Il 15 Novembre 2002 il Prof. Massimo Introvigne consegna la perizia richiesta dal Sostituto Giuliano Mignini in data 17 ottobre 2002. Un supplemento alla stessa perizia viene consegnato in data 16 dicembre 2002.
Questa la perizia: Massimo Introvigne Relazione di consulenza tecnica 15 novembre 2002
Questa la trascrizione:
All’ill.mo Sig. P.M.
Dott. Giuliano Mignini
Procura della Repubblica Tribunale di Perugia
e p.c.
Dott.ssa Gabriella Carlesi
Dipartimento di Medicina Legale
Università degli Studi di Pavia
Relazione di consulenza tecnica
Il quesito
Il giorno 17 ottobre 2002 il P.M. Dott. Giuliano Mignini mi conferiva un incarico di consulenza tecnica volto ad accertare “quanto descritto nel decreto di nomina”, dopo avere esaminato “la documentazione video fotografica della riesumazione del cadavere del prof. Francesco Narducci e i capi d’abbigliamento dello stesso (in particolare, il telo che avvolgeva la zona addominale del cadavere)”. La mia competenza in materia nasce dall’attività, che svolgo da quindici anni, di direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), un centro di ricerca sulla religiosità di minoranza e sull’esoterismo indipendente da ogni denominazione, gruppo religioso o Chiesa che dispone, tramite la sua biblioteca e il suo archivio, di una delle maggiori documentazioni in Europa su questi argomenti. Il CESNUR ha organizzato oltre cinquanta congressi internazionali su temi di sociologia e storia delle religioni e dell’esoterismo (per maggiori informazioni, vedi il suo sito Internet in collaborazione con i più noti centri di ricerca internazionali del settore (dalla London School of Economics alla sede di Santa Barbara della University of California, rappresentanti dei quali fanno del resto parte del comitato scientifico internazionale del CESNUR). Ha pure collaborato (con il mio diretto e personale coinvolgimento) in attività di formazione di investigatori e in indagini di polizia, in particolare (ma non solo) attraverso una collaborazione regolare, che prosegue da diversi anni, con il Critical Incidents Response Group dell’F81 americano, e con I’UNICRI, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di criminalità e terrorismo. Personalmente, faccio parte del comitato scientifico delle riviste Nova Religio e Religion – Staat — Gesel{schaft, collaboro regolarmente ad altre riviste considerate, così come le precedenti, fra te più autorevoli a livello internazionale nel settore (Social Compass, La Critica Sociologica, Journal for the Scientific Study of Religion, Terrorism and Political Violence, quest’ultima per quanto riguarda la sezione dedicata ai problemi criminologici posti dalle religioni marginali). Faccio parte di numerose associazioni professionali fra cui la sezione “Religioni” dell’AlS (Associazione Italiana di Sociologia), la Society for the Scientific Study of Religion, la Association for the Sociology of Religion, e la American Academy of Religion. Sono stato designato datl’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) a svolgere una delle tre relazioni introduttive atla Conferenza diplomatica sulla libertà di religione tenuta a Vienna il 22 marzo 1999. Allego pure una bibliografia di alcune mie principali pubblicazioni (allegato A).
Dall’esame del decreto de quo emerge che il quesito verte quindi:
(I) sui “dati di ritualità funeraria” che possano (eventualmente) illustrare “il significato complessivo nella concreta fattispecie” (relativa al cadavere del prof. Francesco Narducci), “anche in relazione alle modalità di vestizione del cadavere e, soprattutto, del telo di lino in sequestro”; e
(2) sui “contesti culturali contemporanei” e su “eventuali organismi associativi ispirati a tali forme di ritualità”.
La relativa documentazione era acquisita dal C.T. nel corso di colloqui con la dott.ssa Gabriella Carlesi, che illustrava i risultati degli accertamenti da lei svolti. Si ritiene opportuno, per ragioni di struttura logica della relazione, partire dal secondo quesito, dal momento che ogni dato di carattere simbolico non può che essere letto in uno specifico contesto. Il simbolo non è mai univoco, ed è sempre un oggetto sociale culturalmente costruito che diventa intelligibile soltanto in un contesto determinato. Il simbolo, infatti, nella sua comprensione più generica, può essere applicato a qualsiasi espressione formale di una concezione e/o idea, sia verbale sia figurata. Concepito in tal modo, il simbolismo, il quale non è altro che l’uso di forme o immagini assunte come segni per idee o cose soprasensibili, e del quale il linguaggio è un caso particolare, è evidentemente connaturato alto spirito umano, perciò necessario e spontaneo. Esiste inoltre, in un senso più ristretto, un simbolismo voluto, meditato, che cristallizza per così dire in rappresentazioni figurative gli insegnamenti delle dottrine.
Il cultic milieu esoterico italiano dagli anni 1980 a oggi
1.1 Le ragioni di questa indagine
Dal momento che l’ipotesi da esaminare, esposta nella relazione della dott.ssa Carlesi del 20 settembre 2002, fa riferimento a una “simbologia egizia nella ritualità massonica” è sembrato indispensabile al C. T. esporre, sia pure brevemente, il contesto in qualche modo interessato a forme arcaiche, in particolare “egizie”, di ritualità, con particolare riferimento al contesto italiano, e in particolare all’Italia Centrale, dagli anni 1980 a oggi. intorno alla presenza di gruppi esoterici e para•massonici nel contesto che ci occupa (l’Italia dagli anni 1980 a oggi, non essendovi certezza sul momento del seppellimento della salma esumata) regna una notevole confusione, che questa relazione vorrebbe contribuire a dissipare. Da documenti visionati presso la dott.ssa Carlesi il C. T. ha pure ricavato l’impressione che questa prima parte della relazione possa tornare utile per altri aspetti dell’inchiesta in corso. Ove la si ritenesse invece troppo dettagliata, ci si potrà limitare a una lettura delle conclusioni, saltando direttamente alla seconda parte.
Saranno proposti, in questa prima parte della relazione, un modello orizzontale e un modello verticale per accostarsi a questo mondo. Va premesso che l’ambiente degli ordini e delle organizzazioni esoteriche è caratterizzato non solo dalle doppie, ma dalle triple, quadruple e multiple appartenenze. Mentre nel mondo delle religioni non è consueto (ancorché non sia inaudito, specialmente in contesti estremo-orientali) appartenere contemporaneamente a più di una religione — è difficile, cioè, incontrare qualcuno che sia, per esempio, insieme cattolico e musulmano —, viceversa nel mondo dei movimenti esoterici è assolutamente comune che chi è, poniamo, martinista sia nello stesso tempo membro di una Chiesa gnostica, massone regolare o “di frangia”, affiliato a un’organizzazione rosacrociana, a una neo-templare e cosi via. La sete di iniziazioni sembra spesso inestinguibile, e porta chi frequenta questo mondo a passare con naturalezza da un’organizzazione all’altra, di norma (e non per eccezione, come avviene invece nelle religioni) a frequentarne più di una contemporaneamente. Tutte queste organizzazioni esoteriche costituiscono quindi un cultic milieu, per riprendere l’espressione resa famosa dal sociologo inglese Colin Campbell fin dal 1972, nel senso che danno vita a un “ambiente” frequentato dalle stesse persone, che pure si muovono utilizzando sigle organizzative diverse (cfr. C. Campbell, “The Cult. the Cultic Milieu and Secularization”, in Michael Hill (a cura di), A Sociological Yearbook of Religion in Britain – 5, SCM Press, Londra 1972, pp. 119-136).
La descrizione orizzontale del fenomeno non va quindi intesa come presentazione di realtà chiaramente delimitate e separate, ma piuttosto comunicanti e sovrapposte. ln particolare — per il rilievo che avevano negli anni 1980 e che in parte conservano nel contesto italiano (con particolare riferimento all’Italia Centrale, e segnatamente a Perugia) — saranno brevemente descritti:
- i riti massonici “egiziani”;
- le Chiese gnostiche;
- gli ordini martinisti;
- la corrente kremmerziana (Fratellanze di Miriam e Ordini Egizi);
- i Rosa-Croce;
- il filone O.T.O. (Ordo Templi Orientis).
A illustrazione del principio più sopra accennato delle appartenenze multiple, si può rilevare fin da ora che un personaggio importante del cultic milieu che sto descrivendo, il medico di Perugia Francesco Brunelli (19271982), vantava iniziazioni in tutti e cinque queste filoni, e dei primi tre si trovava contemporaneamente a essere uno dei principati dirigenti in Italia all’inizio degli anni 1980.
1.2 1 riti massonici “egiziani”
Iniziando il nostro esame dai riti massonici “egiziani”, occorre innanzitutto distinguere con chiarezza, nel mondo massonico, tra obbedienze e riti, due realtà che sono sovente confuse. Le obbedienze sono federazioni amministrative di logge o di gruppi nazionali di logge, che accettano la priorità di una loggia originaria o almeno accettano di sottoporsi a un certo coordinamento. riti sono sistemi di gradi massonici, di cui prescrivono non solo le cerimonie ma anche le caratteristiche. All’interno di una stessa obbedienza possono essere praticati diversi riti, senza che questo comporti uno scisma. Per converso to stesso rito può ritrovarsi in diverse obbedienze, anche se per i gradi superiori il rito è più di una semplice variante cerimoniale: è una via iniziatica, con caratteristiche e insegnamenti specifici che sono trasmessi nei diversi gradi. Tutto questo è chiaro in teoria: ma in pratica questioni di rito hanno spesso determinato scismi anche quanto alte obbedienze, soprattutto perché i riti hanno i loro dirigenti (distinti da quelli delle obbedienze) ed è spesso accaduto che fra i due gruppi dirigenti (che pure dovrebbero in teoria esercitare la loro giurisdizione su ambiti diversi) siano sorte rivalità e conflitti.
Quando si parla di massonerie “egiziane” si parla talora di obbedienze, talora di riti, talora di entrambe le cose insieme. Le obbedienze massoniche “egiziane”, in quanto si presentino come indipendenti e sovrane, rientrano nell’ambito della cosiddetta “massoneria di frangia”. La letteratura della Gran Loggia Unita d’Inghilterra denomina “massoneria di frangia” (fringe masonoò l’insieme delle obbedienze i cui interessi si situano soprattutto sul versante dell’occultismo e della magia. A partire dal secolo scorso questi interessi sono scoraggiati nella massoneria “regolare” e hanno quindi preso la strada di organizzazioni “di frangia”. Alcune di queste organizzazioni non sono semplicemente “irregolari” (in quanto affermano di interessarsi solo dei gradi superiori al terzo, riconoscendo alla Gran Loggia Unita la giurisdizione universale sui primi tre gradi “azzurri”, di cui soltanto essa dichiara di occuparsi). Tuttavia la loro “ideologia” si allontana notevolmente dallo spirito e dalla mentalità della massoneria “regolare” per cui spesso finiscono per dotarsi anche di gradi “azzurri” propri, diventando così, oltre che “di frangia”, anche “irregolari”.
Le obbedienze “di frangia” più diffuse adottano una simbologia ispirata all’antico Egitto e costituiscono appunto la famiglia (divisa in numerose obbedienze rivali) delle massonerie “egiziane”, il cui antecedente storico è rappresentato dall’Ata massoneria egiziana creata da Cagliostro (1743 0 1749-1795). Nelle massonerie “egiziane” dominano il rito di Memphis (92 gradi) e quello di Misraïm (90 gradi) — creati fra il 1813 e il 1838 —, nonché varie loro combinazioni. ln alcuni paesi varianti del Memphis e/o del Misraïm sono riconosciute come riti anche da obbedienze maggioritarie (così, in Italia, dal Grande Oriente d’Italia). Come si vede, la semplice distinzione delle logge massoniche in “regolari” e “irregolari” non risolve tutti i problemi (del resto, lo stesso Grande Oriente d’Italia ha problemi di “regolarità” rispetto alla Gran Loggia Unita di Londra); la situazione è più complessa.
In effetti, venendo all’ambiente italiano e in particolare centro-italiano e umbro dagli anni 1980 ai giorni nostri, constatiamo ta presenza di organizzazioni massoniche “egiziane” che, in quanto si presentino come indipendenti, sono considerate senz’altro “irregolari” dal Grande Oriente d’Italia (e dalle altre organizzazioni di rilievo nazionale che fanno concorrenza al Grande Oriente, peraltro ampiamente maggioritario). Tuttavia gli stessi animatori delle massonerie “egiziane” frequentano talora anche fogge del Grande Oriente, il quale del resto riconosce riti “egiziani” in quanto riti.
Le massonerie “egiziane” non sono tali in quanto derivino dall’antico Egitto. Qualcuno ha proposto di distinguere fra “egittologia”, intesa come scienza che ricostruisce la vita e la religione dell’antico Egitto, ed “egittomania”, opera di dilettanti entusiasti che nasce nel Settecento e si consolida con ‘a spedizione egiziana di Napoleone l. Con l’Alta Massoneria Egiziana di Cagliostro nasce il legame fra riti massonici “egiziani” (che appartengono all’egittomania più che alla egittologia) e gli arcana arcanorum, segreti rivelati alle cerchie più interne degli ordini e che fanno riferimento a due tipi di pratiche magiche, ciascuno con una tradizione plurisecolare: la teurgia, cioè l’evocazione di spiriti, e l’alchimia interna nella forma della magia sessuale, cioè l’uso di pratiche e di secrezioni sessuali a fini magici. Riservandomi di meglio descrivere queste tecniche, così come sono praticate più recentemente, nel paragrafo sulla corrente kremmerziana, rilevo in questa sede che — in collegamento almeno ideate con le attività di Cagliostro — logge “egiziane” dette di Misraïm appaiono in Italia, poi in Francia, nei primi decenni dell’Ottocento, mentre riferimenti certi a un rito di Memphis, originariamente uno scisma del rito di Misraïm, si trovano solo a partire dal 1838. L’Italia è uno dei paesi più importanti per i riti di Memphis e di Misraïm, che qui sono unificati in un unico rito detto “di Memphis e Misraïm” nel 1881 da Giuseppe Garibaldi (1807-1882), di cui sono noti gli interessi massonici, mentre in Francia l’unificazione è opera di un personaggio che riunisce in sé la guida di diverse organizzazioni dello stesso cultic milieu, Gérard Encausse detto Papus (1865-1916). Come sempre avviene in ambienti caratterizzati da una forte litigiosità, l’unificazione è di breve durata e accanto alle organizzazioni unitarie proliferano ben presto gruppi indipendenti più piccoli. Si aggiunge un interesse per una ritualità massonica “egiziana” che si sviluppa all’interno di quella grande organizzazione esoterica che è la Società Teosofica, dove un discusso dirigente dei primi decenni del Novecento, Charles
Webster Leadbeater (1847-1934), fonda nel 1929 un “Rito Egiziano dell’Antica Massoneria”, in linea di principio del tutto segreto e sconosciuto alla maggioranza dei membri della Società, la cui esistenza spinge però eminenti teosofi a interessarsi, anche in Italia, alle vicende dei riti di Memphis e Misraïm. Senza seguire qui vicissitudini complicate e forse non di diretto interesse per il nostro tema, negli anni 1960 e 1970 troviamo in Italia nelle massonerie “egiziane” due poli contrapposti, legati rispettivamente alle figure del già menzionato medico di Perugia Francesco Brunelli — che rivendica una linea genealogica che discende, attraverso vari passaggi, da Papus — e a Gastone
Ventura (1906-1981). Semplificando un quadro più complesso, il dissidio — che invano si cercherà a più riprese di ricomporre, e che permane fra i rispettivi eredi ancora oggi — fra Brunelli e Ventura riguardava:
da una parte il collegamento fra i riti “egiziani” e la Chiesa gnostica (di cui tratterò brevemente nel paragrafo 1.3), mantenuto fermo da
Brunelli e rifiutato da Ventura; dall’altra (meno pubblicamente) l’accostamento agli arcana arcanorum rivelati alla cerchia superiore di iniziati, che per Ventura erano piuttosto di natura teurgia (evocazione di spiriti, ivi compresa l’evocazione dello spirito dell’antenato da parte dei discendenti servendosi delle sue ossa), per Brunelli piuttosto di natura magico-sessuale.
ln Umbria il “Rito Antico e Primitivo di Memphis-Misraïm” di Brunelli diventa un elemento importante del cultic milieu e anche della vita massonica cittadina. Nelle cerchie interne, piuttosto chiuse, “organizzazione inizia agli arcana magico-sessuali che Brunelli deriva in realtà dall’ermetismo kremmerziano (cfr. infra, paragrafo 1.5). Nelle cerchie esterne, il Rito si contraddistingue per una ricerca antiquaria di ritualità massoniche arcaizzanti, molte delle quali di impronta “egiziana”, abbandonate (o mai praticate) dal Grande Oriente d’Italia ma con cui non è difficile venire in contatto nelle biblioteche o nelle librerie antiquarie. L’influenza di Brunelli si fa sentire fra gli appassionati di cose massoniche e di esoterismo, non solo a Perugia, ancora molti anni dopo la sua morte; si esercita per cerchi concentrici progressivamente più lontani dalle sue possibilità personali di controllo (con o senza l’uso della sigla “MemphisMisraïm” o di sigle simili), e certamente nessuno può immaginare di conoscere in modo completo tutti i gruppuscoli che in qualche modo si ispirano al suo insegnamento o ne tengono conto.
