Il 3 dicembre 2001 viene inviata una Nota (NdR: poi impropriamente indicata come GIDES, cosa inesatta dato che il pool GIDES non si era ancora formato) sullo stato delle indagini eseguite sino a quel momento. Una Nota (e i GIGES poi) sono un riassunto di ciò che è stato fatto sino a quel momento ed ha lo scopo di mettere a conoscenza la Procura della Repubblica dell’avanzamento delle indagini. La Nota n°500/2001 comunica lo stato di avanzamento delle indagini sui mandanti dei delitti del MdF ed è inviata dalla Questura a firma del Dirigente Michele Giuttari al Sostituto procuratore della Repubblica Paolo Canessa.
Da notare un evento verificatosi nella circostanza. Il Dr. Paolo Canessa, titolare del procedimento sui mandanti dei delitti stava attendendo l’importante informativa sulla vicenda, la cosi detta “nota sui mandanti”, dall’allora dirigente della Squadra Mobile Dr. Michele Giuttari, nota che riguarda anche la morte di Francesco Narducci. Questa nota rimarrà inspiegabilmente bloccata presso il Procuratore Ubaldo Nannucci, da poco insediatosi.
Contemporaneamente all’invio della nota in oggetto il Dr. Michele Giuttari chiede al Sostituto Paolo Canessa e al Procuratore Ubaldo Nannucci le deleghe per approfondire alcune indagini sul MdF in relazione alla nota stessa. Sono deleghe per 14 attività di indagine diverse. Il fatto che la nota non giunga a Paolo Canessa determina che le nuove richieste di deleghe per proseguire le indagini non vengono approvate. Addirittura Michele Giuttari, non avendo ancora ottenuto le deleghe, ne farà di nuovo richiesta di sollecito il 21 maggio 2002, ben quasi 6 mesi dopo la prima richiesta e dopo numerosi solleciti verbali.
Solo a causa degli sviluppi dell’indagine perugina la Procura di Firenze decide di fornire le deleghe per le indagini sulla morte del Narducci al Dr. Giuttari, questo verso la metà del giugno 2002.
OGGETTO: Mandanti dei duplici omicidi attribuibili al cosiddetto Mostro di Firenze. Nota riepilogativa relativa ad un consuntivo delle indagini sui vari filoni, nonché attuale stato delle stesse.
Nota 3.12.2001 n°500/2001 mandanti-stato indagini
Questa la trascrizione:
QUESTURA DI FIRENZE SQUADRA MOBILE N.500/2001 Sq.Mob. Firenze, 3 dicembre 2001
OGGETTO: Mandanti dei duplici omicidi attribuibili al cosiddetto Mostro di Firenze. Nota riepilogativa relativa ad un consuntivo delle indagini sui vari filoni, nonché attuale stato delle stesse.
ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI F I R E N Z E ( c.a. Dott. Paolo Canessa – Sost. )
Con la presente nota si vuole procedere ad un riepilogo delle indagini svolte e su quelle ancora in corso, nonché si vuole puntualizzare lo stato delle indagini, sintetizzando le evenienze investigative ritenute di maggiore importanza e che, al momento, appaiono suscettibili di ulteriori sviluppi. Tale nota, in buona sostanza, vuole rappresentare un punto di arrivo e, nel contempo, un punto di partenza, tanto che, nella parte conclusiva, si sottoporranno alla S.V. alcune proposte investigative, ritenute idonee a dare completezza all’annosa vicenda.
Preliminarmente, appare utile sottolineare che le ipotesi, formulate con la nota del 18 giugno 2001, alla luce delle più recenti acquisizioni, appaiono delinearsi concretamente anche con riferimento a ben individuati personaggi, e non solamente in riferimento al movente principale dei duplici omicidi, riferibili ad un significato esoterico; aspetto, quest’ultimo, notevolmente rafforzatosi con gli elementi acquisiti in ordine al duplice omicidio Mauriot – Kraveichvili e, più specificatamente, in relazione alla presenza delle vittime nel territorio di Sesto Fiorentino proprio alcuni giorni prima che venissero uccise. Infatti, i più recenti sviluppi dell’indagine consentono di poter focalizzare i seguenti punti e le seguenti circostanze di fatto, nonché di poter tracciare dei profili soggettivi più attendibili e che appaiono meritevoli degli opportuni approfondimenti.
1. Significato esoterico del movente principale dei duplici omicidi.
Come noto, alcuni aspetti attinenti l’esecuzione dei delitti, da una rilettura degli atti, non potevano essere ritenuti semplici coincidenze, ma piuttosto manifestazioni necessarie ed essenziali per la realizzazione di quel particolare tipo di omicidi. Si è proceduto pertanto, con apposite note, già inviate alla S.V., ad evidenziare tali aspetti, sottolineando, tra l’altro, come essi sostanzialmente rappresenterebbero una specie di ritualità, che potrebbe trovare la sua spiegazione nel collocare quegli omicidi ai metodi operativi tipici delle sette sataniche o, in ogni caso, dei gruppi dediti alla Magia nera. Oltre a quanto già dettagliatamente riferito nelle precedenti note e, in particolare, in quella sopra citata del 18 giugno 2001, recentemente si è proceduto allo sviluppo di alcune acquisizioni, a suo tempo, documentate dal Commissariato di P.S. di Sesto Fiorentino; elementi, questi, che indubbiamente contribuiscono a fornire una lettura ancora più puntuale del significato esoterico. Si fa riferimento, in particolare, all’acquisizione di alcuni riscontri obbiettivi, che confermerebbero, in maniera attendibile, proprio il significato di cui trattasi. Infatti, in ordine al duplice omicidio ai danni di Jean Michel Kravechvili e Nadine Gisele Janine Mauriot, verificatosi, come noto, la notte tra l’8 ed il 9 settembre 1985 in località Scopeti di San Casciano V. di P., il Commissariato di Polizia di Sesto Fiorentino, in data 17.9.2001, inviava a questo ufficio la nota del 1.10.1985, diretta al Dir. della Squadra Mobile dell’epoca, con la quale veniva trasmessa una relazione di servizio dell’I. P. Picarella, redatta in pari data, relativa alla consegna presso quell’ufficio, da parte di tale Ceri Andrea, di un proiettile per pistola calibro 22, recante impressa sul fondello la lettera “H”; proiettile, che era stato rinvenuto dal predetto Ceri alle ore 15 di quel giorno in una zona boschiva prospiciente la via Carmignianello del Comune di Sesto Fiorentino, vicino ad un mucchio di sassi su cui era stata fissata una croce fatta con due ramoscelli. Nella occasione, così come risulta dalla relazione del citato Ispettore, si riferiva che il Ceri si era recato nella zona del rinvenimento per constatare se fosse stato manomesso un mucchio di sassi, dallo stesso notato alcuni giorni prima e che, secondo la sua convinzione, avrebbe potuto avere qualche riferimento a fatti religiosi od altro. Nella nota di trasmissione della relazione, si faceva altresì presente che, dalla località in questione, erano stati allontanati da una guardia venatoria volontaria, tale Zoppi Gianni, i due cittadini francesi Jean Michel Kravechvili e Nadine Gisele Janine Mauriot qualche giorno prima che gli stessi venissero uccisi in località Scopeti di San Casciano. Si faceva, a tal proposito, presente che, in data 10.9.1985, la suddetta circostanza era stata riferita al Dirigente Regionale della Criminalpol. In data 21.9.2001, sempre il Commissariato di Sesto Fiorentino, su richiesta di questo ufficio, trasmetteva la nota, esistente in quegli atti, relativa alla trasmissione al Dirigente della Criminalpol del verbale di sommarie dichiarazioni testimoniali, rese in quell’ufficio dal citato Zoppi Gianni. Nel citato atto, redatto il 10.9.1985, alle ore 9, quest’ultimo, impiegato postale, Guardia venatoria volontaria alle dipendenze della Federcaccia, riferiva che i due cittadini francesi, uccisi a San Casciano, ed i cui volti aveva visto sul giornale “La Nazione” di quel giorno, erano stati allontanati da lui e da un suo collega, tale Cellai Francesco, durante un servizio di vigilanza venatoria in via di Carmignianello, intorno alle ore 7,15 del 4.9.1985, in quanto erano accampati in uno spiazzo, frequentato da coppie, dove vigeva il divieto di capeggio imposto dal Comune di Sesto Fiorentino. Aggiungeva che, prima di allontanarsi dal posto, aveva constatato che i due turisti effettivamente avevano tolto la tenda, allontanandosi. Dichiarava, 4 altresì, che, nella stessa zona, nei giorni precedenti, aveva notato una moto di grossa cilindrata di colore bianco, presumibilmente di marca BMW o Moto Guzzi, targata sicuramente Firenze, con due borse laterali, alla cui guida vi era un uomo di circa 55 anni, di robusta costituzione, alto un metro e 75, viso tondo, carnagione scura. Precisava al riguardo che sarebbe stato in grado di riconoscere quell’uomo. Il predetto Zoppi non è stato risentito da questo ufficio perché, nel frattempo, é deceduto. Il giorno 1.10.2001, personale di questo ufficio assumeva a sommarie informazioni Ceri Andrea. Costui dichiarava:
– che nel 1985 praticava il volontariato come guardia giurata volontaria per conto della Federcaccia, con compiti tra l’altro di controllo delle zone di ripopolamento e cattura di Monte Morello, insieme ad un collega, Zoppi Gianni, deceduto verso la fine degli anni 80/inizi anni 90;
– che nei primissimi giorni del mese di settembre 1985, lo Zoppi gli aveva riferito di avere allontanato da una piazzola due persone, campeggiatori abusivi, poi dallo stesso riconosciute nelle foto dei due cittadini francesi uccisi,
– che lo Zoppi gli aveva riferito che, entrato in contatto con la Polizia della Questura, si era recato con alcuni operatori nella piazzola in questione, ove avevano rinvenuto tracce dei due francesi (lattine di birra francese e pacchetti vuoti di sigarette di marca francese);
– che, qualche giorno prima del delitto, si era recato ad eseguire un controllo nella zona boschiva di via di Carmignianello, ove erano solite appartarsi le coppiette. Nella circostanza, aveva notato una struttura fatta con sassi e pietre di forma circolare e, poco distante, altre analoghe costruzioni, all’interno delle quali c’erano bacche e/o ramoscelli di alberi di circa 15 cm posizionati all’interno. Precisava che si trattava di un vero e proprio mosaico, costruito accuratamente con pietre di dimensione media/piccola incastrate tra di loro, di forma circolare e di diametro di 90 cm precise, così come aveva accertato utilizzando una ruota metrica in suo possesso;
– che la zona in questione era da lui conosciuta come zona “sacra” con riferimento al fatto che era stata utilizzata dagli Etruschi come luogo mortuario, tanto che a poche centinai di metri in linea d’aria si trovano le tombe etrusche “La Montagnola” e “La Mula”;
– che, incuriosito di tale rinvenimento, si era rivolto ad una signora di Sesto Fiorentino, conosciuta per le sue conoscenze esoteriche, tale Gasperini Rosetta. Costei, invece di dargli una risposta, gli aveva consegnato un libro del ‘700, scritto in francese o latino, affinché trovasse in esso, da solo, la risposta alla sua curiosità. In effetti, all’interno del libro, aveva trovato una figura umana che aveva catturato la sua attenzione per il fatto che su di essa vi erano sovrapposti dei cerchi del tutto simili a quelli da lui rinvenuti. Nell’occasione della restituzione del libro alla Gasperini, questa gli aveva detto che quella figura faceva riferimento ad un rito di magia nera;
– che, successivamente, in altra occasione, era andato sul posto con un poliziotto di Sesto Fiorentino, tale Lombardi Vittorio, il quale, con una pala, aveva scavato all’interno di uno dei cerchi rinvenendo una porzione di pelliccia che, in base alla sua esperienza di cacciatore, poteva attribuirsi ad un animale e probabilmente a quella di un gatto;
– che, in altra occasione ancora, era tornato sul posto sempre con lo stesso Lombardi e con un altro poliziotto, tale Picarella, fotografando le circonferenze dei cerchi. Successivamente, sempre in compagnia dei suddetti poliziotti, si era recato nel luogo ove erano stati uccisi i due francesi, per verificare se fossero presenti anche in quel posto dei segni simili, ma l’esito era stato negativo;
– che, qualche giorno dopo, era tornato nuovamente sul posto del rinvenimento dei cerchi spinto dalla curiosità e, in questa occasione, durante le ricerche, aveva rinvenuto, all’interno di una macchia di vegetazione che dava proprio sulla piazzola, ove erano solite intrattenersi le coppiette, una specie di postazione ben nascosta dalla quale era possibile vedere senza essere notati. In questo posto, aveva trovato una cartuccia calibro 22 con impressa sul fondello la lettera “H”, integra nelle sue parti e senza segni di ruggine od altro, tanto che aveva dedotto che si trovasse lì da poco 6 tempo. Precisava che aveva portato detta cartuccia al Commissariato di Sesto Fiorentino, consegnandola al Picarella, al quale aveva raccontato ciò che aveva scoperto. Precisava altresì di non essere stato preso a verbale né in quella occasione, né nelle altre;
– che aveva consegnato le foto, da lui scattate e sviluppate, con i relativi negativi, a Picarella o a Lombardi;
– che della scoperta della “stanza” di arbusti e del ritrovamento della cartuccia, a parte il Commissariato, ne erano a conoscenza la sua ex moglie, Robalti Maria, e l’attuale sua compagna Goretti Giuliana, mentre, ad eccezione dello Zoppi, nessun’altra guardia volontaria era a conoscenza delle sue scoperte;
– che, nell’anno 1992, aveva inviato un fax al dott. Perugini, così come risultava in questi atti, a seguito di notizie di stampa che riportavano l’invito della Polizia ai cittadini a collaborare. Precisava che, dopo l’invio del fax, era stato contattato telefonicamente ed in modo fugace da qualcuno della Questura, che in seguito non si era fatto più sentire;
– che era in grado di indicare i luoghi di cui aveva parlato.
Cellai Francesco, assunto a verbale in data 1.10.2001, confermava il controllo dei due turisti francesi, eseguito da lui stesso e dallo Zoppi nel corso di un servizio antivenatorio in uno slargo, che si raggiungeva percorrendo la strada Carmignianello e che si trova vicino all’allora villa Marini. Precisava che la zona in questione era notoriamente conosciuta come zona frequentata da guardoni, che spiavano coppie in intimità.
A seguito di sopralluoghi, effettuati da personale dipendente, in data 1.10.2001, insieme al Ceri Andrea e, in data 3.10.2001, insieme al Cellai Francesco, veniva localizzata la piazzola in questione e i luoghi, ove era stata rinvenuta la cartuccia cal. 22 ed i cerchi fotografati dal Ceri.
In data 3.10.2001, veniva assunta a verbale Gasperini Rosetta. Costei, appassionata di esoterismo, riferiva:
– che, qualche giorno prima dell’uccisione dei due turisti francesi, il Ceri Andrea le aveva consegnato 4 foto polaroid, che aveva scattato in una zona vicino a Monte Morello, allo scopo di dare una interpretazione di quello che raffiguravano;
– che, per interpretare quelle foto, oltre alle sue conoscenze esoteriche, si era avvalsa di un libro che, nell’ambito della sua famiglia, si erano tramandati di generazione in generazione. Precisava che si trattava di un libro del 1812 o del 1814, scritto in parte in latino, in parte in francese ed in parte in italiano;
– che, a suo giudizio, l’interpretazione delle foto, che spontaneamente consegnava a questo ufficio, era la seguente: il cerchio chiuso rappresentava l’unione di due persone e cioè la coppia; il cerchio aperto rappresentava invece l’individuazione della coppia; il cerchio con le bacche e la croce rappresentava invece l’uccisione della coppia;
– che aveva riferito al Ceri tale sua interpretazione, manifestandogli le sue preoccupazioni per qualcosa di brutto che stava per accadere;
– che aveva prestato il libro al Ceri, il quale poi le aveva fatto notare che al suo interno esisteva, a tutta pagina, la figura di un uomo, ritratto in piedi, a braccia e gambe aperte, ricoperta di cerchi concentrici che, secondo la sua interpretazione, toccavano i punti vitali della persona. Precisava di aver riferito al Ceri che quella figura afferiva a riti esoterici;
– che avrebbe cercato il libro in questione per consegnarlo a questo ufficio;
– che, insieme alle foto, conservava un foglietto di carta a quadretti, sul quale vi era disegnata una figura geometrica, notata nel libro e che aveva riportata su quel pezzo di carta. Precisava che si trattava di una figura composta da nove cerchietti, collegati tra di loro da linee.
In data 5 ottobre 2001, veniva sentito a verbale Picarella Carmine, Ispettore Superiore attualmente in servizio presso la Questura di Prato ed all’epoca dei fatti presso il Commissariato di Sesto Fiorentino. In tale sede, il teste confermava di aver verbalizzato il 10.9.1985 il sig. Zoppi Gianni, nonché il contenuto di quelle dichiarazioni, che gli venivano rilette. Confermava altresì la circostanza della 8 consegna da parte del Ceri della cartuccia calibro 22 recante sul fondello la lettera “H” presso il Commissariato di Sesto Fiorentino; cartuccia, che, insieme alla relazione, così come risultava dagli atti, aveva trasmesso superiormente. Lo stesso dichiarava di non ricordare se era stato a suo tempo insieme al Ceri sul posto, ove erano stati allontanati i due francesi, così come non ricordava se, sempre insieme al Ceri, fosse stato agli Scopeti, ove erano stati uccisi i due turisti, né la circostanza della consegna da parte del Ceri delle foto che costui aveva scattato sul posto.
Sempre il giorno 5 ottobre 2001, veniva sentito a verbale Lombardi Vittorino, ispettore Capo, in servizio presso il Commissariato di Sesto Fiorentino. Costui, con ricordi piuttosto sfumati, ricordava però di essersi recato in località Carmignianello unitamente al Ceri, ove aveva avuto modo di notare un cerchio costituito da una serie di sassi di diametro di circa un metro, all’interno del quale vi erano dei pezzetti di legno bruciato e, secondo i suoi ricordi, forse anche dei pezzettini di ossa. Precisava che aveva avuto l’impressione che si trattasse dei resti di un bivacco. Dichiarava altresì di non ricordare se il Ceri avesse scattato delle foto, come pure di non ricordare se il Ceri gli avesse consegnato delle foto. Confermava poi il racconto ricevuto a suo tempo dallo Zoppi sui due francesi e la circostanza di essersi recato insieme ad un collega, forse il Picarella, nella località dove i due turisti erano stati uccisi.
In data 7 ottobre 2001, veniva risentito a verbale il Ceri Andrea. In questa sede, precisava:
– che aveva rinvenuto i cerchi in un raggio di 50 metri intorno alla piazzola di cui aveva parlato ad una decina di metri uno dall’altro. Precisava di averli misurati e fotografati, prima con la Polaroid in dotazione per l’attività che svolgeva all’epoca e, poi, con una macchina fotografica normale. Aggiungeva, a proposito di queste ultime foto, che il rullino da 24 o 36 l’aveva fatto sviluppare sicuramente da un fotografo di sesto Fiorentino con esercizio vicino alla propria abitazione od al proprio negozio di Sesto e che aveva consegnato a suo tempo sia le foto che i negativi alla Polizia di 9 Sesto Fiorentino. Quest’ultimo Ufficio, a sua volta, per come aveva appreso successivamente, aveva mandato il tutto in Questura;
– che il proiettile cal. 22, a suo tempo rinvenuto e consegnato alla Polizia, era stato da lui trovato in un posto collocabile nella macchia di cui aveva parlato tra il secchio e l’uscita del cunicolo;
– che, quando nel 1992 aveva inviato il fax alla Questura, lo aveva fatto per rispondere ad un appello apparso sul quotidiano “La Nazione” con cui la Polizia invitava chi aveva notizie sulla vicenda del Mostro a farsi sentire. Precisava di aver ricevuto quella stessa sera o la sera seguente una telefonata dalla Questura, forse proprio da parte del dott. Perugini, che lo aveva interpellato ed al quale aveva fatto presente che aveva fatto all’epoca le foto su quella piazzola che aveva segnalato;
– che la zona di via Carmignianello non rientra negli itinerari turistici, ma può, invece, considerarsi come luogo per passeggiate domenicali da parte della gente del posto;
– che, nel posto di cui aveva parlato, né in precedenza all’episodio narrato, né successivamente, aveva mai notato persone colà accampate, essendo quel posto luogo frequentato da coppie della zona.
In relazione ai fatti sopra citati, si riferisce che:
– in data 27.10.2001, si assumevano informazioni dal dott. Perugini Ruggiero, in esecuzione della delega della S.V. del precedente giorno 25 ottobre. Il funzionario, nella circostanza, dichiarava di non ricordare, anche perché erano passati tanti anni ed anche perché di rinvenimenti ne erano avvenuti in quantità, il particolare del rinvenimento di un proiettile nella zona di Sesto Fiorentino da parte di tale Ceri Andrea. Precisava che, in simili casi, la prassi era quella di ottenere immediatamente una risposta alla domanda sulla compatibilità o meno del proiettile. Dichiarava, inoltre, che l’annotazione in calce al fax datato 17.7.1992, inviato da Ceri Andrea, era stata fatta da lui ed evidentemente rappresentava una sintesi degli accertamenti che egli aveva disposto per ricostruire i fatti. Aggiungeva, al riguardo, che, sicuramente, il tenore della nota presupponeva che la cosa era in evidenza in attesa di rintracciare i riscontri oggettivi agli accertamenti balistici all’epoca richiesti;
– del proiettile, consegnato dal Ceri, non é stata rinvenuta traccia alcuna in questi atti se non la trasmissione dello stesso a Roma con nota del 2.10.1985 per i necessari riscontri, per cui, giusta delega della S.V., è stato interessato il Servizio Centrale della Polizia Scientifica, che, a tutt’oggi, non ha fornito alcuna risposta in merito;
– il libro della Gasperini di cui si è fatto cenno non è stato ancora rinvenuto dalla teste. Costei, però, risentita a verbale in data 30 novembre 2001, riconosceva in alcuni disegni, sottopostile in visione, quegli stessi disegni, che erano rappresentati nel libro in questione. Precisava che l’unica differenza consisteva nelle dimensioni, essendo, quelli del libro, a tutta pagina. Nella circostanza, la Gasperini aggiungeva che, riflettendoci, con tutta probabilità, il libro non le era stato restituito dal Ceri, poiché, in questo caso, gli avrebbe riconsegnato le foto polaroid, che, invece, erano rimaste in suo possesso, tanto che le aveva consegnate nelle precedente occasione all’ufficio;
– in data 17.10.2001, presso l’abitazione del Ceri Andrea, perveniva una telefonata da parte di un interlocutore, rimasto anonimo, che profferiva frasi chiaramente minacciose alla moglie del Ceri. Quest’ultima, sentita a verbale in merito, manifestava forti preoccupazioni dal momento che la telefonata in questione era avvenuta a seguito delle dichiarazioni rese dal marito a questo ufficio (vedasi nota del 29.10.2001).
