10 Marzo 1998, 67° udienza, processo, Compagni di Merende Mario Vanni, Giancarlo Lotti e Giovanni Faggi per i reati relativi ai duplici delitti del MdF e Alberto Corsi per favoreggiamento.
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Presidente Federico Lombardi, Avv. Nino Filastò, Avv. Federico Bagattini
Presidente: Allora, ci siamo? Avvocato Filastò mi sostituisce anche il Faggi e, come si chiama… Corsi. C’è incompatibilità, sì? No, no, forse sì.
(voce non udibile)
Presidente: Per Corsi, chi ci mettiamo?
(voce non udibile)
Presidente: Antonio, facciamo chiamare il difensore di Corsi: Zanobini. Zanobini, va bene? Prego, avvocato Filastò.
Avv. Nino Filastò: Grazie. L’analisi che sto svolgendo, Signori Giudici, è mirata verso un certo punto di vista. E il punto di vista è quello di trovare delle concordanze, oppure delle dissonanze con le dichiarazioni di Giancarlo Lotti. E tutto quel che abbiamo visto insieme ieri, con particolare riferimento a quei materiali scientifici che vi ho illustrato, indicano una globale, fondamentale, gravissima dissonanza con questa pretesa confessione e con questa correlativa chiamata di correo. Ora si tratta di esaminare alcuni elementi tratti dai fatti, dalle dichiarazioni di alcuni testimoni, relativamente ai fatti omicidi di cui ci occupiamo, sempre nella stessa angolazione. E sempre tenendo presente la stessa prospettiva di valutare e misurare la posizione di Giancarlo Lotti alla luce, questa volta, non più di osservazioni di tipo scientifico, psichiatrico, medico-legale, ma con riferimento a quello che in linguaggio tecnico – e lo dico per i Giudici popolari – noi definiamo la “generica”. Vale a dire la prova del fatto. Seguendo questa strada che ha sempre e comunque come punto di riferimento la attendibilità di Giancarlo Lotti, il quale, in questa sede, con riferimento a questo aspetto del processo che vi illustrerò stamani, è solo, vale a dire esiste agli atti la sua voce soltanto, nel senso che non c’è anche quella del Pucci, per quanto possa valere quella del Pucci – poi vedremo anche questo, la validità delle dichiarazioni di Pucci -in questa, dicevo, analisi e con riferimento alla voce di Lotti, isolata, sola, perché è sola in questo caso, i dati che vi propongo riguardano, appunto, l’omicidio del giugno del 1982 avvenuto nella località di Baccaiano vicino a Montespertoli. Qui, una disanima serena, obiettiva, porta a concludere che Giancarlo Lotti è falso. Ma non solo è falso, ma la sua falsità è un genere di falsità che stranamente va a concordare con quello che è stato un errore di prospettiva ed uno sbaglio nella valutazione delle cose in cui sono incorsi gli inquirenti di allora. Errore che si è poi trascinato fino ad oggi, fino a quella udienza, a quelle udienze anzi, in cui questa Corte, finalmente, secondo me, questo errore lo ha corretto. Il dibattimento lo ha corretto. Allora, voi sapete cosa dichiara Lotti. La ricostruzione attendibile di quel fatto è totalmente diversa. Ed è diversa per quel motivo che voi già immaginate e che ora io mi accingo ad illustrare e che riguarda il fatto che la macchina non si sposta da un capo all’altro di quella strada che si chiama Del Virginio Nuova -Provinciale, strada Provinciale; non proprio… abbastanza secondaria, ma molto intensa di traffico – bensì è l’uccisore, il quale si mette sul sedile della guida, mentre i due giovani si trovano sul sedile posteriore, e si muove attraversando questa strada. E siccome è disturbato nella guida, anche perché attendibilmente si volta e spara un colpo contro gli occupanti il sedile posteriore, questa belva va a finire con le ruote nella cunetta e là resta la macchina, perché non è più in grado di muoversi. Allora lui scende, chiude uno sportello della macchina. Poi, siccome una volta disceso si accorge che qualcuno di quei due giovani è ancora vivente, spara contro i due fari della macchina, e li spenge in questo modo perché lo disturbano nel prendere la mira, e poi spara l’ultimo colpo contro il parabrezza. Che chissà se colpisce il bersaglio – io penso di sì, ma insomma, questa è una cosa che vedremo dopo – dopodiché getta via le chiavi e se ne va. Questa è la ricostruzione che attendibilmente si può fare di questo fatto; non se ne può fare altre e vedremo perché. Ma non è solamente questo il punto attraverso il quale Lotti riceve una netta smentita delle sue dichiarazioni; ce n’è un altro, che è emerso per la prima volta, anche questo secondo fatto, durante questo dibattimento. Di che si tratta? La belva si avvicina alla macchina dei fidanzati di Baccaiano arrivandoci a piedi, senza macchina. Una macchina che lui deve aver lasciato abbastanza lontano, fuori vista, non certamente su quella strada. Io poi ipotizzo che il motivo per cui ha tenuto questa macchina distante e nascosta dagli occhi di chi passa, è perché qualcuno questa macchina l’aveva vista prima avviarsi in quella direzione. E penso al Calonaci. Ma questa è una ipotesi. Fatto sta che sul posto, nel momento in cui esplodono questi colpi, c’è solo la macchina dei fidanzati. E vediamo se è vero. Passiamo dall’affermazione alla prova. Guardino, che questa è una disamina noiosa e complessa. Io l’ho fatta, ci ho perso un sacco di ore; la farete anche voi. Intanto facciamola. La dovete fare anche voi, intanto facciamola insieme. Per cominciare sistemiamo i luoghi. Mi sono portato qui una carta delle strade che poi vi affiderò. Avevo pensato di proiettarla là, ma insomma, vedo che la cosa è un po’ complicata. Io vi indico una zona. Questa zona comprende, rispetto a questa carta: Ginestra Fiorentina… Chi ha una esperienza dei luoghi sarà in grado di capirmi meglio. Poi ve l’affido questa carta. Non so se voi l’avete. Ma insomma, vi serve, eh. Non è una carta molto particolareggiata, ma, insomma, è indispensabile. Ginestra Fiorentina. Perché Ginestra Fiorentina? Perché ci sono due testimoni che dicono di essere usciti dalla superstrada, che è questa grande… come si fa a vedere qua, non lo so…
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Eh?
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Se si potesse trovare il proiettore. Ma…
P.M.: È troppo grande.
Avv. Nino Filastò: È un po’ grande. Però voglio dire: il proiettore poi, non ho la carta in mano io.
P.M.: (voce non udibile)
Presidente: Va be’, ma si conosce… la si conosce la pianta.
P.M.: (voce non udibile)
Presidente: La si conosce la pianta. Se n’è parlato, sì, sì.
Avv. Nino Filastò: Ginestra Fiorentina. Poi, da Ginestra Fiorentina, si prende questa strada che si chiama la Volterrana Vecchia e si arriva a Baccaiano. Passato appena Baccaiano, provenendo da Firenze, la strada si biforca. Anzi, diventa quasi, sì, diventa un trivio, qui dove c’è il podere del Ponte. Da una parte si va verso Poppiano; da un’altra parte, poco sotto alla strada che va verso Poppiano, si imbocca questa strada Virginio Nuovo, che è quella che ci riguarda, che costeggia il corso del torrente Virginio e arriva a Fornacette, altro punto importante e significativo per la nostra esposizione: Fornacette. A 800 metri circa, dice un testimone – vedremo chi è – da Baccaiano, andando verso Fornacette, c’è su questa strada, che come vedete è quasi tutta rettilinea, c’è il luogo del delitto. Che cosa ci servono poi ancora come punti di riferimento? Ci serve ovviamente il Mulino del Ponte Rotto, il posto dove abitava il Lotti e dove Lotti dice che sono passati a prenderlo. Da questo Mulino del Ponte Rotto, si prende questa strada, che è un’altra Provinciale, che va a finire per l’appunto proprio a Fornacette. Dove poi c’è il bivio che ci si immette in questa strada Virginio Nuovo che porta verso il luogo del delitto. Immaginatevi, quindi, una specie di ideale triangolo, in cui c’è un vertice: Ginestra Fiorentina; un altro vertice: San Casciano Val di Pesa; un po’ più sotto: Molin del Ponte Rotto, ecco l’altro angolo di questo triangolo. Il vertice è Fornacette. E poi l’altro lato di questo triangolo isoscele, quasi isoscele, è questa strada che poi continua idealmente da Baccaiano in su fino ad arrivare a Ginestra Fiorentina. Più o meno queste sono le strade che a noi ci interessano e ci riguardano. Sistemati in questo modo i luoghi – poi ci ritorneremo via via – sistemiamo le persone. Sapete quante sono? Sono 11. Non una o due, eh. Qui non c’è la signora Frigo che sta da tutt’altra parte… insomma, abbastanza vicino, ma, insomma, in un posto che poi vedremo. E sono persone, queste 11 persone, che non parlano a contatto con gli inquirenti otto anni dopo, come nel caso della Frigo, ma il giorno, lo stesso giorno, alcuni di loro. Nel senso che il delitto viene collocato, a torto, il giorno 20 giugno, in realtà avviene il 19, perché avviene prima della mezzanotte del 20, quindi la data del delitto è il giorno 19 giugno. E alcuni di loro vengono interrogati il 20 e altri il 21, altri il 22. Nei due-tre giorni immediatamente successivi. E sono 11. E sono 11. E si chiamano, come si legge in un rapporto di trasmissione di atti inviato al dottor Canessa, sapete quando? In data 15 dicembre 1997.
P.M.: È la copia, quella lì?
Avv. Nino Filastò: Sì.
P.M.: Ho chiesto io la copia.
Avv. Nino Filastò: Sì.
P.M.: In atti c’è l’originale.
Avv. Nino Filastò: Sì. Allora, visto che lei mi interrompe, allora, come si dice in Toscana, si leva il vino dai fiaschi subito.
P.M.: No…
Avv. Nino Filastò: Lei e il dottor Giuttari cercavate le macchine, no? Il signor Pubblico Ministero è il regista di questa indagine, il dottor Giuttari, cercavano le macchine degli “amici di merende”. Sì, o no? È questo che cercavate, no? È per questo che si va a interrogare – come dice il dottor Giuttari qui, nella sua prerequisitoria: “Sono andato a rifrugarmi le carte, a ritrovare i testimoni che non erano stati sentiti, o che erano stati sentiti male” – per rivedere i movimenti di automobili, per individuare la macchina eventuale del Lotti, questa famosa 128 rosso sbiadita. E qui avevate, Signori, qui avevate, Signori, 11 testimoni – 11! – che quella sera, quella notte, a distanza di cinque minuti dal fatto, come vedremo, erano transitati in quella zona, in quel posto! E andate a vedere l’indice degli atti del Pubblico Ministero, vedete se ce n’è uno, uno, uno solo. Nessuno. Sono stati introdotti in questo processo perché li ho introdotti io attraverso la deposizione del teste Allegranti. Da lì, poi, abbiamo sentito qualcuna di queste persone. E ditemi che questa non era un’indagine di tendenza. Almeno questo. Ditemi che questo processo non si fonda esclusivamente su una ipotesi che deve essere a tutti i costi confermata. E in replica avremo qualche altra cosa da dire, dopo, noi. 11. Dica, Presidente. Mi dica, mi dica.
Presidente: No, non ho capito l’ultima parola che ha detto.
P.M.: In replica.
Avv. Nino Filastò: In replica, ho detto.
Presidente: Ah, ecco. Non avevo capito questa parola.
Avv. Nino Filastò: 11 persone e tutti giovani, tutti con gli occhi buoni, tutti a caldo, all’epoca, vero. Ho detto 11 e dico i nomi: Marini Graziano, Bartalesi Concetta, Di Lorenzo Mario, Calamandrei Stefano e il suo amico Adriano, Sieni Luca, Sieni Giovanni, Tempestini Fabio – alcuni, fra l’altro, mai sentiti, eh – Carletti Francesco. Situazione, fra l’altro, di non avere approfondito anche allora, questo Carletti, è un caso gravissimo. Perché noi abbiamo saputo qua che questo ragazzo ha avuto un incidente, è entrato in coma e non è più disponibile, non parla più, non è più in grado… Ma vedremo l’importanza di Carletti. Perché, per fortuna, una sua dichiarazione c’è. Carletti Francesco, Campateli! Rossana e Del Mastio Monica. 11, 11. Più i quattro dell’ambulanza. Che anche loro, sia pure in un momento successivo, si sono trovati a passare da quella zona, quanto meno dal punto di vista di quello che sto dicendo. 11 e 4: 15. Per me il processo sarebbe finito qui, eh. E vediamo, eh, però se per caso questa gente non fossero persone assolutamente indifferenti, dei quali è possibile fare a meno. Ora, io mi dispiace, Presidente, insomma, ho avuto questa interruzione e ho preso… Più che voglio mantenere un tono calmo e più che, quando mi interrompono, mi sale la pressione e… Vediamo di vedere le cose con calma.
Presidente: Sì, piano piano.
Avv. Nino Filastò: Vanno viste con calma e piano piano. Bravo, Presidente. Grazie. Allora, io ve ne cito inizialmente tre con l’avvertenza che sono sei, in realtà, perché ciascuno di loro viaggiava con un compagno o una compagna accanto, quindi vanno raddoppiati come numero. Tutti dicono più o meno la stessa cosa e il primo è proprio questo Carletti Francesco. Il quale, voi trovate negli atti, finalmente poi sono stati inseriti nel fascicolo del dibattimento in seguito a quella allegazione da parte del difensore del testimone Allegranti, che ha richiesto ovviamente un controllo, una verifica. Allora tutto questo è stato finalmente inserito. Carletti Francesco vale per due, anzi, per tre vale, perché lui è insieme a due ragazze. Lui, poi c’è la Monica Del Mastio e la Campatelli Rossana e sono in giro perché la Monica Del Mastio vuol fare scuola guida. Ed è questa la ragione per cui si immettono su questa strada, io penso, perché è una strada rettilinea, abbastanza facile da fare. Loro partono da San Quirico in Collina, che è una località che si trova, la trovate anche quella, San Quirico in Collina che si trova vicino a Poppiano. Fra Poppiano, idealmente nella direttrice ideale: Poppiano e proprio il Mulino del Ponte Rotto. E vanno a fare questa gita allo scopo, appunto, di fare impratichire nella guida la signorina Monica Del Mastio. Arrivano verso Baccaiano: “Poco prima di immettermi sulla via Nuova Virginio” – dice il Carletti Francesco – “ed erano le ore 23.40, immesso sulla strada Nuova, ci siamo fermati su un largo sulla destra, scambiando con la Monica Del Mastio.” Fino a quel momento guidava lui, poi, un po’ prima di arrivare proprio nella zona del delitto, si ferma e fa guidare la Monica. “Si è perso” – dice – “un po’ di tempo per sistemare all’altezza giusta il seggiolino di guida e per illustrare la manovra alla Monica, ancora principiante. Siamo partiti. All’altezza del luogo del delitto…” Quindi, la Monica guida lei. A questo punto partono, dopo questa fermata, questa prima fermata. “All’altezza del luogo del delitto, come poi ho appurato, ho visto la macchina celeste chiara FIAT 127 posteggiata sulla destra.” Attenzione, dice: “Sulla destra.” “Posteggiata” – dice – “sulla destra”, Carletti Francesco dice. Allora, la direzione qual è? La direzione è la direzione che va da Baccaiano verso Fornacette. Si va, cioè a dire, verso il vertice inferiore di quell’ideale triangolo che vi ho detto. “E lui vede questa macchina parcheggiata sulla destra, in senso perpendicolare rispetto all’asse stradale, appena fuori dalla carreggiata. La parte posteriore era quella prossima alla strada, la parte anteriore era invece rivolta verso la campagna. Ho notato distintamente la luce interna accesa, dietro i vetri alquanto appannati.” Che macchina è questa qui? È la macchina dei fidanzati, prima che questi due poverini finiscano dall’altra parte della strada, morti. Siamo nel momento che precede e questo signore sta andando in una certa direzione, per cui sulla destra – ed è giusto, sulla destra, cioè, in questa piazzola -lui la vede parcheggiata al bordo della strada, con la macchina infilata dentro a questa piazzola, ma ci sta appena, tanto che la parte posteriore sporge un po’ sulla carreggiata. E c’è la luce accesa dentro, e ci sono i finestrini appannati. E che cosa vede? Attenzione ora: “Non ho visto delle figure umane, né all’interno” – perché ci sono i finestrini appannati – “né all’esterno. Non ho visto altri veicoli.” In questo momento macchine, oltre questa, non ce n’è. Carletti: “Si procedeva in seconda o terza” – la ragazza guida pianino, vero, siamo alle prime armi – “alla velocità di circa 40 chilometri e comunque non superiore a 50 chilometri,” – attenzione ora –“non abbiamo incrociato veicoli prima del bivio per Poppiano.” Stanno dirigendosi verso Poppiano, verso il bivio di Poppiano, e infatti voi trovate su questa strada, dopo il Borro di Ragnaia, il bivio di Poppiano, eccolo qua. Vi ricordate? Il riferimento è Borro di Ragnaia e qui c’è, sulla sinistra rispetto alla direzione di marcia di questo signore, il bivio per Poppiano. Loro…
P.M.: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Come?
Presidente: Chi parla ora? La Campanelli? Chi è?
Avv. Nino Filastò: No, no, no. Sta parlando Carletti Francesco, Presidente.
Presidente: Ah. Carletti, sempre Carletti. Va bene.
Avv. Nino Filastò: Carletti Francesco ed è interrogato… nato il 15 gennaio ’62, residente a Montespertoli…
Presidente: Sì, sì, no, no.
Avv. Nino Filastò: …ed è interrogato il giorno 21 di giugno dal dottor Izzo e dalla dottoressa Della Monica. Mi ero dimenticato di dirlo.
Presidente: Pensavo che si riferisse a qualche ragazzo… va bene.
Avv. Nino Filastò: No, no, questo è Carletti. È quello che non è venuto perché è malato gravissimo.
Presidente: Sì, sì, va bene.
Avv. Nino Filastò: Ha mandato questa attestazione che non può parlare, praticamente; questo è un atto tipicamente irripetibile.
Presidente: Sì, sì.
