le candele, ho visto del sangue’ — su un letto dove c’è uno che sta morendo di cancro – mi sembra che sia un’informazione di nessun genere. Ma, soprattutto, l’inconsistenza della fonte — vi ho citato — rispetto all’alcoolismo di questa signora Gabriella Ghiribelli. E quindi, per questo aspetto di alcoolismo, è una fonte da cui bisogna diffidare. Sulle informazioni che lei dà riguardanti fatti, o che non dà — perché in realtà non dà informazioni valide – e figuriamoci sulle illazioni, sulle sue impressioni esoteriche. Vi ho sottolineato l’indigenza del Salvatore Indovino, che allontana assolutamente l’ipotesi che possa essere questo misterioso acquirente di feticci. E questo nascondervi che la casa di Faltignano sarà, con buona probabilità, un gran postaccio. Essendo abitata da uno sfruttatore della prostituzione, in formato sia pure squallido e meschino e da altri personaggi ai margini, quando non….. stavano addirittura dentro, del carcere: tipo il “Manuelito” con il suo camper. Insomma, una casaccia che con termine molto volgare – sono il primo a riconoscerlo – e dialettale si definirebbe un “puttanaio”. Discreto oggetto di indagine per reati ex legge Merlin, ma del tutto inconferente per quanto riguarda gli atroci delitti di cui, in parte e incoerentemente – cioè incoerentemente nel senso di modo parziale e disordinato – si sta occupando questo processo e questa Corte. E da questo punto di vista della parzialità di questo processo ho espresso critiche riguardanti la impostazione del Pubblico Ministero, critiche che già avevo fatto a suo tempo, e mi sono richiamato da questo punto di vista allo studio, alla relazione comparativa che mette insieme tutto l’arco dei delitti seriali, svolta dall’equipe De Fazio, dal dottor Nocentini e dal professor Bruno. Mi sono riferito alla perizia De Fazio e all’esame testimoniale di De Fazio, Luberto, Beduschi e Galliani e vi ho fino a questo momento solamente accennato a tutto questo: all’udienza del 15 luglio del ’94 l’esame dei suddetti professori in questo processo all’udienza 15 luglio ’94, processo Pacciani; udienza del 12 gennaio ’98, questo processo, fascicoli 77 e 78. Mi sono richiamato all’esame anche del dottor Nocentini, all’ udienza dell’11/12 — anzi meglio – mi richiamerò anche all’esame del dottor Nocentini: udienza dell’11/12/97, a fascicolo 65; e all’udienza del 16 dicembre del ’97, a fascicolo 68. Dico subito che il dottor Nocentini io lo trascurerò un po’ non perché meriti questa trascuratezza, ma perché il suo esame fu parziale; cioè a dire limitato soltanto ai delitti del ’74, dell’81 di giugno, e dell’81 di ottobre. Quando io dico che un esame serio, approfondito, vuole, deve essere fatto su tutti i delitti. Ma spero che voi integrerete questa lacuna, per il fatto di non parlarne approfonditamente, di quel che ha detto il dottor Nocentini, rileggendovi le sue dichiarazioni. Perché il. dottor Nocentini è molto interessante, e quello che disse all’epoca si è rivelato, purtroppo pre-cognitivo. Voglio dire, la sua attendibilità, l’attendibilità del dottor Nocentini è certificata, documentata dal fatto che egli, al termine della sua relazione, che ho allegato, disse: “Guardate, che quest’uomo colpirà ancora”. Si era ancora alla fine del 1981, inizi del 1982, e questa osservazione fatta dal dottor Nocentini sulla base di un panorama di carattere psico-patologico, o meglio psichiatrico, psicotico, perché lui lo qualifica un “paranoico definito” – dice il dottor Nocentini nella sua relazione – tutto questo quadro lo condusse a dire: “Attenzione, perché colpirà ancora.” Il che avvenne puntualmente. Quindi, è a dimostrazione, questo, del fatto che, come in altre cose, lo studio scientifico ci vede giusto. Gli scienziati e i tecnici sono gli auguri della nostra epoca, in definitiva. E voi sapete che gli auguri venivano interpellati anche nei processi, all’epoca degli antichi Romani. E questi nostri auguri, di questa nostra epoca, questi, nostri scienziati, tecnici, studiosi manifestano, tutto sommato, un certo progresso rispetto alla lettura delle viscere degli animali, del volo degli uccelli e dei tramonti. E qui, invece, rispetto a questo aspetto scientifico importante e significativo, vi si chiede di farne rigorosamente a meno. Ecco quella specie di invocazione che fa il Pubblico Ministero: “Guardate, che questa roba è sbagliata all’origine, sbagliata come impostazione.” Abbiamo visto che non era affatto sbagliata come impostazione, che rifletteva una tecnica che appartiene al di là dell’oceano; però questo significa che appartiene a chi il fenomeno lo ha studiato e approfondito. E non solo oltreoceano, ma dovunque si studia e si indaga sul serial-killer, sulla base di quella impostazione. E più o meno eravamo arrivati qui, a parte molte altre cose che vi ho detto e che spero rileggerete in Camera di Consiglio, per lo meno tutto quello che riguarda le indicazione degli atti. Indicazioni degli atti. Perché io, come avete visto, mi sono sempre fondato su dei fenomeni processuali che si sono verificati davanti a voi, ritenendo importante il dibattimento che vi ha impegnato per otto mesi. Cioè a dire, eravamo arrivati all’esame dell’alternativa: unico autore, più autori; seguendo i contributi degli specialisti che sono nove, in totale, compreso il dottor Perugini. Nove specialisti, non uno: nove. Contributi che non consistono solo in un’ipotesi investigativa, attenzione, di stile americano. E comunque, se qualcuno di voi ritenesse di avere a che fare solo con una sorta di fiction del genere, tipo il “Silenzio degli innocenti” — tuttavia buon film fatto da un ottimo libro di Tomas Harrys, il quale non è solo un ottimo scrittore, ma è anche un attentissimo studioso della materia — comunque, se qualcuno equiparasse questi studi, o pensasse che delle analisi di questi studiosi si possa farne a meno in questo processo, perché tanto sono americanate, quasi fantasia, più vicino alla fiction che alla realtà; e che sia invece, più proficuo affidarsi allo stellone italiano, nel senso di pretesa intuitività, abborracciamento, quando non grave negligenza, nella raccolta delle prove, materiali; e- che sia più- proficuo affidarsi alla fede cieca -e acritica rispetto alle parole smozzicate, confuse e contraddittorie di due prostitute le quali, fra l’altro, non dicono niente, fra parentesi uno sfruttatore dichiarato come tale, il quale non dice assolutamente niente nemmeno lui, e di due oligofrenici — oligofrenici, nel senso di ipodotati intellettualmente — di cui uno, però tuttavia furbastro, una lenza furbastra, profittatore, bugiardo cronico, e va be’, lo vedremo. Ebbene, se nella equiparazione dei materiali da esaminare e sui quali fondare una decisione serena, fondata, seria, la vostra bilancia pendesse dalla parte di questi signori, dalla parte di questa melma, di questo pattume probatorio, beh, secondo me sbagliereste, fareste un grave, gravissimo errore. Ecco. Vi ringrazio di avermi ascoltato fino a questo momento e spero che mi ascolterete ancora, perché ci sono molte cose ancora da dire. Allora, dicevo che Lotti in questo processo, oltre che giudice, sarebbe anche il perito dei periti con il suo sorridente faccione. Il complesso dei dati che sottopongo alla vostra attenzione, sono dati scientifici, nei limiti in cui si può parlare di scienza in cose di questo genere. Certamente, non scientifici come si può parlare di una formula matematica, o scientifici di come si può parlare di una proprietà riguardante un fenomeno di carattere fisico ma sono opinioni circostanziate di esperti, che si sono occupati dei casi, o meglio, del caso che è riconducibile ad unità sotto un profilo concettuale. Vedete, l’aspetto importante di questo esame e delle osservazioni che verranno fatte da questi signori che io vi sottoporrò, è questo: che queste persone hanno individuato un caso; un caso che ha queste tappe, ha questi momenti, ha queste cadenze: ’68; ’74; ’81, di giugno; ’81 di ottobre; ’82, di giugno; ’83, di settembre; 84, di luglio; settembre 1985, l’ultimo. Otto casi, otto delitti, una serie. E loro li hanno analizzati tutti. E loro, fra l’altro, rappresentano per voi, Corte di Assise di Firenze che deve giudicare Mario Vanni, l’unico elemento attraverso il quale voi potete recuperare questo, caso criminale, che è uno dei più atroci, dei più rilevanti di questo dopoguerra — in un paese che-, insomma, di cose criminali ne ha viste e piuttosto pesanti da un bel po’, voi avete, la possibilità di approfondire questo caso criminale solamente attraverso questi materiali. Voi sapete, su questo c’è stata, una polemica da parte di questo difensore, il quale all’inizio di questo processo ha cercato di fare intervenire anche quello che riguardava gli altri delitti e non solo di quelli di cui vi occupate. Ma questo, è rimasto, come dire, è stato escluso dalle vostre ordinanze. Ma lasciamo da parte quello che è l’aspetto processuale di questo fenomeno e lasciamo da parte fino a che punto sia consono alla materia di questo processo questo voler, da parte del Pubblico Ministero, dividere questi fenomeni e questi processi. Oltretutto contraddittoriamente, perché così non aveva fatto durante il processo Pacciani, dove Pacciani era stato imputato di tutti i delitti; e non perché vi fossero degli indizi a carico di Pacciani relativi a tutti i delitti, ma soltanto dalla constatazione che la pistola era la stessa e che questa pistola, questa unica arma da fuoco, riconduceva ad unità tutti i delitti. Dicevo, non piangiamo sul latte versato perché questa non è la sede di lamentarsi di un punto di vista parziale di questo processo. Spero che non ci sarà nessuna sede per lamentarsi; spero non dovermi lamentare della vostra sentenza e quindi nemmeno delle vostre ordinanze, bah, lasciamo da parte. Resta il fatto che concettualmente questa unità prima o poi la dovrete recuperare, altrimenti, voi non capite niente. Scusate se ve lo dico: altrimenti voi non capite niente. Non solo non capite niente, ma danneggiate fortemente il mio cliente: il povero Mario Vanni. Voi lo danneggiate fortemente! Vi faccio un esempio: voi sapete che da un certo momento in poi, si prospetta la tesi dello scopo di lucro, no? Ad un certo punto si dice: ‘questi delitti sono stati fatti per poi commercializzare quelle povere spoglie’. Io ho il diritto di dirvi: e come la mettiamo con il 1974? Come la mettiamo con il delitto che riguarda la Stefania Pettini, in cui l’assassino non toglie proprio niente e quindi non è in grado di vendere proprio niente? Non è in grado di commercializzare proprio niente ma si esprime sul cadavere di quella ragazza soltanto attraverso questo atto di disprezzo che lui ha per la donna? Eh, lo vedete, che da questo punto di vista, lo stralciare questo, esame, che è l’unico aspetto che riguarda la complessità dei delitti, dalle vostre valutazioni il ritenerlo il non cale, il trascurarlo, significa anche conflittare il diritto di difesa di Mario Vanni. Comunque, io vi ho parlato di opinioni di questi periti, di questi tecnici; ma sono opinioni soltanto? No. Sono anche esame e studio comparativo dei dati obiettivi. Per cui quando io vi ho parlato di questi periti, di queste relazioni, voi dovete immaginare… no, ritenere che a fianco a loro ci sono anche i medici legali. C’è anche Maurri, c’è anche la dottoressa Cucurnia, che voi avete ascoltato qui. Ci sono tutti i medici legali che hanno fornito, a volte addirittura affiancandosi a questi periti… nell’ultimo delitto, nel 1985, i periti De Fazio e l’equipe De Fazio hanno anche collaborato alle indagini necroscopiche, hanno visto concretamente i cadaveri e tutto il resto. Ecco, voi dovete ritenere che non c’è solamente questo gruppo di esperti con speciale riferimento all’aspetto della criminologia, ma accanto a loro ci sono anche i periti medico-legali. Quindi, non solo soltanto opinioni. È anche un esame comparativo di dati obiettivi che queste persone svolgono; intesa l’espressione “esame comparativo” nel suo significato letterale e autentico, non come l’intende il dottor Giuttari. Il quale, dottor Giuttari, viceversa, a me sembra proprio la quintessenza della soggettività sua, quando si esprime in termini di intuizione, intuitività, in termini di importanza che lui di essere rimasto colpito da… che fra l’altro sono tutte cose che a noi non ci interessano e non dovevano interessare nemmeno voi, essendo un testimone, ma insomma, salvo… Sono state lasciate andare un po’ così, quella specie di prerequisitoria, il dottor Giuttari, sulla quale ritorneremo. Quindi, proprio risultanze. Queste persone fanno un esame comparativo – vale a dire, mettendo insieme questo delitto, quest’altro, quest’altro, quest’altro, tutti e otto – centrato sulla obiettività. Cioè a dire, proprio sull’esatto contrario della soggettività: della Frigo che sente un boato e lo considera una serie di colpi; del Lorenzo Nesi che vede Vanni sbiancare; della Ghiribelli ubriaca marcia, che a distanza di dodici anni riconosce la piazzola di Vicchio, o è la Filippa Nicoletti? Insomma, una delle due. Oppure anche del signor Renzo Rontini e della sua signora, che a distanza di undici anni riconoscono il Vanni. Ecco. Allora vediamole queste cose. Presidente, mi fa fare un riposino?

Presidente: Sì, di dieci minuti, un quarto d’ora.  

