Il 7 novembre 2003 rilasciava testimonianza Andrea Pucci, giornalista.
Confermava le precedenti dichiarazioni del 22 febbraio 2003. Tra l’altro nell’occasione precisava di aver saputo da una sua fonte del Ministero della difesa che la procura di Firenze aveva aperto un’indagine sul Narducci accertando che questi era stato per un mese alla scuola di sanità interforze di Firenze nel periodo coincidente col delitto del 1974. Precisava anche che al Corriere dell’Umbria aveva appreso dal giornalista De Masi il particolare del blocco delle rotative da parte del direttore Mastroianni e che un giorno o due dopo quell’episodio il Narducci era scomparso. Aggiungeva anche di aver saputo (forse dal padre della vittima) durante la sua inchiesta che il Narducci si allenava al poligono (forse quello di Umbertide) con una Beretta calibro 22.
Gides 2 Marzo 2005 Nota riassuntiva Nr.133/05/GIDES Pag.124/125
“ricordo che ero alla redazione romana de “Il Giornale” quando, mi pare nel gennaio-febbraio 1988, una fonte appartenente al Ministero della Difesa, mi informò che, nell’ambito della indagini sul c.d. “Mostro di Firenze”, la Procura di quella città aveva chiesto accertamenti al Ministero della Difesa per conoscere la posizione del medico perugino Francesco Narducci, in ordine agli obblighi di leva. La fonte ignorava che il Narducci fosse morto. La cosa mi sembrò interessante e, dopo aver informato il capo della Redazione romana, all’epoca Guido Paglia, venni a Perugia circa due o tre giorni dopo. Non avevo indicazioni particolari. Sapevo solo che il Narducci era medico. Mi recai, allora, all’ospedale di Monteluce, dove chiesi di lui, ma tutti mi guardavano sbigottiti perché non sapevo che era morto da circa tre anni. Mi indirizzarono dal primario del reparto dove lui aveva operato, il prof. Morelli, a cui chiesi del Narducci e gli dissi che erano in corso delle indagini su di lui. Il Morelli, stupito che io ricercassi il Dr. Narducci, mi disse che era stato trovato cadavere nel Trasimeno tre anni prima. Il Prof. Morelli sembrava ancora turbato da quella vicenda. In sostanza, mi disse che un giorno il Narducci aveva lasciato improvvisamente l’ospedale, era saltato sulla sua moto, si era portato alla villa che aveva nei pressi del Lago Trasimeno, nella Frazione San Feliciano di Magione e che poi aveva preso il suo motoscafo ed era stato ritrovato morto nel lago alcuni giorni dopo. Ricordo che il Morelli faceva visibilmente fatica a parlare, tanto era emozionato. Una cosa che mi colpì fu che il Morelli era come se si aspettasse che qualcuno avrebbe fatto degli accertamenti sul conto del Narducci, tanto che, a un certo punto, il medico mi confessò che quella morte era strana e che era ora che qualcuno facesse luce su quella vicenda. Rimasi deluso dalle notizie che mi aveva dato il Morelli, in particolare dal fatto che il Narducci fosse morto, perché giornalisticamente parlando, la pista sembrava sfumata. Nonostante ciò, buttai là qualche domanda sul personaggio e cioè come fosse fisicamente, se sapesse sparare, se avesse fatto il militare, se fosse uno sportivo, se andasse in motocicletta per fare motocross e se facesse il sub, se fosse sposato e come fosse la sua famiglia.
Il Morelli tratteggiò bene la figura del Narducci, parlandone in termini lusinghieri e, quasi a conforto delle sue affermazioni, chiamò un altro medico che seppi poi essere il Prof. Farroni, un medico robusto con i baffi, che mi sembrò invece infastidito delle mie domande. L’approccio con lui non fu positivo perché appariva molto duro. Mentre il Morelli mi tratteggiò il quadro familiare e matrimoniale del Narducci, il Farroni, piuttosto infastidito e polemico, manifestò la sua meraviglia per la mia presenza e disse che non c’era nulla da indagare sul Narducci. Stupito dall’atteggiamento del Farroni che si vantava di essere stato il migliore amico del morto e di essere stato della sua cerchia, ripetei a questo medico le domande che avevo già fatto al Morelli. Il Farroni mi rispose, dicendomi che il Narducci odiava le armi e che non le aveva mai viste, che era una persona tranquilla, che non aveva fatto un solo giorno di servizio militare perché il padre era riuscito ad evitarglielo e che si trattava di una persona fisicamente perfetta e molto abile negli sport, specialmente nel tennis, così mi pare. Mi disse anche che era sposato con una Spagnoli, che non aveva figli. In sostanza, mentre il Morelli appariva turbato e curioso in merito alla vicenda del Narducci, il Farroni cercava di minimizzare e considerare la cosa priva di risvolti strani. Mi congedai, piuttosto deluso dai due, ritenendo chiusa la questione e ripromettendomi di chiamare la fonte per metterlo al corrente del fatto che il Narducci era morto.
