Il 2 marzo 2003 il sovrintendente Emanuele Petri, con i colleghi Bruno Fortunato e Giovanni Di Fronzo, svolge servizio di scorta viaggiatori su un treno regionale sulla tratta ferroviaria Roma-Firenze. Poco dopo la fermata alla stazione di Camucia-Cortona, Petri e gli altri colleghi, durante controlli di routine, decidono di verificare le generalità di un uomo e una donna che viaggiavano a bordo del vagone. Questi, dopo aver esibito documenti falsi ai poliziotti che si accorgevano delle incongruenze, reagiscono nei loro confronti con un conflitto a fuoco dove Petri trova la morte.
I due viaggiatori poi si rivelano essere i terroristi Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, capi delle Nuove Brigate Rosse e responsabili degli omicidi dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi (avvenuti rispettivamente nel 1999 e nel 2002).
Mario Galesi estraeva una pistola puntandola al collo del sovrintendente Petri e intimando agli altri poliziotti di gettare le armi. Uno dei due poliziotti obbedisce gettando la propria pistola sotto i sedili del convoglio, ma l’uomo reagisce ugualmente sparando alla gola di Petri, uccidendolo sul colpo, e sparando anche contro l’ultimo poliziotto armato che, nonostante le gravi ferite, riesce a rispondere al fuoco dell’assalitore ferendolo mortalmente. La donna preme il grilletto della propria pistola contro l’ultimo poliziotto, ma l’arma non funziona, perché ancora con la sicura innestata. Ne segue una colluttazione al termine della quale la terrorista è bloccata.
Secondo le dichiarazioni dell’agente Fortunato: “Verso la terza-quarta vettura io (Fortunato, ndr) e Di Fronzo ci fermammo per identificare una persona, mentre Petri era andato avanti ed era entrato in uno scompartimento” racconterà poi al processo il sovraintentende Bruno Fortunato “Ho alzato lo sguardo, e ho visto Petri uscire dallo scompartimento con dei documenti in mano e cominciare a telefonare col cellulare collegato alla sala operativa della questura di Firenze. Poi ho visto un uomo (Galesi, ndr) che si avvicinava e gli puntava una pistola all’altezza della gola. Io e Di Fronzo ci siamo avvicinati di qualche passo e io gli ho fatto “ma che fai, butta quella pistola”. Lui invece ci ha gridato qualcosa come “datemi le armi, consegnatele a lei” (la Lioce, ndr). Io avevo sfilato la mia pistola dalla fondina e la nascondevo dietro lo spigolo di una poltrona. Lei mi è passata accanto senza guardarmi, poi ho capito che puntava alla pistola che Di Fronzo intanto aveva gettato per terra sotto alcuni sedili. Quando lei era appena dietro di me, ho sentito un pizzico all’addome. Poi ho sentito qualche altro colpo, ma non so quanti. Emanuele (Petri, ndr) era a terra, io ho alzato la pistola e ho sparato. Galesi è caduto a terra, disteso nel corridoio. A quel punto sento Di Fronzo che mi fa “Bruno, dammi una mano”. Mi sono girato ma non me la sono sentita di fare un’altra cosa (di sparare, ndr). Ho rimesso la pistola nella fondina ho visto l’imputata distesa su una poltrona con una pistola fra le gambe che scarrellava e premeva il grilletto, alcune volte, senza che partisse il colpo. Di Fronzo era dietro di lei, piegato sullo schienale di una poltrona e cercava di bloccarla ma inutilmente perché non arrivava alla pistola. Ho visto la donna che cercava di riarmare l’arma più volte e di sparare verso di me. Dopo ho capito che era l’arma che Di Fronzo aveva gettato sotto i sedili. Gli ho strappato la pistola dalle mani, l’ho data a Di Fronzo e l’ho ammanettata. Poi sono andato a vedere più avanti. Galesi rantolava per terra, Emanuele purtroppo era disteso senza vita.“
Il treno si ferma quindi alla stazione di Castiglion Fiorentino dove giungono i primi soccorsi per le persone ferite, tra i quali l’assalitore Galesi (morto alcune ore dopo in ospedale) e l’agente Fortunato, salvato con una lunga operazione chirurgica.
L’agente Fortunato non si riprese mai completamente e si suicidò il 9 aprile 2010 a Nettuno sparandosi un colpo di pistola alla testa.
Petri il giorno della sua morte non doveva prestare servizio, ma aveva chiesto un cambio turno per assistere un ex collega dei Carabinieri malato gravemente. Lascia la moglie e un figlio di 23 anni, anch’egli, oggi, poliziotto.
Emanuele Petri è insignito di medaglia d’oro al valor civile alla memoria, consegnata alla moglie dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Un monumento bronzeo a suo ricordo, rappresentante un cuore spezzato, è stato collocato nel piazzale della stazione ferroviaria di Castiglion Fiorentino, a lui ora dedicata. A lui è intitolata la caserma che ospita gli alloggi ed alcuni uffici della Polizia Ferroviaria di Firenze Santa Maria Novella.
Il 16 ottobre 2020, la piazza antistante il polo scolastico di Orvieto è stata intitolata in sua memoria.
buongiorno, gentilmente perchè tale morte è collegata al MdF.
Grazie per la spiegazione.
Emanuele Petri ha indagato sulla figura di Francesco Narducci.
La morte di Lele Petri è collegata alla storia del MdF in quanto anni addietro aveva condotto indagini sulla faccenda come evidenziato nella puntata ultima di Atlantide condotta da Andrea Purgatori.