Presidente: (voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: Grazie, Presidente. Allora, si tratta, dicevo, di esaminare insieme questi materiali, che sono quelli che da parte dell’accusa vi si suggerisce di trascurare, perché sarebbero fuorvianti, in sostanza. Devo avvertirvi che si tratta, nel suo complesso, di una indagine che non è stata svolta dai consulenti del Pubblico Ministero Fornari e Lagazzi, ai quali vengono proposti quesiti diversi su Lotti Giancarlo e su Pucci Fernando, salvo uno: cioè a dire sulla compatibilità, diciamo, così, della situazione psicologica di Lotti, o per meglio dire, più che psicologica, psicopatologica sotto il profilo sessuale, su questa compatibilità rispetto ai delitti. Ma nel proporgli questo quesito, il Pubblico Ministero fornisce a questi periti nessun’altra documentazione, come abbiamo saputo, oltre la sentenza di I Grado. Tanto che quei periti, Fornari e Lagazzi – i quali però hanno delle osservazioni piuttosto intelligenti anche loro, piuttosto importanti, sulla persona di Lotti in particolare, e le vedremo – questi periti si esprimono sul caso criminale, complessivamente, così come ve l’ho indicato dianzi, incorrendo in plateali inesattezze. La più importante delle quali è l’arma da sparo, che loro definiscono analoga in tutti i casi – analoga – quando noi sappiamo invece che è identica. E che, ovviamente, mancandogli quei dati medicolegali che sappiamo, non approfondiscono il significato delle escissioni. E, per esempio, non sanno nulla della lettera spedita alla dottoressa Della Monica contenente un frammento di seno. E insomma, tutto questo risulta dall’esame che abbiamo fatto e che, in particolare su mia domanda, è stato svolto nei confronti di questi periti. Quindi questi periti, al massimo, per quello che ci è utile, svolgono soltanto un’indagine sessuologica su Lotti e sulla sua capacità intellettuale e sulla capacità -intellettiva, non intellettuale – intellettiva di Lotti e di Pucci. Dicevo che questi rilievi scientifici hanno un aspetto, una connotazione su tutti i delitti e parliamone, prima di tutto, sotto un profilo di carattere generale. E che cosa si osserva nell’elaborato e nella esposizione orale della equipe di Modena del professor Bruno, del dottor Nocentini e anche del dottor Perugini? Il quale qui è venuto quasi in veste di esperto, chiamato da questo difensore. Osserverò en passant che, insomma, il fatto che l’altro regista, il regista delle indagini del caso Pacciani, sia stato chiamato dalla difesa di Vanni e non chiamato dal Pubblico Ministero, beh, insomma, vi dovrebbe in qualche modo fornire un dato processuale importante, su come il Pubblico Ministero ha impostato questo processo. Bene, il profilo generale sottolineato da questi studiosi riguarda la componente gratuita dei delitti: cioè non utilitaristica. Vi faccio un esempio classico, tratto dalla criminologia, come noi la conosciamo. Ci sono dei delitti, che sono avvenuti negli anni ’50 negli Stati Uniti, delitti piuttosto simili, che riguardavano delle coppie. Quindi, quando voi sentite questi studiosi dire ‘questo fatto delle coppie è unico’: è eccezionalissimo ma non è unico. Perché ci fu questo Caryl Chessman, che voi – beati voi, siete quasi tutti più giovani di me, forse il Presidente no, ma insomma, siamo lì – e non ricorderete. Io mi ricordo leggevo le cronache all’epoca e me ne appassionavo, anche perché fu un caso appassionante, perché questo in carcere diventò uno scrittore ultra pubblicato, miliardario, perché i diritti di autore erano miliardari, lui stava in America, beato lui, e si proclamava sempre innocente e tutto il resto. Ma lì, sia pure nei confronti delle coppie, c’era anche una componente utilitaristica, perché lui poi derubava le vittime. Noi, in questo caso, noi questa componente utilitaristica non la riscontriamo mai, né da un punto di vista di un’eventuale rapina, tant’è vero che non è contestata, altrimenti se ci fosse voi trovereste insieme al reato di omicidio e di vilipendio di cadavere trovereste anche il reato di rapina, né comunque finalizzato al lucro. Per esempio, sotto quale profilo? Per esempio sotto il profilo di mandato ad uccidere da parte di qualcuno, il quale prezzola delle persone perché uccidano, che diventano a quel punto dei sicari. Il Pubblico Ministero vi propone questa ipotesi, ma senza fornirvi nessun addentellato. O comunque, utilitaristica sotto un profilo di finalismo di carattere politico. Per esempio, delitti che potrebbero essere rivolti alla destabilizzazione, delitti rivolti a suscitare una sorta di panico nella collettività. Invece, questi periti, nel loro complesso, vi sottolineano una componente psicopatologica soggettiva di questi delitti. E di una psicopatologia particolare che inerisce alla sfera sessuale. Ora, questo tema, vi ha fatto intendere il Pubblico Ministero, atterrebbe al movente. E secondo quello che il rappresentante dell”accusa dice o non dice, per l’esattezza, o comunque lascia intuire, può darsi anche che io mi sia sbagliato, interpretando la sua trascuratezza nell’affrontare un tema di questo genere, insomma, siccome riguarda il movente, non ci riguarderebbe o ci dovrebbe riguardare “ad abundantiam”. Ecco, io volevo subito avvertirvi che non è cosi, prima di tutto da un punto di vista di carattere generale, come ricostruzione seria, motivata e attendibile di una serie di fatti, sottolineo la parola serie; e non è neppure così sotto il profilo di angolazione strettissima, che è il profilo che l’accusa vi propone, e cioè, di mero controllo delle dichiarazioni di Lotti. Perché Lotti ne parla. Ve ne parla dicendo o facendovi intendere, nel suo modo confuso, smozzicato, improprio, che vendevano i feticci al dottore. E quindi, si imponeva agli inquirenti, e si impone a voi oggi, l’analisi di questo aspetto anche sotto un profilo di riscontro, o mancato riscontro, di una dichiarazione fondamentale di Lotti. Vedano, il tema del movente è un tema molto controverso nella Giurisprudenza, con una Giurisprudenza, come al solito, altalenante della Suprema Corte di Cassazione, e credo che ve ne abbia in qualche modo fornito un esempio il mio collega avvocato Mazzeo, quando ha parlato lui. Ma questa altalena della Cassazione. sul tema del movente, sull’importanza dell’approfondirlo oppure no nei delitti di omicidio, io credo che corrisponda al fatto che non si può dettare una regola aurea valida per tutte le occasioni e per tutte le occasioni in tema di movente. Vi faccio un esempio, il processo che abbiamo citato l’altro giorno della signora Regoli. Lì c’è un delitto, un solo delitto, un solo delitto in cui esiste un morto, ci sono i sospettati, e naturalmente si può anche dire: l’avrà ucciso per lucro, l’avrà ucciso per liberarsi di un intralcio rispetto ad una relazione adulterina. Be’, insomma, a noi che ce ne importa? Tutto sommato il morto è lì, la signora è gravata da indizi e poi come si fa a entrare nella soggettività di questa persona e approfondire le ragioni profonde e serie per cui ha ucciso. Quello è un delitto. Vi faccio, invece, un altro esempio estremo di una serie di delitti commessi all’interno di un fenomeno di terrorismo. Una serie di rapine, una serie di omicidi e tutto il resto. E lì, proprio perché abbiamo di fronte la serie, viceversa, la base di partenza è proprio il collettivo, la struttura organizzativa; lo sappiamo benissimo, nelle inchieste di terrorismo il bandolo della matassa è sempre stato quello, è sempre stata la struttura collettiva organizzata che si organizza intorno a che cosa? Intorno allo scopo. Che si organizza intorno al movente. Scopo e movente non sono la stessa cosa, ma insomma, per intendersi. Quindi, collettivo e quindi finalismo politico che guida l’azione del collettivo; tanto che si è detto persino, e spesso – cioè a dire ci son sentenze a iosa – per cui dall’appartenenza al collettivo, dal ruolo rivestito all’interno del collettivo, se dirigenziale oppure no, nasce il concorso morale per il singolo imputato e per il singolo episodio criminoso. Quindi, il tema del movente si atteggia in un modo più o meno determinante a seconda della concretezza dei fatti di cui si deve occupare il Giudice. E quindi, perciò, in questo caso, avendo a che fare con una serie di delitti, avendo a che fare con una arma che è sempre la stessa e che li firma sempre, insomma, il tema del finalismo identifica un problema fondamentale di struttura dell’accusa. Ora l’accusa vi dice: non serial-killer, è un errore il serial-killer. Allora diteci qual è la connotazione finalistica di questi omicidi. Se voi ritenete che addirittura sia stato uno sbaglio iniziare le indagini sul piede della ricerca del serial-killer – e io vi ho detto l’altro giorno, venerdì, che non è avvenute questo, perché non si è mai ricercato davvero, secondo quelle connotazioni che vedremo, questa persona – be’, diteci allora qual è questo rapporto, questa relazione, questa situazione che in qualche modo uniforma tutti questi delitti, che li riconduce ad una unità concettuale, come dicevo prima. La risposta che viene data è assolutamente insoddisfacente. Prima di tutto perché è una risposta ambigua, cioè a dire alternativa, altalenante. Un po’ perversione, si dice, che quindi è un finalismo soggettivo, psicopatologico, chiaramente; un po’ lucro, banda organizzata a scopo di lucro per vendere i feticci al dottore. Beh, non sono mica due cose che stanno insieme. Sono due cose che si pongono concettualmente, logicamente, in maniera alternativa. Poi si cita Lotti, si dice: quelli che facevano gli garbava; quelli che guardavano idem, gli garbava anche a loro. Come dire, due forme diverse di perversione: da una parte il perverso attivo, dall’altra parte il perverso passivo che guarda soltanto. Beh, insomma, se fosse così, se l’accusa non si rendesse conto della intima debolezza di un’impostazione di questo genere, e quindi non cercasse di rinfocolare l’ipotesi attraverso lo scopo di lucro, per lo meno sapremmo da che parte difenderci. E invece no, siccome l’accusa si rende conto che pensare, ipotizzare, che un gruppo di persone, quattro, cinque persone o forse sei, siano capaci prima di tutto di incontrarsi, partendo da una perversione che li accomuna, soggettiva, così straordinaria – straordinaria lo dico e poi vedremo in che senso straordinaria – e poi, non solo di incontrarsi per l’ironia… non per l’ironia, per lo scherzo atroce di un destino che mette insieme dei personaggi di questo genere alla Cantinetta del Nonno di San Casciano, oppure al Bar Sport; ma poi che queste persone, a un certo punto, riescano a organizzarsi, a collettivizzare questa loro pulsione di carattere squisitamente soggettivo, a trasferirle in un’azione comune… Ma questo è fuori da qualsiasi logica di buonsenso. E allora ecco, a questo punto, a rimpolpare questa ipotesi degli “amici di merende”, in questo modo, o focalizzato in questo modo, riuniti, viene fuori la storia dello scopo di lucro. Comunque, in una situazione di questo genere, Signori, comunque sia, dando per ammessa qualsiasi possibilità, un approfondimento è necessario; ed è un approfondimento necessario, direi indispensabile per la vostra decisione, attraverso il quale però voi avrete anche l’effetto correlativo, come vi dicevo, di misurare l’attendibilità del signor Giancarlo Lotti, attendibilità di carattere generale e di carattere specifico rispetto a questa ricostruzione. E quindi non possiamo ritenere estranei al processo i materiali criminologici, psichiatrici, medico-legali, ma essi vanno esaminati ed interpretati secondo questa angolazione, perché il processo ne dispone, per fortuna, ne dispone in maniera rilevante, e si tratta di materiali utilissimi, come dicevo, per quelli scopi che riguardano il processo, di cui dicevo. Benissimo. E questi materiali li ho ordinati, prima di tutto sotto un profilo di carattere generale, poi sotto un aspetto che ho definito la eccezionalità; eccezionalità di che cosa? Eccezionalità dei fatti in sé, della serie; la ritualità, riguardante una connotazione fondamentale dei vari delitti; il perfezionamento che è ravvisabile via via, seguendo i vari delitti, perfezionamento dell’azione; tutto questo visto attraverso un esame di dati obiettivi, altri aspetti che vi dirò, e che qui ho indicato come una sorta di miscellanea di vari aspetti riguardanti i casi, che accrescono questi aspetti che dicevo prima di eccezionalità, di straordinarietà. E infine, la freddezza di questo autore. Per arrivare a definire che cosa? Per arrivare a definire e a concludere che tutti questi materiali lasciano in piedi una sola, non ipotesi, constatazione: che si tratta dell’’attività di una sola persona. Allora, vediamo. Cominciamo con la perizia del professor De Fazio e dei suoi coadiutori. A pagina 94 si dice che: “Questi delitti” – secondo questi criminologi — “appartengono ad una sessualità completamente o quasi narcisistica, che si appaga esclusivamente in fantasia e nella rievocazione e/o riproduzione di situazioni stimolo.” Cioè, di fronte alle escissioni questi periti hanno detto: perché? E hanno risposto: “rievocazione e/o riproduzione di situazioni stimolo.” Gratuità, quindi, non escissione di queste parti anatomiche allo scopo di procurarsi del lucro, ma allo scopo di rievocare il momento in cui la violenza si è scatenata e riprodurre la situazione. “Narcisisticamente”, secondo quel disturbo narcisistico di personalità che è previsto, contemplato e analizzato in psichiatria. “Tutto questo,” – suggeriscono, dicono questi periti – “indipendentemente da un rapporto interpersonale diretto” – cioè a dire, indipendentemente dall’esistenza di una relazione diretta fra chi agisce e le vittime – “e, ancor più, in modo relativamente indipendente” – questo è un dato molto importante – “dalle stimolazioni meccaniche sui genitali, quali avvengono nel coito, nella masturbazione.” Cioè a dire, abbiamo a che fare con una persona che agisce indipendentemente da una relazione interpersonale e che agisce indipendentemente anche da quello che in casi analoghi avviene, vale a dire, un rapporto di relazione instaurato eventualmente post mortem, attraverso il coito o attraverso la masturbazione. “Tanto che” – si conclude in questa pagina 94 della perizia De Fazio – “è lecito quindi supporre nell’omicida un habitus sessuale connotato da impotenza assoluta o da una accentuata inibizione al coito.” Ed ecco perché, e su questo sembrerebbe d’accordo persino il Pubblico Ministero, quando affida a Fornari e a Lagazzi una perizia sul Lotti per dire: questo è impotente, diteci se questo tipo di impotenza può essere collegato con i delitti. Ma questo qui, prima di tutto, trova questa connotazione descritta in questo modo, così bene sia pure sinteticamente, dal professor De Fazio, un contrasto che più netto non potrebbe essere con quel raccontino che ci verrà a fare la Sperduto; al quale io non credo assolutamente, come non credo a una parola di quello che ha detto la Sperduto, per le ragioni che dirò quando esaminerò specificamente questo testimone – brevemente, perché non merita molte analisi, molte considerazioni. Cosa vi racconta? Vi racconta un fatto in cui c’è due persone che si masturbano. E questo non potrebbe essere più contrastante con una connotazione fondamentale di questi delitti, rispetto ai quali, da un punto di vista oggettivo – e mi dispiace dovere plagiare un po’ il dottor Giuttari, che lo inflaziona un po’ questo termine – sono connotati dalla assoluta assenza in tutti i casi di tracce di sperma provenienti sia dalle vittime che dall’autore. Ora, voglio dire, uno può essersi asciugato, mi dispiace entrare nei particolari, però una traccia in otto delitti – ecco l’importanza di questa riunione – una traccia la troveremo. Se questi sono dei perversi del tipo che ci descrive la Sperduto, di due che spogliano una donna, fanno spogliare una donna e poi si masturbano, insomma, allora, almeno questo. E invece, qui, la prima annotazione di carattere negativo rispetto a quella attendibilità di cui parlavo prima, che riguarda in questo caso, specificamente, la signora Sperduto, ma che ha a che vedere, evidentemente, anche con il Lotti. Poi ancora, in linea generale, sottolineando questo aspetto psicopatologico, perché la definizione è questa, qui siamo di fronte a dei delitti nascenti da una psicopatologia, così dicono i periti De Fazio, e su questo non transigono: psicopatologia di tipo sessuale. “La scelta accurata dei luoghi, una notte buia di fine settimana,” – questo lo trovate ancora nella perizia De Fazio – “la casualità dell’individuazione delle vittime” – beh, su questo io avrei qualche dubbio, anzi, molti -“avvalorano la tesi che i delitti siano opera della stessa persona, suggerendo l’assenza di complici che in presenza degli imprevisti avrebbero collaborato.” Ecco, questo è un punto fondamentale che riguarda, per esempio, gli Scopeti. Questo scappa dalla tenda, e la collaborazione dell’altro dov’è? Qui si vuole, come dire, cercare di introdurla, di immaginarla, ma non c’è, non esiste. Fossero stati tutti e due lì alla tenda, lo fermavano prima che arrivasse lontano, no? Una persona sola si può sorprendere, ma due? E dicono ancora: “Qualificazione del duplice omicidio come delitto sessuale, ‘lust murder’, ribadendo che siamo più che fondatamente nell’ipotesi di uno stesso e unico autore.” Ancora, con riferimento a questo aspetto psicopatologico, psicotico, addirittura vicino alla psicosi, la perizia De Fazio dice: “Il soggetto è andato incontro ad una progressiva espressione a sapore paranoideo, perché volta a sottolineare il suo vissuto di onnipotenza.” Vale a dire, individuano, il professor De Fazio e gli altri, una persona che gradatamente è andata accrescendo la sua sicurezza, fino a rasentare quello che indica con la espressione: “delirio di onnipotenza”. Beh, a questo punto, un momentino di riflessione sul signor Mario Vanni.

