17 Novembre 2003 viene consegnata alla Procura di Firenze la nota GIDES n°362/03/Gides. La nota contiene lo stato delle indagini sino a quel momento ed è inviata alla Procura della Repubblica di Firenze e alla Procura della Repubblica di Perugia rispettivamente all’attenzione di Paolo Canessa e Giuliano Mignini.

Questa il GIDES: GIDES n° 362/03/Gides 2003 17 novembre

Questa la trascrizione:

Ministero dell’Interno
Dipartimento della Pubblica Sicurezza
GRUPPO INVESTIGATIVO DELITTI SERIALI
FIRENZE – PERUGIA
Viale Gori 60, 50127 Firenze Fax +3955/3238179

Nr. 362 /03/G.I.DE.S.
Firenze, 17 novembre 2003

Oggetto: p.p. n. 1277/03 RGNR Mod. 21. P.M. Firenze. p.p. n. 17869/01 RGNR P.M. Perugia. -nota sullo stato delle indagini.

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI = FIRENZE =
c.a. dott. Paolo Canessa, Sost.
ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI = PERUGIA =
c.a. dott. Giuliano Mignini, Sost.

Con apposita annotazione, in data 16 giugno 2003, quest’ufficio richiedeva al P.M. di Firenze l’autorizzazione, poi concessa, a svolgere attività tecniche nei confronti del farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei e di altri personaggi, a questi collegati, sulla base di significativi elementi emersi durante le indagini sui mandanti dei duplici omicidi attribuibili in passato al cosiddetto “Mostro di Firenze”.

Prima di riferire le più recenti emergenze investigative, anche al fine di fornire una visione globale dello stato delle indagini, appare utile richiamare, qui di seguito ed in maniera sintetica gli elementi in questione.

1. Marzia Pellecchia, in atti generalizzata, sentita nei giorni 4 e 7 febbraio 2003 quale persona informata dei fatti, tra l’altro, aveva riferito di aver partecipato ad alcune “festicciole a luci rosse” in un cascinale nelle campagne di San Casciano, su consiglio della signora Lina Giovagnoli, la quale, a dire della teste, si era prestata ad aiutarla economicamente introducendola in un ambiente di prostituzione piuttosto particolare. In buona sostanza, la dichiarante aveva spiegato di essersi prostituita facendo sesso con persone dalla stessa definite “con problematiche sotto l’aspetto sessuale” e con qualcuna che manifestava “una certa brutalità”.
In sede di individuazione fotografica, poi, la donna aveva riconosciuto alcuni dei personaggi, che avevano preso parte alle “festicciole”, alle quali aveva fatto cenno.
In particolare, oltre al Pacciani, al Vanni ed al Lotti, aveva riconosciuto anche il Francesco Calamandrei, nonché il Francesco Narducci. Quest’ultimo da lei conosciuto come un medico di Prato.
A proposito del Narducci aveva fornito una descrizione fisica perfettamente sovrapponibile proprio al medico perugino. Aveva spiegato, infatti: “era più giovane di tutti gli altri uomini…vestiva elegantemente;……. in particolare ricordo che portava una catena a maglie larghe con una medaglia; lo stesso parlava correttamente l’italiano senza inflessione particolare;….. aveva un fisico sportivo, alto circa 1.80, capelli chiari… parlava più degli altri dei viaggi che aveva fatto. Lo sentii parlare della Thailandia ed anche di sport acquatici”.
La stessa aveva riconosciuto con assoluta certezza anche Gian Eugenio Jacchia, tanto che aveva affermato che avrebbe potuto metterci “la mano sul fuoco”. E dello Jacchia aveva dato la seguente descrizione: “un tipo proprio strano, vizioso, nel senso di pervertito e notai che a lui piaceva farsi toccare nelle parti intime”.
Aveva riconosciuto altresì Francesco Vinci, con cui – specificava – aveva avuto rapporti sessuali.

In data 13.2.2003, la nominata Pellecchia veniva sentita a verbale dal P.M. dott. Canessa.
Nella circostanza aveva confermato le precedenti dichiarazioni e, a proposito del “medico di Prato” aveva spiegato: “…ebbi un rapporto sessuale con lui e, come ho spiegato alla polizia, mi dette l’impressione che aveva delle problematiche. Non fu violento, ma nell’amplesso fu brutale ed aggressivo. Fu un rapporto che contrastava con il tipo di persona che sembrava essere esternamente. Ebbi l’impressione che avesse problemi latenti ma non capii niente di più né lo so spiegare ora. Per me aveva qualche problematica fisica, ma anche questa non la so spiegare. Mi sembrò che con l’aggressività riusciva ad eccitarsi…ricordo che in entrambe le occasioni aveva la collana al collo…era una collana d’oro, almeno apparentemente. Sia la catena che il pendaglio erano o sembravano d’oro. La catena era a maglie larghe, grossetta. Non era lunga ma non era neppure un girocollo. Arrivava qualche centimetro sotto il collo. La medaglia poteva essere grande come le 100 lire dell’epoca…”.
Sempre nella medesima circostanza, rivedendo l’album fotografico, a proposito della foto del Narducci, aveva dichiarato: “…le dico che il medico di cui parlo io è quello raffigurato nella foto a destra senza cappello e con gli slip azzurri…”.
Circa poi la casa di campagna, ove si erano svolte le “festicciole”, la donna aveva precisato: “…Il tragitto per arrivare a quella casa non lo ricordo proprio. Ricordo la casa. Son cose che rimangono impresse nella mente. Ricordo il camino. Ricordo che era una vecchia casa colonica al piano terra. Aveva un piazzalotto davanti. Era isolata. C’erano alberi davanti. Non so dire il tipo. Non erano fitti. Si trattava di qualche albero in qua ed in là. Mi sembra che si trattasse di una casa posta in pianura. Mi sembra di ricordare una zona tutta piana. Non si percorrevano salite per arrivarci. La strada per arrivare alla casa non era asfaltata. Dalla fine della strada asfaltata alla casa non mi sembra che ci fosse tanta strada da fare. Dall’asfalto alla casa non mi sembra che ci fossero grandi curve, era un percorso abbastanza dritto. Non mi sembra che ci fossero altre case nei pressi. Non ho ricordo né di orti o piantagioni o viti o olivi…per quanto riguarda l’interno ricordo un solo bagno tenuto male come la casa. Non c’era grande pulizia da nessuna parte…”.
In relazione all’epoca delle “festicciole”, aveva specificato: “…poteva essere il 1980 o forse il 1981, 1982. Ricordo che era un’estate in cui c’erano i campionati mondiali di calcio (1)”.
Il giorno 26 febbraio 2003, personale dipendente, unitamente alla Pellecchia, aveva eseguito un’ispezione dei luoghi, volta ad individuare la casa colonica in questione. Nel corso dell’atto, dopo vari inutili tentativi, esperiti sempre nel territorio di San Casciano e ripercorrendo da Firenze l’itinerario che la donna a suo tempo aveva fatto con l’auto guidata dalla Giovagnoli, la teste aveva focalizzato l’attenzione in una zona compresa tra San Casciano e Mercatale.
A tal proposito, aveva dichiarato: “la strada per arrivare alla casa era uguale a questa”. Continuando a percorrerla si era giunti a due costruzioni e la donna aveva dichiarato di riconoscere la casa contraddistinta dal civico 4/a come molto simile alla casa dove aveva partecipato ai festini a luci rosse. Inoltre, aveva esclamato: “lo spiazzale era questo” riferendosi all’aia ed al muretto che la delimitava, ricordando che il piazzale era fatto di pietre.

(1) In quegli anni i mondiali di calcio si tennero nel 1982

Nella circostanza, il personale operante aveva dato atto che, continuando a percorrere la suddetta strada, la stessa si interrompeva davanti al cancello della villa dei noti Principi “Corsini”.

2. Angiolina Giovagnoli, sentita a verbale in data 7.2.2003, subito dopo che la sua abitazione era stata perquisita giusta autorizzazione della Procura della Repubblica di Firenze, aveva mantenuto un atteggiamento palesemente insofferente per l’attività in corso, ma pur tuttavia aveva fornito precisi riscontri alle notizie in possesso dell’ufficio.
In particolare, aveva confermato:

-l’avvenuta conoscenza della Pellecchia agli inizi degli anni 80 proprio secondo le modalità raccontate da quest’ultima;

-il fatto che la Pellecchia si prostituisse anche insieme a lei (aveva riferito di un rapporto sessuale avuto da loro due insieme con un amico a cui piaceva “giocare” con due donne e di cui aveva asserito di non ricordare il nome);

-la sua conoscenza e frequentazione con le altre donne, citate dalla Pellecchia (Miniati Loredana, Cantini Anna e tale Maria Teresa);

-il fatto che all’epoca guidava la macchina.

Aveva negato, invece, di essersi recata a feste con la Pellecchia e/o con le altre amiche. In sede di individuazione fotografica, aveva riconosciuto Francesco Calamandrei e, poi, al riguardo, aveva precisato che col Calamandrei aveva avuto rapporti sessuali.
Aveva negato, però, di essersi recata a San Casciano.
Nella occasione, considerata la discordanza tra le dichiarazioni della Giovagnoli e quelle della Pellecchia su un punto rilevante degli accertamenti in corso, giusta autorizzazione del P.M. fiorentino, si era proceduto a metterle a confronto.
Durante l’atto entrambe erano rimaste sulle rispettive posizioni, ma significativa appariva la circostanza che la Giovagnoli ad un certo punto aveva affermato: “se lei (facendo chiaramente riferimento alla Pellecchia) dice così (della partecipazione ai festini) significa che è successo veramente… perché lei (la Pellecchia) non dice cazzate. Si vede che la mia mente ha deciso di cancellare questi ricordi perché troppo brutti”.
Indirettamente aveva così fornito una conferma alla veridicità dei racconti dell’amica.

Circa i rapporti tra la Giovagnoli ed il Calamandrei, quest’ufficio aveva precedentemente accertato che in un’agenda, sequestrata a suo tempo in sede di perquisizione domiciliare al Calamandrei, era annotata l’utenza telefonica 055.362432, intestata per l’appunto a Giovagnoli Angiolina, via Bellini, 41, Firenze. E l’esame della documentazione cartacea, sequestrata alla Giovagnoli, aveva consentito di rilevare, tra l’altro, l’esistenza del nominativo del Calamandrei e della relativa utenza telefonica a riprova proprio di un rapporto che doveva esserci tra i due.

3. Miniati Loredana, sentita a verbale sempre il 7 febbraio 2003, aveva riferito di aver conosciuto agli inizi degli anni 80 la Giovagnoli, alla quale, tramite un’amica comune, una certa Teresa, si era rivolta per essere aiutata nell’attività di meretricio. (Anche la Miniati, come la Pellecchia, per essere introdotta nell’ambiente della prostituzione si era rivolta alla Giovagnoli!)
Aveva negato però di aver frequentato la Giovagnoli dopo quel contatto, come pure di aver conosciuto la Pellecchia e di aver frequentato un casolare della zona di San Casciano per “festini”.
Successivamente, in sede di confronto con la Pellecchia, aveva dichiarato di conoscerla di vista pur non sapendo precisare l’epoca di questa conoscenza, mentre la Pellecchia aveva insistito con determinazione nell’affermare di averla conosciuta nelle circostanze di cui aveva parlato. La Miniati, però, aveva ribadito di conoscerla solo di vista.

4. Ghiribelli Gabriella, sentita a verbale il 28.2, il 1 ed il 5.3.2003, nonché il 5.6.2003, aveva riferito notizie di particolare interesse investigativo, fornendo, tra l’altro, riscontro anche alle affermazioni della Pellecchia circa la frequentazione di San Casciano da parte di Narducci Francesco.
Infatti, oltre ad avere riconosciuto nella foto del Narducci la persona da lei vista a San Casciano, ne aveva indicato anche le frequentazioni, tra cui un orafo ed un “medico di malattie tropicali”, identificati successivamente rispettivamente in Fabio Filippi, nato a Rapolano Terme il 12.3.1952, il primo, e Achille Sertoli, nato a Volterra il 23.7.1934, con studio medico negli anni 80 a San Casciano, il secondo. Aveva indicato anche un medico svizzero, del quale però non aveva fornito elementi sufficienti per la sua identificazione.
Aveva riferito, altresì, di aver conosciuto negli anni 80 una ragazza di Massa, tale Marisa, che si prostituiva e che portava minorenni, anche maschi, nella villa dello svizzero per particolari festini. Al riguardo, aveva aggiunto di aver saputo dalla stessa Marisa che una volta, nel corso di uno di questi festini, una giovane minorenne era rimasta in cinta e che lei si era dovuta adoperare per farla abortire.
Inoltre, tra i personaggi coinvolti nella vicenda del “Mostro”, aveva indicato anche un capo degli Hare Krhisna, senza però essere in grado di fornire ulteriori elementi idonei per la sua identificazione.
In data 1 marzo 2003, a seguito di individuazione di luoghi, la Ghiribelli aveva riconosciuto la villa, ove all’epoca aveva abitato il medico che lei aveva saputo essere di nazionalità svizzera, e presso la quale si svolgevano i festini di cui aveva parlato.
Si era appurato così che si trattava della villa “La Sfacciata” (oggi in via di ristrutturazione), che si trova proprio accanto al luogo, in cui, nel 1983, furono uccisi i due giovani tedeschi mentre si trovavano nel loro furgone.
In quella occasione, la teste aveva dichiarato di aver notato alcune differenze nella parte dell’ingresso attuale ed aveva descritto come si presentava all’epocail cancello. E tale descrizione era risultata proprio precisa, così come si era potuto riscontrare dai rilievi fotografici della villa in questione effettuati nel 1983 dai carabinieri.
In relazione, poi, ai “festini” che si svolgevano anche nella casa del noto mago Indovino Salvatore, anche con la partecipazione di bambini, la Ghiribelli aveva specificato di essere a conoscenza che “di solito la Milva Malatesta (2) era quella che faceva la parte della vittima, si sdraiava nel centro del cerchio con all’interno una stella a cinque punte, poi tutti gli uomini si accoppiavano con lei; successivamente anche i bambini venivano portati nella stanza dove c’era il cerchio, ma non so cosa avvenisse dopo. Le feste avvenivano sempre a casa di Indovino, tranne una volta che andarono in un cimitero assieme al capo degli Hare Khrisna. Infatti il giorno dopo c’era un articolo sulla Nazione, che diceva che sconosciuti avevano scoperchiato le tombe. Il cimitero era nei dintorni di San Casciano ed il periodo era nei primi anni 80”.

Nel corso dell’assunzione d’informazioni del 5 giugno, la Ghiribelli aveva riconosciuto nella foto del Nathanel VITTA la persona che aveva notato andar via dal bar di San Casciano unitamente al Francesco NARDUCCI ed all’orafo FILIPPI.
In relazione alla villa in questione, dalla lettura degli atti, relativi al duplice omicidio del 1983, si era accertato che all’epoca era stato indagato per possesso illegale di armi un cittadino tedesco, tale Rolf Reinecke, che

(2) Il 19 agosto 1993 Milva Malatesta ed il figlio Mirko di 3 anni furono uccisi e bruciati nell’auto della donna nel Comune di Barberino Val D’Elsa. Il caso è archiviato ad ignoti. Dalle indagini, relative alla cosiddetta inchiesta bis, è emerso, tra l’altro, che la citata Malatesta era stata amante, tra gli altri, di Francesco Vinci, più volte indagato per la vicenda dei duplici omicidi delle coppiette e che, in data 7.8.1993, fu trovato ucciso, insieme al suo servo pastore, Angelo Vargiu, nei boschi nei dintorni di Pisa. I cadaveri dei due, incaprettati secondo la tipica esecuzione mafiosa, furono bruciati e vennero rinvenuti nel bagagliaio dell’autovettura di proprietà del Vinci. Il caso è archiviato ad ignoti.
In data 28.5.1994 (a distanza di poco più di un mese dall’inizio del processo di primo grado a carico di Pietro Pacciani) a San Mauro a Signa, fu uccisa la prostituta Milvia Mattei, presso la quale all’epoca viveva Fabio Vinci, figlio di Francesco Vinci. Il cadavere della donna, semi carbonizzato, fu trovato sul letto.

abitava in un appartamento annesso alla villa e che i due cadaveri dei tedeschi era stati scoperti da questo tedesco, che però non aveva dato subito l’allarme.
Inoltre, dagli atti dell’inchiesta si era rilevato che tra i nominativi annotati nelle agende di Francesco Calamandrei c’era anche quello del Prof. Achille Sertoli, peraltro indicato dalla moglie del farmacista, Mariella Ciulli, a suo tempo come uno degli amici più intimi del marito.
Si era accertato che il nominato Sertoli era residente a Firenze in via del Poggio Imperiale nr. 31 e che era iscritto all’Albo dei medici quale specialista in Dermatologia. Si era anche appreso che negli anni 80 aveva avuto uno studio medico a San Casciano.
Il predetto SERTOLI veniva poi riconosciuto dalla Ghiribelli come “il medico della pelle e malattie tropicali” di cui aveva parlato e che si accompagnava al “medico svizzero” ed al “medico di Perugia”.
Il SERTOLI, agli atti d’ufficio, era risultato più volte denunciato dalla moglie BAGNOLI Maria Rosaria, nata a Benevento il 9.7.1950, per atti di violenza fisica.

5. Pietro Fioravanti, legale storico dell’imputato Pietro Pacciani, sentito a verbale in data 5 e 17.12.2002 da quest’ufficio e, in data 22.1.2003 dal P.M. della Procura della Repubblica di Perugia, aveva fornito importanti notizie.
Il professionista innanzi tutto aveva dichiarato di aver appreso dal suo cliente che “queste storie sono minestre del diavolo” e che i sette delitti (e non otto!) di Firenze “tutti a suo dire di matrice demoniaca e satanica” erano collegati a “10 omicidi di prostitute, avvenute in Toscana ed Emilia”.
Aveva spiegato che il Pacciani gli aveva precisato che “si trattava di delitti studiati a tavolino e che la storia di questi delitti era dentro lo spirito guida, intendendo per spirito guida la magia”.
Inoltre, aveva aggiunto di aver saputo dal cliente (ed anche questo particolare conferma le dichiarazioni della Ghiribelli!) che questi aveva frequentato l’Indovino ed un altro mago, che poi lui aveva avuto modo di identificare in Francesco Verdino, alias “il mago del Messico”.
Aveva ancora precisato: “Pacciani mi parlò del farmacista di San Casciano, il cui nome è Calamandrei, come persona interessata a questi discorsi di magia, chiaramente facendo riferimento ai delitti del Mostro, nonché di un medico di Firenze “che non era buono a trombare” e che faceva l’ortopedico, e qualche altro personaggio “più fine”, almeno così da lui definito. Pacciani insisteva molto sul tema della magia, tanto che poi Suora Elisabetta gli portò un libro sul satanismo (3)”.
Procedendo ancora oltre con le sue dichiarazioni, il legale spontaneamente aveva ritenuto di riferire un altro fatto connesso al significato magico dei delitti.
Aveva raccontato, infatti: “poco prima che incominciasse il processo Pacciani e, quindi, prima del 19.4.1994, per due volte ricevetti in studio le telefonate di una donna, qualificatasi come Marisa da Massa, la quale, dopo essersi accertata che ero il difensore di Pacciani, mi iniziò a parlare di magia e di festini che si facevano in una villa nel territorio di San Casciano” (proprio il racconto della Ghiribelli!!).
Così aveva continuato: “Mi spiegò che era lei a procurare le ragazze vergini che dalla Garfagnana poi si recavano in questa villa. Mi spiegò anche che una di queste ragazze era rimasta incinta (la Marisa aveva spiegato alla Ghiribelli che una ragazza era rimasta incinta ed avrebbe dovuto farla abortire!!!) e che, come riparazione, al genitore era stato donato un podere in Garfagnana. Dalla voce questa donna poteva avere 40/45 anni. Nei discorsi che mi fece mi parlò per l’appunto di riti e di magia legati agli omicidi del Mostro di Firenze e mi spiegò che il Pacciani c’entrava con questa storia e riordinava la villa dopo che avevano fatto i festini. Non mi fece nomi dei

(3) Nel corso delle perquisizioni domiciliari eseguite nelle abitazioni di Pacciani Pietro furono rinvenuti i seguenti libri ed appunti riferibili al satanismo ed alla magia: -libro “pericolo di morte”; volume “Dominio sui demoni” di H.A. Maxwell Whyte (perquisizione del 6.12.1991 nella cella di Sollicciano); appunti manoscritti “Magia Nera”.

partecipanti a questi festini, ma mi disse che c’era qualche avvocato e qualche giudice (la Ghiribelli riferisce di aver saputo dalla Marisa che, tra i partecipanti, c’erano un famoso avvocato di Livorno ed il giudice Vendrame, deceduto, del quale ha fornito anche indicazioni sul domicilio fiorentino e sull’attività della moglie), concludendo che comunque erano persone importanti”.
Circa l’ubicazione della villa, il Fioravanti aveva precisato che, su sua esplicita domanda, la sua interlocutrice gli aveva spiegato che si trovava vicino ad una chiesa sconsacrata e comunque nel territorio di San Casciano.
In relazione poi ad eventuali notizie in suo possesso sulla morte del medico perugino Francesco Narducci, il professionista aveva dichiarato che di questo evento gliene aveva parlato il Pacciani, il quale lo aveva invitato a fare indagini perché il chiarimento di quella morte sarebbe andato a “suo vantaggio”. Aveva Aggiunto: “Ricordo che mi disse che questo Narducci aveva una villa, forse a Vicchio o nella zona di San Casciano, in affitto e ricordo pure che Pacciani collegava la morte di questo Narducci all’uccisione di un conte, fatta passare come incidente di caccia. Si tratta della morte del conte Corsini (4). Pacciani si lamentava del fatto che non avessero fatto indagini sulla morte di queste due persone ed in particolare sulla morte del Narducci… Ho avuto l’impressione che il Pacciani conoscesse personalmente il Narducci, ma non mi spiegò i dettagli di questa conoscenza”.
Successivamente, in data 22.1.2003, il Fioravanti, sentito dal P.M. della Procura della Repubblica di Perugia, aveva confermato le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria ed aveva fornito ulteriori dettagli.
In particolare, aveva aggiunto: – che il Pacciani gli aveva precisato che il Narducci Francesco aveva sposato una Spagnoli; – che da come aveva potuto

(4) Corsini Roberto, nato a Firenze il 4.10.1950, già residente in San Piero a Sieve, via Le Mozzette, 1, il giorno 20.8.1984 fu trovato ucciso da un colpo di fucile in località Mercatali di Scarperia. Fu arrestato tale Marco Parigi, nato a Scarperia il 3.4.1960, che si era introdotto nella tenuta del conte per cacciare di frodo. Il Parigi fu condannato.

capire il Pacciani doveva aver conosciuto il Narducci a Vicchio dove, molto probabilmente, il medico perugino aveva una villa in affitto ovvero una porzione di villa del Corsini che aveva a Vicchio una riserva di caccia; che il Pacciani gli aveva detto che “il Narducci e il Corsini erano “in combutta” e che il Narducci aveva un’abitazione a Vicchio, ma che le riunioni le facevano a San Casciano vicino alla chiesa sconsacrata e ad un’azienda vinicola”. Aveva precisato che Pacciani, quando parlava di “combutta”, intendeva alludere anche alle “attività di tipo magico sessuale violento, tipo quelle che caratterizzano i rapporti sessuali tra il Pacciani, il Vanni, la Sperduto e la Ghiribelli, ma anche persone di alto livello cui allude una lettera anonima che il Pacciani mi consegnò poco prima del processo e che detti in originale al dirigente della s.a.m. dr. Perugini su invito del dr. Canessa che informai immediatamente. Oltre all’attività magico – sessuale che ho descritto, il Pacciani alludeva anche a rapporti di pedofilia che avrebbero coinvolto non i cosiddetti “compagni di merenda”, ma soprattutto persone altolocate” (come si può vedere tanti sono i riscontri alle dichiarazioni della Ghiribelli ed anche a quelle rese dalla Pellecchia Marzia!).
Il Fioravanti aveva aggiunto altresì, sempre in relazione alla vicenda del Mostro di Firenze, che il Pacciani “sottolineava in particolare il ruolo del farmacista di San Casciano dr. Calamandrei, definendolo ironicamente “bel soggetto”, mentre, a proposito del Narducci, specificava: “a quanto riferitomi dal Pacciani era inserito in questo ambiente, e questo l’ho saputo anche per degli accertamenti che ho fatto di mia iniziativa ma sempre nell’ambito della difesa Pacciani. Oggi sono sicuro, rivedendo tutto in maniera retrospettiva, che le indagini sulla morte del Narducci furono bloccate dall’alto sia a Firenze che a Perugia e a Firenze, forse, anche per un intervento esterno”.
Il professionista aveva citato poi l’episodio delle 32 lettere anonime ricevute durante il processo di primo grado ed alla domanda del P.M. se ne avesse parlato con il cliente, aveva spiegato: “ve ne dico una parte di quello che mi ha detto: “Toh! Toh! Guarda! Guarda! Come a dire: finalmente ci siete arrivati! Questa è stata l’espressione di Pacciani. Per il resto, non posso rispondere, trattandosi di fatti che ritengo coperti dal segreto professionale. Aggiungo soltanto che l’anno scorso è stata scoperchiata la tomba di Pacciani, all’incirca nell’epoca in cui è stato seppellito Giancarlo Lotti. Questo danneggiamento l’ho visto personalmente”.
Infine, alla domanda se avesse chiesto a Pacciani se fosse mai andato a Perugia, aveva risposto così: “ io chiesi al Pacciani perché lo interessasse tanto il Narducci e lui rispose che a Vicchio si diceva che il Narducci e il conte Corsini erano insieme e voglio precisare che, nel lessico di Pacciani, il “si diceva” equivaleva ad “era o erano” e, quindi, esprimeva una certezza. Il Pacciani, inoltre, parlava spesso del dottore di Perugia, facendo riferimento al Narducci. Concludo dicendo che il Pacciani aveva con me un rapporto molto stretto e non sono sicuro che i riferimenti al Narducci li abbia fatti anche agli altri difensori. Quando io rinunciai al mandato, dopo l’assoluzione in appello del Pacciani, questo mi accusò di non aver fatto tutte le indagini che mi aveva chiesto tra cui espressamente quella sulla morte del Narducci e quella sulla morte del conte Corsini”.