Contattai la fonte da una cabina telefonica fuori dall’ospedale e raccontai l’accaduto, ma il mio interlocutore mi disse che l’accertamento disposto dalla Procura di Firenze aveva avuto esito positivo ed era risultato che il Narducci era stato per un mese alla Scuola di Sanità Interforze di Firenze, nel periodo coincidente con il delitto del 1974, avvenuto nei pressi di Borgo San Lorenzo, quello in cui alla ragazza era stato infilato un tralcio di vite nella vagina. Chiesi alla fonte perché avesse fatto solo un mese e l’interlocutore mi disse che era stato riformato per “marcescenza ai piedi”. La cosa mi colpì profondamente sia perché la Scuola di Sanità di Firenze è un corso per allievi ufficiali, sia perché mi sembrava impossibile che uno che si definiva tra i migliori amici del Narducci, ignorasse un particolare del genere. Incuriosito, tornai all’interno dell’ospedale ma non riuscii ad avere un secondo colloquio con i medici. Forse, allora, feci la verifica sulle presenze del medico in Ospedale. Mi recai, allora, al cimitero per sapere quando era morto il personaggio e lì vidi la data del 13 ottobre 1985. Questa data mi colpì perché la morte era avvenuta poco più di un mese dopo l’ultimo dei duplici omicidi, quello degli Scopeti. Mi recai poi al “Corriere dell’Umbria”, per vedere cose era stato scritto sulla morte del personaggio. Chiesi alla segretaria della redazione di poter visionare le copie del giornale del mese di ottobre 1985. Mentre le stavo consultando, sopraggiunse il giornalista Mino de Masi che mi chiese incuriosito che cosa mi interessasse ed io gli dissi vagamente, per non scoprirmi, che dovevo prendere informazioni sulla morte di un medico. A quel punto il De Masi commentò che quel mese di ottobre 1985 fu un mese molto turbolento. Mi riferì che si ricordava molto bene della morte del Narducci, perché aveva capito che si trattava proprio di lui. Mi disse che in quel periodo accadde di tutto e che una sera l’allora Direttore, Mastroianni, piombò in redazione e ordinò che venissero fermate le rotative perché una sua fonte gli aveva detto che da Firenze stavano per arrestare a Perugia il “Mostro di Firenze” che era un medico perugino. Mi disse che le rotative rimasero ferme fino a tardi, in attesa della notizia ma non accadde nulla ed il lavoro riprese come se niente fosse accaduto. Il De Masi aggiunse, poi, che un giorno o due dopo l’episodio delle rotative, scomparve il Narducci. Con il De Masi, che si occupava della “nera”, iniziammo un colloquio in cui io cercavo di carpire notizie stando attento a non dire che ero là per il Mostro di Firenze. Il De Masi mi parlò del matrimonio del Narducci, dicendomi che non avevano figli e mi riferì che il padre del morto era un noto ginecologo che operava a Foligno. Decisi, allora, di rimanere a Perugia e di svolgere un’indagine sulla vicenda e, per prima cosa, mi recai il giorno dopo a San Feliciano dove parlai con un certo Trovati, titolare della darsena, che aveva visto per l’ultima volta il Narducci. Il Trovati mi disse che il Narducci era arrivato alla darsena in moto per prendere il motoscafo, cosa alquanto insolita, sia per la stagione, sia perché l’estate precedente non si era mai visto al lago. Mi disse anche che il Narducci andava molto di fretta e anche questo l’aveva colpito, come anche il fatto che il medico prendesse l’imbarcazione quasi all’imbrunire. A quanto ricordo il Trovati mi disse che erano circa le 18 quando si presentò alla darsena il Narducci per prendere l’imbarcazione. Mi aggiunse, poi, che aveva visto il Narducci dirigersi con il motoscafo verso l’Isola Polvese. Il Trovati mi descrisse anche il modo come il Narducci era vestito, con un giubbotto, una camicia e la cravatta.
Mi recai poi dal becchino, un certo Moretti, che aveva partecipato alle operazioni di recupero del cadavere e che l’aveva messo nella cassa. Il Moretti mi raccontò che il cadavere era estremamente gonfio, nero ed irriconoscibile, che non gli fu fatta l’autopsia e che il carro funebre con il corteo di macchine nel quale si trovava anche il Questore, diretto verso Perugia, fu bloccato da una giovane donna che credo fosse la cognata del morto, che intimò al Moretti di invertire la marcia e di raggiungere la villa di San Feliciano, esclamando: “”il papà lo vuole a casa!””, o qualcosa del genere. A tale intimazione, il Questore acconsentì e il corteo, dopo aver fatto retromarcia, si portò nella direzione indicata. Il Moretti sottolineò, per ben due volte e con decisione, che non era stata fatta l’autopsia, esclamando: “”Assolutamente no!””. Forse il corteo si dirigeva verso la Medicina Legale per l’autopsia, ma la cognata del Narducci lo fece tornare indietro.
