Pacciani è stato ucciso da un farmaco
I periti confermano: quelle pillole erano una condanna
a morte. Pacciani confessò: “Vogliono eliminarmi”
di GIANLUCA MONASTRA
FIRENZE – Non un semplice infarto, ma un omicidio “pulito”, silenzioso e camuffato. Ora non è soltanto un’idea per rileggere in modo diverso la morte di Pietro Pacciani, ma un’ipotesi puntellata da una perizia tecnica richiesta dalla procura e ieri mattina consegnata nelle mani del sostituto procuratore Paolo Canessa, pm dell’inchiesta sui delitti del mostro. Per mesi, i tossicologi forensi Francesco Mari e Elisabetta Bertol hanno analizzato liquidi organici e passato al setaccio la grande quantità di medicine trovate a casa Pacciani. Risultato: ottanta pagine di relazione. Ieri il pm ha ritirato la perizia è imposto il silenzio totale sui risultati. “Vogliamo leggerla con grande attenzione” dicono in procura. Ma dal buio del top secret, qualcosa trapela e quel qualcosa racconta una storia sospetta che spalanca la porta all’ipotesi dell’omicidio.
Un mese dopo le anticipazioni di Repubblica sulla perizia, arriva dunque la conferma. Sotto accusa c’è un farmaco, una medicina prescritta a Pacciani nell’ultimo anno di vita che sarebbe stato controindicato per un soggetto come lui, cardiopatico, obeso, piegato dal diabete. Un farmaco che se assunto per troppo tempo ed in quantità eccessiva sarebbe divenuto fatale per un uomo di 73 anni con tre infarti alle spalle. E invece tracce di quella sostanza sarebbero state trovate nei liquidi organici di Pacciani, dando nuovo vigore all’ipotesi di una morte indotta, con passo lento ma inesorabile, pillola dopo pillola. La perizia comunque non si chiude con certezze blindate. E proprio per questo la procura vuole leggerla a fondo prima di commenti ufficiali.
Soprattutto resta da capire se il farmaco sia stato prescritto in buona fede e poi trasformato in killer da qualcuno che ne ha consigliato un uso eccessivo e prolungato, o se ordinato direttamente da chi voleva uccidere nell’ombra. Oppure, ma è l’ipotesi meno probabile, se sia stato lo stesso Pacciani, poco lucido e molto malato, a sbagliare dosi.
Pensava di curarsi Pacciani, e invece veniva eliminato in silenzio. Questo lo scenario immaginato dal capo della squadra mobile Michele Giuttari e dal pm Canessa che nel marzo scorso ha aperto un fascicolo contro ignoti nel quale si ipotizza l’omicidio. Pietro Pacciani viene trovato morto nella sua casa di Mercatale, il 22 febbraio 1998, una domenica pomeriggio. In quel momento è in attesa di un nuovo processo per i delitti del mostro. Nel ’94 era stato condannato all’ergastolo per sette degli otto duplici omicidi, ma nel febbraio ’96 era arrivata l’assoluzione.
Dieci mesi dopo però la Cassazione aveva revocato la sentenza spingendo di nuovo Pacciani nello scomodo angolo dell’imputato. In quei mesi, secondo la ricostruzione dell’accusa, matura l’idea di far fuori un personaggio scomodo che troppe cose sa e troppe ne potrebbe raccontare sentendosi perso, in trappola. Anche perché i suoi amici di sempre, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, non erano più solo i compagni di scorribande in campagna, ma personaggi in bilico e invischiati nell’inchiestamostro quanto lui, imputati in odore di una condanna che per loro sarebbe arrivata pochi giorni dopo la morte di Pacciani.
Ci sono elementi che rinforzano questa possibile ricostruzione. Ad esempio: in una lettera inviata alla giornalista Gabriella Carlizzi, autrice di un libro sul caso del maniaco della calibro 22, Pacciani avrebbe accennato alla sua voglia di parlare e raccontare la sua verità. E ancora. Suor Elisabetta assistente spirituale di Pacciani, ha raccontato: “Pietro aveva paura di essere ucciso, me lo confessò lui…”.
E poi sin dall’inizio qualcosa non tornava. C’era disordine in casa, il corpo sembrava spostato. Dubbi accantonati dopo la prima autopsia, ma tornati lentamente a galla. “Pacciani è stato portato verso la morte giorno dopo giorno, goccia dopo goccia”, disse il criminologo Carmelo Lavorino del pool difensivo di Pacciani. Sembrava un sospetto appeso sul niente, è diventata una frase da rileggere sotto una luce diversa.
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