6. Lorenzo Nesi, sentito il 48 aprile e 22 maggio 2003, aveva fornito anche lui importanti ed inedite informazioni, che, tra l’altro, riscontravano le dichiarazioni della Ghiribelli, della Pellecchia e del Fioravanti.
Il predetto, tra le persone che frequentavano il bar di San Casciano e che conoscevano il Vanni, sfogliando l’album fotografico, sottopostogli in esame dall’ufficio, aveva riconosciuto le seguenti persone:
– l’orefice Filippi, di cui aveva parlato la Ghiribelli; Narducci Francesco, di cui però non conosceva il nome, ma con certezza aveva spiegato di aver visto la persona raffigurata nelle foto mostratele a San Casciano. A tal proposito aveva aggiunto: “Ne sono proprio certo e credo che abitasse in una villa o comunque in una casa colonica grossa, che si trovava sulla strada che da San Casciano va verso Cerbaia, e precisamente vicino alla chiesa di San Martino. Non era sicuramente una persona del posto e mi sembra di ricordare di averla vista insieme al farmacista di San Casciano che si chiama Francesco Calamandrei”.
Alla domanda su come ritenesse che abitasse in quel posto, aveva precisato di averlo visto più volte a piedi proprio lì mentre lui si trovava a passare con la macchina.
Ed ancora aveva aggiunto a proposito sempre del Narducci: “ricordo che correva voce che fosse gay. Questa persona sono sicuro di averla vista con un tipo un po’ strano, di nazionalità straniera, ma non so dirvi di dove. Dico strano perché era proprio un omone che vestiva in maniera un po’ stravagante ed ho ricordo che avesse una camminatura tipica da gay. Questo omone credo che avesse un’auto grossa, ma non so dirvi se fosse una Jaguar o un Mercedes… anche l’omone abitava nella zona in cui ho dichiarato abitava la persona raffigurata nella foto n. 2 (Narducci Francesco)”.
Circa poi il periodo di tempo in cui li aveva notati insieme, aveva precisato che si trattava degli anni che vanno dal 1975 al 1982 (sostanzialmente lo stesso periodo di tempo cui sia la Pellecchia che la Ghiribelli avevano fatto riferimento!).
In relazione sempre al Narducci, aveva aggiunto di averlo visto insieme al Calamandrei ed alla sorella ed al cognato di questi.
Lo stesso, sfogliando l’album, aveva riconosciuto altresì il mago Verdino Francesco affermando a proposito di questi che si trattava della persona che “trombava con la figliola della donna di Pacciani che prima abitava nella casa vecchia di Faltignano 5.

5 Trattasi di Maria Antonietta Sperduto, amica di Vanni e Pacciani e madre di  Milva Malatesta di cui si è parlato.

A proposito del Verdino, aveva aggiunto: “Fu Vanni a dirmi che quest’uomo se la intendeva con la figlia della Sperduto. Sempre Vanni mi disse che quest’uomo faceva il mago e frequentava la casa della Sperduto. In questa casa sempre dai racconti fattimi dal Vanni venivano fatte cose strane, tipo orge, tanto che mi avevo fatto l’idea che fosse un casino di decima classe frequentato da diverse prostitute… in quel posto si facevano cose strane, proprio brutte, tanto che lo stesso Vanni ne rimaneva disgustato. Non erano festini, ma qualcosa di più torbido, che aveva sempre a che vedere con perversioni di sesso, ma di un sesso estremo. Mi viene in mente che la figlia della Sperduto, quella uccisa, per come ho capito dal Vanni, doveva aver subito una serie di violenze molto particolari che non so spiegare durante quelle riunioni a sfondo sessuale…” (aveva confermato in pieno le dichiarazioni della Ghiribelli anche su questo punto!).
L’8 aprile 2003, il Nesi aveva chiesto di poter parlare coi verbalizzanti affermando di essersi ricordato il nominativo della persona da lui indicata come “l’omone”.
Aveva così riferito che il nome era Vitta ed aveva ribadito di avere visto questa persona più volte insieme al Narducci.
Il 22 maggio 2003, sempre il Nesi, in sede di individuazione fotografica, aveva riconosciuto il Vitta di cui aveva parlato in Vitta Nathanel, nato a Gerusalemme il 30.1.1945, residente a San Casciano V. di P., via Empolese, 450 presso la tenuta “Il Poggiale”, titolare di varie società in diversi settori (abbigliamento, immobili…), coniugato con Occhiena Romana Daniela, nata a Torino il 27.6.1954, ivi residente, Corso Moncalieri, 56.
Il giorno 14 aprile 2003, personale dipendente aveva eseguito un sopralluogo nella zona indicata dal Nesi accertando che quel posto corrispondeva proprio allo spiazzo antistante la villa del Vitta. Aveva accertato altresì che, fino all’anno 1985, gli unici campi da tennis privati nel Comune di San Casciano si trovavano presso quella villa. Quest’ultimo particolare aveva assunto importanza alla luce delle dichiarazioni del Nesi del 4 aprile 2003 allorché il teste aveva riferito, a proposito della persona riconosciuta per il Narducci Francesco: “Era una persona dal fisico atletico, più giovane dell’omone, all’epoca poteva avere 28/30 anni. Il fisico era ben curato e credo che facesse anche dello sport, tipo tennis. Dico questo perché ho ricordo di averlo visto con una borsa con le racchette da tennis, ma non so dire dove nella zona andasse a giocare, forse in un campo privato”.

7. Fernando Pucci, sentito a verbale in data 3.6.2003, aveva fornito anche lui importanti riscontri.
Infatti, circa le frequentazioni del bar di San Casciano, presso il quale s’incontrava col Lotti, aveva specificato di aver conosciuto di vista diverse persone con le quali però lui non aveva mai parlato a differenza di Giancarlo Lotti che veniva preso in giro. Tra i personaggi mostratigli in un album fotografico predisposto dall’ufficio, il Pucci aveva riconosciuto in qualche modo alcuni, ma su altri era stato abbastanza certo. Tra questi ultimi, aveva indicato le foto che riproducevano Narducci Francesco e Vitta Nathanel ed aveva precisato che li aveva visti insieme.
A proposito della persona riconosciuta per Francesco Narducci aveva spiegato che “era alto e magro, un tipo finocchino”, mentre del Vitta che “era un omone che stava bene coi soldi, ricco e che ho saputo perché me lo hanno detto che aveva una bella casa nella zona”.
Aveva riconosciuto con certezza anche la foto riproducente Jacchia Gian Eugenio spiegando “ricordo che teneva la bocchina quasi sempre chiusa. Era piuttosto allegro, scherzoso e gli piaceva prendere in giro Giancarlo che si arrabbiava. L’ho vista al bar”.

Parallelamente anche l’indagine collegata condotta dal P.M. di Perugia, dottor Giuliano Mignini, in relazione alla morte del Narducci Francesco aveva portato alla raccolta di elementi importanti e fino a quel momento davvero insperati sia per i lunghi anni trascorsi, sia per le ormai acclarate coperture, anche istituzionali (oggi il dato è stato sufficientemente acquisito!), che a suo tempo furono messe in atto per non fare emergere la reale causa della morte del professore perugino.

In estrema sintesi, gli elementi investigativi dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Perugia erano i seguenti:

a. Il prof. Francesco Narducci, gastroenterologo presso il Policlinico di Perugia, la mattina dell’8.10.1985, durante l’espletamento di un esame medico su un paziente, aveva ricevuto una telefonata da parte di persona, rimasta ancora ignota. Quel giorno, dopo l’ufficio, con la moto di sua proprietà si era recato al Lago Trasimeno, dove aveva prelevato il proprio motoscafo asseritamene per un breve giro. Poiché poi non aveva fatto rientro nella serata, era scattato l’allarme e di conseguenza le ricerche si erano protratte fino al giorno 13 mattina quando era stato ripescato nelle acque del lago il cadavere di un uomo, dai documenti riconosciuto per il Francesco Narducci. Nell’occasione, non era stato svolto alcun accertamento di tipo autoptico, ma solo un’ esame esterno del cadavere ripescato ed il decesso era stato classificato come “morte per annegamento”.

b. Nel 2001, a seguito di risultanze investigative emerse nel corso di un’indagine, avviata dalla Procura della Repubblica di Perugia, su ipotesi di reato che lasciavano ipotizzare il coinvolgimento di una sorta di setta in un’attività delinquenziale ai danni di una giovane madre di Foligno, erano stati acquisiti riferimenti precisi alla morte di Pietro Pacciani ed a quella del dott. Francesco Narducci. Il P.M., titolare di quell’inchiesta, dopo preliminari accertamenti, aveva disposto la riesumazione della salma e specifici accertamenti medico – legali e tossicologici affidati ad esperti dell’Università di Pavia. A seguito di tali verifiche, era risultata, in particolare, la presenza di meperidina nei capelli del Narducci in quantità tale che aveva portato gli esperti a ritenere che l’assunzione si fosse protratta almeno per gli ultimi sei mesi di vita, nonché la frattura del corno sinistro della cartilagine tiroidea, tipica di un’attività di strozzamento o di strangolamento 6. Altro tipo di accertamento sulle misurazioni del cadavere ripescato la mattina del 13.10.1985 e che era stato ripreso disteso su un pontile del lago, avevano consentito di constatare che quel cadavere non corrispondeva assolutamente al fisico del Narducci, lasciando ciò ragionevolmente ipotizzare pertanto che si fosse trattato di altro soggetto, la cui identità tuttora è sconosciuta 7.
E’ evidente, quindi, che il prof. Francesco Narducci è stato ucciso e che il corpo recuperato in mare apparteneva ad altra persona, che ancora non è stato possibile identificare e della quale non si conosce neppure la causa della morte e la destinazione della salma.

c. Numerose persone informate dei fatti, sentite direttamente dal P.M. di Perugia o, su delega, dalla polizia giudiziaria, appartenenti a diversi ambienti e ceto sociale, avevano riferito del coinvolgimento del prof. Francesco Narducci nella vicenda “Mostro di Firenze”. Qualcuno addirittura gli aveva attribuito il compito di “custode” alludendo chiaramente ai feticci asportati alle povere vittime. Alcune persone avevano riferito anche che il

6 Nella relazione di consulenza tecnica del prof. Giovanni Pierucci, a pag. 36, si legge: “La frattura del corno sinistro della cartilagine tiroidea è segno inequivocabile che fu esercitata un’azione traumatica di rilievo, attuata in modo concentrato sulla regione anatomica di pertinenza, segnatamente quella laterale sinistra del collo. Circa le modalità con cui tale azione traumatica può essersi realizzata, è da escludere la mera accidentalità, quale per esempio potrebbe derivare dalla caduta con impatto del collo contro una sporgenza, poiché in questo caso la forza viva che verrebbe ad esercitarsi sulla specifica struttura anatomica avrebbe una durata brevissima, coincidente di fatto con il momento dell’impatto; né appare verosimile qualsivoglia altra ipotesi che facesse riferimento ad improprie manovre di recupero e trasporto del cadavere…”, mentre a pag. 37 si legge: “Tornando dunque alla causa di morte di Francesco Narducci, l’unico elemento positivo rilevato nel corso degli accertamenti disposti induce gli scriventi a ritenere che con elevata probabilità la morte fu conseguente ad una violenta costrizione manuale del collo attuata con finalità omicidiaria.”. Ed ancora, nella parte conclusiva dell’elaborato, a pag. 52, si legge: “L’obiettivata frattura del corno superiore sinistro (parzialmente calcificato/ossificato), che si ritiene avvenuta in vita, rende quanto meno probabile che la causa della morte di Narducci Francesco risieda in un’asfissia meccanica violenta prodotta da costrizione del collo (manuale – strozzamento; ovvero mediante laccio-strangolamento) secondo una modalità omicidiaria.”

7 Nella relazione di consulenza medicolegale in tema di metodiche identificative della dottoressa Gabriella Carlesi, nelle conclusioni, si legge: “Non vi è compatibilità antropometrica e qualitativa tra il corpo del dottor Narducci, esumato nel giugno 2002, di lunghezza di 180 cm e circonferenza addome alla vestizione di 72/75 cm, con capigliatura presente su tutto l’ambito del cranio, ben conservata ed intatta e le immagini del corpo ripescato dal lago Trasimeno in data 13 ottobre 1985, di lunghezza stimata di 173,3 cm, di circonferenza addominale di circa 110 cm e completamente privo di capillizio nella sede fronto-temporo-parietale sinistra.”

Narducci sarebbe entrato a far parte di una pericolosa setta fiorentina dedita a quel tipo di delitti ed era stato spiegato che quale segno distintivo della setta gli adepti erano riconoscibili dal disegno di una rosa rossa, impressa nell’avambraccio.

d. Le notizie dell’inchiesta perugina avevano così confermato, tra l’altro, anche il contenuto di diversi anonimi, pervenuti negli anni passati sia alla polizia giudiziaria di Firenze, sia direttamente alla Procura della Repubblica della stessa città, e che avevano indicato il Francesco Narducci come il “Mostro di Firenze”.

Alla luce delle suddette emergenze, il P.M. dott. Canessa, in accoglimento della richiesta di quest’ufficio, aveva richiesto al GIP, ottenendola, l’autorizzazione all’intercettazione telefonica di varie utenze in uso ai personaggi d’interesse investigativo e tale attività è tuttora in corso, estesa anche ad altri personaggi emersi via via.

Questa, in sintesi, la premessa.

Il prosieguo dell’attività investigativa ha consentito, ad oggi, di avere un quadro fattuale della vicenda ancor più completo ed articolato, nonché di avere alcuni punti, che possono considerarsi in un certo senso “punti fermi” e che sono, a giudizio di quest’ufficio, meritevoli di opportuni approfondimenti, come in effetti si sta facendo anche col prezioso apporto del personale del RONO carabinieri di Perugia.

Ed è proprio l’illustrazione di questi punti fermi dell’inchiesta lo scopo principale della presente nota, così come sarà spiegato qui di seguito.

1. Presenza di Francesco Narducci nella zona dei duplici omicidi e, in particolare, nella zona di San Casciano V. di P. proprio negli anni dei duplici omicidi.

La presenza del medico perugino nella provincia di Firenze, come pure la sua partecipazione ai delitti, da tempo – addirittura ancor prima dell’essersi verificato l’ultimo duplice omicidio – era una “voce pubblica” molto diffusa a Perugia e ad un certo punto anche a Firenze, dove a partire dagli anni 80, erano giunte diverse segnalazioni, purtroppo, anonime, sia direttamente negli uffici della Procura della Repubblica, sia negli uffici di polizia locali.

Adesso, però, non si tratta più di “voce pubblica”.

Infatti, in relazione alla presenza del Narducci, oltre agli elementi testimoniali, già riferiti in premessa, sono stati raccolti ulteriori precisi ed inequivocabili informazioni da parte di più persone, che peraltro non risultano conoscersi tra di loro, né comunque risultano in contatto tra di loro, tanto che le loro affermazioni non possono che essere valutate del tutto genuine.

E questa presenza, i cui contorni a poco a poco si sono sempre meglio delineati, conduce proprio ai personaggi, oggetto di indagini per essere ritenuti i mandanti dei duplici omicidi e, in particolare, al farmacista di San Casciano, Francesco Calamandrei. Personaggi, che, tra l’altro, risultano far parte della massoneria, così come risultano essere ben legati alla massoneria a Perugia il padre ed il suocero del Narducci Francesco.

Si richiamano, quindi, alcuni stralci delle nuove testimonianze, ritenute di maggiore e specifico interesse.

– Ghiribelli Gabriella, in data 11 luglio, alla domanda se avesse fatto sesso con qualcuna delle persone dalla stessa citate nei precedenti verbali, rispondeva: “…ricordo di aver fatto sesso con il dottore di Perugia; questo aveva un comportamento ambiguo, nel senso che non si eccitava e solo quando me lo appoggiava al sedere si eccitava. In quest’ultimo caso arrivava subito all’orgasmo. In tutto ho fatto sesso con lui 4 o 5 volte”.
Alla domanda di riferire il luoghi di questi incontri, precisava: “In albergo a San Casciano. Ricordo che questo si trovava nella piazza dove fanno il mercato il lunedì. Era sempre nei fine settimana e per ogni prestazione sessuale mi dava 300.000 lire:”
Circa la conoscenza col Narducci, precisava: “…l’ho conosciuto tramite Giancarlo, che gli parlò bene di me. Ricordo che erano i primi anni 80 ed io ero giovane e lui aveva grosso modo la mia età. Una volta siamo andati anche a mangiare fuori in compagnia della Nicoletti e del Lotti, andammo al ristorante “La Lampara” a Firenze, in via Nazionale”.
Sempre nella medesima circostanza la Ghiribelli forniva informazioni circa una persona americana, di colore, che frequentava la zona di San Casciano e della quale si erano chieste notizie dopo che, dall’attività d’intercettazione tra presenti svolta nella sala colloqui della Casa Circondariale di Pisa, durante un incontro tra Vanni Mario e Nesi Lorenzo, si era appreso che nei duplici omicidi, oltre al Pacciani ed al Lotti, era implicato un “nero americano di nome Ulisse che si era ucciso”.
Sul punto, la donna riferiva: “…in quegli anni (tra l’80 ed il 90) il mio amico Giancarlo Lotti mi riferiva della sua conoscenza con un uomo di colore di nazionalità italo – americana. Quest’uomo viveva nella villa “La Sfacciata”, credo fosse ospite quasi fisso del medico che ho indicato come quello che mummificava la figlia. Comunque Giancarlo mi diceva che lo trovava sempre in villa…l’ho conosciuto di vista perché frequentava il bar “Centrale” nella piazza di San Casciano; in queste occasioni ho avuto modo di sentirlo parlare e posso affermare che parlava correttamente l’italiano con una inflessione penso americana. Sempre in queste circostanze l’ho visto parlare con “l’orefice” e aggiungo che era una persona distinta vestita sempre in giacca e cravatta, e sempre con un bel po’ di soldi in tasca. Questo lo posso affermare in quanto l’ho visto personalmente mostrare al suo amico “orefice” una mazzetta consistente di banconote…era alto circa 1.80/85, robusto di corporatura, capelli scuri corti, indossava occhiali con lenti chiare e la montatura dorata, aveva un orecchino a cerchio sul lobo sinistro, e a volte aveva un cappello alla borsalino sempre abbinato al colore della camicia. Era un uomo che curava molto l’aspetto estetico…aveva anche al polso un orologio tipo Rolex tutto in oro…spesso questo individuo dava dei soldi a Giancarlo…Giancarlo usava questi soldi per portare la nipote di Vanni al mare o per andare con la Nicoletti Filippa a mangiare e per farci l’amore…Giancarlo lo chiamava Uli e altre volte Ulisse, Io so perché me lo disse il Lotti che quello non era il vero nome, ma era un soprannome. Non sono a conoscenza del vero nome di Uli…Quando gli facevo delle domande specifiche sull’Uli, Giancarlo evitava di rispondere limitandosi a dirmi che era un amico del dottore svizzero,quello che abitava a “La Sfacciata”. Per quanto mi raccontava Giancarlo, i due abitavano nello stesso appartamento e il Lotti ogni tanto andava a fargli visita”.
Successivamente, in data 22 luglio 2003, la Ghiribelli, in sede di individuazione fotografica, riconosceva nella foto di Mario Robert Parker, nato a Monmouth l’11.9.1954, la persona che aveva indicato come quella che abitava presso la villa del medico svizzero e che era amica del Lotti, da lei vista a San Casciano insieme alle persone che aveva indicato in precedenti verbali, quali componendi di un gruppo dedito anche a particolari “festini” (l’orefice, il medico delle malattie tropicali, il medico di Perugia…). A proposito di quest’ultimo precisava: “…in alcune occasioni li ho visti parlare insieme e successivamente andare via assieme il medico di Perugia ed Uli, sempre a bordo dell’autovettura di quest’ultimo”.
Nella occasione, a proposito sempre di questa persona, dichiarava anche: “…in alcune occasioni era giunto a San Casciano in compagnia di un’altra persona sempre di colore, di pelle più chiara di lui, ma molto più robusto e alto di Uli. Di questo mi sembra di ricordare che veniva chiamato “Abiba” e anche lui vestiva molto elegante ed aveva modi raffinati…”

– Nicoletti Filippa, sentita l’11 settembre 2003, riconosceva nella foto del Narducci Francesco una persona da lei conosciuta agli inizi degli anni 80 e verosimilmente nel 1981 all’epoca in cui il suo convivente, Salvatore Indovino, si trovava detenuto in carcere.
Infatti, dichiarava: “…Si trattava di una persona molto fine, elegante, che parlava bene e che non era di Firenze, ma non so dirvi di dove fosse. La vidi una sola volta alla trattoria di via Nazionale, credo proprio la Lampara, e mangiai insieme a lui. Non ricordo se con noi ci fosse qualcun altro. E’ stata una cosa passeggera, mi sembra che si fosse presentato come un fotografo e che girava film. Non ricordo se ho avuto rapporti sessuali con lui, ma se c’era la Gabriella non mi ci faceva arrivare. Era sicuramente il 1981, forse nel periodo in cui Salvatore si trovava in galera. Nella mia mente io abbino in qualche modo questa persona da me riconosciuta nella foto nr. 15 alla Gabriella, ma non so se Gabriella era a mangiare anche lei con noi o l’abbiamo incontrata fuori dal locale…Era una persona con un fisico alto, curato, atletico e quando la vidi io questa persona era proprio come è ritratta nella foto nr. 15…non ricordo come questa persona disse di chiamarsi, ma è una persona che comunque mi rimase ben impressa nella mente, tanto che a distanza di anni me la ricordo bene, proprio perché si trattava di una persona diversa da quelle che normalmente frequentavo. Diversa comunque per ceto sociale, sia per i suoi modi di comportamento molto fini, gentili e mi rimase impresso il modo con cui rideva che è proprio come sorride nella foto nr. 15. Può darsi che con questa persona io sia andata anche a letto, ma sinceramente non me lo ricordo. Ricordo bene invece che aveva un modo di fare molto vanitoso, che ci teneva a dirmi che lui era una persona buona, grande, che ci sapeva fare, come se fosse stato unico in grado di conquistare il mondo. Era in pratica molto esuberante. Aveva all’incirca la mia stessa età…non ricordo come si sia presentato, ma ho un vago ricordo del nome Giuseppe o Pino ed ho anche un vago ricordo che mi abbia detto che era calabrese, ma dal parlare non mi sembrava affatto. Si esprimeva in perfetto italiano e senza la cadenza tipica calabrese, che io conosco. Sicuramente non mi disse la verità. Ho però un ricordo che mi abbia detto che abitava a Prato e che faceva dei film e delle foto, tanto che mi propose se volessi andare con lui per farmi fare delle foto. Io rifiutai. Dopo di quella volta non lo rividi più.” (La Nicoletti “abbina” la persona del Narducci alla Ghiribelli confermando le dichiarazioni di quest’ultima, nonché alla città di Prato e la Pellecchia aveva conosciuto il Narducci come medico di Prato!)
Circa gli amici stranieri di Giancarlo Lotti, la Nicoletti (8) poi riferiva: “di Giancarlo io, come ho dichiarato in passato, ero un’ottima amica e con me spesso si confidava. Ricordo bene che mi parlò in qualche occasione di un’amico americano, con cui andava a pranzo insieme e che l’aveva invitato a casa sua in America, ma lui non era andato. Poi, mi parlò anche di un amico tedesco (9) che aveva trovato a San Casciano e che poi aveva visitato in Germania.”
A conclusione dell’atto, mentre la Nicoletti firmava l’album, che le era stato mostrato per l’individuazione fotografica, giunta alla pagina

(8) E’ utile ricordare che la Nicoletti Filippa, come è emerso nel processo a carico di Vanni Mario + tre, era stata un’ottima amica del Lotti e dallo stesso Lotti era stata condotta in auto, per fare sesso, anche nella piazzola di Vicchio dove nel 1984 furono uccisi la Rontini e Stefanacci e proprio qualche giorno prima del delitto.
(9) Il Lotti, durante le indagini a suo carico aveva fatto cenno all’amico tedesco, che aveva anche visitato in Germania, ma mai aveva fatto riferimento ad un amico americano.

contenente la foto n. 15 (quella di Narducci Francesco), spontaneamente dichiarava: “mi sembra di vederlo anche ora.”

Ciulli Pietro, imprenditore, fratello di Ciulli Mariella e cognato del farmacista Francesco Calamandrei, sentito in data 23 luglio 2003, dichiarava di non avere avuto mai un buon rapporto col cognato per via del fatto che questi era solito ubriacarsi. Dichiarava altresì che la sorella, da circa 15 anni, soffriva di problemi di natura psichica e che presumeva che detti problemi fossero stati determinati da qualcosa che la sorella aveva visto o vissuto e che l’aveva lasciata sconvolta.
In sede di individuazione fotografica, riconosceva la persona raffigurata nella foto n. 3 (quella di Narducci Francesco) come la persona che aveva avuto modo di vedere insieme al cognato.
Dichiarava infatti: “questo l’ho già visto insieme al Calamandrei, ma io non ci ho mai parlato. Può darsi che l’abbia visto o al matrimonio di mia sorella con Francesco o in farmacia dal Calamandrei. Era una persona molto distinta, sembrava quasi un Conte”.
Riconosceva anche la foto di Jacchia Gian Eugenio come quella della persona con cui, insieme al cognato, era stato al bar a bere qualcosa e che gli era stata presentata proprio dal Calamandrei.