1.3 Le Chiese gnostiche
Sarà sufficiente un cenno assai rapido alle Chiese gnostiche, perché la loro ritualità si ispira allo gnosticismo antico e ha ben poco di “egiziano”. Come accennato, esse sono in parte il CaSUS belli nel dissidio Brunelli-Ventura. Le Chiese gnostiche nascono nel 1890 con Jules-Benoît Doinel (1842-1902); it loro riferimento agli gnostici antichi è parallelo a quello dei riti massonici “egiziani” all’Egitto, cioè è in gran parte di fantasia. Grazie alle attività di Doinel, negli anni 1890 comincia a essere di prammatica per chiunque “sia qualcuno” nel mondo dell’esoterismo ricevere una consacrazione come vescovo gnostico. Non sorprende quindi ritrovare come vescovi di Chiese gnostiche nomi che già conosciamo: Papus, i successori di Papus, e lungo la stessa linea di successione che rivendicava per le massonerie “egiziane” anche Francesco Brunelli a Perugia, fondatore net 1960 di una Chiesa Gnostica Italiana (che peraltro riprendeva l’eredità di una Chiesa Gnostica d’Italia, che già era esistita in ambiente massonico a partire dal 1945).
Dal 1960 in poi Brunelli procede alla consacrazione di parecchi vescovi gnostici, alcuni dei quali assumono successivamente la carica di primate. Nel 1972 Brunelli favorisce la nomina a primate del fiorentino Loris Carlesi (“Tau Johannes”), che conserva tuttora la carica (anche se dopo la morte di Brunelli nel 1982 la successione è stata rivendicata anche dall’avvocato perugino Giacomo Borrione, e dal gruppo raccolto a Firenze intorno ai Cenacoli Prometeo). Non c’è dubbio che l’organizzazione di Carlesi sia l’unica con un’attività pubblica a livello nazionale, con la rivista bimestrale Conoscenz
(che è uscita dal 1964 al 2002, quando un ormai anziano Carlesi ne ha annunciato la cessazione) e comunità in diverse città italiane.
1.4 1′ martinismo dirigenti italiani dj massonerie “egiziane” hanno fatto quasi tutti parte anche di ordini martinisti. Il martinismo è un sistema iniziatico che si ispira a tre esoteristi attivi tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento: Jacques Martinez de Pasqualiy (1727-1774), Jean-Baptiste ‘Willermoz (1730-1824) e Louis-CIaude de Saint-Martin (1743-1803). Il sistema massonico di Martinez de Pasqually, “Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen, introduce una dottrina peculiare della “reintegrazione” che comprende operazioni teurgiche (cioè, ancora una volta, di evocazione di spiriti) via via più segrete. Dal martinezismo di Martinez de Pasqually si distingue il sistema di Willermoz, che tenta di ricondurne le idee in un ambito cristianeggiante. Louis-Claude de Saint-Martin, dal canto suo, entra negli Eletti Cohen net 1768 e diventa rapidamente il segretario di Martinez de Pasqually. Dopo ‘a morte del maestro, inizia però a diffidare dell’occultismo e delle società iniziatiche e si orienta verso un misticismo cristiano “del cuore”, diffidente verso te Chiese istituzionali e tentato da un certo panteismo.
Si deve al già citato Papus l’organizzazione di idee liberamente ricavate da
Martinez de Pasqually, Willermoz e Saint-Martin nella forma di un Ordine Martinista, fondato nel 1891 a Parigi. Dopo la morte di Papus nel 1916 f’Ordine Martinista si frammenta in una complicatissima serie di scismi, che dal punto di vista ideologico si possono ricondurre alle dispute fra la via mistica di Saint-Martin e la via teurgica di Martinez.
ln Italia — a prescindere dalle ipotesi sull’esistenza dj un “martinismo napoletano” nel vivace ambiente esoterico del Regno delle Due Sicitie — la storia del martinismo contemporaneo inizia con l’adesione di una serie di note figure del mondo esoterico e massonico italiano all’Ordine Martinista di Papus. Dopo la morte di Papus anche in Italia si riproduce la controversia fra una linea più ispirata a Saint-Martin e una martinezista. Durante il periodo fascista il martinismo è coinvolto nella repressione delle attività massoniche, ma dopo la guerra ricomincia a operare un Gran Consiglio Italico dell’Ordine Martinista, sorto a Milano nel 1951, che cerca di riconciliare le due correnti, ma cessa le attività nel 1954. Nella sostanza, anche in Italia continua peraltro a riprodursi la contrapposizione fra una linea saint-martinista rappresentata dal già citato Gastone Ventura e una di ispirazione martinezista, di cui emerge come leader — gradualmente — Francesco Brunelli. Nonostante tentativi di unificazione, i gruppi ispirati rispettivamente a Ventura e Brunelli rimangono ancora oggi i due poli divisi del martinismo italiano: una divisione parallela a quella che percorre le massonerie “egiziane” e che ha motivazioni ideologiche analoghe.
Dopo la rottura con Ventura, Brunelli dà vita a Perugia a un nuovo ordine chiamato inizialmente Ordine Martinista di Lingua Italica e — dal 13 settembre definitivamente “Ordine Martinista Antico e Tradizionale”, con l’intenzione chiara di rifarsi alla sola tradizione che vede nel martinismo primitivo e in Martinez de Pasquatly i punti di riferimento. Il “sacramentario segreto” e gli altri libri interni preparati per l’Ordine da Brunelli hanno un tono inequivocabilmente martinezista: comprendono consacrazioni per l’acqua, il sale, la cenere e il fuoco, esorcismi per i quattro elementi, orazioni degli elementali (ondine, silfidi, salamandre e gnomi), formule di sacralizzazione degli strumenti (l’alba, il cordone, i sandali, la tovaglia, il pugnale e la spada, l’inchiostro — da usare per disegnare il pentacolo e scrivere il sacramentario —, l’incenso), riti “di catena” e individuali. Prescrizioni minuziose riguardano l’abbigliamento, ta dieta, i digiuni, i luoghi e i tempi delle operazioni magiche. È prevista revocazione di geni e spiriti, desunti da Martinez e da altre fonti. Non manca il riferimento a una “grande opera” di alchimia interna, che consiste in una successione di operazioni di magia sessuale. In questo senso, il “segreto” delle cerchie interne dell’ordine martinista di Brunelli è Io stesso delle sue massonerie “egiziane” ed è descritto nella sua opera a circolazione intena Liber
T.Uno, di ispirazione kremmerziana (cfr. paragrafo 1.5).
Dopo la morte di Brunelli nel 1982, come sempre avviene in questo mondo, il suo ordine martinista ha patito una serie di scismi, e relative ricomposizioni, dando vita così a numerose sigle che alle parole “Ordine Martinista” uniscono aggettivi come “antico”, “ermetico”, ‘tradizionale” e così via. Distinta dalla filiazione Brunelli è anche in tema di martinismo la filiazione Ventura, che non comprende arcana magico-sessuali e dove molti degli ordini seguono la via “mistica” di Saint-Martin (tipica anche det martinismo maggioritario in
Francia), dove non è presente alcun tipo di operazione magica.
1.5 La corrente kremmerziana
Al martinismo è strettamente legata — e, ancora una volta, si tratta spesso di diversi cappelli indossati dalle stesse persone la corrente kremmerziana, che è di importanza notevole per la descrizione di un cultic milieu con interessi “egiziani”. Le origini di una peculiare tradizione ermetica a simbologia “egiziana”, nata in Italia ma diffusa anche fuori del nostro paese, si ricollegano alla tradizione martinista napoletana cui abbiamo già avuto occasione di fare cenno. In questo ambiente si formano e operano, fra gli altri, Giustiniano Lebano (1832-1910), dignitario nello stesso tempo della massoneria “ufficiale” del Grande Oriente, della Società Teosofica, dei riti massonici “egiziani”, e Pasquale de Servis (“Izar’, 1818-1893).
Allievo di Lebano è Leone Caetani (1869-1935), principe di Teano e dal 1917, alla morte del padre, duca di Sermoneta. Deputato al Parlamento, noto islamista e orientalista, Caetani è noto per le sue idee paganeggianti e virulentemente anti-cattoliche. Deluso dat fascismo che — anziché ripudiare il cristianesimo — viene a patti con i’ Vaticano, Leone Caetani emigra in Canada, dove muore nel 1935.
Agli inizi del secolo XX Caetani e Lebano fanno parte di uno stesso “Ordine Egizio” insieme al citato Pasquale de Senis. E de Servis, alla fine del secolo scorso, abita a Portici in una casetta addossata alla chiesa parrocchiale del paese, dove vive anche Ciro Formisano (1861-1930), figlio della proprietaria della casa e noto alla storia dell’esoterismo con il nome di Giuliano Kremmerz (o Kremm-Erz). Attraverso questo contatto, il giovane Formisano entra in rapporti con Lebano e Caetani. Dopo la morte di de Servis, nel 1897 Formisano — ormai Kremmerz — inizia la pubblicazione della rivista Il Mondo Secreto, che sarà seguita da numerosi altri scritti. Mentre i suoi discepoli italiani si raccolgono soprattutto a Bari e a Roma, Kremmerz si trasferisce a Ventimiglia (1907-1909), quindi a Camogli e infine a Beausoleil, sulla Costa Azzurra, dove rimane fino alla morte, che lo coglie il 7 maggio 1930.
Nel 1896 (secondo altri già qualche anno prima) Kremmerz aveva posto le basi per la fondazione della Fr+Tm+ (Fratellanza — o Fraternità — Terapeutica Magica) di Miriam (o Myriam), che esce allo scoperto con una circolare del 26 dicembre 1898 dove si dichiara di restaurare una ‘fratellanza spiritualista magica ad esempio delle antichissime sacerdotali isiache egiziane, di cui più recente e nota imitazione è la Rosa+Croce”. La circolare è chiara: la Fratellanza non deve occuparsi che di medicina ermetica, di terapeutica magica, di guarire o alleviare le sofferenze e le malattie, peraltro in gran parte attribuite all’azione di diversi tipi di spiriti.
La concezione paganeggiante del mondo degli spiriti — e ‘a fantasmagoria di simboli, strumenti magici, astrologia e geni — si comprende meglio se si tiene conto che dichiaratamente la Fratellanza di Miriam nasce sotto la protezione di un Grande Oriente Egiziano, emanazione di quell’Ordine Egizio di cui erano esponenti, come si è visto e fra gli altri, Lebano e Caetani (così come lo era stato de Servis). L’intreccio fra Ordine Egizio e Fratellanza di Miriam non è facile da districare (e diventerà piu complicato dopo la morte di Kremmerz e gli scismi). Ogni Fratellanza di Miriam o gruppo di ambiente kremmerziano rivendica di avere ricevuto la sua missione da un “Ordine Egizio” o “Loggia Egizia”: quali di queste organizzazioni esistano davvero è spesso però difficile da accertare. Peraltro, approfondimenti — anche storici — prodotti di recente tendono a dipanare la matassa riconducendo la nascita dell’Ordine Osirideo Egizio (nome con il quale, fra i tanti, è diventato noto nel milieu kremmerziano del XX secolo) al giugno 1863, quando alcuni affiliati alla loggia massonica Sebezia (di cui Giustiniano Lebano è Primo Sorvegliante), interessati a ridare vita e tono al rito massonico di Memphis e Misraim, fondano il Grande Oriente Egizio Scala di Napoli che — dopo alterne vicende — è risvegliato nel 1869 dallo stesso Lebano.
È importante sottolineare che le attività del gruppo che viene allo scoperto con Kremmerz si svolgono su due piani diversi. Da una parte c’è la terapeutica, attività “isiaca” di guaritori, cui si confina la Miriam e che attira anche persone interessate soltanto a questo aspetto e non troppo desiderose di andare oltre. Tuttavia, la terapeutica della Miriam presuppone una visione del mondo e dell’uomo che si apre su una forma di magia più segreta, definita — sempre con termini improntati all’Egitto — non più “isiaca”, ma “osiridea”.
Se dagli scritti pubblici di Kremmerz si passa a quelli riservati si scopre rapidamente come la pratica kremmerziana dei ‘talismani” magici, buoni per diversi scopi e occasioni, si colleghi a una più complessa magia di stampo ermetico che arriverebbe fino alle “sostituzioni di anime fatte magicamente” (“magia avatarica”) e alla “pratica del separando”. Descrivendo in questa sede la magia avatarica e il separando, intendiamo qui dare un esempio di insegnamenti diffusi e praticati da alcuni gruppi “kremmerziani” in alcuni periodi della loro storia, senza pensare di avere risolto la querelle sulla loro origine, né di attribuirli a tutti j gruppi che si rifanno al magistero di Kremmerz, il che sarebbe certamente falso.
La magia avatarica (nell’interpretazione che, con le cautele premesse, presentiamo) è un insieme di tecniche nelle quali “in un corpo vivente e intelligente si stacca l’anima e si immette definitivamente o temporaneamente in un altro corpo da cui precedentemente si sia allontanata l’anima”, che potrà essere sostituita anche con l’anima “di un genio o di un eroe o nume”. Il vertice della magia “osiridea” consiste tuttavia nella “pratica del separando”, una operazione alchemica interna o di trasmutazione in cui l’elemento “solare” dell’uomo è progressivamente separato dagli elementi fisico, astrale e mentale. La chiave di questa alchimia — il cui risultato dovrebbe essere la creazione di un corpo di gloria, che garantisce l’immortalità (salvo a discutere se si tratti di liberarsi ‘ílerticalmente” dalle reincarnazioni o continuarle lungo una linea “orizzontale” ma controllata) — è una forma di alchimia sessuale che non va peraltro confusa con altre diffuse in scuote diverse.