Avv. Nino Filastò: Allora: “…non ho visto altri veicoli” – ha detto – “lì fermi intorno a quella macchina.” Non ci sono altri veicoli. Ma procedendo, lui, prima del bivio di Poppiano, non incontra, non incrociano : “Non abbiamo incrociato veicoli prima del bivio per Poppiano. Difatti, poco dopo tale bivio, circa un centinaio di metri, abbiamo incrociato una vettura che tutti abbiamo riconosciuto per quella della Stefania Calamandrei.” Allora, voi avete questa immagine, no, di una macchina che viene da una parte e va in una direzione, e che è quella del Carletti Francesco, e di un’altra macchina che viene in su da una direzione opposta e che è quella della signorina Stefania Calamandrei che è insieme a un certo signor, se non vado errato… no, ho detto Stefania e l’ho fatta diventare una donna, ma in realtà è un uomo, si chiama Stefano, non si chiama Stefania, si chiama Stefano ed è un uomo e viaggia insieme a Poggiarelli Adriano. Poi proseguono: “Dalla partenza al cambio di guida ricordo che siamo stati superati soltanto da due vetture di cui non ricordo il tipo e le caratteristiche.” Vetture cioè che venivano dalla direzione… dalla stessa direzione loro, cioè a dire vetture che provenivano idealmente dalla zona di Ginestra, per intendersi, andando verso la direzione di Poppiano, Baccaiano, Montespertoli, Fornacette. La direzione che certamente non è quella che avrebbe preso il signor Lotti e chiunque altro, gli “amici di merende” che vengono dalla direzione diversa, opposta. Quindi fanno: “Abbiamo quindi fatto inversione di marcia.” Allora, ritorniamo a questo Carletti. A un certo punto Carletti e questa sua ragazza, queste sue ragazze, di cui una sta facendo la scuola guida, proseguendo su questa strada, prima di un’’interruzione, che non sono riuscito a trovare questa interruzione, probabilmente all’epoca c’era, ora un c’è più, sulla carta non si trovano ovviamente le interruzioni, che sono cose estemporanee. Ma su questa strada, m’immagino un po’ prima di Fornacette, questo signore fa l’inversione di marcia a U e torna indietro. Questo signore, in questo momento guida… E facendo questa manovra, dopo aver fatto questa manovra, a questo punto, ma sentite… Sente, qui probabilmente loro… qui c’è un cambio di guida, un altro cambio di guida, lo dice lui: “La Monica ha lasciato il posto di guida e ci siamo portati sul posto.” Dunque, dice: “…inversione di marcia quasi all’altezza del…”, “Tornando indietro, ci siamo fermati.” Loro fanno inversione di marcia, tornano indietro e si fermano. Dove si fermano? “…inversione di marcia quasi all’altezza dell’interruzione. Tornando indietro…”, “…e perché io pensavo di fare quella strada al ritorno”, eccetera. “E la Monica non aveva avuto la prontezza di fermarsi e c’è stata un po’ d’indecisione. Verso il luogo ove è avvenuto il delitto…” Dunque… Quand’è che dice che s’è fermato? Eccoci. Quindi: “…tornando indietro e ci siamo fermati subito dopo il bivio per Poppiano”, si fermano, sostano. A fare che? Son giovani, chi lo sa? A chiacchierare, a dire: ma passiamo di qua, passiamo di là. Insomma, passano, c’è una sosta. Qui, naturalmente interrogato dice: scusate, ma quanto tempo vi siete fermati? Dove esattamente? Siamo sempre su quella strada, eh. Comunque si fermano, fanno l’inversione di marcia, prima dell’interruzione, e si fermano e stanno lì. Ecco, mentre sono fermi: “…verso il luogo dove è avvenuto il delitto…” Loro l’hanno superato, no, prima venivano in giù, come ho detto prima, verso Fornacette, hanno visto questa macchina che è parcheggiata con i finestrini appannati e la luce accesa all’interno, non hanno visto macchine intorno, non hanno visto macchine venire in quella direzione provenienti da Fornacette, non hanno incrociato nessuno. Sono andati più avanti, si sono fermati, hanno sostato. A questo punto: “Verso li luogo ove è avvenuto il delitto si notava un movimento di fari. Venivano verso la nostra direzione e poi sparivano. Dopo si è capito che si trattava di chi si fermava.” Sono quelle altre macchine che poi vedremo, che arrivano e si fermano sul posto. “Poi sento una sirena che squilla, che subito dopo si è capito che era un’autoambulanza che subito dopo ci ha superato.” Passa l’ambulanza che viene da Empoli. “La Monica ha lasciato il posto di guida e ci siamo portati sul posto. Con i fari della mia auto ho illuminato la FIAT 127, che in quel momento si trovava sulla nostra destra.” Dimostrazione che prima era dall’altra parte, dalla parte opposta della strada, perché andandosene l’hanno trovato sulla destra, tornando indietro se la ritrova ancora sulla destra, perché la macchina è passata da una parte all’altra della strada. E loro erano lì e sono stati lì, all’andata e al ritorno, e non hanno visto macchine ferme in quel posto, e non hanno incrociato macchine che venivano in senso inverso, salvo una che poi ora vedremo. E i “compagni di merende”, le macchine dei “compagni di merende” dove sono andate a finire? Beh, seguiamo ora il percorso e il tragitto del Poggiarelli Adriano, il quale Poggiarelli Adriano guida la macchina riconosciuta dal Carletti, di cui abbiamo parlato ora. Carletti sta andando nella direzione di Fornacette, all’andata, prima di fare l’inversione di marcia e tornare indietro, e ci ha detto che nel momento in cui si è fermato, poco prima… no, anzi, ci ha detto che poco prima del bivio di Poppiano gli è venuta incontro una macchina, si è incrociato con una macchina e lui l’ha riconosciuta la macchina: era la macchina del signor Stefano Calamandrei. Non guidata da lui, però. La macchina dello Stefano Calamandrei, di proprietà di Stefano Calamandrei, con Stefano Calamandrei a bordo, è guidata dal signor Poggiarelli Adriano, che anche lui trovate qui, eh, interrogato anche lui, questa volta solo dalla dottoressa Della Monica, il 21 giugno del 1982. Il Poggiarelli Adriano racconta: “Mi trovato a bordo dell’autovettura del mio amico Stefano Calamandrei e conducevo io la macchina. Noi venivamo da Fornacette” – va bene? Fornacette. Ecco – “e sulla destra abbiamo” – lui qui corre, eh, in questo momento del suo verbale, lui anticipa dei tempi, che poi vedremo, importanti, intermedi – “sulla destra abbiamo notato una auto 127, un po’ obliqua, sulla Provinciale, con le ruote posteriori nel fosso circostante la zona.” Allora, pensateci, eh, perché è l’incrocio; è l’incastro fra le dichiarazioni di questi ragazzi che conta. Siccome questa macchina di Stefano Calamandrei è incrociata dalla macchina del Carletti e il Carletti è passato in un momento in cui la macchina è ancora perpendicolare alla strada, dalla parte opposta, nel momento in cui si incrociano queste due macchine, non c’è niente da fare, è il momento in cui la macchina passa da una parte all’altra della strada, siamo lì, siamo in quegli attimi, un po’ dopo, rispetto a quest’incrocio. Il tempo della sosta fatta dai due signori – dal Carletti e dalle sue amiche – per scambiarsi, per parlare, per scambiarsi il posto alla guida; avviene in quegli attimi lì questo passaggio e quindi anche gli spari. Anche il transito, l’attraversamento della macchina con i giovani da una parte, avviene in questi momenti, eh, mica otto anni dopo, eh. Ora, ora, ora, ora, in questi attimi. Tant’è vero che, dopo aver incrociato questa macchina, questa macchina che ha incrociato l’altra, siamo lì, mentre proseguendo vede già la macchina dall’altra parte. La trova già nella posizione finale. Carletti l’ha vista nella posizione di partenza, quando ancora era di là dalla strada, infilata nella piazzola; Poggiarelli, che incrocia la macchina di Carletti, vede la macchina invece nella posizione in cui è venuta a trovarsi dopo aver attraversato la strada. E le luci sono spente quando la vede il signor Poggiarelli, mi riferisco a quelli della 127. “Abbiamo avuto quasi la sensazione che si trattasse di un incidente avvenuto da tempo e che la macchina si trovasse sulla posizione perché non ancora rimossa. Ora, proseguendo verso l’incrocio con…” E quindi proseguono. Lo Stefano Calamandrei e il Poggiarelli – il Poggiarelli che guida – proseguono; vedono questa macchina in questa strana posizione e dice: ‘mah, sarà stato un incidente, questa macchina ancora non è stata rimossa’, e vanno avanti. “Proseguendo verso l’incrocio con Montespertoli, e quindi verso Baccaiano, ci è venuta però la preoccupazione che a bordo ci fossero dei feriti. E per questo abbiamo invertito la marcia e ci siamo andati a fermare in prossimità della 127, contemporaneamente all’arrivo dell’autovettura del Marini e della Bartalesi.” Va be’, poi qui parla del Mainardi, poi lo vedremo meglio dopo, quando parleremo della posizione del Mainardi. Ma cosa mi interessa in questo momento, perché la circostanza della assenza delle macchine dei “compagni di merende” o degli “amici di merende”, cosa mi interessa? Questo che dice lui: “Mentre andavamo verso Montespertoli, anzi Baccaiano, e ciò prima…” Prima, prima, capite? Sono due momenti, no, si passa una prima volta, si supera il posto dove si vede la macchina che forse è incidentata, si va avanti e poi si torna indietro. Lui sta parlando di Questo primo passaggio, prima: “…prima di esserci fermati a prestare soccorso e anzi, ancor prima di intravedere la 127” – ancora prima di vedere la macchina in quella posizione –“abbiamo incrociato una autovettura che aveva i fari alti, che ha abbassato nel momento in cui ci siamo incrociati.” Una. E chi era? La macchina, eh eh, la macchina del Carletti. Del Carletti, Presidente, che infatti la incrociano e lo riconosce; Carletti lo riconosce, riconosce la macchina del Calamandrei. Ma che momento è questo? E ce lo dice, il momento, Marini Graziano. Già da quelle considerazioni che ho fatto a proposito dello spostamento da un lato all’altro della macchina, con un testimone che vede la macchina nella posizione di prima e un altro che la vede nella posizione di dopo – sto parlando del testimone Carletti e Poqgiarelli – avevamo già la percezione che questo era il momento topico del delitto. Lo toccavamo già con mano, attraverso questa comparazione di queste due testimonianze. Ma a fugare ogni dubbio arriva il signor Marini Graziano. Il quale che dice? Lui ha una fidanzata che si chiama Bartalesi Concetta e che poi felicemente sposerà e auguri a tutti e due, perché sono proprio due bravi ragazzi e puntuali come testimoni e anche coriacei a smontarsi, come vedremo. E sono andati a Empoli quella sera, a far che ce lo dice la Bartalesi: a prendere il gelato, erano andati a Empoli. È già caldo, è già epoca da gelati. “Rientrando, facemmo la superstrada uscendo alla Ginestra.” Va bene? Siamo, Signori, proprio al vertice superiore di questo triangolo, Ginestra, quassù. Oltrepassano Baccaiano. Ovvio, vengono in giù dalla via cosiddetta Vecchia Volterrana, oltrepassano Baccaiano. Appena oltrepassato Baccaiano, appena oltrepassato Baccaiano, si fermano – questi due ragazzi – si fermano accostandosi sulla destra, più o meno all’altezza di quella stradina sterrata che porta al greto del fiume Virginio. E c’è infatti qua, una stradina, sembra di intravedere, perché questa carta non è molto particolareggiata, ma sembra di intravedere una stradina che porta al greto del fiume Virginio. A far che si fermano? Beh, insomma, ci vuol poco a immaginarlo, vero, anche loro sono due fidanzati e a loro gli è andata bene, perché la belva è lì, che si aggira lì, in quel momento lì, la belva è lì che cova. Proprio lì intorno. “Io non spensi il motore e mantenni accese le luci di posizione e quelle anabbaglianti.” Il ragazzo sa come si fa, in questi casi, come del resto anche la coppia Mainardi-Migliorini, che tengono le luci accese interne delle macchina. E si sono messi in questo posto – come vi si è detto, come vi ha già detto il collega Mazzeo -più che visibile, sulla strada, perché la psicosi del “mostro” c’è di già e si teme quel che può avvenire. “Credo che fosse all’’incirca le ore 23.45.” Torna l’orario? Siamo proprio nel momento in cui avviene tutto? Sì, eh. “Mentre ci trovavamo fermi in quel punto, transitarono nella stessa nostra direzione di marcia due o tre autovetture.” Quelle autovetture che sono state viste anche da quegli altri testimoni, e che vengono da direzioni completamente diverse rispetto a quella che dovrebbe essere quella che viene dal Ponte Rotto; opposta. Ma che queste due o tre autovetture che vengono dalla direzione opposta rispetto a quella che direbbe il signor Lotti, non abbiano niente a che vedere con il delitto di cui ci stiamo occupando, lo dice immediatamente dopo questo testimone, il quale dice: “Prima di transitare dette autovetture…” Prima che loro venissero, mentre sostano a margine di questa strada, vicino a questa sterrata, prima che provenissero dalla loro stessa direzione, quindi dalla direzione perfettamente opposta a quella che ci dice Lotti, queste due autovetture, comunque, prima, mentre loro sono lì che sostano. “Prima di transitare dette autovetture, io percepii due o tre rumori di cui non riuscii a capire l’origine.” E dice: “Escludo che durante il tempo in cui rimanemmo fermi” – “escludo” – “siano passate vetture da direzione contraria, salvo una, dopo che io avevo percepito quei rumori di cui ho detto.” Una sì, che va in direzione esattamente opposta, e dopo i rumori- E che rumori sono questi? Quando verrà interrogato al dibattimento il Marini, se non ricordo male, parlerà di “scoppiettii”. A domanda: “scoppiettii”; a pagina 38 del verbale del 19 dicembre del 1997: “scoppiettii”. La calibro 22, il rumore della calibro 22 è questo: (N.d.t. Batte le mani tre volte) non molto di più, un po’ più intenso ma più o meno (N.d.t. Batte le mani tre volte). Il Pubblico Ministero qui, visto che ci siamo, gli chiede: “Sentite rumore e non vedete nessuno? Macchine?” E lui risponde: “No, in quel momento lì non si incrociò né macchine in giù e né dalla parte opposta.” “Ma i rumori che sentivate li addebitavate come provenienza dalla zona dove era la macchina?” “E la macchina, evidentemente, la macchina…”, chiede sempre il Pubblico Ministero, eh: “E la macchina, evidentemente, è quella dei fidanzati.” “Sì, diciamo, in avanti, dalla parte nostra, sì, in effetti, verso… quella. Come degli scoppiettii.” Il Pubblico Ministero insiste: “Avete visto qualcuno o qualche macchina. E non vi siete poi riusciti a spiegare, se non c’era nessuno, come potevano essere rumori di sparo? O avete visto qualcuno o qualche macchina?” “No, questo non si vide nessuno, né macchine né niente in quel momento.” E due. “Che poi fra l’altro noi, ho detto, come ripeto, si ritornò indietro 4-500 metri, diciamo.” E qui il Pubblico Ministero si produce in una delle sue tante spiritosaggini, che secondo me si potrebbe risparmiare, perché dice: “Però, capisce, se c’era quella macchina e basta e non c’era nessuno, questi spari o si sono sparati da sé.” Perché non si può pensare che questo signore abbia lasciato la macchina defilata e ci sia avviato a piedi addosso a questi due poveretti? E insiste il Pubblico Ministero, dice: “Oppure gli spari che ha sentito lei non erano relativi a quella vicenda?” Punto interrogativo. E sentite la risposta del testimone, eh, com’è puntuale e precisa e come lo mette apposto, scusi eh, dottor Canessa, ma è stato messo apposto lei qui da questo testimone, non è il solo, fra l’altro. “Infatti, quando noi uscimmo per soccorrerli e si vide quei fori dei proiettili, ricapitolando quel discorso dei rumori, probabilmente nell’aria, noi la prima cosa che si disse, fra io e la mia moglie, a quel tempo – a quel tempo la mi’ fidanzata – dissi: qui si sono sparati.” “Qui si sono sparati”, Presidente. “Qui si sono sparati.” Il testimone ha fatto una constatazione uditiva, ne fa un’altra visiva, colpo di proiettile; associa immediatamente e dice: qui si sono sparati, qui e ora. E macchine non ce n’è altre, né degli “amici di merende” né di nessun altro. E questo butta il signor Lotti in una fogna! E se non c’era l’Allegranti, se non c’era, e se non c’era questo difensore che lo portava al dibattimento a farsi tormentare, come è stato tormentato per diverso tempo, più di un’ora almeno, tutto questo non sarebbe mai venuto fuori in questo processo. Capite? A voi, davanti a voi, per la vostra ricerca, della vostra verità, tutto questo non sarebbe mai venuto fuori. “Qui si sono sparati. Ecco perché andammo via subito.” Va bene come romanzo, Curandai? Si va benino come romanzo? Si procede bene come romanzetto? Andiamo avanti: “All’altezza del bivio di Poppiano feci inversione di marcia per ritornare verso Baccaiano. Eravamo abbastanza impauriti, quindi non so dire, data la mia concitazione, se venissero macchine da direzione contraria.” Ma noi ci interessava il momento precedente; questo siamo nel momento in cui loro si avvicinano, arrivano: “C’era la macchina del Calamandrei, seguita a breve distanza dal furgone di Luca Sieni” – altra persona – “che arriva con un’altra persona a bordo, anzi, altre due a bordo: Sieni, l’altro cugino e un’altra persona, un passeggero. Ci avvicinammo io, Stefano ed Adriano, fu così che notammo all’interno due corpi. Ed io in particolare feci caso al foro di proiettile sul parabrezza” – tant’è vero che dirà: “qui si sono sparati” – “mentre, non so se Stefano o Adriano notavano se il Mainardi era ancora vivo. Eravamo abbastanza impauriti. Posso escludere di aver avuto autovetture alle spalle e di essere stato superato.” Poi vanno al bar e avvertono l’ambulanza. O si son sparati da sé – come suggerisce argutamente il Pubblico Ministero – o li ha sparati la belva, che è arrivata a piedi in quel posto, lasciando la macchina defilata altrove; perché aveva le sue buone ragioni per lasciare la macchina altrove, come abbiamo appreso dal testimone Calonaci. E così, qui non c’è macchine rosse sbiadite di Lotti; qui non c’è auto bianche di Facci ani ; qui non c ‘ è proprio macchine nel momento in cui il delitto avviene. E questa è la prima conclusione che vi affido e che emerge da una lettura ragionata, serena di queste carte processuali, per fortuna introdotte in questo dibattimento. E smentita più netta del signor Lotti non c’è. Doppia smentita: smentita del Lotti e smentita delle indagini. Smentita del Lotti e smentita dell’inchiesta sui “compagni di merende”. Perché l’inchiesta sui “compagni di merende” o è stata condotta con la più totale disattenzione, trascurando le risultanze già esistenti, sia pure in nuce, dalle quali avrebbero potuto venire veramente e seriamente lumi sulla presenza di certe auto nel momento di una delitto, di uno dei delitti della serie, e è questa l’ipotesi che faccio: totale disattenzione. L’altra, qualche maligno potrebbe dire che queste cose si sapevano e che siccome, tutto sommato, ma qui bisogna… è un problema, eh.