Le suddette evenienze appaiono di estremo interesse, atteso che forniscono precisi elementi fattuali, acquisiti peraltro in epoca non sospetta, di una ritualità esoterica riconducibile a quel particolare tipo di omicidi. Già, in precedenza, come noto, erano stati presi in considerazione alcuni elementi, che deponevano per un simile significato (quali: le particolari condizioni meteorologiche: i delitti furono eseguite in giornate festive o pre festive, da giugno a settembre – quindi, non in periodo invernale – con la luna nella fase del novilunio; le 11 vittime furono tutte sorprese in atteggiamento intimo in auto; le vittime furono uccise utilizzando sempre la stessa pistola ed un’arma bianca, come se la ripetitività delle identiche armi fossero state una condizione necessaria ed imprescindibile per il particolare significato di quegli omicidi; la profanazione della tomba della Pettini; il danneggiamento della croce della Rontini in località “Le Boschette”; il rinvenimento di una pietra a forma di piramide tronca verniciata di rosso in prossimità del cadavere di Cambi Susanna).
Il significato esoterico, inoltre, aveva costituito oggetto di studi sulla vicenda effettuati da personale del Sisde, già all’epoca dei fatti (anni 1984 – 1985). In tali elaborati, rinvenuti solamente negli ultimi tempi ed in conseguenza dell’effettuazione di specifiche attività di polizia giudiziaria, veniva sottolineato proprio il significato esoterico dei duplici omicidi e si fornivano le spiegazioni.
Detti elaborati, come è noto alla S.V., non erano mai pervenuti agli inquirenti dell’epoca, così come risultò dal riscontro eseguito in atti. Più in particolare, si tratta degli studi, eseguiti dal Prof. Bruno e da questi consegnati all’allora Direttore del Servizio e dello studio di tale Teresa Lucchesi,(NdR si tratta di Simonetta Costanzo) quest’ultimo datato Firenze 28.9.1985, dei quali si parlerà diffusamente nel prosieguo della presente nota e, segnatamente, al punto contraddistinto dal numero 5.
Riferendo sull’esoterismo e sulla magia occorre ricordare che alcuni personaggi, che in qualche modo avevano avuto rapporti con i responsabili dei duplici omicidi, erano dediti a pratiche di magia e, in particolare, di magia sessuale, così come emerso dal contesto delle investigazioni sui complici di Pietro Pacciani. E’ emerso, infatti, che nella nota casa di via di Faltigliano del mago Salvatore Indovino, frequentata da prostitute, sbandati e balordi (ed anche da adepti degli Hare Krishna), si praticavano sistematicamente riti di magia sessuale, specie il sabato sera.
Più dichiarazioni convergenti su tale punto, rese da più testi, costituiscono specifico significato probatorio (vedasi dichiarazioni di Gabriella Ghiribelli del 27.12.1995, pag. 3, e dell’8.2.1996, in particolare pag.5, di Maria Antonietta Sperduto del 7.3.1996 a proposito dei riti di magia nera ed orge a casa di Indovino Salvatore, di Silvia Del Secco del 9.7.1994 a proposito delle doti del Mago Indovino per preparare i filtri d’amore).
Inoltre, giova ricordare l’esistenza di alcuni riscontri oggettivi, acquisiti nel corso di perquisizioni locali, a suo tempo, eseguite a carico del Pacciani, che dimostrano in maniera inequivoca la predilezione anche del Pacciani per siffatta realtà magica (vedasi, in particolare, il cartellone acquisito in data 11.6.1990 nel corso di una perquisizione domiciliare a carico del Pacciani e, poi, sequestrato dal P.M. in data 19 luglio 1991, perfettamente simile a quello di cui parla la Ghiribelli per averlo notato nella casa dell’Indovino e gli appunti sulla magia nera rinvenuti in altra perquisizione a carico dello stesso Pacciani, quali: il testo “Pericolo di Morte”, distribuito dalla libreria “Evangelica /CLG” sita in Firenze, via Ricasoli, 97/r, nei quali si parla proprio di magia; gli appunti, manoscritti, su “Magia nera”; l’opuscolo “Satanismo”; il volume intitolato “Dominio sui demoni” di H.A. Maxwell Whyte; l’annotazione su un’agenda del 1968 “guaritore di dolori reumatici mago Cancelli Foligno”).
Come si vede, quindi, il tema della Magia è ricorrente nel contesto complessivo della vicenda ed è risultato comune sia a personaggi, a suo tempo imputati, quale il Pacciani, o semplicemente sfiorati nel corso delle prime indagini, sia a soggetti emersi più recentemente, quali le C. (madre e figlia), indagate per concorso in sequestro di persona ed altro.
2. Ambiente “Hare Krishna”.
Già durante lo sviluppo delle indagini sui complici di Pietro Pacciani erano emersi frequentazioni, da parte di alcuni personaggi, comunque di interesse per le investigazioni, con la villa degli “Hare Krishna”, ubicata in Scopeti di San Casciano a poche centinai di metri dal luogo del duplice omicidio. Infatti, la villa in questione era stata frequentata da parte dello stesso Pacciani (vedasi dichiarazioni di Cecchini Mario del giorno 13 giugno 1997), nonché da Filippa Nicoletti e dal mago Salvatore Indovino (vedasi anche dichiarazioni di Francesco Verdino, alias mago Manuelito, del 20.2.1996). Gli stessi Hare Krishna sono risultati in frequenti rapporti con i C., madre e figlia, proprietari di V.V., anzi, dalla attività sinora svolta sono risultati abituali frequentatori specie nelle ore serali e notturne della abitazione delle due donne. Inoltre, è risultato che componenti di detta setta erano ospitati anche da Salvatore Indovino (vedasi dichiarazioni di Nicoletti Filippa del 6.2.1996). A proposito di detta comunità, va ricordato che la società “Hanuman”, proprietaria dei beni immobili, aveva trasferito la propria sede da Roma, viale di Porta Ardeatina, 53, a San Casciano, in data 17.10.1980. Recentemente si sono acquisite dichiarazioni da parte del cittadino tedesco Weber Gerhard, che, già nel 1987, aveva fatto riferimento alla sede della citata setta come luogo di interesse per le indagini sui delitti. Il Weber, sentito a verbale il 24.10.2001, ha confermato quanto a suo tempo dichiarato e, in particolare, per quanto riguarda la sede in questione, ha raccontato quanto segue:
– che, dopo aver letto il servizio su “Panorama”, incuriosito del caso, aveva voluto verificare se, nella zona dei delitti, vi fosse qualche sede della setta degli Hare Krhisna. Era stato così che, consultando un libro, intitolato “La reincarnazione”, aveva potuto accertare che, proprio a Firenze, in via degli Scopeti 108 – S. Andrea in Percussina– San Casciano Val di Pesa, vi era proprio una sede. Aggiungeva che, all’epoca, si era recato più volte nella sede degli Hare Krhisna e lì, parlando con alcune persone, che vi lavoravano, aveva avuto diverse notizie, da lui ritenute interessanti e che aveva riferito agli inquirenti, tutelando la riservatezza delle sue fonti per non creare loro problemi di sicurezza;
– che gli elementi acquisiti e che, a suo giudizio, avrebbero potuto essere di interesse investigativo, erano i seguenti:
– aveva saputo da uno dei suoi informatori che, quando si era diffusa la notizia dell’uccisione dei due turisti francesi, era scomparsa una persona di nazionalità tedesca, che viveva nella sede della setta con un cane di razza pastore tedesco, e di lei non si erano più avute notizie. Aveva appreso anche che la notte, nella stanza occupata dal tedesco, vi era stato un grande chiasso e che, nei giorni successivi, era stato notato il cane che girava da solo nella zona, spesso accanto ad una specie di discarica, che si trovava lì nei pressi. Aveva saputo che questo suo connazionale si chiamava Wolfgang e forse era originario di Stoccarda;
– aveva trovato, sotto il materasso, dove dormiva il tedesco, una polizza assicurativa della Fondiaria, intestata a tale Giarola Pietro;
– le macchine delle quali aveva parlato all’epoca agli inquirenti e che furono da lui rinvenute vicino alla sede della setta, secondo le sue valutazioni avrebbero potuto essere utili per le indagini. All’interno di questi mezzi, aveva notato su uno dei tappetini alcune macchie di colore marrone, che gli erano sembrate macchie di sangue. Precisava che si trattava di quei tappetini che, prima aveva nascosto in un bosco, e, poi, aveva fatto recapitare alla polizia di Wiesbaden tramite il console tedesco di Firenze. Aggiungeva che, nel bagagliaio di una di dette macchine, aveva notato dei ferri, che gli erano sembrati di quelli utilizzati per montare le tende da campeggio. Sempre in una delle macchine, aveva anche trovato un cartellino pubblicitario con la scritta “Abuse trousers e pants”, che poi aveva saputo essere un disegno pubblicitario della Mauriot, uccisa;
– per acquisire ulteriori notizie sulla vicenda, si era recato in Francia ed in Svizzera ad incontrare i familiari della Mauriot. Aveva incontrato la madre ed il cognato. Quest’ultimo nella città di Basilea. Il cognato, a cui aveva fatto vedere il disegno pubblicitario di cui sopra, dopo aver parlato ed averlo posto in visione alla propria moglie, sorella dell’uccisa, gli aveva comunicato che si trattava di un oggetto pubblicitario creato proprio dalla Mauriot uccisa. Aveva saputo anche che, dall’Italia, la Mauriot, qualche giorno prima di essere uccisa, forse tre, aveva telefonato, forse dalla zona di Torino, a casa, dicendo che sarebbe andata dalla polizia a denunciare i responsabili dei delitti di Firenze. Raccontava ancora che la madre della Mauriot gli aveva detto che la figlia, che era seguace della setta degli Hare Krhisna, aveva una catenina di appartenenza alla setta e che portava sempre al collo; catenina, che la polizia non avrebbe poi restituito tra gli oggetti della figlia;
– confermava tutto quello che aveva raccontato a suo tempo sul belga Thirion, che era andato a trovare nella sua casa a Namur. Aggiungeva che, in una delle due auto di cui aveva parlato, aveva trovato anche un foglietto di carta stracciato, nel quale si poteva leggere “Namur” e questo dettaglio era stato un altro elemento, che a suo tempo, aveva ritenuto interessante anche per quelle cose macabre che aveva notato appese in una parete della casa del belga. E cioé cose strane con peli e parti di corpo verosimilmente umani, che mai aveva avuto modo di vedere in una abitazione appesi come fossero dei trofei. Aggiungeva altresì di aver appreso che questo belga aveva frequentato la zona di Firenze, come aveva accertato presso i campeggi ove aveva trovato le sue tracce. Aveva saputo anche che era stato nella sede degli Hare Krhisna;
– quando si era recato presso la polizia di Firenze, aveva esposto le sue ricerche ad alcuni poliziotti, tra cui ricordava tale Sirico, che lo aveva contattato anche molte volte al telefono, e tale Zizzi, con cui aveva fatto un sopralluogo nella sede degli Hare Krhisna. In quelle occasioni, aveva consegnato diverso materiale anche in originale, tra cui diverse foto polaroid, che riguardavano le due auto da lui trovate nei pressi della sede della setta, le targhe delle stesse, foto che riguardavano bambini degli Hare Krhirsna, un sacco con la scritta “Poste Italiane” (trovato nel bosco nei pressi delle due auto ed al cui interno vi erano foglie di querce secche), un atlante che riproduceva la parte del confine tra la Francia e la Svizzera della zona di Masei (Francia Sud) con un elefantino raffigurato in corrispondenza di nomi di filiali (l’atlante gli era stato consegnato dai familiari della Mauriot ed in esso erano segnati i luoghi delle filiali di ditte di scarpe che avevano avuto rapporti con l’uccisa);
– nel corso dei contatti con la polizia di Firenze, aveva fatto vedere anche una video registrazione effettuata nella sede degli Hare Krhisna e nei luoghi ove aveva rinvenuto gli oggetti. Precisava di avere fatto vedere anche l’immagine di una persona sui 30/35 anni, che era nella sede della setta e che da uno dei suoi informatori lì sul posto aveva appreso trattarsi del figlio di una importante persona di giustizia di Firenze. Aggiungeva che si era verificato un fatto strano e cioè che, nel vedere il filmato, si era accorto che vi era una parte oscurata. Aveva chiesto i motivi e gli avevano risposto che il tecnico della polizia aveva fatto un errore. Aveva constatato che si era oscurata proprio la parte del nastro che riguardava i movimenti di quella persona. Aggiungeva che successivamente aveva recuperato una parte del nastro che riguardava quella persona. A proposito di questa persona, specificava che gli avevano riferito che si chiamava Pietro, che era un uomo di circa 30/35 anni, alto più di mt. 1.80, figura atletica, senza barba e baffi, capelli corti, scuro, senza occhiali, orecchie di dimensione normali, con lineamenti non squadrati, naso normale, occhi sicuramente non blu o verdi, vestiva normale, nel senso che non aveva il tipico abbigliamento degli appartamenti alla setta. Specificava ancora che, anche se non gli era stato fatto il nome di questa persona, per come gli era stata rappresentata, aveva intuito che forse era un figlio del giudice Vigna e di ciò aveva avuto conferma in un successivo incontro con la sua fonte. Questa, infatti, alla sua domanda, tornando al discorso di quella persona, se si trattasse del figlio di Vigna, non aveva smentito e così aveva interpretato quel silenzio come una risposta positiva. Aggiungeva che aveva avuto modo di conoscere tramite la televisione e soprattutto i giornali il giudice Vigna e la rassomiglianza tra questi e quella persona era davvero impressionante, dal momento che avevano veramente lo stesso viso. Aggiungeva ancora che il suo informatore gli aveva riferito che quella persona era un agente della setta, nel senso che curava la sicurezza, almeno così aveva capito all’epoca. Dichiarava, inoltre, che, secondo le sue informazioni, quella persona era sempre presente nella sede della setta ed abitava nei piani superiori, dove, da notizie avute, vivevano altre persone facoltose che seguivano la setta. Dichiarava ancora di aver notato questa persona parlare con l’ispettore Zizzi quando aveva fatto il sopralluogo nella sede della setta e, da come i due si parlavano, aveva avuto l’impressione che si conoscessero;
– quando era andato a trovare la famiglia di Mauriot, aveva dormito a casa loro. Aveva parlato a lungo con il cognato e con la sorella di Mauriot, apprendendo che la Nadine aveva avuto problemi per l’affidamento delle due figlie dopo la separazione dal marito. Dichiarava, inoltre, di ricordare che aveva chiesto al cognato se Mauriot fosse collegata alla setta degli Hare Krhisna perché aveva saputo che l’uccisa aveva la collana di questa setta e l’uomo ucciso, che si trovava con la Mauriot, suonava il tamburo nelle feste degli Hare Krhisna. Il cognato gli aveva detto – almeno così gli sembrava di ricordare – che Mauriot aveva conosciuto il suo compagno in una festa della setta in Francia;
– il cognato e la sorella della Mauriot gli avevano riferito con assoluta certezza che la loro congiunta era venuta in Italia con il suo compagno perché intendeva denunciare i responsabili degli omicidi del Mostro di Firenze e che per questo motivo li avevano ammazzati. Questo gli era stato ripetuto più volte e gli era stato precisato che di questo erano a conoscenza solo il cognato e la sorella dell’uccisa, mentre la madre sapeva che era partita per motivi di lavoro legati al commercio delle scarpe. Inoltre, sempre a proposito di detta setta, va segnalato che l’esame dei tabulati dell’utenza telefonica fissa 055/822289, intestata a Potini Lucio, via Scopeti 102, ha portato a registrare un contatto intervenuto il giorno 24.12.1995, alle ore 10.42.43 da parte dell’utenza cellulare n. 0360/959960, intestata a Giuliano Massimo Luccioli, via Piave, 36, Foligno, del quale si parlerà oltre. La stessa utenza del Potini è stata altresì rinvenuta annotata tra il materiale cartaceo sequestrato alle C. nel corso della perquisizione del mese di maggio 1997. Infine, va ancora segnalato che in una delle agende sequestrate a Giovanni Spinoso a seguito della perquisizione del mese di novembre 1998, sono state rinvenute due utenze telefoniche della setta in questione riferibili alla sede degli Scopeti (055/820054, intestata a I.S.K. Con., via Scopeti, 106, San Casciano Val di Pesa – 055/828911).
A proposito del predetto Potini Lucio, nato a Fiuggi il 13.12.1936, si rileva che lo stesso, con atto notarile del 15.2.1988 (notaio Baroncelli) ha acquistato dalla società “Hanuman”, insieme a Potini Virgilio, nato a Fiuggi il 27.11.1939 (precedente per violazione leggi Pubblica Sicurezza del 15.5.1992) e Nocciolini Ivana in Potini, nata ad Arezzo il 30.9.1950, entrambi residente in San Casciano VP, via Scopeti n. 106, per il prezzo di L. 30.000.000, una casa per civile abitazione sita in San Casciano VP via Scopeti n. 102. 18 La citata società “Haniman” è la società che, con atto notaio U. Baroncelli di Firenze, in data 8.1.1981, acquistò la sede di San Casciano degli Hare Krishna da tale Di Leo Antonio, nato a Guardia dei Lombardi il 9.9.1923, residente in Firenze, via B. Castelli, n. 26, per il prezzo di L. 410.000.000 (di cui L. 300.000.000 mediante rilascio di n. 3 effetti cambiario) con rinuncia all’ipoteca legale. Successivamente, con atto dello stesso notaio del 16.3.1983, la società “Hanuman” acquistò sempre dal Di Leo altri appezzamenti di terreno per il prezzo di L. 230.000.000 pagato e con rinuncia all’ipoteca legale. Con atto notarile del 22.7.1986, sempre la “Hanuman” acquistò altro appezzamento di terreno per la somma di L. 43.000.000 da Corti Elena, nata a Firenze il 8.3.1961, residente in Impruneta, via Paolieri n. 10, Corti Giuseppe, nato a San Casciano il 13.5.1912, residente in Impruneta come sopra, Corti Franco, nato a Firenze il 7.2.1948, residente in Impruneta, via 2 giugno n. 16, Corti Antonella, nata a Siena il 30.10.1957, ivi residente via Q. Settano n. 29, Ridolfi Rina ved. Corti, nata a Rignano sull’Arno il 23.4.1920, residente in Impruneta via di Falciani n. 28, Caselli Lucia in Corti, nata ad Impruneta il 19.8.1950, ivi residente in via 2 Giugno n. 16. La società “Hanuman” fu costituita in data 12.10.1977 con capitale sociale di L.1.700.000.000, ha iniziato l’attività il 8.1.1981 ed ha per oggetto sociale: “acquisto, vendita, costruzione di immobili sia civili che agricoli, loro gestione a scopo turistico, alberghiero, di ristorazione e di campeggio, nonché incentivazione delle attività zootecniche ed agricole; potrà concedere fideiussioni, avalli, garanzie in genere a favore di terzi, assumere direttamente o indirettamente interessenze e partecipazioni in altre società o imprese aventi oggetto analogo o affine comunque connesso al proprio ecc.”. Consiglieri: Brioli Massimo, nato a Roma il 16.1.1952, residente a Ghignolo D’Isola, villaggio Hare Krishna; Ferrini Marco, nato a Ponsacco (PI) il 20.2.1945, residente a Perignano (PI) via Livornese est 172; Presidente: Olmo Sandri Sandro, nato a Firenze il 10.3.1966, residente in San Casciano, via Scopeti n. 108; 19 Dal 26.7.1989 Presidente: Rocchi Claudio; consiglieri: Cerquetti Giorgio, Rondinone Nicola, Brioli Massimo, Cecchini Orlando; cariche confermate il 25.6.1991; In data 14.10.1992 cessazione da tutte le cariche per Rocchi Claudio, nato a Milano il 8.1.1951 (Presidente) e per i consiglieri: Cerquetti Giorgio, nato ad Ancona il 3.12.1946 (denunciato per truffa il 30.3.1992 e l’8.3.1988); Cecchini Orlando, nato a Serravalle di Chienti il 30.11.1954 (pregiudicato: De Arr Contr. Qu-CO 2.6.1877); Rondinone Nicola, nato a Guardia Perticara il 8.2.1947; nomina di Presidente di Spanu Giulio e di Ferrini Marco, consigliere; In data 20.6.1995 cessazione da tutte le cariche per Spanu Giulio, nato a Bitti (NU) il 24.9.1955 (Presidente) e nomina di Olmo Sandri Sandro (Presidente). Con atto notarile del 1.8.1995 (notaio Francesco Steidl di Rignano sull’Arno), la società “Hanuman” ha venduto a Fantoni Roberto, nato a Formigine (MO) il 2.8.1958, residente in San Casciano VP, via Scopeti n. 98, per il prezzo di L. 50.000.000 l’immobile sito in San Casciano VP facente parte di edificio condominiale ex colonico denominato podere “Strada” via degli Scopeti n. 98. 3. Personaggi di interesse.
Nello sviluppo delle indagini, volte all’individuazione degli eventuali mandanti dei duplici omicidi, sono emerse alcune posizioni, soprattutto negli ultimissimi tempi, che si reputano meritevoli degli opportuni approfondimenti. Pertanto, si ritiene utile riassumere, qui di seguito, alcuni elementi di interesse, che potrebbero avere attinenza con i fatti per i quali si sta indagando. Come è noto, già durante il dibattimento, relativo al processo ai complici del Pacciani, era emerso il ruolo di un non meglio dottore, che pagava il Pacciani per eseguire quei delitti e per ricevere, poi, le parti umane asportate alle vittime donne. E un indiretto riscontro a ciò si era in un certo senso avuto con l’accertamento della situazione patrimoniale e finanziaria del Pacciani, affatto giustificata dalle regolari entrate del nucleo familiare di quest’ultimo; situazione patrimoniale e finanziaria vieppiù singolare ove si consideri che si è registrata una ingente disponibilità di denaro contante da parte del Pacciani proprio in date prossime all’esecuzione di più delitti. Come pure era apparso singolare il possesso di una discreta somma da parte del Vanni Mario in un periodo di tempo che, di poco, precede e segue il duplice omicidio di Vicchio del 1984; somma con la quale aveva acquistato buono postali. Inoltre, va rilevato che, sarà pure una coincidenza, ma pur tuttavia appare utile approfondire anche il seguente aspetto: più soggetti fanno riferimento alla cittadina di Foligno, quasi come se questo centro avesse rappresentato uno degli elementi comune denominatore.
3.1. Giuliano Massimo Luccioli. E’ nato a Foligno (PG) il 7.3.1930, ivi domiciliato in via XX Settembre, 89 (tel. 0742/340720). E’ medico di chirurgia plastica viso e corpo, che opera da tanti anni in questo capoluogo. Agli atti di questo ufficio, risulta che, in data 7.12.1991, personale della Digos interveniva in questa via Cavour n. 8 presso lo studio del predetto a seguito di un danneggiamento mediante incendio. Si accertava, infatti, che ignoti avevano appiccato fuoco al portone di ingresso dello studio, danneggiandolo nella parte inferiore; veniva pure danneggiata una piccola parte della moquette, posta all’interno dello studio. Nel corso del sopralluogo si rilevavano alcune scritte presenti sul muro delle scale, effettuate con vernice spray di colore rosso, del seguente tenore: “Luccioli bastardo, Luccioli merda, Luccioli testa di cazzo, Luccioli maiale, Luccioli assassino, Luccioli cane”. Esiste, poi, sempre agli atti, un appunto, datato 22.1.1992, la cui sigla si sconosce, nel quale si dà atto che il nominato Luccioli Giuliano Massimo si era presentato per riferire che, nei giorni precedenti, ignoti avevano dato fuoco al suo studio sito in Foligno con le stesse modalità con cui era stato danneggiato lo studio di Firenze. Nella circostanza, il Luccioli aveva raccontato una controversia con tale Ferri Giovambattista. Esiste ancora una nota della sezione di P.G. presso il Tribunale di Genova, datata 3.6.1996, che segnala una notizia confidenziale, proveniente da persona, definita “apparentemente equilibrata”, secondo la quale il Mostro di Firenze sarebbe tale dottor Cesare Luccioli, specialista in chirurgia plastica, abitante in Bagno a Ripoli, via Fattucchia, 54, coniugato, padre di sei figli, con studio in Firenze, via dei Serragli, 21, ove praticherebbe interventi chirurgici anche per il cambiamento di sesso. La fonte aveva aggiunto che il predetto Luccioli sarebbe in possesso di una pistola ed avrebbe tendenze omosessuali. Il Luccioli Cesare è nato a Foligno (PG) il 13.3.1931. Risulta, sempre dagli atti, che costui ha eseguito numerosi interventi su travestiti per interventi al seno; come pure risulta che in data 16.11.1985 veniva denunciato all’A.G. per esercizio di un Centro di chirurgia estetica e plastica, sito in Firenze, Piazza Antinori, 3 e via Alfani 55, senza la prescritta autorizzazione sanitaria. Del Luccioli Giuliano Massimo più sopra si è fatto cenno a proposito del contatto telefonico, intercorso tra l’utenza cellulare del predetto e quella di Potini Lucio.