Mario Vanni: Sì, sì.

Avv. Nino Filastò: Si sente onnipotente lei, Vanni?

Mario Vanni: Come?

Avv. Nino Filastò: Si sente onnipotente lei?

Mario Vanni: No, no.

Avv. Nino Filastò: No, non si sente onnipotente, no. Mi sembra anche a me che non lo sia, ora poi magari, qualche giornale scriverà che ho fatto un colpo di teatro. No, non è un colpo di teatro è semplicemente una constatazione in corpore vivi, come si dice. Ma questo accrescimento, questa sicurezza . aumentata, fino a quel che loro definiscono come “delirio di onnipotenza” è una cosa che si inventano? È un’opinione soltanto? No. Appartiene ad una constatazione. Perché vi ho detto che queste perizie, questi materiali – se non ve l’ho detto, ve lo dico ora – voi li potete vedere secondo questa doppia angolazione: da una parte le opinioni che questi esprimono, dall’altra l’esame comparativo che riguarda fatti, situazioni, emergenze, e che è quello che certamente a voi darà, come a me dà, maggiori garanzie di attendibilità e di serietà e di analisi dei fatti. “Ebbene” – dice la perizia De Fazio – “l’invio della lettera alla dottoressa Della Monica chiama in causa sentimenti e atteggiamenti di sfida, provocazione, di affermazione della propria onnipotenza, ovvero il tentativo di sviare le indagini.” Voglio dire, che ci sia stato questo invio, che questa lettera ci sia stata, che in questa lettera il mittente abbia voluto significare agli inquirenti: oh, guardate che sono io, eh, guardate che sono io che vi sfido e che mando a questa signora questo reperto che voi potrete fare analizzare, vedere che coincide, come infatti è avvenuto. ‘Sono io’. E perché ‘sono io’? Che significato ha questo? È una sfida, è chiaro che è una sfida. È chiaro che è una sfida che, fra l’altro, ha a che vedere immediatamente con questo disprezzo che lui ha per la donna, per 1’elemento femminile in generale, per la donna in generale. La odia, non c’è niente da fare, su questo non c’è dubbio. Ed è per questo motivo che ha visto giusto il dottor Nocentini parlando di “paranoico”. Ed è per questo motivo che ci vede giusto la perizia De Fazio, parlando di “sapore paranoideo”, che è una forma diversa – siamo nel campo della psicopatologia – sia pure attenuata, ma della medesima diagnosi che si propone allo stesso modo. Una persona che, a un certo punto, si sente così: il re dell’universo. Dice super-uomo. Macché super-uomo. Ma chi ne ha mai parlato di superuomo. Lui può darsi che si senta il super-uomo, poi sarà l’individuo più mediocre, più insulso, più basso di questa terra, perché certamente è tale. Ma da un punto di vista soggettivo, tutti questi anni in cui nessuno gli ha messo le mani addosso, a un certo punto, via via, gradatamente… Io sto parlando di tutti questi anni fino all’85, perché fino all’85 nessuno lo prende; poi dopo si sa che è stato preso Pacciani, comunque lasciamo perdere Pacciani, è morto, qui non ne possiamo parlare, non ne dobbiamo parlare: lui, sarà lui? Mi riguarda poco. Per me non è lui, ho scritto un libro che si intitola “Pacciani innocente”, va be’, voglio dire. Questa persona, alla fine, verso quell’anno lì lui si sente proprio… E allora dice: O pigliami, se ti riesce, dottoressa Della Monica! Tu che mi hai sfidato, quando hai suggerito di scrivere a certi giornalisti che il ragazzo aveva parlato, per stanarmi. E c’era quasi riuscita, la dottoressa della Monica, fra l’altro. E lui: ‘eccomi qua!’ Che significato volete dare a questa lettera? La dobbiamo lasciare così, per aria – come fa il Pubblico Ministero, che non ne parla nemmeno -come se fosse una cosa qualsiasi? “L’autore” – dice ancora De Fazio all’udienza del 15 luglio del 1984 (N.d.t. 1994), processo Pacciani – “da noi ritenuto unico per i motivi detti, rientra per dati di personalità in campo psicopatologico, che si riflettono su tante cose, sessualità compresa.” E per quali motivi dice questo il professor De Fazio? Eccoli. Ancora, verbale del dibattimento del processo Pacciani, udienza 15 luglio ’94, fascicolo 74, pagina 68: “La dinamica dell’azione dello sparare e la dinamica dell’azione dell’escindere non sono assolutamente tali da poter autorizzare l’ipotesi di due persone diverse.” E allora a questo punto cominciate a misurare Lotti, no, e la filastrocca della “lepre pazza, lepre pazza, mana piazza, mana piazza; uno lo vide, l’altro l’ammazzò, uno la scorticò…”. No? “La dinamica dell’azione dello sparare e la dinamica dell’azione dell’escindere” – sta parlando di dinamiche, di constatazioni – “non sono assolutamente tali da poter autorizzare l’ipotesi di due persone diverse.” Mi sembra abbastanza secco, no? Fascicolo 74, pagina 68 del dibattimento Pacciani; udienza 15 luglio ’94. Ancora, Galliani, esplicitando in che senso questa dinamica è riconducibile ad una sola persona, dice: “Uccidere significava i preliminari del fine di quell’azione, mentre l’azione di escissione riguardava la realizzazione dell’equivalente sadico dell’atto sessuale.” Quindi, l’escindere quelle parti è l’atto sessuale : di quest’uomo, di questa persona – secondo il professor Galliani – il quale in questo modo sostituisce l’atto sessuale che lui evidentemente non può o non vuole fare. “Sono” – dice – “due tempi diversi, motivati in modo diverso dalla stessa mano.” All’inizio c’è l’uccisione con la pistola; per fare che? Per precostituirsi la possibilità di compiere le escissioni. “Spara e compie le escissioni la stessa mano”, dice Galliani. Ipotesi? Teorie fondate sulle elucubrazioni soggettive o pseudoscientifiche di chi si esprime in questo modo? No. È la stessa arma da sparo che noi vediamo in funzione e vediamo l’arma da sparo in tempi anticipati rispetto alle escissioni; questo è storico, no? Questa è storia dei delitti. Salvo che nel delitto… pardon: mai, mai. Avete mai visto l’arma che spara dopo, per esempio? Voi vedete che c’è un’azione in cui prima si dà la morte e dopo si estrae il corpo della vittima, lo si porta lontano dal partner e lì si compiono le escissioni. Il professor Bruno, poi, qui nel dibattimento al processo Vanni, e qui lui si trova in qualche modo, anche in maniera robusta, a contrastare quello che in questo processo, nell’ipotesi del Pubblico Ministero, è l’azzeramento della evidenza psicopatologica di questi delitti; e parlo di evidenza, evidenza, pensando a quelle foto, pensando alle connotazioni di quei delitti. E questa indagine catabolica, nel senso di distruttiva, del processo Vanni è questo aspetto di patologia psicologica che ha annullato, azzerato, creando un vuoto spaventoso. Macché, secondo il Pubblico Ministero: si va a “fare il lavoretto”, secondo l’espressione “lottiana”. Ed è giusta la citazione del collega, da Hitler: più le sbagli grosse e più è difficile contrapporvisi”. Che si deve dire su una cosa di questo genere? Guardatevi le foto, guardatevi i fascicoli fotografici. Il professor Bruno diceva: “È un serial-killer11 — fascicolo 78, pagina 98 — “quindi direi unico. Ci son moltissimi elementi che. fanno pensare all’azione di un’unica persona, che ha individuato come obiettivi del suo delirio delle coppie e che ha esercitato una ritualità omicidiaria tale da essere inequivocabile per il significato patologico che gli è connesso, e che è un significato evidentemente di natura sessuale e che trova il suo humus in una patologia di base ovviamente della persona che compie questi atti. E quando dice “unico”, certo è unico; per fortuna non ce n’è mica tanti, vero, come questa persona. “La patologia, quale essa sia da un punto di vista eziologico” – noi non lo possiamo sapere – “se è tale, non è compatibile con un gruppo.” È questo che sto cercando di dirvi. Ed ecco, allora, la ragione. Voi capite che questo gruppo, che questo azzeramento dell’aspetto psicopatologico voi capite che è un artificio del Pubblico Ministero, dell’accusa portata ai “compagni di merende”. La evidenza psicopatologica viene annullata artificiosamente, fino a rifugiarsi su un concetto banale e atecnico di perversione, che non è da salotto: è da cucina, scusate. Questo concetto di perversione che vi fa così, appellandosi sulla parola “è un perverso” – come dire: “… è un perverso” – a me sembra tutto questo che, senza voler forzare, senza che nessuno se ne abbia a male, a me pare che questo esprima una certa volgarità culturale, che è assenza di documentazione, di studio, è rifiuto di ragionare seriamente, è offuscamento anche dei sensi, anche di quello della vista, prima di tutto – quella vista che viene così colpita dall’esame di quei fascicoli fotografici – del buonsenso. Ma vi sembra che dei campagnoli normali possano fare quelle cose lì? Possano fare il “lavoretto” di Lotti? Comunque, continuiamo a lasciar parlare gli esperti, perché è meglio che parlino loro che non questo avvocato, che certamente non è del mestiere; anche se, insomma… è meglio, sì, perché sennò va a finire che mi sento salire l’irritazione. Perché, alla fine, sempre il rifiuto della cultura così mi irrita; mi irrita chi mette nello stesso calderone la convenienza con la convinzione, e quindi andiamo avanti a far parlare queste persone. Il De Fazio, fascicolo 77, pagina 15, verbale di dibattimento di questo processo, verbale di . dibattimento del processo Vanni, fascicolo 77, pagina 15, dice: “Nella serie…”, virgolette. Tutte queste cose sono cose che vi riferisco sono tutte fra virgolette. “Nella serie di lesioni che le vittime presentavano sussistevano caratteristiche tali da consentire di ipotizzare che si trattasse di una mano sola… Dall’analisi dei singoli episodi delittuosi si sono rilevate le stesse condizioni ambientali e situazionali. Questo è molto importante in ordine al fatto che si trattasse di una sola persona.” E Luberto, ancora verbale di dibattimento Vanni, fascicolo 78, pagina 5: “La ritualità dell’azione dell’omicida deve essere | intesa nel senso che la motivazione ad agire assume quasi il significato di una coazione a ripetere con una dinamica analoga azioni simili, motivate dalla stessa spinta pulsionale, conflittualità intrapsichica.” Ecco che qui il perito, che è perito psichiatra, specialista in patologia della psiche, vi dice: qui noi riscontriamo una certa ritualità, che è quella che vi ha detto anche il professor De Fazio. Vale, a dire, questa espressione del professor Luberto spiega e approfondisce meglio quella espressione di prima del professor De Fazio, il quale dice: “Dall’analisi dei singoli episodi delittuosi si sono rivelate le stesse condizioni ambientali e situazionali. Questo .è molto importante in ordine al fatto che si trattasse di una sola persona.” Cerchiamo di spiegarci meglio, cerchiamo di leggerle approfonditamente queste parole del professor Luberto. Questa cadenza sempre uguale, questa scelta di situazioni analoghe, indica quella – che poi vedremo meglio, cercando di spiegarci meglio, nel concreto, da che cosa sia apprendibile – quella che si definisce con termine tecnico “ritualità”. Ora, la ritualità non ha niente a che vedere con i riti magici, proprio assolutamente nulla. È la ritualità che ci appartiene anche a noi, specialmente in epoca adolescenziale. Quella, per esempio, di stare attenti a non pestare le righe mentre si cammina per la strada, perché lo si considera qualcosa che porta male o che in qualche modo ci danneggia. Ciascuno di noi ha una sua ritualità di comportamento, nel modo di farsi il caffè, di prendere il caffè a una certa ora, di compiere le azioni quotidiane in un certo modo. C’è chi, per esempio, non passa mai sotto una scala. Insomma, tutte quelle cose che a un certo punto ci consentono di, come dire, mantenere fra noi e l’ambiente circostante e quello che ci circonda, e 1 il fato, e le eventuali situazioni di scarogna, stesso tipo fisico di donna. Io poi, va be’, ce ne sarebbero anche altre di cose da inserire qui dentro, tipo la storia dei film, ma insomma, questo avete detto che non è il caso di parlarne e non ne parlerò, avete ragione. C’è, quindi, una dinamica analoga ed una sorta di “coazione a ripetere”, quella che il dottor Perugini vi ha definito “memoria muscolare”. Coazione a ripetere, appunto, come una persona che, perché le cose gli vadano bene, deve far sempre le stesse cose, più o meno. Sceglie gli stessi luoghi. E lì, ancora: andateci. Guardate fino a che punto l’ambiente è analogo. Dovunque lo spazio è. scoperto. Allontanate dalla testa, se non ci siete stati, l’ipotesi del macchione, del posto ristretto dove la macchina si è infilata. Non è mai così. In tutti questi delitti, ma in quelli di cui vi occupate, almeno. Allora, su questo poi, ancora in linea generale, rileva il professor Luberto: “La freddezza di tipo quasi psicotico dell’omicida.” E su questo punto tutti gli scienziati che si sono occupati di questi casi sono concordi, ne parlano in termini di evidenza. E a questo punto vi spiegano anche il perché della serie. Perché la serie? Perché questi omicidi uno dietro l’altro, in questo modo, con queste cadenze che da un certo momento in poi infittiscono. Perché infittiscono; lo vedremo parlando di un’altra situazione. Perché la spinta, quasi una coazione, è pulsionale. Cioè a dire, come dice Luberto, “intrapsichica”, vale a dire: appartiene alla psiche. Non appartiene al gruppo, perché il gruppo non ha psiche, il gruppo, non esiste una psiche collettiva di un gruppo. È una ipotesi assurda, scientificamente. E se appartiene, come dice Luberto, ad una spinta pulsionale, ad un impulsò cioè, che partecipa di una conflittualità – patologia intrapsichica – ma . la domanda, a questo punto, rispetto all’ipotesi del gruppo degli “amici di merende” è condivisibile? È collettivizzabile questa spinta pulsionale? Può riguardare per uno straordinario scherzo maligno della natura, o della sorte, del destino maligno, un gruppo di persone: Pacciani, Lotti, Vanni, Pucci, Faggi, e chissà chi altri? E la risposta è nettamente: no. Questo, in linea generale. Mettendo l’accento e, secondo il punto di vista di questa spinta pulsionale appartenente ad una conflittualità intrapsichica all”interno della quale noi dobbiamo riconoscere con evidenza la ragione di questi delitti e di questa serie di delitti. Ma c’è di più. C’è un aspetto ulteriore che riguarda la eccezionalità di questa spinta pulsionale, di questa conflittualità intrapsichica: il suo aspetto non comune. Non abbiamo una persona che uccide delle donne purché sia. Ha detto un filosofo francese, si chiama Baudleiard (?), ora così, tanto per dare spazio a quelli che dicono che fo le citazioni, frase che mi rimane sempre impressa: “Nous avons produit le sens de la distance par la débàcle du présent”: abbiamo perso il senso della distanza per la sconfitta del presente. E qui, a noi, in questo processo, il rovinio – scusate – la volgarizzazione, l’annullamento, la distruzione operata dal Pubblico Ministero, rispetto a quelli che sono gli aspetti seriamente e obiettivamente scientifici di questi delitti, ci ha fatto perdere di vista la distanza. Ci impedisce di veder le cose con quell’ottica, con quello sguardo distante, che è tipico di chi voglia capir qualcosa. Perché prima di andar vicino a analizzare, andar lì a vedere le bucce della Sperduto o della signora Frigo o del Lotti o del Pucci… No, voi dovete recuperare questo senso della distanza in questo processo. E se voi lo recuperate, voi condividete quel che ha detto il dottor Perugini nella sua deposizione in questo processo, nel fascicolo 80, il giorno che lui è stato sentito. Qui manca il dato. “Il mio convincimento” – dice – “era che la fantasia ossessiva che poteva spingere una persona a fare quel determinato tipo di delitti era una cosa talmente intima, che è difficilmente condivisibile.” Dove intima sta per personalissima, eccezionale. Poi, il dottor Perugini, nella sua ricerca, a mio parere tendenziosa e inesatta, ricercherà questa straordinarietà, questa fantasia ossessiva, in Pacciani attraverso il suo vissuto, certamente singolarissimo, vale a dire l’uccisione del Bonini. E quindi focalizzerà la sua attenzione, il dottor Perugini, su questo seno sinistro che la ragazza del Pacciani, la Bugli, avrebbe esposto all’amante, che poi avrebbe in qualche modo – questa visione orribile che lui dice, eccetera – avrebbe poi cagionato… lo avrebbe, come dire, portato quasi coattivamente a ripetere quel gesto di uccisione nei confronti della coppia. È un’opinione che io non condivido affatto; è un’opinione che io ritengo assolutamente fuori dalla realtà perché quell’omicidio del Bonini era un omicidio di impeto, veniva da una crisi di gelosia, di possesso che questo contadino aveva nei confronti di questa donna, si vedeva spossessato, quindi ha visto il rivale… Tutta una cosa diversa rispetto alla freddezza di questo omicida. Poi, tutte valutazioni che qui è inutile fare, perché Pacciani è il Pacciani. Qui siamo di fronte agli “amici di merende”, no? Sono gli “amici di merende” che vengono processati, vero? 

