11 Marzo 1998, 68° udienza, processo, Compagni di Merende Mario Vanni,  Giancarlo Lotti e  Giovanni Faggi per i reati relativi ai duplici delitti del MdF e Alberto Corsi per favoreggiamento.

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Avv. Nino Filastò

Presidente: Zanobini, chi c’è per Zanobini? 

(voce non udibile) 

Presidente: Già. Sì, sì, non c’è. Allora, ci siamo per la posizione delle parti; c’è l’avvocato Curandai per le parti civili. Allora, prego, avvocato Filastò. 

Avv. Nino Filastò: Grazie, Presidente. Si stava esaminando, Signori, quelli che vengono definiti dall’accusa, riscontri obiettivi e testimoniali e che la difesa, invece, vi dice mancati riscontri. Uno dei quali sarebbe, da un punto di vista oggettivo – sempre seguendo la esposizione che appartiene prima al dottor Giuttari, qui, a pagina 30 della sua deposizione, e poi al Pubblico Ministero – uno di questi riscontri sarebbe il taglio della tenda dei due francesi nella parte posteriore. In effetti il taglio c’è, quel taglio che si ipotizza essere stato fatto, in un primo tempo, con l’intenzione di introdursi da quel lato; intenzione frustrata dal fatto che, come sappiamo, quella tenda prevede, è composta di due teli, solamente il primo dei quali – quello esterno – è tagliato; il secondo, no., i E di questo taglio lo sanno tutti, ne hanno parlato tutti. Ne parlai persino io alla televisione, durante una trasmissione avvenuta alla fine del 1987, “L’Interno Giallo”, quando ipotizzai, forse così un po’ fantasticamente, che questo taglio della tenda fosse in qualche modo collegato ad un film, “Nightmare”, dove appunto il mostro, quello che uccide delle coppie, taglia una tenda prima, un lenzuolo dopo, eccetera. Quindi, che lo dica il Lotti, lo dica il Pucci, non è certamente una di quelle cose che possano garantire della loro attendibilità. Ma, vista nel suo complesso tutta questa storia del taglio della tenda, della possibilità di vedere l’operazione da parte di Lotti, dal punto in cui si trovava – o ha detto di trovarsi, come io ritengo – e del Vanni che si introduce nella tenda dall’apertura praticata col taglio. Perché sono queste le prime dichiarazioni che fanno questi signori. E non sono dichiarazioni che poi possiamo dire: sono state corrette in un momento successivo, all’interno di una progressione, per cui queste persone correggono il tiro perché prima dicono poco e poi dicono di più. No, no. Correggono perché non sta in cielo e né in terra, questa introduzione del Vanni dall’apertura praticata col taglio. Perché lo abbiamo visto che non sta né in cielo e né in terra; e che questa introduzione da parte del Vanni, sarebbe avvenuta – dice ancora il signor Lotti – prima degli spari. A rischio di essere colpito da Pacciani che sta… da Pacciani o da quest’altra persona insomma, che sta sparando, in quel momento, dentro la tenda. Il bersaglio è la tenda; gli occupanti della tenda… uno entra dentro la tenda a rischio di fare una brutta fine, lui. Che tutto questo venga considerato un riscontro obiettivo è, secondo me, straordinario. Perché realmente, in realtà, tutto il complesso della questione del taglio della tenda diventa, è in realtà una smentita grave, una delle tante prove che Lotti racconta fandonie. Ancora, il quarto riscontro cosiddetto “obiettivo”: questi due coltelli. Ma i due coltelli, suppongono, come abbiamo visto ieri, questa operazione compiuta da due persone, di escissione all’interno della tenda. E lì siamo, come abbiamo visto, alla vertigine della forzatura, alla totale inattendibilità, alla totale inverosimiglianza a termini di senso comune. E questo, invece, ci viene gabellato come una conferma obiettiva della veridicità delle dichiarazioni di Lotti. In realtà, l’ipotesi di un secondo coltello, affacciata nella sentenza di I Grado, come viene affacciata nella sentenza di I Grado? La sentenza di I Grado, il Giudice lì vede queste lesioni che sono intorno al seno e dice: ”probabilmente qui c’è due armi che agiscono’. La ragione è quella. Ma noi abbiamo visto, abbiamo constatato che, attraverso la perizia, attraverso le perizie, le osservazioni fatte da De Fazio e anche da Maurri, con la maggiore attendibilità possibile, queste graffiature che si trovano intorno al seno asportato dalla Nadine Mauriot non possono altro che essere messe in relazione con la zigrinatura di un coltello, tipo quello che vi ho mostrato, che voi mi avete cortesemente restituito – non so più che farmene, per dire la verità; mi fa un po’ impressione quell’oggetto che taglia, fra l’altro, solamente a guardarlo – perché, cioè, come si dice, insomma: nel giro che viene fatto dalla mano, poi, a un certo punto, passa. . . la mano provoca una inversione, diciamo così, della parte del coltello che, in quella zona, finisce per andare ad incidere la cute con la costola. Costola che è zigrinata. E perché si dice questo? Si dice questo perché queste incisure, come risulta dalle foto che voi avete, sono esattamente parallele l’una all’altra e si trovano a esatta distanza l’una dall’altra. Quindi non può essere un atto volontario di chi ha fatto per prova, come si ipotizzava, queste incisure prima sul seno ; ma è un atto, sono segni che vengono lasciati in maniera meccanica da questa… Sennò, altrimenti, non troveremmo questa perfetta parallelità e questa perfetta corrispondenza dello spazio che esiste fra incisura e incisura. L’altra affermazione, dalla quale si ricava l’ipotesi di due coltelli, è che una di queste lesioni, la lesione al seno, appare come una lesione più netta rispetto a quella che riguarda il pube, dove i margini sembrano un po’ più sfrangiati, al punto che si dice che il coltello potesse aver perso il filo. Allora dice: ‘no, qui c’è due coltelli; uno con un filo più tagliente e un altro con un filo meno tagliente’. Questo perché lo si dice? Da parte… lo si ipotizza. Perché si parte dal presupposto che il primo taglio sia avvenuto al seno, quando il coltello era ancora affilato, e il secondo taglio sia avvenuto… O il contrario, ora non ricordo esattamente. Sono più sfrangiate quelle al seno. E’ al contrario, sì. È vero, è così. È al contrario, proprio ho invertito 1’ordine. Dice, allora: il primo taglio avviene al seno e quindi lì c’è una maggiore… una minore, scusate, una minore taglienza della lama; e il secondo avviene al pube in cui, a un certo punto… Il primo avviene al pube, scusate, in cui invece il coltello è più affilato. E il presupposto è che prima si tagli il pube e poi si tagli il seno. Invece no: prima si taglia il seno e poi si taglia il pube, così dicono, così ipotizzano i periti. Ma perché? Io ve l’ho già detto ieri: . che è molto più probabile, viceversa, che la prima escissione sia avvenuta in rapporto al pube, come sempre era avvenuto prima. E che poi si sia escisso il seno. All’interno di quella ritualità che vi ho descritto, mi sembra che questa sia l’ipotesi più probabile. E allora si può anche capire che questo coltello che è già servito per uccidere il giovane francese, che poi è servito per escindere il pube e poi, al momento di escindere il seno, abbia perso in .parte – molto, direi, quasi impercettibilmente – la sua capacità di taglio. L’altro riscontro è Chiarappa e De Faveri. Ne abbiamo parlato ieri. E quindi, voglio dire, che a me, l’ipotesi più probabile, che quella sia una macchina qualsiasi. Che sta lì per cinque ore e mezzo per i fatti suoi. D’altra parte sappiamo che vicino c’è la festa degli Hare Krishna; che qualcuno sia andato alla festa, si sia soffermato prima, abbia lasciato poi, durante la festa, per lungo tempo, questa macchina in questo posto è più che possibile. Come si fa a dire che quella è la macchina di Lotti? Come si fa ad essere certi che quella è la macchina di Lotti, quando in definitiva, a guardare bene le cose, non sappiamo nemmeno se Lotti, in quel periodo di tempo… non sappiamo, non abbiamo la certezza che Lotti, in quel periodo di tempo, possedesse ancora la macchina 128 rossa. E questo lo dico per un motivo molto semplice. Eh. . . la certezza. Se poi il Pubblico Ministero vuole integrare la prova, lo può sempre fare. Lo ha fatto per il signor Faggi, lo può fare anche da questo punto di vista. Attualmente, con riferimento ai dati obiettivi, certificati da parte degli enti che sono chiamati a questo, non c’è questa prova certa. Perché? Perché questa macchina al Pubblico Registro Automobilistico risulta cancellata alla data dell’aprile del 198 6, i primi di aprile. Ed è la certificazione che, a quella data, viene fatta al Pubblico Registro Automobilistico. Ma l’esperienza ci dice che per arrivare a quella certificazione la trafila è abbastanza lunga. Bisogna portare la macchina al demolitore; il demolitore poi la demolisce e ti consegna la targa. Andando poi all’ufficio con la targa e con il libretto di circolazione e facendo una domanda apposita, poi dopo, passato un certo periodo di tempo – perché sono uffici che non lavorano per niente speditamente, forse qualcuno di voi l’avrà fatta questa esperienza – poi dopo si arriva alla cancellazione. Ma un tipo come Lotti, il quale non naviga nell’oro, prima di decidersi a buttar via la macchina l’avrà tenuta forse da qualche parte, in qualche garage chissà dove, o chissà per quanto tempo, per vedere se per caso c’era eventualmente un qualche possibile acquirente. A Lotti anche le 500.000 lire possono andare bene. Ecco perché dico il tempo, che è abbastanza ravvicinato fra il settembre dell’85 e l’aprile, primi di aprile del 1986, quando su quel registro si fa questa annotazione, mi lascia ipotizzare una cosa di questo genere. Allora, quale potrebbe essere il dato significativo dal quale ricavare la prova che Lotti ancora aveva quella macchina? Quando Lotti immatricola a suo nome la macchina successiva. E la macchina successiva è una 124. Ora, questa macchina successiva, immatricolata successivamente, a me non è stato possibile sapere quando il Lotti l’ha immatricolata. Ho atto fare un accertamento a Roma, perché al PRA di Firenze questo non risulta, non te lo fanno l’accertamento. E dal computer del PRA di Roma questa macchina 124, alla data di immatricolazione di Lotti, risulta “0000”. Per qualche ragione questo dato non c’è. Probabilmente è sparito. Può capitare. Allora ho fatto fare delle ricerche alle varie compagnie di Assicurazione, per sapere quando il Lotti aveva assicurato sia la macchina 128 rossa, che quella successiva, questa 124. E non è stato possibile saper nulla, perché il Lotti le macchine non le assicurava. Mah! Così mi è stato detto da varie compagnie di Assicurazione. L’unica assicurata, di macchine di Lotti, risulta quella che ha avuto nel periodo di tempo in cui era sottoposto al Programma di Protezione. Beh, comunque, se queste cose… Naturalmente sono accertamenti fatti da chi, a un certo punto, non ha gli strumenti, tutti gli strumenti possibili. Se poi, invece, questa prova può essere integrata dal Pubblico Ministero, ne prendiamo atto. Ma, insomma, non è un prova, non è una prova. Non è nemmeno un indizio. Perché, anche ammesso, sarebbe di una ambiguità terribile. Voi fate un esperimento: andate in giro, come ho fatto io e guardatevi intorno. Guardate su un viale, da una parte, dovunque stiate camminando e dovunque vi troviate, andate a vedere e fate il conto di quante macchine bianche ci sono e di quante macchine rosse, rispetto al totale. Su 20 macchine ce n’è: dieci bianche, almeno sette rosse e tre di altro colore. Quindi, dire: c’è una macchina rossa di tipo sportivo, con una coda tronca non dice assolutamente niente. Non identifica per niente la macchina del Lotti. Forse il Lotti, se qualcuno avesse visto il Lotti sopra quella macchina, allora sì. Allora potremmo parlare di un benché minimo elemento che ha valore di indizio; ma in quel modo no. E comunque resta il fatto, con riferimento a questa circostanza, di quello che dicevo ieri: questa macchina, che sia del Lotti, sta lì che sosta per cinque ore e mezzo. L’ultimo riscontro obiettivo, secondo il dottor Giuttari, sarebbe la posizione del cadavere del giovane francese trovato con i piedi sollevati da terra di 50 centimetri. Perché sarebbe questo un riscontro obiettivo non lo sappiamo, perché il Pubblico Ministero, quando ne incominciava a parlare il dottor Giuttari, lo ha interrotto invitandolo a parlare d’altro. E mi pare che avesse anche ragione, perché sostanzialmente non capisco che razza di riscontro sia, non sono riuscito a capirlo. Maria Grazia Frigo. Maria Grazia Frigo – lo vedremo un po’ meglio occupandocene più approfonditamente, con riferimento al delitto di Vicchio – dovrebbe essere una testimone di ferro che chiarisce come la macchina del Lotti e la macchina di Pacciani erano lì in quei paraggi, vedremo dove e tutto il resto, quel giorno. La Maria Grazia Frigo… Va be’, a parte che esordisce affermando: “Sono ossessionata” – a pagina 12 del suo verbale dibattimentale – “Sono ossessionata da otto anni da un episodio che mi è capitato”, e ripeto: “Ossessionata”. E che l’ossessione non è mai un indizio di serenità di spirito di un testimone, è un aspetto psicologico che non conferma l’attendibilità di una testimone, tutt’altro. Ma questa testimone, a guardar bene, e il di lei marito, hanno visto in una posizione, che poi vedremo non collima affatto né col delitto, né con l’ipotesi di una fuga dal luogo del delitto – lo vedremo meglio dopo esaminando anche sulla carta la situazione dei luoghi – questa testimone vede, prima, un’autovettura, che lei in un primo momento dice era di un certo colore: rossa; poi dice che è bianca. E poi spiega perché aveva detto rossa, perché ha detto poi bianca e chi le ha fatto cambiare il colore della vettura. Insomma, riferisce – poi lo avete a verbale di dibattimento – una circostanza molto sgradevole, in cui si avverte come da parte degli inquirenti si è intervenuti sulla prova e la si è modificata. Perché è una cosa. . . Appena uno si accorge di una cosa di questo genere, prende subito il testimone, quello che ha detto e tutto il resto e lo butta nella spazzatura. Perché quando c’è la prova provata, detta al dibattimento, di una contaminazione della prova in questo senso, è evidente: non ci si può più fidare di questa persona. Ma a tutto concedere, se voi guardate la testimonianza della Frigo, voi vedete che lei vede una certa macchina che va in su e ci riconosce dentro Pacciani. Va be’, poi vedremo come, in che modo, a che distanza e tutto il resto; a che distanza di tempo avviene questo riconoscimento, e via di questo passo. Poi dopo, passato un chilometro e passa, nell’atto di prendere una certa stradetta laterale che conduce verso una casa colonica, tanto che lei ritiene che si tratti di un contadino – non solo lei, ma anche il marito ritengono si tratti di un contadino – vede una macchina rossa. Quindi due macchine che non sono appaiate come quelle che vedranno dopo a distanza… che vedranno dopo. Chissà se poi le vedono nello stesso giorno, fra l’altro, eh. Perché il dato cronologico qui è importantissimo ed è incertissimo. Vedono i testi Caini e l’altra, come si chiama? 

(voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Martelli, che invece vedono due macchine appaiate. Queste non sono appaiate, sono a distanza: una va in un posto, un’altra va in un altro. Ma la cosa importante che dice la Frigo è questa: sulla macchina bianca c’è solo il guidatore. E da qui non si scappa. A tutto concedere, ammettendo che davvero su quella macchina ci sia il Pacciani, non c’è nessun altro che lui su quella macchina. E Vanni che ha fatto? È tornato a piedi? Noi sappiamo, nella ricostruzione che ci dà il Lotti, che sulla macchina dovremmo trovarci il Vanni, no? Perché lui non dice che: il Vanni è tornato con me. Senza contare che anche sulla macchina rossa c’è un solo guidatore, c’è solamente il guidatore, il guidatore e basta. Dice: ma l’osservazione disattenta… Disattenta? Accidenti! Questa signora, quando descrive questo guidatore, si espone al punto di dire che, addirittura, evidentemente si era fatto i capelli di fresco, che doveva essere andato dal parrucchiere quel giorno stesso, che nei paesi i parrucchieri sono aperti anche il sabato e la domenica. . . Veramente non solo nei paesi, anche nelle città, a quanto mi risulta. E dà una descrizione così particolareggiata di questa persona e tutto il resto, lo sguardo… E non si accorge, dobbiamo dire che non si è accorta che accanto c’era un altro? Ma nemmeno per idea. È una situazione perfettamente equivalente a quella della coppia De Faveri e Chiarappa, in cui il marito vede una sola persona e quindi non c’è versi: c’è una sola persona. Del resto una sola persona, ammesso che queste due macchine siano poi quelle che vedranno la coppia Caini-Martelli, anche la coppia Caini-Martelli, c’è una sola persona. Allora voi dovete registrare subito che, a tutto concedere, considerando la tesi più favorevole all’accusa, a Vicchio Vanni non c’era. E qui, come vi dicevo alla fine della discussione di ieri, cessa l’avvocato Filastò e subentra il terzo difensore di Vanni, per quelle ragioni che vi ho detto. Io, come dicevo prima, tutto questo, alla ipotesi della coppia criminale Pacciani-Lotti non ci credo affatto. Cioè, io sono convinto che non sia così. Convinzione assoluta. Credo di avervi indicato tutta una serie di dati, anche soprattutto di carattere scientifico, tratti da quegli studi fatti da De Fazio, dall’equipe De Fazio, dottor Nocentini, lo stesso Perugini. Per cui, l’ipotesi anche della coppia, oltre la coppia proprio non si può andare, diventa… Parlare invece di tre-quattro persone, gli “amici di merende”, per piacere, no, non ne parliamo più. Non possiamo parlarne. Poi vedremo meglio approfondendo altri aspetti. Ma, insomma, non è possibile. La coppia, la coppia omosessuale; il Pacciani che ha questo rapporto omosessuale con Lotti, rispetto al quale c’è questo rapporto di sudditanza, succube. Come ce lo descrive in quel momento lì lui, quando va a casa e questo lo violenta. . . Mah, insomma… Che questi, ci siano queste due perversioni che, per uno scherzo della sorte, a San Casciano-Mercatale, si sono incontrate… Non ci credo affatto. Ma siccome io faccio il difensore di Vanni, mi preme Vanni. Lui è il mio paziente e le cure che gli devo prestare sono tutte quelle che posso prestargli. Tutte, nessuna esclusa. E c’è bisogno della chemioterapia? Chemioterapia anche? La chemioterapia a Vanni, qualsiasi cosa. Ne ha diritto. E allora devo parlarne. E ne parlo, prima di tutto, affrontando il tema, anche qui come ho fatto prima, guardando obiettivamente tutto il processo, affrontando la consulenza tecnica di Lagazzi e Fornari. Beh, intanto, prima di cominciare ad approfondire questo argomento, io vi devo dire che il Pubblico Ministero si è accontentato dell’esame psichiatrico di Lotti. Io vi ho detto che questo non basta, non bastava. E la lettura della consulenza e le precisazioni al dibattimento dei professori Lagazzi e Fornari mi hanno confortato in questa convinzione. Ed è una convinzione che è all’origine anche del Pubblico Ministero, il quale sente la necessità di approfondire l’aspetto psichiatrico e psicologico di Lotti. E io domando… Perché è una necessità, ovviamente nascente dall’esame, dalla constatazione, da tutto quel che riguarda i delitti. Le loro connotazioni di carattere obiettivo, il loro aspetto fondamentale di delitti aventi natura sessuale. E quindi, ovviamente, il Pubblico Ministero dice: ‘beh, siccome qui si fa riferimento ad una persona che potrebbe essere impotente, prima di tutto accertino i periti se Lotti è impotente’. Sono delitti straordinari per tempi, per modalità di esecuzione, certamente riconducibili a quel concetto tecnico, giusto, di perversione, così come ho cercato con molta modestia di delinearvi e come invece vi hanno delineato, attraverso materiali che sono attendibilissimi e seri, i periti che hanno fatto lo studio sui casi considerati per intero, tutti, a partire dal 1968. Ecco, io mi chiedo: se questo era l’impegno del Pubblico Ministero di approfondire quest’argomento nei confronti di Lotti, per quale ragione questo non lo ha fatto nei confronti di Vanni? Io mi sono sentito dire, quando ho fatto una richiesta di perizia psichiatrica, dice: ‘no, non ci interessa, non possiamo farla’, addirittura. Ma come no? Ma come no! Lo scopo della perizia su Lotti lo dicono i quesiti e il primo è: “Se è impotente”. Eh, va be’, perché? Perché i delitti hanno questa componente patologica psicosessuale, in cui si intravede prima di tutto una situazione di, come dire, di distacco, di freddezza, quello che vi ho descritto. Assenza di sperma, le persone tagliate, spogliate… Le donne spogliate a punta di coltello. E tutto il resto. Quindi, da questo punto di vista qui, abbiamo a che fare con una persona il cui impulso sessuale è men che mediocre, da questo punto di vista. E che proprio per questa ragione – perché mediocre dal punto di vista di normalità, di rapporto sessuale normale – e proprio per questa ragione, sublima, trasferisce sadicamente in quei comportamenti perversi che noi sappiamo. E poi il Pubblico Ministero, al secondo quesito che pone ai signori Lagazzi e Fornari, chiede la causa di questa impotenza. Eh, vuol dire approfondire tutto questo. E poi, alla fine, perché non ci siano dubbi, il terzo quesito recita testualmente: “Quale ruolo la stessa” – vale a dire impotenza -“abbia esercitato nella dinamica dei reati, per cui il medesimo è indagato.” Secondo me, questo è un quesito mal posto, tautologico come di più non potrebbe essere-, però corrispondente analogico rispetto a quella indagine che questo difensore di Vanni vi ha chiesto di fare su Vanni. Valutiamo se anche questo signore aveva, ha delle tare di carattere psicosessuale. Il Pubblico Ministero dice: ‘no, a me non mi interessa, non l’ho voluta fare la consulenza su Vanni, son fatti miei’. No, fatti suoi entro certi limiti, perché quando si imposta un’accusa si imposta da tutti i punti di vista. Voglio dire, gli imputati sono due, se si fa un accertamento su uno, va fatto anche sull’altro. Poi, il difensore, qui, aprendo una polemica con l’altro difensore, chiede la perizia – come è previsto dal Codice, in questo senso – e c’è l’opposizione del Pubblico Ministero, opposizione delle parti civili, la ordinanza della Corte che respinge l’istanza. E l’obiezione che ho sentito fare dal Pubblico Ministero, rispetto a questa iniziativa del difensore, dice: perché non l’ha fatta il difensore la consulenza, non l’ha fatta fare il difensore la consulenza? E glielo dico subito perché. La ragione si chiama in francese, “faute d’argent”, va bene? Mancanza di danaro, son cose che costano. E quest’uomo un po’ di soldi da parte ce l’aveva, ma l’iniziativa di una parte civile glieli ha bloccati tutti o quasi. La seconda ragione voi la conoscete: il contrasto fra i difensori. Io sono tornato il 30 settembre e ho trovato un Vanni cambiato rispetto al primo. L’avevo già visto molto male prima, ci ragionavo malissimo prima, non riuscivo proprio a ricavarne niente dai colloqui che avevo con lui in carcere. Quando l’ho ritrovato il 30 settembre l’ho trovato diverso, proprio, ridotto una larva. Proprio non c’era verso… ma ancora oggi; forse da quando è tornato a casa, dopo… insomma, che ha avuto quel colpo, poi ha ripreso un po’. Ora, stamattina si è sentito male, tutta la notte, che non respirava e tutto il resto. Insomma, questo poveromo, proprio è ridotto male. E vi dirò… vi dirò che quando che quando avevo ricevuto quel telegramma suo, questa richiesta di ritornare, sono andato a trovarlo a Prato con l’intenzione di dirgli che non accettavo. Che non accettavo. Lui il suo difensore l’aveva e fine del discorso. M’ha fatto una tale compassione che ho detto: va bene, sia, allora torno. Sperando, fra l’altro, di affiancarmi con il collega, perché questa è una delle ragioni – l’assenza del collega – per cui io parlo del processo nel senso in cui sto parlando ora, sennò io non avrei parlato in quel senso di etti sto parlando in questo momento. E l’unica cosa che lui ha continuato a dire, beh, da questo punto di vista: ‘no, no, io non sono matto, io sono innocente e basta’. Beh, insomma, voglio dire, capito? E c’è anche questa ragione per cui questa consulenza la parte difesa Vanni non l’ha fatta. Però la Corte poteva disporla. Scusate, io devo insistere da questo punto di vista. Lo poteva disporre il Pubblico Ministero, il quale investiga per l’accertamento della verità, sia pure dalla sua angolazione, senza contare l’articolo 358 del Codice di procedura penale che gli impone di investigare anche nella direzione della difesa dell’imputato. Oppure deve aver ragione il professor Voena quando dice che qui si deve discutere solamente delle ipotesi accusatorie e basta. No, insomma, le ipotesi accusatorie sono le ipotesi accusatorie, poi ci son tante altre cose di cui si deve occupare un processo e una, evidentemente, è questa di cui vi sto parlando. Lo dico, perché quello che è utile per le indagini intorno alla persona di Lotti non deve servire per Vanni? Non sarà che magari il Pubblico Ministero, l’accusa, tema una smentita? Non varrà per questo quel che diceva, per altri versi, il collega avvocato Mazzeo, citando Manzoni: “aveva paura di non trovarlo reo”? Il quesito, l’impotenza – ovviamente intesa come défaillance anche psicologica, sennò il quesito è privo di senso – quando si dice quale ruolo abbia esercitato nella dinamica, eccetera, che significato ha, se non quello di chiarire, rapportandoli a un imputato determinato, finalmente appreso, finalmente concreto, alcuni nodi, problemi che appartengono alla struttura più intima e più seria di questo processo, quelli che abbiamo visto esaminando le perizie De Fazio e tutto il resto? La straordinarietà della sindrome perversa, la freddezza, l’assenza di sperma, tutto quel che sappiamo e che abbiamo analizzato. E un’analisi psichiatrica forense, che vale per lo spettatore passivo, dal punto di vista del Pubblico Ministero ci sono dieci ragioni in più perché debba valere nei confronti di un imputato che si ipotizza esecutore. Addirittura esecutore di quelle escissioni che sono la caratteristica più evidente di quest’aspetto psicopatologico-sessuale, di cui si diceva. Quindi, signorina Elisabetta, fin da questo momento registra una conclusione di ipotesi di questo difensore, che poi non ne parlerà più. La conclusione d’ipotesi è in ogni caso: perizia psichiatrica nei confronti di Mario Vanni. Dicevo che la Corte ha disatteso questa istanza a suo tempo. Io spero, sulla base di una convinzione, circa la superfluità di una indagine di questa natura, superfluità a favore dell’imputato. Perché altrimenti, eh, altrimenti ci sarebbe stata, a mio avviso, una grave violazione del diritto di difesa del. signor Vanni e diritto di difesa che riguarda il diritto di difendersi provando. Ed è una situazione che, al limite, questa Corte, partendo da una… non so come, vero, eventuale convinzione sfavorevole al signor Mario Vanni, deve rimediare con urgenza, perché Vanni ha diritto di vedere affermato o negato un ruolo nei delitti e nella loro dinamica, un ruolo dei suoi vissuti psicologici, se patologici o meno, delle sue eventuali défaillance sessuali, del suo rapporto psicologico con le donne. Ha diritto, da questo punto di vista, ad una anamnesi, a una diagnosi in questo senso, e se questa analisi sinora non è stata fatta, si dovrà fare. Voi ricorderete che un’analisi di questo genere non venne fatta neppure per Pacciani, a suo tempo, e questo ha rappresentato una gravissima lacuna all’interno di quel processo. Quindi, ripeto, registrate questa istanza di perizia psichiatrica. Ed ora torniamo a… anche, perché poi naturalmente, da cosa nasce cosa e i due quesiti ovviamente non sono per niente in contrasto fra di loro, una volta esaminata questa situazione anamnestica del paziente, come io ho definito, e valutata la corrispondenza o meno con i delitti, da questo poi nasce, evidentemente, l’altro quesito circa la capacità di intendere e di volere esistente o largamente sminuita nel momento in cui i fatti sono stati commessi. Che non è una cosa che mi sto inventando io ora, perché in altri processi ha avuto. . . con riferimento a situazioni riguardanti serial-killer, persone che agiscono in questo modo – cioè a dire, ritualmente, con delitti ripetuti, partendo da una sindrome di tipo psicopatologico – questa perizia si è sempre fatta. L’ultimo episodio, se non sbaglio, riguarda lo Schiatti, in cui, fra l’altro, alla fine è stata riconosciuta la diminuente. E per l’appunto, sulla base di una perizia fatta, se non sbaglio, dal professor Fornari – che è la prima perizia – che lui diceva: no., questo è totalmente capace di intendere e di volere. Poi la cosa è stata rivista successivamente, è stata fatta un’altra perizia e allora alla fine, poi, questo signore ha avuto questa diminuente. Allora, torniamo al Lotti e torniamo alla relazione e alle osservazioni dibattimentali del professor Fornari e Lagazzi. Sinteticamente: Lotti è una persona che si nasconde. E questo è un fatto, direbbero i miei contraddittori. Su questo mascheramento costante di Lotti i periti Fornari e Lagazzi usano una insistenza ripetitiva. A pagina 10 lo definiscono “attento e reticente”; sto parlando del verbale del 30 settembre 1997. A pagina 12 vi chiariscono che elude le domande, che il loro compito era di analisi dei vissuti di Lotti e loro dicono: “Tutto quello che anche indirettamente poteva portare nuove discussioni su questi argomenti lui lo troncava.” Domanda, e confutazione di una possibile obiezione del Pubblico Ministero: voleva nascondere la omosessualità? No, perché a pagina 17, gli stessi periti vi avvertono, gli stessi consulenti vi avvertono che il Lotti fornisce spontaneamente informazioni relativamente alle difficoltà con l’altro sesso. A pagina 19 e 20 vi dice: “Finge, si atteggia a molto mite, molto dolce, molto tranquillo, ma quando gli dicono che il signor Pacciani gli faceva certe accuse è alterato.11 Beh, questa affermazione che loro rivolgono, questa notizia, questa informazione che loro rivolgono al Lotti, dicendo che il signor Pacciani gli faceva certe accuse è sbagliata. E manifesta una mediocre conoscenza degli atti del processo, che non sono stati forniti a questi consulenti, perché gli è stata fornita soltanto la perizia… scusate, gli è stata fornita soltanto la sentenza di I Grado. Comunque loro questa osservazione gliela fanno e lui reagisce dicendo: “Se Pacciani sarà condannato, verranno fatti fuori altri nomi.” Che vuol dire? Vuol dire che evidentemente, a sentir lui, lui sa altre cose che non ha detto. Altri nomi, diversi nomi. A pagina 21, i periti, che non conoscono il processo, dicono al Lotti che Pacciani gli ha rivolto delle accuse rispetto a queste vicende. E Lotti scatta con una reazione diversa dalla mitezza, mitezza che a questo punto ai consulenti appare un atteggiamento: “Ha preso fuoco” – dicono a pagina 22 – “Prende fuoco”. E dice: “Se lui” – vale a dire Pacciani – “alza il tiro, lo alzo io e so bene come alzare il tiro.” Questo riferiscono i consulenti a pagina 22. E dicono anche: “Voce molto concitata, molto assertiva, molto dura.” Poi vi descrivono, in termini anche molto immediati e gradevoli da seguire – perché il professor Fornari è uno che si sa esprimere, voglio dire, sa usare anche la lingua molto bene – l’immagine del mentitore, del bugiardo, di colui che finge e che si maschera. E ve la mostrano, questa angolazione del mentitore e del bugiardo; prima ve l’hanno mostrata sotto il profilo di questa reazione rispetto al Pacciani che potrebbe alzare il tiro su di lui; in che senso? Evidentemente modificandone il ruolo, no? In che senso si inalbera e diventa duro, aggressivo, assertivo, il signor Lotti, quando i periti – sbagliando, perché non è vero – gli dicono: ‘.guarda, Pacciani ti accusa’. ‘Ti accusa più di quello, naturalmente, ti accusa più di quanto tu non ti sia accusato, affidandoti quindi un ruolo diverso rispetto a quello che tu artificialmente ti sei creato’. E allora, è allora che Pacciani scatta, dice: ah, beh, allora, se fa così, ci penso io… che Lotti scatta, scusate: ‘allora, se Pacciani fa così, ci penso io’. Quindi, questa è un’angolazione, è un aspetto, una ragione per la quale il signor Lotti si maschera, il signor Lotti – a parere, a giudizio di questi consulenti – il signor Lotti ha questo atteggiamento di gravissima ambiguità. Ma ce n’è un’altra che per certi versi è anche più grave e quest’altra è la convenienza. La convenienza che viene dai periti descritta sotto questo profilo, nelle loro osservazioni fatte a questo dibattimento, a pagina 23 delle loro spiegazioni, approfondimenti svolti al dibattimento, all’udienza del… dunque, qui non c’è udienza, è l’udienza del 30 settembre del 1997 e si tratta del fascicolo numero 28 ed è la pagina 23. “Se non dicevo nulla” – riferiscono i periti – “io le vorrei leggere”, gli dice il Pubblico Ministero, è il Pubblico Ministero che legge in questo momento delle frasi che sono riportate nella relazione. “Se non dicevo nulla” – legge il Pubblico Ministero – “ero bell’e che dentro. Ma mi hanno messo davanti a dei contrasti, io ho dovuto ammettere qualcosa” – qualcosa, non tutto, qualcosa – “altrimenti me ne sarei andato in carcere.” Ora io, quando sottolineo questo “qualcosa”, dico, a me, come dice una vecchia barzelletta, la voce mi muore nella strozza, perché non sono punto convinto. Però ho detto che qui è il terzo difensore di Vanni che parla, non l’avvocato Nino Filastò, ricordatevelo sempre, eh, per piacere, non mi fate fa’ questa brutta figura a me, di pensare che ora io stia a…. È il terzo difensore che sta parlando. “Qualcosa”. Dice… E qui il Pubblico Ministero fornisce lui la sua interpretazione di questa frase ripetuta, proprio così, ripetuta dai periti, dice: “Cioè, è quello che stava spiegando lei, cioè una volta messo con le spalle al muro.” Il consulente Fornari dice: “Sì, lui ci ha fatto capire molto bene che la situazione così gli andava bene, insomma. Lui era un privilegiato.” E chiariscono molto meglio dopo in che senso. Stanno descrivendo, capite, il punto di vista, le osservazioni che stanno facendo questi periti, esprime un punto di vista che è quello del Lotti, che loro cercano in questo modo di indicare. “Sì, sì, lo ha fatto capire chiaramente che aveva capito benissimo: portato avanti e indietro, protetto, coccolato, ben servito, ben seguito da noi stessi anche. Insomma, voglio dire” -insistono – “non c’era… non ci voleva molto per capire che era una situazione in cui lui si trovava perché aveva detto alcune cose.” Quindi, il Pubblico Ministero che vorrebbe, che preferirebbe, che gradirebbe che questi consulenti gli rispondessero: “sì, effettivamente, lui ha detto alcune cose perché è stato messo con le spalle al muro”, riceve una risposta totalmente diversa: ‘no, lui ha detto alcune cose perché gli è convenuto’. E anzi, addirittura, in questa situazione questa persona ci si trova bene, si sente privilegiato, forse per la prima volta nella sua vita. Perché voi dovete, tutto questo, metterlo a paragone con quello che è stata e che è la vita di Lotti, che nelle sue dichiarazioni qui al dibattimento è comparsa, vero: senza casa, senza affetti, con la sorella che lo respinge. Proprio una foglia al vento, una specie di uomo, proprio, completamente ai margini, alla fine… Il Comune che non gli dà la casa, diceva: ‘no, la danno agli extracomunitari’, vi ricordate? Si è arrabbiato con gli extracomunitari: ‘a me no’. Il lavoro alla draga – terribile, vero, lavoro orrendo, eh, intendiamoci bene – la draga estrattiva, di inerti, quindi polvere, baccano tutto il giorno. Questa vita familiare pregressa con una madre morta al manicomio di Volterra. La persona è questa e, per la prima volta nella sua vita… Insistono i professori: “Ma ci ha fatto capire che ‘ lui avrebbe potuto dire ben altre cose.” “Ci ha fatto capire che avrebbe potuto dire ben altre cose.” E chiarisce meglio il professor Fornari, a pagina 24 di questo stesso verbale, proprio un momento, un attimo successivo. Fornari: “Cioè, come dire: io ho la mia riserva, no, cioè, le tengo.” Le tengo riservate certe cose, volevano dire loro, voleva continuare il professor Fornari, e il Pubblico Ministero si accorge che la cosa sta prendendo una brutta piega e interviene subito e dice: “Mi sono state fatte delle contestazioni e l’ho dovuto ammettere.” Suggerendo questo ai consulenti. Peccato questo intervento, per dire la verità, è un po’ da cavolo a merenda, ma che… perché il professor Fornari non si smonta, eh, mica… è un professionista serio, ha scritto libri sull”argomento. E va avanti e prosegue traducendo in questo modo l’atteggiamento di Lotti, non sotto il profilo del “mi sono state fatte delle contestazioni e io ho dovuto ammettere”. No. “E questo mi è stato ripagato.” Dice il professor Fornari.. “Il premio è che non sono in galera.” Secco, no? Abbastanza netto, eh. “E se le cose cambiano, cambio anch’io. Io sono uno che sa regolarsi” – continua il professor Fornari ad analizzare e a tradurre questo atteggiamento di Lotti: ‘io sono uno se le cose cambiano, cambio anch’io. Io sono uno che sa regolarsi e sa giocare’.” “Giocare”. Siamo a pagina 24 di quel verbale del dibattimento. E sarà meglio, vero. “Se alzano il tiro e finisco in galera – non so l’ipotesi che fa, non lo ha detto esplicitamente, ma era chiaro che con l’occhio clinico, questo, che lui diceva: io sono uno che sa regolarsi e sa giocare.” Qui il Pubblico Ministero intendeva, dice: sa capire. No, questo ha detto giocare. Pardon, c’è una bella differenza fra capire e giocare, ci corre un treno, no? “Ho le carte in…” sta per dire il professor Fornari e il Pubblico Ministero lo interrompe e dice: “Completamente cosciente di quello che…” “Ah, perfettamente cosciente.” – Dice il professor Fornari – “E ha condotto lui il colloquio, sempre lo ha condotto lui.” E qui il Pubblico Ministero dice: “È quello che sostiene il Pubblico Ministero sempre.” Non mi pare proprio, non mi sembra assolutamente, non ci siamo. Il professor Fornari non sta dicendo che il signor Lotti è consapevole, sta dicendo che gioca con la legge e con i suoi rappresentanti. E la domanda che fa questo difensore in questo momento è questa: voi, per caso, non vi siete lasciati giocare anche voi? Prosegue il professore: “Ci ha dato quello che ha voluto darci con estrema abilità.” E insiste, a pagina 27: “Sa benissimo” -attenzione adesso, perché è molto importante; pagina 27 – “Sa benissimo come si gioca con le persone che lo accompagnano, con i periti quando si è nella stanza e si fanno gli esami, quando si è fuori della stanza e si fanno le quattro chiacchiere.” Ecco, voi avete in questa breve frase del professor Fornari tutto il panorama di tutto quello che può essere avvenuto non solo durante gli esami del professor Fornari e Laqazzi, ma anche durante gli interrogatori, durante i sopralluoghi, durante le gite che si facevano per andare nei posti, per andare al ristorante, ai ristoranti che sceglieva lui. Questo lo trovate nella relazione. È tutto contento, si sente privilegiato da questo punto di vista qui e ci tiene a sottolineare che lui si sceglie il ristorante. Dice: ‘ma portatemi qua’; e vanno là a mangiare. E qui il Pubblico Ministero, che durante questo esame cambia discorso, evidentemente, perché non gli piace molto. E qui le persone che lo accompagnano, tutti questi pourparler qui vengono fuori… Voi non potete mica avere, anche sulla base di queste constatazioni fatte da questi periti, l’immagine oleografica del Lotti che viene, come dire, preso con le pinze, portato nella stanza, nell’ufficio dove c’è il Pubblico Ministero, dove c’è il difensore e tutti, e che parla così in punta di eloquio, come appare in una interrogatorio in cui sembrano professori universitari a leggere quell’interrogatorio. Poi lo abbiamo sentito come parla. E senza che nessuno interferisca, che nessuno gli dica nulla? E’ una cosa assolutamente oleografica, Signori, proprio una cosa assolutamente oleografica e so che non è affatto così, lo so per esperienza personale. Mi son trovato una volta a una cosa di questo genere, durante il sequestro Ester Anne Ricca, io difendevo un ragazzotto che aveva deciso di parlare, gli trovarono una stanza… c’era il dottor Fleury, c’era questo ragazzotto che parlava e c’erano altre cinque, sei persone. Chi gli diceva una cosa, chi gli diceva un’altra e chi interveniva, e insomma, questa cosa così. E io, insomma, io insistevo, ma insomma… I meccanismi son questi, quando un’indagine è concitata. Quando un’indagine è concitata. Quando c’è la necessità, l’urgenza di trovare dei risultati. E li, in quel caso là, per esempio, c’erano, perché si doveva cercare di provare a tirare fuori quella ragazza dalla prigione in cui si trovava. Più che normale, più che comprensibile, più che umanamente comprensibile, ma per carità di Dio, siamo uomini, non siamo mica delle macchine. Ma lasciamo perdere le osservazioni personale di questo difensore, queste sono osservazioni fatte dai periti, che lui sa benissimo “come si gioca” -capite? – “come si gioca con le persone che lo accompagnano, con i periti quando si è nella stanza e si fanno gli esami, quando si è fuori della stanza e si fanno le quattro chiacchiere” e tutto il resto. Va be ‘, il Pubblico Ministero a questo punto chiede : “Ma sentano…” Guardate che questo esame l’ha condotto il Pubblico Ministero mica la difesa, eh, l’esame dei periti Fornari e Lagazzi l’ha condotto il Pubblico Ministero, la difesa a un certo punto è intervenuta alla fine a dire: senta, professor Fornari, io so che lei è un esperto di questi delitti, è un esperto dei serial-killer, ha scritto… gli ho detto, ho letto con piacere un suo libro, e invece non mi ero ricordato che ne ha scritti due, e che li avevo letti tutti e due, li avevo letti, ho ritrovato quell’altro nella mia libreria. Dico: ‘le risulta il gruppo?’ No, no, poi lo vedremo meglio, penso proprio di no, assolutamente. Per affrontare il tema degli “amici di merende”. Comunque, si cambia argomento. E si entra in quello che è il ruolo che si è assunto all’interno di questi avvenimenti che lui confessa, che il signor Lotti confessa; vale a dire quello della passività. E Fornari si esprime con un ampio, notevole livello di dubbio su questa passività. E si esprime in questo modo, proprio sottolineando quell’episodio di cui ho parlato prima, quello in cui gli è stato contestato che Pacciani lo accusava, inesattamente. Questa contestazione era frutto di un errore di valutazione, di un errore di informazione da parte del professor Fornari. ‘Pacciani stia attento a quello che fa. Alzo il tiro anch’io e lo sistemo per le feste’, con grinta. Ora io, però-, volevo fare un momentino un inciso, con riferimento proprio a questo tenersi, da parte – secondo quelle che sono le osservazioni dei periti, dei consulenti, scusate – questo tenersi, da parte di Lotti, questa riserva. E l’osservazione è questa, è la domanda che loro certamente si porranno: alla data in cui questo signore parla con questi consulenti tecnici, sul piano delle cose che Lotti ha detto, delle sue affermazioni, delle sue ricostruzioni dei fatti, che cosa si è tenuto in serbo? Risposta: nulla. Perché uno potrebbe immaginarsi che, nel momento in cui parla con questi signori, il Lotti sappia ancora delle cose che non ha detto e quindi di qui la riserva. Riserva rispetto alla quale, poi, l’attività indagatoria del Pubblico Ministero, degli altri inquirenti, tirandoglielo fuori con le pinze, viene fuori il resto. No, siamo alla data del 15 luglio del 19 9 6 e Lotti ha già detto tutto, salvo la storia del rapporto omosessuale col Butini e/o col Pacciani. Che è quella storia, beh, insomma, che ha il significato che ha. Insomma, voglio dire, in che modo questa storia lui dovrebbe tenerla di riserva? Per fare che? Guardate, eh: il 15 dicembre del ’95, brevemente. Lui parla della lettera di Pacciani a Vanni. Lotti parla degli incontri con Pacciani e Vanni, delle bevute, delle merende, eccetera. Parla della presenza di un fucile in casa di Pacciani. Dice che una volta con Vanni è stato dalla Gabriella Ghiribelli. In data 11 febbraio 1996: parla della auto che lui ha posseduto. Gli vengono contestate le dichiarazioni di Pucci, in questa data, 11 febbraio del ’96, gli vengono contestate le dichiarazioni di Pucci e lui dice: ‘due persone ci hanno mandato via’. Agli Scopeti. Ha raccontato: ‘queste due persone ci hanno minacciato e ci hanno mandato via’. Il 13, due giorni dopo, racconta quasi tutto quello che poi racconterà dopo, più diffusamente, sugli Scopeti: il taglio della tenda, cose, eccetera. Il 17 febbraio parla della Filippa Nicoletti, dei suoi rapporti con la Filippa Nicoletti. Il 21 febbraio parla della ricognizione sulla piazzola, precedente. Ancora della lettera di Pacciani a Vanni. Il 6 marzo del ’96, ancora la piazzola di Vicchio, l’omicidio di Vicchio, la lettera di Pacciani a Vanni. Poi l’11 marzo del ’96, parla di Vicchio e degli Scopeti. Il 12 marzo del ’96 parla della lettera di Pacciani, ancora, a Vanni. Questo è un “leitmotiv”, se ne parla sempre di questa lettera. Va bene… insomma, va be’, lasciamo fare. Lettera di Pacciani a Vanni. Il 23 marzo del ’96 parla di Vicchio. Il 26 aprile del ’96 ancora Vicchio, Baccaiano, Giogoli e Scopeti. Il 12 giugno del ’96 parla di Calenzano, Scopeti, Giogoli, Baccaiano. Su Scandicci non sa nulla. Questo del 12 giugno ’96 – poi ne parleremo dopo – contiene l’unico accenno al delitto di Scandicci, in tutto il processo. Il 15 luglio del ’96 parla dei tedeschi, di Giogoli e di Francesco Vinci. Ha detto tutto, no? Ha detto tutto. Non ha detto che si è incontrato col Butini. Che poi non è vero, voi sapete che questa storia proprio non è vera. Non ha detto che Pacciani, una volta… Per cui sarebbe questa la riserva ‘per cui alzo il tiro e poi…’? Perché gioca? Perché si nasconde? E poi non è questo che osservano i periti. Osservano, rilevano un altro atteggiamento. Perché siamo qui a parlare della passività o meno, e quindi siamo ad approfondire quel tema riflesso dai primi quesiti rivolti dal Pubblico Ministero ai consulenti. Il tema riguarda una affinità esistente oppure no, da parte della psicologia, della psiche di Lotti, rispetto ai delitti delle coppie. Eh, beh, qui, da questo punto di vista intanto i periti rilevano l’impotenza – poi relativa -rappresentata dalle difficoltà di erezione, dalla mancanza di orgasmo, che è accentuato, tutto questo, dall’uso dell’alcool, dall’abuso dell’alcool, come tutti sappiamo e questo lo dicono a pagina 5. Rilevano degli aspetti di carattere perverso e poi rilevano un complesso di inferiorità a tutti i livelli: intellettivo, relazionale ed economico. Vale a dire super-illustrato. E qui, per un attimo, cessa il terzo difensore di Vanni, ritorna l’avvocato Filastò e vi dice: attenzione, perché questo proprio non torna con… 

(voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Eh? 

(voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Proprio non torna con i delitti del serial-killer della provincia di Firenze. E pensate alla sfida, pensate al senso di onnipotenza, pensate alla lettera alla dottoressa Della Monica. La domanda, però, era: come questi disturbi sessuali entrano nella dinamica? E Fornari, a pagina 6 del verbale del 30 settembre del ’96 dice: “Non solo e non tanto come passivo spettatore ed esecutore marginale, ma anche, in modo più sottile, un attento e sicuramente servizievole collaboratore, gratificato dal proprio ruolo e stimolato da quanto osservava in quelle occasioni.” E lui invece come si propone? Secondo questi due studiosi, Lotti un po’, molto genericamente – è ritornato il terzo difensore, eh, scusate questa altalena – insomma, genericamente: “Con quel quadro psicologico che si faceva insieme agli altri periti, beh, ci potrebbe anche essere. Ma passivo, semplice spettatore succube dei veri autori no”. Secondo i consulenti del P.M. questa è un’immagine falsa che Lotti accredita a se stesso. Perché dicono le forti istanze di carattere perverso – aperte virgolette “fanno parte della sua personalità, delle sue scelte e della sua stessa interazione con l’esterno”, tutto questo è a pagina 9… pagina 6 . E sono queste le conclusioni depositate della consulenza che viene proposta al Pubblico Ministero il 20 novembre del 1996. E da questo punto di vista è la stessa relazione, in modo molto più dettagliato, al dibattimento, udienza 30 settembre del 1997, ecco, si dice, a pagina 10. Intanto si dice che sul punto, vale a dire su questi cioè vissuti, questo signore eludeva le domande. “Rispondeva in modo palesemente e volutamente evasivo alle domande che gli facevamo. In altri momenti riferiva elementi che facevano parte soprattutto della sua storia personale, ma direi più della sua storia somatica”. Che significa? lo spiegheranno meglio al dibatti… lo spiegheranno meglio dopo, che lui a un certo punto cominciava a lamentarsi dei suoi mali: “mi dole qui, mi dole là, mi fa male l’ha schiena”. Come ha fatto anche qui, no? E precisano ancora meglio, a pagina 10: “Talvolta eludeva le domande stesse, oppure si limitava a ribadire che su determinati a ribadire che su determinati argomenti non ha nulla di più da dire.” Ancora, a pagina 11: “L’atteggiamento, cioè” – dice il professor Lagazzi, Lagazzi, non Fornari – “è l’atteggiamento di una persona molto attenta a quello che diceva, molto attenta a quello che non diceva, come se qualcosa lo volesse dire esplicitamente.” Dice il professor Lagazzi: “Lo ha detto esplicitamente. Lo ha detto esplicitamente” – dice – “nel senso che, il nostro compito non era investigativo, ma era l’analisi dei suoi vissuti. Tutto quello che anche indirettamente poteva in qualche modo portare nuove discussioni su questi argomenti lui lo troncava.” E come al solito, prendetene atto, sto facendo un’analisi citando testualmente – fra virgolette -le parole dei consulenti, di mio ci metto quasi nulla, anche perché faccio l’avvocato non faccio lo psichiatra. A pagina 13 rilevano, i consulenti, un aspetto di carattere voyeuristico e poi dicono: “… un suo atteggiamento globale che ci ha lasciato comprendere come vi fosse incoerenza tra la sua realtà clinica e la realtà che lui ci voleva riferire.” Incoerenza, discrasia: da una parte quel che lui ci vuol fare intendere e dall’altra quel che è la sua realtà. Un infingimento, una mascheratura.. . “Che non riguarda quindi, come può darsi che vi venga detto, la tendenza omosessuale, non si sa se praticata o meno, ma proprio gli aspetti psicologici che potrebbero essere affini, sia pure alla lontana, alle circostanze dei delitti.” E sta qui l’incoerenza. Sta qui il troncare i discorsi su certi atteggiamenti, su certi vissuti. E quando, a pagina 25, il professor Fornari dice: “Ci ha dato quello che ha voluto darci con estrema abilità. Lui sa benissimo regolarsi nei confronti dell’esistenza della vita. E’ un astuto” – un furbastro direi io – “sa benissimo come si gioca con le persone…” L’abbiamo già visto, eccetera. A pagina 28, questi periti – sto parlando del verbale del dibattimento del 30 settembre del ’97 – questi periti, in particolare il professor Lagazzi, dicono: “Nei colloqui ‘ abbiamo anche cercato di sondare comunque questa immagine” – termine usato da loro: immagine, non realtà, immagine – “di soggetto costantemente impaurito, passivo, che lui dava di sé. ” E questo sondaggio loro lo hanno fatto valutando la persona reale, vista attraverso l’aspetto dell’empatia nei confronti delle vittime. Scusate, non voglio ovviamente fare la lezione a nessuno, è solo per scrupolo. Il termine “empatia”, che sul Devoto-Oli non c’è, ed è un termine dotto e di uso poco comune, seguendo il grande dizionario della lingua italiana del Battaglia, che disgraziatamente è arrivato fino alla voce “sic” e mi ha impedito così di consultare, lì, in quella sede il termine “sorbo”, però empatia c’era, e la definizione è questa: “Fenomeno per il quale il soggetto tende a proiettare se stesso nella struttura osservata” – che in questo caso erano le vittime. In questo caso nella struttura osservata gli si impone di osservare le vittime – “e a identificarsi con un altro essere vivente, o no, in una sorta di comunione affettiva.” Ecco, è un fenomeno di questo genere, che è, per certi versi, come diceva un vecchio guardiano di una torre di San Gimignano che ci vide arrivare una volta noi studenti, matricole, tutti in banda, con le ragazze, su per questa scala, ci si spingeva, si urlava, si faceva tutte le cose che fanno i ragazzi a quell’epoca, però si era un po’ più educati di quelli di ora… comunque, lasciamo perdere. Questo guardiano ci vide salire su in questa maniera e ci disse: ‘l’educazione, ragazzi, l’è come il solletico, c’è chi la cura e chi non la cura’. E anche l’empatia c’è chi la cura e chi non la cura. E questo signore non la cura affatto. Per farvi un esempio di questa empatia, io, a un certo punto, per prepararmi all’esame dei periti medico-legali a suo tempo ho studiato a lungo tutti quei fascicoli fotografici, di rapporti, di relazioni, che riguardano quei delitti orrendi. E dopo ore di studio – perché come ho studiato in questo processo non ho mai studiato niente in vita mia – mi ricordo che la sera, quando si va a cena, spetta a me il compito di tagliare il pane. Piglio il coltello, comincio per tagliare il pane e avverto un sentimento di fastidio, questo coltello in mano mi pesava. Dico: ma che è? Ecco, è un fenomeno di empatia, per fare un esempio soggettivo. E che dicono? Gli chiedono, pagina 28, professor Lagazzi… loro constatano che questo signore, di fatto, sapeva in anticipo il possibile verificarsi di determinati eventi e naturalmente gli chiedono: ‘e come mai lei ci andava?’ Pagina 29: “Aveva paura di Pacciani, però” – dice Lagazzi – “nello stesso tempo abbiamo colto un altro aspetto, una totale, questo ci ha sinceramente colpito, assenza di empatia nei confronti delle vittime. E questo” – aggiungono -“nella immagine della persona passiva, timorosa, dipendente, sensibile, che lui voleva dare di sé” – tanto timorosa e sensibile da farsi trascinare dietro, no – “era assolutamente, era del tutto incoerente, non ci stava.” Pagina 29, professor Lagazzi. E qui, capito, il Pubblico Ministero, anche qui, in questo caso, di fronte a questo esame che si svolge in questa maniera, dice, insiste: “Ma perché ci andava? Per via delle minacce?” E il professor Fornari secco – lo trovate a pagina 31 – secco proprio, eh, come il Martini dry: “Anche qui ci ha presentato una personalità che non è la personalità vera, autentica di Lotti.” La storia delle minacce è una storia. Tradotto, vero; da me, non da loro. Quindi totale assenza di empatia con le vittime. E allora, a questo punto, fatemi un momentino ritornare l’avvocato Filastò a chiedervi: e la letterina? E la letterina che voi avete agli atti? Basta guardarla vero, come è arrivata quella lettera. Basta vedere come le parole sono impostate in un certo modo, collegate secondo il suono, secondo il significato. Ma lasciamo perdere questo. Il rimorso collima con l’osservazione di questi tecnici, di gente che persone di questo genere ne ha viste, ne ha esaminate e tutto il resto. Ma che, è un giochetto. Lui gioca con gli inquirenti. E’ da astuto, da persona che si nasconde, che mente, che minimizza se stesso. Che sia farina del suo sacco quella letterina oppure no – io temo di no, il grafologo dice di no – però è certo che il gioco lo conduce lui, anche se magari, in qualche occasione, qualcheduno lo aiuta. “Del tutto incoerente” – dicono i periti, torniamo a loro – all’immagine della persona passiva.” Pagina 29. “vero, coerente è il mascheramento; vera la mancanza di empatia, partecipazione affettiva con le vittime; vera, sicuramente vera la mancanza di rimorso.” Pagina 31. “Lui è talmente ripiegato…” Dicono i periti: “Lui è talmente ripiegato sugli affari suoi, che proprio non ha nessuna emozione.” Il freddo Lotti quindi, il “pazzo morale”, come si diceva una volta. Il “folle morale”, con espressione caduta in desuetudine e, da un punto di vista scientifico, totalmente superata dalla moderna psichiatria; ma che noi in queste aule giudiziarie possiamo rievocare, perché da un punto di vista metaforico, se vogliamo, è molto precisa e ci può servire a capire. L’egotista; l’uomo ripiegato totalmente su se stesso che vede soltanto se stesso e basta. 

Presidente: Prego, avvocato Filastò. 

Avv. Nino Filastò: Grazie, Presidente. Presidente, io avrei una preghiera da rivolgere, che è questa: un due o tre anni fa, un ragazzotto mi è saltato addosso con un motorino, di schiena, mentre camminavo sul marciapiede. Mi ha sbattuto in terra e mi ha provocato una lesione ai legamenti della gamba destra.  

Presidente: Vuole stare a sedere? 

Avv. Nino Filastò: Se me lo consentisse, Presidente… 

Presidente: Oh, può stare… 

Avv. Nino Filastò: …io le sarei gratissimo. Non è… 

Presidente: Non c’è problema. 

Avv. Nino Filastò: Grazie infinite. 

Presidente: Prego. Che vuole che sia! 

Avv. Nino Filastò: Perché proprio cominciavo… 

Presidente: Poteva dirlo prima. 

Avv. Nino Filastò: Perché a stare in piedi cosi, a lungo andare, mi fa piuttosto male. 

Presidente: Poteva dirlo prima. 