Martellini Tamara, ex moglie dell’architetto Gianni Ceccatelli, amico di Francesco Calamandrei, sentita in data 17 settembre 2003, forniva puntuali riscontri sulla presenza del Parker Mario Robert in San Casciano negli anni 80 ed anche sulla presenza del Narducci Francesco all’interno della farmacia del Calamandrei, da lei visto mentre era intento a parlare proprio col Calamandrei e con altre persone delle quali, però, non ricordava chi fossero.
Infatti, dichiarava: “La foto nr. 3 della persona di colore (quella del Parker) credo di averla vista a San Casciano e i miei ricordi vanno ad una persona molto alta, magra , elegante, ben vestito e con una borsetta di cuoio in mano, non sono in grado di poter collocare il ricordo di questa persona con qualcuno. Di questa persona ho l’immagine mentre scendendo da via Roma, si dirige verso piazza Pierozzi, mentre io in senso inverso percorrevo via Roma. Rimasi colpita che fosse di colore, anche perché all’epoca non se ne vedevano tanti e dal fatto che era molto alto e vestito con cura. Questo incontro sicuramente è avvenuto negli anni 80, ma non posso essere più precisa.”
“La persona raffigurata nella foto nr. 15 (quella di Narducci Francesco) non mi è un viso nuovo, ma non riesco a ricordare francamente ove l’ho visto. Ora che lo sto riguardando ritengo di averla vista in farmacia e nell’occasione aveva gli stivali di equitazione…Ora lo sto proprio rivedendo e sono proprio sicura di averla vista all’interno della farmacia di Francesco Calamandrei. Sto rivedendo la scena. Era appoggiato al bancone e parlava con Francesco Calamandrei. Francesco mi salutò, ma non me lo presentò. C’erano anche altre persone, ma non so dire chi fossero. Era un giovane molto fine, delicato, era poco più alto di Francesco ed aveva un fisico da sportivo. Era piuttosto aristocratico. Circa l’epoca in cui lo vidi sicuramente fu entro la prima metà degli anni 80…il nome di Narducci Francesco non mi dice nulla, ma ribadisco che non mi fu presentato. Ricordo adesso che aveva una maglietta Lacoste blu e quindi era sicuramente d’estate…”
Sempre in sede di individuazione fotografica, la donna riconosceva anche il Vitta Nathanel affermando: “…E’ un appassionato di vini. Ha i capelli rossicci. E’ un amico di Francesco Calamandrei. Io non lo conosco personalmente, ma sono sicura che è amico di Francesco. Non so neppure come si chiami.”
Circa, poi, l’ex marito Gianni Ceccatelli, di cui si era appreso da altra teste (10) che fosse dedito alla magia, così come il Calamandrei, dichiarava: “…sì, almeno fino a quando abbiamo abitato insieme. Si dilettava a fare gli oroscopi, a leggere le carte, la mano ed a fare il mago illusionista. Ricordo che faceva anche la scrittura automatica e cioè andava in trance e scriveva quello che, suo dire, gli suggeriva lo spirito di un bambino che si chiamava Lele.”

A proposito del particolare abbigliamento descritto dalla teste, giova rilevare che precisi ed inequivocabili riscontri esistono negli atti del P.M. di Perugia.

Infatti, dall’attività perugina, sul punto é emerso quanto segue:

Ferruccio Farroni, sentito il 26 giugno 2002, nel descrivere il cadavere ripescato nel lago, da lui visto quella mattina, tra l’altro, precisava: “…ricordo anche che indossava un giacchetto di renna marrone, una maglietta Lacoste blu…”
Paolo Aglietti, sentito il 4 maggio 2002, raccontando un incontro col Narducci, riferiva: “…quando vidi il Narducci ebbi la sensazione che fosse una persona un po’ stravagante che ho visto indossare degli stivali da cavallerizzo che non si addicevano né all’ambiente né alla circostanza. Aveva anche un giubbotto di velluto molto aderente, stile cavallerizzo…”
Carlo Clerici, sentito il 18 settembre 2003, circa l’abbigliamento del Narducci, riferiva: “ricordo che il professor Narducci era solito portare delle magliette tipo polo, in particolare della Lacoste e ne aveva una di colore rosa/arancione, forse pesca, non ricordo se ne avesse anche una di colore blu, ma presumo di sì, adesso non lo ricordo. Era comunque un capo di abbigliamento che portava spesso ed a volte ci metteva sopra una giacca”.

(10) Mascia Rossana.

 In alcune foto del Narducci, agli atti del procedimento perugino e fornite a quell’A.G. da Francesca Spagnoli, moglie del Narducci, lo stesso è ripreso proprio con una maglietta Lacoste di colore blu (vedi foto n. 0037). In altra foto, è ripreso accanto ad una grossa moto da cross con un paio di stivali (vedi foto 0025).

2. Personalità di Francesco Calamandrei.

Mascia Rossana, sentita il 19 agosto 2003, riferiva di aver avuto una relazione sentimentale con Francesco Calamandrei, durata un paio di anni agli inizi degli anni 90.
Nell’occasione, forniva notizie sul ex compagno che appaiono interessanti per delineare la personalità del Calamandrei, depresso, schizofrenico, violento e sessualmente impotente.
Dichiarava, tra l’altro, infatti: “…all’inizio della frequentazione con il CALAMANDREI, la mia amica, Tamara MARTELLINI di S. Casciano che conosceva bene la famiglia CALAMANDREI, mi mise in guardia sul soggetto dicendomi che era una persona pericolosa anche perché c’erano stati dei sospetti su di lui relativi alla vicenda del “Mostro di Firenze”, che faceva parte della Massoneria, che maltrattava la moglie e i figli, usava psicofarmaci e aveva dei comportamenti violenti. Io non diedi credito a queste che mi sembravano dicerie. Nel novembre del 1991 fu ricoverato alla clinica di Fiesole per depressione. Nel febbraio del 1992 il CALAMANDREI si trasferì presso la mia abitazione di via Pisignano nr. 29. Sempre nello stesso mese mi aprì un conto corrente presso il Monte dei Paschi di Siena a San Casciano depositando circa 200 milioni, dicendomi che servivano per la mia sicurezza, nel senso che con quei soldi avrei potuto far fronte ai miei impegni di lavoro senza affrettarmi a vendere la casa…”
In relazione ai suoi rapporti col Calamandrei, specificava: “convivendo con Francesco mi sono resa conto che le cose che mi aveva detto la mia amica Tamara erano vere. Ho anche potuto costatare che Francesco soffriva di crisi depressive. La depressione scaturiva dal rapporto avuto con la madre. Me lo diceva lui. Preciso meglio, lui mi diceva che sua madre tradiva il padre e lui avrebbe voluto che il padre avesse avuto il coraggio di cacciarla. Questa esperienza l’aveva portato ad avere una “contorsione” nei rapporti con le donne…i miei rapporti con il CALAMANDREI sul primo momento erano normali. Successivamente, anche a seguito dei farmaci e dall’assunzione di alcool, i rapporti erano praticamente inesistenti. A volte era preso da scatti di rabbia e violenza nei miei confronti, tanto che una volta mi minacciò di impiccarmi alla trave di casa. In un’altra occasione arrivò a schiaffeggiarmi. Di quest’ultimo episodio ho fatto querela ai Carabinieri di S. Casciano e mi sono fatta refertare all’Ospedale di Torre Galli nel giugno del 1993. Per quanto riguarda i rapporti sessuali, viste le sue condizioni, anche questi erano praticamente inesistenti. Questa situazione gli scaturiva delle “contorsioni mentali” che sfociavano in maltrattamenti nei miei confronti. Era impotente.”
Nella circostanza, spontaneamente la teste riferiva un episodio al quale aveva avuto modo di assistere.
Dichiarava: “voglio raccontare un episodio successo dopo la Pasqua del 1992. Ricordo che Francesco ricevette una telefonata in Farmacia dal sig. RONTINI che lui conosceva come il padre di una delle vittime del “Mostro di Firenze”. Lo stesso chiedeva di incontrarlo per un colloquio. Francesco chiamò l’avvocato CORSI, suo cugino, al quale chiese consiglio se presentarsi o meno al colloquio. L’avv. CORSI gli consigliò di non presentarsi al colloquio con il RONTINI ma Francesco, disattendendo il consiglio dell’avvocato, decise di andarci. Nell’occasione mi chiese di accompagnarlo al colloquio per apparire il più normale possibile, cosa che io feci. Ci recammo quindi a Vicchio a casa del RONTINI. Ricordo che c’era un’atmosfera macabra e pesante. Il RONTINI disse che aveva investigato sul suo conto per anni durante i quali aveva avuto contatti continui con la moglie, CIULLI Mariella, la quale gli aveva riferito tutti i suoi spostamenti. In particolare la CIULLI riferiva delle assenze da casa di Francesco nelle sere in cui sono avvenuti i delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” fornendo dei riscontri su quanto affermato. Per esempio diceva di andare alle riunioni dei Farmacisti ma di fatto non vi partecipava. Durante il colloquio ho avuto l’impressione che il RONTINI lo avesse convocato per avere un confronto e una verifica sulla reazione di Francesco. Francesco rimase indifferente non affrontando più il discorso con me. Dava la colpa a sua moglie. Devo precisare che non ho assistito a tutto il colloquio. I due vollero rimanere da soli. Ebbi l’impressione che la mia presenza frenasse il RONTINI nel dire tutto quello che voleva dire.”
Ed ancora sempre in relazione all’incontro con Rontini: “…Francesco si mostrò alla fine quasi sollevato dagli esiti del colloquio, come se in pratica “avesse scansato un pericolo”. Ne trassi proprio questa netta impressione. Devo precisare che in quell’occasione Francesco mi portò con se al solo scopo di dare a RONTINI l’immagine di una vita del tutto regolare che conduceva.”
Nella circostanza, raccontava un altro episodio specifico appreso dallo stesso Calamandrei: “Ricordo un’altra circostanza che voglio raccontare. Francesco mi raccontò che verso la metà degli anni 80, prese la pistola di suo padre che custodiva nella casa di San Casciano sita sopra la Farmacia, e si portò a Punta Ala dove prese la sua barca e in compagnia dell’Architetto Gianni CECCATELLI, marito della mia amica Tamara MARTELLINI, si recò al largo e buttò detta pistola in mare. Non mi ricordo l’occasione in cui Francesco mi raccontò questo episodio. Lui mi disse che buttò la pistola per non avere noie burocratiche.”
Sulla personalità del Calamandrei specificava: “Francesco dipingeva dei quadri che rappresentavano scene di sangue, siringhe infilate in masse di sangue; per me erano quadri ossessivi e violenti. Nei momenti di sincerità, Francesco diceva di avere “il diavolo addosso”, di essere “dominato” e di aver bisogno di assumere farmaci e cocaina per combattere la sua depressione. Francesco aveva delle manifestazioni schizofreniche, sembrava dominato da qualcosa più forte di lui: in questi frangenti diventava violento tanto da spaventarmi.”
Ed ancora: “Ricordo che circa nel 1993-1994, Francesco frequentava un mago, di cui non so il nome, ma che dall’accento mi sembrava pugliese. La loro frequentazione, in quel periodo, era continua, addirittura Francesco lo ospitava a casa; questo mago sembrava alle dipendenze di Francesco. Non credo che questo mago fosse conosciuto a San Casciano, bensì credo che fosse un’esclusiva frequentazione di Francesco. Posso descriverlo come una persona che all’epoca aveva circa 40 anni, magro, alto circa m.1,70, capelli scuri, vestito in maniera modesta. Non posso essere più precisa su questo Mago perchè all’epoca non frequentavo più Francesco avendo in corso con lui una vertenza legale…Francesco comunque era molto interessato alla magia e devo dire che anche Gianni Ceccatelli era un’altra persona frequentata da Francesco che era interessato alla magia.”

In relazione alle tendenze “magiche” del Calamandrei giova ricordare che, nel corso della perquisizione domiciliare eseguita il 7 luglio 1998 nella sua abitazione veniva rinvenuta e sequestrata una rivista intitolata “DIVA SATANICA” -studio, ricerca e documentazione sull’erotismo satanico-, scritta in triplice lingua, italiano, inglese e francese, edita da GLITTERING IMAGE – edizioni d’Essai, via Ardengo Soffici 11/13,  Firenze, stampata nel mese di giugno 1990. All’interno della rivista, ove risultano strappate le pagg. 9 e 10, vi sono racconti di satanismo sessuale del tipo “Streghe, passione e crudeltà – I trionfi della Luna nera” ( pag.20), “I circoli satanici del libertinaggio”, ( pag.46), “Il sangue e la Rosa” ( pag.56), nonchè foto e fumetti di tortura, anche estrema, nei confronti dell’elemento femminile.

Infine, la teste dichiarava: “Ricordo che Francesco prestava dei soldi alla gente che si trovava in difficoltà finanziarie speculando sui loro bisogni economici; aveva un particolare atteggiamento di piacere nel rovinare la gente. Ebbi l’impressione vivendo con lui che in paese fosse noto che Francesco era disponibile a dare soldi in prestito. Anzi più che un’impressione di questo ne sono convinta per avere assistito ad alcune telefonate giunte a casa mia durante il periodo di convivenza con le quali gli interlocutori, per me rimasti sconosciuti, gli chiedevano soldi in prestito. E da quello che poi potevo capire Francesco glieli dava. Da qui intuii che Francesco era in grado di esercitare un certo potere dal momento che a lui si rivolgevano persone che si trovavano in stato di bisogno. Circa il potere di Francesco, mi risulta che lo stesso fosse legato alla Massoneria Fiorentina, anche se non sono in grado di essere più precisa sul punto. Di questo però ne sono sicura per avermelo confidato lo stesso Francesco durante la nostra convivenza, oltre che, come accennato, per averlo appreso dalla mia amica Tamara…nel breve periodo in cui siamo stati insieme, lui cercò di apparire normale ma non ci riuscì e si ricalò nella sua dimensione di assuntore di alcool e di psicofarmaci.”

Guerrieri Patrizia, ex moglie di Ciulli Pietro, tra l’altro dichiarava: “non ho mai frequentato Francesco Calamandrei né la sua famiglia, tranne che nelle normali ricorrenze di parentela, non c’è mai stato comunque un rapporto di amicizia e di frequentazione. Questo perché probabilmente nella famiglia d’origine di mio marito non era visto di buon occhio. In pratica non si era presentato nel modo migliore, anche perché aveva il vizio di alzare il gomito con l’alcol. Le due famiglie non si frequentavano”.

VIVOLI Alessandra, convivente del Calamandrei nel 1997, sentita il 26 settembre 2003, circa la personalità del predetto, tra l’altro, dichiarava: “I nostri rapporti sessuali erano inesistenti. Lui non riusciva ad avere erezioni e faceva uso di punture che si faceva sul pene ma nonostante questo non riusciva comunque ad avere erezioni. Ricordo che una volta, dopo l’ennesimo fallimento, mi disse che se volevo potevo fare l’amore con un’altra persona. Rimasi colpita da questo fatto perché dentro di me pensai che lui non avesse moralità.”

CECCATELLI Giovanni, sentito a verbale in data 8 ottobre 2003, raccontava della sua conoscenza e frequentazione negli anni ottanta di Francesco Calamandrei. Tra l’altro, riferiva: “Di lui ricordo che nei primi tempi che lo conoscevo era un gran lavoratore, poi successivamente alla sua separazione dalla moglie lo stesso è cambiato molto. Posso dire che Francesco era un personaggio molto particolare in quanto alternava dei periodi in cui beveva moltissimo, anche superalcolici. In altri periodi nei quali invece beveva soltanto acqua minerale. Ricordo comunque, perché riferitomi dalla MERSI, che durante la sua relazione con Francesco quest’ultimo prendeva con psicofarmaci, mi sembra di ricordare che uno dei medicinali che prendeva più frequentemente era l’ALCYON…”
Circa il possesso di armi da parte del Calamandrei, spiegava: “Posso riferire soltanto un episodio che mi viene in mente. Credo fosse l’estate del 1986 e se non ricordo male mi trovavo a Punta Ala con Francesco. Durante una gita in macchina, se non ricordo male proprio Francesco mi ha raccontato di essere in possesso di una pistola appartenuta al padre. In questo frangente il CALAMANDREI ricordo che aggiunse che non poteva tenerla in quanto non era in possesso di porto d’armi e per non avere problemi l’aveva gettata in mare. Io comunque non ho mai visto questa pistola, né sono stato presente quando Francesco l’ha gettata in mare.”
In sede di individuazione fotografica il predetto riconosceva alcune persone, tra cui quella raffigurata nella foto n. 10 (Narducci Francesco), in relazione alla quale specificava: “La persona raffigurata alla foto nr. 10 ha un volto a me conosciuto. Lo associo ad una persona vista, se non sbaglio a Viareggio insieme al CALAMANDREI in occasione della visita di una barca che Francesco voleva acquistare… credo fosse il 1983/1984… Francesco mi disse che avrebbe voluto cambiare la barca e fu così che in quel periodo una volta mi sembra di ricordare che mi chiese di accompagnarlo a Viareggio per vedere una barca. Una volta a Viareggio, andammo di mattina, ci recammo a vedere una barca alla darsena, fu qui che io vidi la persona che io associo a quella vista da me oggi nella foto nr. 10. E’ un ricordo molto lontano e non ricordo altri particolari…”

3. Centralità, nel nuovo contesto investigativo, di alcuni personaggi gravitanti all’epoca nella villa “La Sfacciata” di via Volterrana, 82.

Le emergenze investigative, relative agli occupanti la villa “La Sfacciata” negli anni dei delitti, hanno richiesto, innanzi tutto, un approfondimento nella rilettura degli atti a suo tempo redatti in relazione al duplice omicidio ai danni dei due giovani tedeschi.

Questa attività consentiva di accertare quanto segue:

– il 10 settembre 1983, verso le ore 19,45, il cittadino tedesco Rolf Reinecke, nato a Bochum il 8.8.1937, residente in via di Giogoli n. 2/6, consulente tessile, tel. 2047015, informava telefonicamente la centrale operativa dei carabinieri che in via di Giogoli si trovava posteggiato un furgone con un cadavere a bordo. I carabinieri erano così intervenuti rinvenendo i due tedeschi morti all’interno del furgone.
Il Reinecke, sentito a verbale nell’immediatezza sia dalla p.g. che dai PP.MM., dichiarava che quella mattina, uscendo da casa verso le 9, aveva notato il furgone fermo nello spiazzo erboso e si era fermato con l’auto (una mini 90) per avvisare gli occupanti che non avrebbero potuto campeggiare in quel luogo. Era così sceso dalla macchina e si era portato davanti al parabrezza del furgone notando una persona all’interno che sembrava dormire. Aveva bussato e chiamato ad alta voce senza ricevere risposta e così era andato via. Verso le 19.30, poi, tornando a casa aveva visto il furgone posteggiato sempre nella stessa posizione e si era fermato con l’intento di mandar via gli occupanti. In questa occasione, guardando meglio, aveva notato che alcuni vetri erano forati e che la persona, notata la mattina, si trovava ancora nella medesima posizione. Si era precipitato a casa informando i carabinieri.
Il predetto, poi, dichiarava di essere possessore di diverse armi e, perquisito, veniva denunciato per possesso illegale di alcune di esse (11).
Sempre nell’immediatezza del rinvenimento dei cadaveri veniva interrogata dai Pubblici Ministeri, titolari delle indagini, anche la fidanzata del Reinecke, la cittadina svizzera Walther Francoise Yolanda, nata a Zurigo il 29 maggio 1948, residente in via dei Giogoli n. 2/6. La donna confermava quanto aveva riferito il Reinecke circa le modalità di rinvenimento dei cadaveri ed aggiungeva: “il mio sesto senso

(11) Per tale reato verrà poi processato e condannato.

mi diceva che erano morti e che erano due…pensai che ci potessero essere due morti perché io sono sensitiva…”

Pier Luigi Salvadori, nato a Firenze il 1.10.1965, sentito l’11 settembre 1983, dichiarava che, mentre transitava dal luogo del delitto verso le ore 20.30 del 10 settembre per recarsi a casa di amici, aveva visto due persone, un uomo ed una donna, che “camminavano sulla sinistra della carreggiata, provenienti dal punto in cui sostava il furgone e diretti verso la zona ove mi dovevo recare io… nel tratto tra il furgone ed il punto in cui camminava la coppia non c’erano altre strade, né ho notato degli automezzi in sosta. Poco più avanti del punto in cui ho incontrato la coppia vi sono delle case… i miei amici si chiamano Simone Cenni, Emanuele Ermini e la sorella Susanna.”

– Menichetti Giancarlo (12), nato a Lamporecchio (PT) il 4.9.1949, sentito il 11.9.1983, riferiva: “alle ore 9.30-10 di ieri, 10 c.m., transitando sempre per detta via, notavo nuovamente il furgone al solito posto con le portiere chiuse. Vedevo però che accanto vi era un’auto Fiat 126 di colore bianco, senza scritte e senza portapacchi con il disco limitativo della velocità di Km 80, posto accanto alla targa sul lato sinistro. Mi sembrava che detto mezzo avesse anche la portiera sinistra un po’ socchiusa. Non notavo nessuna persona accanto e quindi ho proseguito il mio giro del clienti. Aggiungo che l’auto era parcata con il motore spento, la testa rivolta verso la campagna e posta ad una distanza dal furgone tedesco di 3-4 metri”. Successivamente, in data 16 novembre 1983, veniva interrogato dal G.I.. Nella circostanza, sostanzialmente confermava le precedenti dichiarazioni. Circa l’auto notata, riferiva: “…sono passato tra le 9.30 e le 10 ed ho visto una 126 bianca con un disco rosso sulla parte posteriore sinistra accanto alla targa. Sono sicuro che si trattava di una 126 perché

(12) Menichetti Giancarlo, guardia particolare giurata per conto del Corpo dei Vigili Giurati di Firenze – distaccamento di Empoli – faceva servizio a Giogoli, Chiesanuova e zone limitrofe. Nel 1998, fu ucciso a colpi di fucile da un collega.

ho visto bene le gratelline della presa d’aria. Mostratemi la foto della Mini raffigurata nell’album apprestato dai CC, anche apprendendo che la macchina recava sul retro un tondo raffigurante una volpina, escludo nella maniera più assoluta che si trattasse di quella macchina…quando ho visto la 126 accanto al furgone non c’era nessuno. La 126 aveva la portiera socchiusa dal lato guida. Quando sono ripassato dopo 30-40 minuti, tornando dalla Volterrana, la 126 non c’era più ed il furgone aveva lo sportello aperto. Il portello aperto era quello del lato del furgone dalla parte di via Volterrana. Ne deduco che debba trattarsi del portello del lato guida. Mi è sembrato di vedere qualche cosa che pendesse dallo sportello aperto. Mi è sembrato che si trattasse di nailon o stracci”.

Giovanni Nenci, nato a San Godendo il 4.11.1927, sentito a verbale il 13.9.1983, dichiarava che la mattina del venerdì 9 settembre (la notte successiva si sarebbe verificato il duplice omicidio), passando da via di Giogoli verso le ore 7.30, aveva notato accanto al furgone dei due tedeschi un’auto Fiat 128 di colore rosso, targata Firenze (13), senza vedere alcun movimento di sorta. Aggiungeva che la moglie, invece, la mattina successiva, ripassando dallo stesso posto verso le 7/7.30, aveva visto accanto al furgone di un’auto bianca di media cilindrata.

A proposito di quest’ultima circostanza, si rileva che l’auto bianca, stando alle dichiarazioni in atti, non avrebbe potuto essere quella del Reinecke (la Mini per intendersi) dal momento che il tedesco si era fermato sul posto intorno alle 9 di quel giorno ed esiste altra testimonianza dell’epoca, in base alla quale una macchina bianca, verosimilmente proprio una Mini pressoché a quell’ora era stata notata ferma accanto al furgone (vedasi dichiarazione di Orlando Celli, nato a Pelago il 18.10.1950 del 15-9.1983).

(13) Un’auto simile anche nel colore e targata Firenze era in possesso di Giancarlo Lotti.

Il Celli dichiarava di aver visto anche un uomo dell’apparente età di 40-45 anni, molto robusto, capelli radi, alto mt. 1.75 circa, senza barba e baffi, a lato del furgone e che si stava avvicinando alla macchina bianca (la descrizione fisica, però, non corrisponde a quella del Reinecke, che era un vero e proprio “omone”, come definito dal cognato, alto 2 metri e molto robusto).