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Perché siccome si conoscevano ed erano totalmente difformi rispetto a una certa tesi, si è preferito farne a meno. Si può fare? Mah, non so io, ditemi voi se si può fare. Lo può fare l’ufficio che ai sensi dell’articolo 358 deve investigare anche sull’emergenza a difesa dell’imputato? Mah, va be’. Diciamo disattenzione, diciamo disattenzione, diciamo proprio così: non ci eravamo resi conto che c’erano quindici testimoni che erano stati lì sul posto, nella immediatezza, contemporaneamente agli spari nel corso del delitto di Baccaiano. Non ce ne eravamo accorti. E allora, scusate, se non vi accorgete di queste cose, per piacere non trascinate la gente sotto processo con una richiesta di ergastolo, eh. E poi c’è la faccenda, la storia famosa della posizione del corpo del Mainardi, che smentisce nella maniera più plateale possibile il signor Lotti, il quale si adegua a quella che è la tesi ufficiale. E qui il dibattimento è stato tormentato. E io voglio cominciare non dai testimoni che hanno detto di aver visto il corpo del Mainardi sul sedile posteriore; voglio cominciare da quelli che sarebbero più affidabili – secondo il Pubblico Ministero – e che avrebbero visto il corpo del Mainardi, si dice, sul sedile anteriore. Intanto cominciamo a fare un discorso sulla affidabilità di una constatazione. Secondo il Pubblico Ministero: “chi arriva prima, prima macina”, è così? Dal punto di vista della sicurezza della prova, insomma, il testimone è arrivato sul posto, ha visto una certa cosa per primo, è quello che ci ha visto giusto, perché poi può anche darsi – mi par d’aver capito – che il corpo potrebbe essere stato spostato. Spostato da chi? Che questo povero disgraziato del Mainardi fosse in coma… Ora, va bene che c’è le ragazze che in coma strillano, come si vedrà fra poco; ma che una persona in coma riesca a trasferirsi dal sedile posteriore a quello anteriore questo mi sembra proprio che non sia possibile. Quindi, escluso lo spostamento, il privilegio che si affida ai testimoni che avrebbero visto il Mainardi seduto anteriormente, al posto di guida, sarebbe quello della priorità. Fon quello della luminosità, non quello delle condizioni in cui hanno visto, hanno assistito a una certa scena, hanno fatto determinate constatazioni; non quello della emotività più o meno grave che può averli condizionati in un eventuale avvistamento: no, della priorità. Sissignore, la Bartalesi, il fidanzato Marini, quegli altri signori che ho detto prima, il Carletti, il Sieni e tutti gli altri, arrivano prima dell’ambulanza – certo, la chiamano loro -ma arrivano e vedono una macchina sbilenca, infilata con le ruote posteriori in un fossato, in una strada buia, in condizioni di luminosità pessime, ma soprattutto questi signori, durante questo primo avvistamento, di questi signori nessuno apre gli sportelli. In una macchina a due volumi, come quella, la posizione di un corpo la si può apprezzare solamente aprendo gli sportelli e vedendo dove sta con il bacino, con il sedere, dove poggia il baricentro di questa persona. E non è possibile rendersene conto in una strada buia, in quelle condizioni di luminosità, a macchina chiusa, sbilenca, buttata là. In più, questa è la costante riferita da tutti questi testimoni, anche qui al dibattimento, queste persone, avvicinandosi, hanno visto il colpo di arma da fuoco sul parabrezza e immediatamente hanno avuto paura. Hanno avuto immediatamente la percezione di trovarsi di fronte a un delitto, che fosse un regolamento di conti o che fosse qualche altra cosa, e subito si sono fiondati chi di qua, chi di là, chi a chiamare i Carabinieri, chi ambulanza. Ma è vero questo? Corrisponde? Sì, corrisponde. Quello che vi ho detto a proposito delle constatazioni di questi testimoni è quello che è emerso nel corso di questo dibattimento. Martini… No, no, Martini è un altro, di Martini se ne parla dopo; è interessante, Martini. Bartalesi. Bartalesi dice… Il Presidente… Intanto Bartalesi comincia col dire che lei non è scesa nemmeno dalla macchina. Poi a furia di insistere dirà: ‘beh, sì, se l’ho detto prima, può darsi’. Il dire prima, quello che è stato detto prima, per piacere, lasciamolo un momento da parte, perché la prova si raccoglie qui, eh. Lei ha detto, testualmente : “Mi ricordo che non scesi neppure.” Il Presidente le chiede: “Ecco, io volevo sapere: lei ha avuto modo di vedere al posto di guida di quella macchina finita nel fossato chi c’era?” E la risposta è: “No, perché si vedeva, in pratica, passando, si vedeva la maglietta della ragazza.” Perché dice “passando”? Perché, ricordate, loro sono passati una prima volta, sono andati in cima e poi sono tornati indietro, quando hanno detto: beh, ma questo qui è un incidente, la macchina lasciata così. Ora questa ragazza confessa di avere visto la ragazza, di aver visto qualche cosa. E dopo, pensandoci, dice: ma un momentino, io passando abbiam visto forse che c’era una persona dentro, torniamo a vedere. Non si passa così di fronte a una situazione di questo genere lavandosene le mani. I ragazzi ci ripensano e tornano indietro. “Perché si vedeva la maglietta della ragazza, perché era bianca, mi sembra; però niente, al posto di guida non si vedeva, ecco.” Capito? Ha risposto così. Ma gli viene contestato questa dichiarazione : “Abbiamo quindi notato disteso sul sedile di guida.” Intanto qui le viene contestata una dichiarazione in cui lei parla collettivamente, riferendosi anche al Marini. Beh, e la teste risponde: “No. No.” Continua il Presidente a contestare: “… che si trovava in posizione obliqua il giovane Mainardi Paolo.” “No, io mi ricordo della maglietta della ragazza, perché che non ero scesa me lo ricordo benissimo.” E due. Si insiste: “Ma guardi che lei ha dichiarato d’aver…” “No.” Pagina 18, verbale del 19/12/96. “No, non scesi, sicché sono convinta di non aver visto lui.” “Allora, lei ricorda bene oggi o ricordava meglio allora?” “Penso di ricordare bene allora” – dice – “però mi sembra di non aver visto questo ragazzo, perché sono sicura di non essere scesa dì macchina.” E siamo a tre. Poi il Pubblico Ministero esprime la sua perplessità: “Capisce, ci lascia un po’ perplessi, almeno lascia perplesso me.” E qui intervengo io e dico: “Senta, va bene che sia perplesso me lo immagino” – dico io – “ma lasciamo perdere le perplessità, facciamo le domande al testimone, eh.” E comunque si continua a insistere per un’altra pagina di verbale: “ma lei aveva detto”, “ma perché lei aveva detto”, “e come mai aveva detto prima così, ora dice cosà”. E lei dice: “Pubblico Ministero, io sono convinta di ricordare meglio allora, però…” P.M.: “Che ricordava meglio allora?” “Sì, però” – dice – “credo di non aver detto che io avevo visto il ragazzo.” Dice. E il tono prende… “controlli la firma”, “l’ha fatta lei questa firma”, “e veda un po’”, “e guardi”. Alla fine si dice: “Si è sbagliata oggi, aveva detto bene allora.” Dice il Pubblico Ministero. “Certo.” Dice… Poi si parla dei colpi, anche lei, e lei che è insieme a Marini che parla di scoppiettii, lei dice: “Ecco, dei colpi.” “Dei botti”, dice lei… No, veramente, “dei colpi” dice lei, “dei botti” dico io, il contrario, colpi, botti. Io gli chiedo: “Rispetto al momento in cui sentiste i rumori, al momento in cui voi arrivaste dove era la macchina caduta nel fossetto, quanto tempo passò?” “Pochino.” Risponde lei. “Pochi minuti?” “Penso di sì, penso di sì, perché si andava pianino. Insomma, la strada è corta, però.” Dai botti all’arrivo della Bartalesi – qui siamo al dibattimento – passa “pochino” e non ci sono altre macchine lì. E qui noteranno di sfuggita la padronanza di questo individuo, la sua sicurezza, la sua capacità di dileguarsi, la preparazione anche. Perché? Ma, capitemi, voi sapete – a questo punto devo dire, voi sapete – perché almeno su questo sembrerebbe si fosse tutti d’accordo, compreso il Pubblico Ministero il quale vi propone questo straordinario scopo di lucro. Ma che lo scopo finale di questi delitti siano le escissioni, questo è un punto, le escissioni, lo strappo di questi poveri reperti da farne… lasciamo perdere, cosa se ne vuol fare, lasciamo fare. Lo scopo è sicuramente questo; da una parte e dall’alta, una parte dice per rivenderle al misterioso dottore, invece per me è per tutta un’altra ragione; tutti quegli scienziati, che ho citato ieri, dicono, esprimono pareri completamente diversi, rispetto allo scopo di queste escissioni, che si inseriscono perfettamente dentro una sindrome psicopatologica sessuale di quel tipo, sadomasochistica, sadica di quel genere, vengono portati a casa per rivivere poi dopo l’impressione, per riprovare il piacere, il godimento che si è provato in quel momento, perché quella persona è uno che sessualmente gode in quel modo lì. È tutto questo. Va be’, comunque, lasciamo fare. Le escissioni, no, ma come poteva chiunque, qualsiasi persona, il più pazzo di questo mondo, come poteva immaginare di poter fare una cosa di questo genere lì? Vi ha detto l’avvocato Mazzeo: andateci a vedere. E comunque, se non volete andare a vedere, leggetevi cosa ha detto il testimone Carletti – che ci è passato prima, quando la macchina si trovava nella zona originaria, nel punto originario – siamo sulla strada, siamo su una strada trafficata, di largo consumo. Ma come fa uno a mettersi lì a far quelle cose? Passa la macchina, una qualsiasi macchina e dice: ma quello che sta facendo? Beh, allora, voglio dire, la ricostruzione che ho fatto io, che si mette lui alla guida, perché la macchina non c’è… oltretutto la sua macchina sta lontano, si mette alla guida, tranquillamente, lui e parte. Va in un posto fuori via, forse, probabilmente a fianco del posto dove ha lasciato la macchina, qualche stradetta secondaria là verso il Virginio, si mette lì, fa quello che deve fare, lascia la macchina con i ragazzi in quel modo, la ragazza forse… fa quello che deve fare. Risale sulla sua macchina e se ne va. Questo è il progetto. E se non fosse avvenuto un fatto straordinario, eccezionale, l’avrebbe anche realizzato il tipo, eh. Oppure dobbiamo pensare che la banda degli “amici di merende”, che è partita dal Ponte Rotto, arriva lì, entra fine fatta, subito, trova la coppia, immediatamente uccide. Poi, va be’, il ragazzo scappa, e poi dice: va be’, è scappato, pazienza, si rimonta sulle automobili, Lotti sulla sua automobile rossa, quell’altro, e va be’, e si ritorna a casa a ritornare a bere alla Cantinetta. Ma andiamo, ma che scherziamo, ma dove siamo? Ma come si fa a digerire panzane di questo genere, quando abbiamo di fronte, sotto gli occhi – poi lo vedremo esaminando la generica – una ricostruzione totalmente attendibile, serissima, e che non può essere sicuramente questa? Va bene. Andiamo avanti a leggere la signora Bartalesi. Sulla ipotesi di qualcuno che sposta, prima dell’arrivo dell’ambulanza, il corpo del Mainardi la Bartalesi ha già risposto. “Ma qualcuno di voi” – le chiedo – “aprì lo sportello di questa macchina?” “No, perché penso, finché un arrivò l’ambulanza non si toccò.” Non la toccarono nemmeno questi ragazzi la macchina. “Non toccaste niente?” “No, noi quando si vide il foro del vetro ci si impaurì tutti. Come gli ho detto, ci si impaurì con questo foro e si scappò, in pratica.” Quindi, questo andare di corsa a chiamare chi l’ambulanza e chi i Carabinieri è quasi… è una fuga, anche, rispetto ad un avvenimento che questi ragazzi hanno intuito grave, dal quale a un certo punto è bene prendere di corsa le distanze. “E noi invece si andò al bar di Baccaiano a telefonare all’ambulanza,, mentre gli altri erano andati a chiamare i Carabinieri.” Il testimone Marini è forse, da questo punto di vista, quello più importante. Perché il testimone Marini… son tutti amici questi ragazzi, eh, tutti fra di loro, si conoscono tutti, e fra di loro il testimone Marini è quello che dà il via a questa falsa rappresentazione – falsa in buona fede, vero — della realtà del ragazzo che sta sul sedile anteriore. E qui si tocca con mano da che cosa è nato l’equivoco in cui è caduto lui. Probabilmente, contagiando in questo… ma contagiando per modo di dire, a mezza bocca, perché questi ragazzi poi, questa cosa, sì, nei verbali è espressa in un certo modo, con una certa affermatività, ma qui al dibattimento è venuto fuori che erano tutt’altro che sicuri. Presidente. Le domande le fa il Presidente qui, chiede: “Il giovane dalla parte…” Ecco: “E il giovane dove era?” E il Marini risponde: “Il giovane dalla parte della guida, naturalmente.” “Era al posto di guida?” “Sì.” “Tutti e due” – dice – “sdraiati all’interno.” “Sì. C’era la sicura, mi ricordo.” “E la ragazza dov’era?” “La ragazza?” “La ragazza.” Dice il Presidente. “Sulla parte destra, sdraiata anche lei.” “Cioè accanto al guidatore?” Chiede il Presidente. E il testimone risponde: “Accanto al guidatore, sì, senz’altro.” Avete capito, ora? Questo ragazzo ha avuto l’impressione che questi due fossero tutti e due sui sedili davanti, uno accanto all’altro. Ma li ha visti l’uno accanto all’altra. Ed è questo che a noi ci interessa. In una macchina a due volumi, in quel modo, guardando dall’alto, senza aprire lo sportello, senza far la constatazione, ci si può sbagliare. Non è mica, questa, una Mercedes Benz 500 lunga da qua a laggiù, che si vede benissimo chi sta seduto davanti e chi sta seduto dietro. Questa… Eh?
Avv. Federico Bagattinni: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: C’ha i vetri mezzi appannati, mi suggerisce il collega Bagattini, che francamente non saprei come fare senza di lui.
Avv. Federico Bagattinni: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Quindi è una situazione in cui è difficile distinguere. E questo ragazzo, in buona fede, vede queste due persone e ritiene che siano tutte e due sui sedili anteriori. Ma cos’è la cosa che a noi ci interessa? Che li vede l’uno affianco all’altro. “Erano in quella posizione lì, sdraiati per così, insomma.” Anche lui ripete che, visto foro del proiettile: “Ci si impaurì” e che ovviamente sistema la sua constatazione in quella concitazione, in quella paura e in quella tensione che deriva dall’aver constatato la presenza di un delitto. Vorrei sapere a quante persone al mondo può essere successo nella vita di trovarsi a un tratto a constatare un delitto? Può capitare una volta, e per fortuna a rare persone. E queste persone, quando si trovano lì di fronte, hanno sentito gli sparì, hanno visto il proiettile, il segno del proiettile e immediatamente hanno detto: ‘qui si son sparati’. Eh, insomma, provateci a immaginare che tipo di tensione. E poi il tempo, di questa constatazione, che gli ha fatto prendere questo abbaglio dì ritenere queste due persone affianco l’una all’altra, fossero entrambe sul sedile anteriore. Però non è che si muovevano e niente. “Noi” – dice – “furono attimi, non è che ci si stiede 10 minuti lì.” Visto il foro del proiettile: via, fuga, di corsa a chiamare i Carabinieri e l’ambulanza. E vede il ragazzo sdraiato all’indietro. Sdraiato all’indietro, lo vede sdraiato non perché sia sdraiato all’indiètro, come vuole il Pubblico Ministero, come qualcuno ha detto si stava rivestendo. Tutte storie. Si stava rivestendo per ragioni di, come ha detto, riservatezza? È che lui è andato all’indietro, è all’indietro, con la testa sul sedile posteriore – questo lo dicon tutti – colpito, è andato all’indietro. Poi il Marini parla degli scoppiettii. Poi quelle altre cose ve le ho dette. “Qui si sono sparati.” Eccetera. E vediamo il Poggiarelli Adriano. Il quale Poggiarelli Adriano è quello che arriva, se non sbaglio, insieme al Carletti. No, no, no. No, non è insieme al Carletti. È insieme al Calamandrei e guida lui la macchina del Calamandrei. Sulla posizione del Mainardi. Anche loro ci passano davanti, poi tornano indietro perché gli sembrava una cosa strana: “Siamo tornati indietro.” Poi qualcuno ha detto… E il Presidente gli domanda: “E questo giovane dove era seduto?” E cosa risponde? Cominciamo a contarli, eh. Perché per ora ne abbiamo visti due che sono incerti. Una che dice, la signora Bartalesi, dice: ‘io non l’ho visto perché non sono nemmeno scesa’. Poi dopo a contestazione: ‘mah, sì, può darsi. Allora dissi, allora, allora sì. Se c’è scritto, la mia firma c’è’. Un altro dice davanti, però immediatamente, nel dire davanti, subito la sua affermazione è immediatamente minata, per quello che ci interessa, dalla constatazione: erano seduti l’uno affianco all’altro. Quindi, secondo il mio parere, se dobbiamo, come dire, vivere questa esperienza processuale in termini di referendum, io il voto del signor Marini lo assegnerei al sedile posteriore. Ma il signor Poggiarelli, a domanda del Presidente, dice: “Per conto mio era disteso indietro, sul seggiolino posteriore, o per lo meno la testa l’aveva sul sedile posteriore. Cioè, la sensazione è che fosse… Vedevo chiaramente questa ragazza, perché io mi affacciai dalla parte destra dell’auto.” Vogliamo dargli un punto e mezzo fino a ora? Alla tesi, alla ipotesi Allegranti? Perché è così che è stata definita questa cosa. Da parte di quel banco dove non si fa che sbandierare: ‘fatti oggettivi, le constatazioni; noi, fatti, fatti, non vogliamo inter… fatti, fatti’. Questa tutto a un tratto è diventata “l’ipotesi Allegranti”. Un testimone viene qua, dice: ‘io ho visto questa cosa. Sono andato lì, ho visto questo’. ‘Ma è sicuro?’ ‘Sì’. E lo dice da tempo, da sempre. Continua a dire sempre la stessa cosa. Magari si sbaglierà anche, ma non possiamo parlare di “ipotesi Allegranti”. Possiamo dire lo sbaglio di Allegranti caso mai. Possiamo dire l’errore, possiamo dire la farneticazione, l’abbaglio, l’allucinazione di Allegranti. Ma non l’ipotesi di Allegranti. E che gliene importa a Allegranti di un’ipotesi o di un’altra? Poi, dopo aver detto che secondo lui il ragazzo era dietro, il Poggiarelli dice: “Però, dovessi dire dove era seduto il ragazzo non glielo so dire.” D’altra parte la contestazione che gli fa il Presidente è una contestazione che si capisce bene da cosa deriva; da come è il verbale, si capisce perché a questo’ giovanotto sono state affidate determinate parole, da quel verbale. “Avvicinandoci all’auto del passeggero abbiamo notato la ragazza sul sedile posteriore – gli contesta il Presidente di quello che disse il 21 giugno – “e solo successivamente ci siamo resi conto che sul sedile di guida era disteso. Si trovava Paolo Mainardi anche lui disteso in posizione supina.” Quando? Quando si stava cominciando ad estrarlo. Questo ragazzo ha visto due fasi di questa… Non solo quella in cui inizialmente vedono lo sparo e poi vanno. Ma poi, dopo, quando si è… E c’è stato anche un momento in cui probabilmente il Mainardi stava disteso, in posizione supina, sui sedili anteriori. L’avvocato Filastò poi chiese al Poggiarelli: “Quanto vi siete soffermati a guardare questi ragazzi, a osservare la situazione?” E il Poggiarelli risponde: “Pochissimi. Si tratta di minuti, qualche minuto.” Il Calamandrei dice: “Nel guardare bene, ci accorgemmo che dentro c’era una persona. E l’altro occupante, dall’altra parte, non son ben sicuro” – dice a pagina 71 –“che fosse davanti o di dietro. Mi ricordo che era molto reclinato all’indietro.” Poi dice che: “Praticamente ci prese la paura a tutti. Siamo rimasti a una certa distanza, lo stavano già levando.” E poi ripete: “Io non ricordo se lui fosse davanti o dietro. Molto sdraiato, molto reclinato all’indietro.” Gli vien contestato: “Si vide la ragazza sul sedile di dietro e il giovane sul sedile di guida, appoggiato, riverso all’indietro.” Ecco anche per cosa può essere stato ingenerato. Non voleva parlare di errore, parliamo di errore, di una verbalizzazione affrettata. “Il ragazzo si trovava in una posizione molto reclinata all’indietro”, e in una posizione di questo genere qui, un po’ di sbieco, può anche essere sembrato che fosse davanti. “La strada lì è buia”. Presidente, posso fare una pausa di cinque minuti?