La tecnica comprende preparazioni, diete e digiuni (con l’uso anche di purghe), scelta attenta dei periodi secondo cicli astrologico-tunari e “novenari” (digiuni rituali di nove giorni, durante i quali occorre osservare una castità completa) che precedono l”‘operazione”. I documenti oggi più spesso in uso prevedono tre gradi o “maestrati”, piu un Grande Arcano o Secretum Secretorum. Il primo grado consiste per l’uomo in una pratica ciclica di ingestione del seme, ottenuto con un atto di magia autosessuale, con alcune ore di digiuno totale prima e dopo l'”operazione”- Questa pratica ha precedenti ampi, e ampiamente studiati, in Cina, nel tantrismo indiano e in scuole esoteriche europee seicentesche e settecentesche (per una storia della “spermatofagia”, cioè dell’ingestione rituale dello sperma, cfr. l’opera dell’eminente storico delle religioni Mircea Eliade, Occultismo, stregoneria e mode culturali, tr. it., Sansoni, Firenze 1982).
Il ciclo corto più usato consta di quaranta operazioni, una ogni nove giorni:
rispettando i “novenari” si tratta di circa dodici mesi di operatività. Nella pratica femminile si sostituisce al seme la secrezione della donna ottenuta in fase mestruale mediante un atto autosessuale e consumata in dose “omeopatica” mediante un’ostia che dovrà essere inserita e imbibita nel corpo e quindi ingerita. Per la donna il ciclo più usato consta di quaranta operazioni compiute una ogni nove giorni (dodici mesi). Queste “coobazioni” sono preparatorie a una fase successiva in cui it seme dell’uomo o la secrezione della donna ottenuta in fase mestruale andranno aggiunti a un ulteriore fermento di origine animale, a seconda delle varie correnti diversamente identificato, e quindi ingeriti, all’interno di una ciclicità di digiuni, pratiche e pasti leggeri che insiste ancora sui numeri nove, sei, tre e uno.
Chiuso il maestrato di primo grado, l’attività prosegue nel secondo grado, dove l’amalgama alchemico è ottenuto non più soltanto con l’elemento maschile o femminile da soli, ma mescolandoli insieme e unendo un fermento di origine animate. Esiste anche un terzo maestrato, una pratica di coppia, in cui l’amalgama filosofale (elemento maschile più elemento femminile più fermento) è “cotto” attraverso i tre passaggi denominati “mercurio al nero”, “mercurio al bianco” e “mercurio al rosso” (tre atti diversi di magia eterosessuale di coppia: uno di sodomia, uno senza emissione del seme e uno in fase mestruale). Infine si otterrà un nuovo “amalgama filosofale” che, ingerito, dovrebbe creare l'”araba fenice” e corrispondere alla vera “pietra filosofale”.
Quanto poi alla “trasmutazione alchemica del metallo in oro”, si tratta dell’ultima fase o “Grande Arcano”: una serie di cinque “ritiri al buio” ciascuno di sette giorni con un numero decrescente di operazioni (nove, sei, tre, una e infine nessuna, sostituita da esercizi magico-respiratori) dove si ritorna alle “coobazioni” di un solo elemento (maschile o femminile) cui si aggiunge il fermento. ln questo caso, infatti, è la “deprivazione sensoriale” che deriva dal ritiro al buio a favorire il successo dell’operazione.
Qual è, si chiederà, Io scopo di tutto questo? Secondo la visione del mondo kremmerziana, le varie fasi della “separazione” permettono sperimentando, già dai primi gradi, fenomeni e “poteri” straordinari dissociazione progressiva degli elementi più elevati de’ composto umano dagli elementi più bassi, sulla base di una serie di corrispondenze alchemiche nel mondo della natura e in quello della sessualità. L’obiettivo finale è la creazione di un “corpo di luce”, che dovrebbe essere garanzia tangibile e sperimentabile di immortalità già in questa vita. Nella sostanza, questa ritualità pensa che non tutti gli uomini e le donne siano immortali; l’anima deve essere costruita e faticosamente generata, usando la stessa materia prima da cui nascono i corpi: il seme maschile, che deve essere ritualmente ingerito. (Un altro filone che proviene dal tantrismo indiano, diffuso soprattutto in alcune Chiese e movimenti gnostici di origine latinoamericana oggi presenti anche in Italia, pensa invece che il seme debba essere trattenuto e fatto circolare “all’incontrario”, verso l’interno del corpo, con una pratica di coitus reservatus: la differenza fra questa “ritenzione” e l'”assimilazione” — cioè l’ingestione — del seme caratterizza una buona parte delle polemiche fra ordini esoterici contemporanei che propongono alle loro cerchie interne arcana magico-sessuati).
La Fratellanza di Miriam e “Ordine Egizio hanno subito complesse vicende dopo la morte di Kremmerz. Oggi ne esistono una dozzina di branche rivali, e certamente non tutti i gruppi che in qualche modo si richiamano alla “scienza dei magi” kremmerziana si dedicano anche alle pratiche “interne” e “osiridee”; alcuni — come accennato — non si interessano che agli aspetti di guarigione “isiaci”.
Un filone importante per l’Italia Centrale è la cosiddetta Delegazione
Generale presieduta da Domenico Lombardi (“Benna”, t 1951), nominato direttamente da Kremmerz. Nel 1949 Lombardi rompe con l’allora segretario generale Alfonso Del Guercio di Firenze (secondo alcune fonti, per un disaccordo sulle possibili influenze massoniche nell’ermetismo kremmerziano non gradite da Del Guercio, da parte sua fieramente antimassonico). A Del Guercio si attribuisce, senza prove certe, pure il programma, datato 5 agosto 1944 e di impronta anche politica
conservatrice e anticomunista, di un “Ordine del Mantos”, di cui si ignora se sia mai diventato operativo. Lombardi comincia allora ad avvalersi della collaborazione di Mario Parascandato (“Hahajah”, t 1954), che nel 1945 aveva fondato a Roma la loggia indipendente ANKH. Dopo la morte di Lombardi, Parascandalo riprende i rapporti con gli amici della loggia ANKH e partecipa — peraltro già malato e prossimo a morire — alla costituzione di un nuovo centro dedito a rivitalizzare l’Ordine Osirideo Egizio (e, in posizione a questo subordinata, anche la Fratellanza di Myriam, scritta, in questo caso, con la “y”), noto con il nome assunto dal suo “schermo” con il mondo “profano”, C.E.U.R. (Casa Editrice Universale di Roma). Questo centro — oggi non più esistente come tale, ma atla cui eredità in qualche modo si richiama l’Associazione di Studi Tradizionali “Senatus”, che pubblica dal 1994 la rivista Politica Romana — emerge come il più vivace nella diffusione in Italia e all’estero sia discreta di dottrine “osiridee”, sia pubblica di dottrine “isiache” e terapeutiche, in particolare attraverso la pubblicazione delle opere di Kremmerz; è attestata la presenza di questo filone in Umbria negli anni 1980.
Si deve però ricordare anche una figura per molti versi indipendente come
Luigi Petriccione (“Caliel”, 1928-1995), che ha contribuito a innestare nel sistema dottrinale di Francesco Brunelli accenni (anche operativi) della tradizione italica di Giuliano Kremmerz, e che è stato inoltre Gran Maestro di una Rosa Croce D’Oro Italiana. Brunelli ha utilizzato elementi kremmerziani non per costituire a Perugia un’ennesima branca della Fratellanza di Miriam ma per precisare gli arcana trasmessi alle cerchie interne del suo ordine martinista e della sua massoneria “egiziana”.
1.6 Rosa-Croce
Fra il 1614 e il 1616 tre “manifesti” — la Fama Fraternitatis, la Confessio e te
Nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz — sono messi in circolazione in Europa, e acquistano in breve tempo enorme risonanza. Parlano di un misterioso adepto, Christian Rosenkreutz, che avrebbe conseguito le più alte iniziazioni e avrebbe lasciato nel suo sepolcro — nascosto nella Foresta Nera — tutto quanto i saggi antichi avevano saputo in tema di alchimia, sapienza esoterica e occultismo. Personaggi tutt’altro che secondari si mettono alla ricerca della misteriosa Fraternità nella speranza di esservi ammessi, fra cui René Descartes (1596-1650), che sarà sospettato perfino (forse a torto) di avere latinizzato il suo nome in Renatus Cartesius per dare un segnale esoterico con le sue nuove iniziali, R e C come Rosa-Croce, agli elusivi fratelli. Nessuno trova i Rosacroce, per la buona ragione che non esistono.
manifesti sono un’opera letteraria, creata — con altri — da un pastore luterano del Württemberg, Johann Valentin Andreae (1586-1654), interessato a presentare, sotto il velame esoterico, un ambizioso progetto di riforma politico-religiosa. Dopo qualche anno, naturalmente, i Rosacroce esistono davvero: la finzione diventa realtà, perché coloro che erano partiti alla ricerca delta Fraternità si organizzano in circoli e conventicole, influenzano la trasformazione della massoneria da corporazione operativa in società speculativa, creano una cultura di notevole influenza sulla costruzione di un’Europa moderna insieme pre-itluminista e “illuminata” nel senso esoterico del termine. Tra la fine del Seicento e il Settecento sistemi iniziatici a gradi “rosacrociani” fioriscono in collegamento con gli “alti gradi” massonici. l’ sistema più importante sembra essere stato quello della Rosa-Croce d’Oro in Germania, i cui riti, gradi e dottrine sono passati in numerose organizzazioni iniziatiche moderne. I gradi “rosacrociani” appartengono — più propriamente — alla storia della massoneria, ma in ambiente massonico nascono anche ordini rosacrociani separati. Il più antico ordine rosacrociano è la Societas Rosicruciana in Anglia, fondata tra il 1865 e il 1866 a Londra da Robert Wentworth Little (1840-1878), funzionario della Gran Loggia d’Inghilterra; ma ne nascono in Francia intorno al già citato Papus, in Italia e altrove.
Non ritengo opportuno diffondermi in questa sede sugli ordini rosacrociani — alcuni dei quali costituiscono grandi organizzazioni esoteriche “di massa” come t’ AMORO (Antico e Mistico Ordine Rosae Crucis), diffuse in tutto it mondo — perché nell’Italia Centrale dagli anni 1980 a oggi la loro presenza è da una parte minima o minore, dall’altra costituisce un corpo separato rispetto al cultic milieu che prendo in esame, dal momento che alcune organizzazioni rosacrocjane internazionali (così il Lectorium Rosicrucianum olandese che ha la sua sede italiana a Dovadola, in provincia di Forlì), si presentano piuttosto come realtà religiose. Certamente è di bon ton nell’ambiente che descrivo presentarsi insieme come massone, martinista, kremmerziano, gnostico, neo-templare e anche rosacroce, e vantare una genealogia mitica (beninteso, del tutto inventata) che dall’Egitto arriva ai giorni nostri attraverso Salomone, i cabalisti, i templari, i Rosacroce seicenteschi e Cagliostro. Ma non sembra che il cappello rosacrociano sia più di un cappello decorativo nell’ambiente che ci stiamo impegnando a descrivere, per quanto “AMORC — la cui influenza culturale nel mondo delle organizzazioni esoteriche è sempre stata notevole (minore, invece, la sua presenza organizzata in Italia) — rivendichi nella sua “storia mitica” a sua volta origini egiziane e abbia presso la sua sede internazionale di San José, in California, un museo aperto al pubblico consacrato in ampia parte alla ritualità egiziana. ln ogni caso, immaginare che l’una o l’altra delle organizzazioni che si intitolano ai Rosacroce sia una sorta di super-ordine esoterico che controlla tutti gli altri — scorgendone eventualmente un indizio nel fatto che in diversi rituali esoterici ritorni il simbolo della rosa (che si ritrova peraltro in numerosissimi contesti simbolici anche non esoterici, e su cui ritornerò nella seconda parte della relazione) — è det tutto fantasioso.
1.7 Il filone O.T.O.
Un ultimo filone — dove i riferimenti all’Egitto abbondano — che si ritrova nel cultic milieu delle organizzazioni esoteriche italiane recenti è quello della magia cerimoniale nata in Gran Bretagna. Per magia cerimoniale intendo una forma di esperienza magica dove l’accento è messo sull’efficacia delle cerimonie, sulla loro capacità di “funzionare” e di ottenere risultati, più che sulla legittimità della catena iniziatica, anche se questo secondo elemento non è assente né è trascurato. ln questo senso ane origini della magia cerimoniale moderna si situa l’Hermetic Order of the Golden Dawn (“Ordine Ermetico dell’Aba d’Oro”), fondato nel 1888 a Londra da Samuel Liddelt “MacGregor” Mathers (1854-1918), William Wynn Westcott (1848-1925) e William Robert Woodman (1828-1891). Fra i suoi dirigenti più famosi c’è il poeta William But’er Yeats (1865-1939). Negli anni 1890 e 1900 1’Ordine è piagato da una serie di scismi (l’unica branca tuttora esistente con una linea genealogica che in qualche modo si ricollega al tronco originale è oggi quella neozelandese; la presenza in Italia di organizzazioni riconducibili alla Golden Dawn è sempre stata del tutto minuscola). ln seguito alla frammentazione della Golden Dawn, diversi dei suoi membri fondano ordini e società autonome.
Tra le derivazioni delta Golden Dawn va catalogato il vasto filone che si riferisce al lascito dottrinale e organizzativo del controverso magista anglosassone Aleister Crowley (1875-1947). Dopo l’esperienza maturata appunto nella Golden Dawn (di cui Crowley fonda peraltro una derivazione, I’A.•.A.•., it cui vero significato delle iniziali si ritiene debba rimanere riservato, anche se è invalso l’uso di scioglierle in Argenteum Astrum, Astrum Argentinum o Argon Astron), nel 1904 Crowley afferma di avere ricevuto in Egitto, al Cairo, per via di evocazione medianica, un “libro che spiega l’Universo”, il Libro della Legge, rivelatogli da un essere preternaturale che gli si presenta come l’angelo Aiwass, messaggero delle forze che guidano il mondo. Il Libro della Legge, vera cifra dottrinale del successivo sistema crowleyano, annuncia l’avvento di una nuova epoca descritta in termini “egiziani” l’eone di Horus, in sostituzione del precedente eone di Osiride, che era caratterizzato dall’adorazione di “divinità morenti” e basato su uno stile di vita di impronta patriarcale — contraddistinta dalla “Legge di Thelema”, riassunta nel codice di condotta “Fa ciò che vuoi sarà tutta la Legge! Amore è la Legge, Amore sotto il dominio della Volontà”. Nel 1911 (o nel 1909, la data non è certa), Aleister Crowley entra finalmente in contatto con l’Ordo Templi Orientis, movimento fondato nel 1906 da Theodor Reuss (1855-1923), e da questi dichiarato quale filiazione ‘templare” e “cerchia interna” delle varie “massonerie di frangia” da lui dirette. L’Ordo Templi Orientis, di cui Crow’ey quindi non è “il fondatore” (e che del resto esiste anche in diversi paesi, Italia compresa, in una variante “pre-crowleyana”, che non accetta la successione di Crowtey a Reuss né fa ritualità di Crowley), si contraddistingue mediante l’elaborazione di un sistema di magia sessuale, che affonda le sue radici nella trasmissione degli insegnamenti basati sul tantrismo dell’austriaco Carl Kellner (1850-1905).