Avv. Nino Filastò: Dicevo, Presidente, Signori della Corte, che, insomma, questa scelta fatta dall’ufficio della Procura della Repubblica di trattare in questo modo il signor Lotti e anche di questa commissione che ha esteso a lui – secondo me contravvenendo alle norme che vi sono già state illustrate – che riguardano questo istituto del Regime di Protezione, beh, ha creato una ipoteca grave su questa indagine. Ha creato una ipoteca grave tanto più evidente, proprio, sulla base di queste considerazioni che vengono fatte dai periti e che riguardano questi aspetti, questi mascheramenti che sono evidenti nella posizione del signor Lotti. E dicevo, appunto, se Lotti non ha empatia nei confronti delle vittime, figurarsi se ce l’ha nei confronti di Vanni. Figuriamoci se un personaggio come lui può avvertire il disagio morale di mandare in galera un innocente. Ma questa mancanza di empatia con le altrui persone, il Lotti la dimostra nei confronti di Vanni, ma la dimostra anche, per esempio, nei confronti di Butini. Il quale Butini, lui considera, afferma, essere il “buco”, quando noi abbiamo accertato, attraverso una udienza approfondita, che questo proprio non lo è affatto. Perché, va be’, oltretutto aveva moglie, si è separato, figli e tutto il resto. Nei confronti di Alessandra Bartalesi. Guardate, Signori, che l’atteggiamento di Lotti riguardo a questa povera ragazza è proprio da prendersi con le molle, eh. Insomma, questa ragazza che ha questa disponibilità, questa generosità, che gli nasce da una esperienza dolorosissima per lei, perché è stata a un passo dalla morte, è stata aiutata molto bene da certi medici, da certo personale sanitario. Lei, in quelle poesie che voi… poesie, insomma, con quegli scritti, che hanno formato oggetto di questo suo libro, la maggior parte finiscono con un “grazie”. Grazie alla mamma, grazie al medico, grazie a quello, grazie a quell’altro. Questa ragazza è indifesa, è proprio come fosse, dopo questa morte mancata, è come se fosse una neonata. E, dentro, questa generosità, lei la trasferisce, questa generosità questa volontà di ripagare il mondo, in qualche modo, che l’ha riportata in vita, occupandosi… Vi ricordate quello che ha detto la sua mamma? Che se c’era un vecchietto, lei era lì dal vecchietto ad aiutarlo. E così fa con lo zio, e così fa anche con quest’altra foglia al vento che è il Lotti. E lui cosa fa, questo Lotti? Ci inzuppa il pane in maniera volgare; cerca il contatto sessuale, anche se non gli riesce subito. Non solo, ma alla fine gli chiede i soldi, gli chiede. Gli chiede i soldi. E siccome lei non glieli dà, poi si rivolge a Vanni; e siccome Vanni non glieli dà, lui dice: ‘ah, allora Vanni lo sistemo io’. Lo ha sistemato, eccome, eh. Nei confronti della Filippa Nicoletti, anche. Che è una prostituta, ma che lui usa in modo grave. Nel senso che, a un certo punto, quando la Filippa Nicoletti, il suo convivente prosseneta Salvatore Indovino finisce in galera, eh, cosa fa il Lotti? Il Lotti cerca di inserirsi lui nello stesso luogo. E non c’è niente da fare, è così. Risulta dalla posizione della Nicoletti. Va a vivere con lei nella casa di Faltignano. Poi, addirittura, la ospita lui nella sua casa. Salvo poi, siccome è un vigliacco anche, quando Salvatore Indovino esce, immediatamente buttan fuori la Nicoletti. Nei confronti anche della Gabriella Ghiribelli, da cui va a mangiare molto spesso, a cui procura clienti. É un piccolo, come minimo, favoreggiatore della prostituzione, eh, in questa sua dimensione, il signor Lotti. Nei confronti di Pacciani. Perché anche con Pacciani, insomma, lui ha questo atteggiamento, anche se lo conosce poco. Poi, d’altra parte con Pacciani, per quanto riguarda Pacciani, prendersela con Pacciani nel clima che si è creato intorno a questo personaggio è come sparare sulla Croce Rossa. Da questo punto di vista, quindi, non c’è solo questo aspetto della mancanza di empatia; c’è l’aspetto di quello che i consulenti rilevano – a pagina 6 9 del verbale del 30 settembre del ’98 – rilevano una strategia. Abbiamo parlato di gioco, abbiamo parlato di mascheramento. A questo punto si parla anche di una strategia di Lotti: “Strategia di nascondersi persino” – dicono – “in sede di test.” Guardate, pagina 70. Il protocollo che deriva dai test del Rorschach che lui ha fatto, dice il professor Lagazzi a pagina 70: “Il protocollo è non deficitario, ma orientato nel senso di una limitata collaborazione.” Questo signore ha avuto la percezione che, rispondendo a determinate domande su quelle figure che gli venivano mostrate, poteva in qualche modo scoprirsi. E allora, persino di fronte alle immagini più abusate, quelle più ovvie, si è nascosto mostrando addirittura questo, un aspetto ultradeficitario da un punto di vista intellettivo. Lui, certamente, è deficitario da questo punto di vista; perché, come appunto capita a questi oligofrenici, hanno anche questa… La mancanza di intelligenza, di intelletto, si risolve anche in una mancanza di senso morale. Ma lui si nasconde anche lì, nasconde se stesso, i propri vissuti, come abbiamo visto. Quindi è intrinsecamente inattendibile. Certificato come tale, da quella perizia. La sua intrinseca inattendibilità deriva dalla lettura attenta di quella relazione e di quelle osservazioni fatte dai consulenti del Pubblico Ministero. E tutto questo, all’interno di una strategia – non perché sia un mitomane – di un gioco di scacchi in cui dall’altro lato del tavolo ci sono gli inquirenti e la prospettiva di Sollicciano. Perché la posta è la galera, lo ha detto lui, in un modo o in un altro: “Galera, se non dicevo qualcosa.” E qui, fin qui l’avvocato Filastò, il quale vi dice: Signori, qui, vista la persona, sulla base anche della giurisprudenza che riguarda il valore probatorio della confessione, il valore probatorio della chiamata di correo, qui siamo su un terreno che più minato di così, non si può. E richiamandomi a quelle osservazioni fatte dal collega che vi ha citato quella sentenza Sezioni Unite che riguarda il caso Sofri. Ma, insomma, lì la prima valutazione sulla intrinseca attendibilità di questa fonte di informazione, la prognosi è assolutamente sfavorevole, la diagnosi è ultranegativa, certificata come tale da questi consulenti. E quindi… Beh, insonnia, qui non siamo di fronte al Marino, il quale, tutto sommato, una sua attendibilità di persona ce l’aveva, insomma. Voglio dire, non era proprio uno che vendeva le salsicce. Ma, insomma, era una persona con un minimo di dignità: morale… É una persona, credo, insomma, per lo meno da giudicare quelli che sono… Qui siamo proprio di fronte ad una persona che voi potete tranquillamente – finalmente lo uso anch’io questo termine della tranquillità tranquillamente definito inattendibile intrinsecamente. Quindi: galera se non dice qualcosa, dice l’avvocato Filastò. Il terzo difensore vi avrebbe detto, forse, non lo so esattamente – ma insomma, comunque è una possibilità che io devo affrontare, sennò non farei il mio dovere – il terzo difensore vi dice che finge, che si maschera, elude le domande. Perché, io dico… io dico: avvocato Filastò, un difensore di Vanni, per non trovarsi a far la fine di Pacciani o di Vanni, che lui l’ha visto con gli occhi, sospettati fin dall’origine; Vanni è sospettato fin dal momento in cui viene interrogato dal Presidente del processo Pacciani. E dice quello che dice, perché ha capito che dare qualcosa è l’unico modo per non finire dentro. Collaborare, aderire a quello che voglio da lui gli inquirenti – e quello che vogliono lo sappiamo, perché Vanni è già sospettato all’origine – niente di più e niente di meno. E con questo, oltre che a scansare la galera, questo signore modifica questa sua condizione, da cane sciolto, da paria, diventa coccolato, seguito; da persona ai margini del paese a cui il comune non dà la casa, che è costretto a vivere nella Casa Famiglia di don Poli; Casa Famiglia all’interno della quale lui non paga nemmeno quel poco che deve pagare: della luce, dei servizi tanto è, come dire, emarginato, tanto è miserabile. Ha scarrozzato in automobile, di qua e di là, fino a scegliersi i ristoranti. E questo lo dico io. Ma il terzo difensore vi può dire, vi può dare un’altra ragione. Eh, una ragione a questo mascheramento, a questo nascondersi, si deve pur dare. Non tanto una ragione, uno scopo. Le famose quattro “W” del decalogo degli inglesi: “Why” – perché? – l’ultima è. Perché Lotti ha un diverso ruolo. In realtà, la realtà effettiva, quella che lui maschera, è un ruolo diverso all’interno di questi delitti. Quale? Mah. Uno, prima ipotesi: ha agito da solo, lui e il serial-killer della provincia di Firenze. Una volta scoperto si è visto nella necessità di minimizzare questo suo ruolo. Ed è allora che aderisce ad una tesi che è quella dei “compagni di merende”. E sostiene la complicità di Pacciani, inserisce Vanni, perché così si adegua alle ipotesi degli inquirenti, captando così la loro benevolenza. E perché contemporaneamente, in questo modo, riesce a sminuire il suo ruolo reale, stemperandolo all’interno del gruppo. E qui potrei citare la giurisprudenza che vi ha citato il collega avvocato Mazzeo sul fatto che questo caso, come minimo la chiamata di correo, diventa il massimo degli elementi di prova infidi. Proprio perché questa chiamata di correo corrisponde ad un preciso interesse; perché questa chiamata di correo corrisponde ad un preciso interesse di chi la fa a sminuire il proprio ruolo, la propria collocazione all’interno dei delitti. La seconda ipotesi potrebbe essere quella che fossero in due, la coppia, tipo Lucas e Toll, questi due feroci assassini di cui abbiamo parlato. Perché fra l’altro abbiam dovuto andare a cercare e ricercare per trovarli nella casistica di fatti analoghi. Almeno con questa ipotesi della coppia, in cui magari l’alter ego potrebbe anche essere Pacciani – non ci credo affatto, come vi ho detto, ma sta parlando il terzo difensore – almeno in questa ipotesi si elimina l’orrendo pasticcio dei “compagni di merende”, che è veramente orrendo, è veramente indigeribile, insopportabile. Ne abbiamo parlato. E insomma, a guardare i consulenti, a vedere questo atteggiamento, a vedere queste indicazioni sulla perversione di Lotti, sulla sua impotenza, beh, insomma, un granello di probabilità di questa ipotesi ci sarebbe. L’altro chi sarebbe, Pacciani? Mah, ne dubito molto. Potrebbe anche essere; ma comunque un terzo con cui Lotti ha un rapporto omosessuale, magari davvero, che lo domina, di cui ha paura, che lo accuserebbe di essere un esecutore più attento se venisse scoperto. Servizievole e collaborativo più di quanto lui non voglia intendere di essere. E quindi ecco la riserva notata dai consulenti; ecco quel suo mantenersi nella manica una certa carta. Siamo sul terreno di una ipotesi a cui io non credo, ma che bisogna che per forza, per dovere professionale, vi affidi. io so solo che all’interno di queste ipotesi che vi ho detto, tutte, eh, compresa quella che io considero vera, cioè a dire, quella che l’avvocato Mazzeo vi definiva a suo tempo… Come dicevi? La sindrome del prigioniero, no? 

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Il dilemma del prigioniero. 

Avv. Nino Filastò: Il dilemma del prigioniero. E quello che noi riteniamo. Come le altre ipotesi che vi ho fatto, io vi posso dire, a questo punto, che da questo punto di vista, per lui la scelta di Vanni su cui scaricare non potrebbe essere più adatta. Voi avete presente il gioco dello schiaffo del soldato? Il gioco dello schiaffo del soldato, chi è che sta sempre sotto, poveraccio? Quello che è il più tonto, il più bloccato, il più rintronato. Quello che non riesce mai a capire chi glielo ha tirato lo schiaffo. E sta sempre sotto lui. Quello che sta lì perché continua a pigliarsi gli schiaffi, perché, insomma, non capisce da che parte viene la botta. Poteva toccare al Nesi, forse. Ma Nesi no; Nesi è uno che si sa difendere; Nesi è uno che… vallo a toccare il Nesi! Poteva toccare al Butini. Poteva toccare al tedesco, amico di Giancarlo, l’Amundsen, che è qui in questo processo anche lui citato. Il tedesco Amundsen. Nome storico, importante. É quello che ha fatto delle scoperte nel Polo Nord, dove? Il Polo Sud. Un grande esploratore. Poteva toccare a Simonetti. E quale, benché morto però il Simonetti bisogna stare attenti, perché comunque è stato un maresciallo dell’Arma, vero. E l’Arma non è che scherzi, quando qualcuno va a toccarla. Poteva toccare a qualcun altro. É toccato al Vanni, perché è più indifeso; perché è 1’ipodotato intellettualmente, perché non si sa esprimere, non si sa difendere, perché è un povero postino, in qualche modo offuscato dall’alcool, dalle arterie indurite, dall’encefalopatia. Ma accidenti, mi riuscisse mai una volta di dirlo per bene! É toccato a “Torsolo”. “Torsolo”, “Torsolo”. Lo chiamavano così: “Torsolo”, “Torsolo”. E poi, per l’appunto, proprio in quei giorni, noi sappiamo che, nei confronti di Vanni c’è anche un certo risentimento. Perché lui ha bussato a soldi e non glieli hanno voluti dare, né la Bartalesi, né Vanni. ‘Ora ci penso io’, ci ha detto Bartalesi. ‘E ora ci penso io’. Non li voleva da lei; ha cercato di averli dal Vanni, non gli è riuscito: ‘ora ci penso io’. Vediamo se questa ipotesi ha dei riscontri. La consulenza dei professori Lagazzi e Fornari, certamente obiettivi non ce ne sono, non c’è nessun riscontro obiettivo, non i due coltelli. Testimoniali? Eh, testimoniali li potreste anche ritenere possibile. Sulla base di quello che ho detto ieri a proposito dei testimoni Chiarappa e De Faveri. E anche sulla base di quel che, ammesso che voi la riteniate attendibile – cosa molto difficile come vedremo fra breve – sulla base della testimonianza della Frigo, che vede una persona sola. Vanni non c’è, non c’è niente da fare; vede due macchine. Diciamo che sono le macchine dei due, va be’, ma insomma, non c’è versi, eh, Vanni non ci sta, non c’è. Ed anche sulla base di quel che dice, alla fine, il signor Pucci, testimone oculare, cosiddetto, vero. Il quale, secondo il Pubblico Ministero, alla fine sarebbe stato stanco. Vi ricordate? Vi ha detto così? Dice: “Eh, Pucci alla fine è stanco.” Ma che stanco, ma che stanco! Il testimone non dice una cosa perché è stanco? Ma vogliamo scherzare! Il Pucci, a pagina… Io volevo, fra l’altro, farvelo vedere questo. Signor Tinnirello, che potrebbe mettere quella cassetta? 

Presidente: Che cassetta? 

Avv. Nino Filastò: La cassetta di questo dibattimento, Presidente. 

P.M.: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: No, no. Ma siccome io… Siccome lo posso fare, me lo consente il Codice di procedura, il quale consente alle parti di usare strumenti tecnici, siccome gli strumenti tecnici qui ci sono… 

P.M.: Il dibattimento lo abbiamo… 

Avv. Nino Filastò: Sì. Ma siccome è passato un po’ di tempo, come lei sa benissimo. Perché questa era l’udienza del 6 ottobre del 1997, se non le dispiace, questo pezzettino… 

P.M.: Io mi oppongo.  Presidente. C’è il verbale. 

Avv. Nino Filastò: Eh, si oppone… E va be’, decida la Corte. Se poi… 

Presidente: Cosa vuol fare lei, avvocato? 

Avv. Nino Filastò: Semplicemente, guardi Presidente, c’è un momento in cui io gli chiedo al signor Pucci: “Però lei, in questa occasione, non l’ha riconosciuto lì, agli Scopeti, ci ha detto.” “No, in quella occasione, no.” Ha detto il Pucci. E poi dopo gli ho richiesto, in un momento successivo: “E chi riconobbe dei due, lei?” Siamo a pagina 8. E lui ha risposto: “A me mi sembrava il Pacciani. Un lo so. ” Attenuando moltissimo quello che aveva detto prima. Quindi, dice: “Anche lei riconobbe solo il Pacciani. è così?” E lui risponde: “Sì.” “Il Vanni, no?” E lui risponde: “No, il Vanni no.” Pagina 8 del verbale del 6 ottobre del ’97. “Vanni non lo ha riconosciuto?” Insisto io. E il Pucci risponde: “No, no.” Questo, dopo aver detto, questo, dopo aver detto: “Noi. un s’andò da questa donna, quella domenica lì.” – Pagina 18 – “Si andò al cinematografo e si tornò tardi e ci si fermò agli Scopeti, capito?” “Non s’eramo andati da quella donna. No, un fu quella sera lì.” “Ah, quella sera non andaste?” Questa è domanda del Presidente. E lui risponde: “No, no.” E qui poi il Pubblico Ministero, sempre a Pucci, chiede : “Senta un po’, sa se da quella Gabriella veniva anche il Vanni?” E il Pucci che risponde: “No, no, luì non c’è mai stato.” Va be’, se ne può fare a meno. Tanto io l’ho letto. Vi volevo… capite? 

Presidente: Sì, sì. 