3.2. Giuseppe Jommi Alves Jorge Emilia Maria, nata a Petropolis (Brasile) il 31.10.31, residente a Firenze in via Iacopo da Iacceto nr.40, ivi domiciliata in via XXVII Aprile nr.9, sentita a verbale in questi uffici, ove si era presentata spontaneamente, in data 6.11.2001, riferiva notizie concernenti Jommi Giuseppe, nato a Montappone il 27.10.1932, residente in Bagno a Ripoli, via Roma 430/h, avvocato, con cui aveva intrattenuto una lunghissima relazione sentimentale; dichiarazioni, che, in parte aveva già riferito nel 1990. La donna, in particolare, riferiva che:
- – nei giorni scorsi, si era messa in contatto con l’ufficio della Squadra Mobile allo scopo di poter parlare con questo dirigente per riferire fatti relativi alla vicenda del “Mostro di Firenze”, già in passato raccontate agli inquirenti e nel contempo puntualizzare alcuni dettagli ed episodi, all’epoca appena accennati e non da lei approfondite; dettagli ed episodi che, oggi, alla luce delle novità investigative che aveva avuto modo di seguire sulla stampa, avrebbero potuto essere rilevanti e comunque utili per chi stava indagando;
- – confermava le dichiarazioni contenute nei verbali del 4.7.1990 e 17.11.1990, che le erano stati preliminarmente letti;
- – i dubbi sulla personalità dello Jommi non li aveva avuto, come risultava nel precedente verbale, negli ultimi tempi, ma addirittura sin dal 1973 e, addirittura, ancor prima, sin dal 1971, allorché, dopo l’intervento alla testa, subito dallo Jommi a seguito di un incidente stradale, aveva iniziato a notare un cambiamento della sua personalità. Aveva, infatti, notato un cambiamento di carattere, come se fosse diventato schizofrenico.
- – sempre nel 1971, si era verificato un fatto piuttosto curioso: si era vista con il dott. Vigna, che già conosceva dal 1961 e che ha frequentato per circa 10 anni a tempi alterni soprattutto nel periodo estivo, e nella circostanza – erano a cena da soli – il Vigna le aveva detto che Lo Jommi lo aveva chiamato al telefono, chiedendogli che cosa ci volesse per acquistare un’arma. Aveva motivato la richiesta, per come le aveva raccontato il Vigna, con il fatto che aveva notato un’ombra, evidentemente di un guardone, nella casa di Bagno a Ripoli;
- – a proposito del dott. Vigna, precisava che lo aveva conosciuto nel 1961 nella trattoria “Da Tito” in via San Gallo, dove era solita pranzare o cenare. Un giorno era seduta al tavolo con l’ing. Martini ed era entrato nel locale il dott. Vigna. L’ing. Martini lo aveva invitato al loro tavolo, li aveva presentati ed avevano cenato insieme. Aggiungeva di ricordare che il Martini le aveva detto che Vigna era il più grande Pretore di Firenze. Durante il pranzo, ad un certo punto, il Vigna le aveva chiesto di leggere sul giornale i film che c’erano e, dopo cena, l’aveva invitata ad andare con lui in un cinema, che si trovava dopo il Tribunale di Piazza San Firenze. Qui, avevano incontrato una coppia di amici del dott. Vigna, giovani come lui, ed erano entrati al cinema, sedendosi nelle prime file. Dopo il film, si erano recati al Forte Belvedere, dove c’era una mostra ed ivi si erano intrattenuti a chiacchierare fuori sino all’alba, tanto che avevano chiuso i cancelli. Quando erano usciti dal Forte era già giorno. Precisava di avere fatto riferimento al suo rapporto con il dott. Vigna per far capire anche perché aveva parlato più volte con lui del comportamento strano dello Jommi, che sapeva essere suo amico e con cui, da quello che le risultava, aveva anche studiato insieme all’Istituto “La Quercia”, Vigna da esterno e Jommi da interno ed entrambi erano stati i primi dell’Istituto;
- – i suoi rapporti con Vigna erano tali da consentirle di chiamarlo sull’utenza di casa al numero 2336027;
- – quando lo Jommi, la domenica dell’8 settembre 1985, le aveva detto “sono un mostro” così come lei aveva riferito nel precedente verbale, non aveva dato un preciso indirizzo a questa frase, perché anche altre volte, riferendosi alla sua insensibilità a detta degli altri, lo Jommi le aveva riferito la medesima frase. Solo successivamente, quando aveva avuto modo di apprendere che la domenica del giorno 8 settembre 1985 le vittime del Mostro ancora non erano state scoperte e lo Jommi, invece, le aveva fatto cenno a quel delitto, aveva iniziato a dare a quell’espressione “sono un mostro” un significato più allargato. Precisava di non avere collegato lo Jommi direttamente ai fatti del Mostro, ma aveva iniziato a pensare che costui, comunque, avesse a che vedere con la storia o meglio ancora con qualcuno che era coinvolto direttamente in quei delitti. E fu per questi motivi che, quando aveva appreso che tale Francesco di Foligno, amico dello Jommi, per come lui stesso le aveva riferito, era indicato a Perugia come “il Mostro di Firenze”, volle acquisire informazioni sul Francesco di Foligno, che aveva appreso, poi, chiamarsi Narducci. A tal fine, aveva interessato un’agenzia privata di investigazioni, che forse si chiamava “La Segretissima”. Aggiungeva, a tal proposito, di avere appreso che si trattava di un medico, di ottima famiglia, una famiglia molto importante di Perugia, originaria di Foligno, che era stato trovato morto annegato nel Lago Trasimeno un mese dopo l’ultimo delitto del Mostro. Aveva anche saputo che il Narducci insegnava all’università di Harvert in America e, all’epoca, aveva chiesto al dott. Canessa di verificare se nelle date dei delitti fosse stato presente in quella università;
- – spesso era capitato che accompagnasse lo Jommi con la propria macchina a prendere la sua, che era solito lasciare in sosta nel parcheggio dell’ospedale di Ponte a Niccheri. Da lì, poi, andava a casa a Bagno a Ripoli, mentre all’andata lasciava l’auto in quel posto perché da lì era solito poi prendere l’autobus; – lo Jommi spesso andava a trovare degli amici a San Casciano ed una volta era tornato a casa alle 4 di notte tutto impolverato, raccontandole che era andato a piedi alla Roveta. Aggiungeva che gli amici di San Casciano, da quello che riusciva a ricordare, erano l’avv. Giorgio Lapi, la casa di tale Bianchini, sposato con una donna svizzera, che era allevatrice di cavalli, un avvocato, che sapeva chiamarsi Corsi (a proposito di quest’ultimo, si ricorda che, nell’ambito delle indagini sui complici del Pacciani, fu imputato del reato di favoreggiamento personale l’avv. Alberto Corsi, nato a Pontinia (LT) il 7.7.1941, residente a Firenze, via Trieste, 45, domiciliato anche a San Casciano V. di P., via Roma, n. 44. Si ricorda altresì che, nel corso della perquisizione domiciliare, eseguita nei suoi confronti in data 26.6.1996, fu rinvenuto materiale afferente l’esoterismo, tra cui una confezione a mò di amuleto, asseritamene con capacità guaritorie, nonché copie di un libro su vari talismani);
- – nel 1990, il giornalista Spezi era andato a trovarla a casa e le aveva chiesto se lo Jommi avesse a che fare con le messe nere ed i riti satanici. Aveva risposto di non sapere nulla. Precisava di ricordare anche che, nella circostanza, lo Spezi le aveva detto che era stato trovato probabilmente il Mostro e che era un contadino di San Casciano che si trovava in prigione. Le aveva detto questo perché precedentemente sempre lo Spezi le aveva riferito che l’avrebbe accompagnato dal dott. Perugini affinché raccontasse quello che lei aveva intuito, ma che, alla luce della individuazione del Mostro, non era più il caso che avvenisse l’incontro. In relazione alle suddette dichiarazioni, agli atti dell’ex Sam, si rinveniva una nota, datata 21.9.1990, con cui veniva trasmessa alla Procura della Repubblica l’annotazione redatta in data 18.9.1990 da personale di quell’ufficio. In tale atto, si riferiva la consistenza immobiliare dello Jommi, gli estremi delle autovetture in uso nel tempo, nonché la verifica positiva della circostanza relativa al rapporto di locazione esistente tra la moglie dello Jommi Giuseppe, Ada Pinori, e la famiglia di Susanna Cambi, assassinata nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre 1981 in località “Le Bartoline” di Calenzano. L’appartamento in questione era ubicato in via B. Marcello n. 45 di Firenze. Sempre nel predetto atto, si riferiva che, in ordine al suicidio del medico di Perugia, asseritamene amico dello Jommi, codesta Procura della Repubblica, a suo tempo, era stata dettagliatamente informata del caso. Circa quest’ultimo episodio, agli atti di questo Ufficio, esiste un fascicolo a nome Narducci Francesco, nato il 4.10.1949, al cui interno si trovano alcune lettere anonime, che indicano il predetto come il “Mostro di Firenze” e sulle quali si è riferito a codesta Procura con nota del 5.2.1999. Esiste altresì una richiesta di accertamenti da parte di codesta Procura della Repubblica, datata 3.11.1993, a firma del Procuratore dott. Piero Luigi Vigna, relativa al p.p. 1822/93 Mod. 45, con cui veniva trasmesso un memoriale, presentato il 28 ottobre 1993 al prefato Procuratore da parte del titolare dell’Istituto di Investigazioni “Ariston”, sig. Valerio Pasquini. Detto atto conteneva il consuntivo di una attività informativa svolta sul posto dal Pasquini sulla famiglia del Narducci e sulla morte dello stesso, archiviata all’epoca come suicidio. La stessa ALVES JORGE Emilia Maria, sentita nuovamente a verbale il giorno 9 novembre 2001 riferiva che:
- – che lo Jommi era amico da tanti anni con il Dott. Ferri, il magistrato di Corte di Appello, con cui aveva una donna in un certo senso “in condominio”. Aggiungeva che i due avevano contemporaneamente una relazione sentimentale con Maria Luisa Orlandini, anch’ella avvocato, che lavorava presso lo studio dello Jommi. La Orlandini era stata sposata con il prof. Romano, professore di diritto, il quale per uno o due anni era stato direttore del teatro comunale fiorentino. Precisava che il comportamento della donna e dello Jommi era alquanto strano. A tal riguardo, raccontava di ricordare che nel 73 mentre Romano era con i figli in vacanza all’isola d’Elba, la Orlandini era alloggiata in una pensione familiare e ospitava lo Jommi che andava periodicamente a trovarla. Erano intervenuti i carabinieri, chiamati dai proprietari della pensione, il cui nome era Santa Caterina e si trovava a Marciana, e trovarono lo Jommi e la Orlandini in stanza svestiti in atteggiamento intimo. Precisava ancora che i carabinieri erano intervenuti, su richiesta dei titolari della pensione, perché la Orlandini soleva portarsi in camera un ragazzino, figlio di una coppia, che era ospite in quel posto. Il Romano, infatti, nel corso della causa di divorzio aveva dichiarato che la Orlandini, in quella pensione, all’Elba, oltre allo Jommi, riceveva anche un ragazzino, con cui aveva rapporti e i genitori del ragazzo avevano denunciato quella situazione. Aggiungeva che di detta ambigua situazione tra lo Jommi, la Orlandini e il Ferri ne aveva parlato direttamente con il Ferri negli anni 80 ed allo stesso aveva chiesto se fosse stato a conoscenza che la sua amica, la Orlandini, stava facendo una causa di divorzio contro il Romano. Il Ferri le aveva risposto che la cosa non gli interessava. L’incontro con il Ferri, da lei sollecitato telefonicamente, era avvenuto a Piazza Signoria;
- – lo Jommi le aveva sempre parlato molto male di Vigna, anche se i due si conoscevano da ragazzi ed avevano anche studiato insieme al collegio religioso “A Le Querce”. Ricordava che, alla fine degli anni 80, una sera mentre stava guardando la televisione insieme allo Jommi, aveva visto su RAI 3 un servizio sul Dott. Vigna per un processo, forse quello di Catanzaro, e nell’occasione lo Jommi le aveva riferito che Vigna non sarebbe mai diventato niente perché non ci sapeva fare; le era sembrato che ci fosse proprio un odio nei confronti di Vigna, mentre lei tendeva a difenderlo. Lo Jommi le diceva, invece, che l’unico grande magistrato che c’era a Firenze era il Dott. Ferri;
- – verso la fine degli anni 80, una volta lo Jommi le aveva raccontato che il Ferri doveva essere nominato forse Presidente di Corte d’Appello a Firenze, ma per colpa del Vigna, che aveva dato un voto sfavorevole per motivi morali, il Ferri non fu nominato, per cui il Ferri ce l’aveva a morte con il Vigna. Le aveva anche raccontato che un magistrato era stato buttato fuori dalla magistratura dal Vigna perché soltanto amante di una terrorista;
- – a distanza di anni, quando aveva letto del processo d’appello a Pacciani e della assoluzione di quest’ultimo da parte della Corte, presieduta proprio dal dott. Ferri, si era domandata se per caso il giudice fosse stato influenzato nella sua decisione indirettamente dall’astio nei confronti di Vigna, almeno dai racconti fattile dallo Jommi, oppure da un interesse preciso dello Jommi sulla vicenda del Mostro, facendo quest’ultimo pressioni sul Ferri, che sicuramente avrà agito inconsapevolmente;
- – circa l’amico dello Jommi, quello di Perugia, di cui aveva parlato nel precedente verbale, in una sua agenda dell’anno 1990, aveva rinvenuto alcune annotazioni, da lei fatte all’epoca, relative al fatto che l’uomo era stato sposato con tale Francesca Spagnoli, amica di infanzia del Narducci, almeno da come le era stato riferito dall’investigatore privato che si era interessato della vicenda, agli studi del Francesco a Bologna presso il Prof. Morelli, al fatto che, 28 quando il Narducci era morto, era stata trovata una lettera indirizzata ai familiari, della quale però ufficialmente non si era saputo nulla: – nella stessa agenda, vi era anche l’annotazione “Falciani – Siena”, che, a suo giudizio, doveva riferirsi ad un posto, ricompreso tra dette località, frequentato dallo Jommi e dal suo amico di Perugia. Aveva dedotto ciò perché Beppe le diceva o che andava verso Galluzzo, senza dirle dove, specie nei fine settimana d’estate, o verso San Casciano.
3.3 Francesco Narducci. Narducci Francesco, nato a Perugia il 4.10.1949, già ivi residente in via Savonarola, 31, deceduto in data 8.10.1985. Il predetto veniva trovato morto sul lago Trasimeno. Agli atti dell’ex Sam esiste un cartellino a nome del predetto con la seguente annotazione: “deceduto misteriosamente presso il lago Trasimeno – Accertamenti svolti dai CC di Firenze perché sospettato quale Mostro – il decesso risale all’ottobre 1985?”.
3.4 Gaetano Zucconi. Zucconi Gaetano, nato a San Casciano V.P. (FI) il 9.2.33, residente ad Impruneta (FI), via Imprunetana per Tavararnuzze nr.29. Nell’ambito delle indagini, sono stati raccolti più elementi concernenti Zucconi Giulio Cesare, nato a San Casciano V.P. (FI) il 29.7.35, residente a Impruneta (FI) in via Imprunetana per Tavarnuzze nr.33, deceduto nel 1989, fratello del nominato Zucconi Gaetano. Infatti, nel corso dell’attività di intercettazione dell’utenza 055/8303133, intestata a Giovanni Spinoso, autorizzata da codesta A.G. nell’ambito dei proc.pen. n.5047/95 e nr.3212/96, il giorno 28 novembre 1997, veniva intercettata una conversazione tra Marzia Rontini e Foggi Gina, durante la quale, commentando le notizie apparse all’epoca sugli organi d’informazione, in merito alle dichiarazioni rese in dibattimento da Lotti Giancarlo, inerente il coinvolgimento nei delitti di un “dottore”, non meglio indicato, la Foggi riferiva “sarà quello dell’Impruneta … gli è morto”, aggiungendo “questo tizio gli ha un fratello all’ambasciata … son gente che … pagan bene su i serio”. Inoltre, nel corso della medesima telefonata, facendo riferimento all’episodio della donna che il 22.1.96 era stata ospite della moglie di Pacciani, sempre la Foggi riferiva di aver appreso da un amico del padre che quella donna sarebbe stata proprio la moglie del dottore di Impruneta. Diceva infatti: “Uhm! E … l’eran convinti loro e con quella bionda che l’era andata a cercare … a trovare … la moglie di Pacciani, lui diceva che … che l’era la moglie di questo tizio!”. Inoltre, da notizie riservatamente apprese poco prima di detta conversazione intercettata, questo ufficio apprendeva che il mandante dei duplici omicidi sarebbe stato un medico ginecologo, morto prima del 1990. Detto medico, sulla base dei dati informativi acquisiti fiduciariamente (tra cui il fatto che avrebbe prestato la sua opera in occasione della nascita della figlia dei titolari di una latteria di Chiesanuova), era stato identificato in Zucconi Giulio Cesare, sopra generalizzato, ginecologo, deceduto in data 3.12.89, già residente a Mercatale Val di Pesa (FI) in via Sonnino nr.56, trasferitosi in data 29.12.58 nel comune di Impruneta. Ulteriori approfondimenti informativi consentivano di accertare che il predetto risultava essere stato coniugato dal 11.6.63 con Pietrasanta Maria Ines. Inoltre al civico nr.29 di via Imprunetana risultava essere residente Zucconi Gaetano, sopra generalizzato, all’epoca degli accertamenti, ambasciatore italiano in India dal 24.2.95, ed attualmente in pensione. Si accertava, altresì, che il dottor Zucconi Cesare aveva svolto la sua attività di ginecologo anche in Impruneta, in via della Croce presso l’ambulatorio del dottor Cherici Giovanni, nato a Volterra il 26.8.21. Dagli atti di quest’ufficio, si appurava che il suddetto era stato titolare di porto d’armi per uso caccia e che era stato esonerato dal servizio militare in base all’art.87 dell’elenco delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare ( R.D. n.30 del 1937 e successive modifiche ). Il nominativo del predetto era, peraltro, contenuto in un elenco, datato 8.10.1985, inviato, a suo tempo, a codesta A.G. da parte del Ministero della Difesa – Ufficio Leva, relativo ai nati nell’anno 1935, che erano stati giudicati non idonei per cause afferenti a malattie genitali. Per quanto, invece, riguardava il decesso, si poteva accertare che il predetto era deceduto alle ore 17.30 del 3.12.89, in Firenze in via Baroni nr.23, ove all’epoca abitava con la moglie. La Dott.ssa Salvia R. attestava che il decesso era stato provocato da “insufficienza cardio-circolatoria in sospetto con etroplasia polmonare”. Nei confronti del predetto Zucconi, agli atti di questo ufficio, esisteva già copia di uno scritto anonimo, giunto il 14.01.96 alla Stazione dei Carabinieri di San Casciano V.P., che segnalava il nominativo del medico, quale soggetto che aveva a che vedere con le indagini sui delitti del “Mostro”. A proposito di segnalazioni anonime, bisogna ricordare altro scritto, pervenuto direttamente alla S.V. in data 01.12.97, nel quale lo Zucconi era indicato come persona “al quale piaceva fare visita alle ragazze. Le spogliava e metteva nella cicalina un tralcio di vite” insieme ad amici, tra cui Mario Vanni. Si acclarava, altresì, che la famiglia Zucconi, in Mercatale, aveva abitato in via Sonnino 58, in una casa che confinava proprio con il giardino del Pacciani. Alla luce delle suddette emergenze investigative, le indagini subivano un notevole impulso ed erano rivolte sia ad acquisire ulteriori elementi sul conto del citato Zucconi, sia nei confronti della di lui moglie e ciò, soprattutto, in considerazione della telefonata intercettata e di cui si è sopra riferito. Inoltre, allo scopo di acquisire elementi di riscontro in merito all’episodio dell’aggressione subita da Angiolina Manni il 22/23 gennaio 1996, il cui responsabile, stando al contenuto della 31 suddetta telefonata, sarebbe stata proprio la moglie dello Zucconi, codesta A.G. inviava a quest’ufficio il fascicolo processuale, relativo a quell’avvenimento con delega ad effettuare le necessarie indagini. Sicché, le indagini proseguivano e si sviluppavano su un doppio binario, avente come principale scopo sostanzialmente raccogliere quanto più elementi possibili sulla figura del medico, al fine di poter, con siffatta attività, fornire un ulteriore importante riscontro alle dichiarazioni rese sul punto nel dibattimento dal collaborante Lotti Giancarlo.
Successivamente, in data 29 novembre 1997, su delega della S.V., venivano assunte informazioni da Guidotti Simone. Costui dichiarava che, sin dagli inizi degli anni 80, la gente di Mercatale, nel commentare gli omicidi attribuiti al “Mostro di Firenze”, in un primo tempo, aveva indicato lo Zucconi quale persona sospettabile che potesse essere coinvolta in quei delitti. Dopo il duplice omicidio del 1985, invece, il fatto che lo Zucconi era stato notato in paese con una grossa ecchimosi al volto, giustificata dal predetto come conseguenza di una caduta da cavallo, era stato interpretato come la riprova del pieno coinvolgimento dello stesso. Tale convincimento era scaturito, in particolare, dal fatto che si era appreso che il giovane francese aveva reagito cercando di fuggire. Inoltre, il Guidotti riferiva di aver saputo in paese che lo Zucconi, in quegli anni, aveva subito ben due perquisizioni, con esito negativo. Rappresentava, a proposito di indagini esperite sul conto del citato medico, che il fratello del predetto, che ricopriva importanti cariche diplomatiche in Vaticano, si sarebbe adoperato, per tutelare il nome del congiunto, affinché i sospetti non ricadessero su quest’ultimo. Infine, riferiva di essere a conoscenza che Pacciani, comunque, conosceva il medico, con cui aveva avuto rapporti, tanto che avrebbe curato la manutenzione delle armi dello Zucconi.