Nel 1914 Crowley si trasferisce negli Stati Uniti; nel 1920 torna in Europa e fonda a Cefalù, in Sicilia, la famosa “Abbazia dj Thelema”, che diventa famosa in tutto il mondo e famigerata sulla stampa inglese. It nuovo Stato fascista decide così di espellere Crowley dall’Italia.
Dopo varie peregrinazioni, Crowley si stabilisce definitivamente nel 1932 in Inghilterra, dove vive abbastanza tranquillamente, venerato da pochi ma ferventi discepoli, fino alla morte che lo coglie il 10 dicembre 1947.
I primi gradi dell’O.T.O. crowleyano rivelano l’influenza della massoneria — regolare e “di frangia” — e della Golden Dawn. Il sistema di divinità ha un’impronta “egiziana”, con riferimento a varie divinità dell’antico Egitto. L'”istruzione segreta” del settimo grado (De natura deorum) afferma che “nel
Macrocosmo c’è un solo dio, i’ Sole” e “nel Microcosmo, che è l’Uomo. il vicereggente del Sole, il solo datore della vita, è il Fallo”, che è nello stesso tempo “la base fisiologica dell’Anjma Superiore”. Dopo che l’adepto dell’O.T.O. ha imparato a rifiutare il senso del peccato e della restrizione e si è iniziato alla Legge e alla ricerca delta sua vera volontà — sempre unica perché “ogni uomo e ogni donna è una stella” — può dapprima prepararsi e quindi (a partire dal settimo grado) essere veramente introdotto al “segreto dei segreti” che è la magia sessuale, a sua volta preparata dallo yoga e dalla familiarità con gli strumenti della magia cerimoniale classica, in gran parte ereditati dalla Golden Dawn. Nell’ottavo grado si è iniziati ai “matrimoni segreti fra gli dei e gli uomini”, frutto di una tecnica autosessuale che distingue fra “grandi matrimoni” e “piccoli matrimoni”.
Il vertice del sistema dell’O.T.O. è costituito dal nono grado. Qui si rivela il segreto dell’O.T.O. che, secondo Crowtey, sarebbe insieme il segreto degli alchimisti, delle massonerie e anche del cristianesimo esoterico (che Io avrebbe velato sotto il dogma eucaristico). Dopo essersi preparato con un digiuno (che tuttavia non esclude l’uso di alcool e di certe droghe) l’adepto dell’O.T.O. celebra i’ “sacrificio dell’eucarestia”, che inserisce, al centro di un rituale magico, un coito (che dovrebbe durare in tesi “almeno un’ora”) seguito dalla preparazione “solennemente e in silenzio” dell”‘Elisir” (un miscuglio delle secrezioni dell’uomo e della donna) che è “subito consumato”. Le istruzioni segrete del nono grado comprendono infine una De Homunculo Epistola, che riprende le antiche leggende sulla possibilità di ‘fabbricare” un uomo artificiale diffuse nel milieu magico, ma le inserisce in un contesto diverso. La premessa di tutto il procedimento è l’idea secondo cui un’anima umana vagante prende possesso del feto solo quando questo ha tre mesi, e che il mago può tenere lontane dal feto le anime umane e attirare al toro posto uno spirito della natura del tipo desiderato, di cui diventerà il padrone e da cui si farà servire. Con il nono grado il segreto centrale (l’ingestione rituale del seme maschile) è svelato, e il sistema dell’O.T.O. è completo: il decimo è il grado amministrativo dei dirigenti dell’ordine, e l’undicesimo grado, versione “invertita” del nono (XI, in numeri romani, è l’inversione di IX), rappresenta, rispetto alla magia (prevalentemente) eterosessuale del nono grado, una sua versione omosessuale.
ln Italia il filone principale dell’O.T.O. (detto “del Califfato” e che ha la sua sede principale negli Stati Uniti) è presente dal 1982, anno in cui inizia le sue attività pubbliche nel nostro paese (dopo una preparazione che risale agli anni 1970) anche un altro filone, detto franco-haitiano e che fa capo a Chicago a Michael Bertiaux, il quate combina le idee di Crowtey con la ritualità vudù dell’isola di Haiti. Una realtà di dimensioni più piccole, nata in Italia e con cui aveva avuto contatti Francesco Brunelli era nata invece fra l’inverno 1978 e il marzo 1979, a Trieste attorno a Frank Giano Ripe’ (alias Gianfranco Perilli), il quale sostiene di essere la reincarnazione di Crowley nonché l’Anticristo in persona. Ripe’ è autore di numerosi volumi sul tema, diffusi anche all’estero, nonché artefice di un sistema dottrinale magicosessuale ispirato al mondo creato dal romanziere americano Howard Phillips Lovecraft (1890-1937). Dal canto suo Loris Carlesi — che abbiamo incontrato come referente fiorentino di Brunelli e patriarca di una Chiesa gnostica — si è fatto iniziare in un O.T.O. “pre-crowteyano” in Svizzera. Sembrerebbe difficile combinare la magia sessuale di Crowley (e anche quella pre-crow’eyana dell’O.T.O. di Theodor Reuss), che sono di tipo orgiastico, con quella di Kremmerz, dove ogni movimento si vorrebbe ieratico e controllato secondo il detto indiano per cui “nessuno è più casto di un tantrista”. Si possono pertanto attribuire gli interessi per l’O.T.O. di Brunelli e dei suoi collaboratori — il cui accostamento alla magia sessuale era di tipo saldamente kremmerziano — alla loro smania di collezionare iniziazioni di tutti i generi e tipi. Non sono mancati peraltro in anni recenti tentativi di combinare in un sistema ibrido (concettualmente difficile da giustificare) gli accostamenti magico-sessuali molto diversi fra loro di Crowley e di Kremmerz: un esempio ne è il Gruppo Lilith, fondato a Firenze da Marco Massai.
1.8 Una pista ambigua: la “setta satanica”
Ci si sarà forse stupiti di non avere mai incontrato nella precedente trattazione espressioni come “satanismo” e “setta satanica”. A prescindere dallo statuto epistemologico molto controverso del termine “setta” — in genere evitato nella migliore letteratura accademica nessuna delle ‘famiglie” esoteriche citate ha a che fare con il satanismo. Semmai, il satanismo ha a che fare con loro, nel senso che i numerosi gruppi satanisti che si sono diffusi, dapprima negli Stati Uniti e quindi anche in Europa, a partire dalla seconda metà degli anni 1960, hanno saccheggiato rituali magico-sessuali più antichi (in particolare crowleyani) per “inventare” la loro ritualità. Infatti, se è vero che è esistito un satanismo nel XVII secolo e che, con una ricerca veramente minuta, è possibile rintracciare qualche sparuto gruppetto di satanisti anche nel XVIII e XIX secolo, non è meno vero che j gruppi satanisti contemporanei non risalgono ad epoca antecedente al 1966 e non hanno alcun rapporto di filiazione o genealogia con realtà di secoli passati.
L’espressione “satanismo” indica per la verità almeno quattro fenomeni diversi, almeno tre dei quali rilevanti anche per la criminologia:
- i veri e propri movimenti satanici organizzati dotati di sedi, riviste, case editrici, siti Internet che svolgono nei confronti degli altri tre livelli il ruolo di punti di riferimento culturali (almeno potenziali); ma, in genere, sono composti da adulti, sono più facilmente sorvegliabili dalle autorità di polizia (in quanto si rendono ampiamente noti) e non commettono reati gravi;
- il satanismo giovanile, composto da gruppuscoli dai tre ai quindici o venti giovani (non necessariamente minorenni, e talora con qualche adulto), caratterizzati dalla mancanza di organizzazione e dalla scarsa conoscenza dei rituali dei gruppi sub (a); ta ritualità è desunta in modo amatoriale da libri, fumetti, riviste, musica e oggi siti Internet; il rischio che ne scaturiscano reati anche gravi è maggiore, e la sorvegliabilità minore;
- lo pseudo-satanismo di gruppi che reclutano giovani di cui al punto (b) per fini di sfruttamento sessuale, o anche bambini, e che utilizzano il satanismo in gran parte come pretesto o messa in scena in un contesto di violenza sessuale o pedofilia;
- il folklore magico della criminalità organizzata e di un certo tipo di prostituzione, in cui sono sempre entrati elementi di stregoneria popolare (oggi anche etnica, di derivazione non italiana) e nei cui rituali si trova qualche volta — insieme a elementi del tutto diversi — qualche riferimento al Diavolo.
AI riguardo, nel contesto di questa relazione sono importanti tre precisazioni:
i) a differenza di quanto avviene per il cultic milieu massonico di frangia-martinista-kremmerziano, la cui consistenza si può stimare ancora oggi a qualche centinaio di persone, il mondo del satanismo organizzato italiano (indicato sub [a] e da non confondere con il più diffuso satanismo giovanile) interessa oggi poche decine di persone, e non ne ha mai interessate più di trecento (persone e associazioni che diffondono cifre diverse hanno, al riguardo, l’onere della prova); i’ cultic milieu di cui parliamo non è satanista e non ama i satanisti (neppure, checché se ne dica, nel filone crowleyano) per il buon motivo che il nostro cultic milieu intende idealmente risalire alle spalle del cristianesimo riscoprendo ritualità precristiane (“egiziane”, celtiche e così via) e accusa i satanisti di avere già perso rispetto all’avversario cristiano: perché i satanisti accettano il libro sacro del cristianesimo, semplicemente leggendolo “al contrario”, mentre per l’ambiente che abbiamo descritto si tratta piuttosto di rimontare verso un’epoca precedente a quella cristiana; semmai, qualche collegamento con una ritualità che può essere definita “satanica”, ma in modo parziale e ibrido, può essere rintracciato passando da un modello orizzontale a uno verticale di analisi, cui dedico il paragrafo seguente.
1.9 Analisi verticale
Nei paragrafi precedenti ho proposto un modello orizzontale del cultic milieu di riferimento: lo compongono i massoni “egiziani”, gli gnostici, i martinisti, i Rosacroce, i kremmerziani, i crowleyani; ciascun gruppo può essere descritto nelle sue caratteristiche distintive anche se spesso si tratta delle stesse persone. Tuttavia, i modelli orizzontali rendono sempre ragione solo parziale del milieu esoterico, ed è necessario introdurre anche elementi di analisi verticale.
Un primo elemento di tale natura è stato già accennato en passant a proposito di vari ordini esoterici descritti, e consiste in un sistema di “scatole cinesi” per cui all’interno di un ordine che spesso di “segreto” ha solo il nome esistono cerchie interne che sono invece progressivamente più “segrete” nel senso più vero e rigoroso del termine. Mentre il segreto ha a che vedere con le determinazioni sociologiche che caratterizzano il reciproco rapporto degli elementi di un gruppo, o meglio forma assieme ad altre forme di relazioni questo rapporto globale, successivamente, con il sorgere di “società segrete”, può estendersi a un gruppo come totalità (secondo lo schema del sociologo tedesco Georg Simmel, 1858-1918).
Così, all’interno di ciascuna Fratellanza di Miriam c’è (quasi sempre) un Ordine Egizio, i cui insegnamenti magico-sessuati non sono noti a chi si accosta alla Miriam, dove gli si parla solo di attività terapeutiche. All’interno di alcuni ordini martinisti, Chiese gnostiche, massonerie “egiziane” ci sono cerchie riservate cui sono insegnate pratiche teurgiche o magico-sessuali di cui chi si ferma alla cerchia esterna ignora l’esistenza. E la situazione è complicata dat fatto che talora le scatole sono vuote: morti j fondatori, scomparsa una generazione, organizzato uno scisma da chi non era addentro alle segrete cose, è rimasta solo la scatola più esterna e sono spariti gli arcana dalla scatola interna che, se c’è ancora, è ridotta a un puro nome privo di contenuto. D’altro canto, dentro le scatole interne possono esserci altre scatole ancora più riservate di cui è difficile anche allo studioso accertare l’esistenza e le attività. Naturalmente, quanto più in un sistema di scatole cinesi una scatola interna è difficile da conoscere, tanto più è possibile (non certo, evidentemente) che le sue attività siano “deviate” e discutibili.
Ma c’è anche un secondo elemento di analisi verticale che vale la pena di mettere in luce. II mondo dei movimenti magici ed esoterici vede, in alto, la presenza del cultic milieu che abbiamo descritto, i cui protagonisti sono spesso persone di buona condizione sociale e (quasi necessariamente, vista la complessità dei quadri culturali di riferimento) dj una certa cultura. Esiste, in basso, tutto un altro mondo caratterizzato dalla magia delle campagne, da pratiche paesane talora di origine molto antica (in cui può entrare, ma non ha un ruolo preponderante, un riferimento al Diavolo), la cui versione “deviata” consiste nel folklore malavitoso cui si è fatto cenno sub (b) nella descrizione defle fattispecie di satanismo nel paragrafo precedente. Nell’ambito del folklore magico di persone violente che vivono comunque al di fuori della legge s’incontrano anche riti dj per sé criminali.
Un episodio noto in letteratura, non italiano, è quello del 1989 di Matamoros, al confine messicano-americano, dove il capo di una gang di trafficanti di droga, Adolfo de Jesús Costanzo (1962-1989), faceva rapire turisti utilizzando poi parti del loro corpo come feticci e ingredienti per pozioni magiche in riti di magia con componenti di cannibalismo (in parte derivati da una versione “deviata” del culto afro-americano Palo Mayombe). Ritualità violente con l’uso di porzioni del corpo umano non sono ignote in letteratura nell’ambiente della malavita (e, ancora, di un certo tipo di prostitute) anche in Europa. Come è accennato, è in questo milieu che si trovano spesso riferimenti a “sacrifici a Satana”, anche perché quanto proviene da ambienti più “alti” è spesso recepito in ambiente “basso” attraverso la lettura semplificata e deformante che deriva da una certa immagine popolare del “satanismo”.
Tra it livello alto del cultic milieu, per così dire, “di buona famiglia” e il livello basso della magia campagnola (sia nella sua versione normale e innocua, sia in quella criminale della malavita) sembrerebbe esistere una soluzione di continuità. Che relazione ci potrà mai essere fra un professionista kremmerziano o martinista e un contadino che traffica con la planchette, con lo ouija board, con le pozioni, per non parlare del malavitoso o delta prostituta? Nessuna, in effetti: ma solo se non si tiene conto dell’esistenza di possibili intermediari. ln effetti c’è un tipo di personaggio che funge da ufficiale di collegamento, più spesso di quanto non si creda, fra il livello alto e il livello basso, ed è il mago a pagamento. Questo cerca normalmente di intrufolarsi nelle cerchie di livello alto per apprendere nozioni che capirà più o meno confusamente e che tenterà poi di smerciare ai suoi clienti, quali che questi clienti siano. Tranne casi eccezionali, il mago a pagamento sarà presto o tardi allontanato dalle cerchie di livello alto — dopo tutto, e tenendo conto di eccezioni, i’ medio mago a pagamento farà brutta figura in casa del professionista che dovesse invitarlo a cena —, ma avrà nel frattempo appreso un’arte e stabilite delle relazioni. Alcuni maghi a pagamento hanno una clientela borghese; altri una clientela “proletaria” o contadina; e non ne mancano con una clientela di malviventi e prostitute. Adolfo de Jesús Costanzo aveva cominciato a “lavorare” offrendo servizi di indovino e di mago alla gang dove aveva poi “fatto carriera”, fino a diventarne il capo. Se si considera la paradossale attività di “mediatore culturale” svolta dalla figura del mago a pagamento, è possibile immaginare una impollinazione reciproca fra temi e ambienti della magia popolare e campagnola (compresa, in un caso certo estremo, quella malavitosa) e temi del cultic milieu esoterico “alto”, che sarebbe diversamente impensabile.