Presidente: Benissimo, cinque minuti di sospensione.
Presidente: Ci siamo? Prego, avvocato Filastò.
Avv. Nino Filastò: Grazie, Presidente. E si arriva, a questo punto, al teste Di Lorenzo Mario. Che è questo Di Lorenzo Mario? E’ uno che sta nel bar dove i ragazzi sono andati a telefonare per chiamare l’ambulanza. Ha sentito questa cosa e si è affiancato a questi ragazzi e è andato anche lui sul posto a constatare quello che succede. E’ una di quelle persone che, quando avvengono fatti di questa natura, subito si fanno in quattro per dare una mano, per collaborare. È quello che fa lui e, insomma, per quello che ci riguarda, dice: “E cominciano a tirarli fuori.” Cominciano chi? Gli addetti dell’ambulanza. Perché lui arriva insieme a quelli dell’ambulanza. Insomma, poi ci sono momenti un po’ di paura. E lui era andato là, non so, poteva aiutare qualcheduno dice. “C’era questa ragazza dalla parte destra?” “Sì. ” “Aspetti. Dalla parte destra, dietro.” “Ci rifletta.” Dice: “Sì, era dalla parte destra, dietro. E questo ragazzo si sentiva un… dietro ai seggiolini.” Dietro ai seggiolini. Quindi non c’è solo l’Allegranti, c’è anche il Di Lorenzo che lo vede dietro ai seggiolini, constata questo. “Era dietro” – poi spiega meglio a pagina 85 –“fra i seggiolini.” Io gli contesto che lui aveva dichiarato che si trovava disteso con le gambe sul sedile anteriore. Lo aveva dichiarato prima, in questo modo. Di Lorenzo è un altro che, sia pure con quelle incertezze che derivano da chi non ha materialmente partecipazione alla attività di soccorso, vede il ragazzo dietro. E si arriva, a questo punto, al primo, diciamo così, “casus belli” di questa circostanza, che è il testimone Gargalini Silvano. Anche lui sentito a suo tempo. Anche lui sentito il 22 di giugno del 1982, a distanza di due giorni. Il quale dice: “Apro lo sportello…” e lui interviene. Ora, qui c’è un’apparente discrasia fra lui e l’Allegranti, perché tutti e due dicono di essere intervenuti e ciascuno indipendentemente dall’altro. Il che è possibilissimo. È possibilissimo che l’Allegranti sia intervenuto per primo e che immediatamente dopo sia intervenuto il Gargalini. Quando l’Allegranti, forse richiamato da qualcuno – come dice lui, l’Allegranti – si va a occupare di quello che è il suo lavoro, perché lui è l’autista e si deve occupare dell’ambulanza. E quindi lui poi lascia le cose agli altri e va dietro a. . . torna all’ambulanza a sistemare la lettiga. È così che lui dice, eh. È così che sono andate le cose, in una situazione di notevole concitazione. Il mio figliolo ha fatto questo lavoro, è iscritto volontario in un’associazione di questo genere; c’è andato un sacco di volte a fare operazioni di questo tipo e me l’ha raccontato come funziona, che c’è sempre una concitazione. Si va a raccogliere il suicida: insomma, son tutti lì che. . . E son ragazzi, ma bravi ragazzi, bravissimi ragazzi, perché chi sceglie di fare una cosa di questo genere, gratuitamente, è una persona più che rispettabile. Ed è una delle caratteristiche più positive del nostro ambiente, della nostra regione. La percentuale di volontari in questa attività che c’è in Toscana non c’è da nessun’altra parte d’Italia. C’è un sacco di gente che si dà da fare in questo senso. E questi ragazzi alcuni son giovanissimi. Sapremo qui, a questo dibattimento, che per alcuni di loro era il primo intervento addirittura, quello, che facevano. Perché è un’associazione questa, della Croce d’Oro, che è nata d’agosto. No, è nata non d’agosto… un poco tempo prima, ora il mese non me lo ricordo. E’ nata pochissimo tempo prima, e per alcuni di questi ragazzi è il primo intervento che fanno. Quindi c’è, naturalmente, una certa concitazione. La persona più anziana del gruppo, che è per l’appunto l’Allegranti, il primo intervento lo fa lui. Poi dopo, a un certo punto, lui sa che il suo mestiere è un altro, lascia fare gli altri e va. Ed è questo punto. Che c’è di contrastante, di assurdo, di non veritiero? Il Gargalini: “Apro lo sportello al lato opposto della guida, cioè il lato destro.” Questo l’ha detto chiaro. Dopo, nel prosieguo di questo dibattimento, quando si cercherà di fare la demolizione del teste Gargalini, come si cercherà di demolire il teste Allegranti. Oh, lì tutti: ‘ma quale sportello? Destro in che senso?’ Ma quando dice destro, si capisce che è lo sportello destro di una macchina. Dov’è lo sportello destro di una macchina? Quello opposto alla guida. Considerato che le nostre macchine hanno la guida tutte a sinistra, lo sportello destro è quello… quando si dice destra o sinistra di una macchina, si ha sempre in mente il senso di direzione della macchina. ‘Destro, lei aveva detto così…’. “Entro dentro. Mi accerto che c’è due persone dentro. Che una, la donna, dietro lì, al lato destro, tasto il polso, tasto la carotide, non c’era segni di vita. Mi giro così e vedo l’altra persona accanto, che non dà segni di vita. Fo agli altri…” Che dava segni di vita. “Che dava segni di vita. Fo agli altri miei colleghi: ‘portiamo via questo, perché è l’unica persona che dà dei segni di vita’. Lui era sul sedile posteriore, cioè sulla poltrona posteriore, lato guida, diciamo.” “E poi” – chiede il Presidente – “che è successo?” “Niente. L’abbiamo tirato fuori, l’abbiamo caricato in ambulanza e portato all’ospedale San Giuseppe di Empoli.” Poi si . comincia con le domande. Sulle contestazioni, il Presidente gli contesta che in precedenza aveva detto esattamente quello che dice ora. Non c’è proprio nulla da contestare. E la contestazione glie1’avevano già fatta all’epoca gli inquirenti, poi vedremo perché. Perché? Per quale motivo plausibile gli inquirenti possono avere in quel momento insistito perché un testimone rivedesse quella che era una sua constatazione? A un certo punto si dice, nel verbale: “Prendo atto che altri ‘testi siano intervenuti, prima di chiamare i soccorsi, sia immediatamente dopo. Hanno rilevato una posizione del Mainardi completamente diversa.” Cosa non vera, come abbiamo approfondito qui al dibattimento. “In particolare, questi testi hanno evidenziato che il Mainardi si trovava supino, leggermente spostato verso sinistra, sul sedile anteriore del guidatore.” Questa è la contestazione che veniva fatta all’epoca. All’epoca, non ora. All’epoca, al Gargalini. “Sul sedile anteriore del guidatore e che tale sedile era disteso. Tale posizione risulta riscontrata anche dagli inquirenti al momento dell’ intervento.” Questo è assurdo, non è vero nulla, perché gli inquirenti, al momento dell’intervento, il Mainardi non c’era. Era stato portato in ospedale, quindi gli inquirenti non hanno potuto constatare nessuna posizione del Mainardi. E questa è un’altra storia, un’affermazione completamente gratuita. E cosa aveva risposto all’epoca il Gargalini? Aveva risposto: “Io comunque sono assolutamente certo della versione da me fornita.” E per forza. E qui, a questo dibattimento, quando gli contesto questa affermazione, cosa dice il Gargalini? Il Gargalini qui, a questo dibattimento. Prima aveva detto: “Sono assolutamente…” nell’82. Aveva detto: “Sono assolutamente certo della versione da me fornita.” E qui dice: “Sì, perché l’ho tirato fuori.” Più di questo cosa volete, scusate? Che cosa volete più di questo? Questo è il testimone che l’ha tirato fuori dalla macchina. Non è il testimone che è passato di lì, ha visto i vetri più o meno appannati, che si è fermato al buio, ha visto una maglietta bianca, ha avuto l’impressione che i due fossero appaiati come Marini, come ha avuto questa impressione il testimone Marini -sbagliando evidentemente – e mettendoli però uno accanto all’altro, tutti e due sul sedile anteriore. No, questo è un testimone che, aperto lo sportello, sta tirando fuori un corpo. E non solo, ma per fare questa operazione, vi dice questo testimone – e gli altri che vedremo fra poco – compie una operazione. E qual è questa operazione? Quella dello spostare verso il parabrezza, così, lo schienale di guida, e anche l’altro, dei sedili anteriori della macchina. E su questo son tutti d’accordo. Ora ditemi che un’operazione di questo genere si fa per estrarre, dal punto dove si trova, un corpo che si trova seduto davanti. Provate a scrivere nella sentenza una cosa di questo genere. Se questa operazione è stata fatta, e lo dicon tutti che è stata fatta, questo è segno che stava dietro, no? Perché altrimenti questo schienale è un ostacolo e quindi si deva fare questa operazione per trascinare questo povero corpo fuori. E qui si scatena una bagarre, vero, anche a rileggere questo verbale. “Eh, certo, l’ha tirato fuori.” Dico io. Qui, a questo punto si innesta quella circostanza per cui dalle foto si vede che questo schienale è per un po ‘ – quello della guida – un tantino spostato così, con un’angolazione – forse così è troppo – con un’angolazione di qualche grado. La domanda a Gargalini, abbrevio, è la seguente. Dice: “Ma lei si è accorto…” perché questa è la posizione che si vede lo schienale. Vale a dire, la parte mobile dello schienale del sedile di guida è spostata un po’ così. E si dice: ‘ma lei… Guardi, noi si è visto le fotografie, c’è questo schienale in questo modo’. “Sì” – dice Gargalini – “l’ho spostato io così.” Dice: “Per fare che?” “Per accertarmi delle condizioni di uno dei due, della ragazza.” Perché lui è entrato di qua, all’inizio è entrato da questa parte e ha dovuto tentare di accertarsi – toccando la carotide, il viso, la faccia della ragazza – se questa ragazza era viva o morta. E allora, siccome questo schienale… dice l’ha un po’ spostato indietro. Poi, dopo, fatta questa operazione, accertato che la ragazza era morta, per estrarre il corpo del Mainardi l’ha messo così. Dopo, successivamente, quando intervengono gli inquirenti, chissà… questo ritorna in posizione normale e risulta un po’ piegato così. Ecco. E tutta questa tempesta in un bicchier d’acqua che riguarda lo schienale un po’ spostato, lo risolve il Gargalini raccontando tutto questo in questo modo. Dice: “Quindi portai in avanti, cioè verso il volante, il sedile di guida.” Gli contesta il Pubblico Ministero. E il Gargalini dice: “Ma per tirarlo fuori, scusi” – dice – “non per accertarmi della causa della persona, non per accertarmi se la persona, quell’altra, era viva o morta.” “Vuol dire dopo, per poter lavorare, per tirarlo fuori?” “Sì, ha ragione, dopo l’ho reclinato.” Certo, è ovvio che è andata così. E qui poi si scatena, fino a arrivare così, a una discussione addirittura col Presidente. Il Pubblico Ministero dice: “Come fa a reclinarglielo sopra?” Reclinarglielo sopra? Spostato un po’. “Dobbiamo renderci conto, ha capito…” Allora, poi alla fine, dopo tutta questa bagarre che dura per diverse pagine del verbale, e non è una lettura molto gradevole da fare, per dir la verità, per chi fa il mio mestiere, almeno. E mi ci sono messo anch’io a complicare le cose, in qualche modo, con degli interventi… Benissimo. In dibattimento c’è dei momenti di questo genere qui e non giova molto all’accertamento… Per fortuna, però, qui noi abbiamo un testimone che è uno che proprio, non c’è niente da fare, vero, le cose che lui ha visto e che ha constatato, lui ci tiene, perché è una persona per bene, sicura. E alla fine lui, a pagina 106, dice: “Io sono salito sul sedile.” Allora, a questo punto, a sinistra, così, in questo modo. “Non arrivando a fare quello che dovevo fare, ho dovuto fare questa manovra, spostando un po’ questo schienale. Poi, quando ci siamo resi conto che questa persona dava dei segni di vita” – il Mainardi – “allora mi sono precipitato in terra, ho alzato il sedile” – dice – “e si è tirato fuori.” Va bene? Lo volete più chiaro di così, il testimone? Finalmente? Dopodiché, dice: “Ma, guardi, lei prima ha detto che è entrato da destra.” “Sì” – dice lui – “all’inizio sono entrato da destra e ho constatato che la donna era morta. E ho accertato di questa donna che lì per lì non dava nessun segno di vita.” L’avvocato Colao vuol sapere se la destra è lo sportello del passeggero o del guidatore. Si vede che a lui gli risulta oscura la situazione. E questo gli risponde: “Dalla parte del passeggero”, si capisce. A destra, vero. “Sono salito su questo sedile.” Eccetera e va bene. Dice: “Sì, sì, va bene, va bene. Allora si tira fuori lui… Ecco, allora sono sceso, si è tirato su il sedile, si è tirato fuori e si è portato via. E poi noi siamo andati via.” Ecco. Che passione, come si dice in Toscana! Poi c’è la forzatura dello sportello; parla della forzatura dello sportello. Insomma… A proposito dell’Allegranti, che a sentire il Pubblico Ministero non dovrebbe aver fatto niente in questa operazione di soccorso, il teste Gargalini dice, gli si chiede chi sono gli altri che hanno lavorato, eccetera: “Gli altri ragazzi erano con noi; gli altri due ragazzi erano con noi.” Infatti erano quattro: lui, due ragazzi e l’Allegranti. “Poi anche l’Allegranti naturalmente, perché aveva tirato fuori la lettiga. Ci ha aiutato anche lui.” Il Presidente dice: “Ah, vi ha aiutato anche lui?” “Eh, dopo sì.” Che l’Allegranti poi, che è una persona anziana, di una certa esperienza, abbia voluto sincerarsene anche lui delle condizioni di quella ragazza, caso mai, l’altro avesse visto sbagliato, che fosse invece vivente anche lei. Sono tutti lì, sono tutti lì. I ragazzi, quelli giovani, stanno un po’ più in disparte. Ma i due, quelli più anziani, sono lì a vedere quello che succede, a prestare i primi soccorsi. Forse si tratterà di fare una respirazione bocca a bocca; non lo fanno, ovviamente. Ma perché si rendono conto che c’ è una carotide che butta fuori sangue. E quindi si danno da fare velocemente, il più possibile, per portarlo in ospedale, per cercare di salvargli la vita. Perché è questo il loro… L’avvocato Bertini, l’avvocato Bertini – chissà che gliene importa all’avvocato Bertini – dice: “Si, ma a parte la mano, fisicamente l’Allegranti dentro la macchina c’era insieme a lei, poco prima di lei? Lo ha visto lei?” “No, questo non lo ricordo.” Dice il Gargalini. Non se lo ricorda di questo. Non è che lo esclude. Dice: “Non lo ricordo.” Pagina 127, verbale del 19 dicembre: “Non lo ricordo.” Non se lo ricorda. Naturalmente ciascuno di loro, sia l’Allegranti che il Gargalini, per un normale effetto di normale vanità, tende evidentemente ad amplificare il proprio ruolo, a stabilire che ha fatto tutto lui. E quindi ciascuno dei due praticamente annulla l’altro. Ma questo è normale, è umano. Ma tutti e due sono intervenuti, tutti e due hanno compiuto quelle azioni, tutti e due hanno… L’avocato Bertini insiste, l’avvocato Bertini difende Lotti. Siccome Lotti deve essere stato lì, a prendersi l’imputazione, allora è giusto che insista a dire: “Forse non ho seguito bene io, non ho capito bene. Lei ha detto che è entrato dalla parte dello sportello destro del passeggero per verificare se la ragazza era morta…” “Esatto.” Dice Gargalini. “Ha poi detto che ha dovuto fare quella manovra di reclinamento del sedile anteriore?” “Sì, per arrivare alla ragazza.” “Alla ragazza.” “Sì. ” “Ora io mi domando questo, forse ho capito male io: se il ragazzo, come lei dice era dietro…” “Sì.” “Dico, lei è dalla parte dietro dell’auto. Che noia le dava?” Come, “che noia le dava”? O avvocato Bertini, mi scusi, ma come “che noia le dava?” C’è il sedile, no? Il sedile, per portar via uno di dietro, il sedile dà noia. Si sposta, accidentaccio, no? Sì o no? O si deve star qui a perder tempo con le domande insulse. Grazie, Vanni. No, stia comodo, stia comodo.