In data 4 dicembre 1997, erano assunte informazioni da Torrini Orazio. Costui, in relazione alla sua conoscenza del dottor Zucconi, riferiva di averlo avuto come cliente per il rifornimento delle auto. Aggiungeva di essere a conoscenza che lo Zucconi lavorava al reparto maternità dell’ospedale di Careggi a Firenze, ove in quegli anni abitava, recandosi all’Impruneta solo per il fine settimana. In relazione alle autovetture possedute dal cliente, specificava di ricordare due o tre auto di grossa cilindrata, 2000/2500, probabilmente di fabbricazione estera. Riferiva, inoltre, di ricordare che parecchi anni fa aveva avuto modo di notare che i Carabinieri per 8/10 giorni avevano piantonato la villa dello Zucconi. Aggiungeva che, in quel periodo, in paese si raccontava che lo Zucconi era implicato nei delitti del Mostro e che utilizzava le parti del corpo femminile asportate alle vittime per fare esperimenti.
Torrini Tiziano, figlio del nominato Orazio, assunto a verbale in data 6 dicembre 1997, dichiarava di aver conosciuto il dottor Zucconi, confermando che questi era cliente presso il distributore di benzina gestito in quegli anni dal proprio genitore. In relazione alle auto possedute negli anni dal medico, specificava di averne notate diverse, tra cui ricordava una AUDI di grosse dimensioni a tre volumi di colore metallizzato chiaro, forse grigia. Il predetto, inoltre, riferiva che, all’epoca dei delitti del cosiddetto Mostro di Firenze, la gente in paese raccontava che lo Zucconi era oggetto d’indagine o comunque controllato dalle Forze dell’Ordine, siccome sospettato di avere a che fare con quegli omicidi. Specificava, poi, di ricordare che, in un arco di tempo collocabile tra il 1984 ed il 1986, mentre tornava a casa, transitando davanti all’abitazione del medico, aveva notato più volte delle autovetture ferme e, in particolare, una sera d’inverno allorché aveva notato una Fiat Uno scura, il cui autista, quando lui era transitato da lì, lo aveva seguito, almeno per come aveva avuto modo di capire.
Ulteriori acquisizioni investigative e documentali fornivano conferma di quanto appreso. In particolare, dall’esame degli atti esistenti presso la Stazione CC di Impruneta e San Casciano V.P., si aveva indiretta conferma che, comunque, in epoca di poco successiva al duplice omicidio di Scopeti, esisteva una corrispondenza attestante le segnalazioni di due fucili in possesso dello Zucconi. Infatti, si poteva accertare che, agli atti della stazione CC di San Casciano, vi era una nota datata 20.9.85, in cui lo Zucconi risultava in possesso di nr.2 fucili, la cui detenzione era invitato a regolarizzare. Agli atti della Stazione CC di Impruneta, invece, vi era una denuncia, a nome dello stesso Zucconi, datata 4.10.1985, di possesso di nr.3 fucili, nr.1 revolver e nr.1 carabina. Appare singolare che tale regolarizzazione si sia verificata pochi giorni dopo il duplice omicidio di Scopeti ( 8.9.85 ) pur essendo Zucconi residente ad Impruneta dall’anno 1958. Evidentemente in quel periodo ( settembre 1985 ) lo Zucconi era stato sottoposto quantomeno ad un controllo di natura amministrativa sulle armi in suo possesso. Nel contesto delle indagini, poiché quest’ufficio aveva appreso riservatamente che la Manni, in epoca non determinata, aveva subito un aborto, rivolgeva alla donna tale domanda. La Manni, al riguardo, confermava il fatto, specificando che il marito l’aveva condotta all’ospedale di Careggi da un medico, che indicava come persona molto alta e giovane. Le venivano mostrate più foto di uomini e la donna riconosceva senza esitazione quel medico, di cui aveva parlato, nella foto riproducente la persona del dottor Zucconi Giulio Cesare. Inoltre le risultanze investigative, inerenti l’aggressione subita dalla Manni Angiolina, portavano all’identificazione dell’autrice del fatto delittuoso proprio nella Pietrasanta Maria Ines nata a Milano il 26.7.37, residente a Impruneta (FI), via Imprunetana per Tavarnuzze nr.33, moglie di Zucconi Giulio Cesare. Altro elemento a riprova dei rapporti tra Pacciani e Zucconi emergeva dalle testimonianze di BINI Gino e di SESTINI Franco. In particolare il Bini, nato e vissuto a Mercatale, ex titolare di un forno, ubicato in piazza del Popolo e gestore, in seguito, di un maneggio, confermava le dicerie che indicavano il dott. Zucconi come coinvolto nei delitti del Mostro, tanto da essere stato controllato subito dopo il delitto dei francesi nel 1985. Aggiungeva, inoltre, che in paese si raccontava che, proprio il giorno del delitto dei francesi o il giorno seguente, lo stesso Zucconi sarebbe passato a cavallo dagli Scopeti. Inoltre, il Bini affermava che Zucconi era amico del Pacciani già da molti anni e, dichiarava ciò, in quanto sapeva che Zucconi aveva accompagnato un suo conoscente, Sestini Franco, dal Pacciani, affinché quest’ultimo gli governasse il cavallo. Proseguiva nel dichiarare che “fu proprio il Sestini che mi disse di essere stato accompagnato da Zucconi a casa del Pacciani. L’impressione che ha avuto il Sestini è che lo Zucconi si conoscesse molto bene con Pacciani”. A conforto di tali dichiarazioni, il Sestini Franco riferiva che tramite Zucconi aveva acquistato un cavallo, che dapprima teneva nella villa dello stesso dottore. Fu proprio quest’ultimo a rassicurarlo dicendo che lui aveva persona di sua fiducia che sicuramente avrebbe accettato di governare il cavallo durante la settimana, anzi gli aveva fatto il nome di tale “Pacciano”. Proseguiva dichiarando che insieme si erano recati a Sant’Anna ove lo Zucconi era entrato in casa del tale che chiamava Pacciano, mentre lui aveva atteso in auto. Al ritorno lo Zucconi gli aveva detto che Pacciano non era disponibile. Di tale rifiuto lo Zucconi era rimasto veramente male, in quanto non se lo aspettava proprio, precisando inoltre che sia precedentemente che in occasione della loro visita al Pacciani, lo Zucconi gli aveva dato l’impressione di avere un rapporto con lo stesso, tale per cui il Pacciani non gli avrebbe potuto negare il favore, anche perché lo stesso Pacciani fu la prima persona contattata come possibile custode del cavallo e dalle parole dello stesso Zucconi era chiaro che sarebbe andato a colpo sicuro. Solo successivamente il Sestini aveva collegato che quella persona di Sant’Anna era Pacciani Pietro. Infine, il Sestini confermava di aver sentito delle voci che indicavano lo Zucconi come possibile Mostro di Firenze anche perché si faceva riferimento ad un chirurgo che sapesse usare il bisturi. Aggiungeva, altresì, che aveva sentito dire che lo Zucconi era stato sottoposto anche a perquisizione e che, dopo ogni delitto, le stesse Forze di polizia si erano recate da lui per perquisirgli la casa. 35 Erano quindi assunte informazioni da Pacciani Graziella, figlia della Manni e di Pietro Pacciani. La giovane confermava che la propria madre aveva in passato abortito, dichiarando che “il babbo raccontava in casa che la mamma aveva abortito e che il figlio che sarebbe dovuto nascere era maschio e che sarebbe stato sicuramente meglio che avere due figlie femmine”. La stessa, inoltre, in relazione ad una sua sospetta gravidanza in passato, riferiva che il proprio genitore le aveva detto testualmente che “anche se ero rimasta incinta mi avrebbe fatto abortire senza far sapere nulla a nessuno”. Giova ricordare che, così come segnalato con nota del 29.8.98, erano stati predisposti alcuni servizi di osservazione nei pressi dell’abitazione di Zucconi Gaetano, sita in Impruneta, via Imprunetana per Tavarnuzze nr.29. Nel pomeriggio del 24.8.98, veniva notata giungere nei pressi della predetta abitazione una FORD KA di colore bordeau targata AX 337 TN con a bordo un individuo di 30 anni circa. Dopo qualche minuto si notava la stessa auto con alla guida l’individuo di cui sopra in compagnia di una persona molto più anziana, dall’aspetto distinto, dirigersi verso la zona di Firenze Sud. I due, giunti in via Chiantigiana si fermavano davanti alla società LICOSA s.p.a. ove entravano negli uffici della predetta società. Dopo circa un’ora uscivano dall’edificio accompagnati da una terza persona, riconosciuta da questo dirigente nel dott. Giovanni Gentile ( titolare della casa editrice “Le Lettere” che ha pubblicato il libro “Compagni di sangue” di cui è coautore questo dirigente ), il quale li accompagnava fuori dalla porta d’ingresso e, dopo averli salutati, rientrava all’interno. I due poi tornavano all’abitazione di Impruneta. Venivano quindi svolti opportuni accertamenti dai quali emergeva che la Ford KA era intestata a EURPOCAR ed era stata noleggiata in data 24.8.98 da Gatti Luca nato a Novara il 20.9.61, residente a Chianni (PI), località podere Mulinaccio n.187 – tel.0587/647207. Giova ricordare che proprio nel comune di Chianni (PI), in località Castagnolo, in data 7.8.93, erano stati rinvenuti cadaveri Francesco Vinci e Angelo Vargiu, interamente carbonizzati. I due cadaveri si trovavano all’interno del bagagliaio di un’autovettura Volvo 240/D targata FI K03380, intestata allo stesso Vinci. Inoltre, da un sopralluogo effettuato, l’abitazione della famiglia Gatti dista sei chilometri dal luogo dove furono rinvenuti, cadaveri, Vinci Francesco e Vargiu Angelo. In relazione proprio al Vinci Francesco si rammenta che lo Giuseppe Sgangarella riferiva che lo stesso, nel periodo di codetenzione, gli aveva confidato che stava pagando per gli amici, tra cui il Pacciani, che lo avevano abbandonato e temeva di essere ucciso. Le stesse preoccupazioni sostanzialmente il Vinci aveva confidato all’amico Giovanni Calamosca anche nella circostanza in cui gli aveva chiesto un interessamento per ottenere il passaporto e potersi recare “il più lontano possibile”, anche in Australia. Dallo sviluppo dei tabulati, relativi all’utenza 055/2011154, intestata allo Zucconi Gaetano, nel periodo compreso tra il 1.1.96 al 10.10.2000, si registrava la presenza di nr.9 chiamate in arrivo, tutte comprese dal giugno al settembre di quell’anno, dall’utenza cellulare 0336/679349 intestata a Cecconi Cinzia e Del Medico Riccardo in oggetto generalizzati, entrambi domiciliati in questo Borgognissanti nr.100, condomini di questo dirigente della squadra mobile. Più in particolare le telefonate erano le seguenti: due in data 6.6.2000, delle ore 10.40, per una durata complessiva di 70 scatti/secondi con partenza dal ponte FI 2; una del 9.7.2000 delle ore 21.54 per una durata di 229 scatti/secondi con partenza dal ponte FI 2; una del 17.7.2000 delle ore 19.26 per una durata di 63 scatti/secondi con partenza dal ponte FI 2; una del 6.9.2000 delle ore 9.32 per una durata di 72 scatti/secondi con partenza dal ponte FI 2; una del 11.9.2000 delle ore 14.20 per una durata di 106 scatti/secondi con partenza dal ponte FI 2; 37 una del 15.9.2000 delle ore 8.16 per una durata di 12 scatti/secondi con partenza dal ponte FI 2; due del 21.9.2000 rispettivamente delle ore 8.53 e 8.54 per una durata di 57 e 85 scatti/secondi con partenza dal ponte FI 2. Per quanto, invece, concerneva le telefonate in entrata ed uscita di utenze fisse, sono emerse due telefonate, rispettivamente del 5.6.2000 e del 2.9.200, per una durata la prima di 167 secondi e l’altra di 30 secondi, entrambe provenienti dall’utenza 055/2302810, in uso alla famiglia Del Medico – Cecconi. La frequenza dei contatti telefonici in questione, così come comunicato a suo tempo con apposita nota, apparivano piuttosto singolari, atteso che si erano verificati nel periodo di tempo in cui sulla stampa erano riportate notizie concernenti le indagini sul mandante dei duplici omicidi e su altri cinque omicidi, avvenuti nel 1993 e 1994, ritenuti comunque riconducibili sempre alla vicenda del Mostro. A proposito del fratello dello Zucconi Cesare che, a dire di Guidotti Simone, all’epoca dei sospetti sul medico ginecologo, ricopriva importanti cariche diplomatiche in Vaticano, va segnalato che, agli atti di questa Questura, è stato rinvenuta una corrispondenza intercorsa con la Questura di Varese nell’anno 1986. In detta corrispondenza, la Questura di Varese, con nota del 15.9.1986, riferiva notizie fiduciariamente apprese sulla vicenda del Mostro e faceva riferimento ad una fonte, che era in contatto con una persona “accreditata presso il Corpo Diplomatico della Santa Sede in Roma”. Quest’ultima, sempre secondo le notizie riferite nella succitata nota, “sarebbe stata disposta a consegnare non solo un dettagliato e circostanziato dossier con cui sarebbe stato possibile identificare il Mostro di Firenze, ma addirittura le prove degli efferati delitti de quo con la pistola cal. 22 di vecchia fabbricazione con cui sarebbero state ammazzate le vittime” (vedasi nota di questo ufficio del 17.9.2001).
3.5 Fradeani Nicola. Recentemente perveniva a questo dirigente una lettera anonima, inviata da Castelfidardo (AN), con la quale l’autore segnalava dei sospetti su un medico di Ancona, tale dott. Nicola Fradeani, in relazione ai duplici omicidi di Firenze. Nella missiva, si faceva riferimento anche alla morte del citato medico, che sarebbe stato trovato morto dentro la sua auto nel porto di Ancona a distanza di tempo dalla sua scomparsa. La lettera si concludeva così: “Non è una lettera anonima ma il mio nome non serve perché ho riferito tutto ciò che era di mia conoscenza e che inizialmente avevo sorriso quando questa donna (la fonte delle sue conoscenze) mi aveva riferito i suoi sospetti, ma che ora prendono un aspetto nuovo alla luce delle ultime indagini”. In relazione alla citata segnalazione, preliminari accertamenti consentivano di appurare quanto segue: 1. Fradeani Nicola si identificava per Fradeani Nicola, nato a Zara (YUG) il 11.7.1925, celibe, deceduto ad Ancona il 6.4.1994. 2. Il predetto, figlio unico di Fradeani Fernando e Barbalich Carmela, aveva quattro zii paterni, tra cui Fradeani Emma, nata ad Ancona il 12.8.1902, deceduta, che era coniugata con Corrado Alberto, nato a Valle di Maddaloni il 16.3.1896, dalla cui unione erano nati 4 figli, tra cui Corrado Luciano, nato ad Ancona il 13.8.1922, marito della Tacchio Graziella, e Corrado Dario, nato a Pola il 27.11.1928, giornalista. 3. Fradeani Nicola, in data 27.7.1999, veniva ripescato durante una attività di drenaggio dei fondali portuali di Ancona all’interno di una autovettura Ford Escort targata AN 549832, intestata allo stesso, la cui scomparsa era stata denunciata presso la Stazione CC Centro di quella via Piave dalla cugina Fradeani Fiammetta in data 6.4.1994. 4. Le indagini, svolte dalla Squadra Mobile di Ancona in occasione del recupero dei resti dell’uomo, consentivano di accertare che: – la vicina di casa del Fradeani, tale Biagi Ludovica, amica dello stesso da circa 40 anni, dichiarava di averlo visto la mattina del 27.2.1994, poiché, nel rientrare, l’uomo si era fermato da lei per farle vedere un capo di abbigliamento appena acquistato; – 39 dopo alcuni giorni, la donna delle pulizie, tale Pergolini Vanda, aveva avvertito la Biagi che il Fradeani non era rientrato a casa e che la mattina del 28 febbraio aveva trovato le finestre spalancate, la cena pronta sul tavolo ed il letto intatto con le coperte ripiegate, nonché la porta senza le mandate, fatto, quest’ultimo, stranissimo, che l’aveva particolarmente colpito anche perché l’uomo era solito chiudere la porta con le mandate anche quando scendeva dalla vicina di casa; – il Fradeani doveva essere uscito di casa la sera di fretta, tanto che vi era pronta la cena non consumata e tanto da avere preso la propria autovettura, che usava solo raramente e quando faceva spostamenti lontani; – negli ultimi tempi, non aveva notato nulla di diverso dal solito se non la preoccupazione per un processo in corso a Firenze, concernente l’eredità di una sua zia, già sperperata da un cugino. Le indagini si concludevano con l’ipotesi del suicidio. 5. Dall’esame degli atti, qui inviati dalla Squadra Mobile di Ancona, risultava una vertenza giudiziaria tra Corrado Dario e Corrado Luciano in relazione all’eredità di Fradeani Elda, della quale eredità il Corrado Luciano, sulla base di una disposizione testamentaria, poi contestata, si sarebbe appropriato dei beni della defunta, che risulta deceduta in San Casciano Val di Pesa in data 14.7.1989. Infatti, con atto notarile del 1.12.1989, il Corrado Luciano vendeva due appartamenti, siti in Ancona ed oggetto dell’eredità di cui trattasi, a Tacchio Rolando, nato a Foligno il 13.8.1922, residente all’epoca a Villa Verde di San Casciano allo stesso indirizzo del Corrado. Nell’atto di vendita in questione, tra l’altro, si legge che tra le parti venditrice ed acquirente non esistono rapporti di parentela; dichiarazione, questa, sicuramente falsa, essendo il Tacchio Rolando fratello di Tacchio Graziella, moglie del Corrado Luciano. A proposito della segnalazione in questione, si ritiene utile rilevare che essa appare quanto mai singolare, dal momento che, provenendo da altra regione, ove non si sono verificati delitti attribuibili al Mostro, indica non un personaggio qualunque, ma un soggetto imparentato con la famiglia Corrado, emersa comunque nel contesto delle indagini sul Mostro di Firenze; un soggetto, peraltro, che, almeno dalle notizie acquisite, sarebbe scomparso in circostanze piuttosto anomale e sarebbe stato trovato, a distanza di diversi anni, morto, nelle acque del porto di Ancona. Va, inoltre, sottolineato che il Tacchio Rolando è originario di Foligno.
4. Ipotesi di depistaggi o di situazioni comunque non regolari.
4.1 Sisde. I recenti risultati investigativi, concernenti il significato esoterico riferibile al principale movente dei duplici omicidi, hanno consentito di registrare alcune situazioni piuttosto anomale, specie, almeno allo stato, da parte del Sisde – Centro di Firenze -, in relazione proprio alle attività informative e di collaborazione alle indagini di detto organismo. Infatti, a seguito dell’acquisizione di documentazione presso il citato ufficio, disposta dalla S.V., si è potuto appurare: – l’inesistenza del primo studio del 1985 del Prof. Bruno (quello in cui si fa riferimento alla magia nera) sequestrato, durante la perquisizione, allo stesso Bruno), mentre è stata trovata copia del successivo studio, sempre risalente al 1985. A proposito di quest’ultimo vi è una nota di trasmissione dello stesso, datata 24.6.86, a firma (illeggibile) del Direttore della Divisione dell’epoca, al III Reparto, all’Unità Centrale Informatica di Roma, sempre del SISDE, nonché al Centro SISDE di Firenze –; – circa l’ulteriore destinazione dell’elaborato, esiste una nota del 7.9.01 del Centro SISDE di Firenze, dalla quale si evince che, in quegli atti, vi è solamente l’originaria nota di trasmissione dell’elaborato in questione, sulla quale vi è l’annotazione in corsivo “Allegati al Gruppo CC FI”, senza nessun altra indicazione. Nella stessa nota si precisa che, all’epoca, il Capo Centro era il Dott. Vito Sebastiano Luongo . Lo stesso Centro Sisde di Firenze, però, con una successiva nota, datata 10.9.2001, comunica che “l’ulteriore e più approfondita ricerca agli atti di quest’ufficio ha permesso di rinvenire, impropriamente collocate in altro fascicolo, n. 5 cartelline rilegate, organiche e collegate tra loro, prive d’intestazione data e firma, che si ritengono, ragionevolmente, riferibili come agli allegati al foglio nr. 5.13580/1 (C.11 – 1) del 24.06.86, in quanto, su una cartella che richiama le altre, è posta la dicitura “Appunto per il Sig. Direttore” Oggetto: Studio psico – criminologico sulla serie dei delitti attribuiti al c.d. Mostro di Firenze”). A proposito di questo studio, giova ricordare quanto dichiarato dal Bruno in sede di assunzione di informazioni il 6 settembre scorso: “Nel 1985 – ero collaboratore del Sisde sin dal 1979 – l’allora direttore dott. Vincenzo Parisi, subito dopo l’ultimo delitto, mi incaricò personalmente di svolgere uno studio teorico per capire più che altro il significato di quegli omicidi ed il profilo dell’eventuale responsabile. Feci, quindi, uno studio esclusivamente sulle carte che mi furono consegnate dallo stesso Direttore. Si trattava dei verbali di sopralluogo redatti all’epoca dei fatti dagli organi investigativi intervenuti sul posto, corredati dalla relative fotografie, e della perizia che il Prof. De Fazio aveva redatto su incarico del P.M. fiorentino titolare dell’ inchiesta. Ricordo che il De Fazio, che non aveva esperienze su Serial Killer, mi chiese tramite il Prof. Ferracuti eventuali materiali di bibliografia scientifica sulla materia ed io gli inviai il primo studio dell’F.B.I. sui serial Killer. Fu così che redassi un primo rapporto consegnandolo sempre nell’anno 1985 personalmente al Direttore del Servizio, che rimase molto affascinato dalle cose che avevo scritto. Successivamente non seppi più nulla di quel lavoro, né avrei dovuto sapere alcunché. In pratica, il compito richiestomi si era esaurito. Devo far presente che, conoscendo il funzionamento di quel Servizio, non posso escludere che anche qualcun altro si sia interessato della stessa vicenda.” Ed ancora, alla domanda che gli elaborati sequestratigli erano due, il Bruno precisava: “effettivamente gli elaborati che mi furono sequestrati durante la perquisizione sono quelli da me redatti nella circostanza di cui ho parlato. Preciso che la copia che materialmente consegnai al dott. Parisi è quella che sulla copertina, esattamente sul 42 margine laterale destro in alto, reca la dicitura a penna “F. Bruno 1985”, mentre l’altra copia, intestata sempre “appunto per il Sig. Direttore” era uno studio preliminare”. Ed infine sul punto: “Mi viene fatto presente che nella prima copia, tra l’altro, evidenzio il significato religioso dei delitti ed offro, nella conclusione, uno spunto investigativo su una casa di cura per anziani non autosufficienti nella zona sud-est di Firenze sulla base di alcune mie deduzioni su basi di fatto e logiche, mentre, nella seconda copia (quella preliminare) concludo formulando tre ipotesi, tra cui – la prima – riguarda la eventuale riconducibilità dei delitti a riti satanici o di magia nera. Effettivamente ho formulato queste ipotesi e preciso che la prima (significato religioso) non esclude l’altra, ma anzi la comprende in un significato più ampio. Circa la casa di cura, devo dire che fu una semplice ipotesi di lavoro che mi era risultata molto suggestiva perché, controllando successivamente i nomi delle case di cura di Firenze, trovai proprio nei luoghi in cui sospettavo che ci fossero delle case di cura che sulla base dei miei studi potevano essere significative. E questa circostanza mi rafforzò la convinzione circa la mia ipotesi”; – il Sisde, negli anni 1984/1991, aveva svolto attività informativa, d’intesa con l’A.G. e gli organi di P.G., nell’ambito delle indagini sul c.d. “Mostro di Firenze”.