Parlai poi con il pescatore che aveva ritrovato il cadavere, un certo Baiocco, il quale mi disse che il corpo del Narducci era gonfio come un pallone, nero nero nero, con la mano destra sul petto. Mi pare che il Baiocco mi disse che il cadavere non aveva la cravatta e sottolineava soprattutto il colore nerissimo del cadavere ed il fatto che sul molo vi fosse un insolito spiegamento di forze. Il Baiocco addirittura ricordava che non solo vi erano Polizia e Carabinieri in forze ed il Questore, ma anche un elicottero ed addirittura i Magistrati di Firenze. Ricordo esattamente che l’uomo disse: “”quel giorno venne di tutto, anche gli elicotteri e c’erano anche i Magistrati di Firenze!””. Ciò era del tutto anomalo per un annegato nel Lago Trasimeno, secondo quanto mi disse il Baiocco. Qualcuno, non so se il Moretti o il Baiocco, mi disse addirittura che il padre aveva abbracciato e baciato in bocca quel cadavere.
Ricordo che nei giorni in cui mi trattenni nella zona del lago, venni a sapere che il Sostituto fiorentino, Silvia della Monica, teneva, all’epoca dei delitti, delle lezioni a cui aveva partecipato qualcuno dei Carabinieri che si trovavano a Magione o a Passignano e dedussi che potevano esservi state delle indiscrezioni sul fatto che la Dr.ssa della Monica facesse parte del pool di magistrati che si occupavano dei delitti del “Mostro” e che quindi il Narducci avrebbe forse potuto essere venuto a conoscenza del particolare, riservato, e avrebbe potuto così inviare alla Dr.ssa Della Monica la nota missiva con il reperto dell’ultima vittima.
Nel corso della mia indagine, mi resi conto che vi erano molti aspetti della vita del Narducci che collimavano con il quadro che ci eravamo fatti del possibile omicida. Poco prima di terminare la permanenza a Perugia, tornai in ospedale e chiesi i registri di presenza del Narducci a Gastroenterologia o forse lo feci all’inizio della mia permanenza. Preciso che non si trattava di un turno di Pronto Soccorso e che la presenza in loco era compatibile con assenze di due – tre ore circa. Esaminando il registro delle presenze, notai che, in occasione dei duplici omicidi, il Narducci fu presente in Gastroenterologia, mi pare, in occasione del delitto dei due tedeschi, mentre risultava assente negli altri casi, almeno così ricordo. Purtroppo gli appunti li ho distrutti.
Aggiungo che quando, all’inizio parlai con Morelli, questi mi disse che il Narducci aveva in programma un convegno di gastroenterologia, o comunque medico, in cui lui avrebbe dovuto intervenire.
Qualche giorno dopo essermi recato al lago, andai a Foligno per incontrare il padre del medico morto. Lo andai a trovare all’ospedale e gli rivelai il motivo per cui ero lì, precisandogli che erano in corso indagini da parte della Procura di Firenze che sospettava che suo figlio fosse il “Mostro di Firenze”. Il Prof. Ugo non batté ciglio e mi invitò a seguirlo nel suo studio. Quando seppe che ero un giornalista de “il Giornale”, lui mi disse che era un lettore di quel quotidiano. Il ginecologo era molto aperto, pacato e desideroso di parlare della cosa. Gli chiesi se suo figlio avesse fatto il servizio militare e lui mi disse che lo aveva fatto per un mese a Firenze, poi mi confidò che si era attivato per farlo riformare, tramite suoi amici. Gli chiesi anche se suo figlio avesse praticato la caccia e lui mi rispose: “”Come no! Fin da piccolo lo portavo a caccia con me””. Mi pare che il Prof. Ugo mi disse anche che suo figlio Francesco frequentava il poligono di Umbertide. Non ricordo se fu il Prof. Ugo a dirmelo, ma sicuramente venni a sapere, nel corso della mia indagine, che Francesco Narducci si allenava con una Beretta calibro 22 nel poligono citato. Mi pare che questo particolare me lo riferì proprio il padre. Chiesi al Prof. Ugo se il figlio avesse mai avuto una macchina rossa e lui mi rispose che gli aveva regalato una Mini Minor rossa per la laurea o per la licenza liceale. L’uomo era inaspettatamente aperto e disponibile al colloquio con me e non manifestò mai il disappunto per quello che io gli avevo riferito; mi fece capire che vi erano stati dei problemi tra il figlio e la moglie a causa della mancanza dei figli e dimostrò un singolare senso di protezione nei confronti di sua moglie che mi pregò di non coinvolgere nella vicenda. Non approfondii altri aspetti perché ero convinto, vista la qualità e l’importanze delle notizie raccolte, che sarei dovuto tornare a Perugia per completare il servizio, ma prima il capo della redazione romana e poi l’allora direttore de “Il Giornale” Indro Montanelli, decisero che non se ne facesse nulla ed io non me ne sono più occupato””.
Vedi Relazione Commissione Parlamentare pag. 75/76/77/78/79