-Nel corso del sopralluogo (NdR: e il giorno dopo) sul luogo del duplice omicidio venivano rinvenuti tagliandi per il parcheggio. In particolare, personale della Squadra Mobile rinveniva all’esterno, accanto al furgone, il tagliando serie B n. 38828 dell’associazione parcheggi del tipo che viene apposto sul parabrezza delle auto posteggiate. Era compilato a penna nella data “9.9” – ore “16.30” – targa “136…(8)” (14) (vedasi nota cat. M-1/83 S.M. sez. 4 del 14.9.1983 della Questura di Firenze). Personale dei carabinieri rinveniva all’interno dell’abitacolo altro biglietto della stessa associazione, del tipo di quelli che vengono consegnati all’utente che poi dovrà esibirlo per il ritiro dell’auto, con serie B n. 33826 con scritta “ore 16.25/18.25 – pagate L. 1.900” (vedasi nota sopra citata)

All’epoca, in data 12 settembre 1983, al fine di acquisire informazioni, veniva sentito a verbale TELLI Gino, posteggiatore presso il parcheggio di via Valfonda, dove erano risultati emessi i tagliandi.
Costui dichiarava: “Venerdì scorso,9 c.m., ho lavorato nel posto suddetto, con orario 14-20, ma non ho ricordo di due giovani stranieri che nel pomeriggio, come voi mi fate presente, abbiano parcheggiato nel mio posteggio, un furgone Wolkwagen di colore bianco e verde targato straniero. Infatti nel mio parcheggio c’è molto movimento di automobili, specie nel pomeriggio, ed io nonostante mi sforzi, è impossibile che riesca a ricordare. Il biglietto di pagamento per il posteggio, è composto nella maniera in cui mi spiego: “l’associazione nazionale da cui dipendo , mi

(14) Targa parziale che non corrisponde assolutamente a quella del furgone dei due tedeschi.

da in consegna un blocchetto composto di vari tagliandi con numeri progressivi, in nr. di 100, ognuno dei quali è relativo alla tariffa per il posteggio di un’ora, che costa £.700. Una volta terminato il blocchetto, io lo butto, consegno i denari ricavati alla associazione che mi dà in consegna un libretto nuovo. Per le ore successive alla prima ora di parcheggio, dispongo di un bigliettaio analogo in cui la tariffa è pero di £.1.200 l’ora. I biglietti per il servizio custodia auto, si compongono di tre parti: la prima recante solo il numero progressivo del biglietto, che rimane attaccato al blocchetto; la seconda recante lo stesso numero progressivo, la targa dell’auto dell’utente, la data e l’ora di arrivo; tale seconda parte viene applicata al tergicristallo dell’auto; la terza parte recante lo stesso numero di serie del biglietto, la tariffa di posteggio e l’ora di arrivo, viene consegnata all’utente il quale all’atto del ritiro della macchina, la consegna al posteggiatore, il quale riscuote il prezzo e toglie dal parabrezza il tagliando applicato allo stesso.”
In relazione poi ai tagliandi dei biglietti rinvenuti, dopo averli esaminati, riferiva: “Riconosco la scrittura, che è la mia. Per quanto riguarda il primo tagliando, evidentemente io ho annotato il numero di targa, ma ho dimenticato di scrivere la sigla della città dell’auto, per la fretta, cosa che accade piuttosto spesso. Vedendo il secondo biglietto, mi sembra di ricordare un furgone con due ragazzi stranieri a cui io feci il conto sul retro del biglietto per il pagamento di due ore di posteggio, ma non ne sono sicuro. Certo che il conto l’ho fatto io in quanto è scritto di mio pugno, ma per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare le persone a cui diedi tale biglietto.”

Dalla nota n.166/11-1 di prot. del 16.9.1983 del Nucleo Operativo dei carabinieri di Firenze, risulta altresì che due biglietti furono rinvenuti all’interno del furgone ed altro nel pressi dello stesso. Quest’ultimo da personale della Squadra Mobile.

– Sempre nel corso del sopralluogo dell’epoca, furono rinvenute per terra, proprio vicino al furgone, alcune riviste dal contenuto pornografico tagliate in più pezzi (vedasi foto n. 3 – 4 – 5 del fascicolo dei rilievi tecnici del 10.9.1983 del Gabinetto di Polizia Scientifica della Questura di Firenze). Dalla panoramica della foto n. 3, si evince che i fogli delle riviste in questione furono rinvenute in due distinti punti: uno più vicino al furgone, proprio a brevissima distanza da esso, ed uno poco più distante, ma sempre nelle immediate vicinanze. Dalla foto n. 4, si evince poi che ben in mostra c’è la copertina quasi intatta di una rivista dal titolo “Golden Gay” ed avanti ad essa, alcuni spezzoni di fogli sparsi quasi a forma semicircolare. Nella foto n. 5, infine, gli spezzoni delle riviste appaiono sparpagliati qua e là a poca distanza uno dall’altro, quasi a formare un cerchio.
Sul retro della copertina, che presenta sul margine destro i segni tipici di uno distacco forzato dal luogo in cui la stessa presumibilmente era stata incollata, si legge: “Per far fronte ai sorprusi e alle ingiustizie che la comunità gay internazionale è spesso costretta a subire, si è costituito a Parigi un tribunale segreto composto da ricchi e importanti personaggi dello stesso mondo, che agiscono tutti nel più assoluto incognito. Questo tribunale, denominato Gay Court, si riunisce ogni qualvolta si tratta di affrontare un caso delittuoso di cui è rimasto ingiustamente vittima un esponente della società gay. Per risolvere i casi e ristabilire giustizia, la Gay Court ha organizzato un corpo speciale con compiti inquirenti e punitivi: la Gay Force. Ne fanno parte individui dall’omosessualità virilizzata autentici <macho> che vantano un passato vissuto all’insegna dell’avventura e del pericolo (ex agenti dei servizi segreti, ex poliziotti e investigatori privati, ex legionari e soldati di ventura). Gli agenti speciali della Gay Force, tra cui figurano anche delle superdonne, vengono allenati secondo regole sportivo – militari e istruiti nelle tecniche più avanzate dell’investigazione poliziesca. Il migliore di questi agenti speciali diviene il Comandante del Corpo ed assume l’appellativo di Golden Gay…”
Gli altri fogli della rivista vicino alla citata copertina risultano strappati quasi a metà.
Invece, gli altri spezzoni si riferiscono alla rivista “Cronaca Italiana” ovvero “Cronaca Italiana Mese” verosimilmente del mese di agosto del 1983. Ciò in quanto da uno spezzone risulta la pubblicità per la prossima settimana in edicola del numero di settembre 1983 di “Cronaca Italiana – Mese”. Detti spezzoni non consentono, a differenza dell’altra rivista, di poter ricostruire le pagine integrali poiché risultano mancanti circa tre quarti delle pagine.

In relazione a detti oggetti, agli atti risulta che, nel corso dell’interrogatorio reso dal maresciallo dei carabinieri Giuseppe Storchi, durante il dibattimento del processo a carico di Pietro Pacciani in data 29.4.1994, il sottufficiale, rispondendo a precise domande, ha dichiarato che erano state trovate delle riviste pornografiche “mezze spezzate” e che quando le aveva viste “erano asciutte, non aveva piovuto.” Alla domanda se fossero state rilevate le impronte, rispondeva: “questo non lo so perché non so nemmeno poi da chi sono stati sequestrati questi fogli”.

Risulta altresì un riferimento a dette riviste nell’elaborato peritale dei Professori De Fazio, Liberto e Galliani.
A pag. 81, infatti, si legge: “nello spazio circostante alla vettura sono stati trovati giornali pornografici stracciati, di stampa probabilmente omosessuale, come attesta l’inequivoco titolo “Golden Gay”. Nulla vieta di supporre che si trovassero in quel luogo perché ivi lasciati da persone del tutto estranee al delitto. Dal materiale fotografico preso in esame sembra comunque che la carta non fosse deteriorata da pioggia o rugiada, né accartocciata dalla prolungata esposizione al sole, come avrebbe potuto accadere se i frammenti di carta fossero rimasti a lungo sul prato. E’ lecito quindi supporre che si trovassero in quel luogo da non molto tempo, e occorre vagliare l’ipotesi che siano stati asportati dall’omicida all’interno della vettura delle vittime. In questo caso essi potrebbero aver costituito in un primo momento, per così dire, il trofeo, l’elemento psicologicamente legato al trionfo nell’azione, nonché lo strumento “feticistico” atto a rievocare all’omicida, nelle successive fantasie auto-gratificatorie, l’eccitazione sessuale legata al momento ed al fatto omicidiario…In secondo luogo, e parzialmente in alternativa all’ipotesi avanzata, l’atto di stracciare il giornaletto pornografico potrebbe connotare in senso “moralistico” tutta l’azione omicidiaria, e ciò indurrebbe a riesaminare anche gli altri delitti secondo questa chiave di lettura…”

Al riguardo, è appena il caso di rilevare che, di là delle due ipotesi formulate dagli esperti, esiste un dato oggettivo, rappresentato dal rinvenimento di quei fogli che sicuramente non si trovavano in quel posto da tempo, considerate le loro buone condizioni di conservazioni e che, quindi, con tutta probabilità, se non appartenevano alle vittime, avrebbero potuto appartenere agli assassini od ancora, in via di mera ipotesi, a qualcuno che precedentemente era entrato in contatto con i due tedeschi e, dopo l’uccisione, ne ha voluto eliminare in qualche modo quelle tracce, tanto da aver lasciato sul posto solo alcuni spezzoni e non già le riviste nella loro composizione integrale.

Peraltro, dalle testimonianze in atti, risulta che, dopo il delitto, la mattina del 10 settembre, più auto furono viste ferme accanto al furgone. Sicuramente la Mini del Reinecke, poi una Fiat 126 bianca, proprio come quella utilizzata dal Parker, ed una Fiat 128 di colore rosso, targata Firenze, come quella in possesso del Lotti Giancarlo.

Sempre in relazione alle riviste di cui trattasi, si ricorda che si tratta di un argomento sul quale ha molto insistito, durante i propri interventi dibattimentali, per far svolgere opportuni approfondimenti investigativi, l’avvocato Santoni Franchetti, legale di parte civile dei due francesi uccisi nel 1985.

Infatti, all’udienza del 7.2.1996, nel processo d’appello a carico di Pietro Pacciani, rappresentava alla Corte la necessità di acquisire la rivista “Golden Gay” sulla base di una serie di considerazioni, tra cui: -il fatto che fosse stata fotografata e ritrovata a 10 metri dal luogo del delitto non per terra “buttata così, così ritta…intorno, in terra, a semicerchio – come gli altarini, dove c’è la Madonna e intorno le candele – delle riviste pornografiche, quelle sì, pornografiche a coppie, tre, quattro, cinque persone, gli organi, tutto, ritagliate con una forbice, messe a mezzaluna, davanti, in bella mostra. Si disse che erano omosessuali i ragazzi tedeschi: è stato smentito. Si disse cartacce lasciate da qualche sporcaccione: no, non è vero. I carabinieri fanno un rapporto molto preciso e dicono: guardate che quei fogli non sono stati contaminati da rugiada, dal sole accartocciati, quindi sono stati messi la notte dell’omicidio. Allora si pensò: il “mostro” entrando dentro li ha buttati fuori dalla stanza e questa è anche l’ipotesi modenese. Ma nessuno è andato a leggere cosa c’era scritto sopra. Innanzitutto è in italiano e loro non leggevano l’italiano. Quindi, escludiamo che l’avessero comprati loro, omosessuali, per guardarseli. A parte non erano omosessuali, ce l’hanno detto anche i parenti. Ma poi, incredibile, è del 1981. E’ del 1981 quella rivista. E dietro la rivista ci sono, si vede che era stata appiccicata a una parete, per cui uno ci mette i quattro scotch e li attacca, quando li stacca si vede che è stato staccato. Quindi era un qualche cosa di importante che era stato staccato da una parete e portato lì, e che cosa c’era scritto? “Golden Gay e il delitto Leroux”. Non si disse questo delitto Leroux chissà cos’è, si cercò tanto e alla fine in Nazionale si scoprì questa rivista che, insomma, per quello che è, ce l’hanno veramente in pochi in Italia e ci si accorse di una cosa incredibile. Il primo numero è dell’aprile del 1981 – il delitto è dell’83 – del 1 aprile quando esce Stefano Mele. Il numero che loro hanno dato è il numero 5 dell’agosto del 1981. Il 5 è il quinto delitto: 74, 81, 81, 82, 83 della serie mostruosa, esattamente lo stesso, ma è quello che c’è dentro. E’ un gruppo di incappucciati etero-omosessuali – esattamente come quelli del 1968 etero-omosessuali- andavano a letto tutti insieme, uomini e donne, donne con donne, avendo rapporti fra uomini e fra donne, donne con donne, uomini con uomini, gli uni con gli altri. I quali devono vendicare un torto fatto a uno di loro. E sicuramente a Stefano Mele era stato fatto un grande torto e la punizione, com’è nella fotografia, è la stessa cosa che viene fatta, per effetti filmici, diciamo, analmente. E’ lo stesso spregio, lo stesso sfondamento soltanto avete la fotografia in via anale. Ma non solo, siamo nel settembre – ottobre – non mi ricordo – del 1983, nell’agosto del 1983, uno di quel gruppo (Vinci Francesco), durante una perizia psichiatrica, dice queste parole, legge le macchie di Rochac e la seconda la guarda e dice: “questo è un gruppo di incappucciati. Sono due incappucciati che portano via un corpo”. Da allibire. Due mesi prima loro dicono questo: “sono incappucciati che portano via un corpo”. Spavaldo quell’uomo era spavaldo. Dicono che sia morto, non credo. Certo era dentro per questi omicidi. Passano due mesi da quelle dichiarazioni e noi ritroviamo sul luogo del delitto degli incappucciati che vendicano le loro offese in quel modo. Un chiarissimo messaggio che non fu letto perché la copertina non fu nemmeno guardata. Si dice in sentenza: “quel luogo vengono abitualmente buttate carte pornografiche”. Non è vero. Un’altra volta la sentenza travisa la realtà perché feci una domanda esatta alla proprietaria, a una delle proprietarie o anche a due proprietarie del luogo in cui è avvenuto l’omicidio. Strano, perché dovete sapere questo, Giudici, è una piccola piazzolina accanto a una villa. Quindi, nella villa ci stanno cinque, sei famiglie e qui c’è la piazzola. Domandai: “E’ luogo abituale di coppiette?” “No, non vengono le coppiette, qui”. “Avete mai visto carte pornografiche su questo spiazzale che voi conoscete bene?”. “No”. Quindi non c’erano mai state carte pornografiche lì, non c’erano mai andate coppiette. Quindi, nemmeno logicamente si può presumere che ci fossero delle carte pornografiche. D’altronde quelle carte sono del 1981, mentre l’omicidio avviene nel 1983. E’ chiaro che fu messo quella notte, lo dicono anche i carabinieri…”

In relazione alle riviste di cui trattasi, al di là delle varie ipotesi che possono azzardarsi, tra cui quelle esposte dall’avvocato Santoni Fianchetti e dai periti dell’Università di Modena, giova rilevare che esistono alcuni dati obbiettivi, che non possono che far riflettere.
Innanzi tutto il loro luogo di rinvenimento: furono trovate proprio nelle immediate vicinanze del furgone, alcune quasi accanto, come si rileva dalle foto scattate all’epoca.
In secondo luogo: le loro condizioni che dimostravano in effetti una loro presenza molto recente su quel terreno, forse solo di ore, atteso che non presentavano i segni tipici ed inconfondibili delle carte che vengono esposte al sole o all’acqua ed all’umidità. Risulta, infatti, che lo stato della loro conservazione era buono, per cui ragionevolmente deve presumersi che siano state lasciate in quel posto in un’arco di tempo compatibile con l’esecuzione del delitto ovvero con le ore immediatamente successive all’esecuzione stessa. E, a tal riguardo, occorre considerare due dettagli, che forse non sono proprio semplici dettagli, ma significativamente rilevanti. Il primo è il fatto che Lotti Giancarlo, come noto colpevole, in concorso, dell’esecuzione di quel duplice omicidio, in occasione del quale addirittura esplose anche lui alcuni colpi di pistola, non ha mai parlato di aver notato o lasciato sul posto oggetti di alcun genere, né tanto meno riviste. Il secondo – ed ancor più rilevante a giudizio di questo ufficio – è rappresentato dal fatto che la mattina successiva al delitto più auto – e quindi più persone – furono notate da più testi accanto al furgone dei due tedeschi, che già quindi erano stati uccisi. Si ricordano al riguardo il tedesco Reinecke ed altra persona con una Fiat 126 bianca, come quella usata dal Parker. Quest’ultimo, come appreso, era omosessuale e muore per le conseguenze dell’AIDS.

Ed allora, mettendo insieme tutti gli elementi, senza voler fare riferimento al significato in un certo senso esoterico prospettato dall’avv. Franchetti, non può che venire spontanea una sola riflessione: le riviste furono stracciate ed in qualche modo disperse sul luogo del delitto in due punti diversi (uno più distante e l’altro abbastanza vicino al furgone) verosimilmente per eliminare delle tracce che potessero condurre ad uno dei responsabili. Ed è chiaro che una simile ipotesi sarebbe stata possibile in qualche modo riscontrarla all’epoca se fossero stati eseguiti i rilievi per esaltare eventuali impronte papillari, ma purtroppo non risulta che sia stata eseguita una simile attività tecnica.
L’esito positivo della presenza di impronte, infatti, soprattutto oggi avrebbe potuto consentire una comparazione coi personaggi indagati o comunque sospettati di avere avuto un qualche ruolo nei duplici omicidi di cui trattasi. L’esito negativo, invece, avrebbe potuto portare ad accertare che chi aveva strappato le riviste si era premunito di calzare dei guanti proprio per non lasciare tracce di sé e questo dettaglio avrebbe ricollegato ancor più direttamente quelle riviste agli autori del delitto.

Oggi, purtroppo, tutto questo non è possibile farlo, almeno con la stessa prospettiva di risultati che si sarebbero potuti raggiungere all’epoca, tuttavia varrebbe la pena far eseguire ogni possibile accertamento di natura tecnica, che possa contribuire all’accertamento dei fatti.

Infine, si rappresenta che da un esame visivo di detto materiale cartaceo, in più parti si notano macchie verosimilmente da contaminazione ed alcune formazioni pilifere di modeste dimensioni e che si presentano come schiacciate.

– Da una nota dei carabinieri (la n. 166/15-4 di prot. Del 25.11.1983), tra l’altro, risulta: “in un appartamento di un caseggiato di proprietà di Martelli Martino, situato nella via di Giogoli, abita il cittadino americano di colore Parker Mario Robert, il quale oltre all’autovettura Citroen Visa targata FI A 78728, di colore rosso, dispone della vettura Fiat 126 personal 4, di colore bianco, targata LI 229653. La targa di detta autovettura è di quelle di nuovo tipo e tra le due prese d’aria per il motore, situate nella parte posteriore, al centro, vi è un adesivo indicante il limite di velocità di 90 Km/h. Poiché detta autovettura è identica a quella notata dalla guardia giurata Celli Orlando, il cittadino americano Parker Mario Robert veniva interrogato e nella circostanza affermava che era andato ad abitare nella via di Giogoli il 19 ottobre c.a. e che aveva in disponibilità l’autovettura Fiat 126 suindicata, appartenente alla madre Beltramini Mara, dalla prima decade del mese di ottobre 1983, per cui la vettura notata dall’anzidetta guardia giurata non poteva essere la sua.” In allegato veniva trasmesso il verbale di sommarie informazioni testimoniali, redatto il 24.11.1983, dal quale, oltre alle circostanze riassunte nella nota, risulta che il Parker, nella circostanza, diede come recapito telefonico il n. 2047157 e che circa l’abitazione occupata precisava: “dal 19 ottobre abito in un appartamento di proprietà di Martino Martelli, sito in via di Giogoli n. 2/6. Prima di allora abitavo sempre in Firenze – ove domicilio dalla fine del 1979 perché esercito la professione di stilista – in via B. Fortini n. 6…”

A questo punto si rileva che sia il Reinecke e la sua fidanzata che il Parker, in considerazione dei nuovi elementi acquisiti, tra cui le affermazioni del Vanni sul “nero americano” (15), coinvolto con Pacciani e Lotti nei fatti di sangue, hanno richiesto opportuni approfondimenti, a seguito dei quali fino a questo momento è emerso quanto segue.

 Non esiste alcuna traccia di soggiorno del Parker negli appartamenti del Martelli, così come dallo stesso dichiarato ai carabinieri nel 1983. Infatti, la circostanza è stata smentita da plurime informazioni di persone che o per il rapporto di parentela, ovvero per quello di lavoro col Martelli, ovvero ancora per lo stretto legame di amicizia con lo stesso Parker, ove fosse stata vera, avrebbero dovuto confermarla.
Ma così non si è verificato.

A tal riguardo, si richiamano le seguenti testimonianze:

Attilio Pratesi, uomo di fiducia di Martino Martelli, proprietario all’epoca dei delitti della villa “La Sfacciata”, addirittura sin dal 1968 e fino agli inizi degli anni 90, sentito in data 1 agosto 2003, oltre ad indicare gli occupanti nel tempo dei vari appartamenti affittati, tra cui anche la dottoressa Impresa (16), presentata al Martelli dal funzionario di polizia Marcello Carmineo (17), che andava a trovarla, tra l’altro, riferiva: “escludo nella maniera più categorica che presso gli appartamenti annessi alla villa vi abbia abitato negli anni 80 un cittadino americano di colore. Lo avrei sicuramente visto in quanto io giravo per tutta la proprietà e mi occupavo di tutta la manutenzione della stessa.”

(15) Vanni Mario in recenti colloqui in carcere con l’amico Nesi Lorenzo ha fatto riferimento più volte ed anche con insistenza alla persona di un nero americano, chiamato Ulisse, che era implicato nei duplici omicidi.

(16) Identificata per Impresa Patrizia, nata ad Avellino il 13.5.1955, residente in Milano, viale Giustiniano, 5, funzionario di Prefettura, coniugata con Caggiula Flavio, nato a Cannole (LE) il 3.12.1957.

(17) Identificato per Carminio Marcello, nato il 24.11.1939, deceduto, già funzionario di polizia in servizio per diversi anni alla Questura di Firenze e, alla fine della carriera, Prefetto di Massa.

Allo stesso veniva poi mostrato un album fotografico contenente anche la foto del Parker e, dopo averlo esaminato, dichiarava: “escludo nella maniera più assoluta che la persona raffigurata nella foto n. 5 (quella del Parker) abitasse negli appartamenti annessi alla villa La Sfacciata. Io personalmente non l’ho mai visto e il nome non mi dice niente. Può darsi che vi abbia abitato dopo che io sono andato in pensione nel 1992. Anche perché quando lavoravo a La Sfacciata io ero tutto il giorno in giro nella proprietà e quindi lo avrei per forza notato…ribadisco, e di questo ne sono proprio certo, di non avere mai visto negli appartamenti o nella villa la persona di colore di cui ho visto la fotografia e che mi avete detto chiamarsi Parker Robert. Una persona così l’avrei sicuramente notata e non l’avrei potuta dimenticare anche perché, come ho spiegato, stavo sempre nella villa e conoscevo bene tutti gli inquilini degli appartamenti. Dovete considerare che più volte ero io ad indicare al postino che doveva recapitare corrispondenza dove abitavano i destinatari della stessa”.
A proposito della presenza nella villa di una Fiat 126, riferiva: “Non mi risultano auto Fiat 126 presenti nel complesso ed appartenenti agli inquilini che si sono succeduti nel tempo.”
A proposito poi del tedesco Reinecke, dichiarava: (vi abitava) “un tedesco di nome Rolf, che era un uomo di circa 45 anni, molto alto e grosso con capelli biondi sul rossiccio, radi. Non ricordo che attività svolgesse. Aveva allacciato una relazione con una signora svizzera che abitava nell’appartamento sito a fianco al suo sempre all’interno di villa La Sfacciata. Non ricordo il nome della signora svizzera ma posso dire che era una signora molto alta, con capelli lunghi ricci biondi, di corporatura molto robusta e non credo che svolgesse nessuna attività lavorativa. Il Rolf aveva una grossa auto, forse un BMW di colore scuro. Sono a conoscenza che lo stesso è la persona che negli anni 80 aveva rinvenuto i cadaveri dei due tedeschi uccisi in via di Giogoli. Anzi preciso meglio, mi disse che notò la targa del furgone dei tedeschi e mi disse che erano proprio della sua città natale. Fu lui ad accorgersi per primo del delitto. Andò via dalla Sfacciata credo dopo del 1984 e comunque dopo che era morto MARTELLI Martino, insieme alla cittadina svizzera con la quale aveva una relazione. Aveva l’abitudine di bere molto. Mi ricordo che la signora svizzera mi raccontò che la prima sera che conobbe il Rolf, quest’ ultimo si avvicinò a lei mentre era seduta davanti al piazzale del suo appartamento sedendosi accanto a lei; nell’ occasione il Rolf si scolò tre birre ubriacandosi e in seguito, mentre si alzavano, la donna vide che lo stesso aveva una pistola che teneva infilata nella cintura dei pantaloni e mi disse che non le piacevano le persone in quel modo. Il Rolf era un po’ strano, specialmente quando beveva diventava prepotente. Era un tipo schivo e sempre da solo. Non ricordo che qualcuno andasse a trovarlo.” Spontaneamente aggiungeva: “quando venne ad abitare la svizzera ricordo che il Martino MARTELLI mi disse che aveva dato l’appartamento in affitto per 100 mila lire al mese ad una ragazza svizzera che viveva da sola. Era un appartamento grande di 4 stanze e a me sembrò strano che una donna sola avesse preso un appartamento davvero molto grande, se si considera che le stanze erano molto molto ampie. Per molto tempo veniva a trovare questa svizzera un omino piccolo che la donna mi disse era originario di Napoli e faceva il posteggiatore. In effetti notai che l’uomo indossava in testa un cappellino con la visiera di quelli che di solito usano i parcheggiatori. Della svizzera ricordo adesso anche che aveva un’autovettura A 112 di colore bianco. Quando poi la svizzera conobbe e si mise con il tedesco l’omino napoletano scomparve.” Ed ancora a domande dell’ufficio, rispondeva: “ Questo omino napoletano poteva essere alto 1.60 mt., era proprio piccolo di statura ed aveva il viso tondo. Io quando andavo via dalla villa lo lasciavo insieme alla svizzera ma non so dire se a una certa ora andava via o se pernottava nell’appartamento della svizzera… Il tedesco dall’ idea che mi ero fatto era una persona con tanti soldi. Si vedeva che era una persona che stava bene e non aveva problemi di soldi. Il Martino non mi spiegò mai come aveva fatto a trovare questo inquilino…Il tedesco venne ad abitare dopo circa un anno che già abitava la donna svizzera…Sia la svizzera che il tedesco da quando sono andati via insieme non l’ho più rivisti e neppure li ho mai incontrati…Quando il tedesco e la svizzera si misero insieme, il tedesco lasciò il suo appartamento ed andò ad abitare in quello della svizzera che era più grande. Nell’appartamento del tedesco andò ad abitare una certa COBETTO o COMETTO almeno da quello che ricordo ed aveva il marito e due o tre figli. Gestiva dei negozi di scarpe di Varese e di abbigliamento Benetton, anzi di borse, a Pontassieve. Il marito aveva un Mercedes 5000 scuro.”