Mario Vanni: (voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: Però, sul piano di una prospettazione, un suo minimo valore quella ce l’aveva. Ma qui… Allora la distanza, dicevo prima. La distanza che vi deve far osservare qualche cosa. Eccola qua: De Fazio. Fascicolo 74, pagina 35, verbale di dibattimento processo Pacciani: “Nella storia criminale di ‘lust murder’ dei serial-killer non abbiamo la persona che sceglie le coppie: sceglie la donna, dove gli capita.” Ecco cosa voi dovete recuperare, ripeto, questo dato che sembra sostanzialmente inutile, scontato. Ammazza le coppie, va be’, sì, ammazza le coppie… Elemento di straordinaria significazione. È un elemento che individualizza i delitti e li rende unici nella storia criminale. Capite? Perché, disgraziatamente, di serial-killer ce n’è tantissimi, purtroppo; e non solo negli Stati Uniti e non solo in Giappone, anche in Italia, che è al terzo posto nel mondo. Ma nella, non nella stragrande maggioranza, nella quasi totalità dei casi si colpisce, si aggredisce la donna o l’uomo, ma mai la coppia come tale; presa, cioè a dire, proprio nel momento dei preliminari amorosi. Questo non è solo eccezionale, è eccezionalissimo. Questo deve esser chiaro. Questo recuperare questo aspetto dei delitti, recuperare questo senso della distanza che vi consenta di individuare, identificare questa situazione assolutamente unica, o quasi, salvo quel caso di quarant’anni fa e passa, quasi cinquanta, che riguarda Caryl Chessman – ma che aveva fra l’altro delle connotazioni molto diverse perché lì quello poi, fra l’altro poi, stuprava la ragazza, eccetera – eh, vi deve individuare proprio l’aspetto eccezionale di questi delitti. E quando voi lo avete individuato come tale e visto come tale, non in un delitto, non in due, ma in otto duplici omicidi, in tutta la serie, voi a questo punto siete in grado di farvi questa domanda: i “compagni”, gli ’’amici di merende” che ogni tanto decidono di andare a fare “il lavoretto”, come dice quel volgare bugiardo del Lotti, volgare, scoperto bugiardo – non c’è, nemmeno stamani, scomparso un’altra volta – per vendere i feticci al dovizioso dottore, o perché sceglierebbero le coppie? Per creare delle difficoltà in più? Ma ce ne sono di prostitute, ragazze sole. Il fatto è che, invece, c’è una scelta, delle coppie; e questo è obiettivo, non è opinione, questa è una constatazione fondamentale. Caso mai l’opinione può riguardare il perché scelga le coppie. E qui, se volete – se volete sennò dite: no, non ci interessa – io posso fornirvi la mia spiegazione, quella di Nino Filastò. Le sceglie, e in macchina, perché si esibiscono. Le sceglie in -macchina perché sono persone che danno scandalo. Le sceglie perché lui si sente il ragazzo che una volta è stato scandalizzato. E forse la sua scena madre da cui nasce questa gravissima, atroce psicopatologia, non è quella che immaginava il dottor Perugini, ma è una madre vista in un rapporto di un certo tipo su una macchina, in quell’età prepuberale in cui queste cose si incidono gravemente. Ma questa è un’ipotesi, questa è un’ipotesi che vi affido così come uno che questi casi li ha un po’ studiati da un punto di vista così, di suo interesse, se si vuole, letterario, giornalistico; si può benissimo farne a meno, ma il dato obiettivo no, di quello non ne potete fare a meno: la scelta è delle coppie e come tale è eccezionale; non eccezionale: eccezionalissima, straordinaria, unica. Il dottor Perugini vi dice: “La mia conclusione fu di un portatore di una precisa fantasia.” Che lui individuò in questa faccenda del seno sinistro della Bugli. “Un certo tipo di fantasia sadica” – e questo certo tipo di fantasia sadica riguarda, come dicevo prima, la scelta della coppia – “è difficilmente condivisibile con altri.” Ma questo chi lo dice? Il difensore di Vanni? Lo dice il dottor Perugini, lo dice una persona che è stata a contatto con questi delitti per anni e anni, molto di più di quello che abbia fatto il dottor Giuttari, che è arrivato fresco fresco nel 1985, il quale se ne è occupato perché c’era una sentenza che diceva: ‘vai e cerca i compagni di merende’.. E lui è andato e li ha cercati, li ha anche trovati, eh. “Quando dico difficilmente” – dice il dottor Perugini – “dico che le probabilità sono a favore del fatto che quella fantasia è mia e basta.” Il professor De Fazio, dice la stessa cosa, in questo dibattimento, fascicolo 77, pagina 22, e il professor De Fazio ha di fronte un’accusa che si è strutturata sugli “amici di merende”, vero, quindi ha anche, come dire, insomma, un certo riguardo a dire: ragazzi, qui proprio stavolta avete proprio sbagliato, proprio in pieno. Insomma, non si può dire, vero. Ci si può esprimere in termini, come dire, molto più edulcorati, come fa in realtà il professor De Fazio quando dice: “Il fatto singolare della serie di delitti è che l’uccisione della donna avviene quando la donna è in coppia, in fase di accoppiamento. Questa è la singolarità.” Mah, chi ha orecchie intenda, eh: “singolarità”; fascicolo 77, pagina 22. E ancora, il dottor Perugini, fascicolo 80, pagina 53, verbale di dibattimento di questo processo Vanni: “Ci trovavamo di fronte ad un autore che usava la stessa arma, quindi probabilmente era lo stesso autore che sceglieva come bersaglio la coppia, però la sua attenzione era sull’elemento femminile della coppia.” Capite? Stessa arma, scelta di coppia. Perché c’è anche quest’altro aspetto che accresce la singolarità del fatto: la scelta della stessa arma da sparo. O provateci – scusate, sennò dice il Presidente che intimidisco la Corte, ma ogni tanto scappa -voglio dire, provate a scrivere in una sentenza che questa scelta è: eh, perché c’avevano quella, gli “amici di merende” avevano quest’arma qui e che dovevano fare? Come se fosse difficile, vero, procurarsene un’altra per confondere le acque, per evitare di essere presi, per evitare dì far capire agli inquirenti che quel delitto era stato Commesso dalla stessa nano, dalle stesse mani di chi ha commesso quell’altro. E gli “amici di merende” se esistono; e non esistono gli “amici di merende” che fanno cose di questo genere, sarebbe la prima volta al mondo, accidentaccio! E gli “amici di merende” che fanno cose… dice: be’, insomma facciamola cosi, la prossima volta usiamo un fucile, quello da caccia di Pacciani, che tiene attaccato dentro la cassa sua, o quello con cui -che lo so, io – il Faggi va a sparare… che lo so io a che cosa! No: stessa arma. Non solo, Signori, stesso tipo di proiettili con la “H” della Winchester che non li fabbrica più dal 1981. E lì proprio siamo a qualcuno che, a un certo punto, spedisce il frammento di seno alla Della Monica con lo stesso, preciso scopo: attenzione che sono sempre io, eh. Queste cose non hanno il significato, il tono dell’evidenza? Ancora il dottor Perugini, verbale di dibattimento del processo Vanni, quando espone il concetto di firma, come le caratteristiche del delitto che identificano l’autore. “La firma” – dice – “è il complesso di quei comportamenti che non sono finalizzati alla commissione del delitto – quindi la economicità del gruppo dei “compagni di merende” a scopo di lucro, ma insomma, che senso ha? – “e pur tuttavia vengono posti in atto comportamenti che tradiscono una precisa fantasia.” E qui fermiamoci un attimo su questo termine “fantasia” che il dottor Perugini usa diverse volte. Non è la fantasia di chi dice: io mi metto • a fantasticare, una bella storia, una bella novella, un bel racconto e fantastico su… No, la fantasia è la fantasia ossessiva del malato di mente. La fantasia è la fantasia di chi, a un certo punto, sta lì dentro il suo guscio di persona ottenebrata da questa situazione di tipo psicopatologico – la pazzia è la cosa più orrida che possa capitare a un uomo, è la cosa più terribile – e sta lì e pensa e riflette e immagina e si figura questa cosa, ossessiva, finché proprio non ne può più e esplode e va. Questa fantasia, questa è la fantasia del dottor Perugini. “L’omicida si pone in una condizione” – dice il professor Bruno – “da cui possa controllare tutti i luoghi di accesso al luogo in cui compie l’omicidio; questo denota uno studio attento del luogo. Le escissioni chirurgiche sono compiute con una certa abilità.” Ecco tutti altri fenomeni, oltre quello che vi ho detto che riguarda la scelta delle coppie, che riguarda la scelta della medesima arma, che denotano la eccezionalità di questi delitti. “Opera in maniera organizzata perché riesce ad avvicinarsi alle coppie senza che queste lo percepiscano.” Vorrei sapere come fa, io; poi farò anche una mia ipotesi su questo punto, sempre avvertendo che si tratta di un”ipotesi di Nino Filastò – che si tratta di un poliziotto, accidenti! e la sosterrò con alcuni poveri dati che mi sembra di aver rilevato fra i relitti. Certo è che qui, questo è uno che arriva lì, non a distanza, eh, non quanto da qui a quei signori della Polizia, per carità, non ce l’ho certamente con voi; eh, no, a distanza quanto da qui a qui a sparare, senza che nessuno faccia un gesto, nemmeno i ragazzi di Baccaiano, nessuno. “Le escissioni chirurgiche sono compiute con una certa abilità. Opera in maniera molto organizzata perché riesce ad avvicinarsi alle coppie senza che queste lo percepiscano. Riesce ad andarsene senza lasciare testimonianze affidabili o tracce, pur portandosi via, in quattro casi, dei feticci piuttosto voluminosi.” Super-uomo? E chi l’ha detto? I matti sono i superuomini? I matti, quando sono a questo livello, sono delle belve, sono delle calamità, delle forze della natura. Sono il sasso che rotola, che schiaccia una persona che si trova sotto a passare per la strada, che ha avuto la sventura di incontrare per la strada questo personaggio, che ha avuto la sventura di essere seguito da questo personaggio, come Pia Rontini venne seguita. Eh, be’, è come trovarsi mentre crolla una casa, che c’entra il super-uomo. Poi il professor Bruno indica, fascicolo 78, pagina 99, verbale di dibattimento del processo Vanni, “…la eccezionalità del modus operandi, omicidi che hanno tutti una stessa matrice per quanto riguarda il modus operandi, e che hanno tutti un significato molto omogeneo all’interno di questa comparazione che vi dicevo. E l’omicida di distingue anche per un altro aspetto estremamente importante: la grande capacità di autocontrollo e la grande capacità di volgere a proprio favore e affrontare gli imprevisti che nella lunga catena di omicidi si sono talvolta verificati.” Grande capacità di controllo della situazione, grande calma durante gli omicidi e queste sono doti assolutamente non comuni. E da questo punto di vista – anticipando un momento il romanzo su Baccaiano che vi farò, che non sarà per niente un romanzo ma sarà un’analisi obiettiva dei fatti che vi farò in prosieguo – eh, lì quale è stato l’imprevisto? L’imprevisto non è stato il ragazzo che si è messo alla guida, no, l’imprevisto è stato lui che è andato a finire nella cunetta e non è stato in grado di andarsene. E l’altro imprevisto, però quello più grave, è stato che, lì, in quella immediatezza, sono confluiti su quel posto almeno otto persone, ma nell’immediatezza, eh. Alcune di queste persone avevano sentito gli spari e questo è riuscito a dileguarsi. Ecco, da questo punto di vista Baccaiano diventa uno dei dati più importanti per individuare questa persona per questa sua capacità di autocontrollo, per questa sua capacità di relazionarsi alle condizioni, alle Situazioni di un certo fatto, di un certo fenomeno e reagire in maniera perfetta. Come avrà fatto? E questa alta organizzazione, secondo me – ma direi, secondo l’evidenza – esclude Pacciani, Vanni, Lotti, Faggi. Nonostante l’assenza di indagini specifiche, perché voi sapete che, a parte quella indagine psichiatrica che è stata fatta sul Lotti, poi gli altri non si sa di che panni si vestano, da questo punto di vista qui; altro che sapere che il Vanni è proprio uno che a un certo punto abbia questa capacità di autoregolarsi rispetto a situazioni obiettive, l’avete visto in quel dibattimento, l’avete visto quando parlava col Presidente. Qual è la povertà non solo del suo linguaggio ma della sua mente; la sua incapacità, la sua rigidità mentale. O quando lui continua a dire: ‘ma a me io a parte le merende un’ho fatto altro’. Non dice altro, per tutto il tempo; in due processi non fa altro che dire questa stessa cosa, ma non lo vedete che è la persona più rigida, bloccata… E De Fazio, ancora sotto il profilo di questa eccezionalità: “Partendo dal dato obiettivo della assenza di tracce di liquido spermatico e dall’altro dato obiettivo delle ragazze spogliate a punta di coltello, evitando di toccare con la mano il corpo…” Come collima con quelli che si masturbano a guardare la Sperduto? Non lo so; ammesso che sia vero, eh. Risponde – al fascicolo 78, pagina 75 -affermativamente alla domanda dell’avvocato Curandai, se fosse vero che aveva concluso le indagini e le ricerche ipotizzando la possibilità che l’autore dei reati fosse un uomo connotato da iposessualità e da difficoltà nel rapporto con il sesso femminile e da gravi problematiche personologiche. Quindi: grave iposessualità, difficoltà nel rapporto con il sesso femminile; che, insomma, voglio dire, per quanto riguarda il Vanni, beh, insomma, a una certa età porta il vibratore, perché la cosa non… ma insomma, a suo tempo, con le prostitute ci va e mi sembra che nessuna si sia lamentata in modo particolare. Il Lotti, per dire la verità, sembrerebbe un po’ di sì. E guesto ci farà, a un certo momento, fare un’ipotesi, tirata per il collo con le funi, ma la faremo. De Fazio, verbale di dibattimento del processo Vanni fascicolo 78, pagina 16, parla, lui ne parla, della spedizione del frammento di seno alla dottoressa Della Monica e dice: “Se il frammento di seno era quello della vittima, il fatto che sia stato inviato alla dottoressa Della Monica diventa un atto di sfida e di onnipotenza.” E questa spedizione, questo fenomeno, quante volte si è verificato da un punto di vista di analisi di fatti analoghi? Mai. Anche questo è un dato che connota la eccezionalità di questi delitti. Il loro significato è così straordinario, così avulso da quello che avviene comunemente in questi casi. Luberto dice: “Ciò rientra” – questa visione di onnipotenza -“in quella psicosicità di cui parlavo prima.” Eccezionale, quindi, straordinaria; non assolutamente equiparabile a nessun scopo di lucro. Qui si avverte uno scricchiolio sinistro nella costruzione dell’accusa, quando si tenta di far combaciare questo dato obiettivo con Lotti, anche con Lotti, in questo caso. Il Lotti: sentimento di onnipotenza, di sfida; il Vanni: sentimento dì onnipotenza di sfida; Pacciani… Pacciani: sentimento di onnipotenza, di sfida? L’ex carcerato, quello che è stato all’università del carcere e che sa benissimo che la prima cosa da fare è i poliziotti sì, ma i magistrati soprattutto, vanno lasciati di molto fare. È la prima regola che si impara là dentro. Ma che si va a stuzzicare la dottoressa Della Monica! Ma che scherziamo, Pacciani una cosa di questo genere? Faggi, di Faggi io non so nulla, perché Faggi è una specie di fantasma dentro a questo processo. E ancora insiste anche il dottor Perugini: “L’invio del brandello di tessuto del seno alla dottoressa Della Monica” – fascicolo 80, pagina 30 – “lo definirei come una sfida, una sfida alla Giustizia, una sfida alla donna.” E parliamo adesso della ritualità; concetto che ho cercato di definirvi poco fa e sul quale è bene ritornare sulla base di quelle constatazioni di questi periti, di questi tecnici, della materia. Veramente, questo come tutti gli altri sono aspetti che il Pubblico Ministero non affronta nemmeno. Dice che è stato un errore, l’autore unico. Beh, a leggere queste cose sembrerebbe tutt’altro, per dir la verità. L’abolizione di ufficio del serial-killer della provincia di Firenze comporta anche l’obliterazione di tutta una serie di materiali importanti, come per esempio quello che appartiene all’FBI, il quale ha pubblicato una sorta di decalogo sui comportamenti ricorrenti dei serial-killer, che va dal numero uno al numero venti, ventidue. Cioè, loro, analizzando i delitti appartenenti a serial-killer – a serial-killer scoperti come tali, eh, confessi fra l’altro, confessi davvero, questi, carcerati, interrogati e tutto il resto -nella catalogazione di questi comportamenti ricorrenti al numero uno mette la ritualità. Comportamento più ricorrente è la ritualità; in quel senso, grosso modo, molto volgarmente, che vi dicevo prima e che però identifica nei suoi aspetti criminali una patologia, una conflittualità intrapsichica, che nella persona che fa attenzione a non pestare la riga quando cammina, è una forma assolutamente attenuata perché non ha… ma in queste forme qui diventa invece, appunto, usare la stessa arma, sparare allo stesso finestrino, scegliere quel tipo di notte e tutto il resto. E dice, il professor De Fazio: “La motivazione dell’agire nasce da una conflittualità intrapsichica. La ritualità dal punto di vista psicologico avvalora l’ipotesi che si tratta dell’opera di uno stesso soggetto all’interno di una pulsione che richiama le caratteristiche tipiche del delitto sessuale.” Quindi, la constatazione si avvalora constatando la ritualità: l’uso della stessa arma; i medesimi proiettili; identici meccanismi, sistemi di approccio alle vittime; identica la frantumazione del finestrino sinistro, che non avviene soltanto attraverso l’uso dell’arma da sparo ma anche un altro… – probabilmente il calcio della pistola lo rompe – la scelta del tempo; i preliminari amorosi che sì interrompono, che devono essere interrotti; la scelta del giorno prefestivo: quella che è stata definita coazione a ripetere.. Ancora il professor De Fazio, verbale di dibattimento del processo Pacciani, fascicolo 74, pagina 14: “In tutti i casi noi abbiamo una ideazione, programmazione razionale, fredda del delitto. E questo in aggiunta a determinate scelte: le coppie, scelte di notti di novilunio, a determinati calcoli e opportunità, giorni prefestivi o come tali, scelta dei luoghi, sistematicità e metodicità, sovente di stampo ritualistico, delle lesioni, portano praticamente a convalidare che si. è trattato di una sola mano.” Perugini dice – verbale di dibattimento del processo Vanni, fascicolo 80, pagina 27: “In genere, i delitti di questo tipo, i delitti commessi dallo psicopatico, sono connotati da quello che poi in soldoni si chiama ritualità.”

(voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Sarà mica un piccione? 

(voce non udibile) Sembra di sì. 

P.M.: È il vento.

Avv. Nino Filastò: E il dottor Perugini ha studiato a Quantico, in quel Dipartimento di cui vi ho parlato e che fra l’altro ha prodotto in questo processo un elaborato che è perfettamente coincidente con queste cose che sto leggendo. “La finalità delle escissioni” – dice ancora il dottor Perugini – “è simbolica, come, secondo me, la maggior parte delle attività gratuite commesse dopo la morte della vittima. Le attività di manipolazione del cadavere” – fascicolo 80, pagina 33, dottor Perugini al dibattimento Vanni – “tutte attività connesse che hanno una funzione gratificatoria, simbolica, per cui l’autore ha una sua specifica fantasia in testa che gli dice di farlo. E a volte gli dice di farlo perché senza quel il tipo di attività, a noi apparentemente gratuita, il delitto non ha lo stesso significato.” A lui non interessa mica soltanto uccidere per uccidere, lui vuole uccidere per fare le escissioni, lui vuole uccidere perché tutto questo rientra dentro una sua ossessione, ossessiva ossessionante fantasia che lo domina, per cui lui deve far questo perché dentro di sé si crea anche l’alibi del giustizialismo. Lui uccide persone che si esibiscono, uccide persone che danno scandalo, uccide persone che sono, a suo avviso, ripugnanti, perché fanno delle cose che non si devono fare all’aperto, che non si devono fare dentro un’automobile a rischio di essere visti dai bambini. Questa è un’ipotesi che faccio io, ovviamente. E poi la donna. La donna a quel punto lì è diventata l’oggetto da disprezzare, l’oggetto da cui estirpare la caratteristica della femminilità. Diceva un esperto di psicologia, il dottor Tranchini; lui è un “castrino”. Dove con la parola “castrino” si intende durissimo, acerrimo censore. Fra i sinonimi “castrino” ha questo significato. “Ora, questa” – Luberto, dice – “conflittualità intrapsichica, evidentemente la pulsione ad agire, la motivazione ad agire assume quasi significato di una coazione a ripetere, quindi, ritualistico nel senso di ripetere, con una dinamica analoga, azioni simili motivate, che sono motivate dalla stessa spinta pulsionale.” E questa pulsione è condivisibile? Ve lo chiedo. Si può condividere una pulsione eccezionale, straordinaria, come quella che abbiamo detto? Può appartenere, nell’arco di diciassette anni, perché con buona pace del Pubblico Ministero, che circoscrive questi delitti a quelli che partono -chissà perché poi, forse in replica me lo spiegherà lui – dall’ottobre dell’81, all’85, quindi, circoscritti in un numero di anni determinato, in realtà sono diciassette anni che va avanti questa storia nella provincia di Firenze. Può appartenere nell’arco di diciassette anni tutto questo a un gruppo di normali campagnoli di Mercatale, di San Casciano Val di Pesa. C’è poi l’aspetto del perfezionamento. Professor Galliani. Verbale di dibattimento Pacciani, udienza 15 luglio ’94, pagina 56. Dice il professor Galliani: “Evoluzione delle fantasie sottese.” Evoluzione. Non solo la fantasia originaria ossessiva, ma una evoluzione di questa fantasia. “Evoluzione delle fantasie sottese alla esecuzione dei delitti; dalla fantasia di interrompere, uccidendo, l’atto sessuale, alla fantasia di escindere parti del corpo femminile.” “Se si fa riferimento ad un soggetto, se ne può cogliere anche delle componenti di perfezionamento delle azioni corrispondenti all’evolversi di questa iniziale fantasia.” All’inizio c’è: si interrompe l’atto sessuale delle coppie. Siamo di fronte all’omicidio del ’68: Antonio Lo Bianco e Barbara Locci. Preliminari: si sono appena cominciati a spogliare,- arriva lui e l’ammazza. Poi, all’interno di una pulsione, che poi sarà sempre quella, di chi a un certo punto, per certi versi disprezza la donna ed ha orrore delle sue parti femminili, riveste il cadavere della donna, le rimette le mutande. Questa è la prima. Si arriva al 1974. Nel 1974, la fantasia è ancora quella: interrompere l’atto sessuale, intervenire sulla coppia; non allo scopo di rapinarla, o neppure, come vuole oggi il Pubblico Ministero, per portare via i feticci da vendere al misterioso dottore… La scommessa vale sempre, eh, dottor… magari si riduce la posta, quello che vuole lei, o portarla, trasferirla in una specie, che le devo dire, di gioco goliardico: stare una mattinata intera davanti a Palazzo Vecchio con un cartello attaccato al collo con scritto: “Io sono un serial-killer”, bisognerebbe farlo. Scusi, eh, se scherzo. D’altra parte lei sta lì, e mi sollecita. Fosse dall’altra parte non mi solleciterebbe. O probabilmente… È qui e mi sollecita qualche scherzetto. Non mi guardi male così, sennò mi impressiono. Allora, 19.74. 1974, tutto questo si trasferisce nel disprezzo sul cadavere della ragazza, sulla sua, che devo dire, volontà di cominciare a sconciarlo, ecco, la parola è questa. È brutto, ma è così. E allora, a punta di coltello si fanno questi segni, si fanno queste incisioni, tutte queste lesioni gratuite, inutili, per la morte e tutto il resto. Dopo aver, però, usato il coltello per uccidere. Perché è uno di quei casi in cui l’arma… Lui sparava al torace, a quell’epoca. E quella volta la ragazza restò viva e quindi la uccide col coltello. Poi, ultima forma di disprezzo: il tralcio di vite infilato dentro alla vagina. 1981 giugno, la fantasia si è – eh, non è mica facile, eh – la fantasia si è espressa in questa forma orrenda dell’escissione. Quindi, dice giustamente Galliani, non solo c’è la fantasia di questa persona, ma queste fantasie si perfezionano. E anche il modus operandi si perfeziona e si affina allo stesso modo, pur restando sempre sostanzialmente uguale. Sono elucubrazioni? No, è studio, analisi dei fatti. Analisi dei fatti, compreso il 1974, fatto obliterato in questo processo. Che, secondo me, questa obliterazione, è funzionale: niente escissioni, non feticci: non collima con la vendita. Eh, scusate. Quindi è un allontanamento di quell’episodio che è funzionale, è strumentale, purtroppo, ad una impostazione – come ho detto prima – di tendenza, tendenziosa di questo processo da parte della Pubblica Accusa. E anche De Fazio, nel fascicolo 74, pagina 36, udienza del 15/07/94, processo Pacciani, dice: “Noi vediamo un costante, progressivo miglioramento nell’uso, nel buon uso, nel minor spreco dell’uso dell’arma da fuoco.” E questo è progressivo. Cioè a dire, si percorre nel tempo. Nel ’74, dicevo prima, si spara al torace. Siccome avviene questo episodio, si verifica il fatto che questa ragazza è ancora vivente e quest’uomo è costretto a ucciderla tagliandole la gola, mi pare, la volta dopo si spara alla testa. E da questo momento in poi si spara sempre alla testa. Ripeto: questo può appartenere al gruppo? No, appartiene alla stessa persona che acquista via via una maggiore sicurezza, che perfeziona la sua azione. E questo lo si può notare se mettiamo in conto e osserviamo anche il delitto del 1974, che il Pubblico Ministero vi induce a non ritenere, a non considerare, perché assolutamente inadeguato, rispetto… anzi, non inadeguato, direi nettamente contrastante con la sua impostazione. Presidente, se lei mi concede altri 5 minuti di pausa, poi si va a diritto fino alle due.