Nel tempo erano state redatte le seguenti informative:
1) nota del 16.9.1984 con oggetto “Profilo comportamentale e psicologico del mostro di Firenze”;
2) nota del 5.12.1985, con cui veniva segnalato come probabile autore tale Andreini Giancarlo;
3) nota del 28.3.1986, relativa al riconoscimento, da parte di tale Fanciullotti Alfredo, nell’identikit del Mostro certo Ciani Luigi;
4) nota del 9.7.1986, relativa alla segnalazione, quale possibile Mostro, di tale Grandinetti Giovanni;
5) nota del 5.6.1987, relativa alla segnalazione di sospetti su tale Coralli Patrizio.
Da una successiva acquisizione di documenti, eseguita il 15 ottobre 2001, relativa tra l’altro ai documenti presenti al Centro Sisde di Firenze, si poteva appurare, in relazione proprio a quest’ultimo ufficio:
– l’inesistenza del primo studio del 1984 – 1985 del Prof. Bruno (quello in cui si fa riferimento alla magia nera) sequestrato allo stesso Bruno;
– l’esistenza della copia del successivo studio del Prof. Bruno, sempre risalente al 1985. Esiste, infatti, la nota di trasmissione dello stesso da parte della Direzione centrale, datata 24 giugno 1986, a firma (illeggibile) del Direttore della Divisione dell’epoca. Esiste, altresì, la nota del 7 settembre 2001, diretta alla Direzione di Roma, della quale si è riferito più sopra;
– l’esistenza di uno studio a firma di tale Teresa Lucchesi, datato Firenze 28 settembre 1985. In tale elaborato, che si compone di 4 pagine dattiloscritte, l’estensore sottolinea l’attendibilità dell’ipotesi secondo cui “i delitti sarebbero opera di più aggressori, un delitto dunque collettivo, forse un tipo particolare di comunità religiosa segreta, una setta che attua una specie di magia nera, che attraverso propri giuramenti e codici inneggia al loro Dio compiendo così sacrifici con macabri ed immondi riti, allo scopo di potenziare lo spirito umano, mirando preminentemente al sesso femminile, apoteosi delle loro sacre (ma alquanto profane) funzioni”. A supporto di detta ipotesi, sono indicati una serie di elementi e di considerazioni e più precisamente: – il fatto che le vittime presentavano “notevoli e numerosi segni di forma semicircolare”, come a voler rappresentare disegni e figure divinatorie; – il fatto che dalle borsette delle donne non fosse stato sottratto alcun valore e ciò “accentuerebbe il carattere prettamente spirituale delle sedute invocate”; – i luoghi prescelti dei delitti, la maggior parte dei quali iniziano con una lettera “S” e che starebbero ad indicare i nomi dei Santi, evidenziando così un chiaro riferimento alla religione; – l’evidente preferenza per le notti di novilunio e dei giorni prefestivi e festivi, giorni, che sembrano reiterare il numero ), forse ritenuto un simbolo fallico. L’elaborato conclude così: “La figura del Mostro sembra ormai avere dei contorni ben precisi anche se le indagini si presentano lente e laboriose”. Si precisa, a proposito dello studio in questione, che, agli atti della Questura non vi è traccia alcuna di esso. Lucchesi Teresa, sentita in data 16.11.2001 in relazione al citato elaborato, dichiarava di averlo redatto, su richiesta del Capo centro dell’epoca, sulla base di articoli di 44 stampa che parlavano della vicenda. La stessa, che riferiva di essere in possesso del diploma di istituto tecnico commerciale, precisava di aver avanzato l’ipotesi della setta satanica e, quindi, della magia nera, supponendo che le parti del corpo umano delle vittime, asportate, potessero essere utilizzate come alchimie esoteriche; – l’esistenza di una copiosa documentazione, concernente attività informativa svolta nell’ambito della collaborazione fornita agli inquirenti in relazione alla vicenda, nonché di attività di controllo del territorio mediante l’impiego di coppie, impiegate come “esca” e la fornitura agli inquirenti di mezzi e di speciali apparecchiature; – l’esistenza di una copiosa rassegna stampa sulla vicenda. Di questa, si segnalano i seguenti servizi: – “La Nazione” del 12.9.1985, pag. 1: in un servizio si legge “Il Questore ha risposto a molte delle angosciose domande che tutti si pongono e ha detto tra l’altro che la coppia francese era stata avvertita del pericolo che correva”; – “La Nazione” del 12 settembre 1985, pag. 5: in un servizio di Sandro Bennucci, si legge “ (Il Questore) rivela addirittura che i francesi, le ultime vittime, furono personalmente avvertiti di non stare nei boschi e di non fare il campeggio libero. Purtroppo non vollero ascoltare. Ed ancora, alla domanda che gli stranieri non sanno del mostro: “Le dirò, allora, che i due francesi, le ultime vittime, furono avvertiti personalmente di non stare nei boschi. Gli fu consigliato di non fare il campeggio libero. Di più non posso dire perché si tratta di cose che riguardano le indagini, tuttavia le assicuro che loro erano stati informati del pericolo che correvano”; – “La Città” del 14 settembre 1985, pag. 5: in un servizio di Ettore Recchi, si legge “Giorni fa il Questore Gianfranco Corrias, parlando con alcuni giornalisti, disse: “I due francesi erano stati avvertiti personalmente di non stare nei boschi. Di più non posso dire: Ma gli era stato detto di non fare capeggio libero.” Ed ancora: “Ieri mattina, il capo della Criminalpol toscana, Antonino Surace, si è affrettato a precisare la dichiarazione del Questore. “Il Questore ha detto che i francesi erano stati avvertiti di non fare capeggio libero. A dirglielo era stata una guardia venatoria alcuni giorni prima. Non a San Casciano, in un’altra zona, sempre nella provincia di Firenze”; – “La Nazione” del 25 settembre 1985: in un servizio a pag. 5 di Mario Spezi, si legge “Due aderenti alla setta degli Hare 45 Krishna, che hanno la sede a 300 metri dagli Scopeti, hanno descritto un tipo sospetto che il pomeriggio di venerdì 6 usciva dal bosco dove domenica sarebbe stato commesso il duplice omicidio. Un altro Hare Krishna ha detto di avere visto lo stesso individuo domenica mattina nel parco della villa dove la setta ha la sede”. Gli articoli sopra citati, contenenti le dichiarazioni del Questore e del Capo della Criminalpol dell’epoca, confermano quanto si è appreso solo recentemente dagli atti del Commissariato di Sesto Fiorentino e cioè che i due francesi, qualche giorno prima di essere uccisi, erano stati allontanati da altra zona, proprio nel territorio di quel Comune, da una guardia venatoria. Inoltre, i rimanenti articoli sembrerebbero confermare quanto dichiarato da Weber Gerhard circa la frequentazione della setta degli Hare Krisnha da parte degli autori dei duplici omicidi.
4.2 Aurelio Mattei, nato a Fiuggi il 23.1.1953, residente a Roma, Piazza Monte Gemma n. 9, funzionario del Sisde, come noto, scrisse un libro, intitolato “Coniglio il martedì”, ispirandosi alla vicenda del Mostro di Firenze. Il contenuto di detto libro, contiene alcuni passaggi, all’epoca della stesura, certamente inediti e che lasciano invece sottintendere che l’autore dovesse essere a conoscenza di elementi che sono emersi molto più tardi e precisamente solo nel corso delle recenti indagini sui cosiddetti “compagni di merende”. Al riguardo, si richiamano i seguenti passi: 1. “un fatto mi lascia perplesso…” La voce del giudice Lanzi era monotona. “Voi tutti parlate sempre di un assassino. Quali elementi v’inducono a escludere la presenza di più di un criminale?” Il medico fissò Lanzi conservando sulla faccia una maschera inespressiva. “non possiamo escludere che uno abbia provveduto ad uccidere i ragazzi con la pistola e, successivamente, un altro sia intervenuto con l’arma bianca. L’istinto, tuttavia, continua a ripetermi: l’assassino opera da solo”. “Scusatemi” Il Questore, scostando la bottiglia dell’acqua che creava strani riflessi verdi sulla sua faccia, intervenne nella discussione. “Io, a differenza del professore, non escludo l’intervento di più persone. Non è la prima volta che un gruppo criminale compie azioni, all’apparenza prive di motivazioni, al solo scopo di terrorizzare l’opinione pubblica e di far apparire le istituzioni incapaci di affrontare il fenomeno. L’obiettivo potremmo essere noi e non quei poveri ragazzi”. (pagg. 34 e 35) 2. “…dopo aver constatato questi elementi, per esclusione azzardai due ipotesi: l’azione era stata compiuta da un pazzo, oppure un gruppo di fanatici aveva programmato il delitto per scopi punitivi o ritualistici. Optai per la prima soluzione in quanto nella nostra zona non è stata mai rilevata la presenza di sette o organizzazioni che, nei loro riti, prevedessero l’uso del sacrificio umano. C’è, inoltre, da evidenziare che, mentre è possibile per un solo soggetto compiere un delitto del genere senza lasciare una traccia, nel caso di più persone ciò è inverosimile”. (pag. 38) 3. Il poligono Valle Verde si trovava nella periferia sud della città. (pag. 72) 4. Andai ancora per tre settimane al poligono Valle Verde. (pag. 76) Come si può agevolmente notare, il Mattei, nel 1992, ricostruendo la vicenda dei delitti del Mostro di Firenze, ipotizza nel racconto l’eventuale partecipazione di più persone, uno che uccideva con la pistola ed uno che, intervenendo subito dopo, usava il coltello, così come, a distanza di diversi anni (inchiesta bis) si è potuto accertare. Ipotizza, altresì, l’eventuale coinvolgimento di un gruppo di fanatici (setta o organizzazione) che prevedesse, nei loro riti, il sacrificio umano. Parimenti singolare appare il riferimento al poligono Valle Verde ed alla sua posizione logistica (zona sud della città), che appare voler fare riferimento a Villa Verde (casa di cura per anziani non autosufficienti), che si trova proprio nella zona sud della città.
4.3 dott. Gennaro Monaco. Il giorno 10 novembre 1990, la signora Maria Consolata Corti, nata a Pisa il 3.5.1947, veniva sentita da codesta Procura della Repubblica, quale persona informata sui fatti, in relazione ad un’intervista, rilasciata dalla predetta al giornalista Maurizio Caravella e pubblicata sul n. 46 del settimanale “Visto”; intervista, che riguardava, tra l’altro, i delitti attribuibili al c.d. Mostro di Firenze. In sede di assunzione di informazioni, la Corti riferiva un episodio specifico accadutole nel mese di febbraio – marzo 1988, per il quale si era recata presso la Squadra Mobile della Capitale. Dopo aver premesso che quel giorno era rimasta molto intimorita dai discorsi fattele da una persona, con cui si trovava e che sospettava di essere il Mostro di Firenze, raccontava di aver esposto quanto occorsole al dott. Monaco della Questura di Roma e ad altri. Sulla scorta di tali dichiarazioni, codesta A.G., tramite la SAM, richiedeva alla Squadra Mobile di Roma notizie in merito all’episodio sopra citato. La Sam, con nota del 13.11.1990, chiedeva, quindi, le necessarie delucidazioni. La Squadra Mobile di Roma rispondeva con la nota del suo dirigente pro tempore, dott. Nicola Cavaliere, datata 4.1.1991, che ricopiava fedelmente la relazione di servizio, datata 28.12.1990, redatta dal dott. Gennaro Monaco, all’epoca Primo Dirigente della Polizia di Stato. Il dott. Monaco, nel citato atto, confermava l’avvenuto colloquio con la Corti, all’epoca in cui era Dirigente della squadra mobile, collocandolo temporalmente nel mese di gennaio 1987. Riferiva, quindi, di avere inviato, su richiesta del Questore dell’epoca, dott. Monarca, un proprio funzionario, il dott. Robert Nash, presso l’ospedale Filippo Neri, da dove la donna aveva telefonato al Questore. Qui, il dott. Nash aveva appreso dalla donna che alcuni comportamenti del dott. Angelo Mangano, Dirigente Superiore della Polizia di Stato a riposo, con cui da qualche mese intratteneva una relazione sentimentale, l’avevano impaurita avendo compreso che il funzionario potesse essere il cosiddetto “Mostro di Firenze”. Aggiungeva che la donna aveva precisato che “tale ipotesi le era nata dopo aver osservato alcuni comportamenti del suo amante nei momenti più intimi: si trattava in particolare del fatto che costui durante gli amplessi non diceva alcuna parola e che lo stesso era solito farsi la doccia con acqua gelida”. Quindi, il dott. Monaco proseguiva che il dott. Nash, nonostante “l’assoluta mancanza di credibilità della donna che peraltro appariva nel non pieno possesso delle sue capacità mentali” aveva accompagnato la Corti negli uffici della squadra mobile. Qui, la donna gli aveva manifestato i suoi convincimenti “con frasi sconnesse e senza alcun nesso logico”, per cui, dato l’evidente stato precario di salute psichica della Corti, aveva provveduto a contattare telefonicamente la di lei madre, Del Dottore Elena per affidargliela. La Corti, sentita a verbale dalla S.V. il 24 maggio 2001, in relazione all’episodio di cui trattasi, precisava “cercai telefonicamente il Questore di Roma, che era amico di papà e fui portata successivamente alla squadra mobile in via Nazionale, dove parlai con dei funzionari e c’era anche un’ispettrice che mi accompagnò”. Fa, quindi, riferimento ad una ispettrice di polizia, e non già al dott. Nash – del quale, peraltro, non fu trasmessa alcuna relazione di servizio – quale persona che l’aveva prelevata dall’ospedale accompagnandola in Questura. E’ noto, altresì, che nella suddetta circostanza, la teste negava decisamente l’asserita relazione sentimentale con il Mangano e, conseguentemente, il contenuto della relazione del dott. Monaco sulle sue asserite precarie condizioni psichiche della stessa ed il suo affidamento alla propria madre. In data 4 luglio 2001, personale dipendente, in Roma, procedeva ad assumere informazioni dai familiari della nominata Corti e, più precisamente, dalla madre e dal fratello. Del Dottore Elena, madre della Corti, riferiva succintamente le esperienze e la vita professionale del marito, Funzionario di Polizia, confermando quanto aveva dichiarato sul punto la figlia. Confermava, altresì, il racconto della figlia sul Mangano relativamente all’aiuto di quest’ultimo ad avere aiutato la Corti a cercare un lavoro nel campo finanziario a Torino. Circa, poi, l’episodio specifico, narrato dalla Corti, concernente il Mangano ed i colloqui avuti presso la Questura di Roma, la Del Dettore riferiva di aver saputo dalla figlia che questa, tornando in auto da Torino con il Mangano, per una frase o qualche cosa detta dall’uomo, si era molto spaventata e, scesa dall’auto, aveva chiesto aiuto, venendo poi accompagnata a casa da un poliziotto. Aggiungeva di ricordare di non essere stata contattata telefonicamente nella circostanza dalla Questura per essere messa al corrente che la propria figlia si trovava lì. Precisava che la figlia in quella circostanza era molto agitata e spaventata. In relazione poi ad eventuali patologie psichiche della figlia, riferiva che quest’ultima non aveva mai sofferto di alcuna malattia o disturbi di questo genere, precisando che la figlia è una persona molto impulsiva che talvolta si innervosisce ma che il tutto rientra in una completa normalità caratteriale. Ha escluso inoltre che la propria figlia potesse avere avuto una relazione sentimentale con il Mangano. Ha confermato l’incendio della cantina della propria abitazione con conseguente distruzione di quanto in essa vi era. A proposito delle citate dichiarazioni, è appena il caso di rilevare che la Del Dettore non confermava assolutamente il contenuto della nota relazione di servizio del 28.12.1990 a firma del dott. Gennaro Monaco della Questura di Roma, che, come noto, nel suddetto atto, tra l’altro, faceva riferimento ad “un evidente stato precario di salute psichica” della Corti ed a contatti telefonici avuti dal funzionario con la Del Dettore, che, a dire del funzionario, si era scusata “per il comportamento della figliola attribuibile, a suo dire, ad un grave esaurimento nervoso dovuto ad alcune sfortunate vicende familiari”. Corti Giovanni, fratello della nominata Corti, riferiva, in particolare, dell’episodio della sorella con il Mangano avvenuto verso la metà degli anni 80. Raccontava di aver saputo, ma solo successivamente, dalla sorella che, mentre si trovava in auto con il Mangano, si era spaventata a causa di un comportamento dell’uomo tanto da essere letteralmente scappata chiedendo aiuto. Aggiungeva di aver saputo che poi la sorella si era recata dalla polizia riferendo quanto accadutole. Circa i rapporti della sorella con il Mangano, riferiva che non gli risultava che i due avessero avuto una relazione sentimentale. In relazione, poi, ad eventuali patologie della sorella, riferiva che costei soffriva di forti stati di depressione e di euforia, particolarmente nel periodo in cui si era verificato l’episodio con il Mangano, ma precisava che la sorella non era mai stata ricoverata per disturbi psichici, né era stata mai in cura per tali infermità. Confermava inoltre l’incendio della cantina dell’abitazione della madre avvenuto verso la metà degli anni 80 con conseguente incendio di tutto il suo contenuto.
In relazione al dott. Gennaro Monaco si è già riferito evidenziando comportamenti illeciti, tenuti dallo stesso, e che hanno influito notevolmente sullo sviluppo delle indagini sui duplici omicidi in questione, che, come noto alla S.V., a causa delle vicissitudini professionali di questo dirigente, hanno subito una prolungata fase di stallo, protrattasi per oltre un anno. Infatti, il dott. Monaco, nella sua veste di Direttore della Polizia Criminale, redigeva atti palesemente falsi, che sono stati utilizzati dai Ministri dell’Interno pro tempore per emanare i decreti con cui questo veniva sollevato dall’incarico di Dirigente della squadra mobile di Firenze, mentre era notoriamente impegnato in prima persona nelle indagini sul filone dei mandanti dei duplici omicidi, all’uopo delegato dalla S.V., per essere assegnato a minore incarico: quello di dirigente dell’Ufficio Stranieri. Come si è sopra fatto cenno, durante l’assenza di questo dirigente le indagini sulla vicenda “Mostro” sono rimaste di fatto bloccate per tutto il periodo, non essendo state portate avanti le deleghe a suo tempo rilasciate da codesta Procura della Repubblica, tanto che, alla ripresa del servizio da parte del dirigente nell’agosto dell’anno scorso, la S.V., con apposite note, rinnovava le deleghe sollecitandone l’evasione trattandosi di procedimenti di vecchia data. Anzi, va soggiunto che, al rientro in servizio di questo dirigente, quando si è presentata l’occasione di rivedere il fascicolo del D’Altilia e, in particolare, il cosiddetto “Parere pro veritate”, redatto dal suddetto ed a suo tempo fatto recapitare al sottoscritto, lo stesso non veniva più rinvenuto agli atti della Squadra Mobile. Infatti, quell’incartamento, dal dirigente consegnato all’atto del suo primo trasferimento dell’agosto 1999 al dott. Vinci e da questi, a sua volta, consegnato al personale dipendente negli uffici dell’ex SAM, non è stato più trovato, nonostante attente ricerche curate personalmente, oltre che dal dott. Vinci, anche dal dott. Giuttari. Va soggiunto, altresì, che, proprio negli ultimi tempi, questo dirigente, prima dal V. Sovr. Michele Natalini e, poi, dal dott. Vinci, che ne ha confermato la circostanza, ha appreso che, dopo il secondo trasferimento, subito nel mese di marzo 2000, su disposizione del Dirigente della squadra mobile pro tempore, è stata azzerata la memoria del computer “storico” della SAM, previo salvataggio dei documenti esistenti trasferendoli in floppy disk a cura del V. Sovr. Antonini Gabriele. Certo è che simili accadimenti e circostanze non possono che essere considerati come sintomatici della volontà di non proseguire nell’inchiesta, il cui esito ulteriore evidentemente, una volta trasferito il sottoscritto non interessava ad alcuno dei responsabili. Appare, pertanto, chiaro e documentato che il dott. Gennaro Monaco, con la sua azione, ha arrecato un ingiusto danno sia all’attività investigativa in corso, volta ad individuare i responsabili, quali mandanti, dei duplici omicidi in questione, sia a questo dirigente, che, a causa dei due trasferimenti d’ufficio patiti, ha subito ingenti danni patrimoniali e morali, ivi compreso quello alla propria immagine professionale di investigatore serio e capace. A proposito sempre del dott. Monaco, giova riferire che Pecoraro Osvaldo, Ispettore capo della Polizia di Stato, sentito a verbale su delega della S.V. il giorno 7 giugno 2001, a proposito del Bevilacqua, tra l’altro, riferì: “Da notizie ricevute e confermate da più fonti, tra questi mandanti vi sarebbe lo scrittore Bevilacqua, che mi risulta legato strettissimamente al dott. Cavaliere, al Prefetto Monaco, al dott. Antonio Del Greco ed al precedente Capo della Polizia dott. Masone. Tutte queste personalità istituzionali avrebbero avuto ed avrebbero tuttora interessi, non meglio per me individuati, a fornire certi aiuti al Bevilacqua, nel senso di non farlo entrare nelle indagini che state svolgendo.” Come si vede, tra le notizie avute dal Pecoraro, che è un ispettore capo della Polizia di Stato in servizio presso il Ministero dell’Interno ed allo stesso confermate da più fonti, il dott. Monaco ed il precedente Capo della Polizia dott. Fernando Masone si sarebbero attivati per mantenere fuori dalle indagini sul Mostro di Firenze il noto scrittore Alberto Bevilacqua.