Adriana Sbraci, ex moglie di Martelli Franco, figlio di Martino, sentita in data 1 agosto 2003, riferiva di aver abitato nella villa La Sfacciata dal 1983 fino al 1998, data in cui la villa fu venduta. Tra gli inquilini degli appartamenti, ricordava il tedesco Reinecke, ma non ricordava che vi avesse abitato un cittadino americano di colore, come pure di non aver mai sentito nominare il nome di Parker.

Amelia De Giorgio, convivente negli anni 80 di Martelli Franco, altro figlio di Martino, sentita il 30 luglio 2003, negava categoricamente che nella villa in quegli anni vi avesse abitato un americano di colore. La circostanza veniva negata anche dalla figlia della predetta Francesca Reger, anche lei abitante in quegli anni nella villa.

-Pieri Violante, figlia dei proprietari della villa di via B. Fortini, presso cui il Parker aveva dichiarato di aver abitato prima di domiciliare in via di Giogoli, sentita il 30 luglio 2003, riferiva che la propria famiglia aveva abitato in quella villa dalla data dell’acquisto, il 1965, fino al 1982 circa, allorché fu venduta a seguito della separazione dei genitori.
In relazione al Parker, riferiva che si trattava di un amico di famiglia, che abitava a Livorno e che aveva frequentato la villa di via Fortini, nella quale la madre gli aveva messo a disposizione una dependance annessa alla villa, dove l’amico alloggiava quando veniva a Firenze.
Del Parker poi raccontava: “Robert era per me come un fratello. Era una persona dolcissima, spiritosa, ricordo che vestiva molto elegantemente ed era molto curato nella persona. Era molto alto, circa 1.90 mt., con una corporatura adeguata all’altezza, non passava certo inosservato. Anche se lui personalmente non ha mai dichiarato di essere gay, lo sapevamo tutti che lo era…Ricordo comunque che aveva un orologio tipo Rolex, mi pare di ricordare un Sub Mariner oro e acciaio, ma di questo non ne sono assolutamente certa…Quando Robert frequentava la villa di via Benedetto Fortini, lavorava presso la ditta GIBO’ di Tavarnelle che produceva abbigliamento. Non ricordo se era disegnatore o seguiva la produzione di detta ditta. Successivamente si trasferì a Milano a lavorare per PRADA; dapprima viveva in una casa in affitto in via Castelmorrone, dove io sono stata anche ospite, e successivamente acquistò un appartamento al piano alto di uno stabile sito forse nella stessa via, comunque molto vicino all’appartamento che aveva in affitto. Era un appartamento piccolo, bella e curato.”
Circa le amicizie del Parker, raccontava: “Per quanto riguarda le amicizie di Robert devo dire che lui è sempre stato una persona molto riservata e non mi ha mai raccontato la sua vita privata. Sono comunque a conoscenza che la sua migliore amica era la signora Silvia che abita a Milano e che io ho conosciuto. Ricordo che in una occasione, negli ultimi tempi poco prima che Robert morisse, io mi sono recata a Milano a trovarlo e la signora Silvia mi venne a prendere alla Stazione ferroviaria e mi accompagnò presso l’appartamento di Robert e successivamente mi riaccompagnò alla Stazione. L’ultima volta che vidi Silvia fu in occasione del funerale di Robert che si è svolto a Pisa in quanto lui era ricoverato presso l’Ospedale della città. Di Silvia ricordo che all’epoca era una signora di circa 40 anni, con capelli castani, alta, magra, ed aveva dei figli, non ricordo altri particolari, posso presumere che la stessa è conosciuta dai genitori di Robert. Un altro caro amico di Robert era Stefano, non mi ricordo il cognome, che aveva un negozio di oggetti d’arredamento a Porto Santo Stefano e sua madre aveva una farmacia sempre in detta località. Stefano era di medio bassa statura, capelli corti scuri, stempiato, elegante e curato, anche lui so essere deceduto, prima di Robert, suppongo di AIDS.”

MASI Barbara, dall’anno 1983 fino al 1986/87 inquilina dei Martelli in uno degli appartamenti di loro proprietà in via di Giogoli, sentita a verbale in data 26 settembre 2003, dichiarava di non sapere che in uno di quegli appartamenti vi avesse abitato in quegli anni un uomo di colore. Anche l’individuazione fotografica comprendente tra le altre anche la foto del Parker dava esito negativo.

Beveridge Elisabetta, madre della Pieri Violante, sentita l’11 settembre 2003, alla richiesta di notizie sul Parker, dichiarava: “Era il mio figlio adottivo, sin da quando aveva quindici anni. Per sette anni ha vissuto con me in via Benedetto Fortini nr. 6 a Firenze, in una dependance della mia villa. Poi quando nel 1981 1982 ho venduto la villa a tale FERRETTI, Bob andò a vivere a Milano, credo per tre o quattro anni dove lavorava per Prada e per Gucci sicuramente. Negli ultimi due anni di vita tornò a Firenze lavorando per Gucci ed andò ad abitare in via Dei Serragli. Durante gli anni in cui Bob ha vissuto a Milano è capitato che io sia andato a trovarlo, come è capitato che lui sia venuto a trovarmi ed io l’ospitavo oppure andava a Livorno dai suoi genitori. L’ultima estate è stato con me ospite nella mia casa di Positano. In pratica Bob era per me uno di famiglia.”
Circa altre abitazioni del Parker, specificava: “Non mi risultano assolutamente altre abitazioni di Bob a Firenze. In questo caso lo avrei sicuramente saputo dato il rapporto che avevo con lui.
Sulle amicizie a Firenze, specificava che Bob non ne aveva, oltre ai titolari della ditta GIBO’, presso cui lavorava. Aggiungeva: “So che aveva un amicizia a Grosseto di un ragazzo che è morto anni prima di lui ed un altro amico, anche lui italo Americano, che morì in un incidente con la moto , circa dieci anni fa. Anche questo italo americano era alto come Bob, uno splendido ragazzo. Studiava per dentista.”
Alla domanda specifica se le risultassero frequentazioni di Parker a Firenze o di ville vicino Firenze, nella zona di Scandicci o Impruneta, lo escludeva categoricamente. Riferiva: “Lo escludo perché ero io che conoscevo un po’ tutti e quindi anche le persone che frequentava Bob. In pratica Bob me lo portavo dietro io. L’unica cosa che conosco che Bob fece senza di me fu una sua partecipazione ad una festa del famoso Gelli. Mi disse che lui conosceva la figlia ed era stato invitato. Mi raccontò che era una cosa da morire dalla risate perché si trattava di gente bussa, nel senso che non erano signori; in pratica per lui erano stati dei cafoni.”
In relazione al tipo di macchina posseduta dal Parker, dichiarava: “Non ricordo che macchina avesse Bob in quegli anni, ma comunque non si trattava di una macchina di lusso. E so che era una macchina normale e gli è stata rubata a Milano.
A domanda specifica, rispondeva: “Non mi risulta che Bob avesse in uso una fiat 126 di colore bianco e ne io l’ho visto mai con un auto simile. Anzi a me sembra impossibile che potesse guidarla perché era molto alto, quasi due metri.”
Allorché l’ufficio le faceva poi presente che risultava agli atti che il Parker nel 1983 utilizzava una Fiat 126, notata in via di Giogoli nei pressi della villa dei Martelli, rispondeva: “faccio presente di essere andata spesso alla villa dei Martelli essendo amica di tutti i proprietari. Sono stata spesso al ristorante Giogoli che appartiene alla villa, gestito da uno dei nipoti dei Martelli che credo si chiamasse Guido. All’epoca era di moda frequentare quel ristorante e può essere capitato che qualche volta ci sia stato Bob con gli amici della moda. Io non ci sono mai stata con Bob.”
Ed ancora, richiestole se le risultasse che Parker le avesse detto di abitare in una pertinenza della villa Martelli o comunque di avere una casa a Giogoli, rispondeva: “assolutamente no. Mai. Lo escludo perché in questo caso l’avrei sicuramente saputo. Bob ripeto che per me era come un figlio e me ne avrebbe parlato. Dovete sapere che quando è ritornato a Firenze per lavorare da Gucci l’ho aiutato a cercar casa e poi è stato lui ad averla trovata in via dei Serragli. Questa casa l’ho visitata anch’io. Non è possibile che abbia abitato in quella zona perché, come ho spiegato, dopo che è andato via dalla mia casa di via Fortini nel 1981/1982, andò prima a Livorno e poi a lavorare a Milano, dove andai a trovarlo.”
Infine, riferiva: “ripeto che Bob ha vissuto con me circa 7 anni e poi è andato a Milano. Se controllassi le foto e la data di vendita della villa potrei essere più precisa…Bob vestiva sempre elegantissimo e talvolta indossava anche un cappello tipo Borsalino. Non sempre, ma ricordo che lo portava.”

Gli accertamenti svolti nel contesto delle nuove indagini sul conto del Parker hanno consentito di accertare quanto segue:

 è nato a Fort Monmouth ( New Jersey – USA) l’11.09.1954 da John Wesley e BELTRAMINI Nara nata a Livorno il 26.09.1931;
 risulta avere fatto ingresso sul territorio italiano in data 29.06.1963, e risulta essere stato in possesso del permesso di soggiorno nr. P 325978A rilasciato dalla Questura di Milano in data 5.8.1992 avente scadenza il 14.02.1996;
 é immune da precedenti di Polizia;
 presso la Prefettura di Livorno, é stato titolare di patente di guida cat. B nr. LI 2003513 rilasciata dalla stessa Prefettura in data 22.01.1973 e valida fino al 7.2.1993 (patente non meccanizzata). Successivamente la medesima Prefettura ha emesso una nuova patente cat. B avente nr. LI 2192304 rilasciata in data 5.5.1989 valevole fino al 5.5.1999 e rinnovata fino al 28.7.2004;
 dal certificato medico rilasciato per l’idoneità al conseguimento della patente di guida di cui sopra, lo stesso risulta avere una statura di m. 1,87;
 non risultano veicoli collegati con la patente nr. LI 2003513;
 in riferimento alla patente avente nr. LI 2192304, presso la banca dati della motorizzazione civile, risulta la seguente autovettura:
 BMW 325I 1 Touring targata MI 7L2353 immatricolata in data 8.4.1989, intestata a PARKER Mario Robert residente a Livorno in via Bengasi nr. 39.
 presso la banca dati del PRA/ACI, oltre al veicolo sopra citato, a suo nome risultano le seguenti autovetture, elencate cronologicamente per anno di immatricolazione:
 VW GOLF GTI Turbo targata LI 326554, immatricolata l’8.6.1983, intestata a PARKER Mario Robert residente a Livorno in via Bengasi nr. 39; il possesso dell’autovettura viene interrotto in data 5.10.1983 per furto consumato, denunciato in data 6.10.1983 presso un commissariato di P.S. di Milano;
 CITROEN VISA targata FI A78728 (LI 384730), iscritta come 1^ immatricolazione il 7.10.1984 a nome di CARLI Giovanni nato a Firenze il 21.01.1950 ed ivi residente in via Dè Serragli nr. 77; in data 21.05.1984 viene trasferita la proprietà a PARKER residente a Livorno in via Bengasi nr. 39, che ritarga l’autovettura con il numero indicato fra parentesi;
 VOLVO 240 D targata MI 25570Z (LI 430690), iscritta come 1^ immatricolazione il 28.11.1985, intestata a BAI LEASING S.p.A. con sede a Milano in via Trivulzio nr. 5; in data 24.1.1989 viene trasferita la proprietà al PARKER residente a Livorno in via Bengasi nr. 9, ritargando l’autovettura con il numero indicato fra parentesi;
 VW POLO 1.6 targata (MI) AF 399 JX, immatricolata in data 17.04.1996, intestata a PARKER residente a Milano in via Castel Morrone nr. 11.
 in relazione alle residenze risulta quanto segue:
 è stato residente nel comune di LIVORNO in via Bengasi nr. 39, fino al 24.11.1989;
 dal 24.11.1989 nel comune di PISA, in via delle Salvie nr. 28, fino al 29.11.1989;
 dal 29.11.1989 nel comune di MILANO.
Da accertamenti SDI, nel comune di MILANO risultano le seguenti cessioni fabbricato, con le motivazioni di seguito specificate:
 il 7.6.1985 acquista dalla società CASTELLOMBARDO, con il nome di PARKER Mario nato negli USA l’11.09.1954, un fabbricato sito in via Castelmorrone nr. 2;
 il 17.11.1990 acquista da BERTINI Viviana nata a Milano il 14.03.1927, con il nome di PARKER Mario nato negli USA l’11.09.1954, un fabbricato sito in via Castelmorrone nr. 11.
Le predette movimentazioni vengono effettuate in data antecedente al trasferimento della reale residenza nel comune di Milano.
 Il 20.11.1990 acquista da PARRINO Francesco nato a Milano il 22.03.1929 un fabbricato sito in via Castelmorrone nr. 2;
 nella città di FIRENZE non risulta essere mai stato residente, ma lo stesso risulta intestatario di utenza ENEL ubicata in via De Serragli nr. 28, cessata in data 29.08.1996;
 ha lavorato come dipendente, in qualità di dirigente, negli anni 1995 e 1996 rispettivamente per 13 e 32 settimane, presso la ditta GUCCIO GUCCI S.p.A. con sede a Firenze in via Tornabuoni nr. 73/r;
 precedentemente, da dichiarazioni testimoniali acquisite, risulta che lo stesso avrebbe lavorato presso la ditta di abbigliamento GIBO’ di Tavarnelle (18).
 in data 11.08.1996, risulta essere deceduto a Pisa (atto nr. 969 – Parte II – serie B – Ufficio 1). I successivi accertamenti hanno permesso di stabilire che lo stesso è deceduto per cause naturali,

(18) Sul punto sono in corso verifiche.

presso la locale Azienda ospedaliera. Il relativo modello ISTAT D.4 evidenzia come malattia, la causa iniziale di morte per A.I.D.S.; per causa intermedia o complicazione il sarcoma dikaposi e per causa terminale, che ne ha provocato direttamente il decesso, l’edema polmonare acuto;
 la Questura di Milano, interessata per gli accertamenti in quel comune, riferiva che il Parker, sebbene anagraficamente residente in via Castel Morrone 11, risultava deceduto a Pisa il giorno 11.8.1996 e che, agli ultimi due indirizzi di residenza in via Castel Morrone 2 ed 11 era conosciuto come un omosessuale e come persona molto educata e rispettosa;
 la Telecom, interessata per conoscere l’intestatario dell’utenza 2047157 fornita nel 1983 dal Parker ai carabinieri quale recapito telefonico, comunicava che detta utenza fu assegnata per la prima volta il 9.9.1986.

Per quanto riguarda invece il REINECKE e la fidanzata svizzera dello stesso, gli accertamenti attuali hanno consentito di rilevare quanto segue.

-L’ultima traccia dei predetti risale al 1984 allorché, come dichiarato dal Pratesi si allontanarono dalla villa. Ogni accertamento, esperito sia negli uffici anagrafici, che negli archivi del Ced ed in quelli della Questura di Prato, dove vi sarebbe stata la sede di lavoro del tedesco, hanno dato esito assolutamente negativo.

Gli unici dati che è stato possibile raccogliere sono i seguenti:

-Agli atti vecchi, oltre ai verbali di cui si è già detto, esiste un riferimento ai predetti all’interno del rapporto n. 192/15-83 di prot. del 10.10.1984 del Nucleo Operativo dei carabinieri di Firenze, diretto alla Procura della Repubblica di Firenze, con cui veniva riferito sulle segnalazioni anonime in merito al duplice omicidio Rontini – Stefanacci (fascicolo II). Infatti, al foglio 52 esiste la scheda di accertamenti relativi a Martelli Guido, nato a Firenze il 7.4.1939, residente in via di Giogoli 10 (nipote di Martelli Martino, proprietario all’epoca della villa La Sfacciata), indicante quale motivo della segnalazione “lettera anonima”. Allegata alla scheda, vi è una relazione di servizio dattiloscritta, recante la data del 29.8.1984 e che non reca alcuna firma in calce, nella quale si legge: “Oggi 29 corrente mese mi sono recato in Via di Giogoli al civico 10 presso l’abitazione del Sig. MARTELLI Guido, per accertamenti di Polizia Giudiziaria. Giunto sul posto notavo che il cancello era chiuso a chiave,e dopo alcuni minuti è arrivato tale MARTELLI Nerio, fratello dello stesso MARTELLI Guido,che dopo essermi presentato e avergli chiesto se c’era il di lui fratello mi diceva che non c’era in casa e che anche lui lo stava cercando. Dopo alcune insistenze da parte mia lui mi diceva che non sapeva se poteva farmi entrare vista l’assenza di suo fratello. Dopo le mie continue insistenze riuscii a farmi portare da suo fratello che si trovava all’interno del giardino, a effettuare alcuni lavori. Presentatomi al fratello ovvero MARTELLI Guido gli spiegavo di cosa si trattava la mia ricerca e lui mi diceva di non potermi aiutare in quanto non aveva mai visto il soggetto da me indicato comportarsi in detto modo. Alla domanda se in quella abitazione vi fosse mai abitato una donna tedesca oppure svizzera lui rispondeva con sicurezza di no. Mentre io sapevo benissimo che tempo addietro vi era detta donna che vi abitava con suo marito di provenienza inglese. Confidenza dataci da certa persona degna di fiducia, faccio inoltre presente che alla Stazione Carabinieri di Scandicci il Comandante ha asserito che tempo addietro trovarono all’interno della sua tenuta un’autovettura con a bordo un uomo carbonizzato, e che quel caso rimase un po’ dubbio. Si fa presente che la moglie durante il periodo estivo sta quasi sempre dalla madre di lei che ha una tenuta in maremma. In data 4/7/83 presentò domanda per ottenere porto di pistola per la difesa, stata negata in merito ad una diffida.”
Sempre all’interno del medesimo fascicolo II, esiste la nota n. 153/17-1984 – 192/15 – 97 di prot. del 14.5.1985 del Nucleo di Polizia Giudiziaria dei carabinieri di Firenze, diretta alla Procura della Repubblica di Firenze, avente il medesimo oggetto della precedente nota, sopra indicata, e con cui venivano trasmessi i verbali di s.i.t. delle persone interrogate in relazione alle segnalazioni in questione.
In detta nota si legge: “In esito alla richiesta…si trasmettono i verbali di sit…ad eccezione di Guido Martelli, sul conto del quale il Nucleo Operativo del Gruppo CC di Firenze con foglio n. 192/15 – 83 datato 10.10.1984 aveva compilato e trasmesso a codesta Procura della Repubblica la scheda di “accertamenti relativi alle segnalazioni di sospetti maniaci””. Si fa presente che la scheda relativa al nominativo di Martelli Guido, giusta autorizzazione verbale data dal dr. Francesco Fleury al maresciallo Francesco Di Leo di questo Nucleo, è stata distrutta e sostituita con quella riguardante Edoardo Bindi; il Martelli infatti era stato contattato da personale dell’Arma per ottenere informazioni sul conto del Bindi e, poi, per errore veniva compilata la scheda a suo nome”.
In allegato alla citata nota del 14.5.1985, vi è allegato il verbale di sit di BINDI Edoardo, nato a San Giovanni D’Asso (SI) il 23.4.1931, sentito il 7.5.1985. Nella circostanza, il Bindi dichiarava: “prendo atto di quanto mi comunica. Io non sono in grado di stabilire chi abbia potuto avere interesse a calunniarmi affermando con una telefonata anonima che io potrei essere interessante alle indagini sul cosiddetto “Mostro” di Firenze in quanto tale anonimo mi ritiene per altro un “guardone” ed “omosessuale”. Io non sono mai stato un “guardone” ne’ mi ritengo un “un omosessuale”. Chi ha voluto fare tale segnalazione credo che abbia voluto farmi uno scherzo di cattivo gusto. Mi riservo comunque, nel caso dovesse essere scoperto di querelarmi per garantirmi sia sotto il profilo morale che materiale…Fino a qualche anno fa’ero colono ed avevo la disponibilità di un terreno sito in località “Giogoli” nel quale coltivavo le piante e seminavo qualche ortaggio ed in particolare allevavo conigli e delle galline. Per tale motivo, quando ero libero dal servizio mi recavo in detto terreno per eseguire i lavori di cui prima ho parlato. Nelle vicinanze di detto appezzamento i terra era sita una villa di proprietà di un certo Martelli; sempre nelle vicinanze di detto terreno vi era una casa colonica affittata da un cittadino tedesco che convive,almeno credo,con una donna di nazionalità “Svizzera”. Al riguardo posso dire che tale donna era solita fare qualche giro sulla bicicletta,nella zona,in costume da bagno…”
Dalla lettura dell’atto, si evince che il Bindi era stato segnalato da una telefonata anonima (nella scheda di Martelli Guido si parla invece di lettera anonima) e che lo stesso aveva riferito notizie sulla donna svizzera, evidentemente anche questa oggetto della segnalazione.
Il BINDI, in data 22 settembre 2003, veniva sentito a verbale.
In questa sede, dichiarava: “Fuori dal recinto della villa La Sfacciata vi erano alcune abitazioni che furono ristrutturate dal Martelli Martino e date in affitto. Tra gli affittuari ricordo un signore tedesco che all’epoca aveva circa 50 anni e si diceva avesse una fabbrica a Prato. Un’altra affittuaria era una signora svizzera, una bella donna di circa 45 anni, alta, coi capelli lisci castani chiari lunghi fino alle spalle, che si vedeva spesso girare in bicicletta. Negli anni che vanno dal 1978 agli inizi degli anni 80, quando mi recavo a lavorare nel podere del Nordico vedevo spesso il signore tedesco passeggiare con la signora svizzera, di cui non so fornirvi i nomi e coi quali, a parte i convenevoli, non ho mai intrattenuto nessuna conversazione.
Al Bindi veniva mostrato un album fotografico contenente anche la foto del Parker e lo stesso, dopo averlo visionato, dichiarava che la persona del Parker non l’aveva mai vista, mentre nella foto del Vitta Nathanel coglieva una certa rassomiglianza col tedesco di cui aveva parlato. Precisava però che il tedesco aveva più capelli, anche se più o meno era della stessa età della persona in fotografia.
BINDI Claudio, figlio di Edoardo, sentito anche lui il 22 settembre 2003, dichiarava: “Ricordo che, negli anni in cui mi recavo con mio padre a lavorare nei campi di via dei Giogoli, verso la fine degli anni 70 – inizio anni 80, spesso mi capitava di vedere un signore di nazionalità tedesca in compagnia di una signora svizzera che passeggiavano in via Giogoli. Gli stessi abitavano negli appartamenti ristrutturati dei Martelli ubicati dietro la villa La Sfacciata. Posso descrivere il signore tedesco come una persona di circa 35 anni, alto, robusto, viso tondo, capelli corti, mentre la signora svizzera era una donna di 28-33 anni, alta circa m.1,90, capelli lisci lunghi e chiari, molto attraente. Ricordo che la stessa girava in bicicletta nei pressi della villa. In quegli anni, non mi ricordo la data precisa in quanto ero molto giovane, la signora svizzera chiese a mia madre se io potevo andare ad aiutarla a passare dei cavi elettrici all’interno del suo appartamento; mia madre acconsentì ed io mi recai due giorni consecutivi in casa della svizzera e l’aiutai a montare i lampadari. Ricordo che nell’occasione la signora mi confidò di essere una donna sportiva e mi mostrò degli anelli ginnici che usava per fare ginnastica ma non notai niente di strano.”