Presidente: (voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: Perché devo finire questo.

Presidente: (voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: Se, naturalmente, la Corte non è stanca, ma io oggi vorrei andare…

Presidente: (voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: Grazie.

Presidente: Bene. 

Presidente: Prego, avvocato Filastò.

Avv. Nino Filastò: Grazie, Presidente. Avviciniamoci di più a questi delitti, esaminati, comparativamente l’uno rispetto all’altro. Ed è come se la nostra visuale, da una angolazione un po’ più lontana, un po’ più panoramica, si fosse spostata verso il primo piano, o il primissimo piano. E qui voi trovate una serie di indicazioni che portano tutte alla stessa conclusione della unicità dell’autore dei periti De Fazio e gli altri, che però riportano, secondo una loro angolazione,, delle osservazioni che appartengono, come dicevo prima, ai medici legali, vale a dire al professor Maurri, dottoressa Cucurnia e agli altri che si sono occupati dell’esame dei cadaveri. E quindi sono, qui, dei dati di carattere obiettivo, materiali. E riguardano in particolare le escissioni in linea generale, onnicomprensiva. Nel verbale di dibattimento del processo Pacciani, fascicolo 74, pagina 34, voi trovate questa affermazione del professor De Fazio: “La nostra conclusione, sulla quale ci giochiamo ‘ la nostra professionalità, è che si tratti di una sola mano. Tale ipotesi ha elementi di ancoraggio tali che possono assumere il valore di prova.” Categorica come affermazione. Un esperto di quel livello che guida una equipe che rappresenta il massimo della esperienza, anche, in Italia, si esprime dicendo: “Io qui mi gioco la mia professionalità.” Ma sulla base di che cosa? Continua sempre il professor De Fazio: “Ci sono un sacco di altri elementi che concorrono a far ritenere che si tratti di un solo soggetto: uniformità del modus operandi, che si riflette nei risultati; che l’azione di taglio è orientata da sinistra a destra, quindi soggetto destrimane.” E qui voi osserverete e vi ricorderete di questo, quando io – tirato con le funi, come ho detto – vi accennerò ad una certa prospettiva che non mi sento nemmeno di definire ipotesi, che invece il Lotti è mancino; ve lo ricorderete questo fatto. “E che si tratti di un soggetto che possa avere una certa dimestichezza con le azioni di taglio. Altrimenti avremmo avuto dei risultati ancorché confrontabili fra di loro, però con delle variazioni in percentuali molto elevate.” E da che cosa deriva questo aspetto per cui il professor De Fazio dice: “un soggetto che può avere una certa dimestichezza con le azioni da taglio”? Per esempio, ancora verbali processo Pacciani. Fascicolo 74, pagina 36: “L’azione di taglio portata da una radice della coscia all’altra, lungo tutta l’arcata pubica, seguendo il filo tra piano muscolare e piano del tessuto adiposo, è operazione tutt’altro che facile.” E pensate sul momento, eh. È così che fa questa persona. Escinde, facendo un giro con la mano col coltello, in modo da separare il tessuto adiposo dal piano muscolare, scartando il tessuto adiposo . perché è quello che si presta meno alla conservazione. Ed è un’azione di una certa complessità. “Che è tutt’altro” – dice il professor De Fazio – “che facile.” Il professor Pierini, tanto caro all’avvocato Colao per la storia del trincetto… 

(voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: Che gli ha dato però poca soddisfazione, indubbiamente, fascicolo 74, pagina 29, dice: “Le quattro escissioni…” – perché sono quattro, capite? E loro ne esaminano quattro. Voi ne dovete esaminare solamente tre, ma sono quattro – “sono state localizzate, come posizione, rispetto alla radice delle cosce e rispetto alla linea dell’ombelico. Poi è stato calcolato l’andamento del perimetro per vedere la figura geometrica risultante.” Queste sono constatazioni di carattere obiettivo, che questo professore ha fatto comparativamente. “In ultimo è stato calcolato, rispetto al perimetro, dove probabilmente iniziava il taglio, l’azione di taglio. I risultati sono questi…” Ascoltate i risultati, per tutte e quattro le escissioni, eh. “Per quanto riguarda il perimetro, a parte il secondo caso, i perimetri sono pressoché equivalenti. La cosa più interessante è il livello di schiacciamento dell’ellissoide11 perché facendo questa operazione, questa persona disegna una figura geometrica che è un ellissoide – “perfettamente equivalente in tutti e quattro i casi.” Cioè, questa ellissoide appare schiacciato in un certo modo che è equivalente in tutti e quattro i casi. Una specie di firma, una specie di grafia, questa è. “Per quanto riguarda l’elemento profondità di taglio, si tratta di un parametro costante in | tutti e quattro i casi, quindi la profondità di discesa del coltello durante l’escissione è uniforme. L’angolo di incisura, ultimo elemento” – cioè a dire il momento di partenza di questa operazione – “si colloca all’incirca a ore 11, guardando un quadrante di orologio.” Sempre. E così De Fazio, fascicolo 74, pagina 11: “La lesività riscontrata nei singoli casi avalla l’ipotesi concretamente che tutti gli omicidi siano stati commessi dalla stessa persona. Si arriva a tale conclusione sulla base di una valutazione che tiene conto anche delle apparenti difformità e della discontinuità della serialità lesiva che caratterizza i casi dal primo all’ottavo.” Quindi, considerato tutto: spari, tutto. Non solo escissioni, tutta l’azione. Il Perugini che vi ha parlato di firma e vi ha parlato di firma in rapporto a quelle lesioni che gli appaiono gratuite, rispetto all’evento morte dice: “La firma dell’assassino è l’escissione delle parti anatomiche. La firma più vistosa è quella. Cioè, è un comportamento che non solo è gratuito rispetto al conseguimento dell’evento morte, ma è un comportamento che gli consta in termine di rischio, perché significa perdere tempo.” Immaginatevi il quadro: i quattro “amici di merende” che arrivano sul posto, uccidono, poi devono fare… Insomma, o non c’è nessuno che, a un certo punto, dice: ‘mah, andiamo via, scappiamo, che si sta a fare qui?’ Poi ci sono gli altri che guardano, nessuno scappa. Almeno a sentire Lotti, Pucci. Mah, insomma… De Fazio., fascicolo 78, pagina 27 verbale di dibattimento del processo Vanni: “Dato obiettivo la coppia in amore…” “Le escissioni in certe parti anatomiche nella donna e solo in lei…” “Comparativamente le omesse escissioni sui cadaveri dei tedeschi.” Perché sono due uomini. E c’è stato l’errore, ingenerato dai capelli lunghi. A domanda del Pubblico Ministero, se l’azione dello sparare e del tagliare possa rinviare a due soggetti diversi – una domanda precisa, puntuale, che riguarda l’ipotesi accusatoria di questo processo – cosa risponde De Fazio? “Se la domanda è se è possibile, io non trovo” -“non trovo” – “personalmente elementi di possibilità in questo senso. Certo, nei momenti in cui uno spara e un altro taglia dei pezzi corporei, evidentemente” – cioè a dire con evidenza – “mi riesce difficile riportare a sintesi e ad unità questi due atti nella configurazione di un delitto sessuale.” Se questo è un delitto sessuale, come vi ha detto prima e come vi ha spiegato e come l’evidenza richiama. E insiste. E qui, guardate, mi sono fotostaticato proprio… qui l’ho copiato, ma qui proprio ho fotostaticato la pagina, che è questa pagina che vi ho citato: 27, fascicolo 78. “Ma se la domanda è se è possibile, io non trovo personalmente… Io non so cosa ne pensano i miei colleghi, è giusto che ognuno si esprima… Non trovo che esistano elementi di possibilità in questo senso”, che uno spara e l’altro escinde. “Certo, nei momenti in cui uno spara e un altro taglia dei pezzi corporei, evidentemente mi riesce difficile riportare a sintesi, ad unità questi due atti nella configurazione di un delitto sessuale.” Lei annuisce, Pubblico Ministero. Ma allora dica che non è, che questi non sono delitti sessuali, facciamo questo. Per 17 anni, questi… Non sono delitti sessuali, sono un’altra cosa. Sono delitti a scopo di lucro per prendere i feticci e venderli a qualcun altro. Io voglio vedere scritto una cosa di questo genere in una sentenza, ecco. Io aspetto di vedere una cosa di questo genere. “Fate di me quel che volete. Uccidetemi. pure, ma almeno salvatemi la vita”, diceva Petrolini. Con quelle connotazioni, con quella esibizione del corpo straziato della ragazza a gambe larghe, sconciata a quel modo. Guardate, guardate… “Dal. punto di vista medico-legale…”, dice Beduschi, fascicolo 77, pagina 111 di questo processo. Verbale del processo Vanni, in cui si affronta questo tema. “Dal punto di vista medico-legale di quello che può essere stato il modus operandi, non c’è dubbio che si è visto nelle modalità di taglio, nei perimetri, una matrice unitaria, che riporta suggestivamente ad una mano unitaria.” Questo, anche per, poi, dopo, sui due coltelli nel 1985; ne riparleremo, ma intanto vi anticipo che qui siamo di fronte ad un equivoco in cui sono caduti i medici legali. Perché tutto si fonda sul fatto che prima che ci sia stata l’escissione del seno e poi quella del pube. Perché se viceversa si dice: prima c’è stata l’escissione del pube, poi quella del seno, coiti è molto più probabile, perché la ritualità porta a questo: che prima si fa quello che si faceva prima e poi si fa quello che si fa dopo, tutto torna. Il coltello può essere meno tagliente durante la seconda escissione. E basta, fine del discorso. Non ci fermiamo tanto su questo aspetto. Quanto poi alle lesioni intorno al seno, queste sono delineate dalla zigrinatura della costola del coltello: questo lo capirebbe chiunque, voglio dire. Ma insomma, ne parleremo un po’ meglio. Affronteremo questo aspetto specifico del cosiddetto riscontro obiettivo alle dichiarazioni di Lotti. Ancora: “Il contributo dell’elaborazione elettronica delle immagini…” Perché tutto questo ha comportato un lavoro fatto da questi periti attraverso la elaborazione elettronica delle immagini. Cos’hanno fatto? Le hanno messe là, le hanno comparate l’una all’altra per vedere dove spara questo signore, in quale parte del corpo colpisce. ‘E mettiamole insieme’. E hanno fatto questo programma computerizzato in cui, ad un certo punto, queste cose sono state messe a paragone. Uno strumento come un altro, eh. Mica che la computerizzazione sia il non plus ultra. Però, voglio dire, è uno studio serio, no? È un approfondimento serio che è stato fatto. E dice: “Il contributo dell’elaborazione elettronica delle immagini è tale da avvalorare ulteriormente la possibilità che ad azionare l’uso dell’arma da taglio sia sempre stata la stessa persona, malgrado le differenti lesioni riscontrate in un caso rispetto all’altro.” Pierini dice: “Si rileva un modo molto simile, in tutti i casi, di tagliare.” E questo è molto secco, anche questo, da parte del professor Pierini, abbastanza “dry” anche questo, come il Martini. Il Pierini, ancora, verbale dibattimento Vanni, fascicolo 77, pagina 61: “La profondità di discesa del coltello durante l’escissione è uniforme e segue la necessità di separare l’adiposo dal muscolare.” Ma che scherziamo! Ma anche la precisione di questo lavoro voi la toccate con mano, in questa osservazione: “L’angolo d’incisura si colloca sempre fra le ore 10 e le ore 11.”; Fa parte della ritualità, tutto questo. Fa parte della “memoria muscolare”, come dice il dottor Perugini. Ma di chi? Di una persona, no! “La quota di superficie muscolare esposta rispetto ai brandelli di tessuto adiposo che rimanevano, erano pressoché costante.” Professor Pierini, fascicolo 77, pagina 59. “Le figure elaborate dalle escissioni pubiche hanno una cosa caratteristica: cioè hanno un centro comune.” Ancora De Fazio: “Quello che colpiva, più che il perimento della lesione, era proprio questa doppia incisura, perché questa riportava a due atti separati e quindi riportava ad una manualità abbastanza ricorrente.” De Fazio, fascicolo 77, pagina 50: “Da un punto di vista macroscopico, anatomopatologico, si è rilevato sostanzialmente, come elemento che accumunava queste lesioni, queste escissioni pubiche, si è rilevata una incisura ricorrente nel quadrante attorno alle ore 11 del quadrante del cerchio. Cioè, è stato da noi interpretato come un atto a due gesti” – zah, zah – “Quindi, un primo colpo di escissione, poi una sorta di interruzione con o senza estrazione dell’arma, poi un secondo colpo di chiusura: due colpi. Il che ci appariva traumatogeneticamente corrispondente ad una azione a doppia incisura.” De Fazio, verbale dibattimento Vanni, fascicolo 77 pagina 48: “La lesività da punta e da taglio, malgrado gli apparenti contrasti, delineava una stessa mano, che però ha avuto una evoluzione nel praticare i tagli. Cioè, prima, solo il pube; poi anche il seno.” E questo corrisponde a quel discorso sul perfezionamento di cui si parlava prima. Ancora, De Fazio, dibattimento Vanni, fascicolo 77, pagina 24 : “Abbiamo nell’81 una escissione pubica…” Questo sempre sotto il profilo del perfezionamento, con riferimento a questo evolversi, sia pure all’’interno di una componente sempre unica, questo evolversi dell’azione: perfezionamento. “…una escissione pubica che diventa più vasta nel caso Cambi, che diventa ancora più estesa nel caso Rontini.” È sgradevolissimo parlare di questo: la maggiore estensione corrisponde alla volontà di procurarsi anche la parte posteriore. Capito? “Cioè, c’è uno stesso tipo di tecnica nella stessa sede; una stessa, probabilmente, motivazione nella escissione; si coglie praticamente più o meno una stessa mano con evoluzione nel modus operandi.” La memoria si. perfeziona, perfeziona; il ricordo, come si è fatto la volta precedente. Poi, in questa coazione a ripetere c’è una coazione a ripetere che però si evolve, accrescendosi di volta in volta. Dopo ne parlerò, perché ne dovrò parlare, della ipotesi lottiana dei due coltelli e delle due mani, di due escissori, quando affronterò tre soli temi della prova generica. Questa ipotesi lottiana che viene definita un riscontro oggettivo. Poi Baccaiano e la cosiddetta “ipotesi Allegranti”. E poi la data, sabato o domenica, degli omicidi degli Scopeti. Quindi di questo ne riparleremo un po’ meglio in un momento successivo quando affronteremo questi tre temi. Poi, altre indicazioni di linea generale. A domanda di questo difensore, il professor Fornari – e a questo punto fanno nove esperti che rispondono su questo argomento: unico autore, più autori – risponde, fascicolo 28, pagina 76, verbale dibattimento Vanni, nelle sue ricerche: “Non ho mai riscontrato delitti seriali come quelli di cui si occupa il processo, commessi da un gruppo di persone.” Mai. Bruno, su questo punto della ipotesi del gruppo, dice delle cose molto interessanti, al fascicolo 78, pagina 124. È un criminologo che insegna alla Sapienza di Roma, non è mica uno che passa per la strada, eh: “I gruppi, in ogni caso” – dice – “agiscono per lo più per uno o per due, tre episodi, dopodiché inevitabilmente si sfaldano. Non si può tenere un segreto di questo tipo per 20 anni.” Ma questa è una constatazione direi di una ovvietà notevole. È ovvia. “In delitti di altra natura” – di altra natura, però – “che possono assomigliare a quelli del serial-killer, gli atti omicidiari non sono mai più di due o tre, proprio perché il gruppo, poi, tende inevitabilmente a sfaldarsi.” E si sfalda inevitabilmente, mano a mano che aumenta il numero di atti in cui ci si coinvolge. Ed ecco un altro motivo strumentale della disgregazione, della parzializzazione di questo caso giudiziario che parte nel 1968 e arriva al 1985 e percorre tutto l’arco di questi atti. Perché riesce assolutamente difficile e impossibile immaginare un gruppo che si mantiene compatto per quasi 30 anni: degli “amici di merende” normali e campagnoli. Ma dove siamo? Lo stesso Bruno, ancora verbale dibattimento Vanni, fascicolo 78, pagina 123, dice: “Tutti i casi della letteratura che abbiamo analizzato – e sono migliaia, migliaia – non hanno individuato alcun caso di un gruppo di mostri. Inoltre si tratterebbe” – dice lui – “addirittura di un gruppo di mosti che agisce non per motivi sessuali ma non si sa bene perché.” Infatti non si sa bene perché. E quando io ho detto ho rivolto una specie di interpello, si direbbe in diritto civile, in procedura civile, al Pubblico Ministero: mi vuol spiegare? Abbia pazienza: perversione, perversi e forse il dottore compra feticci… Di questo dottore non si sa proprio niente, vero. È una suggestione il dottore; una suggestione in assoluto. Proprio non se ne può nemmeno parlare, perché non c’è, non si sa chi sia. Infine, dice sempre Bruno: “L’analisi oggettiva degli omicidi non consente di trovare elementi a sostegno dell’ipotesi di più persone.” E questo lo avevamo già visto, esaminando e osservando obiettivamente quelle lesioni, quei corpi. E osservandoli nella loro elaborazione computerizzata e tutto il resto. Ancora Bruno, dice: “Il significato del messaggio alla dottoressa Della Monica deriva da una mente che non può essere la mente di un gruppo dì persone, ma che è evidentemente la mente di un’unica persona.” Ma certo! Fossero stati in quattro o cinque, dice: ‘si manda una lettera alla Della Monica?’ Uno diceva: ‘ma che sei… guarda, posa il fiasco’, si dice da noi in Toscana. ‘Posa il fiasco. Non si fanno… Ma che scherzi davvero!’ Oltretutto, voglio dire, fosse sai, una inquirente, così, di quelle che… Accidenti, proprio alla dottoressa Della Monica: ne sa una più del diavolo, lei lì, fra l’altro, dal punto di vista indagatorio, vero. Scoperte rilevanti fatte da questo Pubblico Ministero, da quel Pubblico Ministero lì. Si dice in Toscana: ‘E’ piccina, ma c’è tutta’, eh, lei. La carissima Silvia Della Monica. Un piccolo personale sfogo non dell’avvocato, diciamo così, di chi 1uesta indagine l’ha seguita. Non per portare ogni giorno un mostro sul tavolo della Procura, ma vi ho detto: queste indagini si risolvono quando se ne occupa sempre la stessa persona, dall’inizio alla fine. Allora si risolve il caso. Quando l’indagine passa di mano, i risultati sono meno che mediocri. Si può puntare bene agli “amici di merende”, ecco. E per scoprirlo, questo personaggio, ci voleva proprio lei. E forse questo farabutto l’ha capito. Le ha lanciato questo messaggio terrorizzante. Ci voleva una donna qui, ci voleva una donna, con tutta la determinazione e la contrapposizione di una donna, rispetto all’odiatore per eccellenza delle donne. Così non è stato. Perché nemmeno il dottor Canessa è stato l’indagatore per tutto l’arco. Comincia ad occuparsene, se non sbaglio, nell’84. 

