Il 29 agosto 1993 Valerio Pasquini rilascia testimonianza alla Procura della Repubblica di Perugia, al procuratore Giuliano Mignini, in merito al suo dossier investigativo consegnato alla Procura della Repubblica di Firenze in data 28 ottobre 1993. Presente alla testimonianza anche L’Ispettore Capo Michelangelo Castelli.
Questa la testimonianza: Testimonianza PASQUINI Valerio 29.08.03
Questa la trascrizione:
Domanda: Lei conferma di avere presentato alla Procura di Firenze, il memoriale che le viene mostrato? Si da atto che viene mostrato al Pasquini il memoriale allegato alla nota GIDES del 13 agosto 2003, avente protocollo nr. 186/03/Gides.
Risposta: Sono stato l’autore del memoriale che mi viene mostrato e che ho depositato presso la Procura della Repubblica di Firenze. L’interesse per la morte del professor Francesco Narducci, sorse in me in occasione di una vacanza estiva presso l’Argentario ove ho un lotto di terreno, vicino alla casa di un certo Claudio Mazza, residente a Terni già istruttore subacqueo, insegnante che insieme alla moglie Annalisa era solito intrattenersi con la mia famiglia. Nell’anno 1991 – 1992, se ben ricordo il mazza mi parlò del suicidio di un medico perugino morto nel lago. Mazza mi fece subito il nome del Narducci, ma forse non me lo fece. Solo successivamente sarei venuto a sapere che il professore a cui il Mazza faceva riferimento era il professore Francesco Narducci. II Mazza sempre nell’occasione da me riferita mi confidò che un suo conoscente gli aveva raccontato del colloquio avvenuto fra due avvocati presso il palazzo di giustizia di Perugia, in cui i due avevano detto che il cosiddetto Mostro di Firenze sarebbe stato questo medico perugino, e che non vi sarebbero stati più delitti perché ii medico era morto. Con il Mazza io ho parlato a più riprese della vicenda di questo medico, perché lo incontravo d’estate al mare. La vicende di questo medico mi ha subito incuriosito, perché nonostante a Perugia si dicessero cose tanto gravi sul suo conto, era invece perfettamente sconosciuto a Firenze, cioè nel luogo ove erano stati commessi i delitti che gli venivano attribuiti. Durante il governo Craxi, il Mazza ebbe un incarico governativo presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Circa un anno dopo queste confidenze, decisi di effettuare un indagine personale, approfittando anche del calo di attività che colpì un po’ tutte le agenzie investigative in quel periodo. Andai a Perugia una prima volta nel febbraio marzo 1993, alloggiando in un albergo sito nella periferia sud occidentale della città. Mi recai subito per avere notizie sul Narduci all’anagrafe dove alla mia richiesta di informazioni sul Narducci mi fu indicata una signora che conosceva bene la famiglia, una certa signora Emilia, prossima alla pensione, e un po’ pienotta, che si dimostrò subito molto disponibile e molto affabile. Ebbi da lei le notizie relative alla famiglia del Narducci ed alle sua vicende anagrafiche. La signora mi disse anche che a Perugia era voce comune che il Narducci fosse proprio lui il cosiddetto Mostro di Firenze. La signora mi manifestó le sue perplessità sul come si erano comportate le autorità in occasione della scomparsa del professore e mi disse che la Compagnia Carabinieri di Perugia aveva svolto indagini sul conto del Narducci prima della sua morte e che lo stesso era tallonato pesantemente ancor prima dell’ultimo delitto degli Scopeti. Ricordo che esclamai che se fosse stato vero quello che pensavano, se fossero intervenuti avrebbero scongiurato un duplice omicidio. La signora mi spiegò che un Maresciallo o un Ufficiale, teneva sulla scrivania il fascicolo relativo all’indagine sul Narducci, che tale fascicolo rimase a lungo sulla scrivania dell’Ufficiale o del Maresciallo e che quest’ultimo non sapeva darsi pace del fatto che a causa di un ordine superiore giunto alla Compagnia, sembra da Roma o da Firenze si erano dovuti fermare nel proseguire le indagini, prima ancora della scomparsa del Narducci e pochi giorni prima della sua scomparsa. Questa confidenza della signora Emilia mi richiamò quanto dettomi dalla signora Annalisa, moglie del Mazza, la quale mi aveva detto che il giorno della scomparsa il Narducci aveva ricevuto una telefonata anonima con cui veniva messo sull’avviso che i Carabinieri erano sulle sue tracce e che lo stavano tallonando. Qualche mese dopo, nel maggio o giugno del 1993 sono tornato a Perugia nello stesso albergo, a bordo di un furgone, questa volta mi recai al Policlinico, spacciandomi per un amico del Narducci che avevo