-Il 15 giugno 1963, in Prato, ha contratto matrimonio con Bartolini Lucia, nata a Prato il 19.6.1939, deceduta. Il 29.6.1987, il Reinecke ha presentato ricorso al Tribunale di Firenze per ottenere lo scioglimento del matrimonio ed il Tribunale, con sentenza del 16.11.1987 ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Dall’unione nacquero tre figli: Caterina, nata il 30. 9 1964; Marianna, nata il 29.12.1971; Marco, nato il 24.7.1966;

-era socio della s.n.c. “Carbonizzo La Rocca di Reinecke & C.” con sede a Vaiano (FI) località “La Briglia”, costituita il 29.11.1958 e cessata il 31.12.1973, avente ad oggetto “la lavorazione di carbonizzatura lana e altre lavorazioni tessili”. L’altro socio era: Baldacci Francesco, nato a Carmignano (PO) il 25.11.1923, cognato del Reinecke per aver sposato la sorella della moglie di quest’ultimo;

-risulta essere stato proprietario dal 24.3.1982 dell’autovettura Innocenti Mini 90, targata FI 946465. All’epoca risultava residente in via di Giogoli n. 4;

-risulta essere stato condannato in data 28 giugno 1985 dal Tribunale di Firenze per porto abusivo e detenzione illegale di armi, nonché in data 31.1.1973 per contravvenzione al codice della strada;

-Martelli Martino, proprietario della villa “La Sfacciata” con atto del 7.3.1984 conveniva in giudizio il Reinecke per ottenere il pagamento dei canoni d’affitto arretrati, non pagati, relativi all’appartamento di via di Giogoli 4/6. Il Tribunale civile di Firenze – Sezione II – con sentenza del 19 ottobre 1987 condannava il Reinecke al pagamento della somma di lire 40 milioni più accessori. Dall’atto di citazione si evince, tra l’altro, che il Reinecke aveva preso in locazione l’immobile di quattro vani più servizi il 15.3.1978. Il Reinecke era rappresentato dall’avv. Sergio Marchetiello con studio in via Martelli n. 5 in Firenze. Nel ricorso per sequestro conservativo, depositato dal Martelli il 5.12.1984, si legge: “Sta di fatto che il ricorrente è venuto a sapere che il Reinecke, ospite di tale Francoise Walther, e proprietario solo di una autovettura, intende entro pochi giorni lasciare l’Italia, sottraendosi così all’eventuale soccombenza nella causa…”

-BALDACCI Francesco, sentito a verbale in data 7 ottobre 2003, in relazione ai suoi rapporti con il Reinecke, dichiarava:
“Alla fine degli anni 70, inizi anni 80, sono stato titolare della ditta LA ROCCA, ubicata a Vaiano in località La BRIGLIA. Tale società che si occupava della lavorazione per conto terzi di stracci, i quali venivano “carbonizzati” e cioè lavorati con l’acido cloridrico e con apposite macchine dai quali ne usciva la cosiddetta “lana meccanica” e cioè non lana di pecora. Tale società la gestivamo io e
mio cognato Luciano CIATTI, successivamente l’abbiamo ceduta ad un terzo cognato, un tedesco di nome Rolf REINCKE, il quale aveva sposato la sorella più piccola di mia moglie, Lucia Cornelia BARTOLINI. Attualmente questa è morta da circa 5 anni di leucemia.”
Circa la conoscenza da parte della cognata del Reinecke specificava:
“negli anni 60/70, il padre di Rolf, rappresentava una grossa azienda della Baviera, e noi come Lanificio BARTOLINI eravamo uno dei tanti fornitori. In occasione di uno dei viaggi del padre Gerard, venne accompagnato anche dal figlio Rolf. In uno di questi viaggi in Italia il Rolf conobbe la mia cognata Lucia. Si innamorarono e successivamente si sposarono credo alla fine degli anni 60. La coppia non volle mai stare a Prato e fu così che il padre di Rolf acquistò per loro una casa a Firenze in via Pietro TACCA, nella quale attualmente vive una delle figlie, Marianna.”
Quanto alle abitazioni ed alle abitudini di vita del cognato, dichiarava: “mio cognato Rolf, fino al 1987, 1988, ha sempre abitato con la famiglia, in via Pietro Tacca a Firenze, in quegli poi, dopo la separazione credo fosse andato ad abitare in affitto in qualche posto nei dintorni di Firenze, ma non so dirvi dove di preciso, in
quanto dopo la separazione i rapporti si sono rotti ed io non l’ho più visto. I motivi per i quali si è arrivati alla separazione tra mio cognato e mia cognata, sono stati legati più che altro alla differenza caratteriale che vi era fra il Rolf e mia cognata Lucia. Mi spiego meglio, il Rolf, per come mi ricordo io era un tipo molto autoritario e strano, aveva un carattere molto burbero, al quale non piaceva molto lavorare, gli piaceva molto di più andare a fare girate per il Chianti e stare lontano dalla famiglia. Infatti durante il giorno lui era spesso in giro e rientrava solo la sera per cena o non rientrava affatto. Mia cognato Lucia invece era di carattere opposto a lui, in quanto era una donna che si perdeva dietro alla famiglia ed ai figli.”
Sulle caratteristiche fisiche del cognato, spiegava: “di mio cognato Rolf, mi ricordo che era un omone alto circa 190/200, pesava circa 90/100 kg, aveva capelli corti e biondi, riccioli, occhi azzurri e per un certo periodo ha portato barba e baffi, aveva i lineamenti molto regolari.”
Sulla reperibilità del predetto: “sono a conoscenza che il Rolf, circa dieci anni orsono è tornato in Germania, non so dirvi dove, ed ha allacciato una relazione con una donna di laggiù dalla quale ha avuto anche una figlia. Non sono a conoscenza dove il Rolf vivesse in Germania dopo avere lasciato l’Italia. Sono a conoscenza soltanto che la sua famiglia viveva a Bambergh in Baviera. Sono altresì a conoscenza che lo stesso, circa sei anni orsono, è deceduto per motivi di cuore. Questa notizia credo che l’abbia comunicata la madre, a mezzo telefono a mia moglie.
Circa le amicizie del cognato: “Non sono a conoscenza di eventuali amicizia che il Rolf aveva, ricordo soltanto che per un periodo lo stesso ha frequentato un mio dipendente di nome GORI Osmeno, il quale è deceduto qualche anno orsono. Ripeto non sono a conoscenza di altre amicizie, anche perché come ho detto con il carattere che aveva non legava molto con la gente.”
Ed ancora: “ il Rolf non aveva hobby particolari o praticava sport. Io non ho mai saputo che avesse una passione per le armi. Mi sembra di ricordare che per un periodo ha frequentato il Mugello, se non ricordo male Scarperia dove aveva acquistato un elmo con due spade incrociate, del quale andava molto fiero e teneva appese nella casa di via Pietro TACCA.”
La figlia del BALDACCI, Francesca Marianna, sentita a verbale in data 9 ottobre 2003, in relazione allo zio Reinecke dichiarava: “Di quello che ricordo il matrimonio è durato circa 14 anni, anche se dopo i primi due anni mia zia Lucia si lamentava del carattere di Rolf in particolare per la sua rudezza. Negli anni lo stesso Rolf peggiorava e sempre, da racconti fatti dalla mia zia, a volte rimproverava e picchiava i figli anche senza valido motivo; eccedeva nel bere e per tali motivi diventava violento… nel 1977/1978, mio zio REINECKE abbandonò l’abitazione di via Susini e non so se andò ad abitare subito dalle parti del Galluzzo, in via di Giogoli, io non ci sono mai stata. Noi in famiglia apprendemmo nel 1983, dai giornali che aveva rinvenuto due ragazzi tedeschi morti all’interno di un camper nei pressi della sua abitazione di via di Giogoli. Ricordo che in famiglia commentammo il fatto, pensando al dispiacere che aveva potuto avere nel ritrovare i cadaveri di due persone…”
Circa armi in possesso dello zio, raccontava: “Non sono a conoscenza se mio zio Rolf avesse l’hobby delle armi, ricordo soltanto un episodio, riportatomi da lui e da mia zia, nel quale mi raccontarono di un litigio avuto negli anni 70 con dei vicini in quanto Rolf aveva sparato o impallinato un gatto, in quanto gli dava fastidio. Io non ho mai visto armi in casa anche perché all’epoca della mia frequentazione vi si trovavano i figli piccoli, e quindi anche se le avesse avute non le avrebbe certo tenute in giro.” Sulla reperibilità, spiegava: “Sono a conoscenza, che negli anni 90 dal momento che il Rolf aveva dei problemi finanziari tali, che decise di tornare definitivamente in Germania. Con lui si trovava anche la seconda moglie, che so essere una signora di origine Svizzera, che insegnava tedesco a Firenze, dove si erano conosciuti. Non sono a conoscenza del suo nome. So che da questa donna Rolf ha avuto una bambina. Io l’ho sentita nel 1996, quando ha telefonato a casa, e piangendo mi disse che Rolf era morto a Bambergh, e che aveva lasciato lei e la figlia in precarie condizioni economiche. Da quella volta la seconda moglie di mio zio Rolf, non si è fatta più sentire. Credo che i figli, Marco, Marianna e Caterina, abbiano avuto dei contatti successivi per la questione legata all’eredità. Per quanto ne so io tali contatti si sono limitati a quelli tenuti dai rispettivi legali.”
Sulla personalità: “Che io sappia, mio zio Rolf era una persona molto solitaria, gli piacevo molto andare a mangiare in ristoranti in campagna e specialmente nel Chianti, dove gli piaceva molto andare a mangiare. So che andava anche spesso ad acquistare del vino nel Chianti, ma non so in che luogo di preciso…Ricordo che negli ultimi tempi, e cioè alla fine degli anni 70, Rolf nonostante la sua altezza, si era molto appesantito ed aveva messo su pancia, aveva la barba bianca e grigia, era stempiato ed i capelli erano striati di bianco, portava spesso gli occhiali da sole, che se non
sbaglio erano con la montatura marrone rettangolari in quanto aveva gli occhi chiari e delicati ed era alto circa mt. 1,95. Ricordo che si vestiva molto casual, indossava spesso giacche di pelle, e mi pare ne avesse una anche con delle frange, ricordo che in alcune occasioni indossava un cappello a tesa larga, tipo cow boy, e ricordo che spesso indossava anche degli stivali tipo buttero.”
Precisava inoltre di non essere a conoscenza di dove fosse andato, dopo l’ultima volta che lo aveva visto e che risaliva alla fine di agosto  – i primi giorni del mese di settembre 1984.
Nella circostanza, la Baldacci consegnava alcune foto dello zio risalenti agli anni 60, scattate in occasione del matrimonio.

Da queste foto si rileva una forte rassomiglianza con l’identikit redatto durante le indagini sul duplice omicidio dell’ottobre 1981 sulla scorta degli elementi forniti da una coppia che, la notte del delitto ed in orario particolarmente significativo, così come il luogo, aveva notato la persona descritta alla guida di un’auto sportiva incrociata su un ponte. (Vedasi dichiarazioni di Parisi Rossella)
Si rileva altresì che la descrizione dell’abbigliamento, oltre che chiaramente quella del tifico, appare perfettamente sovrapponibile con i dati forniti in precedenza da Gabriella Ghiribelli allorché fece riferimento allo svizzero, amico del Lotti, che abitava in un appartamento della villa “La Sfacciata”.
Particolarmente significativa appare poi la conferma di quanto già appreso da altri testi (vedasi il Pratesi Attilio) sulla circostanza che il tedesco nel 1984 aveva lasciato l’appartamento di via di Giogoli insieme alla donna svizzera senza più farsi vedere. E in quell’anno, come è stato riferito, erano stati svolti accertamenti sulla coppia, tanto che erano state chieste informazioni a Martelli Guido, che aveva negato la circostanza della conoscenza dei due.
Venivano sentiti a verbale anche i figli del Reinecke, Marco, Marianna e Caterina apprendendo ulteriori notizie, tra cui il fatto che il loro genitore nel 1983/1984 era tornato, senza dire loro nulla, ad abitare in Germania, che odiava la moglie, tanto che era stata la loro madre a chiedere la separazione, che era morto per infarto in Germania nel 1995, che la nuova moglie, Francesca (la svizzera Walther) era interessata alla magia e frequentava maghi ed astrologi.
Marco, il 16.10.2003, tra l’altro, dichiarava: “in merito al duplice omicidio dei tedeschi avvenuto a Giogoli nel 1983, ricordo quanto segue: mio padre la domenica del duplice omicidio o i giorni immediatamente successivi, poteva essere la domenica successiva, si giustificò di un ritardo o di un mancato appuntamento, in quanto trattenuto dalle Autorità competenti a seguito del ritrovamento dei due ragazzi tedeschi uccisi a Giogoli. Mio padre mi disse che la sera prima del ritrovamento dei due corpi, sul tardi, aveva visto un furgone Wolkswagen appartato in un boschetto. L’aveva rivisto la mattina successiva nello stesso punto con un vetro rotto. Si avvicinò e vide due ragazzi morti, notò i capelli lunghi e per questo non capì se si trattava di due uomini o un uomo e una donna. Disse che aveva spontaneamente consegnato una pistola calibro 22, che lui deteneva da tempo con regolare licenza alle autorità presenti che lui stesso aveva provveduto a chiamare. Mio padre si dimostrò allarmato in quanto era venuto a conoscenza che i delitti commessi dal cosiddetto Mostro di Firenze erano stati eseguiti proprio con una pistola cal.22. Preciso meglio mio padre nel dirmi che era allarmato mi fece capire di esserlo proprio per eventuali problemi con la giustizia derivanti dal fatto di aver consegnato una pistola cal. 22 che era dello stesso tipo di quella usata nei delitti del cosiddetto Mostro di Firenze. Era anche rammaricato dal fatto di non detenerla più. Questa è stata la prima ed unica volta che mio padre mi ha parlato del duplice omicidio di Giogoli.”
In una successiva occasione, il 17.11.2003, lo stesso Reinecke Marco aggiungeva che il padre era socio nel Club nautico di Carrara e di quello di Cala Galera, vicino a Porto Ercole e che possedeva un motoscafo abbastanza grande con due motori fuori bordo. Aggiungeva anche che in una occasione il genitore lo aveva portato al Lago Trasimeno a visitare il Museo dell’aviazione.
Circa il racconto fatto in relazione alla scoperta dei due cadaveri, va rilevato che, dagli atti, risulta che il Reinecke all’epoca ebbe a dichiarare di aver scoperto il furgone la mattina del giorno del ritrovamento dei cadaveri e non già la sera precedente e che, quando si era avvicinato ad esso, aveva pensato che l’occupante stesse dormendo.
Non risulta altresì che lo stesso avesse consegnato una calibro 22, né che, a seguito della perquisizione eseguita nella sua abitazione, fosse stata rinvenuta un’arma di detto calibro.

 In relazione alla Walther Francoise si è accertato quanto appresso:

Walther Francoise Yolanda è nata a Zurigo (CH) il 29.5.1948;
-all’anagrafe del Comune di Firenze risulta nubile ed immigrata dalla Svizzera in data 12.4.1978. Alla voce professione figura: “Dip. Amm. Giust.”;
-in data 5.9.1978 risulta titolare di impresa individuale con sede in Firenze, via di Giogoli 6, con inizio attività il 1.9.1978 e data di cessazione il 31.3.1980, avente per oggetto: “agenzia di commercio per viaggi – studio all’estero”;
-all’archivio INPS risulta che ha intrattenuto rapporti di lavoro dipendente con le seguenti ditte: Bruggisser Kurt M. (dall’1.7.1974 al 30.9.1974 – dall’1.4.1975 al 31.12.1975 – dall’1.1.1976 al 31.12.1976); Mealli Maurizio Tessiltecnica (dall’1.9.1978 al 26.3.1980); s.r.l. Nittner Italia (dall’1.1.1980 al 31.3.1980); S.p.A. Filatura S. Giorgio (dall’1.2.1981 al 30.11.1981). Esistono altri periodi dal 1972 al 1974 di rapporti di lavoro dipendente, ma non risultano indicati i datori.
La predetta attualmente vivrebbe, con una figlia avuta dal Reinecke, nella città di Bemberg, vicino a Monaco di Baviera.

3. Coinvolgimento di Narducci Francesco nei duplici omicidi.

Le risultanze investigative nel procedimento penale collegato della Procura della Repubblica di Perugia fino a questo momento hanno portato ad acquisire anche plurime informazioni testimoniali che indicano il Francesco Narducci come coinvolto nei duplici omicidi del Mostro di Firenze e ad analoghe notizie addirittura risalenti ancor prima dell’esecuzione dell’ultimo delitto. Questo forse perché finalmente sembra essersi frantumato quel muro di omertà che si era alzato intorno alla morte del professionista fin da subito dopo la scoperta di quello che, all’epoca, era stato fatto passare per il cadavere del professionista. Come pure, oggi, sembra che si stia dipanando quella fitta ragnatela di coperture e di depistaggi che, formatasi fin dal primo momento della scomparsa del Narducci, ha ostacolato l’accertamento della verità riuscendo nel tempo a soffocare sul nascere i tentativi di verifiche investigative che di tanto in tanto mittenti anonimi riproponevano alle autorità competenti. E, nella formazione di questa ragnatela di coperture e di depistaggi avrebbe svolto un ruolo importante la Massoneria, così come emerso dall’inchiesta perugina.
Anche se succintamente, si ritiene utile pertanto richiamare alcuni significativi fatti e circostanze che, allo stato, sono in fase di ulteriori approfondimenti sia da parte di quest’ufficio sia da parte della polizia giudiziaria umbra.

1. Plurime dichiarazioni di persone informate dei fatti, nel procedimento penale perugino hanno fatto riferimento al coinvolgimento della Massoneria nella vicenda della scomparsa e della morte del Narducci.

In proposito si richiamano le dichiarazioni rese, sia alla P.G. sia allo stesso P.M. di Perugia, da Ferdinando Benedetti, nato a Treviso in data 10.03.1951, residente in Perugia, Via Pievaiola nr. 2/a, appartenente alla Società di Mutuo Soccorso e studioso di Massoneria.
Il predetto, tra l’altro, riferiva che all’interno della Massoneria perugina, che si era più volte riunita a suo tempo per discutere della morte di Francesco Narducci, esisteva l’ordine di non parlare del caso “Narducci”. Precisava, poi, che, al tempo dei fatti, Ugo Narducci e Gianni Spagnoli, si erano rivolti al Gran Maestro Bellucci per non fare eseguire l’autopsia sul cadavere e che il Bellucci si era rivolto ad un personaggio politico, adesso in pensione, che era stato anche ministro. Riferiva ancora che dalle notizie in suo possesso Narducci Francesco abitava in un appartamento nei pressi dei duplici omicidi (ed il Lorenzo Nesi, nell’indicare il luogo in cui aveva notato a San Casciano il Narducci riferisce di avere avuto l’impressione che all’epoca abitasse vicino a quel posto!)
Facendo poi riferimento alle riunioni tenute dalle logge massoniche, che in pratica avevano svolto una loro inchiesta interna sulla vicenda, specificava che, durante quelle riunioni, si era discusso del MOSTRO di FIRENZE e si era detto che Narducci non era il MOSTRO bensì uno dei MOSTRI e che, comunque, era coinvolto nei duplici omicidi. (Questo avveniva nei mesi successivi alla scomparsa ed alla morte del professore e le logge avevano concluso le loro inchieste con un esito che, guarda caso, è l’ipotesi investigativa affiorata dopo il processo a Vanni + tre e che si sta ancora perseguendo sempre più concretamente!)
Il Benedetti riferiva altresì di riunioni della Massoneria che si tenevano al CASTELLO DELL’OSCANO, vicino a Perugia (19).
Dichiarava ancora che aveva sentito parlare nelle riunioni di logge della SETTA della ROSA ROSSA, della quale Francesco Narducci faceva parte dall’anno 1974 ed all’interno della quale alla fine aveva raggiunto il grado di CUSTODE. Al riguardo forniva dettagli sull’appartenenza a questa setta e citava episodi specifici e nominativi, sui quali la squadra mobile di Perugia è stata delegata dal P.M. a svolgere gli opportuni approfondimenti, così come sulle riunioni al Castello dell’Oscano e sulla presenza lavorativa in quel posto della Elisabetta Ciabani.
In data 31.10.2002, risentito a verbale, il BENEDETTI, tra l’altro, specificava:
“…il caso Narducci è stato trattato come unico punto all’ordine del giorno in tutte le logge presenti nel perugino. So anche per certo che successivamente agli

(19) Al Castello dell’Oscano avrebbe lavorato per alcuni mesi la giovane fiorentina Ciabani Elisabetta, trovata morta, in circostanze quanto mai oscure, sul terrazzo di un residence in provincia di Ragusa, dove stava trascorrendo un periodo di ferie con i propri familiari. Il suo cadavere, completamente nudo, presentava ampie ferite da coltello al basso ventre, da dove fuoriuscivano organi ed alla parte alta del torace, dove il coltello fu trovato ancora conficcato all’altezza del cuore. Il caso, all’epoca, fu archiviato come suicidio, ma le perplessità su quell’ipotesi restano, anche perché viene difficile ipotizzare che la giovane, per suicidarsi, prima si sia spoglia completamente e, poi, si sia squarciato il ventre con tanta forza da essere fuoriusciti parte degli intestini e poi ancora abbia avuto la forza e la lucidità mentale di continuare nell’azione conficcandosi dritto al cuore il coltello e con una forza tale da rimanere lì.

ordini del giorno trattati singolarmente dalle varie logge è seguita una riunione straordinaria che vide la partecipazione dei capi di tutte le logge del perugino che verteva sempre e solo sul caso Narducci. Non ho avuto la possibilità di accedere ai vari verbali. Queste riunioni mi sembra che si siano verificate nel periodo invernale fra la fine del 1986 ed i primi mesi del 1987.”
Alla domanda poi se avesse saputo l’argomento e le decisioni prese in quelle riunioni, spiegava: “Certamente. Ho avuto modo di parlare con numerosi conoscenti e confratelli apprendendo il contenuto delle riunioni e che vi riferisco.
Ho saputo che i con suoceri del defunto, Ugo Narducci e Gianni Spagnoli, a suo tempo si rivolsero al loro Gran Maestro Mario Bellucci per un intervento volto a non fare eseguire l’autopsia sul cadavere. Ho saputo anche che sul Bellocci intervenne anche una persona autorevole, sempre del mondo massonico, che all’epoca ricopriva importante carica politica, mentre adesso è in pensione. Si tratta, poiché me lo chiedete, di un personaggio che ha ricoperto anche la carica di ministro, ma non di primo ministro. Mi è stato altresì riferito che erano state trovate “le persone giuste nei posti giusti per non fare effettuare l’autopsia…”

Del coinvolgimento della Massoneria se ne fa cenno anche in più conversazioni telefoniche registrate nell’ambito del procedimento penale perugino, come, ad esempio, nella conversazione intercorsa tra Gianni
Spagnoli e la figlia Francesca il 6.5.2003 sull’utenza in uso al primo (conversazione n. 2554 delle ore 20.16). Nel corso di detta telefonata Gianni Spagnoli fa riferimento alla loggia più importante di Perugia, quella di De Megni specificando: “e che sono loro che hanno stabilito…che non doveva essere fatta l’autopsia…”

Sul punto particolarmente interessanti appaiono altresì le dichiarazioni rese al P.M. di Perugia in data 3.11.2003 da Massimo Spagnoli, fratello di Gianni Spagnoli e zio acquisito del professor Francesco Narducci.
Massimo Spagnoli, infatti, alla domanda di cosa ricordasse dei giorni della scomparsa del Narducci e di quelli subito successivi al ritrovamento del cadavere, rispondeva: “una cosa mi colpì e cioè che pochi giorni dopo la morte di Francesco il professor Giovanni Ceccarelli, padre della cognata di Francesco, che io conoscevo appena, mi confidò che non aveva mai visto un cadavere tanto gonfio. Ciò mi stupì perché Francesco era notoriamente longilineo. In quei giorni io invitai ripetutamente mio fratello a chiedere l’autopsia del cadavere di Francesco, ma Gianni mi diceva sempre che era stata Francesca a non volerla, poi venni a sapere che vi era stato un inguacchio massonico. Preciso che, molti anni prima, dopo pressanti richieste di Augusto De Megni, entrai in una loggia massonica del Grande Oriente, ma dopo aver partecipato ad una riunione mi ritirai perché avevo capito che non faceva per me. Tra l’altro, in quella riunione, mi ritrovai con dei massoni di basso grado e non ebbi la minima conoscenza dei gradi superiori. Si trattava della loggia Guardabassi. Anche Ugo Narducci era un massone ma non credo di grado elevato. A quanto mi disse mia moglie e dei massoni di mia conoscenza, Ugo Narducci si rivolse ad Augusto De Megni, in occasione della morte del figlio, e questi interessò il questore Trio, che sapevo essere massone perché me lo avevano detto dei massoni di mia conoscenza.
Trio, a quanto mi dissero, fece in modo di far chiudere rapidamente gli accertamenti senza che venisse fatta l’autopsia. A quanto ne so, la magistratura fu tenuta all’oscuro della realtà della situazione e il questore Trio si adoperò perché l’Autorità Giudiziaria considerasse la morte un fatto accidentale o un suicidio. Queste notizie me le ha riferite mia moglie ed erano date per scontate in città in un certo ambiente sociale e specialmente in quello medico. Anche mio fratello mi disse queste cose. Si trattava di fatti che venivano dati per notori e non si parlava che di questo. Nonostante i miei reiterati tentativi, mio fratello non si decise a sporgere denuncia.”
Ed ancora, sui motivi per i quali Ugo Narducci non voleva l’autopsia sul cadavere del figlio, il testimone dichiarava: “il motivo per cui Ugo non voleva l’autopsia del figlio veniva spiegato allora con la necessità di coprire il coinvolgimento di Francesco in una storia terribile, avvenuta a Firenze dove si diceva fosse stato scoperto, in un appartamento tenuto in locazione da Francesco, un repertorio di boccette con resti di cadavere. Poi tutto fu collegato ai delitti del cosiddetto Mostro di Firenze…”
Circa l’assenza di Francesco Narducci dall’ospedale il giorno della sua scomparsa, riferiva: “…ricordo che la madre di un medico, che attualmente ha la farmacia a Santa Lucia, mi disse anche che suo figlio, che era medico a gastroenterologia, aveva assistito alla telefonata ricevuta da Francesco il giorno della scomparsa in ospedale. In quell’occasione, secondo quello che mi è stato riferito, il Narducci, dopo la telefonata, interruppe improvvisamente una riunione importante di medici di gastroenterologia. Rimasero tutti meravigliati sia perché si trattava di una riunione molto importante a cui il Narducci doveva partecipare sia perché quest’ultimo se ne andò senza dire alcunché. Questa farmacista, madre del medico, mi disse allora che probabilmente Francesco era stato chiamato da qualcuno dell’ambiente in cui era coinvolto, che gli chiedeva spiegazioni su qualche sgarro che gli veniva attribuito. Ciò mi fu riferito nel corso di una cena a casa della farmacista, a Monteluce, cena svoltasi poco tempo dopo la morte di Francesco. Con gli altri ospiti riflettemmo su queste notizie e concludemmo che Francesco era stato attirato al lago, dove avrebbe dovuto rispondere alle domande di questi suoi complici, dai quali sarebbe stato poi ucciso.”

Giancarla Sogara, moglie di Massimo Spagnoli, sentita il 3.11.2003, forniva anche lei notizie interessanti.
La stessa, tra l’altro, dichiarava di essere a conoscenza dei rapporti esistenti tra Jacchia e Francesco Narducci, con cui usciva in barca, della frequentazione da parte di Francesco Narducci del castello dell’Oscano, dove avrebbe dovuto partecipare ad un convegno (si tratta dello stesso posto dove aveva lavorato, poco prima di morire Elisabetta Ciabani), dei rapporti di Francesco Narducci con un giro di donne ed anche con le infermiere…
Alla domanda se ricordava se fosse stata fatta l’autopsia al cadavere ripescato nel lago, rispondeva: “So che Ugo e PierLuca (padre e fratello di Francesco Narducci) si opposero all’autopsia e convinsero Francesca (moglie di Francesco Narducci) della sua inutilità. Mio marito, invece, prese Gianni da una parte e lo esortò a richiedere l’autopsia ma Gianni rispose che Francesca non lo voleva. Dopo i fatti, a causa della grande amicizia che mio marito aveva con Augusto De Megni, venni a sapere che si erano interessati a mettere tutto a posto, così si espressero, circa la morte di Francesco, Augusto De Megni, Ugo Narducci ed un questore che poi venimmo a sapere essere il dr. Francesco Trio, appartenente anche lui alla massoneria. Credo che ci fosse di mezzo anche qualche magistrato, perché erano tutti massoni. A quell’epoca De Megni era una potenza a tutti i livelli, sia finanziari che politici…”
Infine aggiungeva: “…posso anche dire che, dopo la morte di Francesco, sono circolate diffusamente notizie che lo coinvolgevano nella vicenda del cosiddetto Mostro di Firenze.”