Avv. Nino Filastò: Poi, se volete, potete vedervelo da voi, vedere come… Perché tante volte, sapete, uno nella concitazione del dibattimento, magari si esprime, la domanda la fa in modo un po’ aggressivo, no, tanto che la persona in gualche modo può sentirsi come coartata a dare una certa risposta. O guardate come gliel’ho chiesto, questo momento in cui… Gli ho detto: “Ma insomma, agli Scopeti, chi riconobbe dei due, lei?” La voce era così, da parte mia: “Chi riconobbe dei due, lei?” E lui risponde: “A me mi sembrava il Pacciani. Un lo so.” Poi gli chiedo: “Quindi anche lei riconobbe solo Il Pacciani. È così?” E lui risponde: “Sì.” “Il Vanni, no?” E lui risponde: “No, Vanni no.” E io gli dico: “Vanni non lo ha riconosciuto?” E lui risponde: “No, no.” E la cosa si è svolta così, pianamente. Io non è che l’abbia… Prima, nella parte precedente del mio controesame, non è che lo abbia, come dire, aggredito. Stavo a sedere, così come sto a sedere ora, facevo le mie domande tranquillamente, in fiorentino più stretto possibile per metterlo a suo agio. Lo potrete rilevare. Usando proprio il più possibile il gergo per tranquillizzarlo. Ecco. Però voi mettete insieme tutte queste cose: la macchina che sta lì cinque ore e mezzo, se è quella del Lotti; la coppia che vi racconta questo, la coppia Chiarappa-De Faveri; la Frigo che vede il guidatore solamente, sia su una macchina che su quell’altra. E poi allora tirate le somme, insomma. Voglio dire, a questo punto io perché sto tanto a affannarmi per Vanni? Avrei potuto dirvi questo e basta, no? E va bene, seguiamo ancora questa falsariga dei cosiddetti “riscontri obiettivi”. E vediamo le macchie di sangue sulle pietre del fiume Sieve. Ma sono di sangue? Questo è un elemento, proprio, che non ha nessun valore assolutamente di nessun riscontro alle dichiarazioni del signor Lotti, per il semplice motivo: per la mancanza di materia prima, cioè a dire per la mancanza del sangue. Mi pare che in dibattimento abbian messo bene in luce queste macchie, ammesso che ci siano, che ci saranno certamente state, insomma, macchie che possono essere di tante cose: di sangue non ce n’è. I pedinamenti fatti alla ragazza uccisa, vale a dire la Pia Pettini (N.d.t. Routini) sono pedinamenti che portano, non sono riscontro di nulla, per il semplice motivo che portano a direzione completamente diversa. E la direzione diversa vi è stata indicata dal teste Bardazzi. Vedete, questi pedinamenti che sono convinto anch’io che ci siano stati, come sempre ci sono stati nei confronti delle varie vittime di questi orrendi delitti, beh, il Bardazzi vi riferisce una circostanza in cui, Bardazzi insieme a Zanetti – forse insieme a qualcun altro – una di quelle persone che ha visto “il mostro di Firenze”. Questa persona è certamente “il mostro di Firenze” che sta seguendo questa coppia. Ed è solo. E questo è autentico ed è vero, è attendibile il teste Bardazzi, perché? Perché questa persona non ferma l’auto davanti alla sua tavola calda, ma la sistema in posizione defilata, in modo che non si veda. Perché questa persona non entra all’interno della tavola calda, ma si siede all’esterno, con quel sole di luglio – siamo alle tre o alle quattro del pomeriggio e passa, per l’orario, lì, non è che possiamo essere, volere spaccare il capello in quattro con Bardazzi, sull’orario. poi, fra l’altro, coincide abbastanza – si siede fuori. E però il suo sguardo è fisso su questa coppia. E quando questa coppia… E lui, la birra che ha ordinato, non la beve, perché è talmente assorto nel guardare questa coppia, e guardare in particolare la ragazza perché lui odia le donne, che lascia la birra lì a scaldarsi. E solo quando vede che i due si sono alzati e stanno andando alla cassa per pagare il conto, è allora che trangugia la birra, si alza anche lui, va pagare e li segue. E anche a Bardazzi glielo abbiamo fatto vedere il signor Vanni, vero? Vanni non era, eh. Gli abbiamo fatto vedere anche le fotografie del signor Vanni, com’era il signor Vanni all’epoca. E ha detto, il Bardazzi: non c’entra niente con questa persona, che è una persona distinta, che ha un’aria inquisitoria, fra l’altro. C’ha un certo atteggiamento. Ora qui non ricordo se lui lo ha detto, ma a suo tempo lo ha detto. Che lo abbia detto al tempo di Pacciani: addirittura ebbe l’impressione che fosse una persona della Polizia, o uno che avesse un mandato di questo genere. E siccome questa cosa io l’ho detta anche troppe volte, bisogna che, a questo punto, l’avvocato Filastò vi faccia la sua ipotesi. Bisogna che ve la faccia, perché non sarebbe onesto che restasse questa voce detta ad alta voce, ieri: ‘è un poliziotto e basta’. Perché è una mia radicata convinzione, in questo senso. E mi preme spiegarvela, cominciando da perché io mi occupo dal 1981, mese di ottobre, del caso del “mostro di Firenze”, non essendo, fino ad un certo momento… per pochissimo tempo, un paio di settimane mi occupai di un sospettato che stette in carcere tre giorni, fra l’altro, venne scarcerato subito dal dottor Tricomi. Ma non è questa la ragione fondamentale per cui mi occupo di questo caso. E vi devo spiegare, questa ragione mi tocca a spiegarcela, anche perché ho sentito il Pubblico Ministero, ho letto il Pubblico Ministero – perché quel giorno non c’ero, ma l’ho letto nella sua… – quando lui ha parlato in replica, rispetto alle prove che avevo richieste. Ma insomma, la replica, che poi, fra l’altro, da un punto di vista processuale mi lascia piuttosto incerto sulla possibilità di far repliche in quella sede. Comunque, la fece. Dice: ‘ma questo avocato Filastò viene un giorno sì e un giorno no, tutti i giorni ‘ – non mi ricordo – in Procura a portarci un “mostro”.’ Non è vero nulla. L’avvocato Filastò, nel 1981, due giorni successivi all’omicidio di Calenzano, si trovò a parlare con una certa persona. E questa persona gli fece un discorso che non gli piacque. Non vi sto a dire che discorso era, non ha mica importanza. Un discorso che mi suonò falso, mi suonò falso. Me ne dimenticai. Passò del tempo, si arrivò ai primi dell’82. All’epoca io mi occupavo dei processi di terrorismo, mi sbattevo di qua e… il terrorismo rosso, ero il difensore ufficiale di Prima Linea. Andai a trovare una ragazza: Rossana Matiussi, in carcere a Perugia. Andai a Perugia, feci questa visita, ero molto stanco. Uscii da questa sessione e cascai in terra. E mi portarono in un ospedale. Una cosa che ogni tanto mi capita, purtroppo. E ci rimasi cinque giorni, all’ospedale di Perugia. Quando tornai, va be’, insomma, qualcuno mi disse che dovevo ricoverare e andai a ricoverarmi in un ospedale di Pisa. A Pisa mi ci portò questo signore che, durante il tragitto, faceva degli altri discorsi che mi piacquero ancora meno. Tanto che, mentre si camminava, dissi: ‘guardi, senta, mi sento male. Smetta’. Perché, dissi, se questo poi alla fine… Io ebbi questa impressione, questo va a dire, dice: ‘ma sono io’, che me lo tengo sul gobbo tutta la vita, io, uno così? Dice: ‘sono io…’, ma non era vero affatto, vero, intendiamoci bene. Questo è una persona… Allora, naturalmente, mi informai, chiesi delle cose. E come succede sempre in questi casi, Presidente, purtroppo, immediatamente si trova un sacco di persone che ti dicono: ‘eh, sì, eccome; ah, è vero, ma guarda, lui c’ha questo, c’ha quest’altro…’ E insomma, alla fine, io, era il periodo delle vacanze di Natale del 1982, insomma, francamente proprio ero veramente in crisi. E andai dal professor Fileno Carabba. Gli dissi: ‘professore…perché mi conosceva, mi stimava, era un appassionato di teatro. All’epoca, ancora, facevo teatro, veniva a vedere sempre tutti gli spettacoli che facevo. Tanto è vero che quando non veniva, noialtri che, siccome nel nostro gruppo di teatro, di forni ne facevamo, perché sa, a far teatro, la gente non è che venga tanto a vedere. La gente che fa teatro… c’era la frase che diceva: ‘non c’è…’, non si diceva ‘oggi non c’era, stasera non c’era nemmeno un cane’. Si diceva: ‘stasera non c’era nemmeno il professor Carabba’. Sicché andai da lui e gli dissi: ‘professore, mi capita questo e questo. Mi dice che devo fare?’ Dice: ‘senti, facci una relazioncina’. E io mi misi lì alla macchina da scrivere, feci una relazioncina, evitando accuratamente di dire mai il nome di questa persona – tanto è vero nessuno lo ha mai saputo, nessuno lo ha mai visto – e presentai questa cosa. Sapevo assai… Poi succede che ne parlo con un amico, questo amico ne parla con un giornalista della RAI, manco a farlo apposta sempre il solito. E questo parte, questo giornalista. Vuol fare lo scoop, va con la macchina, segue questa persona, fa tutto un sacco di cose. Per cui, alla fine, ovviamente, Polizia e Giudici a quell’epoca, furono costretti a fare un blitz a casa di questa persona: perquisirlo, sequestrargli ogni cosa, interrogarlo immediatamente. Quello che avrebbe dovuto essere una indagine che si sarebbe svolta in termini normali abbastanza chiaramente, in maniera non approfondita… approfondita, ma con tutta quella discrezione, in questo caso, per colpa di questo giornalista, diventò invece… Non apparve mai il nome sul giornale, mai successo niente in questo senso qui. Però, ecco, a me mi rimase qui, proprio qui sullo stomaco, Signori. Mi rimase qui. Dissi: ‘ma come, forse potevo farne a meno, ma perché sono partito a dire questa cosa? Ma accidenti!’ Feci persino un confronto con questa persona. Quelle cose che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico. Ecco, allora, che mi viene l’interesse per questo fatto. E da allora – 1982, fine del 1982 – in Procura ci ho rimesso piede solamente due anni fa, mi pare, quando ho trovato, durante quella trasmissione all’Allegranti, mi sembrò una cosa importante. Non sapevo che era già stato interrogato, sennò avrei evitato persino di andarglielo a dire; andai dal dottor Canessa e gli dissi: ‘dottor Canessa, guardi, io, mi è capitata questa cosa’. E il dottor Canessa mi disse la stessa cosa che mi aveva detto il professor Fireno Caramba in quegli anni: ‘fammi una relazioncina’. Feci la relazioncina e gliel’ho consegnata. E fine del discorso. Ma che si può dire che io sono uno che vo in giro a presentare “mostri” alla gente? Comunque, il disagio che mi ha provocato quella iniziativa – che poi ha certamente danneggiato questa persona, indiscutibilmente – è un disagio grave, continuo a rammaricarmene, continua a restare… Fra l’altro, questa persona, voglio dire, venne subito immediatamente… per intendersi, anzi, senza… Naturalmente, per carità! di dire il nome. Ma, voglio dire, nel 1982, ovviamente all’indomani del delitto del 1982, gli arrivarono subito in casa alle sei la mattina e lui aveva un alibi più che di ferro: era stato a giocare a carte con cinque persone fino alla sera tarda della sera prima. Quindi, persona che non c’entra assolutamente niente, una… Io, se vi raccontassi quello che diceva, ma chiunque direbbe a un magistrato che lo doveva vedere. Quei giornali erano pieni, all’epoca, di sollecitazioni a tutti: ‘se avete informazioni, datecele, fornitecele’. E che dovevo fare io? Ma ancora oggi, se penso a quell’episodio, a quel momento, a quei giorni, provo un disagio terribile. Che io poi, fra l’altro, sono nato come difensore, capite? Non sono uno che fa queste… No, ma fu la prima e unica volta in vita mia. E allora. . . Eh, allora io che non mi occupo di cronaca nera, che è una lettura che non mi piace -anche se scrivo cose che non sono cronaca nera, eh, sono altre cose, per dire la verità – ho cominciato a seguirlo questo caso. Ho visto sempre tutto, ho letto sempre tutto, ho approfondito sempre tutto. Anche gli atti processuali dai colleghi li ricevevo. All’epoca di Vinci, di Francesco, andavo ad informarmi. Perché… perché, perché avevo questa angoscia addosso, volevo chiarire, volevo… E poi, a un certo punto, vedendo un personaggio, facendomi una certa idea, piano piano ho detto: ‘cavolo, ma com’è che non si riesce a trovarlo?’ E allora, ecco… E allora, guardi, ve l’ho detto l’altro giorno: c’è questo aspetto dell’essere sempre, queste persone uccise, a distanza ravvicinatissima – guardatevi le perizie – aggredite da questo finestrino sinistro. E sono persone che avrebbero dovuto andarsene e che, viceversa, stanno lì a farsi prendere. Compresi i due giovani di Baccaiano, come spero di avervi dimostrato ieri. E questo è un dato abbastanza importante. Ma ce ne sono anche altri. Ora, in questo momento, non ho sottomano i materiali. Ma mi sembra che nel 1974 si trova nella macchina, a giro e non nel cruscotto dove sta sempre, il libretto di circolazione. In un altro delitto, che se non sbaglio è Calenzano, si trova la carta d’identità, sempre in giro, fuori del portafoglio della vittima. E poi c’è quella cosa che avete controllato anche voi, lì al dibattimento. E che riguarda il portafoglio del povero Claudio Stefanacci forato in quella maniera. E voi ditemi com’è possibile. Lì, la perizia, dice che in quel momento, quando arriva lo sparo, il portafoglio è tenuto in mano da questo ragazzo, con i pantaloni in mano che lui si è levato; ha ripreso i pantaloni e tiene il portafoglio, i pantaloni e il portafoglio, fuori dal corpo, nelle mani. Esibendo evidentemente la parte dei pantaloni che contiene il portafoglio, perché il portafoglio viene perforato da parte a parte. E questa, o è una rapina, per cui lui sta prendendo il portafoglio per dargli i soldi – ma questo lo sappiamo che non è tale, perché i soldi ci sono tutti – oppure è una esibizione di documenti. Eh, non ci sono mica tante alternative. E poi c’è l’integrazione con le indagini. C’è l’integrazione con le indagini, vale a dire: una persona che sembra avere conoscenze abbastanza notevoli delle indagini. Vi ho parlato di Scopeti e ve l’ho già detto; e del perché, agli Scopeti, si nasconde i cadaveri, a differenza di quel che si era fatto fino a quel momento lì. E vi ho detto anche che… beh, c’è poi quel giallo che riguarda questi delitti, del perché gli inquirenti, ad un certo punto, si orientano verso la pista dei sardi nel 1968. Ora qui c’è un giornalista che vi ho indicato, fra l’altro nella lista dei testimoni miei, che poi voi avete ritenuto di non sentire, che è Mario Spezzi, il quale continua da anni a scrivere sui giornali, a giurare e spergiurare, che il dottor Tricomi gli ha detto che questa pista venne indicata da uno scritto anonimo. Che non solo indicò il delitto del ’68, ma addirittura indicò dove si trovava il fascicolo del delitto del ’68, vale a dire a Perugia. E questo lo può sapere solamente chi ha ucciso, non c’è niente da fare. Perché chi altro può individuare un vecchio delitto, morto e seppellito con una sentenza passata in giudicato? Ma questa è una cosa che è sempre rimasta incerta, nel processo. Nessuno ha mai voluto approfondirla. Se è vero che c’è lo scritto anonimo, se è vero che c’è il carabiniere che se ne ricorda. Ma insomma, è una situazione abbastanza ambigua, da questo punto di vista. E non sono solo mica io che la penso così, Signori, eh. Perché questo stesso sospetto, che è una ipotesi di lavoro sulla quale rifletterei io… Perché, vedete, Calonaci vede una macchina della Polizia con una sola persona a bordo. E come mai c’è una sola persona a bordo? Effettivamente è strano. Ma non è strano, perché tante volte può capitare che, chi… io sto parlando di Polizia, nel senso di persona che faccia quel lavoro lì. Ma questi lavori, dentro alla Polizia c’è tanti servizi che si fanno. C’è anche la scorta ai magistrati, no? Che si muovono di qua o di là. Autista, bravo. Che poi intanto il magistrato fa gli affari suoi; una persona magari che ha fatto da autista, può aspettarlo lì o può andarsene un po’ a giro per i fatti suoi, no? Ma dicevo, questo tutte ipotesi, naturalmente. Ma ne parlo perché sono sollecitato da quelle cose che ho detto prima. Ma a pagina 50 della perizia De Fazio voi leggete questa affermazione: “Non può essere trascurata l’ipotesi che il soggetto abbia…” Non può essere trascurata dice, eh. D’altra parte lui in quel momento che cosa stava facendo? Stava indicando un terreno di indagine agli indagatori. Dice, attenzione: “Non può essere trascurata l’ipotesi che il soggetto abbia conosciuto la dottoressa Della Monica a ragione della sua attività professionale.” Sentite cosa dice? Questo lo dice il De Fazio, non lo dico mica io, eh. “A ragione della sua attività professionale.” Ora: “A ragione della sua attività professionale”, la dottoressa Della Monica conosce due tipi di persone: i criminali e quelli che collaborano con lei a scoprire i criminali; o che collaborano con lei per altre ragioni. Per esempio, appunto, come scorta, come tante cose. E insiste, il professor De Fazio: “Da qui la scelta della dottoressa Della Monica, quale destinatario delle missive, della missiva. Ipotesi ancor più suggestiva, ove si attribuisca allo stesso soggetto l’invio. delle lettere contenenti un proiettile di pistola ai magistrati attualmente titolari dell’inchiesta sui duplici omicidi.” Che l’hanno avute queste lettere anonime con la pallottola, vero? Tutti e tre, eh. Anche il dottor Canessa. E tutti all’indomani del delitto deqli Scopeti, eh. 

P.M.: Non c’ho scorta, però. 

Avv. Nino Filastò: No, infatti non credo… 

P.M.:  (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: No, no, non c’è verso. 

P.M.: … se c’era notizia di reato, non è alla mia storia. 

Avv. Nino Filastò: No, no. Certamente, no. Certamente non lei. Certamente non lei. Non si è mai occupato di processi di terrorismo, lei? La prima volta che ho trovato un avversario, ho trovato un avversario nel processo Tarek. Si ricorda dottor Canessa? 

P.M.: Io sì. 

Avv. Nino Filastò: Ecco. Invece, sul terrorismo, ha visto altre persone. Va be’, basta no. Più che sufficiente.

Presidente: Basta, basta. 

Avv. Nino Filastò: Basta. 