conosciuto alle Baleari. Parlai con due infermiere brune che mi indirizzarono ad un infermiere non in servizio in quel momento, che abitava vicino all’ospedale, aveva i capelli brizzolati ed aveva circa 50, 55 anni. Recatomi da lui in una casa nei pressi del Policlinico questi mi disse che i Carabinieri e la Polizia avevano compiuto un sopralluogo nello studio del Narducci nei giorni della scomparsa. Su indicazione delle due infermiere o di quello che ero andato a trovare, parlai anche con un infermiere biondo, ben messo, magro, capelli lisci abbastanza lunghi un po’ mossi, volto affilato, naso pronunciato e leggermente storto, al massimo di età di 40 anni. Questi mi disse che il giorno della scomparsa era stato lui a rispondere alla telefonata giunta verso le 14.00 e che l’uomo era un suo collega che voleva ringraziare il Professore di un favore che gli aveva fatto, per lui o per un parente. L’infermiere mi disse anche che aveva assistito a due telefonate fatte dal Narducci subito dopo, la prima al titolare della Darsena, Trovati, al quale chiese la conferma che la sua imbarcazione fosse disponibile, la seconda alla madre. L’infermiere mi disse anche che una domenica di poco successiva alla morte del Narducci, vide una locandina del “CORRIERE DELL’UMBRIA” in cui il Narducci veniva indicato come il Mostro di Firenze e che quindi il giornalista che si occupava della vicenda avrebbe potuto darmi indicazioni in proposito. L’infermiere aveva visto questa locandina dopo essere uscito dalla messa, ma i giornali erano tutti finiti. Successivamente contattai all’ufficio Anagrafe l’Ispettore Luigi Napoleoni, già pensionato, il quale mi disse che il magistrato che si era occupato del caso della morte del Narducci era il Dott. Centrone, che le indagini le aveva svolte lui, che il Questore aveva mostrato un interessamento particolare a questa vicenda e che li aveva invitati a chiudere le indagini, ciò che lo aveva non poco insospettito. II Napoleoni mi disse che alla richiesta di fare dei sopralluoghi nell’abitazione del Narducci il Questore lo aveva invitato a desistere. In occasione di un altro accesso a Perugia, fotografia l’abitazione del Narducci e la tomba al Cimitero Comunale e produco le foto che scattai all‘epoca. Parlai anche con i vicini di casa del Narducci, in particolare con una signora molto fine che abitava nello stesso piano della famiglia Narducci e con un’altra signora che si trovava al piano superiore. Entrambe mi dissero che a volte il Narducci tornava a casa molto tardi, che la moglie aveva paura di rimanere da sola, in quelle occasione e che per farsi compagnia chiamava la sorella Benedetta. Qualcuno mi disse anche di aver visto uscire la mattina presto dall’appartamento della moglie del Narducci un uomo. Tornato a Firenze decisi di mettermi in contatto con il “CORRIERE DELL’UMBRIA” e telefonato al giornale, mi rispose un redattore che saputo il motivo della mia telefonata mi passò un certo Mauro Avellini. Questi si presentò come il giornalista che aveva trattato il caso del Narducci, ma che non si occupava più della questione, dopo aver subito pesanti minacce anonime. L’uomo mi apparve anche in quel momento intimorito, in sintesi Avellini mi disse che la famiglia Narducci era potente ed aderente alla Massoneria, come mi aveva detto Emilia e che avrebbe dovuto parlare, di li a qualche giorno, con uno dei due Vigili del Fuoco che erano intervenuti nel recupero della salma, e che avevano trasportato il cadavere nello scantinato de villa di San Feliciano. L’avellini mi disse che questo Vigile, di cui era amico gli aveva confessato che il giorno in cui era stato portato il cadavere della villa, aveva visto nello scantinato un barattolo di vetro con dei reperti umani. Il giornalista mi ribadì che aveva molta paura ad interessarsi a quella vicenda e che se avessi voluto ulteriori notizia mi avrebbe potuto mettere in contatto con vigile. All’Avellini io mi ero presentato come un investigatore privato incaricato da uno scrittore di reperire notizie sulla vicenda del Professor Narducci da utilizzare per la stesura di un libro. Avrei preferito incontrarlo e non parlare al telefono di queste cose, ma l’Avellini preferì non incontrarmi ed io mi sentì soddisfatto di quello che avevo già raccolto. Nel corso degli accertamenti feci fare tramite un collega di Roma di cui non ricordo il nome delle indagini sugli studi universitari, sulla laurea e sul servizio militare del Narducci. Venni a sapere che si era laureato alla Sapienza con 110 e lode e che era stato riformato in sede di prechiamata.