Il questore dell’epoca, dottor Francesco Trio – che peraltro è ripreso in quasi tutte le fotografie scattate nella circostanza ed agli atti -, viene citato da numerosi testimoni come colui che fin dal primo momento del ripescaggio del noto cadavere si trovava sul pontile al lago Trasimeno a seguire personalmente tutte le operazioni e, in un certo senso, anche a dirigerle. A tal riguardo, per tutti, giova qui richiamare la testimonianza del titolare delle pompe funebri, Nazzareno Moretti, che si interessò del trasporto della salma dal pontile alla casa dei Narducci a San Feliciano.
Il predetto, infatti, nel verbale del 20.8.2002, tra l’altro, a proposito di un poliziotto che era salito sul carro funebre dove c’era la salma, dichiarava:
“…posso affermare con certezza che la persona che venne con me nel carro non era in divisa e si qualificò come il questore o ispettore, non ricordo bene, perché altrimenti non avrei potuto far salire tale persona nel carro oltre al fatto che, non avendo alcuna documentazione, questo poliziotto fungeva da garanzia per me in quanto se io in genere non ho il documento che mi consente di trasportare la salma non mi azzardo a portarla via. Voglio aggiungere che non è mai esistito che poliziotti o carabinieri siano venuti sul carro con me durante il trasporto di una salma…ricordo che, durante il tragitto, questa persona mi disse anche che il morto era un amico di famiglia e che era una brava persona, e questo per tranquillizzarmi circa la mancanza del documento…mentre eravamo sul carro il funzionario mi confermò che dovevamo andare all’obitorio, ma giunti al bivio per San Feliciano una ragazza longilinea, abbastanza alta e bruna, un po’ agitata ci intimò di recarci nella villa di San Feliciano dicendo che il suocero voleva che il cadavere venisse portato in casa e cioè alla villa…”

2. E’ risultato che, alla notizia dell’ultimo delitto del “Mostro”, personale della squadra mobile di Perugia autonomamente svolse indagini sul conto del Narducci Francesco proprio in relazione alla vicenda del “Mostro di Firenze”.

Si intende fare riferimento più nello specifico alla attività svolta dall’ispettore Luigi Napoleoni, che addirittura si recò anche in questo capoluogo per poter individuare l’appartamento in uso al Narducci ed ivi rinvenire le parti anatomiche asportate alle povere vittime.
Di detta attività è stata trovata traccia inequivocabile agli atti della Questura di Perugia.
Infatti, è stata rinvenuta varia documentazione, tra cui:

un foglio, recante la data del 30 settembre 1985, su cui risultava annotato:
“Mostro di Firenze – ufficio postale – bar Jolly – via stretta – città – seduto fuori
– colore di capelli castani – occhi – occhiali scuri – vestito maglietta bianca, blu
jeans – un po’ di barba – niente orologi – bracciale”. Sull’altro lato del foglio
c’era scritto: “Timberland – solo al bar – soldi dove sono – in tasca della maglietta”. Di traverso ancora: “Jach’o (forse la discoteca) – no macchina –
sembra che…lettere sigillate pubblico presente – raccomandata – occhiali nel
cassetto dell’ufficio pistola – soldi in barca (o banca)…ore 14 – lui no…finire il
suo lavoro…21.00 oggi pizzeria in taxi (FI)…telo marrone mancante in una casa
disabitata lontana dall’…taxi colore azzurro”;

– i brogliacci del lavoro dei dipendenti con le ore di straordinario effettuate, dai
quali risultava che il predetto ispettore ed altri dipendenti, che lo avevano
coadiuvato, avevano svolto attività “straordinaria” in relazione al “Mostro di
Firenze” anche a Foligno (centro presso cui il Narducci aveva uno studio privato).

L’esame di quell’incartamento consentiva di accertare:

– 10.9.1985: ore 18/20 e 22/04 Indagini relative al Mostro di Firenze –
Servizi di p.g. e sicurezza pubblica in Foligno;
– 11.9.1985: ore 17/20 Indagini relative al Mostro di Firenze;
– 27.9.1985: ore 21/03 Servizio di ordine e sicurezza pubblica –
prevenzione dei reati nella città di Foligno;
– 1.10.1985: ore 14/20 e 21/01 Indagini omicidio Gabriella Caltabellotta –
servizio per segnalata ingente refurtiva;
– 7.10.1985: ore 17/20 Rientro suppletivo per ricerche abitazioni Poli
Paolo;
– 8.10.1985: ore 21/24 Indagini p.g. in Foligno per duplice omicidio
Firenze;
– 9.10.1985: ore 6/8 e 16/20 ricerche persona scomparsa – dott. Narducci
Francesco – Lago Trasimeno;
– 10.10.1985: ore 16/19 ricerche sul Lago Trasimeno con le relative isole
per la scomparsa di cui sopra; ore 19/22 servizio presunto pagamento
riscatto Guglielmi Isabella Lante Della Rovere;
– 12.10.1985: ore 16/19 e 20/24 ricerche sul Lago Trasimeno – permanenza
per servizio sequestro Guglielmi;
– 13.10.1985: idem (con una freccia corrispondente che riporta al giorno
precedente alla voce ricerche sul Lago Trasimeno);
– 15.10.1985: ore 21/01 servizio riservato città di Foligno;
– 18.10.1985: ore 21/02 servizio riservato a Foligno e sorpresa bisca
clandestina di via dei Filosofi;

da altro elenco risulta:

– 1.10.1985 Sardara Giampiero ore 14/20 Indagini relative all’omicidio Caltabellotta Gabriella;

– 9.10.1985 Tardioli Antonio ore 21/24 Indagini relative agli omicidi di Firenze.

Dai documenti acquisiti e dai dati sopra riferiti, le attività di p.g. dell’ispettore Napoleoni possono quindi riassumersi come segue:

Il giorno della notizia relativa alla scoperta dei cadaveri dei due turisti francesi in località Scopeti di San Casciano (10 settembre 1985) l’ispettore svolse indagini sul “Mostro di Firenze” e servizi di p.g. a Foligno e non è chiaro se le indagini sul “Mostro” furono eseguite a Foligno ovvero in altra località.
L’11 settembre l’ispettore proseguì le indagini sul Mostro di Firenze.
Notizie afferenti la vicenda del Mostro di Firenze risultano contenute nell’appunto manoscritto del 30 settembre 1985 su un foglio di carta intestata “S & B – Salute e Bellezza – Centro Scienza estetica”, che si presenta con una scrittura apparentemente veloce.
Al fine di acquisire notizie utili, l’ispettore Napoleoni è stato assunto a verbale più volte.

In data 25 gennaio 2002, tra l’altro, riferiva: “…la notte tra l’otto ed il nove ottobre 1985 venni informato telefonicamente dal questore Trio di recarmi subito nei pressi del lago Trasimeno in quanto era scomparso il dr. Narducci Francesco. Rimasi sorpreso da questa chiamata perché il questore avrebbe dovuto, a mio avviso, avvisare prima il dirigente, dr. Speroni…durante i tre giorni in cui rimasi sempre al lago, chiesi al questore di poter interrogare la moglie ed i familiari, e comunque di effettuare degli accertamenti approfonditi, ma il questore mi ripeteva che non erano necessari perché tanto si trattava di una disgrazia. Ciò avvenne prima ancora che fosse rinvenuto il cadavere. Il giorno del ritrovamento, che era di domenica, fui avvertito dalla sala operativa che era stato rinvenuto un cadavere nel lago Trasimeno; immaginando che si trattasse del Narducci, insieme all’agente Tardioli andai sul posto…ricordo che il cadavere era gonfio e di colore marrone scuro, un po’ saponato…ricordo anche che, dopo il ritrovamento del cadavere, non ricordo con precisione quando, andai a Firenze nell’abitazione che poteva essere stata utilizzata dal dr. Francesco Narducci per ricercare parti di corpo femminili sotto alcol o sotto formalina; non ricordo l’ubicazione di questo appartamento, ricordo solo che si trattava di una costruzione non recente a più piani, non ricordo se relativa ad un condominio. Non ricordo neppure la zona dove si trovava l’abitazione; a me sembra, ma non ne sono sicuro, che siamo entrati dentro Firenze. Di quella casa ho solo un ricordo di un corridoio; non ricordo chi mi ci abbia mandato né con chi fossi, ma probabilmente si trattava di un collaboratore della Squadra Mobile. La ricerca dette esito negativo…”;
In data 26 giugno 2002, in relazione all’appartamento fiorentino, l’ispettore faceva riferimento alle notizie ricevute da tale Edoardo Frivola sulla vicenda del Mostro di Firenze, a seguito delle quali, a suo dire, si era recato in questo centro.
Dichiarava, infatti: “Ricordo che quest’uomo (il Frivola) ci disse un sacco di cose e a fronte di questo ci recammo a Firenze per la ricerca di un appartamento che il Frivola aveva individuato quale immobile in uso al presunto mostro nella Firenze vecchia, caratterizzata da una strada stretta con i palazzi antichi. Andammo quindi a Firenze ed individuammo la strada, ricordo che entrammo in un appartamento con un corridoio lungo; la speranza era quella di rinvenire reperti corporali femminili del tipo di quelli asportati alle vittime del cosiddetto mostro. Non ricordo come entrammo in quella casa e se chiedemmo aiuto alla mobile fiorentina, come si fa sempre in queste occasioni, né tantomeno se avvisammo l’A.G…”.
Nella circostanza nulla sapeva dire in relazione ai servizi straordinari a Foligno e sul Mostro di Firenze che risultavano dalle annotazioni nel registro degli straordinari.
Certo è che appare quanto mai singolare anche la circostanza che la notte della scomparsa del Narducci (8 ottobre 1985) il Napoleoni si fosse recato a Foligno per svolgere indagini sui delitti del Mostro di Firenze. Ancor più singolare ove si consideri che l’ispettore proprio quella notte fu avvisato dal questore dell’epoca, dott. Francesco Trio, della scomparsa del professionista e che fu invitato a recarsi al lago per partecipare alle ricerche.
Come pure singolare è il fatto che l’agente Antonio Tardioli il 9 ottobre (quando quindi erano nel pieno le ricerche del Narducci) abbia svolto servizio straordinario con orario 21/24 in relazione ai delitti del Mostro di Firenze.
E’ quindi chiaro che per il personale della “Mobile” di Perugia, che stava indagando sulla scomparsa del medico perugino, quella scomparsa era da ricondurre alla vicenda del “Mostro di Firenze”!
Da ultimo, si rileva che dalla nota della Questura di Perugia del 13 settembre 1985, a firma del dirigente della Squadra Mobile, dott. Speroni, con cui furono trasmesse alla Mobile di Firenze le prime dichiarazioni del Frivola insieme all’identikit, non c’è traccia di servizi svolti a Firenze da quel personale.
Quanto sopra non può che trovare una sola logica spiegazione, e cioè che l’ispettore Napoleoni, ancor prima della scomparsa del Narducci, aveva collegato – e non si sa come, né lo stesso l’ha saputo o voluto spiegare (invitato per ben due volte ritualmente in questi uffici per essere sentito su delega del P.M. di Perugia non si è presentato adducendo motivi di salute – i delitti del Mostro di Firenze alla persona di Francesco Narducci, svolgendo una attività d’indagine, anche fuori della giurisdizione di competenza, della quale non c’è traccia neppure agli atti della Autorità Giudiziaria, che doverosamente avrebbe dovuto essere comunque avvisata. Attività d’indagine, peraltro, molto specifica ove si consideri che l’ispettore addirittura si recò a Firenze per individuare l’appartamento del Narducci e poter rinvenire le parti anatomiche asportate alle povere vittime che sarebbero state tenute sotto formalina o alcol, come dallo stesso affermato.
Il dott. Alberto Speroni, dirigente all’epoca dei fatti dell’ispettore Napoleoni, sentito in data 5 aprile 2002 dal P.M. di Perugia, dichiarava di non essere stato a conoscenza che i suoi dipendenti Napoleoni e Sardara si fossero recati a Firenze per quelle indagini.
A questo punto non può sottolinearsi il fatto che l’attività di p.g., svolta d’iniziativa dal citato ispettore, non solo non è chiara sulle sue origini, ma addirittura è quanto mai fumosa anche sui riferimenti territoriali in questo capoluogo dove sarebbero stati svolti accertamenti mirati per individuare l’abitazione del Narducci. Diversa, invece, è stata – ed è – l’attività svolta, e che sta continuando a svolgere, l’attuale Squadra Mobile di Perugia con continui apporti informativi ed investigativi.
E che il Narducci avesse avuto all’epoca un’abitazione o comunque dei punti di riferimento ben precisi su questo territorio e, in particolare, nella zona di San Casciano è un dato ormai acquisito con le attuali indagini. Come pure è un dato ormai acquisito la conoscenza delle frequentazioni del Narducci su questo territorio proprio nelle zone dei delitti e proprio in quegli anni.
Frequentazioni ed amicizie che sono risultate essere: il farmacista Francesco Calamandrei, un medico svizzero che abitava a “La Sfacciata” (probabilmente il tedesco Reinecke che conviveva con una donna svizzera), il Parker Mario Robert (cittadino americano di colore), il Vitta Nathanel, il Achille Sertoli e lo Gian Eugenio Jacchia. In buona sostanza un gruppo di personaggi o violenti o omosessuali o pervertiti o con tutte queste caratterizzazioni personali insieme.
Dei personaggi sopra citati, il Reinecke, dalle notizie fornite dai figli, sarebbe morto alla fine del 1995 quando era stata già avviata l’indagine sui complici di Pacciani e la stampa ne aveva diffusamente parlato di frequente, il Parker è morto nell’agosto del 1998 per le conseguenze dell’AIDS, mentre gli altri sono ancora in vita.
A proposito del SERTOLI Achille va riferito in particolare il contenuto di alcune conversazioni, tra cui quella intercorsa tra lo stesso e la moglie il 30 luglio 2003 subito dopo che la donna veniva sentita in questi uffici.
La Bagnoli, infatti, riceveva una telefonata dal marito, che voleva conoscere il motivo della convocazione (telefonata n. 814 delle ore 15.42, sulla linea 18). Nel corso della conversazione la BAGNOLI spiegava al coniuge il motivo della sua convocazione e riferiva che le erano state rivolte domande su CALAMANDREI Francesco, sulle frequentazioni del coniuge a San Casciano. Nel contesto del colloquio telefonico diceva: “MENO MALE IO NON HO DETTO…. NIENTE…. CHE TU MI HAI DETTO DI QUEL MAGO DI SAN CASCIANO….. ZITTA!…. NON HO DETTO NULLA PER CARITA’”. Il SERTOLI appariva particolarmente preoccupato e si chiedeva di come fossero “arrivati a lui”, dicendo: “QUINDI STANNO INDAGANDO SU DI ME…. ANCHE SU DI ME STANNO….SONO ARRIVATI A QUESTO PUNTO SONO ARRIVATI…..”
Altre telefonate particolarmente interessanti venivano registrate il giorno 15 novembre 2003 sull’utenza cellulare del Sertoli Achille e sull’utenza cellulare di Sertoli Mario Roberto (20).
La prima telefonata intercorre tra il Sertoli Achille e la madre del cugino Roberto, Sertoli Bernardi M. Antea, abitante a Genova.
La donna, dopo aver ringraziato il Sertoli del libro che questi le aveva spedito, commenta il contenuto dicendo: il contenuto m’ha sconvolto! E ho letto il capitano Cool…è di un verismo sconvolgente…e non ti è venuto in mente che potevi far tanto male? A chi leggeva? Non lo so…per me è deprecabile…sono rimasta impressionata…disturbata…è di una violenza, proprio…ma tu devi pensare che, insomma! Bisogna anche…ma se va in mano a un giovane! Una cosa così! Ma sai com’é…ne è sconvolto e nello stesso tempo è attratto…è quasi indotto a provare queste sensazioni…è una propagazione di violenza e di male! Guarda Achille ma non le fare queste cose, ti prego (la donna piange)…e poi m’ha detto Mario Roberto quello che è in copertina è il tuo autoritratto (riceve risposta affermativa)…
Nel corso dell’altra conversazione, intercorsa tra il Sertoli Mario Roberto e la propria madre, i due discutono del libro e la donna manifesta tutto il suo disappunto per “Il comandante Cool” dicendo: mi ha dato proprio un pugno nello stomaco! Perché…questo qui non é…ecco…tu devi pensare se questo va in mano ad un giovane…che reazione ha?…perché praticamente…è la descrizione di uno stupro!…un giovane che legge una cosa così è spinto poi a…intanto da sensazioni forti, violente e poi magari va a ricrearle in se stesso…a fare…insomma. Il figlio risponde: Eppure vedi io…vabbe, ora quello lo leggo, ma io degli stupri ne devo…(incomprensibile) parlarne. E la donna: E sì te lo raccomando! Guarda io adesso lo tolgo, figurati!

(20) Si tratta del cugino di Sertoli Achille, che vive a Genova dove svolge l’attività di medico oncologo. L’attività in corso ha messo in evidenza che possiede una personalità fortemente distorta sotto l’aspetto sessuale e che è caratterizzata da spiccate note sado masochiste.

Le telefonate hanno fatto scoprire un Achille Sertoli scrittore di racconti particolarmente violenti con stupri che hanno fortemente sconvolto la zia.

A proposito dello Gian Eugenio Jacchia, già medico ortopedico al C.T.O., omosessuale e pregiudicato per abuso su minori, giova richiamare un’emergenza investigativa emerse nell’attività perugina che si reputa di specifico interesse.
Si vuole fare riferimento, in particolare, ad una conversazione registrata sull’utenza in uso alla famiglia di Gianni Spagnoli (suocero del Narducci Francesco), intercorsa tra la moglie dello Spagnoli (la signora Bona) ed altra donna (Federica) nel corso della quale si sente una voce femminile (quella di Federica) che, commentando con la sua interlocutrice la conoscenza e la frequentazione del Narducci con lo Jacchia, ad un certo punto abbassa il tono della voce quasi per non farsi sentire dall’interlocutrice e come se si rivolgesse ad altra persona che, insieme a lei stava seguendo l’andamento del colloquio, dice: “gliel’ha dati lui”, con tutta probabilità intendendo riferirsi ai “feticci” (vedasi telefonata n. 68 del 9.6.2002, ore 09.55 utenza in uso a Spagnoli Gianni).
Lo Jacchia risulta aver fatto parte della Loggia massonica “Michelangelo”, promosso al 3° grado nel 1974 ed ammesso alla “Camera dei Maestri Segreti” con giuramento del 30.5.1977.
Nella perizia di natura chimico – fisica su depositi presenti nella superficie dei bossoli rinvenuti sul luogo dell’ultimo duplice omicidio, eseguita su incarico affidato da codesta Procura della Repubblica in data 28.11.1985 ai periti Iadevito, D’Uffizi e Crea, furono rilevati tracce di zinco e particelle di solfato di calcio, e cioè di gesso, nonché residui di grasso al silicone. E, nell’atto, i periti, tra l’altro, facevano riferimento a collanti a base di zinco, quali ad esempio quelli utilizzati nel campo ortopedico.

Con comunicazione di notizia di reato del 14.11.2002 lo Jacchia veniva deferito alla Procura della Repubblica di Firenze siccome ritenuto responsabile del reato di favoreggiamento personale. Questo perché, perquisito ed interrogato il precedente giorno 13 novembre, aveva negato l’esistenza di un suo rapporto di conoscenza col NARDUCCI.
Nella circostanza, infatti, aveva negato decisamente il rapporto di conoscenza e di frequentazione sia col Francesco Narducci che col genitore di questi, Ugo Narducci, tacendo in questo modo fatti e circostanze note all’ufficio in quanto risultavano da diverse fonti di prova.
Prima ancora che emergessero le novità investigative di cui si è fatto cenno, sulla frequentazione di Firenze da parte del Narducci ne aveva parlato Jorge Alves Emilia Maria, nata a Petropolis (Brasile) il 31.10.31, residente a Firenze in via Iacopo da Iacceto nr.40, ivi domiciliata in via XXVII Aprile nr.9, che in data 6.11.2001 si era presentata spontaneamente negli uffici della Squadra Mobile chiedendo di conferire col dott. Giuttari.
La donna, nella circostanza, riferiva notizie – in parte già riferite nel 1990 – concernenti Giuseppe Jommi, nato a Montappone il 27.10.1932, residente in Bagno a Ripoli, via Roma 430/h, avvocato, con cui, in passato, aveva intrattenuto una lunghissima relazione sentimentale.
In particolare, nel confermare le dichiarazioni di cui ai precedenti verbali del 4 luglio 1990 e 17 novembre 1990, tra l’altro, riferiva che:

– lo Jommi, la domenica dell’8 settembre 1985, le aveva detto “sono un mostro” così come lei aveva riferito nel precedente verbale, e che successivamente, quando aveva avuto modo di apprendere che la domenica del giorno 8 settembre 1985 le vittime del Mostro ancora non erano state scoperte e lo Jommi, invece, le aveva fatto cenno a quel delitto, aveva iniziato a dare a quell’espressione “sono un mostro” un significato più allargato. Precisava di non avere collegato lo Jommi direttamente ai fatti del Mostro, ma aveva iniziato a pensare che costui, comunque, avesse a che vedere con la storia o meglio ancora con qualcuno che era coinvolto direttamente in quei delitti;
– quando aveva appreso che tale Francesco di Foligno, amico dello Jommi, per come lui stesso le aveva riferito, era indicato a Perugia come “il Mostro di Firenze”, aveva voluto acquisire informazioni sul Francesco di Foligno, che aveva appreso, poi, chiamarsi Narducci. A tal fine, aveva interessato un’agenzia privata di investigazioni, che forse si chiamava “La Segretissima”. Aggiungeva, a tal proposito, di avere appreso che si trattava di un medico, di ottima famiglia, una famiglia molto importante di Perugia, originaria di Foligno, che era stato trovato morto annegato nel Lago Trasimeno un mese dopo l’ultimo delitto del Mostro. Aveva anche saputo che il Narducci insegnava all’università di Harvert in America;
– lo Jommi spesso andava a trovare degli amici a San Casciano ed una volta era tornato a casa alle 4 di notte tutto impolverato, raccontandole che era andato a piedi alla Roveta.

La donna, poi, sentita dal P.M. di Firenze, aggiungeva ulteriori particolari sulla persona del Narducci Francesco, spiegando che questi, all’epoca della frequentazione con lo Jommi, aveva in uso un’autovettura Citroen tipo Pallas di colore sul verdino, che in qualche occasione lei aveva visto guidare allo Jommi stesso.
Tale dettaglio appariva particolarmente interessante per l’attendibilità della teste, atteso che, dagli accertamenti svolti dalla P.G. di Perugia si veniva a sapere che il Narducci in quegli anni effettivamente utilizzava un’auto di quella marca, tipo ed anche dello stesso colore.
Lo Jommi, però, sentito successivamente dalle SS.LL., smentiva la conoscenza col Narducci Francesco.

A proposito dello Jommi va comunque ricordato che, dagli accertamenti effettuati a suo tempo, dopo le dichiarazioni della Alves nel 1990, era risultato che effettivamente era esistito un rapporto di locazione tra la di lui moglie, Ada Pinori, e la famiglia di Susanna Cambi, assassinata nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre 1981 in località “Le Bartoline” di Calenzano. L’appartamento in questione era ubicato in via B. Marcello n. 45 di Firenze.

In buona sostanza, dalle risultanze investigative emerse nel procedimento penale perugino, oltre a chiari elementi riferibili alla morte del Narducci, sono emersi fatti e circostanze che riconducono la causa di quella morte alla vicenda del Mostro di Firenze, nella quale il Narducci sarebbe stato in qualche modo coinvolto, così come sostenuto dal Pacciani nei vari solleciti avanzati al suo difensore Fioravanti e così come sta emergendo nell’inchiesta fiorentina, visto l’ambiente dei personaggi frequentati dal Narducci, tra cui il Calamandrei Francesco, che – si ricorda – sarebbe stato coinvolto nei duplici omicidi, così come suggerito anche dal Pacciani all’avv. Fioravanti.

Certo è che, facendo un esame retrospettivo dell’intera vicenda alla luce delle nuove acquisizioni investigative, la storia del “Mostro di Firenze” avrebbe potuto prendere una direzione d’indagine più mirata già dagli anni 80 allorché, anche a Firenze, erano pervenute diverse segnalazioni anonime sul coinvolgimento del Narducci, all’epoca archiviate dopo che era stato accertato – ma non si capisce bene come – che il Narducci, in occasione del duplice omicidio dell’ottobre 1981, si sarebbe trovato in America per motivi di studio. Questa assenza dall’Italia in quel contesto lo aveva così tenuto fuori da ogni ulteriore approfondimento investigativo anche perché, all’epoca, era fortemente radicata la convinzione che ad uccidere fosse stato un serial killer solitario e non già
un gruppo di assassini come in realtà è stato appurato a distanza di anni.