Mario Vanni: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Va bene. Allora il Gargalini dice che era dietro. E siamo a due. Senonché ne arriva un’altra. Per fortuna, attraverso questo inciso introdotto da questo difensore all’interno di un processo che di questa cosa proprio non se ne voleva occupare, arriva anche il Martini Marco. Il Martini Marco è un ragazzotto, il quale… No, ora non lo è più, all’epoca era un ragazzotto, al quale, intanto, si comincia a cercare di togliergli l’età a quell’epoca. ‘Quanti anni c’aveva?’ 18 anni, c’aveva. È del ’64, aveva 18 anni. Quindi un’età più che ragguardevole per rendersi conto delle cose. Mica il ragazzino. Perché poi svolge un compito che è anche piuttosto delicato, ci vogliono persone coscienti, no? Dice il Martini: “I giovani in macchina?” “Sì, in macchina, sì.” Gli domanda il Presidente. “Sì, erano dietro i sedili, accasciati. Insomma, con la testa reclinata all’indietro.” Dietro i sedili, accasciati, con la testa reclinata all’indietro. E poi dice che: “Siamo entrati in macchina, si è soccorso chi doveva, insomma, il Mainardi…” Poi è stato interrogato dai Carabinieri, solo dai Carabinieri di Montespertoli, lui è stato interrogato. Dice: “Quanti anni aveva?” “19. ” “18.” Dice il Pubblico Ministero. “Sì, 18…” Va bene, aveva 18 anni. Allora il Pubblico Ministero gli contesta questa dichiarazione resa a suo tempo. Dice: “La stessa, alla domanda, la stessa che le ha fatto il Presidente, se questo ragazzo era davanti o di dietro, lei ha risposto: ‘non sono in grado invece di precisare l’esatta posizione del corpo del Mainardi in origine, in quanto, al momento del mio intervento, il corpo stesso era già stato spostato dal mio collega’. E oggi” – dice il Pubblico Ministero – “invece che lei, che lo ha visto sul sedile dietro. Allora?” E questo ragazzo dice: “Dopo…” – ragazzo ora non più, uomo fatto -“Dopo…” Il Pubblico Ministero insiste: “Invece di precisare l’esatta posizione del corpo del Mainardi, come mai oggi se lo ricorda così bene, se a 24 ore, dice, era già stato spostato dal suo collega?” E il testimone, secco, gli dice: “Ora glielo spiego.” “Ora glielo spiego.” “Dopo circa tre ore, tre ore e mezzo di interrogatorio, alla fine, a Montespertoli, dissi: ‘fatemi firmare, scrivete quello che vi pare e fatemi firmare quello che vi pare’.” Va bene così? “Lei ha fatto” – dice il Pubblico Ministero – “tre ore, tre ore e mezzo di interrogatorio?” Si meraviglia, perché il verbale di questo ragazzotto è corto così, siamo a mezza pagina. E il Martini dice: “Un tartassamento continuo. Eh, sennò…” “Mi scusi, ma tre ore e mezzo” – dice – “ad aspettare.” Dice il Pubblico Ministero. “No, no, no.” – “No”, uno; “no”, due; “No, tre -“Interrogato.” “Loro, mi scusi, di chi sta parlando?” “Non lo so, un magistrato, una signora. Non mi ricordo chi era.” Dice. “Va be’, un magistrato c’era, no? Donna?” “Penso di sì, non so se era… Alla fine di tartassarmi con tante domande, alla fine…” “Ma che domande? Tarta. . . ” “Tutto, praticamente tutto quello che era successo.” Dice il teste Martini. “Gli dissi quello che era successo, dice: ‘non è possibile’. ‘Come non è possibile’, gli dissi. ‘Vedrà che… c’ero io, un c’era lei’. Giusto?” “Eh, certo.” “Allora mi fecero anche provare. Mi ricordo mi fecero anche provare: ‘ci faccia vedere come ha fatto’. Mi portarono addirittura a una macchina simile, una 127. Ora, insomma… E io gli feci vedere come feci. Dice: ‘niente, non è possibile. Qui lei sta facendo falsa testimonianza’. Gli dissi: ragazzi…” – simpatico. Sta facendo falsa… – “O ragazzi”, dice questo qui. “Io mi stufai e qli dissi, mi ricordo batteva a macchina, scriveva un so chi, alla fine dissi: ‘sì, va be’, tutto quello che tu scrivi…’, io firmai e venni via. Vedrai, che tu vuoi fare?” Che bellezza stare in Toscana, però, tante volte. Che bellezza sentire questo linguaggio così… e anche così colto, per certi versi. ‘Icché tu vuoi fare? Va be’, vuoi mettere così? Metti che ti pare…’ . “Cioè, gli dissi: scrivete pure quello…” Dice il P.M.. Cioè, gli disse: ‘scrivete pure quello che vi pare a voi’?” “Sembrava… Sì, sì.” “Perbacco.” Dice il signor Martini. “Noi ne prendiamo atto.” Dice il Pubblico Ministero, eh. “Quando ero lì all’interrogatorio c’era un continuo contestare, a diritto, a diritto, cioè mi portarono a bere fuori” – dice – “anche. Insomma, fu un continuo… veramente sennò unn’è che poi…” Il Pubblico Ministero gli ricontesta che ha detto: “Non sono in grado, invece, di precisare l’altra posizione.” Io intervengo: “L’ha bell’e detto tre volte, Pubblico Ministero, questa contestazione.” Infatti era tre volte che gliela faceva. “Questo” – dice il teste Martini – “l’hanno scritto loro.” Il Pubblico Ministero si indispettisce della mia interruzione e mi dice: “Ma mi lascia fare, per piacere? Via, io non l’ho mai interrotto. Perché ho visto che la giornata, che non è il caso.” E infatti proprio non era il caso, la giornata, eh. Metteva proprio male. Poi il teste Martini dice che è entrato lui e Gargalini all’interno dell’auto. E poi dice: “Ecco, l’Allegranti dov’era?” “L’Allegranti era, credo” – “credo” – “sia stato a preparare la lettiga per caricare.” “Credo.” “Però dice, siete entrati voi due?” E il teste Martini dice – sentano, Signori – è a pagina 10 di questo verbale del 19/12/97, dice il teste Martini: “Ci ha dato una mano sicuramente.” “Ora, lì per lì cioè, ci hanno dato una mano a tirargli fuori il corpo da…” Quindi, ha “dato una mano” anche l’Allegranti a tirare fuori il corpo. “Ora io, chi c’era, chi un c’era, non me lo ricordo. Perché quando si fa…”, eh, certamente, eh. Quando si fa un soccorso di questo genere, con questa urgenza con questa ansietà e tutto il resto, chi c’era e chi non c’era è molto difficile ricordarselo. Poi il teste Martini dice che la portiera fu sganasciata da tre o quattro persone. Presa, proprio tirata indietro. E niente, va bene. Il teste Martini… Non c’è niente da fare. A questo punto, il difensore di Vanni, eh, alla fine dice: “Signor Martini Marco, una domanda secca: lei è sicuro che il giovane era sul sedile dietro?” E il teste Martini risponde: “Si.” “Sicuro?” “Sì.” Pagina 15, verbale del 19 dicembre del 1997. Poi dice che il sedile venne spostato in avanti; lui se lo ricorda che era a 90 gradi. Non ha rilevato evidentemente l’azione fatta dal Gargalini di spostarlo un po’ indietro. E fine. “Appena fu aperta la macchina, i due sedili erano regolari. Poi si fu noi a tirarli, a mandarli verso il parabrezza.” Il ribaltamento dello schienale non lo ha visto. Dice, però: “Sarà stato un po’ giù, così.” Certo, quel “po’” che si vede anche dalle foto. E poi arriva il teste Ciampi Paolo, il quale teste Ciampi Paolo arriva, dice… Il Presidente gli chiede: “Ecco, può dire come trovaste la macchina e i cadaveri? Cioè il giovane e la ragazza che erano in macchina?” “Mah, la macchina era nel fossetto e i corpi erano dietro, dietro al sedile posteriore.”
Presidente: “Tutti e due al sedile posteriore?”
Avv. Nino Filastò: Sì. Il teste Ciampi dice che entrarono i colleghi Martini e Gargalini: “Mi sembra, mi sembra.” “Lei cosa ha fatto?” “Sono rimasto fuori, ho dato una mano a metterlo nella lettiga. C’era un sacco di persone. Fummo aiutati ad aprire questo sportello, a sganasciarlo un po’ per entrare.” Poi gli dice il Pubblico Ministero, gli contesta, dice: “Perché lei dice: ‘erano sul sedile dietro, però io non li ho visti’? Come sa che erano i ragazzi?” Questa è una domanda sbagliata, perché non è vero che aveva detto: “Però io non li ho visti.” A pagina 22. Me ne sono accorto leggendo questo verbale. Ma che si fa le domande così ai testimoni? Dice il Pubblico Ministero: “Due cose. Scusi, lei ci ha detto ora due cose che Io riesco a capire poco, perché lei dice che: ‘erano sul sedile dietro, però io non li ho visti’.” Come, quando mai lo ha detto: “Però io non li ho visti”? Il testimone risponde: “Perché, quando sono arrivato alla macchina, ancora i miei colleghi erano dentro e non erano stati estratti.” “Erano indietro, ancora? Erano indietro ancora sul sedile?” E lui ripete: “Indietro.” “Sono sicuro che è sul posteriore.” Dice. Poi gli viene contestata la solita dichiarazione: “Non ho visto la posizione del Mainardi e nemmeno ho potuto estrarlo dal veicolo.” E questo testimone, si vede un po’ meno coraggioso di quell’altro, non spiega per quale ragione c’è questa dichiarazione, invece di quella che è la verità. Dice: “Sì, ma io volevo capire come mai, all’epoca, a domanda specifica” – dice il Pubblico Ministero – “le viene chiesto la posizione della ragazza e la dice; della posizione del ragazzo dice: ‘io non ho visto la posizione del Mainardi’, e oggi è così sicuro. Capisce?” “Certo.” Dice lui. “Sicuro?” “Certo.” Gli fanno vedere il verbale, se la firma è sua. E poi dice una cosa molto importante. “Dov’era l’Allegranti?” Domanda del Pubblico Ministero. “Mah, senz’altro non nella macchina, come le ripeto.” “Lui non era nella macchina?” “No, non era nella macchina.” “Non è intervenuto nella macchina?” “No, credo. Ora non mi ricordo se è rimasto o all’ambulanza, o era accanto a me fuori dalla macchina ad aspettare, insomma, ad aiutare gli altri due che erano dentro.” Quindi pone una alternativa: ‘o era con me, o era dentro ad aiutare gli altri due’. Ecco, poi c’è un’ultima domanda di questo difensore al Ciampi: “Il ragazzo era accanto alla ragazza?” “Per me, sì.” E fine. E sono tre. Quattro, con il Di Lorenzo. Tutti quelli che intervengono con l’ambulanza, tutti quelli che vedono i corpi, a portiera aperta. Che hanno modo di constatare una situazione. Non c’è niente da fare: il ragazzo era dietro. E d’altra parte, poi, c’è l’Allegranti. L’Allegranti mi preme un attimo dire come mai interviene in questa circostanza, in questo processo. Mi occupavo di una trasmissione televisiva, perché l’origine di questa trasmissione, Mixer, era questa. Io avevo scritto quel libretto intitolato “Pacciani innocente”. Il regista di una precedente trasmissione, ultracolpevolista su Pacciani, rispetto a Pacciani, Gianni Barcelloni – siamo diventati anche amici, dopo – legge questo libretto e dice: ‘mah, forse le cose non stanno così’. Però, siccome è una persona di una certa onestà intellettuale, viene da me e dice: ‘avvocato, lei ci sta a darmi una mano a fare un’altra trasmissione su questo argomento, in cui il discorso si pone in maniera diversa? Perché non mi piace, a me, aver fatto una trasmissione in cui davo addosso a una persona che forse è innocente’. ‘Si figuri’, dico, ‘più che volentieri. Lo faccio di secondo lavoro, cose di questo genere. Perché no? ‘ E ci mettiamo lì a lavorare. Ci mettiamo lì a lavorare, si comincia a vedere… Io dico: ‘guardi, però per correttezza, le persone io non voglio andare a sentirle. Perché non si sa mai, potrei un giorno dovermene occupare di questo processo. E’ meglio di no. Vada lei.’ E lui, un giorno, mi pare parlando con un collega qui di Firenze, non dirò chi è, ma insomma. . . Dice: ‘ma guardate, c’è l’autista dell’ambulanza che si ricorda bene come stanno le cose. Si chiama così e così.’ Dico: ‘guarda, vacci a sentirlo’. Questo va a sentirlo. Sente l’Allegranti, torna, mi fa vedere la cassetta. Dico: ‘ma accidenti, ma guarda questa storia’, dico io. A me, fra l’altro, la cosa che mi colpì di più, era la storia delle telefonate, capito? E così è nata la faccenda. Io ho portato questo testimone, il Pubblico Ministero ha detto: ‘eh, ma qui c’è la bellezza di 11 testimoni che dicono l’inverso…’ Allora lo sapeva? Ah, lo sapeva, allora? E perché non li ha portati a parlarci delle automobili, sul posto, che non c’erano. E così è venuto fuori tutta la storia. Ma l’Allegranti è la persona più adamantina che si possa immaginare. Questo fascicolotto qua è tutto lui. Un tentativo, tentativi fatti… Intanto era il più anziano, lui. Parla della telefonata che, secondo lui arriva alle 23.15—23.20. Probabilmente sbaglia di 20 minuti. Certo, dice: “Era prima che io smontassi. Perché smontavo a mezzanotte. E quello che mi doveva prelevare” – dice puntualmente – “non era ancora arrivato, quindi era prima di mezzanotte.” Infatti, benissimo. Perché lo abbiamo visto, attraverso le testimonianze di quei ragazzi che abbiamo percorso poco prima a proposito della questione relativa alla presenza di macchine oppure no sul posto, che l’orario siamo intorno alle 23.40. Questo è il momento storico degli spari. Mettiamoci 10 minuti per andare a telefonare all’ambulanza e siamo giustamente a mezzanotte meno 10. Poi racconta tutta la storia delle telefonate, su cui ritorneremo, perché sono abbastanza importanti. E poi dopo, sul punto del dove si trovava il corpo di questo ragazzo, lui è proprio sicuro al cento per cento. Perché c’era lui, perché è entrato dentro. Ma non solo lui è sicuro della posizione del ragazzo. Sicuro, perché lo ha constatato; anche lui è uno di quelli, e sono quattro, che vanno a togliere questo ragazzo da un posto… E che volete che non si rendan conto di dove si trova? Ma spiega anche il motivo per il quale una chiazza più ampia di sangue la troviamo piuttosto sul sedile anteriore che posteriore. Non è vero che sul posteriore non ci siano chiazze di sangue, nel posto dove sta Mainardi. Perché ci sono. Non solo, ma se osservate bene il verbale di sopralluogo, verbale, c’è anche un indumento, una maglietta intrisa di sangue, sul sedile posteriore, accanto alla ragazza. Ma spiega che questo ragazzo aveva la carotide perforata, che la posizione in cui stava la teneva chiusa; al momento di spostarlo, il getto di sangue. In più, lui dice: “Mi sono pulito le mani sul sedile anteriore”, ecco spiegato il perché. Sangue ce n’era dappertutto. E schizza, schizza anche sulla portiera. Ma certo, la portiera è una sola di quella macchina. Affermare che gli schizzi di sangue sulla portiera sono l’indizio che il ragazzo si trovava sul sedile anteriore è proprio una cosa assurda. Perché di portiere ce n’era una sola. E non c’è niente da fare, lo hanno tirato fuori da quella portiera. Questo ragazzo pisciava sangue da una carotide bucata. E che volete? E sul fatto di essersi asciugato le mani sul seggiolino, lo dice a pagina 59, all’udienza del 16 dicembre 1997, fascicolo numero 67: “Io mi ci sono asciugato anche le mani.” “Si è asciugato le mani a cosa?” “Al seggiolino.” Dice. E se lui dice che il seggiolino aveva una inclinazione normale, è perché non l’ha fatta lui quell’operazione, come sapremo dopo da Gargalini, perché l’ha fatta Gargalini l’operazione di spingere un po’ indietro il sedile. Poi dice ancora Allegranti, a pagina… Leggetevelo tutto, perché vale la pena. Gli si contesta quello che dicono le altre persone. Il Pubblico Ministero: “No, sono addirittura intervenuti prima da soli e poi col signor Allegranti. Così dicono loro.” E io dico: “Però non sono tra quelli della Croce d’Oro, vero?” “No, non sono quelli della Croce d’Oro.” Dice il Pubblico Ministero. “Allora…” Interviene l’Allegranti, dice: “E allora io non li posso avere nemmen visti, no?” Poi c’è, lui riferisce di questa voce che circolava, di uno visto con le mani sul volante su questa automobile. Eh, se si fossero fatte le indagini su Baccaiano davvero! Si fosse approfondito tante cose, anche il perché di quel posto. Come mai questo qui è andato a colpire proprio lì, quella sera. Tra le tante cose che potevano essere indagate c’era anche questo personaggio visto con le mani sul volante, un po’ prima, da qualcuno; sembra da due ragazzi in motorino. C’è una mia istanza in questo senso, chiedendo che la Polizia Giudiziaria li identifichi, che si portino qui a testimoniare. Va be ‘ questa è una delle cose che la Corte ha rigettato. Va bene, si vede che, effettivamente, qui non si tratta di scoprire chi è il vero e autentico “mostro di Firenze”, ma si tratta di valutare – come dice il professor Voena – l’ipotesi del Pubblico Ministero e basta. Va bene, con questo posso essere anche d’accordo che non si debba scoprirlo noi qui, ci mancherebbe altro. Non si fa i processi per questo motivo. Però per, come dire, valutare una certa situazione poteva essere utile anche quell’accertamento. E il Pubblico Ministero alla fine, però, correttamente, a pagina 69, dice: “Ci sono delle deposizioni, ovviamente dell’Allegranti di cui ho parlato.” La deposizione dell’Allegranti al Pubblico Ministero all’epoca, che sostanzialmente, devo dire la verità, nonostante le contestazioni del Pubblico Ministero, analoga, a parte gli orari, a quello che dice oggi. Poi, addirittura, si ipotizza di sentire la dottoressa Della Monica, non sarebbe stato male. Glielo chiesi anche io, non so se il Codice lo consenta, non l’ho guardato, ma insomma, forse sì. E poi, va be’, e poi l’Allegranti racconta questa storia delle telefonate. La storia delle telefonate è importante, perché esclude nettamente che a fare queste… è importante, perché è possibile escludere nettamente, chiaramente, che a fare queste telefonate siano state uno: Pietro Pacciani; due: Mario Vanni. Pietro Pacciani, perché l’Allegranti la voce del Pacciani la conosce, l’ha sentita in televisione, l’ha