1.10 Alcune conclusioni ln conclusione, mi sembra possibile rispondere al quesito sull’esistenza di ambienti interessati a una ritualità di tipo “egiziano” e “massonico-egiziano” nell’Italia Centrale degli anni 1980 (e oltre) come segue:
- era presente in Italia Centrale, e particolarmente in Umbria, negli anni 1980 (e oltre) un ambiente di persone, quasi tutte massoni, con interessi per forme e ritualità antiquarie sia di tipo massonico, sia di altro tipo, collegate a una simbologia di ascendenza “egiziana”;
- benché alcune di queste persone e le loro organizzazioni siano note, la loro presenza ha verosimilmente avuto un effetto a cerchi concentrici, e ha determinato la costituzione di gruppuscoli con interessi consimili (ma eventualmente più segreti) le cui attività e la cui composizione sono, a distanza di anni, difficili da ricostruire;
- le persone interessate a una ritualità massonica di tipo antico e di forma egiziana normalmente coltivavano anche interessi di altro genere, alcuni dei quali includevano l’evocazione di spiriti e/o pratiche magico-sessuali;
- definire queste realtà “sette sataniche” e le loro attività “satanismo” è metodologicamente e contenutisticamente non corretto;
- è possibile che questo ambiente, di classe sociale alta, abbia interagito con ambienti di magia folklorica, di classi basse e anche di ambienti marginali (dove invece forme ibride di magia con riferimenti a “sacrifici a Satana” sono ben più comuni), attraverso la mediazione di maghi a pagamento, i quali spesso cercano di accedere alle organizzazioni “alte” per acquisire nozioni utili nella loro interazione quotidiana con i clienti, che possono essere invece di ambiente (anche molto) “basso”.
1.11 Prima postilla: gli Hare Krishna
Tra il materiale che mi è stato chiesto di esaminare vi sono dichiarazioni e documenti che chiamano in causa, sia pure indirettamente, gli “Hare Krishna”. Tafi dichiarazioni provengono da una persona che accusa — senza usare questo termine — gli Hare Krishna di avere praticato il “lavaggio del cervello” su un suo nipote, che sarebbe stato poi “deprogrammato”. Dichiarazione e documenti rappresentano un centone abbastanza tipico della polemica contro gli Hare Krishna da parte dei cosiddetti “movimenti anti-sette”, che accusano diversi nuovi movimenti religiosi di praticare il “lavaggio del cervello” e che hanno sempre preso di mira gli Hare Krishna in modo prioritario.
Per “liberare” gli adepti dalle conseguenze del presunto “lavaggio det cervello” negli anni 1970 e 1980 intervenivano spesso dei privati, i cosiddetti “deprogrammatori”, che di fatto rapivano i membri dei movimenti
— ben remunerati dai loro familiari — e li sottoponevano a una sorta di “contro-favaggio del cervello” per indurli ad abbandonare te realtà neoreligiose cui avevano aderito. I “deprogrammatori” non erano psichiatri o psicologi ma ex-adepti di movimenti, investigatori privati (e, in alcuni casi, pregiudicati i cui precedenti indicavano, se non una competenza in materia religiosa, almeno una disponibilità a interventi “maneschi”). Il caso
Tedeschi, cui si riferisce uno dei documenti, fu uno dei primi casi di “deprogrammazione” in Italia. Oggi, dopo una raffica di sentenze di tribunali di numerosi paesi del mondo, la “deprogrammazione” è considerata illegale pressoché dovunque (per un giudizio particolarmente severo cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, 14 ottobre 1999, Riera Blume c/ Spagna), e gli stessi movimenti anti-sette affermano di averla ripudiata.
La letteratura scientifica riconosce che il contesto della “deprogrammazione” è altamente traumatico sia per l’adepto che ne è vittima, sia per i genitori e i familiari, e pertanto le testimonianze che fanno seguito a episodi di “deprogrammazione” sono in genere considerate poco attendibili. Lo stesso modello det “lavaggio del cervello” — che semplifica e banalizza dinamiche interattive di conversione e di permanenza nel gruppo ben altrimenti complesse — è stato ripudiato dalla stragrande maggioranza della letteratura accademica in tema di nuovi movimenti religiosi. Il tema non è forse di diretto interesse in questa sede, per cui mi permetto di rimandare al mio lavoro Il lavaggio del cervello: realtà o mito? (Eltedici, Leumann [Torino] 2002).
Tutto questo premesso, qualche rapido cenno sugli Hare Krishna e sulla loro presenza in Italia può non essere inutile. Krishna Chaitanya Mahaprabhu (1486-1533) promuove agli inizi del XVI secolo un importante movimento devozionale in Bengala incentrato sulta devozione all’avatar Krishna, il quale diverrà poi noto come gaudiya-vaisnava-sampradaya, e la cui tradizione continua pressoché ininterrotta fino ai giorni nostri. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nel quadro di una generale riscoperta delle tradizioni devozionali induiste, il culto di Krishna (e di Chaitanya, considerato egli stesso un avatar, cioè un’incarnazione divina), è rivitalizzato da una società chiamata Gaudiya Math. Con questultíma associazione entra in contatto nel 1920 Abhay Charan De (1896-1977) — in seguito iniziato al samnyasa (ordine di rinuncia) con il nome dj Bhaktivedanta Svami, e generalmente più conosciuto con il titolo di Srila Prabhupada (“colui ai cui piedi siedono i maestri”) un giovane dirigente industriale di Calcutta che ha ricevuto un’educazione occidentale, ma il cui padre è un devoto di Krishna. Dopo alterne vicende nel 1965 — a quasi settant’anni, e con poco denaro — Bhaktivedanta si trasferisce a New York, per diffondere negli Stati Uniti la devozione a Krishna. Con un piccolo gruppo di seguaci, nel 1966 fonda a New York la International Society for Krishna Consciousness (“Società Internazionale per la Coscienza di Krishna”, ISKCON), popolarmente conosciuta come movimento Hare Krishna e promessa a un rapido successo internazionale. Muore net 1977, dopo avere avviato un centinaio di sedi in tutto il mondo, iniziato circa cinquemila discepoli e attratto migliaia di simpatizzanti e seguaci.
La morte del fondatore dà inizio — come avviene spesso dopo la scomparsa di una figura carismatica — a un periodo di scismi, spaccature e controversie che non può dirsi, a tutt’oggi, concluso. Gli undici amministratori o guru (spesso chiamati con il titolo onorifico indiano Gurudev) che avrebbero dovuto assicurare la guida del movimento secondo le intenzioni di Prabhupada si sono divisi su tutta una serie di questioni. Alcuni — arrecando notevoli danni al movimento hanno causato scandali per il loro comportamento personale. Net 1987 la Governing Body Commission è stata ricostituita come autorità centrale collegiale, e si è impegnata negli ultimi anni in un difficile compito di riforma del movimento, muovendo da una franca ammissione di abusi e deviazioni passate.
Il movimento Hare Krishna vanta oggi, a oltre trent’anni dalla fondazione, circa trecento sedi, centri e templi, una quarantina di fattorie o comunità rurali, e più di ottanta ristoranti ufficiali, sparsi in quasi tutti i paesi del mondo. Per avere un pur sommario censo mondiale dei suoi aderenti occorre distinguere fra circa diecimila devoti residenti interni alle strutture del movimento, e un numero di membri laici esterni che si aggira approssimativamente attorno a quattrocentomila. I residenti interni seguono le tradizioni della vita monastica indiana, con specifico riferimento alla tradizione devozionale bengalese: una vita che richiede un addestramento intenso e la creazione di un ambiente ad alta intensità di indottrinamento, il che spiega le critiche incontrate in Occidente.
La prima comparsa in Italia di esponenti del movimento Hare Krishna risale ai primi anni 1970, quando si creano le premesse strutturali per il susseguente insediamento. II primo centro italiano è fondato a Roma nel 1973; nel 1974 lo visita il fondatore. Altri centri sorgono in diverse località d’Italia, fino a quando, negli anni 1980, la crescita ne’ numero dei fedeli spinge alla costituzione di una comunità più grande a San Casciano Val di Pesa (Firenze), dove nel 1980 una villa cinquecentesca è ribattezzata Villa Vrindavana (dal nome dj una località indiana nota come centro di pellegrinaggi in onore di Krishna). Sorgono di seguito diversi centri — e ristoranti vegetariani ‘Govinda” — nelle grandi città italiane (Roma, Catania, Milano), seguiti tra la fine del decennio e l’inizio degli anni 1990 da comunità rurali, fra cui il Villaggio Hare Krishna a Chignolo d’Isola (Bergamo).
I problemi internazionali del movimento toccano però — forse più tardi di quanto sia avvenuto in altri paesi — anche l’Italia, con defezioni di figure di primo piano, scismi, problemi economici e chiusura di diversi centri. Net frattempo, il 10 settembre 1998, l’associazione italiana ha ottenuto il riconoscimento, perseguito da molti anni, come ente morale. Attualmente il movimento Hare Krishna italiano consta di sette sedi ufficiali, nelle quali risiedono circa 150-200 iniziati, e che sono frequentate da una più ampia congregazione di fedeli e iniziati esterni. Accanto al movimento originario sono presenti in Italia anche quattro organizzazioni scismatiche, tre delle quali in contatto con fifoni indiani della tradizione gaudiya-vaisnavasampradaya diversi da quello confluito nell’ISKCON.
L’insegnamento di questa tradizione è improntato a valori di pace e di non violenza (per cui appare francamente singolare l’affermazione del teste secondo cui il messaggio “era molto violento”). Questo non significa che nella storia delt’ISKCON siano mancati conflitti e problemi. II fatto che giovani occidentali abbiano deciso di seguire una rigida via monastica indiana ha suscitato spesso, evidentemente, la disapprovazione dei loro genitori (da cui le accuse di “lavaggio del cervello”).
L’ISKCON, i cui membri vivono in comunità chiuse e i cui bambini sono educati all’interno della comunità, è stato di recente coinvolto in una serie dj azioni legali negli Stati Uniti e altrove relative a episodi di pedofilia che hanno coinvolto educatori e bambini in anni passati. L’episodio va inquadrato nel clima dj particolare attenzione ai rischi di pedofiiia nette forme comunitarie di educazione nell’ambiente nordamericano, che è certamente stato amplificato dai media ma che si fonda su episodi tragici e reali. Accanto a collegi cattolici, protestanti e anche laici le accuse hanno coinvolto pure gli Hare Krishna, la cui dirigenza le ha in parte ammesse avviando un’opera di “bonifica” interna. Non si tratta però di un problema specifico agli Hare Krishna: purtroppo, vicende simili interessano oggi un po’ tutte le religioni, specie negli Stati Uniti.
Si può anche segnalare un confuso episodio del 1983, in cui un seguace di uno dei numerosi gruppi scismatici americani che si erano separati dall’ISKCON dopo la morte di Prabhupada, la comunità di New Vrindaban, nello Stato della West Virginia, fu ucciso e il suo corpo occultato. Le motivazioni dell’omicidio sembrano avere avuto ben poco di religioso, ricollegandosi invece ad attività illegali di vario genere condotte dai dirigenti della comunità e che si intendeva nascondere.
At di là di questi episodi specifici, gli Hare Krishna appaiono come un gruppo che promuove certamente una vita monastica intensa, tipicamente indiana e tale da suscitare facilmente critiche e riserve in Occidente, ma sostanzialmente rispettoso delle leggi e portatore di un messaggio pacifico.
1.12 Seconda postilla: la Soka Gakkai
Consacro un brevissimo cenno alla Soka Gakkai, che viene in considerazione nei documenti che mi è stato chiesto di esaminare in quanto ne fa parte la sorella del prof. Francesco Narducci. La Soka Gakkai è la maggiore realtà buddhista presente in Italia; per ragioni teologiche non ha aderito all’Unione Buddhista Italiana (cioè alla federazione di centri buddhisti che nel 2000 ha stipulato una Intesa con il governo italiano, in attesa di ratifica da parte del Parlamento), ma trattative per una Intesa separata fra governo e Soka Gakkai sono ora in corso.
La Soka Gakkai è una delle associazioni buddhiste che si rifanno agli insegnamenti del monaco giapponese Nichiren (1222-1282). Tsunesaburo Makiguchi (1871-1946), un maestro elementare noto per una serie di saggi critici nei confronti del sistema educativo giapponese, e Josei -roda (19001958), direttore di una scuola privata, fondano nel 1930 la Soka Kyoiku Gakkai, “Società educativa per la creazione di valore”. Allo scoppio della guerra, la Soka Kyoiku Gakkai è coinvolta nella repressione governativa delle attività religiose indipendenti, tanto più che i suoi fondatori differenza di altri leader religiosi giapponesi non sono disposti a sostenere lo sforzo bellico nazionale. Entrambi sono arrestati, e Makiguchi muore in carcere. Liberato nel 1945, Toda si dedica alla ricostruzione del movimento che ne’ 1946 cambia nome in Soka Gakkai (“Società per la creazione dei valori”). Toda muore nel 1958; gli succede nel 1960 come presidente Daisaku Ikeda (nato nel 1928), tuttora alla guida spirituale del movimento che, in seguito a complesse e controverse vicende, nel 1991 si è separato dall’organizzazione monastica della Nichiren Shoshu cui era in precedenza affiliato.
ln Giappone gli aderenti ana Soka Gakkai superano gli otto milioni di nuclei familiari. Nel resto del mondo la Soka Gakkai — presente in centoventotto nazioni, con un numero complessivo di oltre dodici milioni di aderenti — sfiora il milione e mezzo di membri; quarantamita sono in Europa, circa la metà dei quali (oltre ventunomila) in Italia, paese dove la Soka Gakkai ha avuto una vera e propria esplosione negli anni 1990, conquistandosi una notorietà mediatica anche grazie all’adesione dj figure note, tra cui il calciatore Roberto Baggio e l’attrice Sabina Guzzanti. Le origini della Soka Gakkai in Italia risalgono at 1961. l’ “Settore Italia” nasce due anni più tardi. I praticanti italiani gradualmente aumentano, e nel novembre 1976 è organizzato il primo raduno nazionale a Poppiano (Firenze), con sessanta partecipanti, mentre nell’agosto 1979 si tiene il primo corso estivo a Bardonecchia (Torino). Net 1984 il primo centro ufficiale italiano è aperto a Firenze, seguito dalla posa della prima pietra per il centro culturale nazionale della Villa di Bellagio, sempre a Firenze, nell’aprile 1986, la cui costruzione è completata nel maggio 1987.
Negli ultimi anni la Soka Gakkai italiana è stata tormentata da una controversia interna che ha visto contrapposti due gruppi di dirigenti. Nel corso di questa controversia, critiche alla Soka Gakkai che originano dal Giappone (dove si legano a vicende politiche, giacché il movimento ispira un partito politico che ha fatto parte anche di coalizioni di governo e che non ha, evidentemente, soltanto amici) e da paesi europei che hanno coinvolto anche questa associazione buddhista nelle critiche globali alle “sette” hanno avuto qualche piccola eco anche in Italia. A prescindere dai suoi recenti problemi interni — che si situano, evidentemente, su tutt’altro piano — la Soka Gakkai è un’associazione che opera certamente nel rispetto delle leggi, tanto che (come si è accennato) il governo italiano è impegnato nei suoi confronti nelle trattative per un’intesa.