Anche agli inizi degli anni 90, la posizione del Narducci, riproposta dalle dichiarazioni della Alves ed ancor più direttamente dal deposito di una specie di memoriale dell’investigatore privato Valerio Pasquini è stata subito archiviata, senza svolgere un minimo di accertamento su una serie dettagliata di fatti e notizie fornite da quell’investigatore e che – non si può fare a meno di sottolinearlo – a distanza di un decennio, invece, grazie all’iniziativa autonoma della Procura della Repubblica di Perugia, hanno trovato puntuale conferma.
Ci si è voluti riferire al memoriale di Pasquini Valerio, presentato alla Procura della Repubblica di Firenze, inviato alla Sam in data 3.11.1993 e da questa restituito in Procura il successivo giorno 4.11.1993.
E’ chiaro che, tra le domande che ancora rimangono in sospeso sulla vicenda “Narducci”, una più di ogni altra appare utile sciogliere quanto prima e cioè: “perché Narducci Francesco è stato ucciso?”
Fino a questo momento sono stati acquisiti solo degli spunti d’indagine, ma è altrettanto chiaro che una risposta precisa per l’accertamento della verità dovrebbe essere fornita da tutte quelle persone che, a suo tempo, si interessarono per soffocare quella verità ed alcune venendo meno addirittura a precisi compiti istituzionali che avrebbero dovuto imporre loro ben altri comportamenti.

Comunque, tra gli spunti di cui si è fatto cenno, è bene ricordare quanto segue:

Claudio Caparvi, sentito a verbale il 28 giugno 2002, tra l’altro, riferiva: “ribadisco che il dr. Farroni ha sempre escluso che potesse trattarsi di suicidio o di morte accidentale e si è sempre dichiarato convinto che Francesco fosse stato ucciso, cito testualmente “da una loggia di finocchi coperti”. La sua convinzione era che fosse stato eliminato per essere venuto a conoscenza di gravi fatti che interessavano la responsabilità dei componenti della Loggia in relazione al cosiddetto Mostro di Firenze…”;
Sante Beccaccioli, autista del tribunale di Perugia, in data 30.5.2002, si presentava spontaneamente al P.M. di Perugia per riferire fatti di sua conoscenza che avrebbero potuto essere utili ai fini di giustizia. Dichiarava: “sono stato per 32 anni in servizio come autista e scorta al Presidente del tribunale di Perugia e ricordo che una mattina, alcuni mesi dopo la morte del prof. Francesco Narducci, l’allora Presidente Raffaele Zampa, deceduto nel 1997, mi confidò che la sera prima, durante una cena, una persona che aveva incontrato quella sera, ma che comunque conosceva, gli riferì che in quei giorni, o poco prima, i proprietari di un appartamento di Firenze di cui era locatario il prof. Francesco Narducci, insospettiti dal mancato pagamento del canone di locazione, avevano cercato di mettersi in contatto con il professore non sapendo che era morto e poi erano riusciti a contattare i familiari di quest’ultimo che gli avevano procurato un mazzo di chiavi dell’appartamento. Sempre secondo il racconto dell’amico del dottor Zampa la porta era stata aperta e, una volta entrati nell’appartamento, avevano rinvenuto all’interno di un frigorifero dei reperti genitali femminili verosimilmente provenienti dai delitti del cosiddetto Mostro di Firenze e comunque corrispondenti alle parti notoriamente asportati in questi delitti cioè area del pube e seni. Io rimasi colpito da questo racconto anche perché il presidente dava la massima credibilità alla persona che glielo aveva riferito. Chiesi al presidente se non fosse il caso di avvertire gli organi di polizia, ma lui stringendosi le spalle disse:
“ormai è morto, Sante, che vuol fare?”…”
– Antonietta VETRIANI, sentita a verbale il 31.1.2002, tra l’altro, dichiarava: “Ricordo che nel 1990 feci amicizia con Anna Maria Bevilacqua in Alessandro, moglie del vecchio presidente del Tribunale di Perugia, dr. Mario Alessandro, entrambi sono deceduti…nel corso della conoscenza con Anna la stessa mi parlò circa 9/10 anni fa della morte di questo medico e mi disse che il Narducci faceva parte di un gruppo di persone che si erano rese responsabili dell’uccisione delle coppie del territorio fiorentino attribuite al cosiddetto Mostro di Firenze…secondo la signora avrebbe goduto di forti coperture istituzionali…il gruppo frequentato dal Narducci era composto da gente altolocata e ben protetta dalle Forze dell’Ordine.”
Francesco Trio (il questore), sentito il 5.4.2002, tra l’altro, dichiarava: “ricordo che il giorno dopo andai al lago per vedere come procedevano le ricerche, visto che vi era anche personale venuto da altri centri…posso dire però che era stato redatto un voluminoso e specifico rapporto da parte della squadra mobile sulla scomparsa del Narducci nel quale dovevano insistere anche le fotografie del cadavere. Non riesco a capire perché questo rapporto non si rinvenga negli atti e perché non siano state eseguite le regole previste per la distruzione degli atti…ricordo che arrivai quando stavano organizzando il trasporto del cadavere presso un’abitazione sita nei pressi del lago di proprietà del prof. Ugo Narducci. Non vidi il cadavere se non a distanza e ricordo che era vestito (risulta invece anche dalle foto dell’epoca che si trovava proprio accanto al cadavere!). (21)
Maria Bona Franchini (moglie di Gianni Spagnoli), sentita a verbale il 21.2.2002, tra l’altro, elencava gli amici di Francesco Narducci e spiegava: “…Ugo mi prese in disparte portandomi in un’altra stanza,

(21) Si rappresenta che, oltre al mancato rinvenimento del fascicolo di cui ha fatto cenno il questore Trio, nel corso degli accertamenti svolti, non è stata rintracciata, presso il Comando dei Vigili del Fuoco di Perugia, neppure la scheda d’intervento con le relazioni di servizio del giorno del rinvenimento del cadavere (13.10.1985), mentre è stata rinvenuta la documentazione relativa ai giorni precedenti durante i quali sono state effettuate le ricerche nel lago.

uno studio, e mi disse: “mi sono messo d’accordo con il questore per non far fare l’autopsia a Francesco”…”
Laura BERRETTINI, sentita a verbale il 22.5.2002, dichiarava: Ferruccio Farroni uscì con affermazioni molto forti: del tipo che la situazione era ingarbugliatissima, che c’erano dei notabili che non dovevano apparire, che c’era un’attività d’indagine e che lui sapeva chi aveva ucciso Francesco…disse che c’erano collegamenti con Firenze…disse che Francesco era entrato in un giro più grande di lui…che aveva a che fare con le sette, le messe nere e il c.d. Mostro di Firenze…Ferruccio è in sonno massonico”.
Ferruccio Farroni, sentito a verbale il 18 ed il 19.4.2002, tra l’altro, riferiva: “…ricordo che litigai furiosamente con il padre, Ugo Narducci, per via dell’autopsia; io dicevo di fare l’autopsia ed il professore Narducci Ugo rispondeva solamente “assolutamente no, punto”…solamente io e il fratello di Francesco, Pierluca, ci siamo recati nell’abitazione del mago o del sensitivo…Trovandomi in più occasioni con persone che identificavano Francesco come il Mostro di Firenze…ho risposto che a mio parere un’ipotesi verosimile era quella che sarebbe stato eliminato verosimilmente da una setta di omosessuali correlati probabilmente al mostro di Firenze per essere venuto a conoscenza di particolari che non doveva conoscere…”
Moreno Stefanelli, figlio dell’uomo di fiducia (deceduto) di Ugo Narducci, sentito il 14.5.2002, dichiarava: “qualche volta capitava a casa nostra il prof. Ugo che non aveva orari e poteva capitare a qualsiasi orario ma in particolare ricordo nell’ora di pranzo o di cena…mio padre diceva anche che dell’isola Polvere sapeva due cose che si sarebbe portato nella tomba…a San Feliciano si diceva tempo fa che nell’isola Polvere si tenessero messe nere…”
Antonio Morelli (22), sentito a verbale il 19.6.2003, invitato a chiarire se conosceva o meno aspetti della vita privata del Narducci, rispondeva: “Posso dire in primo luogo che sapevo che insieme a Ferruccio Farroni frequentavano ed uscivano verosimilmente con donne. So anche, perché me lo ha raccontato il mio collaboratore Carlo Clerici, che Narducci aveva delle frequentazioni particolari con donne…a me ha detto che si trovò in un posto dove varie persone partecipavano a qualcosa tipo orgia e che quando lui arrivò la situazione era molto particolare e che, questo mi è rimasto impresso del suo racconto, cominciarono subito a togliergli i pantaloni. Questo è il particolare che convinse il Clerici ad andarsene.” Alla domanda poi se avesse vissuto esperienze insieme al Narducci, rispondeva: “Io debbo dire che, con qualche difficoltà, adesso voglio precisare qualcosa in più della vita privata del Narducci, nel senso che una volta Francesco mi invitò ad uscire insieme a lui con due donne ed io, anche se mi pesa dirlo, voglio ora levarmi questo peso e dire che accettai, pur non immaginando minimamente quello che poi si sarebbe verificato. E’ un episodio isolato, unico, increscioso e lontano nel tempo. Lo colloco in epoca che non so meglio precisare tra il 1982 ed il 1984, forse il 1985. Non ho elementi per essere più preciso. L’episodio avvenne in un pied a terr di cui aveva la disponibilità il Narducci. Una cameretta vicino all’albergo La Rosetta…anche se mi pesa dirlo, voi lo comprenderete di certo, la cosa mi turbò moltissimo non solo perché si trattò di un rapporto a quattro sullo stesso letto ma perché, e questo è il punto fondamentale che mi sento di dire, mi sconvolse la maniera in cui il Narducci fece sesso, nel senso che si trattò di un comportamento violento e con urla e la cosa mi lasciò molto stupito e più che nauseato e non si è mai più ripetuta una cosa del genere…” (Rileggendo le dichiarazioni del

(22) Antonio Morelli è primario al reparto gastroenterologia del Policlinico Universitario di Perugia. Insieme a Ferruccio Farrone, anche questi medico gastroenterologo, la mattina del 13.10.1985, riconobbe ufficialmente il cadavere ripescato nel lago per quello di Narducci Francesco.

Morelli non possono non tornare in mente le dichiarazioni della Pellecchia e della Ghiribelli sulle caratteristiche sessuali della persona da loro riconosciuta per il Narducci Francesco).
Carlo Clerici, sentito a verbale il 18.9.2003, confermava i fatti della festa, alla quale aveva partecipato e della quale aveva parlato col Morelli.

Quelle sopra riferite rappresentano solo alcune delle testimonianze fino a questo momento raccolte, ma molto significative anche per riuscire ad individuare il movente dell’uccisione del Narducci Francesco.
Ed allora, tornando alla domanda “perché è stato ucciso?” e considerando che taluno ha fatto riferimento ad uno “sgarro” del Narducci al gruppo al quale apparteneva, riconducibile alla vicenda del Mostro di Firenze e qualche altro al fatto che sarebbe stato eliminato da una setta di omosessuali correlati al Mostro per essere venuto a conoscenza di particolari che non doveva conoscere, nella parte conclusiva della presente nota, si vuole rappresentare che, da un esame retrospettivo di tutta la vicenda, risultano alcuni episodi, mai completamente chiariti, che in qualche modo potrebbero aver avuto una relazione col Narducci Francesco.

Ci si vuole riferire, in particolare, ai seguenti fatti:

1.Il 10 settembre 1985 alla Procura della Repubblica di Firenze giungeva una busta da lettere, bianca, con timbro “San Piero a Sieve 9.9.1985” con indirizzo “Dott. Della Monica Silvia – Procura della Repubblica 50100 Firenze, redatto con ritagli di stampa. Al suo interno vi era un foglio di carta piegato a mò di busta, di colore bianco, e contenente a sua volta un frammento di busta di cellophan nel quale si trovava custodito un piccolo reperto umano, che, sottoposto ad analisi, era risultato asportato dal cadavere della Nadine Mauriot, uccisa nella notte tra l’8 ed il 9 settembre 1985.
2.Il 1.10.1985, sempre alla Procura della Repubblica di Firenze, giungevano due buste da lettera, senza timbro, una indirizzata al “Sig. Procuratore della Repubblica Francesco Fleury – Firenze” e l’altra al “Sig, Procuratore della Repubblica Paolo Canessa – Firenze, mentre il successivo giorno 5 ottobre giungeva altra busta con indirizzo “Sig. Procuratore della Repubblica Pier Luigi Vigna – Firenze”. Tutti gli indirizzi erano stati scritti a macchina. All’interno di ogni busta c’era: un ritaglio di articolo di stampa dal titolo “Altro errore del Mostro” con le foto dei tre magistrati, il dito di un guanto da chirurgo, all’interno del quale vi era un proiettile cal. 22, a sua volta custodito in un foglietto di carta bianca piegato in due e fissato con graffette metalliche.
In un pezzo di carta all’interno, scritto a macchina, c’era la seguente frase: “Poveri Fessi – Vi bastano uno a testa”. Gli esami, a suo tempo esperiti sulle buste, dimostravano che le tre buste ai dottori Vigna, Fleury e Canessa morfologicamente e cromaticamente erano identiche tra loro, simili alla busta indirizzata alla dottoressa Della Monica e provenivano dalla medesima industria cartaria di quest’ultima, come si poteva rilevare dal marchio di fabbrica che figurava all’interno delle stesse.
Le prove sui reperti sottoposti alla ricerca della saliva consentivano di accertare la mancanza di tracce di saliva nella busta indirizzata alla dottoressa Della Monica, mentre sui lembi delle buste, indirizzate agli altri sostituti procuratori, venivano evidenziate tracce di saliva, che, opportunamente analizzate per individuare il gruppo sanguigno, davano esito positivo per il gruppo “A” (che è lo stesso gruppo sanguigno di Narducci Francesco).
I proiettili, contenuti nelle tre buste, erano marca Winchester del tipo “H”.
3.In data 1.10.1985 giungeva alla Procura della Repubblica altra missiva indirizzata “Ill.mo Signor Dottor Pier Luigi Vigna – Sostituto Procuratore – Procuratore della Repubblica – 51100 Firenze – regolarmente affrancata e con timbro di spedizione “Perugia – 28.9.1985”. L’indirizzo è scritto a macchina. Al suo interno c’era un foglio, dattiloscritto nella sua parte superiore, mentre in basso erano stati fotocopiati due annunci del seguente tenore: “Autoritaria e bellissima amante calze nere e giarrettiere si esibisce privatamente per generosi intenditori. Scrivere indicando indirizzo ed affrancando con L. 700. Fermo posta Firenze centrale. Passaporto n. F623965” e “Signora bellissima amante calze nere e giarrettiere si esibisce privatamente per generosi intenditori. Scrivi ti invierò una foto. Fermo posta Firenze centrale Passaporto n. F 623965”.
Il contenuto del testo della lettera era il seguente: “Ill.mo Signor Magistrato, l’annuncio di cui mi sono permesso di inviarle una copia appare ormai con irritante periodicità da almeno sei sette mesi sul giornale di annunci gratuiti Cerco e trovo di Perugia. Io per carattere sono una persona molto tollerante e che se ne frega altamente di ciò che fanno gli altri, ma quando la gente eccede troppo allora non sopporto più. E’ ben ora che questa signora che sarà pure bellissima, la smetta di rompere i c…ai lettori di Perugia! A ben vedere poi questa non è altro che una puttana che sfrutta i “generosi intenditori” che altro non sono se non i ricchi scemi…Io per guadagnare (onestamente) un milione e poco più devo lavorare sodo per un mese; questa per far vedere il c…a degli imbecilli psicopatici fa i soldi a palate in poche ore e la storia va avanti da mesi. Non crede signor Magistrato che sarebbe ora di farla smettere ???Io credo di sì. Ora decida lei se intervenire o no! Distinti ossequi da un intenditore non…generoso!”
In calce una firma a mano con una lettera maiuscola che sembrerebbe essere una “F” molto particolare e che sembra rinvenirsi la stessa in alcuni fogli agli atti firmati da Francesco Narducci.
Si precisa che detta missiva è stata rinvenuta nel fascicolo degli anonimi degli atti del P.M. di Firenze, relativi all’inchiesta sul Mostro di Firenze.

A questo punto quest’ufficio ritiene di aver sintetizzato, con la presente nota, gli aspetti più importanti emersi fino a questo momento in un’inchiesta che si è presentata ancor più complessa di quanto era possibile immaginare e che si sta portando avanti con grandi difficoltà considerati anche i quotidiani sforzi operativi dovuti alla mancanza di personale sufficiente e di idonei mezzi che, come segnalato con apposite note, soprattutto il precedente questore, dottor Giuseppe De Donno, non ha inteso fornire.
Basta ricordare a tal proposito le iniziali difficoltà nell’allestimento dell’apposita sala intercettazioni, per la quale il questore, nonostante ripetute segnalazioni, non ha disposto neppure l’installazione delle prese o la vicenda delle auto di servizio, inviate dal Ministero per le esigenze del Gruppo e da quel questore, invece, destinate ad altri uffici della Questura.
Si è ritenuto di cristallizzare ancora una volta, anche nella presente nota, quelle situazioni non per fini polemici, che questo dirigente ha sempre rifiutato, ma perché, considerate le numerose anomalie (chiamiamole così per il momento) venute fuori soprattutto dall’inchiesta perugina, a futura memoria sia lasciata ancora una volta traccia di quei comportamenti che peraltro non appaiono affatto giustificabili attesa anche l’importanza che riveste l’indagine in corso volta ad addivenire all’accertamento della verità di una vicenda giudiziaria, che dallo stesso Presidente della Corte d’Assise di Firenze, dottor Enrico Ognibene, è stata definita “una delle vicende criminose più gravi ed inquietanti del dopoguerra nel nostro paese.”

Da ultimo non può non farsi un cenno ad un episodio quanto mai inquietante registratosi negli ultimi giorni, e cioè al tentativo piuttosto sofisticato, messo in atto da ignoti, che hanno cercato di installare una speciale linea ISDN nella centrale telefonica di questa struttura.
Infatti, la mattina del 4 novembre scorso, due tecnici della ditta CITE sub appaltatrice della Telecom), si presentavano in questi uffici per dar corso all’installazione di una linea ISDN presso la centrale telefonica del complesso “Il Magnifico”, come da ordinativo dei lavori, che esibivano all’ispettore Michelangelo Castelli e nel quale figurava quale intestatario la Procura della Repubblica di Firenze, viale Luigi Gori n. 60, giusta richiesta del 31.10.2003.
I due tecnici, dopo aver provveduto all’allaccio, eseguito alla costante presenza del prefato ispettore, andavano via.
Notiziato di quanto sopra, poiché non era stata avanzata alcuna richiesta di linee, lo scrivente disponeva immediati accertamenti presso la citata ditta e presso la Telecom.
Contattati, i responsabili della Telecom dichiaravano di non essere a conoscenza del lavoro e questo anche la signora Antonella Bellon dell’ufficio di Milano, che nell’ordinativo dei lavori era citata come referente.
Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, la citata linea veniva fatta disattivare e, nella occasione, la borchia ISDN, denominata NT1/BA – 2B1Q recante il numero 3438150, sottoposta a sequestro.
Ulteriori approfondimenti allo stato consentivano di accertare quanto segue:

-la richiesta di installazione sarebbe stata fatta telefonicamente al servizio 191 della Telecom;
-la linea installata era una superlinea ISDN digitale, che può giungere ad una velocità di 64 k ed alla quale non è possibile collegare un telefono normale perché su una linea di questo tipo passano esclusivamente flussi di dati. Pertanto, come terminale della linea vi può essere collegato o un telefono ISDN o un personal computer o una particolare apparecchiatura in grado di decifrare dati. Dalla centrale telefonica di questa struttura, attraverso un cavo secondario la linea era giunta ad un armadio collocato in una stradina vicina e da lì con un cavo primario era stata fatta confluire alla centrale di Peretola in via Zambeccari, da dove si diramano le linee che possono essere dirette in qualsiasi parte d’Italia.

Il Responsabile
Primo Dirigente della Polizia di Stato
Dott. Michele Giuttari

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La nota riassume, per quanto concerne i rapporti fiorentini del Narducci (e ciò rileva, per l’indagine perugina, in ordine al movente del delitto), ed identifica le diverse persone che ebbero rapporti con il Narducci soprattutto nel territorio di San Casciano Val di Pesa e, talune di queste, hanno addirittura avuto rapporti sessuali col Narducci, che si presentava generalmente come “medico di Prato” e che, oltre ad essere riconosciuto con chiarezza dalle persone, presentava caratteristiche del tutto compatibili o addirittura peculiari col Narducci. Vedi Richiesta decisione di competenza 15 luglio 2005 pag. 28 Vedi l’informativa: 29 giugno 2004 Informativa stato indagini Perugia Pag.26/27

L’informativa riporta anche che presso il “Castello dell’Oscano“, lavorò per qualche mese una donna fiorentina, tale Elisabetta Ciabani, trovata morta in circostanze misteriose, in un residence in Provincia di Ragusa dove stava trascorrendo un periodo di ferie. Vedi: Nota Carabinieri 27 giugno 2007 pag. 274

In questa nota si parla ampiamente di Rolf ReineckeVedi Gides 14 aprile 2004 nota 172/04 integrativa al Gides dell’8 marzo 2004 pag. 17

Nel marzo/giugno 2003, prima che Vanni parlasse di Ulisse, si era delineato un quadro più ampio di quello conosciuto intorno ai compagni di merende. Oltre ai festini nella casa di Indovino era emerso un luogo simile, ma ben più prestigioso, che secondo la Pubblica Accusa doveva individuarsi in una dependance della Villa “la Sfacciata”, abitata all’epoca da un tedesco. L’11 luglio 2003 la Ghiribelli, in sede di individuazione fotografica, riconosceva la persona di colore che abitava alla Villa ‘La sfacciata” in Parker Mario Robert nato nel New Jersey nel 1954 da padre americano e madre italiana, poi deceduto nel 1996 per AIDS, Dunque un americano di colore esisteva davvero ed era soprannominato proprio “ULISSE”, era deceduto e, contrariamente a quanto dichiarato dal Vanni, non si era suicidato e all’epoca dei fatti viveva o, meglio, era spesso ospite, secondo quanto riferito dalla Ghiribelli, a villa “La Sfacciata”. I risultati di tutti questi accertamenti venivano riportati nella annotazione riepilogativa del GIDES in data 17 novembre 2003. Vedi 22 dicembre 2008 motivazioni sentenza Silvio De Luca processo a Francesco Calamandrei Pag: 70

(NdR: La trascrizione successiva è probabile che appartenga a questa nota ed è diretta conseguenza della testimonianza di Francesca Marianna Baldacci del 9 ottobre 2003.)

“Da queste foto si rileva una forte rassomiglianza con l’identikit redatto durante le indagini sul duplice omicidio del delitto ed in orario particolarmente significativo, così come il luogo, aveva notato la persona descritta alla guida di un’auto sportiva incrociata su un ponte. (Vedasi dichiarazioni di Parisi Rossella). La P.G. rilevava altresì che la descrizione dell’abbigliamento appariva perfettamente sovrapponibile con i dati forniti in precedenza dalla Ghiribelli allorché fece riferimento allo svizzero, amico del Lotti, che abitava in un appartamento della villa “La Sfacciata”. Vi era poi la conferma di quanto già appreso da altri testi (vedi Pratesi Attilio) sulla circostanza che il tedesco nel 1984 avesse lasciato l’appartamento di via di Giogoli insieme alla donna svizzera senza più farsi vedere. Nell’ottobre 1981 erano stati svolti accertamenti sulla coppia, tanto che erano state chieste informazioni a Martelli Guido, che aveva negato la circostanza della conoscenza dei due.” Vedi 22 dicembre 2008 motivazioni sentenza Silvio De Luca processo a Francesco Calamandrei Pag: 126

(NdR: La trascrizione successiva è probabile che appartenga a questa nota ed è diretta conseguenza della testimonianza di Marco Reinecke figlio di Rolf Reinecke del 16 ottobre 2003.)

Circa il racconto fatto in relazione alla scoperta dei due  cadaveri, va rilevato che, dagli atti, risulta che il Reinecke all’epoca ebbe a dichiarare di aver scoperto il furgone la mattina del giorno del ritrovamento dei cadaveri e non già la sera precedente e che, quando si era avvicinato ad esso, aveva pensato che l’occupante stesse dormendo. La P.G. acclarava altresì, che non risultava che lo stesso avesse consegnato una cal. 22 né che, a seguito della perquisizione eseguita nella sua abitazione, fosse stata rinvenuta un’arma di detto calibro. In relazione alla sua fidanzata svizzera Francoise Walther i militari accertavano che costei era immigrata dalla Svizzera in data 12/4/1978; risultava titolare di impresa individuale con sede in Firenze, via di Giogoli 6, con l’inizio  attività il 1/9/1978 e data di cessazione il 31/3/1980 avente per oggetto: “Agenzia di Commercio per viaggi-studio all’estero”; e che all’epoca degli accertamenti la predetta viveva, con una figlia avuta da Reinecke nella città di Bemberg, vicino a Monaco di Baviera. Queste, Dunque, sommare risultanze obiettive emerse a seguito delle dettagliate indagini di P.G.. Esse portano ad esclusa la presenza del  “nero Ulisse” nella dependance della Villa tra “La Sfacciata”, come hanno sostenuto tutte le principali pp.ii.ff. sentite ripetutamente dai militari, mentre appare acclarata la presenza del solo Reinecke e della sua compagna Svizzera all’interno della villa. Vedi 22 dicembre 2008 motivazioni sentenza Silvio De Luca processo a Francesco Calamandrei Pag: 127 128

Appartiene al GOI anche, lo è o lo è stato, anche il farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei, indagato nel collegato procedimento fiorentino e assolto ex art. 530 c.p.p., per insufficienza di elementi: si vedano le dich. del 19.08.03 dell’ex convivente Mascia Rossana, alle pp. 32 e 33 della nota G.I.De.S. del 17.11.03. Vedi: 6 e 7 aprile 2010 Discussione Udienza Preliminare Proc. N. 2782/05/21 Pag. 6

17 Novembre 2003 Nota GIDES n°362/03/Gides
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