A.D.R.: a quanto ho capito la signora Emilia era a conoscenza di tanti particolari perché, forse per il lavoro che faceva e la posizione che ricopriva, doveva avere ottimi rapporti con l’Arma carabinieri.
A.D.R.: tenni il memoriale per un po’ di tempo. Dopo averci riflettuto, anche perché trattandosi di una vicenda particolarmente delicata ed in cui potevano essere coinvolti personaggi importanti e quindi volevo essere sicuro di non compiere mosse azzardate, decisi di rivolgermi al dott. Pier Luigi Vigna che avevo avuto modo di conoscere in occasione di seminari ad Urbino. E fu così che portai il memoriale al dottor Vigna che però doveva andare fuori sede per un interrogatorio. Nell’occasione, comunque, il dottor Vigna mi pregò di riassumergli il contenuto dell’elaborato e quando ebbi finito mi disse che lui aveva già fatto indagini su quel medico ed aveva accertato che non c’entrava nulla con il Mostro. Io avevo intenzione di fare solo una confidenza, ma il dottor Vigna mi richiese di mettere a verbale le mie dichiarazioni. Poi, da allora, non sono stato più richiamato se non l’anno scorso dal dottor Vinci della Questura di Firenze, al quale ho raccontato del memoriale. L’infermiere di cui ho parlato aveva il volto magro, affilato, i capelli pettinati all’indietro ed un po’ mossi e gli occhi azzurri. Quando me lo indicarono mi dissero che in quel momento lavorava al centro sangue, mentre all’epoca si trovava in gastroenterologia. L’infermiere mi disse anche che aveva il gruppo sanguigno del Narducci ma non poteva darmelo. Spontaneamente faccio presente che la mia abitazione si trova fin dal 1980 di fronte a via di Giogoli, proprio di fronte alla villa “La Sfacciata” nei pressi del luogo dove furono uccisi i due turisti tedeschi nel 1983. Ricordo che quella notte non udii alcun rumore di colpo d’arma da fuoco e rimasi stupito quando venni a sapere che erano stati esplosi 7 colpi. Dato che ho il sonno molto leggere, avrei sentito sicuramente gli spari anche perché dormivo con le finestre aperte e la mia abitazione è a non più di 200 metri in linea d’aria dal luogo del delitto. Ho ritenuto che potessero aver usato un silenziatore oppure un sistema diverso per attutire i colpi. “La Sfacciata” c’erano 60/70 stanze e che nella parte posteriore della villa vi erano degli annessi agricoli ristrutturati che venivano affittati. In uno di questi ricordo che abitava l’attore Renzo Montagnani. Nella villa si svolgevano di tanto in tanto feste molto prestigiose con invitati di ceto sociale molto elevato, tanto che venivano anche i vigili e le guardie giurate per regolare l’accesso. Nei pressi della mia abitazione vi è anche la villa del gioielliere Brandimarte, dove si tenevano festini, mentre ancor più vicino, proprio all’inizio di via di Giogoli, sulla destra, abitava all’epoca un signore con un vecchio Mercedes chiaro di Firenze, che credo facesse l’antiquario. Aveva una grossa corporatura e grossi cani, tra cui un mastino napoletano. Devo far presente però che da sempre faccio vita ritirata anche perché il mio lavoro non mi consente di frequentare la zona, per cui non si sono in grado di riferire sulla presenza di eventuali sconosciuto nella zona.
Si da atto che vengono mostrate le foto di cui all’album n. 14/2003 e, dopo averle osservate, il signor Pasquini riconosce solo la foto n. 10 indicandola come quella appartenente a Narducci Francesco per avere visto la foto nella tomba.
Si da atto che vengono allegati n. 21 foto e n. 2 fogli dattiloscritti consegnati spontaneamente dal signor Pasquini. Viene altresì allegato l’album fotografico.