Preciso, infine, che né la Soka Gakkai né gli Hare Krishna hanno interessi per l’esoterismo occidentale (a differenza di altri movimenti indiani e giapponesi), e che l’ipotesi di un loro contatto con il cultic milieu descritto nei primi dieci paragrafi di questa prima parte della relazione mi appare del tutto improbabile.
- Il cadavere del prof. Francesco Narducci: ipotesi simboliche
2.1 1 limiti dell’interpretazione
Il quesito specifico relativo al “significato complessivo nella concreta fattispecie” di quanto è stato rinvenuto a proposito det cadavere del prof. Francesco Narducci è, evidentemente, assai delicato. Non soltanto, come è ovvio, quella dell’interpretazione dei simboli è ben lontana dall’essere una scienza esatta, ma la stessa nozione di interpretazione è — in questo campo — socialmente costruita e culturamente negoziata.
Valgono sempre gli ammonimenti di Umberto Eco nel suo limiti dell’interpretazione (Bompiani, Milano 1990), secondo cui chi si accinge a interpretare simboli non deve prendere per buona ‘a forma mentis propria degli stessi frequentatori di conventicole esoteriche, secondo cui tutto è simbolo e non esistono semplici coincidenze. La convinzione che nessun evento sia casuale è appunto uno dei capisaldi della visione del mondo tipica dei movimenti magici Nella vita quotidiana, invece, le coincidenze esistono. Per esempio, se uscendo di casa trovo un pesce davanti al mio portone può trattarsi, effettivamente, di un avvertimento mafioso (come ci insegna anche il film Il Padrino). È però perfettamente possibile che, più semplicemente, il furgone della pescheria fosse chiuso male. Il cardiologo è lo specialista capace di interpretare i sintomi, e di determinare che cosa c’è di vero in quanto riferisce il cardiopatico, il quale rischia di leggere ogni dolorino come preannuncio dell’infarto. Quando si tratta di simboli esoterici, il rischio è che il cardiologo si trasformi in cardiopatico, attraverso un progressivo slittamento verso la mentalità del suo “paziente” di cui rischia di adottare il punto di vista. Occorre quindi ribadire con forza che un oggetto o un segno non è mai univocamente un simbolo, ma lo diventa in un contesto determinato. L’interpretazione del simbolo è sempre multiforme, tanto più quando si cerca di leggerlo a distanza di anni e senza conoscere perfettamente il contesto. Quello che può sembrare un simbolo potrebbe sempre anche non esserlo affatto. Infine, tanto più nello specifico ambito esoterico e magico, un simbolo indica spesso sia una realtà, sia il suo contrario. Per esempio, il numero 13 è considerato portatore, in diversi contesti geografici, di grande fortuna o di grande sfortuna. Originariamente, indica Gesù Cristo con i dodici apostoli: come tale, dovrebbe essere letto come un numero fausto, ma diventa infausto se si tiene conto che tra gli apostoli c’era anche il traditore Giuda. Lo stesso vale per molti altri simboli, sempre esposti a’ rischio dell’inversione. Pertanto, non si deve chiedere a questa consulenza tecnica più di quello che può dare. A proposito dei vari punti presi in esame, sarà possibile formulare soltanto ipotesi o congetture, che dovranno sempre essere corroborate da elementi suscettibili dj emergere da aspetti diversi e indipendenti dell’indagine giudiziaria.
Peraltro, è anche sbagliato ritenere che tutto sia solo e sempre frutto del caso. Se tutte le mattine trovo un pesce, alla stessa ora, quando esco dal portone, è improbabile che si tratti sempre di incidenti a furgoni di pescherie. Se poi negli ultimi mesi sono stato coinvolto in sgradevoli vicende di mafia, la probabilità che si tratti dj coincidenze diminuisce. Ma in questo caso — come sempre — a parlare e a rivelare significati non è stato tanto il pesce, quanto la dialettica che sono riuscito a stabilire tra quel pesce, una storia e un contesto.
Dalla relazione della dott.ssa Gabriella Carlesi del 20 settembre 2002 emerge come, già all’apertura della cassa zincata avvenuta il 6 giugno 2002, la sua attenzione si sia focalizzata sulla “presenza di un telo rettangolare di lino bianco a fine tramatura, tipo Fiandre, a livello dell’addome della salma, apposto al di sotto degli indumenti”. Ulteriori accertamenti potranno rivelare il materiale esatto di cui il telo è composto, che non dovrebbe comunque essere particolarmente rilevante per il nostro profilo dell’indagine.
L’analisi della dott.ssa Carlesi conclude che il telo è “privo di utilità e necessariamente non casuale”, così che ne ipotizza una funzione “simbolicorituale”. ln particolare, nel corso dj conversazioni con il C. T., la dott.ssa Carlesi ha escluso tassativamente la possibilità di un uso funzionale del telo per ragioni di pudore, considerato ‘o stato generale della salma. Ha pure escluso, sulla base della sua vasta esperienza dj tanatoprassi, che si tratti di procedura in qualche modo comune o utilizzata nelle tecniche di vestizione delle salme nell’Italia contemporanea. Come si è visto, afferma pure nella sua relazione che l’uso del telo è, necessariamente, non casuale, e spiega che anzi la sua ripiegatura deve essere stata tutt’altro che agevole.
L’uso rituale, sotto i vestiti, di indumenti o tessuti atti a “coprire le nudità” si riscontra nella tradizione ebraica. Il libro dell’Esodo (28,42) nell’attuate traduzione “modernizzata” della Conferenza Episcopale Italiana, parla di “calzoni di lino per coprire le loro nudità” indossati dai sacerdoti sotto le vesti, ma l’espressione “calzoni”, pure nel contesto non inaccettabile, è piuttosto moderna (la versione inglese corrente parla di “panni di lino”).
La parola ebraica, miknas, indica comunque qualche cosa di più di un semplice panno, come ha ritenuto di comprendere il traduttore greco che nella versione dei Settanta ha reso miknas con periske/e, mentre la Vulgata parla di feminalia linea; del resto, il brano si riferisce a qualche cosa che possa estendersi “dai fianchi fino alle cosce per coprire la loro nudità”. Il riferimento è alla necessità — simbolica prima che materiale — per i sacerdoti di coprire le loro nudità, incompatibili con la funzione sacra. Esodo 20,26 prescrive: “Non fare i gradini al mio altare per non fare vedere la tua nudità quando sali a offrirmi i sacrifici”. Il De Vaux (Le istituïoni dell’Antico Testamento, Marietti, Torino 1964, p. 398) commenta: “La legge di Es 20,36 proibisce pure che l’altare abbia dei gradini. Gli altari cananei talora ne avevano e più tardi gli altari israelitici ebbero una scala o una rampa d’accesso. Es 20,26 dà a questa proibizione un motivo di pudore: il sacerdote, vestito soltanto di perizoma, rischia di scoprire la sua nudità nel salire all’altare, ed è per questo che ai tempi del grande altare a scalinata, una legge posteriore prescriverà ai sacerdoti di portare mutande”. Ezechiele 44,18 prescrive che i sacerdoti debbano avere “mutande ai fianchi”, e stare attenti a non cingersi “di quanto provochi il sudore”. Levitico 16,4 afferma di Aronne che “si metterà la tunica sacra di lino, indosserà su’ corpo i calzoni di lino, si cingerà della cintura di lino, e si metterà in capo it turbante di lino. Sono queste le vesti sacre che indosserà dopo essersi lavato la persona con l’acqua”.
Inoltre Numeri 15,38 riferisce che il Signore ordina agli israeliti che si facciano, di generazione in generazione, “fiocchi agli angoli delle toro vesti”. Sembrerebbe che questi ‘¶iocchi” non abbiano nulla a che fare con forme di abbigliamento intimo: ma non è così. I ‘fiocchi” (tzitzit), nel corso della secolare pratica ebraica, si sono collegati a un articolo di abbigliamento rettangolare, it tallit, indossato intorno alle spalle durante la preghiera. Gli ebrei ortodossi presero l’abitudine di indossare il tallit anche durante il giorno, riducendolo di dimensioni e collocandolo al di sotto dei vestiti. Nasce così i’ tallit katan (“piccolo tallit’) o arba kanfot (“quattro angoli”), un panno quadrato o rettangolare, frangiato, indossato sotto i vestiti durante il giorno per ragioni di pietà.
Nel secolo XIX (e forse già alla fine del secolo XVIII), per ragioni illustrate nella prima parte di questa relazione, si sviluppano nell’ambito della massoneria correnti antiquarie, che vanno alla ricerca di ritualità arcaiche. Questa ricerca non si muove soltanto in direzione dell’antico Egitto, ma si appropria di tematiche ebraiche, desunte sia dalla lettura della Bibbia, sia dalla pratica degli ebrei che emigravano in gran numero negli Stati Uniti, dove queste forme di massoneria arcaizzante erano particolarmente diffuse.
Sappiamo poco delle pratiche rituali sviluppate in questo senso dalle varie massonerie arcaizzanti, ma per quanto riguarda gli Stati Uniti, una circostanza del tutto fortuita permette di saperne dj più. Joseph Smith (18051844) fonda nel 1830 la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, popolarmente nota come Chiesa Mormone. Nel 1842, Smith introduce la “dotazione”, una cerimonia destinata a essere tenuta segreta che ancora oggi forma il nucleo centrale del “lavoro del tempio”, cioè delle cerimonie che si svolgono all’interno dei maestosi templi mormoni, dove i non mormoni non possono entrare.
I mormoni, di per sé, non hanno certamente nulla a che fare con le vicende che ci occupano: ma Joseph Smith era un massone, e per gli specialisti accademici del mormonismo è ormai scontato che le cerimonie del tempio e altri rituali di quello che può essere chiamato l’esoterismo mormone derivano ampiamente da gruppi massonici americani degli anni 1830 e 1840. La derivazione riguarda, evidentemente, la forma nelle cerimonie mormoni, il cui contenuto è assolutamente diverso; ma questo non toglie che — per gli studiosi dj cose massoniche — l’esperienza mormone sia della massima importanza, in quanto ha mantenuto in vita e conservato ritualità massoniche che sarebbe stato difficile ricostruire per altre vie.
Tra gli usi segreti introdotti dal fondatore dei mormoni nel 1842 c’è l’obbligo per i fedeli iniziati alla cerimonia del tempio di portare, sotto i vestiti, garments, che in teoria dovrebbero essere portati anche quando si dorme, e che consistono in panni simili all’arba kanfot ebraico, di cui i primi mormoni si cingevano i fianchi e che erano talora decorati con simboli, a loro volta massonici. Oggi una evoluzione modernizzante ne ha fatto presso i mormoni qualche cosa di simile a moderni articoli di biancheria intima — per gli uomini e per le donne —, ma quello che ci interessa è l’uso originario. Tutti coloro che hanno studiato l’introduzione dei garments da parte del profeta mormone nel 1842 non dubitano che egli ne abbia ricavato la nozione dagli ambienti massonici dell’epoca con cui era venuto in contatto. Del resto, benché certamente si diffonda motto di più su grembiuli e altri articoli di abbigliamento rituali indossati al di sopra dei vestiti, la letteratura massonica ottocentesca ci parla di garments che rappresentano la copertura dei genitali nel giardino dell’Eden (da parte di Adamo, quando — dopo avere peccato — scopre di essere nudo: cosi Colleen McDannell, Material Christian. Religion and Popular Culture in America, Yale University Press, New Haven – Londra 1995).
Abbiamo così — grazie a’ trasbordo di elementi massonici all’interno della ritualità mormone — una letteratura che attesta la presenza di garments, a loro volta ispirati probabilmente da un uso ebraico, all’interno di tradizioni massoniche arcaizzanti nel XIX secolo.
Non esiste nessuna prova certa relativa all’uso di garments di questo genere nelle massonerie “di frangia” descritte nella prima parte di questa relazione, e attive in Umbria negli anni 1980. Gran parte delle toro abitudini rituali non è stata messa per iscritto, almeno non fino ai più minuti dettagli. Quello che si può affermare è che queste massonerie “di frangia” erano caratterizzate dalla ricerca di elementi arcaici e antiquari; che le informazioni sui garments avrebbero potuto essere reperite — tanto più da persone dotate di buona familiarità con una letteratura massonica antica, anche straniera — senza insormontabili difficoltà in biblioteca; e che usi rari e ricercati di questo genere facevano parte precisamente di quella ricerca quasi maniacale di forme “primordiali” e “originarie” che contraddistingueva questi ambienti. L’attenzione atl”‘ornamento” — secondo il già citato Georg Simmel — è anche a sua volta tipica della società segreta.
Ci si può chiedere se i garments, indossati sotto i vestiti durante la vita, lo fossero o lo siano anche nella tomba. La risposta è positiva, fin dalle origini ottocentesche, per l’uso mormone, di cui — per le ragioni illustrate — si può sempre presumere l’ispirazione a forme di massoneria con cui il fondatore del mormonismo era venuto in contatto. Più difficile è la risposta per ambienti massonici americani, dove l’attenzione degli studiosi di ritualità funerarie si è portata piuttosto su quanto si faceva indossare al cadavere at di sopra dei vestiti. Per quanto riguarda l’Europa, e in particolare l’Italia, si deve poi sempre ricordare, a partire dal secolo XIX, la prevalenza in ambiente massonico della cremazione, scelta anche per ragioni di polemica anticattolica (cfr. sul punto Fulvio Conti – Anna Maria Isastia – Fiorenza Tarozzi, La Morte Laica. Storia della Cremazione in Italia, (1880-1920), Vol. l, Paravia, Torino, 1988; e il relativo Vol. Il su Torino curato da Augusto Comba, Serenella Nonnis Vigilante ed Emma Mana). Qui parliamo però, in ipotesi, di massonerie “di frangia”, più interessate a ricerche rituali erudite che alla polemica anticlericale.
Si può concludere — con le cautele che abbiamo già illustrato, in tema di interpretazione dei simboli in generale, nel paragrafo 2.1 — che l’uso, con le modalità descritte, de’ telo è compatibile con l’ipotesi di una ritualità funeraria massonica “di frangia” e arcaizzante, anche se di per sé non indica un collegamento con un gruppo preciso.
2.3 La decorazione
II telo de quo presenta una decorazione a frangia dove si ripete un motivo a cin ue unti uattro unti an olari e uno centrate : fi .
Si tratta di un motivo ben noto in ambito massonico, con una lunga tradizione pre-massonica e interessanti derivazioni post-massoniche.
Il motivo cui ci troviamo di fronte è originariamente noto come signaculum
Domini, e — seguendo la traccia di un grande studioso di simboli, Louis Charbonneau-Lassay (1871-1946), che se ne è occupato nel suo Il giardino del Cristo ferito. Il vulnerario e il florario del Cristo (ed. it., Arkeios, Roma 1995) — possiamo riassumerne la storia come segue:
- durante i’ IV secolo nell’iconografia cristiana appare un segno che evoca simbolicamente le cinque ferite che il Cristo ricevette sulla croce;
- quasi subito la liturgia cristiana utilizza questo emblema — in diverse varianti — per segnarne la pietra sacra dei suoi altari e il cero pasquale;
- il signaculum ha grande successo nel Medioevo quando lo troviamo “non soltanto sugli altari e sul cero pasquale, ma anche: sugli oggetti e gli abiti liturgici, sulle monete, sulle armi offensive e difensive, sui prodotti dell’industria ceramica, su quelli dell’arte scultorea e dell’arte dei libri, sui gioielli e sugli avori, in tutti i rami dell’araldica e della sigillografia” (ibid., p. 115);
- dopo il Medioevo, l’uso del simbolo decade in ambito cristiano, e la comprensione del suo significato diventa rara al di fuori di circoli specialistici.