4.4 Giovanni Spinoso. Il giornalista Giovanni Spinoso, come noto, ha assunto una veste importante nel contesto delle nuove indagini, essendosi acquisiti, a suo carico, gravi elementi probatori afferenti tutta una serie di attività illegali, che si sono protratte nel tempo per diversi anni e che hanno contribuito, da un lato ad aggravare la posizione processuale di Pietro Pacciani e, dall’alto, a gettare discredito sugli inquirenti e, in particolare, sul Procuratore Capo dott. Piero Luigi Vigna. In questa sede, appare utile ricapitolare alcuni elementi riguardanti il predetto; elementi, che hanno costituito oggetto di più informative e, da ultimo, si richiama quella del giorno 12 settembre 2001. Elementi, che occorre ancora ricordare depongono per un’attribuzione alla mano dello Spinoso non solo della famosa lettera contenente l’asta portamolla, ma anche dei famosi anonimi, a firma “Anonimo Fiorentino”, inviati a varie Autorità tra il 1991 ed il 1994, tra cui quello, ultimo, manoscritto, mandato al giudice popolare Silvano Gualtieri. Infatti, giova rilevare quanto segue:
– il mittente della lettera contenente l’asta portamolla avvolta in pezzi di stoffa, provenienti dalla casa e dall’annesso garage di Piazza del Popolo del Pacciani, individuato proprio nello Spinoso, dimostra sostanzialmente, non solo di essere in possesso di una parte della pistola del “Mostro”, rendendosi responsabile, tra l’altro, dei reati di detenzione e porto illegale di parte di arma, ma anche di essere stato in grado di entrare in possesso di quelle parti di stoffa, provenienti dalla casa occupata all’epoca dalle figlie del Pacciani, allo scopo evidente di dare un preciso elemento di riconducibilità di quel pezzo di pistola proprio alla persona del Pacciani. In relazione al primo elemento, è appena il caso di osservare che il possesso di una parte dell’arma dei delitti già di per sé dimostra una parte attiva del possessore ai delitti stessi in uno dei suoi momenti (di progetto, di esecuzione, ovvero, nella posizione più marginale, di favoreggiamento personale). Richiamando, poi, gli scritti dell’Anonimo Fiorentino, è opportuno ricordare che l’autore fa riferimento alla circostanza di mantenere l’arma dei delitti sotto controllo, dimostrando di conoscere bene il luogo in cui questa si troverebbe nascosta. Inoltre, è opportuno rappresentare che, tra la documentazione sequestrata allo Spinoso nel corso della nota perquisizione domiciliare del novembre 1998, vi era un foglio, tipo scheda, con il seguente contenuto manoscritto dallo stesso giornalista: “21.1.1988 avvertito disagio di De Gregorio – non saluta / preoccupato di parlare senza essere ascoltato con Rotellini e De Castello (?)…. Sembra proprio che sappia dei miei contatti stretti con il Mostro. Oggi non l’ho sentito. Soltanto verso le 19.30. Mi decido a passare e lo trovo in studio con collega di Borgo”. L’essere entrato in possesso di pezzi di stoffa, che si trovavano nell’abitazione occupata dalle figlie del Pacciani, non può che dimostrare, da parte del possessore, o una frequentazione di quei locali, ovvero una stretta relazione, ma verosimilmente a livello di complicità, con chi aveva la possibilità di frequentare quel posto;
– circa l’anonimo contenente l’asta portamolla, giusta delega della S.V. del 24 luglio 2001, come noto, si procedeva a sentire, quale persona informata sui fatti, l’allora Comandante la Stazione CC di San Casciano, M.llo Arturo Minoliti, destinatario della lettera in questione e che, all’epoca, impegnato direttamente in prima persona nello sviluppo delle indagini sul Pacciani. Il sottufficiale, nella circostanza, riferiva che:
* era stato lui stesso ad aprire con cautela ed utilizzando un paio di guanti la lettera anonima nel pomeriggio di quel giorno del mese di maggio 1992; lettera, che risultò contenere l’asta guidamolla avvolta in un pezzo di stoffa, con macchie che, a suo giudizio, avrebbero potuto essere di olio;
* aveva avvisato i propri superiori e l’autorità giudiziaria, facendo fare un sopralluogo nell’immediatezza nella zona di Crespello, ove, secondo lo scritto, sarebbe stato rinvenuto quel pezzo di arma, ma con esito negativo;
* aveva redatto il verbale di sequestro, che aveva trasmesso all’A.G., dalla quale non ebbe delega a svolgere accertamenti, né gli erano stati riferiti i risultati di eventuali perizie e consulenze;
* in relazione ai pezzi di stoffa, sequestrati nell’abitazione e nel garage di Piazza del Popolo del Pacciani, come si poteva rilevare dalla firma sul verbale del 2 giugno 1992, egli aveva partecipato a quella operazione. Precisava che, solo all’atto della lettura del verbale, sottopostogli dall’ufficio, rilevava che in quella occasione, nella credenza, era stato rinvenuto un pezzo di stoffa. Aggiungeva al riguardo di non ricordare il particolare e che, comunque, in quella occasione, nessuno dei partecipanti alla attività aveva fatto rilevare che si trattava di un pezzo di stoffa simile a quello che avvolgeva l’asta guidamolla. Precisava altresì che quel verbale lo stava rileggendo solamente nella circostanza dell’assunzione di informazioni, giacché dal momento della compilazione dello stesso presso la Stazione CC di San Casciano non aveva avuto modo di rileggerlo, anche perché solitamente gli atti che erano compilati presso quell’ufficio venivano poi presi in consegna dalla polizia per la trasmissione all’A.G. ed il successivo inoltro all’Arma;
– lo Spinoso, come è stato riferito dettagliatamente in altre note, indubbiamente ha adottato nel tempo comportamenti, che erano subito apparsi a dir poco anomali e sospetti nelle sue relazioni con l’imputato Pacciani. Al riguardo, si ricorda che già con la nota del 12.6.1998 questo ufficio aveva rappresentato alla S.V. tutta una serie di fatti e circostanze riferibili alla persona dello Spinoso, che non apparivano affatto giustificabili dalla sua attività lavorativa di giornalista Rai. Egli, infatti: a) si era recato nell’abitazione di via Sonnino del Pacciani già nell’estate del 1990 quando l’imputato era detenuto a Sollicciano e, nella circostanza, aveva scattato alcune foto all’orto della casa, riprendendo la panoramica della parte in cui a distanza di due anni sarà poi rinvenuta la nota cartuccia cal. 22; b) successivamente il 31.12.1992, consegnava dette foto alla Polizia per far verificare un eventuale mutamento dei luoghi tra il luglio 1990 e la data di rinvenimento della cartuccia nel corso della maxi perquisizione (aprile 1992); c) nell’estate 1990 iniziava una corrispondenza riservata con il detenuto, al quale forniva anche dei suggerimenti sulla difesa e manifestava proprie considerazioni che poi ritornavano in alcuni scritti dell’Anonimo Fiorentino (tipo chiedere l’esame del DNA in relazione all’ultimo duplice omicidio sul tessuto umano recapitato alla dott.ssa Della Monica; chiedere l’esame del sangue sui fazzolettini trovati sul luogo del delitto; l’ipotesi che il killer potesse essere una donna…). La relazione epistolare in questione veniva rilevata a seguito di una perquisizione nella cella della Casa Circondariale di Sollicciano occupata dal Pacciani, eseguita il 6.12.1991 (nella circostanza veniva rinvenuta una lettera datata 8.10.1990, inviata al detenuto dallo Spinoso);
– lo Spinoso, dopo la scarcerazione del Pacciani nell’anno 1991, è stato l’unico giornalista che ha avuto accesso nella casa di via Sonnino del Pacciani, con cui si intratteneva a discutere e, in una circostanza, anche per cinque ore, così come risulta chiaramente dall’ascolto del servizio di intercettazione ambientale, a suo tempo, in atto in quella abitazione;
– lo Spinoso, nel seguire per la RAI la vicenda del Mostro, era uno dei più attivi giornalisti, se non il più attivo, e colui che in un certo senso aveva un canale privilegiato con alcuni investigatori dell’epoca, così come risulta chiaramente anche da alcune intercettazioni telefoniche, già riferite alla S.V. con altra nota;
– lo Spinoso in passato – verosimilmente nell’anno 1986 -, si era recato in Francia, presso un domicilio riservato di Francesco Vinci, in compagnia di una donna, intrattenendosi a discutere con l’uomo. La circostanza apparve quanto mai strana ai familiari del Vinci; in particolare alla moglie Vitalia Melis ed al figlio Fabio Vinci, che l’hanno recentemente riferita a verbale. La Melis, infatti, sentita in data 1.3.2001 in relazione all’incarico affidato all’agenzia di investigazioni Falco per far luce sulla uccisione del marito, tra l’altro, dichiarava che nel periodo di tempo dal 1985 al 1989 la famiglia si era trasferita per lavoro e per stare tranquilli in Francia, a Saint Paul De Vence, nelle vicinanze di Nizza, dove il marito aveva trovato un lavoro come muratore. In un successivo verbale del 5.3.2001, sempre la Melis riferiva notizie che riguardavano lo Spinoso. In particolare, raccontava di averlo conosciuto nel 1983 in occasione di una visita che il giornalista aveva fatto presso la sua abitazione di Montelupo Fiorentino e di averlo incontrato successivamente in diverse occasioni, nelle quali lo Spinoso le domandava sempre notizie sulla vicenda del Mostro. Riferiva, inoltre, che nel 1986, quando abitavano in Francia, un giorno videro giungere presso la loro abitazione un’autovettura targata Firenze, a bordo della quale vi era lo Spinoso ed una donna con capelli mori, di carnagione scura. L’aveva fatto entrare in casa dove c’erano il marito ed i figli Sergio e Fabio. Gli aveva chiesto come avesse fatto a trovarli in Francia ed il giornalista le aveva risposto: “sono stato bravo, arrivo dovunque”. Quindi, il marito con il figlio Fabio, Spinoso e la donna erano andati a mangiare in un ristorante tornando a metà pomeriggio. Vinci Sergio e Vinci Fabio, sentiti anch’essi a verbale, confermavano la circostanza della visita dello Spinoso in Francia. Vinci Sergio, sentito il 2.3.2001, precisava che il padre era rimasto molto meravigliato che il giornalista fosse riuscito a trovarlo in Francia e che i due erano andati a mangiare al ristorante. Precisava anche che Spinoso era arrivato di mattina ed era andato via di pomeriggio. Vinci Fabio, sentito il 9.3.2001 ed il 20.4.2001, precisava che la donna che accompagnava lo Spinoso era di bell’aspetto. La descriveva come una donna con capelli lunghi mossi neri, carnagione olivastra, alta circa 1.60 – 1.65 metri, snella, di circa 35 anni. Erano a bordo di una autovettura tipo station wagon, probabilmente una Alfa Romeo 33 di colore verde o rosso fegato, comunque senza scritte Rai sulle fiancate. I due si erano fermati in Francia, almeno così ricordava, due giorni. Confermava di essere andato a pranzo con il padre, Spinoso e la donna in un ristorante. E’ utile ricordare che l’Anonimo Fiorentino, in uno dei suoi ultimi scritti, riferiva che sarebbe stato difficile poterlo identificare a meno che la sua confidente non lo avesse tradito, lasciando intendere così di avere un complice donna. Peraltro, va soggiunto che esisterebbe un riscontro oggettivo a conferma dell’esistenza di un complice dell’Anonimo Fiorentino e tale riscontro sembra potersi ravvisare nella scrittura delle ricevute delle raccomandate inviate, la vigilia della sentenza a carico di Pacciani, al Presidente Ognibene e ad altri destinatari; scrittura, che visibilmente non può ricondursi alla calligrafia dell’Anonimo essendo completamente diversa da questa, ma che, di conseguenza, deve attribuirsi ad una diversa persona, rimasta, all’epoca degli accertamenti, ignota e che, per avere svolto quell’incarico, con tutta probabilità, doveva essere a conoscenza del motivo di quelle raccomandate;
– dalla documentazione sequestrata allo Spinoso e dall’interrogatorio reso dallo stesso il 26.11.1998, risulta che, per la sua attività, lo stesso si è interessato nel tempo di grandi inchieste giudiziarie riguardanti i sequestri di persona commessi da bande di sardi, l’inchiesta sull’attentato al treno 904, la strage di Bologna ed altre vicende di grande rilievo. E tali esperienze professionali sembrano richiamare le affermazioni, che l’anonimo fiorentino fa in alcune lettere, quando riferisce di conoscere tante cose su gravi eventi, quale la vicenda “Gladio”, l’attentato al treno 904, nonché vicende di droga e di sequestri di persona, come risulta in particolare nella lettera indirizzata al dott. Vigna, datata 5.3.1992;
– nel materiale, sequestrato allo Spinoso, figurava un appunto annotato su un foglio tipo scheda intestato “Canessa” con il seguente contenuto: “ragazza bruciata atti – come arrivato plico? Aprile 87 a Della Monica?”. E l’Anonimo Fiorentino, nella lettera del 18 Novembre 1991 al Direttore de “La Nazione” ed in quella del 8 febbraio 1992 al dott. Perugini faceva riferimento ad una seconda lettera che sarebbe stata ricevuta dal magistrato Della Monica e che non sarebbe stata pubblicizzata neppure dall’ufficio stampa della Questura. Nella missiva del 1987, indirizzata alla Questura, come comunicato con altra nota, vi era un messaggio scritto con il sistema dell’alfabeto numerico; messaggio, che, decriptato, conteneva accuse al giudice Vigna. Questa del 1987, pertanto, prima ancora degli scritti firmati “Anonimo Fiorentino”, può considerarsi il primo atto di accusa al Procuratore Vigna, oggetto, successivamente, di accuse sempre più esplicite sia in relazione sempre alla vicenda del Mostro di Firenze, sia ad altre vicende, quali quelle relative ai sequestri di persona, a scopo di estorsione, e ad altri episodi delittuosi di rilevanza nazionale, dei quali il dott. Vigna si sarebbe interessato;
– lo Spinoso, per un certo periodo di tempo, abitava a San Piero a Sieve, che è il paese più volte ricorrente nella vicenda del Mostro di Firenze ed anche in quella dell’Anonimo Fiorentino (in una cabina di quel centro fu rinvenuto il dossier dell’anonimo preannunciato da una telefonata ai carabinieri del posto). Infatti, dalle dichiarazioni, rese da Marzia Rontini, convivente dello Spinoso, in data 26.11.1998, risulta che nell’anno 1993 (anno in cui nacque il figlio Carlo Alberto) aveva ricevuto la visita di Graziano Flavio nell’abitazione di San Piero a Sieve;
– sempre a proposito dello Spinoso vanno ricordate le minacce ricevute da questo dirigente nel mese di settembre scorso. Infatti, il giorno 6 settembre 2001, perveniva in questi uffici una lettera anonima, manoscritta, recante il timbro dell’ufficio postale “Firenze CMP” e la data “4.9.01 – 14”, priva di mittente, affrancata come “posta prioritaria”. Il contenuto, anch’esso manoscritto, chiaramente offensivo, faceva riferimento alle ultime novità investigative, riprese dalla stampa, concernenti l’ipotesi “setta satanica”. Nella parte conclusiva, l’anonimo, testualmente affermava: “Perché invece di dare la caccia ai fantasmi, non la dai ai sicuramente delinquenti creatori di contro Pacciani? Come Perugini, Vigna, Spinoso? Forse non risolverai il caso Pacciani, ma almeno sarai un po’ meno disonesto ed ottuso.” Della ricezione di tale missiva, questo dirigente, la mattina del 7 scorso dava immediata comunicazione alla S.V., sottoponendola successivamente anche in visione, facendo rilevare, nella circostanza, come la scrittura presenti forti analogie con quella dell’autore della nota missiva contenente l’asta guidamodalla della pistola del “Mostro”. Il successivo giorno 10 settembre 2001, perveniva altra lettera anonima, sempre manoscritta, recante il timbro dell’ufficio postale “Firenze CMP” e la data “7.9.01 -14”, priva di mittente, affrancata anch’essa come “posta prioritaria”. Il contenuto, anch’esso fortemente offensivo sia sul piano personale sia su quello professionale, nel post scriptum, conteneva una evidente minaccia di morte, atteso che faceva riferimento ad un recente episodio di cronaca, ove la vittima era un cacciatore, bracconiere, di cinghiali. L’anonimo, infatti, nella parte in questione, affermava: “Se la fronte spaziosa è sinonimo di intelligenza, nel tuo caso è da consigliarti di non andare per boschi, i cacciatori potrebbero scambiarti per un cinghiale”. Con tale affermazione evidentemente l’autore dello scritto intendeva richiamare quanto avvenuto la sera del 15 agosto 2001 allorché in Cercina di Sesto Fiorentino fu rinvenuto il cadavere di un cacciatore, risultato essere un abituale bracconiere di cinghiali, morto per ferite da arma da fuoco. Detta notizia era stata riportata dalla stampa locale i successivi giorni 17, 18 e 19 agosto 2001. Anche la scrittura di quest’ultima missiva presentava forti analogie con quella dell’anonimo dell’asta guidamolla. Dopo quest’ultima lettera, nessun altro scritto, riferibile alla medesima mano, è pervenuto.
4.5 Graziano Flavio. Come noto, Graziano Flavio, diventato nel tempo amico della famiglia Rontini, assumeva comportamenti illegali, volti a precostituire false prove a carico dei complici del Pacciani, così come si era verificato durante le indagini del Pacciani ad opera dello Spinoso con l’invio dell’asta portamolla. Infatti, il giorno 4 settembre 1997, mentre era in pieno svolgimento il dibattimento del processo a carico di Vanni Mario + tre, il predetto consegnava a personale di questo ufficio un cilindretto contenente una strisciolina di carta con annotata la seguente frase “Coppia Vic FI D35067”; numero, questo, risultato corrispondente alla targa dell’autovettura Fiat Panda di Claudio Stefanacci. Nel corso delle indagini, poi, il Graziano, dopo aver ritrattato le prime dichiarazioni sul rinvenimento di quell’oggetto presso il podere Schignano di Vicchio, aveva riferito di aver trovato quello scritto in un block notes rinvenuto per terra nello spazio adibito a parcheggio annesso all’abitazione di Barbiana dello Spinoso, presso cui si era recato per una visita. In sede di interrogatorio, però, alla presenza del proprio legale di fiducia, non confermava detta versione, che, con tutta probabilità, era invece quella vera o quella più vicina alla verità, atteso che, durante il suo viaggio da Asti a Firenze subito dopo aver subito la perquisizione domiciliare, da un telefono pubblico di un’area di servizio, telefonava alla moglie assicurandola di stare tranquilla perché aveva riferito al dott. Giuttari la verità ed avrebbe quindi chiarito tutto con il magistrato. In relazione al cilindretto in questione, bisogna ricordare quanto si è potuto appurare nel corso delle indagini sullo Spinoso. Infatti, nel corso della perquisizione eseguita nell’abitazione del giornalista, venivano rinvenuti alcuni fogli manoscritti, nei quali lo Spinoso aveva annotato l’episodio del rinvenimento dell’oggetto e del suo incontro quel giorno con il Graziano a casa dei Rontini. In questi appunti (è l’unica volta che il giornalista scrive con tanta precisione un avvenimento al quale aveva presenziato, così come si è potuto rilevare dall’esame di tutta la documentazione allo stesso sequestrata!), si legge: “stamane verso le 11.30 sono sceso da Barbiana a Vicchio con C. Alberto per salutare Zinnie e R. e Flavio che partissero per Asti (Flavio si sposa il 5/IX e W e R sono testimoni alle nozze)”. (Renzo Rontini, sentito a verbale il 29.11.1998, in relazione alla visita di Spinoso quel giorno, dichiarava che il genero era giunto inaspettatamente in quanto non era atteso e da un po’ di giorni non avevano avuto modo di vederlo. Dichiarava, altresì, che Winnie aveva ritenuto che quella mattina era andato alla loro abitazione per salutarli perché sapeva che sarebbero partiti per Asti con Flavio, mentre lui sinceramente non credeva a questa motivazione “perché Giovanni non era solito a tali usanze”). Quindi gli appunti riguardano il colloquio dello Spinoso con Winnie, che lo notiziava del rinvenimento del cilindretto da parte di Flavio e, poi, quando quest’ultimo torna a casa insieme a Renzo, il colloquio avuto con Flavio. Questi comunica il luogo del ritrovamento ed il contenuto del bigliettino, ove vi era scritto la parola coppia ed il numero FI D… Dopo, Spinoso provvede a fotografare il cilindretto e, quando sente che era giunto l’agente di polizia, chiamato da Renzo, se ne va senza farsi vedere dall’ospite e portando con sé il rullino, che poi provvede a fare sviluppare. Circa il contenuto del biglietto, annota il seguente passaggio di colloquio: “Io sinceramente non ho vista nessuna scritta, ma il foglietto era arrotolato. Flavio dice di aver letto la parola “coppia”, poi il numero di targa e poi un’altra scritta, che non ha capito bene cosa significasse. Io chiedo: potrebbe essere stato scritto “Vicchio”? E lui: potrebbe essere, sì, mi sembra di aver visto una lettera “C”. (Appare quanto mai curioso che lo Spinoso, senza che alcuno glielo avesse preannunciato sino a quel momento, almeno dalla ricostruzione dell’episodio dallo stesso effettuata, abbia posto la domanda dell’eventuale esistenza della parola Vicchio, che in effetti era riportata!). Negli scritti c’è poi un N.B. “il 5/9/97 ore 19 ho portato a sviluppare il rullino. (sì c’era il rullino!) bisognerà vedere se la messa a fuoco ha funzionato, perché forse le ho scattate nella maggior parte troppo da vicino. Poi bisognerà vedere la luce! Vedremo! – fare un duplicato delle foto migliori.” In relazione, poi, ai rapporti tra il Graziano Flavio e lo Spinoso bisogna ricordare che, nel corso della perquisizione eseguita a carico di quest’ultimo furono trovate alcune lettere inviate dal primo alla famiglia Spinoso. In una, che portava il timbro postale “24.4.1995”, il Graziano dichiarava di essere contento di averli conosciuti e riferiva che, in occasione della visita che aveva fatto, prima di lasciare la zona di Firenze, si era recato, con i suoi compagni di viaggio, a Mercatale, cogliendo l’occasione di vedere “il tabernacolo di Crespello (citato nella lettera anonima dell’asta guidamolla) e per chiedere alcuni pareri sul Vanni in paese.” In un’altra lettera, con timbro “17.6.1996”, il Graziano, che dimostrava di essere un conoscitore ed amante di astrologia, analizzava l’oroscopo di Matilde, figlia dello Spinoso.
5. Morte di Pietro Pacciani. I dubbi sul decesso di Pietro Pacciani, come noto, non sono stati sciolti dalla consulenza tecnica disposta dalla S.V., che ha consentito di accertare, in particolare, che il cadavere del predetto non presentava traccia alcuna dei farmaci che per le patologie di cui il Pacciani era affetto avrebbero dovuto essere presenti, mentre si poteva accertare la presenza, nei succhi gastrici, di tracce di un farmaco antiasmatico (Eolus) contenente, nella sua composizione, principi attivi controindicati per le malattie cardiache del Pacciani. Tali risultanze, se da un lato non sono riuscite a chiarire le reali cause della morte, dall’altro, non possono che fare aumentare le perplessità su una morte naturale dell’imputato, soprattutto in considerazione delle condizioni oggettive, in cui a suo tempo il corpo era stato trovato. Infatti, come si ricorderà, in quella circostanza, appresa la notizia del decesso, personale di questo Ufficio, giunto presso l’abitazione del defunto Pacciani Pietro a Mercatale alle ore 16.40 del 22 febbraio 1998, già presenti i carabinieri della Stazione di San Casciano, riscontrava la seguente situazione:
– le due porte d’ingresso erano aperte, così come quella della cantinetta, posta nel giardino della casa; – le luci, così come riferito dai carabinieri, erano tutte spente;
– la stanza cucina era in completo disordine;
– sul tavolo della stanza cucina si rinvenivano: due padelle contenenti cibo; una bottiglia di vino; un bicchiere colmo di vino; due mozziconi di sigaretta; alcune carte; il telecomando della televisione; un paio di occhiali da vista; un foglio di carta recante la dicitura “Vino da tavola F. Francioni e figli” con annotato a penna: “domani sabato 21 febbraio 1998”;
– per terra si rinvenivano alcuni stick di pillole medicinali e, in particolare, una scatola vuota di “Urbason Retard” con la scritta “mezza al mattino, mezza la sera – eliminare” (medicina che non risultava ricompresa tra quelle prescritte al Pacciani dal suo medico curante, né tra quelle che il Pacciani era solito acquistare presso la farmacia Piscitelli di Mercatale, così come risultava dai verbali delle dichiarazioni rese dalla dott.ssa Gambassini Anna Maria e della dott.ssa Piscitelli Maria Antonietta);
– la camera da letto presentava il letto disfatto solamente da un lato e sul comò vi erano alcune bottiglie contenenti la rimanenza di un liquido bianco trasparente inodore;
– sul pavimento della stanza (posta sulla sinistra per chi entra nell’abitazione), vi era il corpo, privo di vita, di Pietro Pacciani, che si presentava disteso per terra a pancia sotto con i pantaloni abbassati. Lo stesso indossava pantaloni grigi, una maglia di colore azzurro ed un paio di scarpe allacciate da uomo di colore marrone, sporche di fango secco;
– il medico legale, intervenuto sul posto, constatava che: l’orologio al polso era fermo alle ore 3.10; l’uomo, all’altezza del pube, aveva uno straccio fermato alla maglia con tre spille di sicurezza, imbevuto di varechina; il decesso, data la morbidezza del corpo, non risaliva a molto tempo prima; la strana presenza di macchie ipostatiche nella schiena, dal momento che il cadavere, a dire dei carabinieri, era stato da costoro rinvenuto a pancia sotto;
– da un controllo non erano rinvenute bottiglie contenenti varechina;
– dal certificato di Constatazione di avvenuto decesso, rilasciato il 22.2.1998 dal dott. Shaf.ei Sarvestanin, medico della Postazione di Emergenza Medica Est – San Casciano, risultava che il professionista si era recato alle ore 14.50 presso l’abitazione del Pacciani, chiamato dal 118 attestando che la morte di quest’ultimo presumibilmente era da far risalire alle ore 01.00 di quel giorno e che il decesso era stato causato da “probabile arresto cardio circolatorio”;
– dal verbale dei carabinieri, relativo all’intervento in occasione del rinvenimento del cadavere, redatto il 22.2.1998 alle ore 21.00, risultava che:
* nel giardino, davanti alla porta d’ingresso, che era aperta, proprio spalancata, vi erano una tinozza ed una scatola di cartone, ricolme di immondizia e, intorno, vari contenitori di cartone;
* nel vano cucina vi era un grande disordine e sporcizia. Sul tavolo, vi erano resti di cibo e carte varie;
* l’ambiente non risultava essere illuminato da luce artificiale;
* nella camera da letto vi era disordine, il letto risultava disfatto e le coperte rivoltate su una parte. L’imposta era chiusa e l’ambiente non era illuminato da luce artificiale;
* nel vano, adibito a tinello, subito dopo la porta, sulla sinistra, vi era una valigia aperta con all’interno vari effetti personali;
* dinanzi al tavolino di cui sopra vi era il cadavere del Pacciani, bocconi, con i pantaloni abbassati fin sotto i glutei e la maglia parzialmente sollevata.