Avv. Nino Filastò: Allora, un riscontro sarebbe la Ingrid van Pflug. È un riscontro quello che dicevo prima. Io ci credo alla Ingrid van Pflug, dalle preoccupazioni della povera Pia Rontini, che poi sono le stesse della povera Susanna Cambi, che una volta alla madre, mentre… Va be’, questa è una cosa che non è negli atti, non se ne parla. Benissimo. La Nicoletti è stata – si dice ancora – è stata nella piazzola di Vicchio con Lotti. Ecco, questa è una circostanza che dobbiamo approfondire un po’’ meglio, esaminando la signorina Nicoletti nel suo complesso. E l’esame è stato svolto da voi nel luglio del 19 97, il fascicolo è il fascicolo 16 e la signorina Nicoletti si presenta con questa frase, a pagina. 69: “Io ero adebita all’alcool.’ Bellissima, no? Lei era “adebita” all’alcool, ha detto così. È uno splendore questa frase. “Adebita all’alcool” la signorina Nicoletti. “Adebita”. Eh, insomma, poi dopo si dice… Poi su questo punto si insiste, si chiede meglio da parte del Pubblico Ministero, a pagina 73 dice: “Perché fra me e il Lotti c’era anche il bottiglione di mezzo, praticamente c’era l’alcool e con l’alcool non si…” scherza, voleva dire. “Lei beveva?” “Sì. ” “Molto?” “Parecchio, sì.” Dice la signorina Nicoletti. E il Pubblico Ministero dice: “Ma perché? Come mai?” “Mah” – dice lei – “dispiaceri, voglie, piacere di bere.” “L’aiutava anche a fare quel mestiere?” “Può darsi, sì. In qualche caso sì.” Certo, sbronze il mestiere si fa meglio, quel mestiere là. E allora, poi, quando si va a chiederle questa circostanza, che è abbastanza significativa, importante, che Lotti ci ha detto di essere andato nella piazzola di Vicchio insieme alla Nicoletti. Gli si chiede: “Nella piazzola degli Scopeti c’è andata?” “Sì, ci fermavamo, sì”. Nella piazzola degli Scopeti è molto possibile che ci siano andati, perché è un posto battutissimo. Ammesso che sia quella la piazzola e non sia quella prima, vale a dire quella che si trova vicino al ristorante. E la domanda del Pubblico Ministero è: “E nella piazzola di Vicchio, dove c’è stato l’omicidio?” “Eh, qualche volta si, ma che proprio mi ricordi bene non lo so.” Dice la Nicoletti. “Come dico, ero sempre bevuta anch’io.” E poi dice… Ma insomma, si insiste, si vuol sapere se quella era la piazzola oppure no, e il Presidente dice: “É il Lotti che l’ha portata in quel posto, ha detto: ‘andiamo lì a Vicchio in questo’.” “No mi portava, ero in macchina con lui” – pagina 80, la Nicoletti – “mi fermava lì. Io non son pratica, non guido io, non guidavo a quei tempi, perciò non sapevo dov’era. Se era Vicchio, se era San Casciano, se era gli Scopeti, non lo so mica dov’era.” Quando andava a giro con il Lotti la signora Nicoletti, c’era sempre il bottiglione di mezzo, era sempre ubriaca mezza, è quello che ci ha detto diverse volte. O come possiamo noi ora dire che, a distanza di 11 anni e passa, questa signorina si va a ricordare per l’appunto quel posto? Non è possibile, via. Son quelle cose in cui, a un certo punto, sembra proprio di vedere qualcuno che, volendo far quadrare un certo disegno – che per dir la verità come disegno è piuttosto confuso e informe – di un puzzle, piglia un paio di forbici e fa delle belle sforbiciate alla tessera. E insiste, insiste, a pagina 113, la signorina Nicoletti: “Il problema era questo. Siccome il mio convivente non c’era…” Perché questo è il momento in cui loro si incontrano e nasce questa, chiamiamola così, love-story fra la Nicoletti e il Lotti. “Il problema era questo. Siccome il mio convivente non c’era, eravamo tutti e due, in quel periodo, eravamo sempre quasi ubriachi. Perciò ci mettevamo in macchina e dove si andava a finire, si andava a finire.” Ma che volete di più? Ma poi gli si chiede, più puntualmente da parte dell’avvocato Pepi, dei punti di riferimento per individuare la piazzola, no, questa piazzola. E siccome il Lotti ha fatto riferimento come punto di partenza dalla Casa del Prosciutto, a questo punto l’avvocato Pepi dice: “Ma come fa lei a dire che era quella piazzola?” E la signorina Nicoletti dice: “E poi, per andare lì, c’è una bottega che vende formaggi, vende panini, questa roba qui.” No, non ci siamo. Perché, come vi ho detto l’altra volta e come avete la possibilità, ciascuno di voi, di constatare se prenota una settimana prima… Prenota una settimana prima eh; perché io ci sono andato là “ex abrupto”, così, una domenica ci son passato, dice: ma che scherza davvero lei? Che la vuo’ venire a mangiare alla Casa del Prosciutto senza aver prenotato una settimana prima lei?’ La Casa, del Prosciutto è un ristorante piuttosto noto, piuttosto buono e non mi risulta che vendano panini e formaggio lì. E l’avvocato Pepi dice: “Quindi andavate, diciamo così, un po’ alla ventura?” “A dorso.” Dice lei, la Nicoletti. Questa espressione che io vorrei sapere che significa. Poi lei parla della telefonata, in questo suo… della telefonata che ha avuto. Dice che il Lotti le ha parlato di un imbroglio, una cosa del genere, ‘ma che lui. aveva visto, o che sapeva’, dice: ‘non me l’ha mai detto’. Che poi Lotti, durante quella conversazione dice: ‘no, ma io li ho visti’. Eh, va be’, insomma, qualche cosa deve dire. Con tutto quel trambusto che ha fatto, con quella: ‘ma insomma, ma di’ la verità’. ‘Ma io li ho visti’. Visti cosa? Visti cosa? Un altro riscontro sarebbe il casolare indicato dal Lotti a Badia a Bovino, podere Schignano numero 54. Mah, ci si fosse trovata la pistola dentro a questo casolare, o una traccia di essa, una pallottola almeno, un calibro 22 lettera “H”, si poteva anche dire che questo poteva essere un riscontro. Ma questa storia – come vedremo meglio studiando il percorso che Lotti dice, non del tutto spontaneamente, ma a contestazione di certe dichiarazioni di certi testi, di aver fatto – questa storia del casolare a Badia a Bovino, podere Schignano numero 54, in cui questi due scalmanati, questi due pazzi da legare, sarebbero andati a mettere la pistola calibro 22, è tutta una panzana dall’inizio alla fine, che non regge nemmeno se imbullettata al muro con le bullette. Proprio non c’è niente da fare. Come la storia delle buche, eh: c’è una buca là e c’è una buca qui. Non regge assolutamente la constatazione. Insomma, lui sta seguendo questa macchina, vediamo Lotti che è il passivo, la persona che non c’entra, che si è in qualche modo, così, indotto a seguire questi due matti, scalmanati, cattivi, perversi e a un certo punto arriva su questo… e questi a un certo punto lascian la macchina, perché non ci si va con la macchina, e a piedi si inerpicano in questo posto dove c’è questo casolare. Ma lui dovrebbe dire: e io che ci vo a fare? Io sono il passivo, aspetto qui in macchina caso mai, o me ne torno in macchina per i fatti miei. Dove andranno questi qui? No, lui li segue, gli va dietro, va a vedere cosa fanno. Ma li segue con la lente di ingrandimento perché in questo casolare… Siamo al buio, vero, pesto, poi lui dirà che c’avevan la pila, ma vedrete, quando arriva a parlare del pila, vero? Quando a un certo punto abbiamo constatato che proprio una luce ce la deve mettere. L’ha capito anche lui che una luce ce la deve mettere. Ma anche ammettendo la pila, lui dice che in questa buca, all’epoca, dove questi mettono la pistola, “c’era terra, sassi e erba secca”. Si va a veder la buca e dentro la buca c’è, in questa fessura del muro c’erano erba, sassi e erba secca, a 11 anni di distanza, sempre la stessa terra, sassi, erba secca. Cos’è un riscontro questo? Questo non è un riscontro, questa è una ventata. Questa è una ventata d’aria fredda che ci raggela tutti guanti, eh. Qui con un riscontro di questo genere si va all’ospedale con la polmonite galoppante, bilaterale, eh. A parte tutto quello che si può dire sulla possibilità di avvistare, di vedere la terra, sassi e l’erba secca in quella situazione, essendo uno che è passivo, che sta alla lontana, al massimo può essere entrato a vedere… Ma insomma, quella coincidenza della terra secca, dell’erba secca, della terra e delle pietre nella buca nel 1996, rispetto alla stessa erba secca, pietre e terra che c’è nel 1984, vi torna bene a voi? Un altro riscontro sarebbe l’esistenza a Vicchio, nei pressi del bar di Vicchio, nella piazza della stazione, di una buca delle lettere. Vorrei anche vedere che vicino alla stazione non ci fosse la buca delle lettere, a Vicchio. Ma anche questo dovrebbe corroborare tutte quelle dichiarazioni di Lotti che hanno a che vedere con la lettera che sarebbe stata spedita alla Manuela. Lì, abbiate pazienza, ma io ritengo che nel passaggio di certe cose, da una certa fonte a Lotti, avvenute probabilmente all’interno di quel gioco che lui fa e che lo vede attento giocatore, così come dicono i periti Lagazzi e Fornari; lì c’è stato un errore. Forse Manuela voleva essere Monica, o Della Monica, chi lo sa? Fatto sta che lui scambia una cosa con un’altra e per l’appunto c’è la Manuela che sta proprio insieme a lavorare con la povera Pia Routini in quel bar. E la Manuela Barsi viene… ‘scusi, lei ha ricevuto mai una lettera anonima?’ Dice no. Ma non è questo il fatto, Signori della Corte di Assise. Lui racconta una storia che bisognerebbe che questo povero signor Vanni fosse proprio l’individuo più imbecille di questa terra. Insomma lui, Vanni, capite? È quello che ha seguito la Pia Rontini, dovrebbe esser quello che l’ha pedinata. Abbiamo saputo da Bardazzi che non è lui, va bene. Dovrebbe essere quello che compie quelle azioni orribili, che sappiamo, su questa povera ragazza e poi, su comando di Pacciani, piglia una busta, con una lettera, così, e la va a spedire imbucandola nella buca alla stazione vicino al bar? Per vedere se qualcuno… mandando lui lì a fare questa operazione, è andato a imbucare lui questa lettera. E a un certo punto, beh, si mette a rischio che qua… ‘guarda quel signore là, che c’era lì l’altro giorno? Che fa con quella lettera?’ Insomma, perché siamo lì, no? Ma ve lo immaginate. Ma per fare che, poi? Questa della lettera alla Della Monica, non alla Manuela – che non ha mai ricevuto nessuna lettera, la Manuela – è una cosa che collima, che coincide, come avete visto da quei materiali che abbiamo esaminato, di tipo psichiatrico, che riguardano quegli aspetti scientifici che abbiamo a lungo esaminati ieri l’altro, coincidono con quel tipo di persona, ma con questi qui no assolutamente. Ma che significato ha andare a sfr… la Manuela con una lettera? Che dovrebbe così, in questo racconto fantastico, orribile, pasticciato di Lotti, del Pacciani che va a tirare fuori il barattolo dove dentro c’era un si sa che, ma lui non ha visto cosa ci metteva. Ma insomma, tutte fandonie, tutte cose bruttissime, che sono proprio indicative dì quanto questo signore raffazzoni delle cose. Ma era anche volgare, anche pesante, tant’è che tra l’altro di tutto questo il Pubblico Ministero, nella sua requisitoria finale, non ne parla; ha il buongusto di non parlarne e glielo riconosco questo buongusto al Pubblico Ministero, di non aver parlato di questo cosiddetti riscontri obiettivi. Che non son riscontri, sono – come dicevo prima – ventate d’aria fredda che ci raggelano e ci mandano in ospedale tutti quanti siamo. Sui riscontri dell’omicidio di Giogoli vi ha già parlato il collega Mazzeo. I segni dei fori sul furgone non son per niente un riscontro, anzi sono un elemento di contrasto. Perché se lì a sparare sono due persone, di diversa altezza perché il Lotti è un po’ più alto di Pacciani, noi dovremmo riscontrare sui fori di questo furgone una differenza appunto di altezza di questi fori. E invece se c’è un dato obiettivo serio, importante, incontrovertibile, è che questi fori sul furgone di Giogoli sono tutti, con minime differenze, alla stessa altezza. Al punto che, come leggerete nella perizia, nella relazione del professor De Fazio – guella originaria relazione aveva lo scopo che sapete -che cosa dicono questi consulenti tecnici? Dicono questo, fanno questa constatazione. Bene, noi sappiamo che lo sparatore ha colpito sparando dai vetri del furgone. Vetri, uno dei quali è trasparente: uno è opaco, uno è trasparente. Possiamo immaginare che abbia sparato alterando la posizione normale dell’arma per sparare dal vetro perché sta prendendo la mira dal vetro. Quindi alza il braccio in maniera innaturale, perché deve sparare da questo vetro e quindi deve, a un certo punto, dirigere il colpo in questo modo, attraverso questo trasparente, questo mezzo trasparente. Quindi è necessitato, se è più basso di quel metro e 80 e più che loro dicono calcolando la posizione naturale di sparo, può essere stato indotto dalla presenza del vetro a modificare la posizione naturale di tiro, alzando innaturalmente e in maniera scomoda il braccio. Che non è solo un fatto di innaturalità di posizione del braccio, ma è anche un fatto che in qualche modo delimita e rende meno agevole il mandare il colpo a segno. Perché un conto è sparare così, con la posizione normale, e un conto è sparare così, con la posizione innaturale e che rende più difficile andare a segno. “Ma noi” – dicono i nostri periti – “abbiamo rilevato che la stessa altezza la ritroviamo anche quando lo sparatore, invece di fare attraversare dalla pallottola il vetro, la fa trapassare la lamiera.” Perché questo sparatore – che spara a distanza ravvicinatissima, che è un esperto di tiro – a un certo punto non spara soltanto dal vetro, ma siccome, probabilmente c’è stato qualcuno che è caduto, dalla posizione seduta è finito sdraiato, o qualcosa di questo genere, per colpirlo spara anche attraverso la lamiera del furgone. E quando spara attraverso la lamiera del furgone noi notiamo che i fori sono alla stessa altezza di quando spara attraverso il vetro. Quindi, quando spara attraverso la lamiera non ha più questa necessità di alzare il braccio, lo tiene in maniera normale, naturale. Allora noi diciamo che, siccome i fori non sono tutti alla stessa altezza, la posizione di tiro è quella normale, non è la posizione del braccio innaturale, prendiamo le misure, facciamo le tavole… consultiamo le tavole antropometriche e, con riferimento a questo, noi diciamo altezza superiore a 1,80 e non di poco. Tutto questo per dire che cosa? Tutto questo, soprattutto in questa analisi, voi riscontrate che queste valutazioni che hanno fatto, hanno formato oggetto di studio da parte di questi periti, i quali son giunti a quelle conclusioni, il dato di partenza però qual è? Il dato di partenza è: identità, o quasi, di altezza dei colpi sparati nel furgone. Persona sola. Persona sempre della medesima altezza, che spara in posizione naturale di tiro. Quindi, altro che riscontro, è un contrasto rispetto alle dichiarazioni di Lotti. Aggiungete quello che vi ha detto il collega: esaminando le dichiarazioni di Lotti e sottolineando quel che Lotti ha detto circa il fatto che, una volta aperto lo sportello, non si sparò più. Voi sapete, dai dati di carattere obiettivo, che invece si spara a sportello aperto, dall’interno, tanto che vengono trovati uno o due bossoli.
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Quanti?
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Uno o due…
(voce non udibile)
Avv. Nino Filastò: Due bossoli. Due spari dall’interno. Quindi questa analisi, che poi è quella, come dire, l’unica che si può fare – perché poi altri dati importanti non ce ne sono – è una smentita nei confronti di Lotti. Qui, a questo punto, si sottolinea, sempre da parte del dottor Giuttari -era anche questa una cosa che devo dire è stata abbandonata dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria orale e questo va a suo onore – parla il dottor Giuttari di riscontri precisi ai rapporti tra Vinci Francesco e Pacciani Pietro; tra Vinci Francesco e Indovino Salvatore. Tant’è vero che ci sarebbe il riscontro di Sgangarella. Il riscontro di Sgangarella avete visto che riscontro è, no? Sgangarella è venuto qui al dibattimento, ha detto quel che ha detto, lasciate perdere. Ma non è questo che mi interessa. Il discorso di Sgangarella e il discorso di Francesco Vinci costringe questo difensore, e costringerà voi, ad un’analisi un po’ approfondita e non del tutto facile di quel che cosa dovrebbe esserci, e che non c’è, intorno a questa pretesa esistenza di rapporti all’interno di questa triade: Pacciani, Salvatore Indovino, Francesco Vinci. Ed è questa ipotesi di relazione che apre la strada alla gabola carceraria, in cui si inserisce anche il signor Calamosca, che è una delle peggiori che io abbia mai visto. E sì che ne ho viste, eh, in 35 anni di professione, quello che non son capaci di inventare, arzigogolare là dentro con tutto il tempo che hanno a disposizione e con tutta la noia che si ritrovano, è incredibile. Ma qui proprio siamo alla volgarità assoluta. Va be’, liberiamoci, tanto per incominciare, dal riscontro che vi suggerisce il dottor Giuttari. Il dottor Giuttari dice: guardate, che in tutta questa storia, che ha come punto di riferimento Francesco Vinci – e tra poco vedremo perché – il riscontro è dato dallo stato depressivo del Vinci all’epoca. Eh, vorrei anche vedere che non fosse depresso, povero Vinci, vero? Parlandone… Perché, insomma, è stato messo in galera, accusato dei delitti del “mostro di Firenze”, beh, insomma, me lo immagino che sia depresso. Lo sarei stato anch’io. Tant’è che, a un certo punto, don Cubattoli dice: sbatteva la testa contro il muro. E sì capisce, è una reazione piuttosto normale e umana. C’è poi, sempre secondo il dottor Giuttari, io sto parlando dei riscontri che indica lui, perché su questo punto poi invece il Pubblico Ministero abissa completamente. Ma ne dobbiamo parlare. Noi ne dobbiamo parlare perché l’inchiesta è questa e è fatta anche di dati di questo genere e voi la dovete commisurare e valutare nel suo complesso. Non si può dire questo è buono e questo è cattivo. No, no, va visto tutto. E tutto va visto e tutto va, come dire, esplicitato. Non bisogna lasciare spazio alle suggestioni, non bisogna lasciare spazio a quel che potrebbe essere definito l’intuizione, il sottofondo non ancora esaminato. Qui vale il discorso che ho già fatto a proposito del misterioso dottore che si renderebbe acquirente dei feticci. Anche su questo voi dovete avere le idee chiare insomma, eh, prima di giudicare. E se vi rendete conto che abbiamo a che fare con del materiale di bassissima lega, lo dovete considerare tale e dovete considerare tale, ovviamente, anche quell’altro materiale, che magari qualcuno invece salva scegliendo fior da fiore. Non si può fare così quando si valutano gli atti di un processo, si guarda un po’ tutto. Allora, il dottor Giuttari ci dice: “Riscontri sull’attendibilità di Sgangarella, tant’è vero che il 7 gennaio dell’82 esiste un”intercettazione ambientale, c’è un colloquio Pacciani con Perugini e Pacciani dice di aver sospettato che l’infido Sgangarella gli lasciasse il gingillo nell’orto.” Ma insomma, riscontro di che cosa è questo qui? Che Pacciani considerava infido Sgangarella? E vorrei anche vedere che non lo considerasse infido, mi pare che una persona così basta conoscerla per considerarla infida, vero? Uno che fra l’altro è finito in galera per aver violentato e ucciso una bambina di otto anni, questa è la ragione per cui era dentro, no? Poi si dice, questa cosa del riscontro, perché c’è questo fatto che Pacciani sospetta lo Sgangarella di avergli lasciato “un gingillo”. Beh, da un punto di vista di riscontro ha la stessa valenza probatoria delle sorbe. No, forse anche meno, inferiore perfino alle sorbe, questo. Poi dice: “Francesco Vinci frequentava lo stesso bar di Indovino Salvatore a Prato”. Questo lo dice a pagina 7 9 e 80. Ma insomma, è un bar molto frequentato, mi risulta, questo di Prato, in cui può anche darsi che Francesco Vinci ci si sia trovato insieme al signor Indovino Salvatore. Ma da dove risulta che queste persone si frequentavano? Da nulla, assolutamente. Ma io mi chiedo questo: ma cosa si sta cercando qui? Che cosa si sta controllando? Come vi dice il Pubblico Ministero, il vostro dovere è fare… siamo d’accordo su questo, in questo processo. Cosa si sta controllando? Qual è l’ipotesi accusatoria che si sta controllando? E qual è, di conseguenza, la dichiarazione del signor Giancarlo Lotti, che si sta cercando di controllare, vedendo questa incongruenza, inadeguatezza, inconsistenza, inesistenza dei cosiddetti riscontri. Si tratta di indicare fonti di prova relativi alla seguente ipotesi accusatoria, come almeno io, faticosamente, l’ho ricostruita e non mi sembra che vi sia altra ricostruzione possibile. Di un tema che, di per sé, si presenta confuso, indeterminato e indeterminabile, da essere perfino inespresso dal Pubblico Ministero e da questi inquirenti. Allora, Dibattimento pagina 79, 80, 81: “Il tema generale è quello dei riscontri cosiddetti obiettivi, riguardanti il Lotti, relativi all’omicidio duplice di Giogoli.” Siamo a Giogoli, Signori, i tedeschi. E i riscontri che cosa riguardano, quelli che sta indicando il testimone, dottor Giuttari, in questo momento? I riscontri – secondo il suo personalissimo e spero non condivisibile concetto di riscontro – riguardano la seguente dichiarazione di Lotti, che voi dovete valutare anche ai fini dell’attendibilità di questa fonte di informazione: “Il delitto dei tedeschi fu eseguito, quell’omicidio dei tedeschi, per scagionare Francesco Vinci.” Ed è per questo che si cerca di raffazzonare questi rapporti fra Francesco Vinci, Pacciani e Salvatore Indovino, “gli amici di merende”; tanto che Giuttari ci viene a dire che Milva Malatesta è stata l’amante di Francesco Vinci e di Salvatore Indovino. Ma forse di Salvatore Indovino può anche darsi visto che abitavano vicino l’uno all’altro, ma di Francesco Vinci, boh! E qui, visto che siamo ad esaminare e a cercare di confrontare e di riscontrare questa dichiarazione di Giancarlo Lotti, qui mi ricordo – e c’è a verbale a pagina 81 – quest’intervento del Presidente; il quale, giustamente, non capisce il nesso e dice: “Ma…” E non lo capisce, perché nessuno – e quando dico nessuno intendo dire, in particolare, il Pubblico Ministero – ha mai chiarito quale linea ricostruttiva dei fatti, a quale senso comune, a quale ipotesi investigativa corrisponda questa affermazione di Lotti, vale a dire: “l’omicidio dei tedeschi venne fatto per scagionare il Vinci.” Perché la domanda è questa: che gliene importa agli “amici di merende” di scagionare Francesco Vinci? Mi sembra, no. Guai! Perché? Allora, in rapporto a questa domanda implicita, che chiunque si farebbe, perché, voglio dire, l’ipotesi che fa l’avvocato Filastò – che Francesco Vinci sia stato ammazzato, perché sapeva qualcosa di preciso sul delitto del ’68 ed era ancora in grado di indicare qualcuno – va bene, insomma è un’ipotesi che io faccio e lo dico. E un’ipotesi che è la mia; può darsi che sbagli, ma è una cosa chiara. Ma la domanda: di quale sia l’ipotesi accusatoria che sta dietro questa relazione, va fatta, perché nessuno ce lo dice, fra l’altro. Può darsi che riuscirà, in replica, il Pubblico Ministero, non lo so. E qui, da questo punto di vista, noi troviamo degli accenni, capito? Come degli sprazzi, delle affermazioni che restano lì. I rapporti pretesi fra Vinci, Indovino e Pacciani? Vanni, no, fra parentesi; di Vanni e i rapporti con l’Indovino non ce se ne occupa, di Vanni, da questo punto di vista. Tanto che in questa, o forse, in qualche altra occasione il Vanni interloquisce e dice: ‘Ma, Presidente’ – dice – ‘qui dei testimoni non mi rammenta nessuno, io posso andare a casa? Mi faccia la gentilezza’. “Rapporti – dice il dottor Giuttari – “tali e così ben radicati che possono giustificare un omicidio.” Questo lo dice… no, questo non lo dice il dottor Giuttari, lo dice proprio il Pubblico Ministero, durante l’esame del dottor Giuttari, a paqina 81, del verbale del 26 giugno ’97. Io non c’ero, l’ho letto. “Tali” in che senso? Cosa si sottointende con questo “tali”? Certamente non solo il fatto che i tre fossero amici e che si conoscessero, più o meno, intimamente. Perché, anche ammesso che ci fosse questa conoscenza, e che uno dei tre fosse finito in carcere – si sta parlando di questa triade: Pacciani, Salvatore Indovino e Francesco Vinci -che uno di questi finisse in carcere accusato ingiustamente di essere il “mostro di Firenze”, mah, certamente non è sufficiente l’amicizia sia pure intima, che non è assolutamente esistente, né provata, è completamente fuori dal mondo, ma insomma, mettiamo così, anche strettissima, affinché Pacciani si attivi per uccidere i due giovani tedeschi, allo scopo di far scarcerare Francesco Vinci. Non l’ho mica capito, io. C’è l’amico in galera, dice: vabbè, vabbè noi siamo generosi, lo vogliamo far scarcerare e andiamo ad ammazzare… Poi procurandosi, con la stessa arma: andiamo ad ammazzare due, perché a noi ci sembra giusto così. Non lo so, non si può, ovviamente; questa è un’ipotesi che non regge. E Salvatore Indovino che cosa c’entra, allora, se fosse così? Ammettiamo Pacciani, che Pacciani un bel giorno dice: va be’, poveraccio, c’è Francesco Vinci in galera non c’entra nulla; e lo so che non c’entra nulla, perché sono stato io. Ora vo a ammazzare una coppia, perché così la gente si rende conto che non è lui e lo scarcera. Mettiamo che Pacciani, il tirchio Pacciani, sia dotato di questa generosità. A guardare la persona, ho l’impressione non avrebbe sprecato nemmeno il prezzo delle pallottole per questo, senza contare il rischio, il signor Pacciani. Forse che Vinci era uno dei “compagni di merende”? Fra l’altro il più sfortunato, perché lui è stato ammazzato poi, davvero, il 9 agosto del ’93, a dieci giorni di distanza di un’altra duplice uccisione: quella di Milva Malatesta e del suo bambino. Uccisi, con modalità analoghe, il 20 agosto 1993, vale a dire a distanza solo di dieci giorni, come del resto dice anche il dottor Giuttari, a pagina 78 di questo verbale; aprendo, fra l’altro, uno spiraglio, una fenditura, uno squarcio nella oscurissima cappa di mistero che tutt’oggi incombe su questi due misteriosi delitti; rispetto ai quali non si è saputo niente: né chi, né perché. E su questo, io dico – non per integrare la prova, ma per integrare e per rendere, in qualche modo, intelligibile l’ipotesi accusatoria – bisogna ahimè, affidarsi al signor Calamosca. Ed è tutto dire, ehi Non per trovare il riscontro, ma per capire che cosa c’è dietro a questa storiaccia; per capire che cosa si vuole andare a parare da parte dell’accusa. Qual è il tema dell’indagine? É questo che io sto cercando di individuare. Quindi, si tratta… e qual è il tema? Non solo di capire perché, e quale addentellato storico può avere la frase di Lotti: “si uccise a Giogoli per far scagionare Francesco Vinci”, ma che cosa c’è dietro a tutto questo, nella ipotesi accusatoria. Si cerca, con questa situazione, di dissipare o di chiarire in qualche modo il mistero dei misteri del caso del “mostro di Firenze”. Quella che poi in apparenza del mistero dei misteri, perché poi in realtà si spiega in un modo semplicissimo; ed è una sorta di rebus, ed è una tessera mancante del puzzle che riguarda, in qualche modo, anche gli “amici di merende” ed anche il processo Pacciani, una tessera, senza la quale, tutto il disegno diventa confuso e indistinto e l’immagine non di forma. Cioè dire si tratta di spiegare in che modo la stessa pistola, la famosa calibro 22 che uccide la coppia Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, a Signa nell’agosto del 1968 – e son passati quasi trent’anni, accidenti al “metabolismo lento” di questa indagine – uccide ancora negli anni successivi: ’74, ’81 giugno, ’81 ottobre, ’83, ’84, ’85. Questo è il tema, il più generale -vedete? – rispetto al quale si confronta due ipotesi. Seguitemi, non è del tutto semplice, questa disamina mia, ma vi porterà avanti se l’affronterete come l’ho affrontata io. Qui si confrontano due ipotesi. La prima che è la “lectiò facilior”, quella che io condivido, quella che il difensore di Vanni condivide e ritiene l’unica possibile. E qual è? Il delitto del ’68, del 1968, è il primo delitto della serie. La condanna del marito di Barbara Locci, Stefano Mele, è stata un errore giudiziario. “Nel 1968, per la prima volta” – come dice l’FBI in quel suo studio – “il serial-killer della provincia di Firenze uccide questa coppia.” E fra l’altro, io dico e aggiungo, che se questa “lectio facilior”, la più semplice, la più piana, la più ovvia, si fosse seguita, c’erano buone probabilità di trovarlo. Perché? Perché seguendo, naturalmente, quelle che sono le indicazioni dei criminologi su questa situazione. Vi dicono: la prima volta la persona agisce in casa sua; vale a dire nel posto dove abita. Quindi, rispetto a tutte le migliaia di persone, lì, l’indagine poteva inizialmente cominciare con l’eliminare tantissima gente. Perché questa è una persona che abitava a Lastra a Signa, dice l’FBI, e secondo me ha ragione. E questo spiega perché Vinci lo conosceva; e questo spiegherebbe anche perché Vinci è morto. E se qui sarà necessario, e dovremo andare in Appello, in Appello, qui, faremo intervenire il professor Cabras, che è stato il perito di Vinci, al quale Vinci ha confidato, varie volte, di sapere qualcosa. E questa è la “lectio facilior”; quella che mette a posto tutto, quella che, fra l’altro, era condivisa anche da questo Pubblico Ministero durante il processo Pacciani. Mi dica se non è così: che lei disse, sia nella sua introduzione preliminare che in sede requisitoria finale, che i delitti del “mostro di Firenze” cominciavano nel 1968. Ma, capite, se voi seguite questa “lectio facilior”, a questo punto, gli “amici di merende” e Vanni, li mettete immediatamente da parte, perché nel 1968 questa gente non si conosceva, vero? Vero? Ora non mi dica di sì un’altra volta, Vanni, che mi arrabbio. IMPUTATO Vanni: (voce non udibile) Avv. Nino Filastò: Lei lo conosceva nel 1968, Pacciani? IMPUTATO Vanni: No. Avv. Nino Filastò: Oh, ovvio. Ha detto di no. IMPUTATO Vanni: Dopo. Avv. Nino Filastò: Dopo. E quindi, naturalmente, per reggere questa ipotesi e questa struttura accusatoria, bisogna scegliere la “lectio difficilior”. E la “lectio difficilior”, qual è? Che la pistola sia passata di mano. Va bene? Dallo sparatore del 1968, vale a dire uno del gruppo dei sardi – che sia Stefano Mele, no, che sia Francesco Vinci o chi volete – questa pistola passa di mano. Questa pistola che ha ucciso per un movente di relazione nei confronti di Barbara Locci, che è una che si prostituisce, che fa la cattiva, che il clan dei sardi vuole vendicarsi su di lei, si spara a Barbara Locci, si ammazza anche Antonio Lo Bianco; poi si passa la pistola a qualcun altro. Si trasferisce la pistola a qualcun altro, agli “amici di merende”, no… agli “amici di merende” non torna mica tanto. Perché qui, a rendere più difficile e complicata questa pur complicatissima, “lectio difficilior”, si pone una considerazione oppure, se volete, una domanda, che qualsiasi persona di senso comune, si pone. E qual è questa domanda? Eccola: se questa pistola passa di mano, così semplicemente, perché qualcuno la compra o perché qualcuno la dà, la regala a qualcun altro; o perché qualcun altro la trova nascosta da qualche parte, il che è anche più strano, come è possibile, per quale ragione questa pistola, continua ad uccidere negli anni successivi coppie sorprese di notte a far l’amore, in auto, durante la fase dei preliminari amorosi? Cos’è, una coincidenza? Certamente no, è escluso. Forse dobbiamo, allora, a questo punto scomodar qualche maga che ci dice: perché l’oggetto in sé, intrinsecamente, è animato da una sorta di intimo destino, di propensione, lui, come oggetto, come pistola, ad uccidere in quelle specialissime congiunture? L’auto, la coppia in amore, i preliminari amorosi, la fase lunare, tutto quello che sapete, la ritualità; certamente, no, eh. Diventa leggermente più razionale, a questo punto, ritenere un’ipotesi di lavoro, tanto per cercare di tirarla fuori… perché io, mi sembra di essere uno che sta a cercar di tirar fuori da un buco, qualche cosa, no? Che rimane in questo processo nascosto, che rimane indeterminato, apposta insomma, proprio perché voi… Quindi, lo sforzo mio è questo qua. Un’ipotesi, dicevo, di lavoro investigativa che consideri questa coincidenza non da un punto di vista oggettivo, vale a dire dal punto di vista della pistola – perché la pistola non può averlo questo destino maligno – ma da un punto di vista soggettivo, vale a dire come intenzione del compratore o dell’acquirente – perché a questo punto non è quello che la trova per caso, ma che la vuole – il quale, per certi suoi fini, vuole disporre per l’appunto di quell’arma. Perché di quell’arma? Perché quell’arma per l’appunto è servita per uccidere in quel modo. Va bene? Ma in questo modo l’ipotesi magico-esoterica che noi abbiamo buttato dalla finestra, sotto il profilo della oggettività dell’arma – che tipo la “mano d’angoscia” dei romanzi gotici dell’800, cammina da sé e va a strangolare le persone – così resterebbe connaturata all’oggetto, rientra dalla finestra. Perché chi potrebbe desiderare acquistare un’arma, non per certe sue caratteristiche tecniche, perché per esempio è un’arma che funziona bene, che spara bene, eccetera, ma perché essa rappresenta una specie di simbolo, è portatrice l’arma in sé, di una storia di sangue di un certo tipo. Chi? Come una sorta… sì, allora sì. Io desidero quell’arma, perché quell’arma a me mi richiama l’idea della “mano d’angoscia”; mi richiama l’idea dell’arma che già è servita a questo scopo, che insomma, per una questione di carattere esotericomagico io voglio possedere, perché voglio continuare quest’opera fatta da questa arma, in questo modo e che cosa. Quindi, chi ha preso o chi ha acquistato dopo il 1968 quell’arma, voleva appunto quella e non un’arma qualsiasi, non una pistola a calibro 22 qualsiasi che avrebbe potuto acquistare da qualsiasi armaiolo; bensì proprio quell’arma, appunto perché quell’arma aveva già ucciso in quel modo una coppia. E quindi, esclusa la destinazione intrinseca dell’arma, escluso che l’arma in sé si tiri dietro questo singolare destino ad uccidere coppie in quella singolare situazione. Ci vuole quell’arma, perché è una specie – eccola la parola – di feticcio, anche l’arma. Un oggetto maledetto da inserire in un altrettanto maledetto rituale, da seguire poi, per tutti gli anni a venire, in un programma altrettanto maledetto, in un’altra ritualità altrettanto identicamente sanguinaria. E chi potrebbe fare una cosa di questo genere? Guardate che tutte queste cose me le sto inventando io, eh. Io sto cercando di far venire fuori quella che è un’ipotesi accusatoria, perché non vi sono state mica dette queste cose, eh. E le sto tirando fuori per evitare che a queste cose ci pensiate voi, magari, in Camera di Consiglio. Magari senza nemmeno esprimerle voi, e tenendole come una sorta di riserva mentale, per motivare una sentenza. Allora, chi? Un pazzo da legare, no. Un maniaco, uno così, che poi potrebbe anche essere quel pazzo che uccide le coppie dopo; che fra le tante cose, potrebbe avere anche questo tipo di pazzia di volere i feticci. Va be’, se l’è lui, è il serial-killer di Firenze, siamo tutti pari. Mah! Strano, vero? Singolare, assurdo, poi come l’avrebbe acquistata, perché, insomma… Comunque se è lui, allora è stato lui ad ammazzare Francesco Vinci; allora torna tutto. Pazzo da legare, ma proprio di quelli… paranoico, vero? Eccezionale, straordinario. Ma non è certamente questa l’ipotesi accusatoria, sennò non saremmo qui, saremmo a cercarlo questo signore. Non saremmo qui a processare Mario Vanni, saremmo a cercarlo. E allora? Il mago, no. Il mago dedito alla magia nera, a capo o ispiratore di un gruppo dedito a riti, a pratiche di magia nera. E’ questa l’ipotesi, no? Diteci la verità, è questa, no, l’ipotesi? Quest’ipotesi sottointesa di questo processo, alla quale io sto cercando di dare consistenza facendola uscire dalle ombre per poterne parlare, facendola uscire dall’inespresso, dal sottointeso, dal presupposto investigativo centrale del quale, però, non bisogna poi parlar troppo, perché le indagini sono in corso, e perché sappiamo noi, e perché indaghiamo noi e non disturbiamo il manovratore. E no, Signori. No, no, si disturba eccome. Qui si sta parlando dell’ergastolo per un uomo. L’ipotesi investigativa suggerita, forse più che detta, da quella battuta del Pubblico Ministero in quell’occasione: “Rapporti così stretti fra i tre da suggerire un delitto. “Nel corso dell’indagine i nostri indagatori starebbero indagando per trovare i mandanti, il misterioso dottore e/o il misterioso mago, oppure il mago dottore, il mattore, il mattone e che altro volete che sia’. Rapporti, quindi, fra Vinci, Indovino, Pacciani. Allora, Vinci è il proprietario dell’arma all’origine, che uccide Barbara Locci e Antonio Lo Bianco con quell’arma. Indovino è il mago praticante la magia nera, no -per questo ci sono i rapporti fra loro, no – che è portatore di quell’intenzione che ho detto, di procurarsi quell’arma come feticcio, si rende acquirente a son di milioni, Indovino, munifico, pagando Francesco Vinci, lautamente; tant’è vero che Calamosca dice: “Aveva un sacco di soldi.” Acquirente dell’arma e Pacciani è l’esecutore materiale insieme agli altri “amici di merende”, il quale usa l’arma che gli hanno procurato, Vinci e Indovino, con questa sua pregnanza magica che costituisce e che integra, in qualche modo, il rituale. Vinci finisce in carcere accusato di essere il “mostro di Firenze”; si teme che possa parlare e accusare colui o coloro ai quali ha consegnato l’arma; il gruppo si attiva per commettere il delitto mentre lui è in carcere: i tedeschi. Ed ecco perché il dottor Giuttari si attiva per scoprire i rapporti fra Vinci, il mago Indovino e Pacciani. Ecco perché vi produce i riscontri del bar di Prato; ed ecco anche, in che senso e con quale significato, sotto il profilo della prova, Lotti che non capisce nulla di tutto questo, vero – perché fargliela capire a Lotti una cosa di questo genere non è possibile – Lotti dice: “Il delitto dei tedeschi fu commesso per far uscire Vinci di galera.” Ed è un’affermazione che, se ha un senso, si inquadra in questo percorso logico indagatorio che ho detto, il quale in questo modo dovrebbe riuscire a risolvere questo – che ho definito -mistero dei misteri, del passaggio e del perché del passaggio dell’arma. E invece questa parte ombratile e magica di questo processo, che puzza proprio di inquisizione, eh, puzza di inquisizione, sotto il profilo proprio dell’oggetto dell’indagine, capite? Qui siamo dentro la più bieca superstizione, perché bisogna proprio essere, come dire… Io ho detto, qualche tempo fa, che è un processo che per certe cose mi ricordava il processo di Salem, ma no, ma no, qui siamo dentro all’horror di serie C. Proprio di quelli dei film americani più brutti, quelli fatti peggio; quelli che da un punto di vista narrativo, Stephen King, direbbe: “Contravvengono la regola aura del narratore che è quella della sospensione della incredulità del lettore.” Ed è intorno a questa ipotesi, magica, esoterica che dovrebbe svolgersi quell’indagine che si farà, che si dovrebbe fare, sui mandanti, sui misteriosi mandanti, doviziosi mandanti; e che è un’indagine che come ho detto e come ripeto – confermando la scommessa – non si farà mai, perché manca la materia prima, perché mancano i mandanti, perché mancano i maghi, perché manca proprio da un punto di vista di serietà; ma poi manca il buonsenso nell * affermare un’ipotesi di questo genere. Tutta questa storia è un tale pasticcio in forma irrazionale, fino alla raffazzonata, incolta congettura iniziale – perché è una congettura incolta è raffazzonata quella iniziale – che è in qualche modo, forse, raccolta dalla sentina del carcere, dalla peggiore sentina del carcere, che le pretese fonti di prova sono state vergognosamente squalificate e squalificanti, sto parlando dello Sgangarella, del Calamosca. Il quale al momento in cui uno cerca di approfondire un discorso dice: “No, no, io mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Arrivederli e grazie a loro dell’attenzione.” E se ne va. Fino al punto, che come dicevo prima, correttamente il Pubblico Ministero vi passa sopra ed è costretto a fare su quest’episodio processuale, insomma, in modo così di… ma non parliamone. Non parliamone che è meglio. E la difesa, però, purtroppo, questo non lo può fare, perché è costretta ad analizzare, perché esiste questa dichiarazione di Lotti che invece di essere riscontrata obiettivamente prova, al contrario, l’esistenza di pesanti interventi, purtroppo. E qui si tocca con mano l’intervento esterno. Pista magica, messe nere, acquisto di pistola dal Vinci, Vinci ricattatore quindi ucciso, Vinci pieno di soldi, Vinci che viene visto a San Casciano con Pacciani e Vanni. Da chi? Dal Lotti, naturalmente. 