visto un sacco di volte. E’ una voce che -come certamente è esperienza comune di questa Corte, come di tutti i cittadini della Repubblica Italiana – è una voce con un forte accento, con una forte inflessione dialettale, chiariamola dialettale; insomma, dialettale toscana, fiorentina in particolare, come quella che ho io, che per quanti sforzi faccia non riuscirò mai a toglierla, me la porterò… Ma poi, perché mi devo sforzare, scusate? Non l’ho capito io. Si deve essere tutti qui a parlare con linguaggio radiofonico, in questo italiano assurdo che non esiste da nessuna parte? Calamandrei parlava come me e io sono orgoglioso di parlare come Calamandrei. Un amico milanese tutte le volte che mi vede, dice: “Ma corregiti la dizione!” Ma che corregiti la dizione; ma per quale motivo? Non l’ho capito, io. Perché non si sente di dove sono? Sono nato a Firenze, sono orgoglioso di essere nato a Firenze; amo questa città. Una delle ragioni per cui ce l’ho a morte con questa belva è che lui la odia, invece. La odia a morte come odia le donne; tanto è vero che la assedia, se guardate il giro che fa con i suoi delitti. E più ancora amo la campagna toscana. Insomma, Pacciani parla in un certo modo, non c’è niente da fare. E Pacciani non è; e Vanni? Vanni gliel’abbian fatto sentire. Eh: ‘Vanni’, si è detto. “Vanni, dica qualche cosa, lei’. Io avevo addirittura ipotizzato di farglielo sentire al telefono, insomma cose un po ‘ troppo complicate. E dice: “Vanni dica qualche cosa, lei. ” Si aspettava Vanni che dicesse qualche cosa di nuovo, per dire la verità. Invece lei ha detto: “L’è du’ anni che sono in carcere e sono innocente e ho tre operazioni da farmi. La mi’ moglie, lei la cascò a terra e la non po vene’ nemmeno a vedermi, sicché, io la senta, non ne posso più. La mi fa questa gentilezza di…” E poi infatti la gentilezza, che non era una gentilezza, secondo me, è un atto di giustizia, gliel’hanno fatta, benissimo è andata bene così, per ora. E, sentita la voce, risposta del testimone: ‘No, no non c’entra proprio niente’. Allora sarà un altro, sarà il misterioso dottore, non lo so io. Il Lotti nemmeno lui dovrebbe essere, perché anche lui come inflessione dialettale ce l’ha abbastanza notevole. Sarà il mago Indovino, che lo so io, che fa queste telefonate? Un burlone non è di sicuro, Signori, perché l’ipotesi alternativa del Pubblico Ministero, veramente alternativa, è che sia un burlone. Un burlone da attaccare al muro, da imbullettarcelo, vero, per bene e che non si muova di lì come burlone. Perché accidenti a lui, vero! Telefonata alle due di notte a questo povero signore Allegranti, dicendogli: ‘te sei un uomo finito, te muori; succede una strage a Baccaiano’. Una volta fa finta di telefonare dalla Procura. E che vuol sapere questo signore? Ce lo dice 1’Allegranti, per quello che intuisce lui: lui vuol sapere se il Manardi ha detto qualcosa. Torna? Torna. Ho depositato quei giornali, che una volta tanto sono utili in questa inchiesta. La stampa in questa inchiesta, in questa indagine non ha fatto un gran bel lavoro, per dire la verità; in questi ultimi tempi poi, non se ne parla. Lasciamo perdere. Ma lì non c’è nulla da fare, eh, i giornali parlano chiaro. Viene pubblicata la notizia che questa persona, il Mainardi, era vivo e aveva detto qualche cosa. Questo vuol sapere. Vuol sapere, teme, ha paura che il Mainardi abbia detto qualcosa; cosa? Abbia potuto dire… Certo, un poveraccio come Mainardi, nelle condizioni in cui l’ha lasciato, il massimo che può dire può individuare una qualità della persona che l’ha colpito a morte. Può dire un suo aspetto significante che lo identifica, che lo identificherebbe molto bene; che so io: una divisa, un distintivo. Ed ecco perché questo è lì: che le sue telefonate non sono – guardate – solo per sapere: soprattutto sono per intimidire, per impaurire la persona, terrorizzarla. Sono telefonate in cui si vuol sapere qualcosa e con delle frasi: ‘sta attento, perché se tu lo dici, qui finisce male’. E signor Presidente e Signori Giudici, l’ultima di queste telefonate interviene nell’anno 1984 di agosto, a Rimini. Si credeva, e credevo io, che quest’ultima telefonata si fosse avuta nello stesso anno: nell’82. No, avviene due anni dopo, nel 1984; se non sbaglio il 18 di agosto, perché c’è il verbale dei Carabinieri. E cosa è successo il 29 di luglio del 1984, signor Pubblico Ministero? La burla, eh? La burla; altro che burla: sono morti altri due ragazzi, un po’ meno di un mese prima. E l’inchiesta sta rivitalizzandosi, e c’è il rischio che qualcuno recuperi il signor Allegranti per chiedergli qualcosa. Ecco perché gli si telefona a Rimini, nella pensioncina dove lui va a passar le vacanze, appena due giorni dopo che è arrivato, perché è arrivato da due giorni; informato eh, il burlone, oltretutto. Informato bene, eh: quando è arrivato, dove è arrivato, a quale pensione è sceso, l’Allegranti. Meno di un mese dopo dall’omicidio Pia Rontini e Claudio Stefanacci arriva questa telefonata del burlone. E va be’, lega? Ammettendo che questa telefonata, come io ritengo fermamente, queste telefonate, poi il Pubblico Ministero si affanna a dire: ‘ma qui, questo signore, non si ricorda nemmeno quando è avvenuto l’omicidio; questo signore confonde: qui ci ha detto dieci telefonate, là ha detto due’. No, ai Carabinieri di Rimini non è che dica “due”; non vi sto a leggere il verbale, leggetelo da voi. Dice: “Ma io questo numero sul verbale non l’ho visto.” Ed ha ragione, non c’è. I Carabinieri parlano di due telefonate, perché lui ne ricorda due; lui parla, anche a voi, se leggete il verbale, a voi vi ha raccontato due telefonate: quello del falso Procuratore della Repubblica, e quella di quello che dice: “una strage a Baccaiano.” E poi c’è quell’ultima fatta a Rimini; lui ne racconta tre. E molte di queste telefonate – e per questo che il numero aumenta, dieci – lui non le riceve neppure. Lo sapete, l’avete letto? C’è scritto a verbale, rileggetelo. C’è scritto che molte di queste telefonate gli arrivano o a casa o nel posto di lavoro, quando lui non è a casa e non è nel posto di lavoro, gli vengon dette. Dice: ‘guarda ha telefonato quel tizio’. Quindi, andare a inficiare l’attendibilità, la sicurezza, la genuinità di questo testimone che vi riporta una circostanza importantissima, che collima perfettamente con quel personaggio che abbiamo cercato di descrivere ieri: questo senso di onnipotenza, con la sua strafottenza, con la sua cattiveria, con la sua volontà di interferire nelle indagini. Cosa che fa fin dal 1981, nel mese di ottobre, quando lui ammazza a quattro mesi di distanza Susanna Cambi e Stefano Baldi; li ammazza, perché in galera c’è Spalletti e Spalletti vuol parlare. Se questo processo si fosse occupato anche di quel delitto, allora questo difensore avrebbe portato testimoni a confermare questa circostanza, sarebbe nato un altro caso Allegranti; persone che non solo sapevano questo. Primo: facciamo conto di averlo fatto questo processo, per dire che cosa avrebbe portato questo difensore a suffragare questa ipotesi, a questa ricostruzione; primo: avrei portato il signor Enzo Spalletti. Al signor Enzo Spalletti il difensore gli avrebbe fatto questa domanda: ‘scusi, ma lei quando ha detto ai Giudici Izzo e Della Monica che loro sapevano benissimo che lui non era un colpevole? E che lo tenevano in galera, lasciando, ipotizzando, lo tenevano in galera, perché cosi…’ Tanto questi due bravissimi, solerti, integerrimi magistrati si allarmano: ma allora cosa vuol dire, scusi, con questa frase? Ed è rimasto, questo, per aria, questo sospetto, questa idea. Cosa voleva dire questo signore? Ha visto qualcosa lui, quel giorno? Sì, che ha visto qualcosa. E poi lì interrogato. E poi avremmo sentito il fratello, avremmo sentito la madre, avremmo sentito un altro familiare; che ricevono telefonate, anche loro, da parte di una persona che parla un italiano corretto. E dice: ‘dite al vostro familiare che non si allarmi, che prima o poi esce di galera’. ‘Anche lui, però…’, una volta, durante una di queste telefonate, questa persona dice: ‘Anche lui, però, che si mette a parlare del giornale, che è uscito il giorno dopo? Gli sta bene se sta dentro.’ Ma tutte queste cose, voi… Ora ve le accenno io, sono tutte documentate però, sono tutte lì agli atti, eh, di quel processo. Però il dato storico, che avviene questo delitto a quattro mesi di distanza – questi due delitti avvengono nel periodo di tempo più breve, quattro mesi di distanza l’uno dall’altro – questo voi lo avete, non c’è niente da fare. E Spalletti è in galera. Poi si mette in galera Francesco Vinci. E come finisce in galera Francesco Vinci? Anche qui lo vedremo fra un po’, parlando di un’altra questione; per ora accantoniamola. La pista sarda e tutto il resto. E Francesco Vinci è scelto male anche lui, per andare a finire in galera, perché anche Francesco Vinci ha visto qualcosa, guarda caso, nel 1968 alle Cascine del Riccio di Signa. Poi dopo Francesco Vinci fiondano in galera Mele e Mucciarini; la pista sarda pac ! delitto della Rontini. E poi, alla fine, si vede che alla fine gli è andata bene così come andava l’indagine, che la persona era giusta da metter dentro. Dentro al suo giustizialismo, il porcaccione – per modo da dire, parlandone da vivo – Pacciani gli stava bene. Va be’. Torniamo a bomba, non lasciamoci inforbiare da altre cose. Allora, la circostanza è questa: sul posto, nella immediatezza degli spari, nel momento topico del delitto, immediatamente prima immediatamente dopo, non ci sono macchine su quella strada, salvo una: quella delle vittime. Lo potete dare come un elemento accertato. Sulla macchina, per allontanarsi dal posto, andare in un luogo più favorevole e compiere le escissioni, non ci si mette il povero Mainardi: ci si mette la belva, e finisce nel fossato. Confronto con la cosiddetta “generica” i dati obiettivi. Si esaminano qui – e vado tutto a memoria, con l’impegno di ritornarci sopra, domani, se è il caso, e se dico qualche cosa che è inesatta, per piacere, Pubblico Ministero me lo faccia presente – i dati obiettivi sono i bossoli. Primo: che indicano una certa collocazione dello sparatore, in un certo momento. Bossoli, cinque o sbaglio? Cinque, tutti intorno alla macchina, a dove si trovava inizialmente, presumibilmente, la macchina; in un arco, massimo, di un paio di metri. Ci sono due bossoli che sono sulla strada. E per forzai Perché siamo lì, sulla strada, attenzione, sull’asfalto, sul primo tratto del manto asfaltato; perché siamo lì, perché siamo in un fazzoletto e questi colpi vanno a colpire quasi mortalmente Mainardi, ma attenzione, perché questo è quello che, secondo me, emerge dalla perizia; non è stato detto in questo modo. Colpiscono alla testa sì, perché lui dall’81 di giugno in poi, lui mira alla testa; abbiamo visto che c’è questo perfezionamento. È andata male con la Pettini nel ’74, con la povera Pettini, Stefania Pettini; a partire dall’81 si mira alla testa. E però il bersaglio della ragazza non l’ha presa come voleva lui; è scivolato via il proiettile, ha colpito al naso. Lesione traumatica molto, sanguinolenta molto, però non mortale; e la ragazza si muove e reagisce e forse urla. Perché dico questo? Me lo invento? No. Voi avete una conferma di questa ricostruzione che vi sto facendo; data da che cosa? Da un reperto di carattere obiettivo che voi trovate su uno stinco della povera Antonella Mainardi. C’è una ecchimosi evidente, provocata da che cosa? Guardino, è un’ecchimosi, è una lesione vitale; cioè non è una ipostasi, non è un travaso sanguigno che avviene dopo la morte, in conseguenza del fatto che il corpo non pompa più sangue e il sangue va a collocarsi in certe zone declivi del corpo. No. E’ una ecchimosi, cioè a dire è un liquido che emerge immediatamente in seguito ad un colpo, ad una botta. E che colpo può essere questo? Quello della ragazza, poverina, che agitandosi è andata a sbatacchiare contro il sedile anteriore con questo stinco. Non c’è altra spiegazione. Ed è allora che questo feroce individuo ha questo momento di incertezza, perché questa ragazza si muove e allora esplode un colpo; e si trova il bossolo dentro la macchina. Esplode un colpo che, forse, è quello che prende in fronte, questa volta, la ragazza e forse no. Questo non lo so, come fa a dirlo? Nessuno lo può dire, certo che un colpo c’è in questo senso, dall’interno della macchina. Però tutto questo, tutto questo l’ha pagato in termini di perdita di controllo. Il tratto di strada da attraversare è quanto di qui a lì, eh. Dalla coda della macchina al fossatello c’è quanto da dove sono io a all’inizio dei gradini; mica di più. Andateci a vedere se è così. E immediatamente c’è il fossatello. In questo momento, ha perso… Questa persona si è mossa, lui ha sparato, ha perso il controllo ed è finito dentro il fossato. E questo, eh, la questione è grave; e questo per lui è grave. Qui ne va di esser presi, finalmente. Ma, allora lui, a questo punto – ecco, guardate la freddezza, la cattiveria di questa persona – è convinto di aver ucciso la ragazza, perché la ragazza probabilmente lui l’ha presa con questo colpo sparato dal di dietro; e allora scende, scende. Chiude lo sportello, forse lancia le chiavi in questo momento, via, lontano. Si sta per allontanare, con la coda dell’occhio: il movimento del povero Mainardi, che anche lui è rimasto vivo. La ragazza è morta dopo che lui gli ha sparato quel colpo dall’interno della macchina, ma allora eccolo… pim pim i due fari, perché danno fastidio, e non c’è tempo di tornare alla macchina, aprirla e finirlo da vicino, perché il tempo stringe, bisogna andar via, siam sulla strada… pam, pam! via i due fari. Pam! il terzo colpo sul parabrezza, che buca il parabrezza. Colpirà il Mainardi, non lo colpirà? Non lo so. E i bossoli eccoli lì, tutti e tre. Uno, due e tre, davanti alla macchina. E poi se ne va a piedi. A piedi. Bossoli, lesioni, questa lesione allo stinco della raqazza collimano; ci siamo. È l’unica ipotesi possibile; non è un’ipotesi, è una ricostruzione: l’unica attendibile, l’unica veramente seria. E a questo punto, anche da questo secondo punto di vista – non solo per l’assenza delle automobili ma anche per la ricostruzione attendibile, l’unica -e va bene, voi, a questo punto, Lotti lo avete già inquadrato. Ma dice: come mai gli inquirenti a questa impostazione, a questa ricostruzione che ha tutto il crisma – questo sì che ha il sapore e l’odore della verità – come mai gli inquirenti, invece… E’ perché, tante volte, capita in una indagine, che qualcuno si innamora di una certa tesi. E qui, siccome ad un certo punto, noi, gli elementi più stridenti in tutto il fatto, in tutte le cose era per l’appunto questo aspetto, che questi ragazzi non era mai nessuno riuscito a tentare nemmeno una reazione, il che era straordinario, a questo punto, dice: ‘Ah, questo il Mainardi c’è riuscito. Ha messo in moto e se n’è andato e questo gli ha sparato, gli è corso dietro’. Ha detto un difensore di parte civile: “Gli è corso dietro”, corso, ma che corso. Ma dove si corre lì? Ma che c’è da correre? Sì, Colao, vacci Colao, vai a vedere se è possibile correre da quelle parti dietro all’automobile. È uno spazietto quanto da qui all’auto, lo vuoi capire? Allora, insomma, allora ci si innamora di questa tesi; e quando ad un certo punto… i Magistrati, quando si appassionano, purtroppo, su una determinata ricostruzione o tesi che sia, sono peggio degli avvocati. Perché gli avvocati possono, ad un certo punto, anche sballare… Sono molto peggio, non c’è niente da fare. Gli avvocati possono anche sballarle grosse, inventarsi le storie, e magari sposar le cause, ritenere fatti di un certo tipo che non son veri, tipo il trincetto dell’avvocato Colao. Avete mai visto nessuno che s’è incaponito più di lui su questa storia del trincetto? Il trincetto per l’avvocato Colao era diventato una specie di ossessione. Però dopo gli avvocati, poveracci, che posson fare più che sgolarsi, su questo siamo d’accordo, no? Più che sgolarsi noi che si può fare?
Avv. Aldo Colao: Non sono d’accordo.
Avv. Nino Filastò: Sul fatto che più che sgolarsi…
Avv. Aldo Colao: …stai parlando te.
Avv. Nino Filastò: … più che sgolarsi non si può fare. No, voglio dire…
Avv. Aldo Colao: No, stai parlando te.
Avv. Nino Filastò: No, voglio dire, ma sei d’accordo che più che sgolarsi non si può fare?
Avv. Aldo Colao: Ma io non posso dirti nulla.
Presidente: No, no, avvocato Colao, per cortesia, per cortesia.
Avv. Aldo Colao: Che ti devo dire, che son d’accordo?
Avv. Nino Filastò: No…
Avv. Aldo Colao: Non lo sono.
Avv. Nino Filastò: Ma su questo… per solidarietà nei confronti della categoria, abbi pazienza, tu potresti anche fare un benché minimo accenno di approvazione. In fondo, noi, non ci si può far altro che… vedi, almeno l’avvocato Curandai annuisce, invece. Perché effettivamente noi non possiamo fare altro questo, di sgolare. Noi sulla prova che si può fare?
Avv. Aldo Colao: Se una ricostruzione è sbagliata…
Avv. Nino Filastò: Sì, poi me lo dirai perché è sbagliata, eh.