Si noti che la disposizione dei cinque punti — che evocano appunto le cinque piaghe del Cristo — allude all’anatomia: i punti superiori e inferiori rappresentano le ferite delle mani e dei piedi, il punto centrale la ferita del cuore.
Come molti simboli di origine cristiana, il signaculum Domini passa nella massoneria, che del resto nasce come è noto come evoluzione
speculativa di corporazioni operative di mestiere il cui rituale era ispirato al cristianesimo. Così, già in manoscritti massonici del XVIII (e forse del
XVII) secolo appare il simbolo del signaculum Domini, da cui lentamente evolvono — non senza che si introducano modifiche — i “cinque punti di fratellanza” massonici. II riferimento a Gesù Cristo — già ampiamente perduto, come illustra Charbonneau-Lassay nella memoria del popolo cristiano — viene meno, sostituito dal leggendario fondatore della massoneria, Hiram Abiff, l’architetto del Tempio di Salomone, che sarebbe stato assassinato. L’allusione è al ritrovamento del suo corpo e ai “cinque punti” attraverso i quali viene — simbolicamente ma anche materialmente, almeno nei manoscritti più antichi — risollevato. La formula oggi più diffusa è “mano con mano, piede con piede, guancia con guancia, ginocchio con ginocchio, e mano sulla schiena”.
I manoscritti più antichi contengono però it riferimento at cuore (“cuore con cuore”), che conserva l’impronta originaria del signaculum Domini e che spiega ‘a disposizione dei quattro punti intorno a un quinto centrale: così il manoscritto Edinburgh Register House, dell’inizio del XVIII secolo (o forse già de’ Seicento: cfr. Douglas Knoop – G.P. Jones – Douglas Hamer, The Early Masonic Catechisms, Manchester University Press,
Manchester 1943: cfr. p. 31 sui cinque punti); e il manoscritto Chetwode Crawley, di poco posteriore. Anche le prime exposures, cioè “rivelazioni” dei rituali massonici pubblicate a uso dei curiosi o degli oppositori da exmassoni riportano il significato det quinto punto come “cuore con cuore”: così A Mason’s Examination (1723), The Grand Mistery of Freemasons
Discover’d (1724); l’irlandese The Whole Institutions of Freemasons Opened (1725); e ancora A Mason’s Confession (1727); mentre The Grand Mistery Laid Open (1727) non fa riferimento al “cuore” bensì al “petto”.
I “cinque punti di fratellanza” continuano ad avere un ruolo nella maggioranza dei riti massonici, di qualunque tipo, fino ai giorni nostri, sia per il loro riferimento alla leggenda di Hiram Habiff, sia per il loro richiamo ai doveri di fratellanza che legano i membri della compagine massonica.
Sono inoltre variamente usati come segni segreti di riconoscimento. Infine, come è avvenuto per diversi simboli massonici — e senza che di questo si possa, evidentemente, far colpa alle massonerie —, i “cinque punti di fratellanza” hanno avuto anche una carriera post-massonica, nel senso che sono stati adottati come segno di riconoscimento da altre società segrete e da organizzazioni criminali: ‘i si ritrova così sotto forma di tatuaggio in associazioni che nascono fra detenuti nelle carceri, e in ambiente camorristico napoletano, almeno dal XIX secolo.
Ancora una volta, l’estensione che ha avuto in epoca medioevale il signaculum Domini — ben prima di essere trasposto nei “cinque punti di fratellanza” — fa si che non sia difficile imbattersi nel signaculum in numerosi oggetti con funzione decorativa, di varie epoche e non solo conservati nei musei. Lo stesso Charbonneau-Lassay lo ritrovava a suo tempo su “oggetti di pietà fabbricati a Gerusalemme in Palestina” e notava che “molti fra coloro che, per una situazione personale, lo adoperano ancora, non ne conoscono o non ne comprendono affatto l’esatto significato” (op.cit., p. 116).
Questa diffusione non permette di concludere che esiste un legame necessario fra il simbolo di cui alla fig. 1 e i “cinque punti di fratellanza” massonici. Dove c’è una ritualità massonica ci sono (normalmente) i cinque punti di fratellanza; non obbligatoriamente, dove ci sono cinque punti disposti secondo lo schema det signaculum si è in presenza di una ritualità massonica. Tuttavia, dopo ‘e osservazioni generali SUIt’USO del telo, la presenza sul telo di questa particolare decorazione — e non di un’altra — non può mancare di essere presa in considerazione, almeno come oggetto di ulteriori riflessioni.
E poi evidente che la provenienza materiale del telo non è di particolare importanza. Negli Stati Uniti chi si interessi a ritualità massoniche anche minoritarie e arcaizzanti ha a disposizione diversi fornitori che gli vendono per corrispondenza, o in negozi specializzati, tutto quello di cui ha bisogno. ln Italia non è certamente così, né lo era negli anni 1980, e chi volesse in ipotesi ricostruire certe forme rituali (spesso nell’ambito di quelle che la sociologia chiama ‘tradizioni inventate”) doveva e deve fare dj necessità virtù. Per usare un esempio piuttosto semplice, la rosa (una sola) che è utilizzata con un preciso significato simbolico nelle cerimonie dj diverse branche rosacrociane non è evidentemente creata dal nulla da chi partecipa alla cerimonia. L’avrà tagliata nel suo giardino, o comprata da un fioraio. Diventa simbolo solo nello specifico contesto rituale. Così un telo con certe caratteristiche e decorazioni può essere anche stato comprato in merceria, o reperito in casa dove poteva avere l’uno o l’altro uso funzionale, senza che questo impedisca il successivo upgrade dell’oggetto alto status di simbolo. I simboli non nascono simboli; Io diventano quando entrano in un processo di costruzione sociale e rituale.
2.4 La disposizione del cadavere
La dott.ssa Gabriella Carlesi rileva “l’atteggiamento delle braccia in semiflessione sull’addome” e Io segnala come singolare. Di per sé, non si riscontrano specifici precedenti in una ritualità esoterica o massonica. Si tratta per altro verso di un uso arcaico che si ritrova nella ritualità egiziana e anche nel mondo ebraico antico. È noto pure all’iconografia cristiana attraverso la Sindone di Torino. Evidentemente se la mummificazione del cadavere non risultasse naturale, questa circostanza e l’atteggiamento della braccia costituirebbero un serio indizio dell’ispirazione complessiva a una ritualità “egiziana” o medio-orientale antica in sede di sepoltura.
2.5 L’assenza di effetti personali
La dott.ssa Carlesi rileva anche la curiosa assenza di effetti personali (orologi, catenine, anelli e quant’altro) normalmente presenti nella sepoltura cosi come è praticata nei nostri paesi. Volendo proseguire un’indagine su possibili significati collegati al contesto descritto nella prima parte della relazione, si può rilevare che nell’iniziazione al grado di apprendista (il primo grado), in numerosi rituali massonici (compresi quelli in uso nella massoneria maggioritaria italiana), al candidato all’iniziazione sono “ritirati i metalli”, cioè — appunto — gli oggetti di metallo che porta addosso. Il simbolo è quello di una spoliazione: il profano, prima di essere iniziato, si trova “senza risorse”, e le ritroverà soltanto al momento di ricevere la luce massonica.
ln una iniziazione al grado di apprendista del Grande Oriente d’Italia, il candidato è “fatto entrare nel Gabinetto di Riflessione dopo essere stato spogliato dai metalli”. Il Venerabile della Loggia ordina che “i metalli del profano” siano consegnati al Fratello Segretario (Massoneria Italiana — Grande Oriente d’Italia, Palazzo Giustiniani, Rituali dei Gradi Simbolici, Roma 1969, p. 19). Più tardi, al profano sarà rammentato “il secondo dovere del Libero Muratore; ricordate? . soccorrere il proprio Fratello, alleviare le sue disgrazie, assisterlo con i propri mezzi. Il Libero Muratore compie questo dovere senza ostentazione e il suo aiuto rimane avvolto dal segreto. Ma in questo momento non possiamo chiedervi aiuto per un bisognoso, perché voi non potete disporre dei vostri mezzi: infatti vi sono stati ritirati i metalli Come voi in questo momento, tutti possono trovarsi senza risorse” (ibid., p. 32).
Rimandando ancora alle considerazioni metodologiche iniziali sui limiti dell’interpretazione, e senza quindi volerne trarre conclusioni univoche, si può rilevare come il “ritiro dei metalli” ha nei rituali massonici un preciso significato simbolico, e indica lo stato del profano che non può, o non può ancora, “soccorrere il proprio Fratello”.
2.6 La questione delle pene massoniche
Allo stato degli atti, non è possibile — per quanto noto a’ C.T.
determinare come sia morto il prof. Francesco Narducci. È quindi preferibile limitarsi a un solo rapido cenno aita questione delle pene massoniche. Il tema è circondato da un notevole sensazionalismo, e deve essere affrontato con cautela. Certamente nelle massonerie maggioritarie contemporanee le uniche “pene massoniche” in vigore sono quelle della sospensione e dell’espulsione. Molti rituali in uso oggi hanno eliminato i riferimenti alle pene simboliche che derivano dai rituali più antichi, e che parlavano di traditori sventrati e di cadaveri sepolti in luoghi disonorevoli. ln diversi rituali è rimasto tuttavia, per l’apprendista, il riferimento alla pena tradizionale per chi rivela segreti massonici, che è quella di avere la gola tagliata da sinistra a destra. It “penal sign” dell’apprendista, in diversi rituali tuttora praticati, è un rapido movimento da sinistra a destra della mano davanti alla gola (un altro segno, il secondo, che fa ancora riferimento alla leggenda degli assassini di Hiram Abiff, ricorda che a chi tradisce sarà “squarciato il seno sinistro”).
Che le pene massoniche abbiano qualche cosa a che fare con omicidi anche seriali è un argomento noto al grande pubblico internazionale che ha visto nel 2001 il film From Hell. La leggenda di Jack lo Squartatore. A monte della catena che porta fino al film c’è un libro presentato come opera di storiografia e pubblicato nel 1976 da Stephen Knight (1951. 1985). Knight — noto anche come Swami Puja Debal, il nome che aveva assunto al momento dell’adesione al movimento de’ guru indiano Osho Rajneesh (1931-1990) — è un personaggio certamente controverso. l’ suo libro Jack the Ripper: The Final Solution (Harrap, Londra 1976) è stato comunque un grande successo che ha ispirato uno dei capolavori della graphic novel contemporanea, From Hell di Alan Moore e Eddie
Campbell, da cui deriva il film del 2001 (e un altro film ispirato dal libro di Knight era stato prodotto nel 1978).
Il libro di Knight, From Hell e i film sostengono che Jack lo Squartatore — l’assassino di (almeno) cinque prostitute nel quartiere londinese di Whitechapel nel 1888, la cui identità non è mai stata scoperta — fosse il dottor William Withey Gull (1816-1890). Questi, illustre chirurgo della famiglia reale britannica, avrebbe agito — d’intesa con la massoneria londinese, e mettendo in scena in ogni omicidio un rituale ispirato alle pene massoniche — per eliminare, una dopo l’altra, le testimoni (tutte prostitute) del presunto matrimonio cattolico e segreto del Principe di Galles con una donna di strada, che gli avrebbe dato una figlia. Quando la polizia si mette sulle tracce di Guit — sempre secondo Knight e la letteratura che discende dal suo libro — la stessa massoneria si incarica di eliminarlo.
Per la cronaca, altri ricercatori approfondendo la carriera di Gull hanno scoperto una ‘¶orte tradizione orale” collegata al cimitero di Thorpe-LeSoken, dove è sepolto, secondo cui “Gull non mori alla data indicata, il suo funerale fu una farsa, ed egli fu risepolto nella sua stessa tomba, di notte, diversi anni dopo” (così Andrew L. Morrison, “The Life and Possible Death of Sir William Gull”, disponibile sul sito Internet www.casebook.org; più diffusamente: Kevin O’Donnell, The Jack the Ripper Whitechapel Murders, Ten Bells, St. Osyth 1997). Lo stesso autore afferma che dell’intera vicenda funeraria riferita a Gull non ci sono prove conclusive; e un intero piccolo esercito di autori massonici ha cercato di smontare dal 1979 a oggi il libro di Knight, con argomenti che spesso appaiono convincenti.
Si dirà che si tratta del libro di un autore bizzarro e controverso, di letteratura e di cinema; e Io si dirà con ragione. Tuttavia, chi ignora l’influenza della letteratura sulla realtà ha spesso torto. A prescindere totalmente dalla sua attendibilità storica (piuttosto dubbia), il libro di Knight e le sue derivazioni avevano generato un putiferio nelle logge massoniche di mezzo mondo a partire dal 1976, e i temi “forti” (un complotto dietro assassini seriali, un esecutore materiale giustiziato dai mandanti, una sostituzione di cadavere) potevano certo esercitare una carica suggestiva su gruppi “deviati” e “di frangia”. L’arte imita la vita, ma talora la vita imita l’arte.
Beninteso, ipotizzare collegamenti tra le penalità massoniche e il caso che ci occupa è, allo stato degli accertamenti medico-legali noti al C. T., ampiamente prematuro. Alcuni spunti, legati anche alla cultura popolare, sono stati tuttavia indicati per completezza di trattazione.
Potrebbe sembrare, a prima vista, che sia stato questo un semplice scrupolo del C. T. Tuttavia, il C. T. è rimasto pure colpito dalla contraddizione fra la presenza, sempre (beninteso) in ipotesi, di simboli massonici di frangia sulla salma, e — per cos) dire — i “maltrattamenti” che la salma stessa ha subito. Se si fosse trattato delta sepoltura di un dignitario di un qualche ordine esoterico, alla rivendicazione del suo status tramite simboli appropriati avrebbe dovuto accompagnarsi una adeguata vestizione del cadavere con abiti adeguati allo stato di una persona importante e degna di onore, mentre dalle osservazioni della dott.ssa Carlesi sembra che sia avvenuto esattamente il contrario. ln questa chiave, potrebbero assumere rilevanza anche i curiosi “omaggi” inviati a familiari dopo la sparizione del defunto di cui c’è traccia negli atti, che non richiamano precedenti specifici nelle tradizioni esoteriche ma che sembrano indicare, interpretati nella loro valenza simbolica generica, un evidente disprezzo. Tutto questo potrebbe (il condizionale, ancora una volta, è d’obbligo) condurre verso una lettura complessiva del contesto simbolico che indichi insieme un’appartenenza a un’organizzazione del cultic milieu “esoterico” e un carattere “dimidiato” di questa appartenenza, come di chi in un’organizzazione non abbia molto progredito, ovvero ancora la abbia tradita (il che giustifica l’indagine sulle pene).
2.7 Conclusioni
Venendo a (difficili) conclusioni, non si può che ripetere, ancora una volta, che i simboli sono sempre polisemantici: non soltanto l’interpretazione, ma già to stesso riconoscimento della loro natura di simboli è necessariamente congetturale. Attirata nuovamente l’attenzione sull’importanza di queste cautele, il C.T. può formulare due congetture, le quali si situano nella zona grigia fra la mera possibilità e la almeno modesta probabilità. Tra le due, la prima congettura sembra più vicina della seconda all’area del probabile.