Inoltre, sul quotidiano “Il Giornale della Toscana” del giorno 1 aprile 2001, a pag. 3, sono stati pubblicati più servizi sulla morte di Pacciani, tra cui un’intervista alla nota Suor Elisabetta dal titolo “Aveva paura di essere ucciso”.
Nel corpo di tale intervista, la suora riferiva che il Pacciani aveva paura soprattutto dopo la sua scarcerazione, tanto che temeva che qualcuno, di notte, entrasse in casa sua. E, più specificatamente, alla domanda se Pacciani, quando era stato dimesso dall’ospedale, avesse sempre paura, Suora Elisabetta riferiva: “certo. Anzi le dirò di più. Io non vorrei fare confusione con le date. Ma dopo la seconda carcerazione degli anni novanta, mi raccontò che una volta, in quel periodo, un signore alto, vestito di nero, aveva suonato al campanello della sua casa. Pacciani era uscito a vedere chi fosse, ma lui questo signore distinto non lo conosceva. Pacciani non aprì il cancello, non lo fece entrare. Eppure quel signore alto, così mi raccontò Pacciani, lo minacciò. “Mi ha detto cose minacciose” mi confidò Pacciani”. In conclusione la suora riferiva che Pacciani non le aveva detto chi fosse quel signore perché non lo conosceva, ma le aveva fatto presente che si trattava di “una persona piuttosto elegante”. Successivamente, il giorno 3 aprile 2001, Mazzeri Anna Maria (Suora Elisabetta), sentita a verbale, confermava l’intervista in questione, ma non la circostanza, riferita dall’articolista, che Pacciani temeva di essere ucciso. Confermava, invece, interamente la parte dell’intervista relativa alla visita ricevuta dal Pacciani da parte di un signore distinto, che non aveva fatto entrare in casa. Il giorno 29 marzo 2001, giusta delega della S.V., in Roma, veniva sentito a verbale, come persona informata dei fatti, Carmelo Lavorino. Nella circostanza, il Lavorino confermava i suoi sospetti sull’uccisione di Pacciani, riportate dagli organi di stampa, e produceva una memoria chiarificatrice di cinque pagine. Appare opportuno ricordare, altresì, che, tra il materiale sequestrato nell’abitazione del Pacciani nel corso della perquisizione eseguita dopo la sua morte, vi era un biglietto manoscritto, apparentemente dalla mano dello stesso Pacciani, dal seguente tenore: “ 28. giugno 1992 – Madonnina del Rosario e Divino Gesù, Voi lo sapete che sono innocente da queste accuse infami che mi fanno, aiutatemi, non ho nessuno a cui rivolgermi, mi vogliono uccidere, porgi la Tua mano protettrice sui nemici cattivi, Ave o Maria”.
6. Ipotesi coinvolgimento personaggi sardi.
E’ l’ultima evenienza investigativa in ordine di tempo. Della cosiddetta “pista sarda” si era parlato per tanti anni, essendo stata, questa, l’ipotesi più accreditata e, anzi, quella che, seguita operativamente dai carabinieri, era apparsa l’unica valida, come risulta documentato, tra l’altro, nel circostanziato rapporto giudiziario n. 311/1 del 22.4.1986, meglio noto come “rapporto Torrisi” poiché firmato dal Ten. Col. Nunziato Torrisi, comandante del Reparto Operativo dei carabinieri all’epoca. Detta pista, però, come noto, nel 1989 veniva definitivamente accantonata, avendo il Giudice Istruttore dott. Rotella archiviato le posizioni degli imputati sardi. Successivamente e, quasi, contestualmente, come è altrettanto noto, venivano avviate le nuove indagini su Pacciani, ritenuto, anche sulla scorta di qualificati studi criminologici, unico serial killer, responsabile di tutti gli otto duplici omicidi, eseguiti dal 1968 al 1985. Questa nuova indagine veniva affidata operativamente alla Sam. Prima ancora di riferire le nuove evenienze investigative, che hanno riportato improvvisamente alla ribalta detta pista, almeno per i primi duplici omicidi, si ritiene utile riepilogare alcuni aspetti dell’intera vicenda e, precisamente, quanto appresso:
– il gruppo cosiddetto dei “compagni di merenda” è stato ritenuto colpevole degli ultimi 4 duplici omicidi (quelli verificatisi negli anni 1982 – 1983 – 1984 – 1985);
– quelle indagini, che hanno visto anche la collaborazione di uno dei colpevoli, il Giancarlo Lotti, non hanno portato all’acquisizione di elementi comprovanti una responsabilità del gruppo in questione anche per i rimanenti omicidi; circostanza, questa, che, a giudizio di questo ufficio, sarebbe emersa ove effettivamente vi fosse stata una responsabilità;
– alcuni elementi, tra cui precisi riferimenti oggettivi, deporrebbero per una composizione diversa degli esecutori materiali dei primi tre duplici omicidi. Infatti, giova rilevare che:
-la pistola utilizzata nei duplici omicidi, la famosa Beretta cal. 22, per la prima volta è apparsa in occasione del duplice omicidio del 21.8.1968 in località Castelletti di Signa, allorché furono uccisi i due amanti Antonio Lo Bianco e Barbara Locci. Quelle indagini portarono alla individuazione del responsabile nel marito della donna uccisa, Stefano Mele, condannato definitivamente e deceduto dopo l’espiazione della pena. Nell’ambito di quelle indagini, così come si ricorderà, furono nel tempo indagati, e poi prosciolti, in concorso con il Mele, altri personaggi sardi, tra cui i fratelli Salvatore e Francesco Vinci, entrambi amanti della Locci.
Occorre, altresì, ricordare che quel delitto, sia nella materiale esecuzione, sia nel movente, non può ricomprendersi nella serie omicidiaria dei successivi delitti ad opera del cosiddetto “Mostro di Firenze”. Infatti, completamente diversa è la dinamica: i primi colpi risultavano esplosi attraverso il finestrino posteriore sinistro aperto a metà dalla distanza di circa un metro e mezzo. L’uomo veniva trovato sdraiato supino sul sedile anteriore destro, mentre la Locci, secondo la perizia, era sopra l’uomo. L’assassino, quindi, continuava a sparare introducendo il braccio nell’auto e, dopo l’azione, procedeva a sistemare i due corpi, ricomponendo le vesti della donna. Circostanze, queste, inedite, non trovando assolutamente riscontro nei successivi omicidi. Il movente, così come emerso da quelle indagini ed anche in sede processuale, era stato individuato nella gelosia del marito e, quindi, si era trattato del classico delitto passionale. Circostanza, anche questa, non riscontrata assolutamente nei successivi omicidi. In quelle indagini, comunque, sia il colpevole, sia i personaggi, via via coinvolti nel tempo, erano, tutti, appartenenti al mondo sardo; – nel contesto delle indagini sui “compagni di merende”, Giovanni Calamosca, frequentatore di malavitosi sardi ed amico di Francesco Vinci (quest’ultimo, da latitante, fu catturato proprio nell’abitazione del Calamosca, che lo favoriva!) ebbe a riferire alcune confidenze ricevute dal Vinci, riconducibili ai delitti in questione e, in particolare: – che la pistola, utilizzata per il duplice omicidio del 1968, apparteneva a Francesco Vinci; – che il Vinci, negli ultimi tempi, ricattava colui o coloro ai quali aveva consegnato l’arma, utilizzata poi nei successivi omicidi; che, non essendo più affidabile perché negli ultimi tempi beveva e parlava molto, era stato ucciso. Lo stesso Calamosca, inoltre, riconosceva nella Milva Malatesta, uccisa con il figlioletto Mirko a distanza di pochi giorni dall’uccisione del Vinci Francesco, una amante di quest’ultimo. -nel duplice omicidio, avvenuto in località “Le Bartoline” di Calenzano il giorno 22.10.1981, ai danni di Susanna Cambi e Stefano Baldi, furono esplosi complessivamente 10 colpi, così come emerso dall’esame autoptico. Ora, come accertato, la famosa pistola Beretta cal. 22 avrebbe potuto contenere complessivamente 8 colpi nel caricatore ed uno in canna per un totale di 9, con la conseguenza che appare verosimile che, nella circostanza, possa essere stata utilizzata una seconda arma sempre cal. 22; -nei duplici omicidi del 6.6.1981 (Foggi – De Nuccio) e del 22.10.1981 (Baldi – Cambi) l’asportazione del pube è avvenuto con 3 tagli netti e, quindi, con grande precisione e professionalità e non già in maniera piuttosto rozza come nei delitti di Vicchio e Scopeti. Il particolare appare di estrema rilevanza soprattutto perché dimostra che, nei primi due duplici omicidi, sicuramente non è intervenuta la mano di Mario Vanni, autore, quest’ultimo, come noto, delle escissioni ai danni della Rontini e della Mauriot, ma una mano diversa, con tutta probabilità, di un esperto in chirurgia. Il particolare è pertanto significativo non solo perché conferma ulteriormente l’ipotesi di più assassini, ma anche che, nella nuova ottica investigativa della presenza di mandanti, con tutta probabilità, in quei primi omicidi si è avuta la compartecipazione, nella esecuzione materiale, di un soggetto di più alto livello sociale rispetto ai personaggi emersi e condannati e che sono risultati di estrazione sociale piuttosto modesta;
-il Pacciani aveva avuto frequentazioni nell’ambiente dei sardi e, comunque, con soggetti, legati ai sardi, così come emerso nel contesto delle investigazioni sui complici del predetto. Infatti, dal contesto dell’inchiesta sui complici, era emerso che la Milva Malatesta, amante di Francesco Vinci, era stata anche amante del Pacciani (vedasi dichiarazioni di Giuseppe Sgangarella) e di Salvatore Indovino (vedasi dichiarazioni di Filippa Nicoletti). Inoltre, era emerso – ma ciò era noto anche durante la fase delle prime indagini sul Pacciani – che la madre della Malatesta, Maria Antonietta Sperduto, aveva avuto rapporti sessuali, anche piuttosto particolari e violenti con Mario Vanni e con il Pacciani, anche contestualmente con entrambi. Era ancora emerso che il bar di Piazza Mercatale a Prato, meglio noto come bar dei sardi, era stato frequentato, oltre che da Francesco Vinci e da altri sardi, anche dall’Indovino salvatore, dal fratello Sebastiano, dalla Nicoletti Filippa, dalla Gabriella Ghiribelli e da altri personaggi, che poi erano soliti riunirsi nella abitazione dell’Indovino in via di Faltignano anche per le riunioni del sabato sera a sfondo magico – orgiastico;
– al Pacciani nel corso di una perquisizione domiciliare era stato rinvenuto e sequestrato un coltello, tipico sardo, la cosiddetta “Pattada”. E di una “Pattada”, utilizzata nei duplici omicidi in questione, si è appreso recentemente.
Dopo detta opportuna premessa, si riferiscono, qui di seguito, le attuali emergenze investigative.
Come è stato già segnalato con note del 21 e 28 novembre 2001, si espone che, in data 16 novembre 2001, si presentava in questi uffici una persona, qualificatasi per Gianni Boara, che, nel mese di ottobre scorso, così come risulta dalle relative 70 annotazioni, aveva cercato, invano, un contatto telefonico con questo dirigente senza lasciare, nelle circostanze, il recapito telefonico né i motivi del contatto.
Nella circostanza del 16 novembre, il predetto spontaneamente raccontava:
– che aveva conosciuto l’ambiente malavitoso sardo per aver vissuto soprattutto negli ultimi anni 80 all’interno del nucleo familiare del noto pregiudicato Francesco Ghisu;
– di convivere con la primogenita del predetto Ghisu, a nome Francesca;
– che il pregiudicato sardo Giuseppe Barrui, deceduto nel 1998, sarebbe stato coinvolto nei duplici omicidi del Mostro, per eseguire i quali avrebbe utilizzato una propria pistola marca Bernardelli o Bernardinelli, cal. 22, che, alla sua morte, avrebbe lasciato ad un giovane sardo, suo servo pastore, di nome Antonio, il quale attualmente vivrebbe in una frazione di Tortolì, in Sardegna;
– il coltello del Barrui, che, a suo dire, sarebbe stato utilizzato nei delitti, sarebbe il tipico coltello sardo, meglio noto come “Patada”, ed attualmente sarebbe custodito da tale “nonna Alba”, nonna di Francesca Ghisu;
– il Barrui era legato al Vinci Francesco, tanto da avergli fatto anche da autista;
– il Barrui era in rapporti con il Pacciani, tanto che spesso andava a casa di quest’ultimo e sarebbe stato proprio il Barrui a collocare nell’orto dell’abitazione del Pacciani il famoso proiettile allo scopo di incastrare Pacciani, che comunque era collegato a quei fatti;
– il Barrui aveva problemi di impotenza sessuale ed aveva cercato di avere rapporti, senza riuscirci, con una giovane, figlia di vicini di casa dei Ghisu, che aveva problemi fisici o psichici;
– ci sarebbero stati dei depistamenti verso la fine degli anni 80, allo scopo di chiudere le indagini sulla “pista sarda”, tenendo fuori l’ambiente delinquenziale della comunità sarda e, in particolare, la famiglia Ghisu, presso cui si appoggiavano, come “garzoni” sia il Barrui, sia il Francesco Vinci, sia altri sardi, noti pregiudicati, coinvolti in fatti delittuosi;
– Francesco Vinci sarebbe stato ucciso perché non era considerato più affidabile in quanto beveva e parlava troppo. Aggiungeva che, prima di essere ucciso, insieme al Vargiu, il Vinci si trovava nella trattoria di parenti dei Ghisu vicino a Prato e da lì, poi, si era allontanato, venendo trovato ucciso e carbonizzato unitamente al Vargiu.
In relazione alle suddette informazioni, si poteva appurare che:
– il Barrui Giuseppe si identificava per il medesimo, nato a Ilbono (NU) il 28.2.1941, già residente in Monte San Pietro (BO), via Varsellane n. 16/2, deceduto in data 27 agosto 1998 presso la struttura ospedaliera “Lotti” di Pontedera (PI), presso cui era ricoverato, con numerosi precedenti penali per reati contro il patrimonio, violenza carnale, atti osceni, calunnia ed altro, nonché segnalato per mafia. Nel 1982, si rese responsabile, insieme ad altri, tra cui il Vinci Francesco del furto di un camion, contenente bestiame. In data 14.2.1981, fu arrestato, in esecuzione di provvedimento restrittivo, presso la casa colonica, adibita ad ovile, di Ghisu Salvatore, in via Rimaggio di Sesto Fiorentino;
– Ghisu Francesco si identificava per il medesimo, nato ad Ala dei Sardi (SS) il 9.1.1945, residente in Campi Bisenzio, via Focognano, n. 6, pluripregiudicato per reati contro il patrimonio e, in passato, oggetto di indagini anche in relazione a sequestri di persona a scopo di estorsione consumati in Toscana ad opera della malavita sarda; – Ghisu Francesca si identificava per la stessa, nata a Calenzano il 24.7.1969, primogenita del nominato Ghisu Francesco;
– Riscontri alle notizie fornite in relazione ai duplici omicidi in questione si rinvenivano nelle dichiarazioni, a suo tempo rese da Giovanni Calamosca nell’ambito dell’inchiesta sui complici di Pietro Pacciani. Infatti, a proposito del Vinci Francesco come soggetto che avrebbe potuto essere coinvolto nei delitti del Mostro, il Calamosca aveva riferito che:
– il Mele Stefano aveva ritrattato le accuse nei confronti di Vinci Francesco perché contattato in carcere da alcuni sardi che non “volevano casino qui nella provincia di Firenze”. Spiegava meglio questa affermazione nel seguente modo: i sardi ritenevano che, con l’implicazione del Vinci nella vicenda del Mostro, avrebbero potuto avere difficoltà di inserimento nelle attività lavorative e produttive della provincia di Firenze. Aggiungeva un episodio specifico e cioè che, dopo alcuni giorni che il Vinci era detenuto per la vicenda del Mostro, era capitato da lui un sardo, al quale aveva chiesto se il Vinci fosse il Mostro. L’interlocutore gli aveva risposto: “guai al mondo se saltasse fuori una cosa del genere perché noi sardi saremmo tutti rovinati qui”;
– la pistola utilizzata per il delitto del 1968 era del Vinci, come da questi confidatogli;
– il Vinci era sicuramente a conoscenza degli autori dei delitti del Mostro perché conosceva la persona a cui aveva ceduto l’arma;
– in occasione della cattura del Vinci (15.8.1982) presso la propria abitazione, l’amico gli aveva rappresentato la necessità di recarsi all’estero perché preoccupato per la vicenda del Mostro, come aveva avuto modo di capire;
– nel 1990 aveva trovato il Vinci depresso e, poi, aveva saputo da amici che si ubriacava. Aveva capito che le cose non gli andavano bene sempre per via del ricatto della pistola;
– avevano ucciso il Vinci perché probabilmente era diventato pericoloso perché ubriacandosi avrebbe potuto parlare;
– il Vinci frequentava la zona di Borgo San Lorenzo e si era recato a trovarlo insieme ad un sardo che, all’epoca, poteva avere 34-35 anni, chiamato si soprannome “occhialino” perché portava un paio di occhiali, abitante nella zona di Scandicci o Calenzano. Questa persona faceva da autista del camion al Vinci quando andavano a fare i furti;
– Vinci frequentava assiduamente un bar in Piazza Mercatale di Prato, meglio conosciuto come “bar dei sardi”, dove anche lui era andato alcune volte. Aggiungeva che questo locale era frequentato da diverse persone, amiche del Vinci, tra cui Mario Sale, Farina Giovanni e Fiore Virgilio.
In relazione alla pistola, asseritamente del Barrui, utilizzata nei delitti e che non sarebbe la famosa Beretta cal. 22, ma di altra marca, sempre però cal.22, nelle sopra richiamate note del 21 e 28 novembre scorso, si rappresentava che tale evenienza teoricamente non poteva escludersi, atteso che, in alcuni delitti, avrebbe potuto sparare anche una seconda arma sempre calibro 22, e ciò sostanzialmente per due ordini di motivi.
Il primo, il fatto che nel duplice omicidio del 22.10.1981 a Calenzano furono esplosi complessivamente 10 colpi, mentre la maggior parte delle pistole Beretta serie 70 aveva un caricatore di 8 colpi. Il secondo motivo, il fatto che nei due duplici omicidi del 1981, il pube fu asportato con grande precisione con tre tagli netti, quasi ad opera di un professionista e non sicuramente in maniera piuttosto rozza, come si verificò nei duplici omicidi di Vicchio e di Scopeti. La diversa mano esecutiva evidentemente dimostrava la partecipazione ai delitti di altre persone diverse, se non in tutto, almeno in parte, da coloro che avevano costituito il gruppo esecutivo degli ultimi quattro duplici omicidi.
Ed ancora, non poteva non tenersi conto che il fatto che la famosa pistola non fosse stata ancora trovata lasciava ragionevolmente plausibili dubbi sulla sua precisa identità, potendosi trarre dalle perizie sui bossoli e sui proiettili solamente giudizi di probabilità, e non già di certezza.
Inoltre, la presenza di una seconda pistola in alcuni delitti appariva plausibile atteso che le indagini sui complici del Pacciani avevano consentito di accertare che non si era trattato di un unico esecutore materiale, bensì di un gruppo di esecutori.
In data 23 novembre 2001, con apposita delega, la S.V. richiedeva di assumere a verbale, come persona informata sui fatti, il citato Gianni Boara e Ghisu Francesca, nonché eseguire i riscontri del caso. In pari data, si procedeva ad assumere a verbale il suddetto sedicente Boara, che, nella circostanza, veniva identificato per Gianfranco Mandelli, in oggetto meglio generalizzato, effettivamente convivente di Ghisu Francesca, come era stato possibile accertare presso gli accertamenti anagrafici eseguiti dalla Questura di Brescia presso quel Comune e presso quello di Gardone Riviera (BS).