Avv. Aldo Colao: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Sì, sì, tu lo dirai, tu lo dirai. Ma invece, purtroppo, i Pubblici Ministeri, gli inquirenti, i Carabinieri, la prova la stanno proprio… poi in queste contingenze, in questa immediatezza ce l’hanno sotto mano. Allora, quando urge, insomma, quando la cosa è così immediata, può scappare anche l’impegno tendente a deformare le cose. Insomma, è quello che è avvenuto, eh. E questa non è un’insinuazione; io qui non sto insinuando nulla, questa non è un’insinuazione, questa è una cosa documentata da un testimone: Martini. Questo è avvenuto. E proprio con riferimento a quella circostanza lì: l’amore per una certa ricostruzione, il fascino che dava… Ad un certo punto, qualcuno gli ha fatto un po’ dimenticare che quando si interrogano i testimoni, non si tengono qui tre ore e mezzo e portarli poi al caffè, a dirgli: ‘ma lei..’ Tutto quello che ha raccontato Martini. No. Dice: ‘lei dice così? Scrivo icché dice lei e fine del discorso’. Ecco. Quindi, una situazione, quella che ho descritto, e a questo punto possiamo cominciare veramente, con riferimento a questo aspetto, a ritenere che il signor Giancarlo Lotti è un solenne mentitore; un mentitore direi non spontaneo. Per carità, i canali per cui uno mente non spontaneamente possono essere tanti: si può andare dagli accompagnatori, mentre si va in un posto o in un altro, visto che siamo sottoposti -sottoposti per modo di dire – visto che siamo privilegiati con questo programma di protezione, mentre si va al ristorante… Oppure, c’è anche dei giornalisti, tante volte, che si interessano di questi rapporti con le persone e che non li dovrebbero avere, questi rapporti. Io vi ho già detto una volta, lo ridico adesso qui: insomma, lì c’è una trasmissione televisiva, che fra l’altro è stata riportata proprio recentemente agli onori dello schermo, in cui la mattina il povero Presidente Ferri e il povero Giudice a latere dottor Carvisiglia si arrabattavano a cercare di capire che cosa c’era dietro gli Alfa, Beta, Gamma e Delta, e intanto c’era un giornalista con la sua bella barbona grigia che intervistava il signor Lotti. E lo si vede, eh. Un’altra volta: ‘Giovanni, tienti lontano dalla macchina da presa’. E tanto perché non ci siano equivoci: Spinoso, di cognome. E quindi ci possono essere tante di quelle cose, per cui a un certo punto la persona, la fonte di prova, decide di dire una certa cosa e va, guarda caso, a collimare con un errore, con uno sbaglio. Passiamo ad altro. Passiamo ad esaminare tutti quelli che io mi sento di definire… qui siamo, con riferimento a tutto quell’aspetto scientifico che abbiamo descritto ieri. Con riferimento all’episodio di Baccaiano, siamo nell’ambito del contrasto netto con le dichiarazioni di Lotti. Qui siamo di fronte ai cosiddetti, a quelli che io definisco “mancati riscontri”. Ieri si è visto come questa indagine sia a senso obbligato, “ius sub iudicis”. In cui, non solo per comando del Giudice, c’è l’ipotesi dei complici, ma addirittura si individuano: Vanni, Faggi. E questo lo abbiamo visto analizzando l’esame di Vanni al dibattimento Pacciani. I cosiddetti riscontri non solo non sono tali, per quelle ragioni giuridiche che vi ha così dottamente e congruamente illustrato il collega avvocato Mazzeo, ma costituiscono, in alcuni casi, addirittura clamorose smentite direi da galera immediata per Lotti e per Pucci. Fino al punto che, alla fine: o calunniatori o “mostri di Firenze”, una delle due. Allora, vediamo che cosa dobbiamo cercare. E vediamo seguendo quella che è la relazione introduttiva del Pubblico Ministero ed anche la sua requisitoria orale, che più o meno si equivalgono. Prima di tutto, al Lotti, un primo riscontro è Pucci: lo rinviamo questo, lo vedremo dopo. E anche la lettera di Pacciani a Vanni la vedremo, brevemente, perché ne abbiamo già parlato, in un momento successivo. Beh, c’è poi il Lotti, il quale diceva di essere stato 11 la sera dell’omicidio e che sarebbe confortato dall’orefice. L’orefice è venuto qui al dibattimento e vi ha detto semplicemente che al bar lui ha sentito dire – e non si ricorda se da Lotti o da qualcun altro – che qualcuno quella sera era passato di lì. Bah, sarebbe un riscontro questo? Che qualcuno quella sera sia passato di lì è un dato storico, oggettivo. Sto parlando della domenica. Ma perché? Ma perché voi lo sapete da altre fonti. Lì, a poca distanza, c’era la festa degli Hare Krishna. Sapete quelli che si vestono tutti di giallo, con la testa pelata che dicono “Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare, Hare Hare, Hare Rama, Rama Rama…”, “Chi mi chiama? Giovannino che poco ti ama”, diceva una novelletta da bambini. Certo che c’è automobili che passano, c’è persone che passano di lì, si capisce. Qualcuno sarà anche qualcuno di questi che frequentano il bar. Eh, per forza. Ma dove siamo? Siamo a due passi da San Casciano. È la strada che si deve oltretutto fare in quel periodo di tempo per andare a San Casciano, perché c’è la superstrada che è interrotta. Che razza di riscontro sarebbe l’orefice? Poi ci sono altre persone che vedono la 128 di Lotti caratteristica e persone che vedono Lotti e Pucci guardare – alle cinque o alle sei – verso la tenda. La prostituta Nicoletti che conferma il precedente sopralluogo di Lotti in quella piazzola. Pucci idem, il passaggio dalla strada sopra, sterrata; e a questo ci sarebbe la conferma della Frigo. La Pia Rontini era seguita. Lotti era omosessuale, Pacciani lo sa. Tant’è vero che c’è l’intervista ai giornali. Io non li ho visti, non lo so se poi sono stati prodotti questi giornali dell’intervista a Pacciani. Poi ci sono i riscontri oggettivi, i due coltelli e… non mi ricordo l’altro, poi mi verrà in mente. Il primo riscontro obiettivo che vi propone nella sua prerequisitoria il dottor Giuttari, è un riscontro da raffreddore. Udienza del 25 giugno del ’97, pagina 4, dice il dottor Giuttari: “Il primo riscontro che indico è il rinvenimento di una buca nel bosco degli Scopeti, in prossimità della tenda dei due turisti.” Il primo. E qui bisogna esaminarla questa circostanza delle buche. Delle buche, o della buca, non ho capito bene. Eh, bisogna vederla un po’ bene, prima di tutto sotto il profilo della attendibilità della circostanza- Perché la prima cosa è valutare se una cosa ha un minimo di serietà, non dico di tipo scientifico ma a livello di buonsenso. Insomma, l’ipotesi qui qual è? Che gli assassini, o l’assassino, immediatamente dopo aver compiuto quella azione, vadano a sistemare qualche cosa dentro una buca a poca distanza dal luogo dove è avvenuto il delitto. È questa, no? La prima domanda è questa: che cosa? Non c’è versi, delle due, una: o i feticci, o l’arma. L’arma? Se questo deve essere un riscontro, no, deve essere un riscontro di qualche cosa. Non deve essere il riscontro soltanto di un “flatus vocis” del signor Lotti. Deve essere un riscontro di una circostanza che io vi produco a suffragare una ipotesi accusatoria più generale, e mi sembra chiaro, no? E allora qui, me lo volete dire cos’è che ci mette questa gente dentro questa buca? Cos’è nella vostra impostazione. Io quando faccio… ho fatto anche qualche ipotesi, però l’ho esplicitata, no? Allora sono costretto io a dirvi una delle due: o l’arma, o i feticci, che altro? Non lo so io. L’orologio, l’oro… non lo so, il portafoglio, la carta d’identità, non lo so io, cosa? In una situazione in cui, con riferimento alla buca degli Scopeti, il signor Lotti parla addirittura di queste persone che stanno curve su questa buca per 10-15 minuti, capite? A far che? Ho sentito che – perché non c’ero – ho sentito che il collega ha citato Collodi, Pinocchio. Posso citarlo anch’io. Pinocchio è nel campo dei miracoli, semina le monete d’oro. Anche questa è un’ipotesi da scartare: a seminare cose di questo genere certamente questi non c’andavano, per vedere se spuntava l’albero degli zecchini. Allora cosa? Mettiamo l’arma. L’arma? Questa famosa Calibro 22 che nessuno ha mai trovato, a un certo punto questi qui, chissà perché, si mettono a depositarla a due passi dai cadaveri? Ma che scherziamo davvero! Ma avete mai sentito dire una cosa di questo genere? A un assassino gli può cadere un’arma di mano e può restare lì sul luogo del delitto, ma che ce la vada a metter lui sul luogo del delitto, a due passi! Ha ragione Hitler. I feticci. Allora no: l’arma no. I feticci. I feticci, nella costruzione accusatoria, sono il lucro, sono quello che si raccoglie da questa mietitura. E se devono andare al facoltoso, dovizioso dottore bisogna che gli arrivi questo pacco, eh. E si va a metterli in una buca in terra, anche questi a due passi dai cadaveri? Ma che scherziamo, ma che è questa storia delle buche! Ma a chi gli è venuta in mente questa panzanata, questa grossa panzanata!? Ecco che io vi ho portato, ho tentato di introdurre in questo dibattimento una circostanza che spiegava questa cosa. All’origine c’era un seduta spiritica, di una certa signora Torregiani, di Lodi, la quale, sentite certe dichiarazioni fatte in questo diba… ‘ma Dio bono’ — dice – ‘avvocato, questa storia delle buche è una cosa che mi risulta a me. Ma mi risulta dal 1990’, ha detto questa signora. Perché questa signora ha i suoi mezzi medianici, ha avuto, così, la voce… – ma lasciamo perdere di chi, perché è sgradevole parlare, quando c’è il padre qui a due passi, che gli ha detto: ‘questo ammazza, poi scava una buca e ci mette dentro i feticci’. Questo, visto come seduta medianica, come fandonia che nasce da una seduta medianica, io l’accetto benissimo. Per carità di Dio, se ne sente dire di tutti i colori, se n’è sentite dire di tutti i colori su questa vicenda del “mostro di Firenze”. Che ci sia una medium che dice una cosa di questo genere… Ma questa cosa questa signora la dice poi al signor Rontini, gliela comunica. Io ho cercato, tutto questo, di… questo naturalmente ne parlo perché fa oggetto di una mia istanza, un’ipotesi, eh. Se voi aveste ancora, cosi, il dubbio che questa storia delle buche vi possa portare e possa eventualmente motivare la vostra sentenza di condanna di Vanni, prima voi dovete sentire questa signora. Perché questa signora – come ho tentato di documentare producendovi un documento – è in grado di documentare che questa sua preventiva illuminazione medianica delle buche l’ha certificata in un documento, che io ho allo studio, che vi ho prodotto… ho cercato di produrvi, voi me lo avete reso. Si è fatto, come si dice in Toscana, “anda e rianda”. Ma quel documento porta la data del ’93. E la data è certa, certificata dal Comune di Lodi. Allora, chissà com’è, chissà come, questa storia esoterica della buca finisce a Lotti. Canali… mah! Tramite, ovviamente, la signora si trasferisce al signor Rontini. Il quale signor Rontini non venga a dire che con questa signora ha avuto una conoscenza appena appena superficiale, perché non è vero nulla. La signora è venuta da me e mi ha lasciato un malloppo di documenti così, fotografie, lettere, biglietti, foto, persino mentre stanno insieme su una nave olandese. Ma l’aspetto straordinario è, appunto, che questa che io considero una panzana va a finire a Lotti. I canali io non lo so quali siano, però son canali che evidentemente esistono. Presidente, mi farebbe fare altri cinque minuti dì pausa e poi si riprende fino alle 2?
Presidente: Va bene.
Avv. Nino Filastò: La ringrazio.
Avv. Federico Bagattinni: Mi scusi, signor Presidente.
Presidente: Sì.
Avv. Federico Bagattinni: Prima che il collega riprenda la sua discussione, è possibile sapere dalla Corte quale sarà il programma per i prossimi giorni? Voglio dire, se ci sarà udienza…
Presidente: Bene.
Avv. Federico Bagattinni: No, al di là dei tempi.
Presidente: Mi piacerebbe saperlo anche a me.
Avv. Federico Bagattinni: No, ma dico, ci sarà udienza comunque tutti i giorni, o ci sono degli impegni…
Presidente: No, tutti i giorni, tutti i giorni.
Avv. Federico Bagattinni: Tutti giorni.
Presidente: Sì, tutti i giorni. Sì, sì.
Avv. Federico Bagattinni: Bene.
Presidente: Ora vediamo, al termine dell’udienza, quanto tempo mi dice l’avvocato…
Avv. Nino Filastò: Eh, Presidente, ce n’avrò ancora per domani, io penso.
Presidente: Domani, eh. Infatti, pensavo anch’io per domani. Va be’, domani possiamo già sapere gli interventi, le repliche che ci sono, chi le fa, che tempo e si può fare un programma di massima. Avv. Federico Bagattinni: Grazie.
Presidente: Prego. Prego, avvocato Filastò.
Avv. Nino Filastò: Grazie, Presidente. Mi premeva dire una cosa: con questo, il massimo della solidarietà, della comprensione, anche direi dell’affetto per il signor Renzo Rontini e per l’impegno che ha profuso in questo processo per riuscire a scoprire la verità. Ho una figlia anch’io e che se gli fosse capitato quello che è capitato alla povera Pia, questa deliziosa ragazza, allegra ragazza, con questa sua anche innocenza che traspare dalle fotografie, le ho viste, avrei fatto anch’io come lui. Sarei andato forse anch’io a rifugiare persino nello spiritismo, nello… Chi lo sa cosa può fare un uomo, una persona quando si trova in quelle strette! Però, dice ancora il dottor Giuttari a pagina 5, all’udienza del 25 giugno del ’97, riferendo questa deposizione di Lotti: “Stanno un po’ chinati in questo posto che indica e poi dopo alcuni minuti, 10-15 minuti, li vede andare via, tornare indietro.” Accidenti, 10-15 minuti chini? “Attraversare la strada San Casciano-Firenze e prendere la macchina del Pacciani, che era parcheggiata dietro un muretto.” Ma allora il Lotti ci sarebbe stato fino alla fine e oltre, penso. E qui, fra l’altro, ho l’impressione che in questo trasferimento di circostanza da una fonte a un’altra sia avvenuto anche, forse, un infortunio. Che in realtà, sia il signor Rontini che la signora Rontini ci hanno parlato di una buca: ma a Vicchio. E coiti’è che questa buca poi è andata a finire anche agli Scopeti? Che abbia capito male, il Lotti? “Si perquisisce” – dice il dottor Giuttari “bonificando questa zona del bosco, cioè si ripulisce la zona dai cespugli” – deve esser stato fra l’altro un gran lavoraccio, deve essere stato – “e si scopre la buca completamente mimetizzata.” Siamo all’udienza del 26 febbraio… No, no. All’udienza del 25 giugno del ’97 – io non c’ero – a pagina 10, interviene il Presidente che dice: “Sono passati 10 anni, 11 anni dalla buca…” Beh, Presidente, mi scusi, ma lei forse voleva dire sarebbero passati.
Presidente: Va be’, sì.
Avv. Nino Filastò: Eh, certo. Perché come si fa a dire che una buca ha 10 o 11 anni? Le buche non hanno età.
Presidente: No, si parlava della…
Avv. Nino Filastò: Sì, sì. No, ma certo, Presidente. Per dire… A me mi serviva questa cosa per dire che la buca si è trovata. E si capisce che si è trovata la buca, siamo in una zona con i cinghiali, che volete non trovare una buca da qualche parte? La buca si è trovata. Certo, ma dire che è vecchia di 11 anni non si può proprio dire, perché la buca, le buche son come le pietre. Le pietre non hanno età. Nemmeno facendo l’analisi all’atomo di carbonio arricchito si può arrivare a stabilire l’età di una buca, perché ci vuole la sostanza organica per fare quel tipo di valutazione. Eh, insomma, tutte le pietre e tutte le buche son vecchie chissà quanto. Poi prosegue, il dottor Giuttari, a darci un’altra conferma, un altro conforto delle dichiarazioni di Pucci e ne parla per ben tre pagine, riferendo la testimonianza del signor De Pace, cercatore di funghi. E ve lo descrive sottolineando il senso – fra virgolette – “civico della persona anziana”, che è un pensionato del ’24. Che riferisce questa circostanza strana, anomala, dell’incontro con un’altra persona, che poi lui identifica con Pacciani. E questa identificazione con Pacciani il signor De Pace la fa a distanza di 11 anni, perché l’incontro sarebbe avvenuto nel mese di settembre del 1985. E perché si parla di De Pace in questa sede, parlando della buca? Perché il signor De Pace vede che questa persona che incontra tiene qualche cosa sotto il braccio. Allora si ipotizza che qui il Pacciani sia andato a riprendere dalla buca qualche cosa che avrebbe lasciato. Ma la domanda immediata e spontanea che viene – e che ci riferisce del resto anche il dottor Giuttari – che viene rivolta a questo testimone De Pace, è questa: ‘come fa lei, a 11 anni di distanza, a ricordarsi tutto questo incontro, che avvenne nel mese di settembre del 1985?’ Lasciamo da parte che questo signore dice di aver riconosciuto Pacciani e si presenta a dire di aver riconosciuto Pacciani quando vede che Pacciani è stato scarcerato- Vale a dire, lui va a riferire questa cosa il 26 febbraio del ’96, dopo la sentenza di assoluzione della Corte di Assise di Appello e la scarcerazione di Pacciani. Dice: ‘io fino a questo momento non avevo detto nulla’ – dice l’adamantino signor De Pace – ‘però quando ho visto che gli avete dato il via, allora sono venuto a dire che l’ho incontrato in questa zona, in questa data’, eccetera. Va be’, come fa lei, signore, a dire questa cosa? E il signore De Pace dice il dottor Giuttari -perché qui sta parlando il dottor Giuttari, non il signor De Pace; che poi il signor De Pace verrà a parlare qui al dibattimento – riceve la conferma, il conforto, il riscontro del riscontro, rappresentato dal fatto che il signor De Pace fa riferimento al fatto che c’erano le sorbe che sono un frutto settembrino. Ora, se c’era una cosa, qui doveva immediatamente… questo fatto del riferimento alle sorbe doveva subito far mettere un campanello di allarme all’inquirente, dottor Giuttari e agli altri inquirenti. Perché se c’è una cosa, un punto di riferimento più ambiguo di questo mondo, da un punto di visto cronologico, son proprio le sorbe. Tant’è vero che, io mi ricordo ancora il mio professore di greco e di latino che, quando eravamo in terza liceo e ci preparavamo all’’esame di Maturità, ci diceva: ‘voi non maturerete mai, perché voi siete come le sorbe’, ci diceva. Perché le sorbe, per l’appunto io sono andato a fare una ricerca in materia. Voi sapete che quando si fa, si scrive, si fa dei racconti, ci si occupa di narrativa, abbiamo, io almeno, una specie di bibliotechina in cui c’è tutto: c’è i cani, c’è le armi, c’è gli alberi, c’è i frutti, c’è i fiori. Perché può capitare di dover parlare di qualche cosa e allora ci si va a documentare. E quindi c’avevo anche questo libretto che è intitolato così: “30 0 piante, fiori e animali” – europei naturalmente – “Guida essenziale al riconoscimento. E da questo libretto, alla voce sorbo, io trovo che c’è due tipi di sorbi: uno che si chiama il sorbo degli uccellatori, “sorbus aucuparia”; e poi c’è il “sorbus domestico” che invece è la “sorbus domestica”. E che questi due alberi, i quali poi fanno queste bacche, tipo bacche, non so cosa siano di preciso, son frutti tipo bacca, fioriscono a maggio. A maggio fioriscono e quindi il frutto si forma sull’albero da agosto. E poi, come si sa, vero, direi da un punto di vista proprio di memoria collettiva, ci mette un accidenti a maturare, tanto che non matura nemmen sull’albero. Il frutto della sorba per maturare deve cadere a terra – e comincia a cadere a terra dalla fine di settembre a tutto il mese di ottobre – poi va raccolto, va messo da una parte a maturare su delle ceste, e solo verso fine di dicembre, primi di gennaio diventa mangiabile. Ed è fra l’altro un frutto gradevole, consigliabile, perché ricchissimo di vitamina C. Ma se qualcuno intendesse di mangiare la sorba prima, gli diventa la bocca così, perché allappa, è terribile.