La prima congettura è che il trattamento del cadavere del prof. Francesco Narducci sia avvenuto con l’intenzione di fare in qualche modo riferimento a una ritualità arcaizzante, con riferimenti “egiziani”, tipica di ambienti massonici e para-massonici “di frangia”. Questa congettura è basata in primo luogo sulla presenza del telo, e sul fatto che — fra moltissimi teli in astratto disponibili — se ne sia scelto proprio uno il cui motivo decorativo aveva un significato simbolico facilmente riconoscibile. Come si è accennato più sopra, le coincidenze (a differenza di quanto pensano gli stessi frequentatori dei movimenti esoterici) esistono, ma più queste si moltiplicano, meno è sicuro che si tratti di mere coincidenze. La congettura sarebbe ulteriormente rafforzata, anche con riferimento alla disposizione del cadavere, ove emergesse che la mummificazione non è stata naturale.
La seconda congettura — che, evidentemente, tiene conto della prima — è che chi ha provveduto alla preparazione del cadavere circondandolo di simboli come quelli sopra descritti abbia voluto in qualche modo segnalare la natura di “minore” del defunto, come di persona che è regredita, o non ha mai superato lo stato pre-iniziatico originario, in cui si cerca sì di introdursi in un ordine esoterico ma si è ancora in una fase in cui non si può (o non si vuole) “soccorrere il proprio Fratello” — dunque una situazione che può fare riferimento all’immaturità (o al regresso in una situazione che, dal punto di vista iniziatico, è “minore” o immatura), ovvero anche a un tradimento. Questa congettura è basata su due elementi principali. II primo è che una volta in qualche modo “rivendicato” il cadavere con le modalità descritte nella prima congettura, ove si fosse trattato di persona considerata come di alta statura morale, la si sarebbe circondata — come si è accennato — di altri simboli (per esempio, sovrapposti all’abbigliamento comune), e ci si sarebbe sforzati di preparare la salma in un modo il più possibile degno. Questo non è avvenuto, secondo le indicazioni della dott.ssa Carlesi: si è in presenza di vestiti non solo ordinari, ma di cattiva qualità, e pertanto la “rivendicazione” simbolica del corpo non avviene in un contesto di onori particolari resi al defunto. Il secondo elemento su cui la congettura si fonda è l’assenza di effetti personali metallici di qualunque tipo (orologi, catenine, anelli), circostanza — come, ancora, indicato dalla dott.ssa Carlesi — del tutto inconsueta nella tanatoprassi italiana contemporanea. Sempre rimanendo nell’ambito congetturale in cui ci stiamo muovendo, questo dettaglio non manca di ricordare il “ritiro dei metalli” che è caratteristico di molte cerimonie massoniche, nel corso delle quali segnala uno stato pre-iniziatico in cui il candidato all’iniziazione non può pienamente “disporre dei propri mezzi”.
Rispetto a queste due basi della seconda congettura, altri elementi hanno — almeno per il momento e allo stato degli atti — un ruolo decisamente minore. Certo, ove da altre fonti emergesse che il defunto è stato assassinato con “la gola tagliata da sinistra a destra”, potrebbe aprirsi un nuovo capitolo dell’indagine. AI riguardo, il C. T. considera la letteratura corrente sugli omicidi massonici (e in particolare quella prodotta intorno al presunto collegamento massonico dei delitti londinesi del 1888) come di qualità nella maggior parte dei casi modesta per quanto riguarda le possibilità di riscontri storico-empirici (a prescindere dal suo valore letterario). Peraltro — ove nuovi elementi suggerissero di approfondire le indagini in questo senso — tale letteratura, di cui animatamente si discuteva nel mondo delle massonerie e dei movimenti esoterici all’inizio degli anni 1980 (quando rappresentava una relativa novità), potrebbe venire in considerazione non per la sua attendibilità storiografica, ma per gli effetti suggestivi che potrebbe avere esercitato su fazioni estreme o “deviate” di un mondo che pure era impegnato a criticarla. Tuttavia, come si è accennato, avviare un’indagine su questi aspetti presupporrebbe l’avvenuta acquisizione di elementi, per il momento non noti al C. T., quanto al modo e al tempo in cui è morta la persona fa cui salma è stata presa in esame. Allo stato, è la prima congettura quella che presenta i maggiori caratteri di probabilità, e anche la seconda congettura va formulata in un modo preliminare e prudenziale, facendo astrazione dal tema pur suggestivo delle pene massoniche.
2.8 Postilla: a proposito di rose rosse
Benché si tratti di materia che non attiene direttamente alla salma, il C. T. ha pure preso visione delle deposizioni di un teste il quale afferma che il prof. Narducci era membro di una “setta esoterica della Rosa Rossa” i cui adepti “portavano sull’avambraccio un tatuaggio che raffigurava una rosa rossa”. Al riguardo, il C. T. formula tre osservazioni.
ln primo luogo, non si può non esaminare l’ipotesi che il teste rilegga inconsapevolmente informazioni o discorsi che risalirebbero a quindici anni fa (e oltre) alfa luce di una letteratura sensazionalistica in materia di esoterismo. Non mi riferisco qui alla sola possibilità che il teste ‘filtri” i suoi ricordi attraverso la lettura dei libri dedicati alte vicende che ci occupano dalla signora Gabriella Pasquali Carlizzi, libri che andrebbero peraltro esaminati anche nel particolare contesto delle idee religiose della signora Carlizzi e del suo movimento Associazione Volontari della Carità, su cui cfr. la Enciclopedia delle Religioni in Italia, da me diretta per le edizioni Elledici, Torino 2001, pp. 82-84). Il teste ha ammesso di avere letto questi libri, ma assicura di basarsi su ricordi antecedenti a tale lettura. Si deve tuttavia considerare che, ben prima dell’entrata in scena della signora Carlini, era in circolazione anche per il grande pubblico, una vasta letteratura che presentava in modo sensazionalistico la Golden Dawn (cui si è fatto cenno nella prima parte di questa relazione nel paragrafo 1.7), la sua cerchia interna nota come Ordo Rosae Rubeae et Aureae Crucis (“Ordine della rosa rossa e della croce d’oro”), i Rosacroce e i simboli costituiti dalle rose bianche, gialle e rosse. Per limitarsi a un solo esempio (che non è però l’unico) l’opera principale di questo filone, Il mattino dei maghi di Louis Pauwels e Jacques Bergier, era stata tradotta in italiano da Mondadori (Milano) fin dal 1963 e dal 1983 era perfino disponibile in edizione economica negli Oscar Mondadori. La stessa mia opera Il cappello del mago (SugarCo, Milano 1990) — da cui, del resto riproducendone parecchie pagine, la stessa Carlini trae le sue informazioni sull’Ordo Rosae Rubeae et Aureae Crucis — si diffondeva in informazioni su questa organizzazione interna alla Golden Dawn e sulle sue pratiche di evocazione di spiriti. Si può pertanto anche ipotizzare che il teste sia stato suggestionato da evocazioni di rose rosse e relative organizzazioni presente in tutta una vasta letteratura, anche prescindendo dal suo incontro, eventualmente successivo, con i libri della Carlizzi.
Perché — e vengo così alla seconda osservazione — ipotizzo che il teste sia stato suggestionato? Suggerisco un attento studio di questa possibilità per due ragioni. La prima è che il particolare del tatuaggio stride immediatamente con i’ contesto sociale di cui il teste ci parla: nelle organizzazioni magiche ed esoteriche del secolo XX il tatuaggio è tipico di ambienti “bassi”, non degli ambienti alto-borghesi di cui faceva parte il prof. Narducci. La seconda è che — pur non presumendo certamente il
C.T. di conoscere tutte le conventicole esoteriche degli anni 1980 (anzi, ritenendo che nessuno possa conoscerle tutte) — nella sua non piccola esperienza, fondata anche su centinaia di interviste con appartenenti al milieu magico-esoterico italiano, non ha mai sentito parlare di un’organizzazione chiamata semplicemente “Rosa Rossa”, forse piccola ma che avrebbe dovuto rendersi nota in certi ambienti almeno attraverso la pratica peculiare e non propriamente segreta del tatuaggio.
Tuttavia, in terzo luogo, non è neppure impossibile che — magari separato dal contesto un po’ sensazionale della “setta del tatuaggio”, e depurato dagli elementi ‘filtrati” attraverso suggestioni letterarie — vi sia anche nel teste il ricordo di allusioni a una conventicola esoterica che avesse tra i suoi simboli una rosa rossa. ln effetti, il simbolo della rosa rossa non è sconosciuto né alla storia della simbolica occidentale né a quella dell’esoterismo. Come molti altri simboli, ha origini cristiane e raffigura il Cristo ferito in croce (mentre la rosa d’oro rappresenta i’ Cristo risorto, e la rosa bianca la ricompensa dei santi in Cielo, come ci ricorda Dante nei canti XXXI e XXXII del suo Paradiso). Fin dall’alto Medioevo riprendendo le parole di un grande studioso di simboli che ho già avuto occasione di citare — “la Rosa rossa ebbe in modo particolare la missione di rappresentare il Salvatore nella sua Passione” (L. CharbonneauLassay, op. cit., p. 237). Curiosamente — ma senza volerne trarne alcuna conclusione per il caso che ci occupa — il simbolo della rosa rossa era usato “al posto delle ferite del Salvatore” (ibid.), con funzione analoga e intercambiabile rispetto al signaculum Domini che, come abbiamo visto, dà origine ai “cinque punti di fratellanza” massonici.
Molti simboli, come si è pure accennato, indicano sia una realtà sia il suo contrario, e i simboli del Cristo in altro contesto possono alludere at Diavolo. Ma la rosa rossa non obbedisce a questa regola: “eccezionalmente (…) non è stata utilizzata, come tanti altri emblemi, per raffigurare in opposizione, a seconda delle circostanze e dei modi d’impiego, sia il Nostro Signore Gesù Cristo e sia Satana”; è quindi rimasta “esente dal simbolismo demoniaco” (ibid., p. 239).
Tuttavia, la rosa rossa è passata in un esoterismo per cos) dire “sospetto” per un’altra ragione. Fin da epoca pre-cristiana la rosa rossa rappresenta “l’organo fisico della Maternità”, Porgano femminile, con un significato simile al “simbolismo della fecondità” che tradizioni francesi collegano a “certe varietà occidentali di rose canine” (ibid., pp. 240-241). I primi simbolisti cristiani conoscevano questo significato della rosa rossa ma non se ne scandalizzavano: mettevamo anzi volentieri in relazione questo simbolismo femminile della vita con Gesù Cristo come “porta della vita”. Del resto essi sapevano che ‘Sotto le graziose apparenze della Rosa [si mostravano] le quattro ferite delle membra e del Cuore di Gesù; da esse fluisce il sangue divino che è per le anime germe di vita spirituale” (ibid., p. 241).
Come è avvenuto per il signaculum Domini anche la rosa rossa (così come quella gialla o “d’oro”, simbolo di resurrezione, che troviamo spesso tra i Rosacroce) si “decristianizza” quando passa in ambiente esoterico, dove torna gradualmente all’originario significato precristiano di simbolo defla vita quando non dell’organo femminile. ln questo senso ‘a cerchia interna della Golden Dawn usa la “rosa rossa” come simbolo della vita (in collegamento con la teurgia, mentre non è provata nella Golden Dawn originaria una pratica di magia sessuale). Certamente il significato di “organo femminile” viene in primo piano nelle derivazioni della Golden Dawn controllate dall’O.T.O. (cfr. supra, paragrafo 1.7), sia “precrowleyano” sia ispirato da Aleister Crow’ey. Qui le cose peraltro si complicano, perché a causa del grande prestigio di cui gode la Golden Dawn numerose organizzazioni del cultic milieu descritto più sopra si dotano al loro interno di un “Ordo Rosae Rubeae et Aureae Crucis”, ancorché per la verità poche di queste organizzazioni risultino essere state attive in Italia.
Schematizzando, il simbolo della rosa rossa come emblema della vita e/o dell’organo femminile si trova nei seguenti principali contesti all’interno del cultic milieu esoterico che abbiamo preso in esame:
- anzitutto — evidentemente — nella Golden Dawn e in tutti i suoi scismi, in collegamento con pratiche di teurgia;
- nella Fellowship of the Rosy Cross del massone e membro della Golden Dawn Arthur Edward Waite (1857-1942), il quale però — fautore di un accostamento cristianeggiante all’esoterismo reinterpreta il simbolo in senso cristiano;
- nell’O.T.O. di Aleister Crowley (dove “Rosa rossa” è talora usata come parola d’ordine, cui si risponde “Croce d’oro”) e nei suoi scismi; in particolare nella branca (a suo modo “scismatica”) guidata dal canadese Charles Stanfetd Jones (“Frater Achad”, 1886-1950), il quale nel suo libro di istruzioni INRI riflette sul simbolo della rosa rossa, in collegamento con le origini cristiane rovesciate però nel simbolismo dell’organo femminile;
- nell’AMORC (Antico e Mistico Ordine Rosae Crucis), la grande organizzazione rosacrociana di massa cui abbiamo fatto cenno, il cui fondatore Harvey Spencer Lewis (1883-1939) pensava originariamente al nome Antico e Arcano Ordine Rosae Rubeae et
Aureae Crucis per i’ suo movimento;
- nell’O.T.O. pre-crowleyano del già citato Theodor Reuss, che pure rivendica di avere al suo interno un ordine “Rosae Rubeae et Aurae
Crucis”;
- nella Fraternitas Rosicruciana Antiqua — che intrattiene complessi rapporti con l’O.T.O. sia pre-crow’eyano, sia crowleyano, e si interessa di diverse tecniche di magia sessuale — di Arnoldo KrummHeller (1876-1949), oggi frammentata in un pulviscolo di scismi; anch’essa affermava di custodire al suo interno un Ordo Rosae
Rubeae et Aureae Crucis;
- nell’AAORRAC (Antiquus Arcanus Ordo Rosae Rubeae et Aureae Crucis — una sigla già usata da Lewis, Krumm-Heller e Reuss), fondato da Eduard Munninger (“Medardus”, 1901-1965): un exmembro austriaco della Fraternitas Rosicruciana Antiqua: un piccolo ordine che si interessa alla magia sessuale in diverse varianti e che si frammenta a sua volta in diversi scismi dopo la morte del fondatore nel 1965.
Come si vede, le rose rosse nel nostro ambiente non mancano, Ce ne sono forse perfino troppe. Quantunque in nessuna delle organizzazioni che ho elencato io riconosca la “setta della rosa rossa” evocata dal testimone, che una ‘tradizione inventata” uscita dal cultic milieu che ho descritto possa avere usato, tra altri simboli, anche quello della rosa rossa (con significato ormai principale di simbolo dell’organo sessuale femminile) non è né impossibile né improbabile. Farne un simbolo universale di una qualche potentissima organizzazione che starebbe dietro a tutti i movimenti esoterici moderni mi sembra invece decisamente fantasioso, e tale da portarci a quella “interpretazione infinita” denunciata da Umberto Eco per cui, ogni volta che vediamo una rosa rossa (un fiore purtroppo piuttosto comune), pensiamo subito alla tenebrosa setta. Alo stato, il C.T. non vorrebbe spingersi, in tema di rose rosse, oltre questi commenti e a un generico invito alla cautela, in attesa di eventuali nuovi elementi.
Torino, lì 15 novembre 2002
Massimo Introvigne
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