Mario Vanni: Chi lo conosce? 

Avv. Nino Filastò: Chi lo conosce? Bravo, Vanni. Ed è fra l’altro, l’approfondimento di tutto questo, eh, beh, è passato anche all’attenzione di questa Corte, perché il Presidente giustamente, vista una certa lacuna nelle istanze istruttorie del Pubblico Ministero, ha detto: ma qui manca il Calamosca, scusi. Cos’è, una svista? No, non era una svista. Si è visto che non era una svista -scusate il bisticcio – quando è venuto il Calamosca. Era un abbandonare una certa linea che effettivamente, basta… basta, capite, basta metterla insieme, capite, basta metterla insieme, pensarci un momentino; invece di tenerla lì come una specie di sottinteso, basta esplicitarla come ho fatto io, per dire: ma che scherziamo, ma siamo alle porte del 2000 e si sta a parlare di queste cose ancora in questo Paese, triste, da questo punto di vista. In cui rigalleggiano, sembra che davvero sì, come in un film dell’orrore di serie B, certi fantasmi rigalleggino qui dentro e ci riportino a situazioni inquisitorie di secoli fa. Eppure c’è chi ci crede, eh. Eppure c’è chi ci crede. C’è il controesame della parte civile, avvocato Colao, a Calamosca… non mi ricordo a chi, che vuol sapere dove venivano espletati questi riti di interrogazione del cartellone. In cucina, avvocato Colao, venivan fatti questi; dove lo fanno tutti. Perché questi riti di interrogazione del cartellone probabilmente li avrà fatti anche lei, non lo so, io sì, vi ho già raccontato, ma ci son centinaia di persone, migliaia di persone, milioni di persone in questo Paese che fanno queste cosette, perché a volte possono anche essere divertenti, a volte meno. Qui, fra l’altro, ricordo che ci fu un intervento dell’avvocato Pepi, il quale disse: ma tutte queste cose non fanno parte del processo, sono irrilevanti. E qui intervenne il Presidente che respinse l’opposizione – pagina 48-49 dell’udienza del 27/06/97 — e dice: “Noi non conosciamo il movente di questo delitto, tanto per essere chiari, di questi delitti… di questi delitti.” Bravo, signor Presidente. Bravo signor Presidente. Fece proprio bene a respingere questa opposizione, perché questa cosa andava invece approfondita, poi invece abbiamo fatto qui… è giusto richiamare il Calamosca, certamente, andava fatto, l’abbiamo fatto. Bene, ottimo. E l’abbiamo fatto. Gli è stato chiesto al dottor Giuttari – e risponde a pagina 40 – sul passaggio dei soldi a Vinci, da questo gruppo al Vinci; perché il gruppo che acquista, il Vinci è quello che vende: “Avete fatto delle indagini sul passaggio dei soldi?” Dice: “No, questo non è stato fatto.” Dice il dottor Giuttari. Che volete fare, che si deve fare? E sul punto il dottor Giuttari, se la cava in questo modo : “No, le dichiarazioni di Calamosca sole no.” Perché lo capisce che il Calamosca non è decente, vero, come personaggio. “Perché dall’altro lato abbiamo anche una consistenza patrimoniale non giustificata del Pacciani.” E qui si inserisce questa cosa dei soldi di Pacciani, che siccome ha messo da parte un po’ di soldi, quindi anche là, dice il dottor Giuttari: “Abbiamo una situazione che parte dall’81, quando iniziano i delitti, e che può essere una situazione analoga a quella del Vinci Francesco.” Come, come, come? Un momentino, scusate, fermi tutti, eh. Qui siamo alla ricerca dei soldi che sarebbero passati dal gruppo dei maghi facoltosi di Faltignano, maghi facoltosi che dormono in una casa in cui ci piove, accidenti, dentro e che si curano un cancro facendosi fare delle iniezioni dalla briaca Ghiribelli, che non mi sarei fatto fare io da lei neppure, che devo dire, un manicure, sbronza come era; si sta cercando di afferrare questo passaggio di danaro per l’acquisto di questa arma-feticcio e si dice: ma il Pacciani c’ha i soldi. Come? E che vuol dire? Ma il Pacciani dovrebbe essere fra quelli che li spende per comprare l’arma, no? “E quindi potrebbe esserci qualche cosa di analogo rispetto a Francesco Vinci.” Come? Analogo? Che c’entra? Ora qui dovrei sprecare un sacco di tempo – ma ve ne ho già parlato – e dire perché Pacciani c’ha i soldi, e perché poi possono essere tanti motivi, alcuni… Ma poi il motivo è lì, è la persona che non vive, è la persona che monetizza ogni cosa, monetizza le figlie, monetizza le girate quando va in campagna, perché piglia gli asparagi selvatici, monetizza i cani che gli affidano, monetizza ogni cosa, insomma, una persona così, negli anni e con gli interessi, perché questi soldi lui li mette a fruttare, vero. Si può arrivare eccome a questi soldi. E tutto questo di fronte ad una persona come Francesco Vinci, che muore in quel modo, riguardo al quale non si sa assolutamente… non si sa quasi nulla, salvo che è morto e che è stato ammazzato, lui è il servo pastore, e l’unica cosa che so io, ve l’ho detta, quella dell’incontro alle Cascine del Riccio, visto da lui, fra una certa persona e la Barbara Locci. L’uccisione di Vinci è collegata ai delitti del “mostro”? Beh, sì, può darsi benissimo. E lo possiamo, però, per questo ritenere il venditore, per quelle ragioni esoteriche assurde che ho detto, di quella arma che a suo tempo ha sparato alla Barbara Locci, a questi terzi maghi o esoterici che hanno in mente i riti? E dobbiamo, da questo, dire che questo processo ha portato un benché minimo contributo probatorio all’idea che questo signore poi ricatta in seguito questi terzi, lucrando ingenti quantità di danaro, oltretutto senza aver fatto accertamenti sulle sue disponibilità all’epoca, che non se ne fanno? No, non si può fare, no. É tutto un fuor d’opera. No, è tutta una cosa da respingere in blocco. Ed è poi da respingere in blocco perché, vedete, il Vinci… va bene, il Vinci trova un signore che un bel giorno Vinci è là che gira per chissà dove con la sua calibro 22, con la guale ha ucciso la Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, trova un facoltoso signore il quale vuole per l’appunto quell’arma per quella ragione che si è visto – esoterico-magica, da magia nera, da riti e tutto quello che vogliamo – e trova guesto qui che dice: ‘senti, vendimi quest’arma te la pago benissimo, quanto vuoi?’ ‘Cinquanta milioni’. Tale gli dà cinquanta milioni. Benissimo. E lui ha venduto un’arma Vinci, no. Poi Vinci, va bene, sente dire che una calibro 22, che ce n’è tante, ammazza delle persone in giro, no. Questo lo sanno tutti. Ma che sia quella che ha venduto lui come fa a saperlo? Perché lui si è tenuto i reperti delle pallottole? Ma capite? Voglio dire, ma siamo a ragionare in questo modo. Vinci sa che a un certo punto deve aver capito che i delitti avvenuti nella provincia di Firenze erano stati fatti con quell’arma lì. Come fa? Lui un giorno ha trovato un signore e gli ha detto: ‘vendimi quell’arma’. Lui gliel’ha venduta, questo gliel’ha pagata benissimo. Basta. I collegamenti li fanno i periti e li fanno da un certo momento in poi, no. É vero? E lui come fa a farli? Non ha strumenti per farlo. Allora, questo lo sto dicendo per valutare l’attendibilità del signor Calamosca. Il quale viene a dire – non è mica scemo il Calamosca, vero; Quando lui inventa le storie, in quell’ambiente mefitico che è il carcere, poi lui, insomma, cerca di raffazzonare qualche cosa – il quale vi viene a dire: Vinci se ne accorge che quella è l’arma, quella che spara e uccide le coppie, quella che ha venduto lui.Implicitamente voi dovete dire che Vinci se ne accorge perché l’ha letto sul giornale. Eh, perché altro sistema lui non ne ha per saperlo, eh. Come non lo sa nessuno al mondo, prima di una certa data, che quella è la pistola, la pistola che spara nel ’74, nell’81 di giugno, nell’81 di ottobre, è la stessa pistola che ha sparato nel ’68, come non lo sa nessuno al mondo, salvo l’omicida delle coppie – lui lo sa – così non lo può sapere nemmeno Vinci. Anche se lui è quello che un giorno ha venduto una calibro 22 a qualcuno, no? Siamo d’accordo su questo? Lo possiamo mettere come punto fermo? Allora, il Calamosca vi dice: lui, però, a un certo punto, siccome sa di essere lui il venditore della pistola incriminata, sta sul chi vive, ha paura, viene da me, vuole il passaporto, era tutto teso e tutto il resto. No? É quello che vi è venuto a dire, no. E questo quando? Quando ve l’ha detto il Calamosca? A Ferragosto del 1982. É vero? E questo difensore ha dimostrato che a Ferragosto del 1982 non lo sapeva nessuno che quella pistola era la stessa, che la notizia arriva molti mesi dopo. Ve l’ho dimostrato portandovi i giornali che voi, questa volta, correttamente, avete allegato agli atti. Quindi, il signor Calamosca, tutto quello che vi è venuto a raccontare, da furbastro, perché poi un tipo come Calamosca c’ha sempre qualche cosa da vendere e da comprare lui, eh. Non credete mica che l’abbia fatta gratis questa cosa, Calamosca è un personaggio dentro fino a quassù con i sequestri dei sardi, eh. Questo mi pare abbia dovuto dirlo anche il dottor Giuttari. Lui è stato processato, poi siccome è uno di quelli che si tiene proprio – furbo delle tre cotte – alla larga, eccetera, ma lui è sospettato che in questa sua tenuta grandissima, che c’ha una tenuta grandissima con queste case, lui… lì ci sono state delle prigioni, secondo dei sospetti pesantissimi che gli sono costati un giudizio, che l’ha negato qui, spudoratamente, dice: io, in galera? Come no? Accidenti. Come si chiama il sequestro di Bologna, quel tipo di Bologna?