P.M.: L’unico è stato il dottor Vigna. Le ha portate avanti lui.

Avv. Nino Filastò: No. No, no, dottor Canessa. Non è vero un accidente niente. Io lo so benissimo. Il dottor Vigna aveva tutt’altre cose da fare. Lui di questo caso se n’è occupato… se n’è occupato così, a sprazzi, ogni tanto. 

P.M.: Si vede che c’era lei…

Avv. Nino Filastò: Senta, nell’68 se n’è occupato il dottor Caponnetto, nonché Antonino. Va bene? Del ’74 non se n’è occupato il dottor Vigna. Dell’81, il primo, certamente se n’è occupato il dottor… si era a Prato. No, si era a Firenze. Il secondo, se n’è occupato… le indagini iniziali, quelle importanti, significative, se n’è occupato Prato. Il Pubblico Ministero non mi ricordo chi era; il Giudice istruttore, il dottor Palazzo. (voce non udibile) Come? 

(voce non udibile) Pasquariello.

Avv. Nino Filastò: Pasquariello. Non c’è mai stata un’unità di indagine, in questo processo. Mai. La costante framm… delitto del 1982: Izzo e Della Monica. Vero. Quindi ho ragione io. Nemmeno il dottor Vigna. Va be’. “Se noi analizziamo” – dice il dottor Bruno – “da un punto di vista criminologico gli omicidi, non abbiamo alcun motivo, dico alcuno, se non qualche considerazione che possiamo fare all’ultimo omicidio, per poter pensare ad un gruppo di omicidi, ad una coppia omicida. Al contrario, abbiamo una serie di elementi che fanno pensare ad un’unica mano, cioè ad un unico modus operandi, che non cambia mai per tutti e otto gli episodi.” De Fazio, dice, verbali dibattimento Vanni: “Io ho il dovere…” – Sentite come si esprime questo professionista? – “Io ho il dovere di dire, su un piano generale che prescinde da questa vicenda processuale, che un omicidio teoricamente ipotizzato, volto ad asportare feticci a scopo di commercio, o un omicidio, o una serie di omicidi, non ha nulla a che fare con gli omicidi sessuali.’1 Vale a dire, quel certo tipo di ibridazione che vi suggerisce il Pubblico Ministero – da una parte dei perversi, dall’altra parte queste stesse persone che si prefiggono uno scopo di lucro -formano due elementi di una ipotetica eventuale reazione che non si forma come tale. Non c’è niente da fare. Se li mettete insieme nella provetta, nel vetro, dal quale dovrebbe nascere un certo colore, non succede assolutamente nulla, sono due cose che ognuna va da sé. E non legano nel modo più totale. Anzi, si creano maggiori problemi, perché avremmo delle persone che agiscono a scopo di lucro, quell’altre che agiscono a scopo di perversione. E queste persone, ancora più straordinariamente si sarebbero venute – ancora per uno scherzo, un gioco assurdo, incredibile, atroce del destino -incontrate in quel paese di San Casciano Val di Pesa o a Mercatale. Ancora avrebbero, come si dice in Toscana, “accozzato il pentolino” per fare queste cose. Partendo da motivazioni totalmente diverse. Ma dove siamo? Qui è un problema, un aspetto di verosimiglianza, un aspetto di congruità di una ipotesi. Ancora prima di cominciare ad indagare, io dico, avrebbe dovuto, chi di dovere: ‘ma questa non è una cosa che regga’. Per 17 anni tutto questo, poi. Quindi, per dire: errore – alla fine della conclusione di questo discorso – per dire: errore, il serial-killer unico autore, bisogna, come dice qui sostanzialmente “per dovere”, il professor De Fazio, bisogna dire “errore” anche l’omicidio sessuale. Scrivetelo nella sentenza che questi non sono omicidi sessuali. E qui, su questo punto, ancora avvicinandosi di più a questa ipotesi del gruppo in cui partecipano in funzione operativa due persone, su questo punto il professor De Fazio, nei verbali di dibattimento del processo Vanni, fascicolo 78, pagina 80, dice: “È molto difficile ipotizzare due operatori che agiscono insieme accovacciati nella tenda, quanto meno si sarebbe scardinata la tenda.” Non c’era mica tanto bisogno… eh? 

(voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: No, in piedi non c’è versi. Eh, perché l’apertura è alta un metro e 10. E poi, queste due persone, dentro a questa tenda insieme per 10-15 minuti – così dice il Lotti – a fare quel tipo di escissioni lì che abbiamo descritto: quei due gesti, quella separazione del tessuto muscolare dal tessuto adiposo, con questo corpo nel mezzo, dentro a questa tendina, tutte queste due persone… Al mondo è tutto possibile. No, al mondo non è tutto… Non è mica vero, non è mica vero. Questo proprio non c’è verso. Questo proprio non c’è verso. E quella che è la più plateale smentita delle raffazzonate dichiarazioni di Lotti che ci presenta questo quadro con queste due persone appiccicate, gomito a gomito dentro a questa tendina a fare queste cose, diventa, nella impostazione del Pubblico Ministero, il riscontro obiettivo dei due escissori. Ma che scherziamo!? Ma avesse detto almeno, il signor Lotti: hanno preso il materassino, hanno tirato fuori il corpo, hanno agito esternamente, allora, a questo punto, poteva essere possibile. Molto difficile, perché due che fanno una cosa di questo genere, gomito a gomito. Ma che scherziamo davvero! Ma che li ha mai visti? Ma dove sono? Ma dentro la tenda, dentro la tenda, dentro. In quello spazio angusto, occupato per lungo, per tutta l’ampiezza da un corpo, il corpo della ragazza. Ma che scherziamo! Ultima osservazione: guardate fino a che punto, come ho detto prima, questo processo nasce su una ipotesi predeterminata e obbligata. Sono i verbali di dibattimento del processo Pacciani. Il fascicolo è il 76, pagina 51-52. Non so se ce l’avete, ma penso di sì, perché sì, riguarda proprio De Fazio, quindi ce l’avete. Il Presidente domanda se possa ipotizzarsi un accompagnatore che non partecipa ai delitti. E De Fazio risponde: “Questo toglierebbe ogni sapore all’autore dei delitti che noi abbiamo definito su base sadico-sessuale.” E insiste il Presidente: “L’ipotesi di una presenza di un’altra persona che gli teneva la macchina, che gli guardava la macchina, che gli reggeva la lampadina, che gli faceva da palo?” A questo risponde Galliani, che dice: “Stranissimo, difficilmente ipotizzabile. In quanto gli omicidi a sfondo sessuale commessi da più persone, due persone o più persone…” Qualche volta si incontrano, la coppia. E ci sono poi, fra l’altro, quelli commessi da più persone che sono il gruppo dei ragazzi assatanati dall’alcool, che si prendono una ragazza, la stuprano, poi la uccidono, poi… 

(voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: Eh? 

(voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: Il branco. Che sono: un delitto, eh; uno, uno. Massimo due, come vi dice giustamente il professor Bruno. Non otto duplici omicidi che percorrono un arco di 17 anni. Questo non è mai accaduto, non sarebbe mai accaduto. Sarebbe la prima volta. Ma questi gruppi, vi dice però giustamente il Galliani, vedono sempre la partecipazione di tutti i presenti in misura minore o maggiore. Perché tutti sono presi da questa furia omicida. E c’è quello che strazia, quello che ci mette le mani, quello che stupra, quello che si masturba, almeno. Ma questo lo si deduce anche dalla scena del delitto. In quanto” – dice Galliani – “il tipo di lesioni che si trovano, il tipo di tracce che si trovano nella scena dei delitti, non sono evidentemente lasciate da mani diverse e hanno un diverso modus operandi. Inoltre, delitti, omicidi a sfondo sessuale in cui vi sono più partecipanti generalmente non sono ritualizzati.” Eh, perché la ritualità appartiene a una persona. Non c’è niente da fare. “La ritualizzazione, generalmente, non prevede la presenza di nessun altro.” E qui, ancora, le ultime osservazioni riguardano la freddezza di questo autore. Freddezza che accresce il quadro della eccezionalità e che è del tutto stridente, contrastante in modo assoluto con l’ipotesi degli “amici di merende”: con Vanni, con Pacciani. Con riferimento, in particolare, a quel preteso inesistente – secondo questo difensore -episodio raccontato dalla Sperduto, in cui si avverte invece un eccitamento, per lo meno nel racconto, che poi sfocia nella masturbazione. Caso Pettini. Nella prima perizia del professor De Fazio : “L’azione esploratoria sul corpo della donna avviene come se l’omicida si trovasse di fronte ad un oggetto relativamente estraneo. La disposizione delle ferite intorno al pube suggerisce l’ipotesi dell’idea embrionale di asportare quella parte del corpo; idea non ancora perfezionata.” Questo, disegna intorno, una specie di arabesco, in questo distacco, questa freddezza. Caso Cambi. Prima perizia De Fazio, pagina 64: “L’omicida limita al minimo il contatto fisico con la vittima, denudata con il coltello.” I perversi “amici di merende”… insomma: le mani, almeno il toccamento, no, se sono perversi, vero. Se poi sono freddi escissori tutti e due, no, tutti e tre, quanti sono, chi lo sa, perché il dottore ha detto: ‘ci procuri quella parte…’ Benissimo, allora… Ecco, se sono lì che… Ma non si può discutere così questo processo, perché ripugna. Non si può. Non si può andare avanti in questo modo. Prospettare, di fronte all’evidenza di certe lesioni, all’evidenza di una situazione che è quella che voi avete davanti agli occhi. Ecco, capite, il nostro mestiere che è così, alla fine ci si trova a dibattere sempre dentro a delle deformazioni che sono proprio la fine del mondo della deformazione. Sono proprio, a un certo punto, intellettualmente uno dice: ‘ma ‘nsomma, sì, la pensate così? O scrivetelo’. E poi si vedrà, eh. Perché, eh diamine! Alla fine… E sempre mi viene in mente la storia della nebbia della Moby Prince, no? C’è un capitano di nave, il quale dice alla radio: “Livorno ci vede, ci vede con gli occhi”, lo dice, lo registra. E lui dovrebbe essere avvolto da una fitta nebbia che lo avvolge. “Livorno, Livorno, ci vede, ci vede con gli occhi”, dice. L’ho trovato scritto in una sentenza. Che volete fare? Melanconie di questo mestiere che mi diventa sempre più pesante, sempre più improbo. Nella prima perizia De Fazio, a pagina 55, per il caso Cambi dice: “Freddezza, razionalità e precisione con cui viene compiuto l’atto di escissione che spoglia di contenuto sessuale immediato la stessa asportazione del pube. Atto non istintuale, ma pienamente funzionale dal possesso del feticcio.” Questo disprezzo assoluto, il “castrino”, l’estremo censore. Ancora, la prima perizia De Fazio: “Nei casi De Nuccio, Pettini e Cambi il significato della dinamica omicidiaria e l’interesse dell’omicida era rivolto prevalentemente o esclusivamente al pube, come oggetto feticcio, come oggetto libidico” – non utilitaristico, libidico – “capace di polarizzare l’interesse sessuale.” Ancora, sempre la prima perizia De Fazio: “Agilità, abilità e freddezza con cui è stata portata a termine l’azione. Crescita di senso di sicurezza e decremento delle precauzioni.” “Decremento delle precauzioni”. E Bruno, rispetto a tutto questo, ipotizza che l’omicida dimostri di avere angoscia nei confronti della figura femminile; che lo porta a togliere alla figura femminile gli elementi che la rendono tale. Mi sembra una ipotesi psicologica ragguardevole. Il risultato ultimo delle mutilazioni è anche quello di impedire a questa figura di essere ben riconoscibile. Questo spiega la freddezza e spiega la ragione, una delle ragioni, delle escissioni. E la perizia De Fazio dice: “Freddezza dell’omicida, prefigurazione da parte dell’omicida nella spedizione alla dottoressa Della Monica nell’ambito della preparazione, certamente accurata ed emotivamente significativa, del duplice omicidio.” Addirittura una prefigurazione di questa spedizione, ritiene il professor De Fazio. Ed è, fra l’altro, una spedizione di una lettera anonima con quel pezzetto di seno che assomiglia in modo impressionante alla spedizione di quell’altra lettera anonima con cui si manda l’asta guidamolla. E come nell’indirizzo c’è l’erroretto lasciato là a seminare: qui si manda al Procuratore della Repubblica – espressione dotta, espressione di chi è dell’ambiente, di chi sa di che si parla – ma si scrive “Republica” con una “B” sola. Così, nella lettera con cui si manda l’asta guidamolla, si imita il linguaggio volgare, il quasi vernacolo dei toscani e si dice: “Le figlie e’ sono grulle, e’ sono grulle. E’ fanno tutto quello che vole lui.” Però si apostrofa questa “E”. “Esse sono grulle”, c’ha l’apostrofo. E l’apostrofo è messo da uno che è tutt’altro che un totale ignorante. Questa “berva”, “la berva”; dice di Pacciani questo ignoto scrittore, dice: “berva”, “berva”. Dice “berva”. Eh, sì, con la “R”, come nel Vernacoliere, non come intorno a Firenze. Ma si usa il termine “belva”, che è un termine aitino. “Il tabbennacolo della Vergine”. “Tabbennacolo”, è tabernacolo; è scritto, “tabbennacolo”, ma chi il contadino che direbbe “tabbennacolo”? Direbbe “la Madonnina che si trova in quel posto”, non: il tabernacolo della Vergine, sbagliato in quel modo, il termine, la scrittura sbagliata come “Republica”. Beh, così, per affacciare ogni tanto qualche cosa di mio. “Si conferma” – dice la perizia De Fazio – “anche la mancata ricerca di contatti con la vittima, eccedenti le necessità tecniche.” Quindi, una persona distaccata che dopo il momento : dell’eccitazione che è quello in cui spara, poi, di fronte al cadavere nudo, prende quest’aria da chirurgo, quasi. La perversione, supposta per assurdo, dell’uomo Vanni che va con le prostitute, dovrebbe manifestare una diversa connotazione. Povero Vanni, mi dispiace persino affacciarla, questa ipotesi. Ancora dalla perizia De Fazio: “Esaurita la prima fase di concitazione, disordine e imprecisione, che è quella in cui spara” imprecisione per modo dire, per dire la verità, perché i colpi vano tutti a segno, eh, dal primo all’ultimo – “l’omicida recupera calma e freddezza ed esegue con l’usuale abilità e scrupolo i noti rituali sadici.” Rituali sadici. Rituali: considerati così. Poi c’è: “L’estrema elasticità mentale nel far fronte alle situazioni più complesse; la modulazione della forza fisica e della violenza in rapporto alle effettive necessità”, questo è ancora nella perizia De Fazio. Ancora la perizia De Fazio: “La scelta della coppia francese” – attenzione -“è dovuta forse al fatto che così l’omicida poteva escludere che si trattasse di una coppia ‘civetta’.” Ecco: “La freddezza anche nella preparazione, l’accuratezza. E non solo questo. La scelta della coppia francese è una scelta che riguarda anche la opportunità di ritardare la scoperta dei cadaveri. Che non per niente nel caso dei francesi vengono nascosti, a differenza di quel che avveniva prima, in cui, come vedete dalle fotografie, addirittura venivano esibiti.” Perché? Per una cosa che vi ha detto un testimone di cui in questo momento non ricordo il nome, ma che è uno che ha fatto parte del pool delle ricerche. Mi pare fosse un carabiniere. “La esistenza di un protocollo di intervento…” 

(voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: Chi era? 

(voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: Ah, Autorino. “…di un protocollo di intervento fra Polizia e Carabinieri, per cui, al momento in cui, fosse avvenuta la scoperta dei due cadaveri dell’omicida delle coppie, immediatamente si sarebbe azionata un’azione complessiva di componenti, Carabinieri e Polizia, che avrebbe circondato la zona e immediatamente setacciato il tutto.” Quindi, quello che era avvenuto a Baccaiano, quando nonostante la confluenza, nel punto dove era avvenuto l’omicidio, a distanza brevissima dal momento in cui era avvenuto l’omicidio, tanto che dei testi – come vedremo meglio, facendo il romanzo di Baccaiano, per divertire l’avvocato Curandai – arrivano delle persone e nessuno lo vede, in questo caso, fosse avvenuta una situazione di questo genere, non era possibile. Di qui la necessità di allontanare la scoperta dei corpi. E di qui il fatto di nasconderli, come avviene per la prima volta: il corpo del ragazzo coperto da dei bidoni di vernici che si trovavano sul posto, il corpo della ragazza dentro la tenda che viene chiusa, che è chiusa. Ecco. Ma questo che vi dice? Questo vi dice conoscenza, conoscenze, informazioni di cui qualcuno dispone e che non è certo il povero Vanni e non è certo nemmeno Pacciani. Informazioni. E la coppia dei francesi perché ritarda, se sono francesi? Perché nessuno li cercherà. Perché da laggiù, dal posto dove abitano la povera Nadine Mauriot e il povero Jean Kraveichvili, nessuno dice: ‘ma questi non sono tornati, non si sono visti ‘. Fossero stati due ragazzi come la Pia Rontini e come l’altro, immediatamente, a distanza dì poche ore… – di poche ore? Di un’ora – c’è qualcuno che li aspetta a casa e che subito mette in movimento la ricerca. E invece i francesi no. Tant’è vero che rimangono là, poverini, secondo me, per un giorno, per due giorni. Eh, dal sabato, sabato. La notte del sabato, il giorno della domenica, e poi vengono scoperti il lunedì mattina. Secondo me, poi vi dirò per quale ragione sono di questo parere. Di questo parere, insomma, parere piuttosto suffragato, piuttosto serio. Ci sono degli elementi, sia testimoniali che di prova generica, cospicui da questo punto di vista. Li esamineremo perché ho detto che quello è uno degli aspetti della prova generica di cui mi occuperò. Fatto sta che qui vengono nascosti. Non solo ci si premunisce del fatto che sia una coppia civetta -era tutto pieno in quell’epoca di poliziotti e poliziotte che fingevano di far l’amore in automobile – ma si fa in modo da impedire una tempestiva scoperta dei cadaveri. “Quindi, va aggiunto questo secondo me: freddezza dell’autore, è comune ad altri precedenti casi, un proporzionale decremento di forza nell’agire dell’aggressore, in rapporto al progressivo raggiungimento dei singoli obiettivi, per cui ogni intervento appare lucido e calcolato sulle effettive necessità del momento.” E questo lo dice il professor De Fazio nella sua perizia e che non identifica un super-uomo, certamente no, ma un uomo freddo e determinatissimo nell’uccidere, questo sì. E nell’ultima annotazione che io vi faccio sulla base delle risultanze di carattere obiettivo e che affido alla vostra serena, distaccata e fredda osservazione: la determinazione, Signori. Mai nessun ferito. Queste azioni non hanno mai lasciato dietro di sé un ferito, uno che l’abbia mai raccontato. C’è una determinazione nell’uccidere, nel non lasciare traccia, da questo punto di vista, che ha del disumano. E su questo punto di vista – se non super-uomo – questa persona certamente un assassino terribile è. Stefania Pettini viene colpita al torace e ancora viva: tac! col coltello. Il Kraveichvili gli scappa: dietro col coltello, dra! Colpito in quel modo, con quella violenza che provoca lo stampo su un osso di questo povero ragazzo. Mai nessun ferito. E la cosa da questo punto di vista più terribile è Baccaiano, perché a Baccaiano – come vi ricostruirò – quando lui scende dalla macchina, prima li chiude dentro, perché poi devono forzare lo sportello i soccorritori, poi s’accorge di un movimento di qualcuno, di uno dei due, allora spenge i fari, perché gli danno noia a mirare, spara quel colpo sul parabrezza. Che sia quello il colpo che ha preso in testa, nella fronte la povera Antonella Migliorini? Non saprei dire. Certo è che compie questa azione rivolta a chiudere la partita, sicuramente. Poi deve andarsene in fretta, perché stanno arrivando quelli con le automobili. Ma qui voi lo apprezzate, voglio dire, in questo gesto dello spengere i fari con due colpi di rivoltella, uno di qua e uno di là, perché danno noi a prendere la mira, e i tre bossoli ci sono i tre bossoli, eh. Voglio dire, il foro corrisponde ai bossoli, i due bossoli sui fari corrispondono, ci sono, ci sono, sono lì, sono nel punto giusto. Dopodiché, il gesto di scaraventare le chiavi lontano. Perché nessuno apra tempestivamente? Perché nessuno salvi il povero Mainardi? Luì si è accorto che è ancora vivente? Fatto sta che le scaraventa via e i due sono chiusi dentro. Il Pubblico Ministero vi propone delle suggestioni: signore che ruzzolano le scale quando non ruzzolano; prostitute che vengono uccise. Io non nego che questa mia ricostruzione in questo modo, con riferimento a questi aspetti – che poi ce ne sono altri obiettivi dei quali parlerò e che non sono suggestivi – questa può essere suggestiva. E va be’-, consentitemelo. Gli spari ai fari però ci sono, eh, lo sparo sul parabrezza c’è. La determinazione che non lascia mai sul terreno un ferito, salvo il povero Mainardi che muore poco dopo all’ospedale, c’è, è quella. E se voi ritenete che possa, anche t minimamente, questo e tutto il resto che vi ho detto, collimare col gruppo di “amici di merende”, va be’… Va be’, lo ascriveremo anche questo a profondissima malinconia di un mestiere, per tanti versi molto ingrato. Per stamani ho finito, Presidente.

Presidente: Bene.

Avv. Nino Filastò: Grazie.

Presidente: Allora si va a domani mattina alle ore 9.00. Grazie, l’udienza è tolta. Nuova traduzione del Vanni.

9 Marzo 1998 66° udienza processo Compagni di Merende

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