Avv. Aldo Colao: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: È vero questo… Oh guarda, ho trovato l’approvazione, sulle sorbe, dal collega avvocato Colao. Allora se c’era una cosa proprio da dire: ‘scusi, abbia pazienza, faccia un altro riferimento cronologico, proprio le sorbe no; scelga un’altra cosa’. Era questo. Invece il dottor Giuttari, eh, insomma, immediatamente: ecco, guarda l’attendibilità del testimone, prova ne sia che parla delle sorbe. Poi dopo quando, avete visto al dibattimento, questo personaggio voi lo avete visto, ha fatto la fine che ha fatto. È stato, come dire, l’inizio di una certa discesa che hanno preso certi testimoni dell’accusa, che poi culmina con lo Sgangarella. È venuto fuori che era un delirante, un delirante, un paranoico; proprio uno di fuori come un terrazzo, come si dice. Di fuori come un’antenna parabolica, non c’è niente da fare, vero. Comincia a dire, si era appena messo a sedere, e dice: ‘a me mi pedinano. Sono pedinato’. Pedinato lui? Come no! Il De Pace: ‘sono pedinato’. E poi giù, tutta una cosa, tutto un affastellamento di discorsi: ‘eh, ma lo so io, perché…’, lasciamo perdere, è meglio lasciarlo fare. Il De Pace lo avete liquidato. Però una cosa, vorrei sapere io: arrivato al termine di questa débàcle del De Pace, totale, per cui è apparso veramente indecente come testimone da portare ad un dibattimento penale, in un processo penale di questa gravità, il Pubblico Ministero si è riservato di produrre una documentazione medica in cui si attestava che questo De Pace era diventato tale, vale a dire così di fuori, in epoca successiva. L’ha depositata poi il Pubblico Ministero? Mi pare di no. Allora io ho il diritto, a questo punto, siccome la cosa, questa certificazione da cui risulti che questo signor De Pace non è diventato nelle more del processo, di fuori come le antenne, eh, ho il diritto di ritenere che, insomma, la possibilità di rendersene conto c’era anche prima. E che, in definitiva, questa prova in questo processo, questi riscontri, vengono affidati a personaggi di questa natura, perché si tratta un po’, come dire, di rimpolpare una accusa che, veramente, altrimenti è molto scarna. Voglio dire: la storia dei moccoli e dell’andare a letto al buio. Se a un certo punto si deve attenerci ad un De Pace, al moccolo del De Pace, è molto meglio andare a letto al buio. E se anche è dovuto che si porta il de Pace, vuol dire che proprio abbiamo bisogno, come dire, di arricchire un certo discorso, il quale è di per sé abbastanza scarno, diciamo così. Prova ne sia che il secondo riscontro che ci produce, che ci viene prodotto dall’accusa, in particolare dal dottor Giuttari, è la signora Sharon Stepman. La quale è una americana, va bene, del tutto inesperta dei luoghi, come può essere una americana, che avrebbe visto una macchina bianca che fa l’atto di uscire dalla piazzola. Quale piazzola? Questo è il punto fondamentale. Per modo di dire, perché insomma, una macchina poteva anche uscire, mentre lei tornava con questo Raspollini Valeriano – fra l’altro li conosco, fra parentesi – eh, tornava da dove erano stati, da Perugia. Eh, poi erano tornati a casa del Raspollini, che sta verso San Casciano, no? Lei lascia il Raspollini e poi torna verso Firenze.
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Eh?
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: No, no, no. No, no. No, ho ragione io.
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Grazie. Come… Eh?
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: No. No, no e no. Erano insieme all’andata; al ritorno, quando fa questo avvistamento, la signora Sharon Stepman è sola. Tanto è vero che non ho capito perché il Raspollini sia stato chiamato a testimoniare qua. È venuto anche il Raspollini, ha fatto tutti quei discorsi. È un tipo… Cioè, è un personaggio che si occupa d’arte e tutto il resto. Insomma, che è venuto a fare, questo non l’ho capito, il Raspollini? Perché lui la macchina non l’ha vista. Ne ha sentito parlare dalla signora. La signora c’è li, lo racconta lei, che ha visto questa macchina.. . Ma dove l’ha vista questa macchina? Nella piazzola, questa piazzola? Quella che ci interessa a noi? No. Sul punto la signora è abbastanza chiara. Vediamo un po’ se la trovo. La signora Stepman Sharon, eccola qui, guardate: udienza 7 luglio ’97: “La sera dell’8 corrente, verso le ore 23.00, alla guida della mia autovettura, percorrevo la via degli Scopeti diretta verso Firenze. Giunta poco prima del ristorante denominato La Capannina…”, vede quest’autovettura, eccetera. Va bene? Allora, avete presente la zona? Questa certamente l’avete presente, voglio dire. Venendo da Firenze s’incontra, sulla destra, prima la strada che porta alla piazzola; poi dopo si incontra La Capannina, il ristorante. Quindi, se lei venendo dalla direzione opposta, vale a dire da San casciano dove ha lasciato il Raspollini, vede questa macchina che esce dalla piazzola, prima della Capannina, non è la piazzola che ci riguarda. E non c’è niente da fare. E sicché bisogna prendere anche la signora Sharon, americana, poco esperta dei luoghi… Non so se era carina, ma insomma, questo non ha molta importanza. Mi sarebbe piaciuto vederla e dirle: signora, si accomodi, grazie tante. Molto gentile, molto cortese. La sua collaborazione ci commuove, però a noi non ci serve a nulla. A nulla. Proprio zero. A proposito, tornando un attimo indietro, a proposito del riscontro dell’orefice Zanieri, sentite cosa dice lo Zanieri. Torno indietro: “L’ho sentito dire da qualcuno del bar.” “Da qualcuno del bar.” A verbale del 24 gennaio del ’96. Dopo aver detto, in precedenza: “Questo discorso lo hanno fatto diverse persone e anche il Lotti.” Quindi, diverse persone che dicono: ‘siamo passati di lì’. E passare di lì è più che normale. Per uno che va a Firenze quel giorno, per tornare si passa assolutamente da lì. Benissimo. Ma quel che mi interessa, a questo punto, commentare e discutere in modo approfondito, sono le testimonianze di due testimoni veramente attendibili, veramente seri, che non prestano il fianco, come il De Pace, a nessun tipo di obiezione e che sono i testimoni De Faveri e Chiarappa. Allora, chi sono? Sono due coniugi, come voi ricorderete – è per rammentarvi la circostanza – i quali sono andati a trovare quel giorno, domenica, degli amici che si chiamano Rufo; i quali Rufo abitano – tra l’altro mi pare che il Rufo è morto – i quali abitano in una casa che sta dalla parte opposta rispetto alla piazzola degli Scopeti dov’è avvenuto l’omicidio dei francesi. Questi signori vanno a trovare questa persona. A che ora? Alle 14.30. Lo dicono tutti e due. Sono là, su quella strada, provenendo da Firenze. E devono fare una curva un po’ a secco per entrare nel cancello e salire su alla casa dei Rufo. E sono le 14.30 del pomeriggio di domenica. Domanda a loro, come a tutti i testimoni di questa natura: “Come fate voi, signori, a ricordarvi che era quella domenica lì?” Giusto, no? Perché un testimone parla a distanza di diverso tempo come loro e bisogna chiedergli come fanno ad avere l’addentellato del riferimento cronologico. Risposta che proviene dal signor Chiarappa: “Perché” – non è chiara, non credo che sia esplicitata, ma è implicita come risposta -“Perché quel giorno lì io ritornai a Firenze per scrivere un necrologio nei confronti di un, riguardante un mio ex collega” – perché è un musicista, il signor Chiarappa – “morto.” Un certo musicista Ferrara, se non ricordo male. No, ma me lo ricordo bene: Ferrara. E quindi ha questo addentellato cronologico che è quello. Questo signore, nell’agire e nell’andar su, non nota niente lui. È la moglie che fa caso alla presenza di questa automobile che lei, in un primo momento, ritiene essere bianca, ma che poi, ripensandoci bene, ritiene essere rossa. Va be’, c’è una automobile lì, ferma, che infastidisce nel fare la manovra. E lei dice: ‘ci sono due persone vicino alla macchina”, ma ne descrive una sola bene. Tipo, del classico contadino toscano, dice, in un certo modo, lo descrive. Il marito di questa persona, della macchina, non se ne accorge. Lui sta guidando, va su. Però il marito, Chiarappa, proprio quel giorno sta inaugurando un apparecchio fotografico munito di un teleobiettivo. Arrivato su alla villa col teleobiettivo si diverte a guardare col teleobiettivo la zona dalla quale è transitato fino a quel momento. Ed ecco lui vede col teleobiettivo di nuovo la macchina. Immaginiamo che sono le ore… 14.30, sono arrivati; diciamo le 15 e un quarto, quando fa questo giochetto col teleobiettivo? 15 e un quarto, benissimo. La macchina è sempre lì e c’è una persona sola, però. Lui vede una persona sola. Vede questa persona col teleobiettivo; la guarda, ci si diverte a inquadrarla col teleobiettivo. Bene. Alle 16.00, verso le 16.00-16.30 – 16.30, anzi lui dice – il signor Chiarappa deve tornare a Firenze per fare questo necrologio. Prende la macchina e torna per andare a Firenze. Rivede la macchina. Sempre lì, no? Da Firenze… Gli vogliamo dare mezz’ora per arrivare a Firenze? Si fa le 17.00; gli vogliamo dare un’ora per scrivere il necrologio? Si va alle 18.00. Ritorna per prendere la moglie: 18.30. 18.30-19… 18.45, sette meno un quarto, rieccolo dai Rufo, ripassa con la macchina. E questa macchina è sempre lì ferma. Possiamo dire che questa macchina la troviamo in questo posto ininterrottamente, perché abbiamo questi orari: 14.30, 15.30-15.00, quando guarda col teleobiettivo, 16.30 quando va a Firenze, 18.30 quando torna. Guarda la macchina, la macchina c’è sempre. E questa volta il testimone Chiarappa, questa volta lui prova il fastidio della manovra. Perché la macchina gli intralcia la manovra. Sempre lì. Stesso fastidio che ha provato, pur non guidando lei, la moglie. La prova lui, però, questa volta. Dice: ‘questa macchina dà fastidio’. Torna su, prende la moglie, sale con la moglie. Vengono via alle ore 20.00. Scendono giù alle 20.00, dicono tutti e due: ‘e la macchina è sempre lì’. Allora guardate: 14.30, 15.30, 16.30, 17.30, 18.30, 19.30, 20.00. Cinque ore e mezzo che quella macchina è lì, ferma, sempre in quel posto. Che vogliamo dire? Due cose e non ce n’è versi, non c’è verso: o quella macchina lì non è la macchina del Lotti… Perché? Perché Lotti ci ha detto che con quella macchina è andato a Firenze, no? Insieme a Pucci, no, quel pomeriggio. È vero, sì, che ci ha detto di aver fatto prima un salto lì alla piazzola a guardare questi francesi che facevano l’amore. Ma quanto può esserci stato? 20 minuti. Poi, certamente, cinque ore e mezzo lì a guardare i francesi che fanno all’amore non ci poteva stare, anche perché i francesi cinque ore e mezzo a far l’amore non ci possono stare. Perché va bene la performance sessuale della gente, ma acciderba, eh! Allora? Allora non è vero nulla; non è la macchina di Lotti, è un’altra automobile e chissà di chi è. Bah! Circostanza che va buttata via. Ma c’è una alternativa, ovviamente, che il Lotti racconti un sacco di fandonie. Perché se quella è la macchina del Lotti, il Lotti è stato lì nei paraggi, in quel posto, per cinque ore e mezzo. Allora: subito in galera il signor Lotti. Una volta interrogati i signori Chiarappa e De Faveri: il signor Lotti subito a Sollicciano, di corsa. Vada! Si accomodi, signor Lotti, a schiarirsi. . . o a schiarirsi le idee, a raccontarci dopo che tutto quel che dice sono tutte fandonie, oppure, oppure a schiarirsi le idee per dire il suo ruolo effettivo in questo fatto. Eh, non c’è versi. Il programma di protezione al collaboratore? La questione di legittimità costituzionale di una norma per cui, a un certo punto, cos’è che è venuto fuori? Non c’ero… No, no, no. Non ci siamo affatto. No, non ci siamo proprio, non ci siamo. Non ci siamo proprio alla radice di queste indagini. Veramente è la radice che è marcia, qui. La pianta non fiorisce perché la radice è marcia. Se si ritiene Lotti un mentitore come è, come lo ritengo io, allora poi siamo tutti d’accordo, fine del discorso. Va be’, insomma, si piglierà un processo per calunnia, autocalunnia. E vediamo un po’, e ba… Ma se si ritiene che è vero e che quella è la macchina sua, questa macchina che sosta qui cinque ore e mezzo; e lui che viene a raccontare le fandonie della Ghiribelli, di essere andato dalla Ghiribelli col Pucci che si è ricordato… Come, te stai lì, invece, cinque ore e mezzo lì intorno a fare che? A spiare? Forse a prendere le misure, a valutare… È tutto un altro discorso. Capite? È tutto un altro discorso! È un processo da fare di sana pianta, col signor Giancarlo Lotti assicurato alle patrie galere, per prima cosa! Altro che riscontro i signori Chiarappa e De Faveri: testimoni puntuali. Altroché! Pagina 46. La moglie dice: “Da lì, poi, siamo andati via verso le otto circa e la macchina era ancora lì.” I testi De Faveri e Chiarappa non danno alcun riscontro alla pretesa confessione di Lotti, nella parte in cui dice di essere andato a spiare la coppia nel pomeriggio. Il racconto di Lotti è assolutamente diverso. Le conclusioni sono soltanto due, “tertium non datur”: nei paraggi, a poca distanza dalla piazzola, domenica, c’è una macchina che non è quella di Lotti; la seconda: Lotti, con la sua macchina, è stato lì per almeno cinque ore, dalle 15.00 alle 20.00. La gita dalla Ghiribelli è una fandonia, oppure avviene dopo. Tutto il suo racconto non quadra. Cinque ore per spiare due persone che fanno l’amore sono troppe. Tutta la posizione di Lotti e di Pucci, e in particolare la sua chiamata di correo, va rivista totalmente. Domanda al signor rappresentante dell’accusa, in questo processo, che conduce le indagini, che fa le domande a Lotti: se n’è accorto di queste cinque ore almeno di sosta di una macchina che lui ritiene essere – lui, il Pubblico Ministero – ritiene essere la macchina di Lotti? E che domande gli ha fatto a Lotti sul punto? Almeno le domande. Diciamo che in galera non ce l’ha voluto mettere, ma le domande. ‘Guardi, signor Lotti, che a noi ci risulta che la sua macchina ha sostato lì per cinque ore. Che ci può dire?’ Io non le ho viste queste domande. Non le ho viste perché non ci sono. E vorreste mandare all’ergastolo questo poveruomo sulla base di un materiale probatorio di questo genere? In cui, non solo non si perquisisce la casaccia di Lotti al Ponte Rotto, dove potrebbe averci nascosto 30 cadaveri, il signor Lotti. Altro che la pistola calibro 22 o i proiettili. Lo spazio c’è, è infinito. E la casa è abbandonata dall’88, da quando se n’è andato via lui. Non solo. Non si chiamano, non si interrogano, nel corso delle indagini preliminari, eh, di questo processo. Io non sto parlando del dibattimento, eh. Al dibattimento, questa gente, è bell’e… è ultradimenticata. No, quando si fa la ricerca delle automobili che appartengono agli “Amici di merende”, quando siamo lì a cercare riscontri sulla macchina rossa, sulla macchina bianca, sulla macchina argentata, su quella color indaco, su quell’altra non so come, 15 testimoni che sono lì, nel momento in cui…
(Brusio)
Presidente: (voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Allora ditelo, se devo smettere, posso anche smettere. Ne avrei anche voglia, perché sono stanco da morire. Comunque, eh, insomma…
Presidente: Ma c’è un…
(Brusio)
Avv. Nino Filastò: Dicevo, questi 15 testimoni, meglio di loro non c’è proprio nessuno, perché bastava leggere. Penso che nessuno lo abbia fatto, sicuramente il dottor Giuttari non l’ha fatto, altrimenti leggeva quelle carte e diceva: ‘ma, diamine, ma questi eran lì in quel momento. O perbacco! Ora sì che si trova quello che ha visto la macchina del Pacciani, la macchina del Lotti… E come no? Erano lì. Uno di qua, uno da quella parte, uno da quell’altra, che si incrociano. Eh, perbacco!’ Ecco. No, nulla. Niente, niente, nessuno. Ma addirittura sentite due testimoni che vi dicono che c’è quella certa macchina che voi ritenete essere la macchina del Lotti, che sta lì ferma cinque ore e mezzo e al signor Lotti: ‘scusi, signor Lotti, lei dice che è andato dalla Ghiribelli quel pomeriggio. A noi non ci risulta mica, sa’. Ora mi diranno, dice: ‘ma avvocato, lei ci vuole insegnare a fare le indagini?’ No, no, io sto criticando un certo materiale probatorio. Non voglio insegnare nulla a nessuno, per carità di Dio! Figuriamoci. Lotti è, come dire, a questo punto diventa una specie… prima si è detto che era un giudice; poi si è detto che era il perito dei periti; poi diventa un angelo. Ora lui diventa una sorta di personaggio metafisico che non si discute quello che dice lui, per carità di Dio! Ipse dixit, genuflessione, ristoranti scelti, coccolato, come vedremo fra poco. Portato in giro, adulato… Non c’è nemmeno stamani, vero? E invece, no. E non ci siamo, non ci siamo. E qui, ecco, ed è a questo punto, signor Presidente e Signori Giudici, che voi farete conto che, da questo momento, non parli l’avvocato Nino Filastò. Vi prego di fare questo sforzo di fantasia. L’avvocato Nino Filastò si fa da una parte con le sue convinzioni, con la sua onestà intellettuale e subentra il terzo difensore di Vanni, che potrebbe anche essere l’avvocato Pepi. Perché no?
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Non c’è più. È perché se l’è presa a male, di non so bene che cosa. Però io, fra l’altro, io me n’ero preso a male, avevo ragione, detto fra di noi. Avevo ragione nei confronti del Pubblico Ministero e nei confronti suoi Ma come, se ne parla, dice: guarda, si chiede la perizia psichiatrica… Dice: ‘no, non si deve fare. E come si fa? Ma io poi, quando il signor Vanni mi ha mandato il telegramma, la lettera, dice: ‘ Venga, eccetera’, sono venuto qua, e io per me – che andava via l’avvocato – Pepi, non mi sarei mai permesso di dire una cosa del genere. Ci mancherebbe altro! L’avvocato Pepi ha preso il cappello e se n’è andato poi dopo, definitivamente. Ma proprio per questo, motivo, perché se n’è andato, proprio perché parlando o impostando, io sapevo quale poteva essere una sua impostazione difensiva, io sono obbligato a percorrere anche questa strada. Però dicendovi : “fate conto che qui – via i baffi, via la barba, i capelli lunghi, via la fede poolitically correct, francamente siamo come il diavolo e l’acqua santa, da questo punto… Ma poi, non esageriamo, eh Presidente. Perché oggi le cose stanno un po’ cambiando, per fortuna. E certe contrapposizioni non. si capiscono più. E se non si…
Manca una parte