(voce non udibile)

Avv. Nino Filastò: É un pezzo non mi viene in mente, insomma, lui è stato dentro, poi è stato assolto in Appello, è stato tenuto… è venuto fuori in Appello ma è stato dentro per quel sequestro lì. Quindi, è uno di quelli che proprio, insomma, sa come giostrare, come dare… E però stavolta gli è andata male, perché una piccola carta, un piccolo giornale, un piccolo foglio di giornale, lo smentiscono platealmente, e tutto quello che dice deve essere buttato in una fogna con lui e tutto il resto. Il quale, tra l’altro, in tutta questa storia ha avuto anche un ruolo in un processo che si fece, fece lui, intentò il processo per diffamazione a un giornalista. Giornalista, sì, di una rete locale, TV, questo “Gei”, un investigatore privato di Lecce che venne qua convinto di trovare il “mostro di Firenze” anche lui, ma quanti ce n’è stati? E a un certo punto lo individuò nel Calamosca, questo giornalista, che prese su, disse quello: ‘lo so io chi è il mostro, è il Calamosca’. Questo si è arrabbiato e ha fatto una querela per diffamazione. Ha fatto anche bene, l’ha fatto condannare. Va be’. Andiamo avanti, torniamo agli aspetti, come dire, un po’ più… un po’ meno generali del nostro processo e affrontiamo da questo punto di vista qua, un altro preteso riscontro, che sarebbe quello rappresentato dalla Sabrina Carmignani. Allora, la Sabrina Carmignani dove è andata a finire? Mah. Eccola. Cosa dovrebbe riscontrare la Sabrina Carmignani? Dovrebbe riscontrare che alle 17.30 di quella domenica, circa nella piazzola c’era una macchina di cui l’autista fa macchina indietro, con una persona – una persona — e che dovrebbe servire, chi lo sa, dal punto di vista dei “compagni di merende”. Mah, insomma, mi sembra un qualche cosa di estremamente poco valido, perché Vinci può essere andato con una macchina qualsiasi e da questo punto di vista la Sabrina Carmignani può essere, sostanzialmente, equiparata a James Taylor, che sono tutte indicazioni che vengono in questo processo, come dire, ad abundantiam, quasi per fare un po’ numero, il quale James Taylor avrebbe visto un’autovettura senza nessuno a bordo, una FIAT 131 color argento. Ma che è la macchina del Lotti? No, non è la macchina del Lotti. Non ha mai avuto una 131 color argento. La macchina di Pacciani? No, nemmeno di Pacciani, perché Pacciani anche Pacciani non ha mai avuto una 131 color argento. La macchina di Faggi? Neppure, perché non l’ha avuta nemmeno il Faggi la macchina 131 color argento. Allora? Allora? La macchina, sì, va be’, sì, va be’, la macchina, certo; è una strada, ci sono delle macchine e si capisce, che volete fare? Cose che capitano, alle strade, di esserci delle macchine in un certo posto, anche in un certo giorno. Ma la Sabrina Carmignani però ci è utile. E dobbiamo occuparcene perché rappresenta uno dei temi della generica di cui questo difensore si deve occupare perché insieme a quella generica prova del fatto, voglio dire, che è uno dei temi di questo… la difesa di Vanni si occupa, come ha fatto per Baccaiano, per rilevare un altro gravissimo, a mio parere, contrasto con le dichiarazioni di Lotti. Perché la Sabrina Carmignani, secondo chi vi parla vi dà la prova del fatto che il delitto del 1985 agli Scopeti è avvenuto di sabato e non di domenica. Per fare questo non ci sono soltanto le dichiarazioni di Sabrina Carmignani fatte al dibattimento, ma ci sono quelle anche rese ai Carabinieri, processo verbale di sommarie informazioni che sono state rese ai Carabinieri il 9 di settembre del 1985. Se voi non le avete, siccome devono essere allegate, perché su questo punto vennero fatte delle contestazioni alla Sabrina Carmignani, eccole qua, questa è una copia che io… Glieli potresti porgere? Glieli puoi porgere te, ti dispiace? Allora, Sabrina Carmignani dice questo, in questo verbale ai Carabinieri: “Verso le 17.30 circa di ieri 8 corrente, unitamente al mio fidanzato Galli” – che sono confermate da Galli – “ci siamo recati agli Scopeti, nei punti in cui sono stati rinvenuti i cadaveri di due persone, in data odierna. Preciso che ci siamo fermati vicinissimo alla tenda, molto piccola, di colore grigio chiaro. Poiché pensavamo di disturbare la gente che eventualmente fosse dentro a dormire, sempre a bordo della nostra autovettura siamo venuti nuovamente a ritroso fermandoci a pochi metri di distanza, dove abbiamo consumato un panino. Volevamo ancora rimanere, ma temendo di dare disturbo ci siamo allontanati. A domanda risponde: “Ricordo che davanti alla tenda, che si affaccia verso la strada, ho notato un po’ di sporco, mi sembrava cose da mangiare e una macchia di unto, senza peraltro notare bene di cosa si trattasse.” Ora voi pensate a quella chiazza di sangue, ritenuto tale, che viene trovata davanti alla tenda dei francesi e che è sangue di quella poverina delle Nadine Mauriot, tanto che qualcuno – in maniera, secondo questo difensore, fantasiosa – ritiene che sia il prodotto dell’aver appoggiato per terra il feticcio. Che sì, può anche darsi, fra l’altro. “Ricordo bene” – attenzione ancora, ora – “che vicino alla tenda vi era una macchina di colore chiaro, mi sembra; anzi, sono sicura che era una Golf i cui fari erano orientati verso la terra, a distanza di circa un metro e mezzo.” Che posizione è di questa macchina? La stessa posizione in cui si trova la macchina dopo, al momento in cui vengono scoperti i cadaveri. E qui invece, secondo la ricostruzione, siamo nel pomeriggio e questi ragazzi dovrebbero ancora andare a cena alla Festa dell’Unità, no, spostando la macchina. L’hanno riportata rimettendola allo stesso esatto punto? Bah, può darsi ma è molto difficile. E queste sono due cose. Ma non è mica finita. “Poi è vero che” – precisa – “che parlando di cosa untuosa” – no, non ha parlato di cosa untuosa, ha parlato di macchia di unto – “voleva riferirsi a un pezzo di carta.” Ma ne ha già parlato prima, ha parlato di macchia di unto. Però qui aggiunge qualche cosa, alla fine di questo verbale: “Da come si presentava esteriormente” – sta parlando della tenda – “con un rigonfiamento nella parte inferiore…” immaginatevi la tenda chiusa, tenda chiusa che ha un rigonfiamento nella parte inferiore, verso la persona che guarda, così dice la Sabrina Carmignani. “…ho avuto la sensazione che all’interno della tenda vi fosse almeno una persona.” No, questo è … alla fine di questo verbale. “La parte della tenda era aperta, ribadisco che al mio arrivo ho potuto notare che la parte anteriore della tenda era aperta e che parte di essa, più precisamente il lembo superiore destro, era piegato all’ esterno.” Come vi dirà poi al dibattimento, quando vi dirà che la tenda gli appariva sciupata. E come vi si presenta la tenda dopo il delitto? Sciupata? Perché qualcuno, forse il ragazzo, mentre scappava o forse l’inseguitore gli è andato addosso e l’ha piegata. Là c’è poi quel che dice la Sabrina Carmignani al dibattimento, quando vi dice che, vedete, questo dello sciupamento della tenda, vi dice : “Non era…” – dice a pagina 90 del verbale del dibattimento del 30 giugno 97, fascicolo numero 13 – “Non era tirata come una normale tenda, era un po’ sciupata. E però” – dice – “Poi però, un po’ per il cattivo odore, un po’ perché la tenda c’era tutto sporco…” “Cattivo odore”, eh, insomma. Che poi questo cattivo odore si precisa di che cattivo odore si parla: si parla di puzzo di morto! L’avvocato Pepi chiede: “Ecco non lo potrebbe specificare che tipo di odore è?” La signorina Carmignani risponde: “Non lo so, era un. . . cioè, più che altro dava l’impressione se c’è qualche animale morto da giorni, ecco, più o meno quello.” L’odore della putrefazione. E a questo punto voi sapete che tipo di accertamento successivo ha svolto questo difensore su questo punto. Il quale difensore, interrogando alcune persone, alcuni indagatori che erano arrivati sul posto, ha domandato loro se avevano fatto una certa ricerca. Qual è questa ricerca? Il sedile posteriore della macchina dei francesi, sul sedile posteriore della macchina dei francesi è inserito un passeggino da bambini, un seggiolino da bambini. Quando gli inquirenti, coloro che fanno le prime constatazioni arrivano sul posto, trovano i due cadaveri, uno quello della Nadine Mauriot, e l’altro quello del Kraveichvili, immediatamente si accorgono che ci sono i cadaveri di questi due giovani, ma non c’è il bambino. E allora siccome c’è il seggiolino del bambino, queste persone si attivano subito e vanno a cercare dappertutto. Che cosa? Il cadavere del bambino, che altro devono cercare? In quel momento li, queste persone, questi indagatori hanno questa orribile intuizione, che insieme ai due giovani, l’omicida abbia ammazzato anche il bambino, di cui c’è lì il seggiolino. Ma del bambino non c’è traccia. Allora si mettono a cercare, a cercare tutto intorno, in maniera approfondita. E va bene, un bambino piccolo, potrebbe… se avessero trovato un cane morto, se avessero trovato un gatto morto, se avessero trovato un animale morto, qualsiasi, immediatamente avrebbero detto: ecco, guardate, qui c’è un animale morto. Potrebbe essere, eh, va be’, decomposto o che, chissà, l’avrebbero detto, no? Invece non l’hanno trovato. Quindi, l’animale morto, lasciando da parte la chiazza, lasciando da parte la macchina, lasciando da parte il lembo della tenda sciupato, così com’è nel momento successivo al delitto, c’è questo odore di putrefazione che non appartiene ad un animale morto. Perché le ricerche sono state fatte e, a domanda: ‘no, non abbiamo trovato nulla di questo genere’. Allora a chi appartiene questo puzzo di morto? Chi è che emana questo odore di putrefazione? E’ la povera Nadine Mauriot che è morta. Alle 17.30 di pomeriggio la signorina Nadine Mauriot è morta, perché lo dice la Sabrina Carmignani, e non c’è niente da fare, vero, secondo me, non c’è proprio nulla da fare. La questione è questa e non c’è nulla da fare. Vedete, ora io dico, tutto questo trova anche degli addentellati da un punto di vista della prova generica, vale a dire degli accertamenti fatti dai periti, i quali constatano, e poi lo potete vedere da voi, la presenza della larva della mosca mortuaria, che è un animale che si sviluppa nella forma della larva e poi… perché ci sono anche le mosche, fra l’altro, che nascono sui cadaveri, almeno dopo due giorni. E le osservazioni del perito Maurri il quale continua, a ritenere che questi ragazzi siano morti la domenica e non il sabato precedente, sono osservazioni che non sono propositive, nel senso di dire: ‘no, no, io ho dei dati obiettivi per dire che queste persone sono morte la domenica’, perché non ce li ha questi dati. Ha tutti dei dati che portano, spostano la morte al giorno prima. L’unico dato qual è, se ci pensate un attimo? Una sorta di deduzione che fa anche il Pubblico Ministero qui a questa udienza quando discute quest’aspetto del problema, e vi dice: signori cari, ma ci pensate, ma come è possibile che due cadaveri siano rimasti lì per due giorni senza che nessuno se ne sia accorto? Perché non ci son rimasti almeno un giorno e mezzo? No, quanto son rimasti? Dalla sera, diciamo 24, fino al giorno dopo quando sono stati trovati. No, e quindi. . . Come ci son state queste ore qui, possono esserci state il doppio e perché no, o non l’ha fatto apposta il signor serial-killer della provincia di Firenze – chiamalo signore, ora un’altra, mi doveva scappare anche il signore per il serial-killer, maledetto lui – di nasconderli: la ragazza dentro la tenda e quell’altro poveraccio dentro un cespuglio con i bidoni sopra. Gli elementi tanato-cronologici, sono tutti… l’aspetto negroide del viso, le labbra protundenti dei due cadaveri, la presenza della mosca, della larva della mosca… Consultate un qualsiasi testo di medicina legale, io ho consultato il Tuvo (?), che è un po’ come dire, è una specie di Bibbia e vedrete se questi non sono tutti reperti che si sviluppano dopo almeno due giorni. Dice ‘c’era il calore’, va be’, certo. In certe condizioni si sviluppano prima, ma almeno come limite minimo è quello. Tant’è vero che, prendete la perizia De Fazio, e quelli sono medici legali anche loro, e quelli sono persone che di cadaveri ne vedono anche loro, eccome se ne vedono, ne vedono tantissimi, la perizia De Fazio comincia e dice:”Sul delitto dei francesi, avvenuto il sabato, nella notte di sabato, fra il 7 e l’8 settembre…” eccetera. Non lo mettono neppure in dubbio. E hanno visto i cadaveri, li hanno esaminati, hanno partecipato alla necroscopia e questa cosa non la mettono neppure in dubbio. E se così è, perché così è, non si può anche qui prendere la tessera del puzzle, perché è così, perché la Sabrina Carmignani il puzzo di morto l’ha sentito e non c’è nulla da fare, il puzzo di morto è il puzzo di morto; non è assolutamente distinguibile e confondibile con niente altro, e lì non ci sono pattumiere, e lì non ci sono cadaveri di animali, non c’è un accidente di niente che possa provocare questo terribile odore. Non c’è niente da fare e le. cose stanno così. E poi i testimoni portati dal Pubblico Ministero qui a dirvi: ‘ma noi l’abbiam visti domenica’. Domenica, come fanno a dirlo domenica. Uno fra 1’altro è venuto qui e c ‘ ha detto : ‘io addirittura pensavo che fosse venerdì’! Altro, io direi, autogol del Pubblico Ministero. Porta un testimone che deve dire di aver visto. . . invece: ‘ma io per dir la verità all’epoca pensavo di averli visti addirittura di venerdì’. E invece era probabilmente, sì, forse. . . o sarà sabato, invece. E se poi avete qualche dubbio, Signori della Corte di Assise di Firenze, su queste cose io vi ho detto, siccome è un punto importantissimo, voi capite, perché se questi sono morti il sabato invece che la domenica… Perché voi capite, i processi son fatti così, a un certo punto, certe cose sembrano, come dire, si radicano, mi sembra di vedere come una concrezione di tipo da minerale, insomma, che si inserisce lì e, porca miseria, a scalzarla ce ne vuole, perché è lì è rimasta ferma in quel modo e non c’è… insomma, la gente dice: ma cosa rompe le scatole questo avvocato, ora si sa tutti, son morti di domenica. Ma come si sa tutti? Se voi aveste dei dubbi, sentite quella parente della Nadine Mauriot.

Presidente: Parente…?

Avv. Nino Filastò: Della Nadine Mauriot, Presidente, che è indicata negli atti, c’è, è negli atti del Pubblico Ministero. Voi la chiamate e sentite che questa signora è già stata interrogata, cosa vi dice: ‘non è possibile, perché il lunedì mattina i bambini dovevano andare a scuola e questi dovevano essere là il lunedì. Non è possibile che si siano trattenuti a Firenze anche la domenica. Ed era il primo giorno di scuola’. Ma volete che questa povera donna, Nadine Mauriot, questa bella ragazza, la volete così madre snaturata da far andare i bambini soli a scuola il primo giorno di scuola da soli? No. Non glielo fate questo dispetto alla memoria di questa ragazza. Dovevano partire, non sono partiti. Dovevano partire la mattina di domenica, non sono partiti, son rimasti lì; sono rimasti lì perché hanno trovato la belva, si sono imbattuti, con tutto il rispetto per le belve, perché le belve non fanno queste cose che fa questo individuo perfido. Speriamo prima o poi di vederlo in faccia. Signor Presidente, io ce n’ho ancora per un’oretta e mezzo, mi manda a domani mattina? Perché non ce la fo più, e credo anche la Corte non ce la faccia più.

Presidente: Anche per regolarci un pochettino, volevo sapere, le repliche delle parti, quanto tempo impiegano e quante ve ne sono, perché la Corte, i membri della Corte, devono sapere se portare… quando si ritirano in Camera di Consiglio, quindi, un minimo di tempo, almeno una giornata prima bisogna saperlo. Domani, allora, parla, finisce l’avvocato Filastò. Bene?

Avv. Nino Filastò: Grazie Presidente.

Presidente: Subito poi ci sono le repliche…

Avv. Nino Filastò: E ancora grazie per avermi consentito di parlare seduto.

Presidente: No, no, no, avrebbe potuto chiederlo prima avvocato. Una cortesia si può fare a lei e agli altri, chi lo desidera.

Avv. Nino Filastò: Grazie Presidente, ancora.

Presidente: Pubblico Ministero?

P.M.: Presidente, il Pubblico Ministero un po’ – da parlare in replica ce l’ha. Io non so se è possibile parlarne immediatamente dopodomani, dipende da quanto tempo impiega, quanto tempo occupa il difensore domani, dagli argomenti che affronta. Non vedo come si possa fare una replica nel momento stesso in cui finisce. Tra l’altro mi sembra anche che…

Presidente: Va be’, si possono toccare gli argomenti che ha trattato nei giorni precedenti. Cioè, capito, cioè…

P.M.: Ciò…

Presidente: Quello di domani mattina io lo capisco.

P.M.: Ciò, Presidente, presuppone che poi questa replica duri vari giorni. Non ho capito se…

Presidente: Sì, sì, ma io non voglio mettervi limitazioni di tempo, voglio sapere che, insomma, subito dopo l’avvocato Filastò si inizia con le repliche. Questo voglio dire. Con le repliche andiamo uno dietro all’altro, non facciamo le sospensioni, voglio dire, se dura due giorni, tre giorni è un discorso, ma se si può esaurire in un giorno, io non lo so, si può fare mattina e pomeriggio e si chiude. Sennò questo processo è come… non arriva mai in fondo. Va be’, domani mattina se ne parla.

P.M.: Vorrà convenire col P.M. che per la replica…

Presidente: No, no, io volevo sapere solamente sapere quanto tempo occorreva per la replica sua, nel suo complesso.

P.M.: Ah, io non credo molto, però, ecco, mi… cioè, spezzarla, insomma, una ragione anche di convenienza un attimo, perché non vedo come iniziare subito domani e poi, evidentemente, dovrei poi riprendere l’indomani per quello che dice domani il difensore. Insomma, mi capisce che non è…

Presidente: No, domani lo finisce lui.

Avv. Nino Filastò: (voce non udibile)

P.M.: Certo.

Presidente: Lui finisce… alle undici finirà sicuramente. Io non credo che possiamo permetterci di sospendere l’udienza alle undici per andare a dopodomani.

P.M.: Assolutamente no, Presidente, perché possiamo…

Presidente: Quello dicevo io. Al limite si andrà alla mattina e pomeriggio.

P.M.: Per lo stesso motivo possiamo continuare…

Presidente: Mattina e pomeriggio.

P.M.: Presidente, per lo stesso motivo possiamo continuare oggi pomeriggio, se c’è soltanto un’ora non vedo perché si chieda guesta al P.M.

Presidente: Io per me, per me son disposto, però…

P.M.: Perché si chiede… Presidente…

Presidente: …non ce la fa più, dice non ce la fa.

P.M.: Ho capito, ma, insomma, allora abbiamo sempre usato… Comunque…

Avv. Aldo Colao: Presidente, scusi.

Presidente: Ha parla… No, non mi sento oggi di andare al pomeriggio non per difficoltà mia, io posso stare benissimo qui, però se l’avvocato…

P.M.: Sono d’accordo con lei…

Presidente: …ha parlato stamattina dalle nove e venti, sinceramente, insomma…

P.M.: …sono d’accordo con lei, Presidente, le facevo comunque presente la obiettiva necessità…

Presidente: Le altre parti, chi vuol fare le repliche? Chi c ‘è?

Avv. Aldo Colao: Presidente, scusi, io dicevo questo, se lei sabato fa una sospensione, mi sembrerebbe opportuno. E se le parti civili potessero parlare lunedì…

Presidente: Lunedì?

Avv. Aldo Colao: No, non lo so, io sto chiedendo perché… 

(brusio)

Presidente: No, no, no, lunedì… parlano dopo il Pubblico Ministero…

Avv. Aldo Colao: …sembrava che l’avvocato Filastò parlasse…

Presidente: …subito attacca le parti civili e eventualmente qli altri difensori.

Avv. Aldo Colao: …per due giorni, e invece poi è andato molto avanti.

Presidente: No, no, si va in continuazione, non possiamo fare sospensioni.

Avv. Aldo Colao: Se lo stesso fa il P.M., ha capito? Quindi, per avere un calendario, non lo so, noi faremo una breve replica, ma…

Presidente: Ormai… è fatta, dovete toccare dei punti specifici che non vi tornano. E basta, punti precisi. E basta.

Avv. Aldo Colao: Sì, d’accordo.

Presidente: Senza fare più altri discorsi…

Avv. Aldo Colao: No, ma per sapere…

Presidente: …stavolta non si fanno più, eh. Si sta un po’ precisi, eh.

Avv. Aldo Colao: No, ma che si fa sabato, scusi?

Presidente: Come?

Avv. Aldo Colao: Sabato lei tiene udienza, o no?

Presidente: Vedremo se si tiene udienza o andiamo in Camera di Consiglio. Io non posso saltare da giovedì a sabato.

Avv. Aldo Colao: Va bene, d’accordo.

Presidente: A lunedì.

Avv. Aldo Colao: Avevamo degli impegni anche noi, quindi volevamo…

Presidente: Eh, ma gli impegni non vengono…

Avv. Aldo Colao: …sapere come fare a regolarci, ecco.

Presidente: D’altra parte la replica è facoltativa. Chi si sente la fa, chi non si sente non la fa. Comunque, domani mattina alle nove e mezzo… alle 9.00.

P.M.: Bene, Presidente, grazie.

Presidente: L’udienza è tolta. Ordino nuovo accompagnamento del Vanni.

11 Marzo 1998 68° udienza processo Compagni di Merende

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