Il Mandelli, nello svolgimento dell’atto, che, con il suo consenso veniva anche registrato, confermava quanto aveva accennato il precedente giorno 16 novembre e, in particolare, riferiva:
– che aveva voluto l’incontro con questo ufficio dopo aver visto il dott. Giuttari alla trasmissione “Porta a Porta”. Aggiungeva che era rimasto colpito dalla determinazione del funzionario e del lavoro svolto e poiché era a conoscenza di fatti che riguardavano anche la vicenda del Mostro di Firenze aveva avvertito il bisogno civico di presentarsi e di mettere a conoscenza l’ufficio di alcuni fatti, dallo stesso vissuti direttamente o appresi in occasione di un suo soggiorno di circa due anni e mezzo in Toscana presso la famiglia di sardi a nome Ghisu;
– che da circa 12 anni conviveva con una figlia di Francesco Ghisu, a nome Francesca, incensurata, che aveva vissuto con lui anche in Inghilterra;
– presso i Ghisu si era fermato, come ospite, negli anni 1989, 1990 e 1991 fino al mese di giugno. Aggiungeva che, in quella casa, gli era stata data la vecchia camera da letto della prima casa, abitata dalla famiglia: una stanza, che faceva ad angolo ed aveva due finestre per ogni angolo. Aggiungeva ancora che da quella postazione aveva avuto modo di notare diversi movimenti sia di pastori che venivano a trovare i Ghisu, sia di loro garzoni e sia di un personaggio istituzionale, poi indicato nel dott. Vigna, e che aveva visto due tre volte con una macchina blu scura, molto probabilmente una 164. Precisava, a quest’ultimo proposito, che, in una occasione, aveva visto questa persona con un autista, mentre, la quarta volta, dalla propria camera da letto, aveva scattato delle foto con una macchina fotografica Minox con pellicola ad alta densità di Din. Aveva così ripreso il personaggio che si vedrebbe bene nella foto con una valigetta di cartone in mano, aperta, al cui interno, per come aveva avuto modo di constatare quando la stessa si trovava dentro casa, vi erano soldi e, in particolare, dollari statunitensi. Raccontava, inoltre, che questo personaggio aveva depistato le indagini sul Mostro per tenere fuori dalle stesse il Beppe Barrui, definito il Mostro iniziale, poi emulato da Pacciani e dagli altri;
– che aveva fiducia nella giustizia e si augurava che a questo punto si andasse fino in fondo;
– di essere garantito per la sua sicurezza e per quella della sua convivente, anche con l’adozione delle misure previste dalla legge, dichiarandosi disponibile ad andare sino in fondo, fornendo ogni suo possibile contributo, ivi compresa la consegna del materiale documentale, che si troverebbe custodito in luogo sicuro.
In un successivo contatto con il Mandelli, intervenuto il giorno 27 novembre, il predetto comunicava informalmente di non volere andare oltre nella collaborazione, poiché nutriva forti preoccupazioni per la propria incolumità fisica e per quella della propria convivente. Quest’ultima, presente al colloquio informale, con modi decisi, sosteneva le affermazioni dell’uomo, sottolineando più volte come, sin dall’inizio, lei fosse stata contraria ad ogni forma di collaborazione con la Giustizia proprio perché gravemente pericoloso per l’incolumità fisica.
Ecco, quindi, il riaffacciarsi della pista sarda, che senz’altro merita una particolare attenzione investigativa, per i motivi che più sopra sono stati esposti e che potrebbe portare a chiarire anche i rimanenti duplici omicidi, attribuibili sempre al cosiddetto Mostro di Firenze, quanto meno negli aspetti relativi alla esecuzione materiale degli stessi. Come pure, potrebbe portare a chiarire quegli omicidi, verificatisi negli anni 1993 e 1994 (Vinci Francesco e Vargiu Angelo, Milva Malatesta ed il figlioletto Mirko, Milvia Mattei), che, come già riferito con apposita nota del giorno 7 settembre 2000, a giudizio di questo ufficio troverebbero la loro motivazione proprio nella vicenda del Mostro di Firenze per tutta una serie di circostanze e di considerazioni, che, per completezza, si ritiene utile sintetizzare qui di seguito.
1. Innanzi tutto il fatto che tutte le vittime erano persone in qualche modo riconducibili ai personaggi imputati ovvero alla vicenda dei duplici omicidi in questione;
2. il contesto temporale in cui i delitti in questione ebbero a verificarsi, tanto da farli apparire fortemente sospetti nella ricostruzione di un’ipotesi riferibile, quanto alla loro causale, proprio alla vicenda del “Mostro di Firenze”;
3. duplice omicidio a carico di Francesco Vinci e Angelo Vargiu, rinvenuti cadaveri, quasi interamente carbonizzati, nel pomeriggio del 7.8.1993 in località Castagnolo del Comune di Chianni. I due cadaveri furono rinvenuti all’interno del bagagliaio di un’autovettura Volvo 240/D targata FI – K03380, risultata intestata al Vinci. In relazione al Vinci Francesco, giova ricordare quanto segue:
– Giuseppe Sgangarella, riferendo della sua conoscenza con il Vinci e delle confidenze ricevute da questi durante un periodo di codetenzione, ha tra l’altro dichiarato “iniziò a dirmi che lui stava pagando per gli amici, che lo avevano abbandonato e, a tal proposito, mi fece il nome di Pacciani ed iniziò a parlarmi di questi, che io all’epoca, ripeto, non conoscevo ancora. Mi disse che se lui avesse parlato un giorno sarebbe finita male…Vinci piangeva spesso, diceva che lo avevano abbandonato e temeva di essere ucciso dai suoi amici…” (vedasi verbale del 10.06.1996). Dagli accertamenti, a suo tempo esperiti, era emerso che effettivamente lo Sgangarella ed il Vinci erano stati ristretti nello stesso carcere nel periodo di tempo compreso tra il 17.05.1984 (giorno, in cui Sgangarella fu trasferito dal carcere di Campobasso a quello di Sollicciano) al 26.10.1984 (giorno della scarcerazione del Vinci) – (vedasi annotazione n. 500/97 del 2.5.1997, pag.12).
– Calamosca Giovanni, riferendo dei suoi rapporti di amicizia e frequentazione con il Vinci, ha tra l’altro raccontato “alcuni giorni prima che il Vinci fosse arrestato a casa mia – ciò è avvenuto il 15.8.1982 – Vinci venne a casa mia a chiedermi d’interessarmi perché, tramite mie conoscenze in Milano, gli procurassi un passaporto per andare all’estero. In quell’occasione, con tono molto preoccupato, mi disse che doveva andare all’estero perché non voleva mettere una famiglia nella merda. Nel dirmi ciò, anche se non me lo spiegò chiaramente, mi fece capire che la sua preoccupazione riguardava quei delitti del Mostro. Preoccupazione, sempre da come ebbi modo di capire, che era determinata dal fatto che Vinci evidentemente ricattava la persona a cui aveva dato la pistola utilizzata in quei delitti e da questo ricatto aveva avuto dei problemi. Proprio per evitare che continuasse ad avere problemi aveva pensato di recarsi all’estero e mi disse il più distante possibile; ricordo che avevamo concordato che andasse in Australia. Poi, in pratica non si fece nulla perché, come ho detto, venne arrestato proprio a casa mia”. Ed ancora: “nel 1990, esattamente due giorni prima di Pasqua, venne a trovarmi a casa per farmi la proposta di mettere su assieme a lui un gregge di pecore. In questa occasione, notai che era depresso e poi seppi da amici che in quel periodo si ubriacava spesso… Capii che al Vinci le cose non andavano bene sempre per via del ricatto della pistola e penso che poi, a distanza di qualche anno, venne ucciso proprio perché lui continuava a ricattare per soldi quelli a cui aveva dato la pistola. Probabilmente egli era diventato pericoloso perché ubriacandosi avrebbe potuto parlare e sputare il rospo…L’unica spiegazione che riesco a darmi, soprattutto per avere visto le serie preoccupazioni del Vinci per le vicende del Mostro e per avere saputo del fatto del ricatto, è che il Vinci sia stato ucciso proprio per evitare sia che continuasse a ricattare chiedendo soldi sia che, essendo diventato un ubriacone, potesse raccontare i suoi segreti” (verbale del 13.03.1997).
– Nel corso dell’inchiesta bis, sono emersi elementi comprovanti la frequentazione da parte del Vinci del bar di Piazza Mercatale di Prato, meglio noto come “bar dei sardi”, frequentato anche negli anni 80 da Salvatore Indovino e dagli altri personaggi, che frequentavano l’abitazione di via di Faltignano, come nel corso della presente nota è stato già riferito. Il Vinci Francesco, come noto a codesta A.G., era stato inquisito per il duplice omicidio ai danni di Locci Barbara e Antonio Lo Bianco, avvenuto in località Castelletti di Signa nella notte tra il 21 e 22 agosto 1968 (primo delitto in cui appare la pistola cal. 22 utilizzata successivamente per eseguire tutti gli altri duplici omicidi attribuibili al Mostro di Firenze). Era stato inquisito, insieme al fratello Vinci Salvatore, anche nell’ambito delle indagini sul duplice omicidio del 19.6.1982 ai danni di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini in località Bacchiano di Montespertoli.
4. Duplice omicidio a carico di Milva Malatesta e del figlioletto, rinvenuti cadaveri, carbonizzati, il 19.8.1993 nel territorio del Comune di Barberino Val D’Elsa. In relazione alla Malatesta Milva, occorre ricordare quanto appresso:
– Era figlia di Maria Antonietta Sperduto e di Renato Malatesta. Come noto, Sperduto Maria Antonietta, pochi giorni prima che fosse trovato morto il marito (impiccato, ma con i piedi che toccavano per terra!), si era trasferita nell’abitazione di Trancucci Vincenzo in via di Faltignano, confinante proprio con la casa del mago Indovino. Parlando di Indovino e della Nicoletti, la Sperduto, tra l’altro, ha dichiarato “Era una coppia che vociava spesso perché litigava. La Filippa si prostituiva e la sera sentivo cose strane. Ho sentito dire dalla stessa Filippa che in quella casa facevano la magia nera e cioè messe nere. Mi diceva Filippa che mettevano le carte e le mani su un tavolino, bevevano e facevano orge e tutto ciò era organizzato dal Salvatore. In questa casa della Filippa e del salvatore, da quello che ho visto io, andavano Vanni, Pacciani ed una persona con la barba, di cui non so il nome.” La Sperduto ha inoltre riferito diffusamente dei rapporti sessuali, piuttosto particolari, avuti, talvolta anche costretta fisicamente, con Pacciani e Vanni Mario (vedasi verbale del 7.3.1996). – Sgangarella Giuseppe, riferendo delle confidenze apprese in carcere dal Vinci Francesco, ha raccontato che il Vinci “aveva conosciuto nella zona di San Casciano, circa dieci anni prima del racconto, il Pacciani ed altre persone, tra cui un postino amico del Pacciani ed alcune prostitute. Mi raccontò che erano soliti andare tutti in una casa colonica, credo disabitata, della zona di San Casciano, ove si sedevano intorno ad un tavolo e Pacciani a capo tavolo per fare i tarocchi e predire il futuro. Andavano sempre di sera e mi diceva che la strada per arrivare a questa colonica era brutta in quanto vi erano dei fossi. Vinci mi disse anche che in questa colonica vi era anche un’amante di Pacciani” (vedasi verbale del 10.6.1996 pag. 3). Ed ancora “che io sappia l’amante del Pacciani era la moglie di Rubino. So questo per avermelo detto lo stesso Pacciani, il quale appunto nelle confidenze fattemi mi disse che faceva l’amore con la moglie di certo Rubino e che aveva avuto dei problemi che non mi precisò con questa donna” (vedasi verbale del 20.6.1996 pag. 5).
– Calamosca Giovanni, parlando delle frequentazioni di Vinci Francesco, tra le altre, ha fatto riferimento ad una prostituta, incontrata in una circostanza insieme al Vinci in un ristorante di Barberino. Ha descritto detta donna, poi riconosciuta, a seguito d’individuazione fotografica, proprio per la Malatesta Milva (vedasi verbale del 13.3.1997 pag. 5).
– Nicoletti Filippa, facendo riferimento alle frequentazioni ed amicizie di Indovino Salvatore, ha indicato, tra gli altri, Malatesta Milva, della quale ha aggiunto “la Milva, da come mi sono accorta, andava anche a letto con Salvatore. Infatti, tornando a casa dopo una ventina di giorni, mi accorsi che nella casa vi erano gli indumenti appartenenti alla Milva. Ho fatto una scenata e tutto è finito lì” (verbale del 6.2.1996 pag.3).
5. Omicidio di Anna Milva Mattei, uccisa nella propria abitazione del Comune di San Mauro a Signa ed il cui cadavere fu rinvenuto semi – carbonizzato il 29.5.1994. In riferimento a tale delitto, si rileva:
– la Mattei, prostituta, ospitava da diverso tempo Fabio Vinci, figlio di Francesco Vinci e, negli ultimi tempi anche Tudori Marinella, amica della vittima, che aveva una relazione con il Fabio Vinci ed era diventata amica, nei giorni precedenti il delitto, anche di Sgangarella Giuseppe. Per detto episodio fu processato e prosciolto il predetto Sgangarella.
– Lo Sgangarella, parlando della Mattei, ha dichiarato “non so dire quali fossero i fatti relativi al mostro di Firenze, di cui la Mattei Milvia diceva di essere a conoscenza, aggiungendo che li voleva riferire al magistrato. Queste cose la Mattei me le disse la sera del mercoledì quando la conobbi, approfittando del fatto che la Tudori Marinella era uscita. In breve mi disse che si sentiva in pericolo e mi pregava di avvisare di ciò i suoi figli Rindi, che erano in carcere con me a Sollicciano pregandoli di avvertirli subito al mio rientro” (vedasi verbale del 2.10.1996 pag.2).
Dalla breve disamina dei fatti e delle circostanze, sopra indicate, emergono alcuni significativi elementi obiettivi, comuni ai vari episodi delittuosi, e che potrebbero deporre positivamente per una collocazione investigativa degli stessi nello specifico contesto dell’indagine in atto, volta ad individuare la persona o le persone, che hanno commissionato i duplici omicidi (o, almeno, alcuni di essi), così come affiorato dalle risultanze dibattimentali del processo a carico dei cosiddetti “compagni di merenda”.
Più in particolare, appare utile, in quest’ottica, osservare:
– che tutte le vittime avevano avuto rapporti, alcuni anche intimi, con ben individuati personaggi, sicuramente riconducibili alle amicizie e frequentazioni degli imputati dei delitti del Mostro: Vinci Francesco con Indovino Salvatore, con Pacciani Pietro e con Malatesta Milva. Malatesta Milva con Vinci, con Pacciani, con Indovino, con Nicoletti Filippa, mentre la di lei madre anche con Vanni Mario, Pietro Pacciani e Giancarlo Lotti. Mattei Milvia con Fabio Vinci, figlio di Francesco Vinci e con Sgangarella Giuseppe, amico di Vinci Francesco e Pacciani Pietro;
– che tutte le vittime sono state uccise ed i loro corpi bruciati, chi totalmente e chi parzialmente;
– che Vinci Francesco e Mattei Milvia, prima di essere uccisi, erano preoccupati della loro incolumità fisica proprio per la vicenda del mostro di Firenze;
– che il Vinci e la Malatesta furono uccisi, con modalità esecutive apparentemente in parte analoghe, a distanza di 12 giorni uno dall’altro, in un contesto temporale in cui era già matura l’attività investigativa svolta a carico di Pietro Pacciani e ci si avviava verso l’apertura del dibattimento;
– che la Mattei Milvia fu uccisa dopo che era trascorso poco più di un mese di tempo dall’apertura del dibattimento del processo a carico del Pacciani (19.4.1994);
– che gli omicidi in questione, a seguito delle indagini e dei relativi processi, sono tuttora a carico di ignoti e non ha trovato conferma neppure il movente a suo tempo ipotizzato (per il Vinci, motivi di interessi delinquenziali riferibili all’ambiente della malavita sarda; per Malatesta, motivi di contrasto familiare con il marito Rubino; per Mattei, la personalità dello Sgangarella);
– che, invece, appare non peregrina l’ipotesi che un comune movente possa aver determinato l’uccisione dei citati Vinci, Malatesta e Mattei.
A proposito dell’arma dei delitti, appare utile riferire che si è proceduto ad una rivisitazione delle perizie, a suo tempo eseguite sia sui proiettili sia sui bossoli. Da tale attività, si è potuto rilevare quanto segue:
– nella perizia Arcese – Iadevito, per quanto attiene l’identificazione dei proiettili, viene espresso un giudizio soltanto “di comunione di conformità e di ampiezza delle rigature” e non viene, quindi, dato alcun giudizio sulla continuità o meno dei macro e micro profili, che si rinvengono all’interno delle rigature dei proiettili; elementi, questi, sui quali si basa il giudizio di identità balistica;
– le comparazioni balistiche sono state effettuate su campionatura e non già sugli interi reperti (circostanza, questa, che può fare insorgere dubbi sulla identità dell’arma);
– da una attenta lettura della perizia sopra indicata, emerge un altro particolare alquanto dubbio in relazione al primo episodio omicidiario, come noto, ad opera di sardi. Infatti, nella descrizione dei singoli proiettili viene descritto quello di cui al rilievo fotografico n. 98 della relazione come “un proiettile in piombo ramato dal peso di gr. 2,570, pertinente ad una cartuccia cal. 22 L.R., sulla cui superficie sono presenti n. 4 impronte da rigatura con andamento destrorso”. Orbene, questo reperto, così come descritto, si differenzia da tutti gli altri integri, sui quali sono state rilevate n. 6 impronte di rigatura. Apparentemente se ne deve, quindi, dedurre che, se il reperto di cui sopra non è deformato (qualora lo fosse stato, lo avrebbero descritto) esso apparterebbe ad un’altra arma;
– dagli esami autoptici emerge, altresì, che i fori di ingresso sono in numero superiore ai bossoli rinvenuti sui luoghi dei delitti.
In relazione al Giuseppe Barrui di cui si è fatto cenno, oltre a quanto già segnalato, occorre riferire quanto segue:
-nel contesto delle indagini, relative al sequestro di persona a scopo di estorsione ai danni di Giuseppe Soffiantini, ha formato oggetto di specifiche attività anche di ordine tecnico essendo considerato uno dei fiancheggiatori del latitante Farina Giovanni. All’epoca – siamo nell’anno 1997 – il Barrui viveva in una sua proprietà, sita in Monte San Pietro, frazione di Montepastore (BO), via Varsellane n. 16, presso cui, come servo pastore, lavorava Antonello Ortu, nato a Nuoro il 31.10.1967, con precedenti penali per reati in materia di armi, furto, oltraggio e resistenza a P.U.;
-gravitava da sempre nell’ambito della famiglia Ghisu, con i quali era legato anche da vincoli di parentela, salvo le interruzioni dovute ai numerosi anni di detenzione espiati per vari delitti, così come risulta in una nota informativa della Criminalpol Toscana, datata 1.12.1989. In detta nota, risulta altresì che, in data 8.7.1989, era stato scarcerato dalla Casa Circondariale di Sollicciano e di avere eletto, all’atto della scarcerazione, il suo domicilio in via Rimaggio n. 281 del Comune di Sesto Fiorentino presso la famiglia di Ghisu Salvatore. Risulta, altresì, che, nell’anno 1981, a seguito di una attività di polizia, relativa al sequestro di persona di Ciaschi Dario, erano stati tratti in arresto, per il reato di detenzione di banconote false, insieme al Barrui, Ghisu Angelo e Camedda Peppino, nato a Cabras (OR) il 1.5.1961, servo pastore di Ghisu Salvatore;
-sempre nel contesto delle indagini “Soffiantini” risulta che un ispettore di polizia, Pasquini Luca, in data 17.11.1997, si incontrava con il Barrui, il quale forniva confidenzialmente notizie sul sequestro in argomento;
-agli archivi dell’ex Sam, esiste una nota, datata 6.10.1993, con cui si riferiva a codesta Procura della Repubblica l’esito di un colloquio in carcere di quel personale con il detenuto Mannini Mauro, ristretto nella circostanza presso il carcere il Pisa. Il Mannini aveva riferito alcune confidenze ricevute dal Barrui circa un possibile coinvolgimento nei delitti del Mostro di Firenze di Francesco Vinci, nonché di una perquisizione che il Barrui aveva subito in una fattoria della zona dell’Osmannoro ad opera dei carabinieri in un periodo di tempo collocato poco prima dell’anno 1982. In tale circostanza, sempre secondo le confidenze ricevute dal Barrui, i carabinieri nin si 84 sarebbero accorti di alcune armi appartenenti al Vinci, forse la pistola, al Barrui stesso e ad altri sardi. Il Barrui aveva attribuito la perquisizione a qualche delazione fatta ai carabinieri da parte di qualche “infame”.
Ortu Antonello, che dovrebbe essere il servo pastore, che custodirebbe la pistola del Barrui, stando alle dichiarazioni del Mandelli, in data 24.3.1998, è stato colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere del Gip del Tribunale di Firenze per il reato di favoreggiamento personale del latitante Farina Giovanni. Nella circostanza dell’arresto, avvenuto lo stesso giorno 24 marzo, l’Ortu nominava quale difensore di fiducia l’avv. Rosario Bevacqua. Quest’ultimo, stando sempre alle dichiarazioni del Mandelli sarebbe il legale dei Ghisu da oltre 20 anni. Il predetto, agli atti di questo ufficio, risulta che, alla data dell’ottobre 2000, era irreperibile, non essendo stato trovato, né presso i domicili dei Ghisu, né presso quelli dei suoi familiari in Sardegna, in occasione della notifica del provvedimento di “avviso di conclusione delle indagini preliminari”, emesso da codesta Procura della Repubblica nell’ambito del procedimento penale n. 447/98 mod. 21.
7.Proposte investigative.
Al fine di poter acquisire ulteriori elementi utili alle indagini dando, nel contempo, completezza agli spunti emersi sin’ora ed oggetto della presente nota, si reputa opportuno sottoporre all’attenzione della S.V., tra l’altro, la seguente attività:
a. accertare l’episodio dell’irreperibilità del cittadino tedesco Wolfgang, originario di Stoccarda, domiciliato all’epoca del duplice omicidio degli Scopeti presso la sede degli Hare Krhisna, nonché riscontrare le altre circostanze, riferite dal Weber, ivi compreso l’episodio delle autovetture e degli oggetti rinvenuti;
b. identificare il belga Thirion di Namur e rilevare eventuali sue tracce di soggiorno in questo territorio in concomitanza con i delitti; 85
c. sentire, quale persone informate sui fatti, i familiari della Mauriot (in particolare il cognato e la sorella) e del Kraveichvili;
d. approfondimenti investigativi su Giuliano Massimo Luccioli e Giuseppe Jommi, anche mediante l’acquisizione dei tabulati telefonici delle utenze in loro uso, che, con apposita nota, si segnaleranno;
e. approfondimenti sulla persona del Francesco Narducci e, in particolare, sulla sua morte;
f. chiarire i contatti intervenuti tra Gaetano Zucconi e Gentile Giovanni, nonché i contatti tra il primo e la famiglia Del Medico;
g. approfondire le notizie comunicate a suo tempo dalla Questura di Varese e che, tra l’altro, facevano riferimento ad un personaggio del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede;
h. approfondimenti investigativi su Fradeani Nicola e sulla sua scomparsa e decesso;
i. specifiche attività d’indagine sui personaggi sardi citati dal Mandelli, tra cui perquisizioni domiciliari ed intercettazioni, che sarà richiesta con apposite note;
j. risentire, quale persona informata sui fatti, Giovanni Calamosca alla luce delle nuove acquisizioni;
k. sentire, quale persone informate sui fatti, Sperduto Maria Antonietta e Gabriella Ghiribelli, quest’ultima sulle sue frequentazioni con i personaggi sardi;
l. sentire le figlie di Pietro Pacciani e la moglie sulle circostanze emerse recentemente, tra cui la frequentazione di sardi da parte del predetto e l’eventuale intervento di un psicologo, che avrebbe avuto colloqui con le figlie, come emerso dal noto appunto allegato al biglietto da visita del dott. Luigi Rossi, sequestrato al Prof. Bruno;
m. disporre una consulenza balistica su tutti i reperti attinenti ai duplici omicidi anche allo scopo di verificare l’ipotesi dell’eventuale utilizzo di una seconda pistola sempre di calibro 22 o di altro calibro;
n. ogni altra attività ritenuta utile per lo sviluppo degli elementi riferiti nella presente nota.
Il Dirigente della Squadra Mobile
Dott. Michele Giuttari