Il 22 Dicembre 2008 a seguito della sentenza emessa il 21 maggio 2008 vengono rilasciate le motivazioni alla sentenza Silvio De Luca per il processo a Francesco Calamandrei.

Queste le motivazioni:

Sentenza Francesco Calamandrei giudice De Luca 1

Sentenza Francesco Calamandrei giudice De Luca 2

Sentenza Francesco Calamandrei giudice De Luca 3

Sentenza Francesco Calamandrei giudice De Luca 4

Sentenza Francesco Calamandrei giudice De Luca 5

Questa la trascrizione:

Proc. n. 613/04 RG, GIP

Proc. n. 1277/03 RG, NR

CONTRO

CALAMANDREI FRANCESCO nato a San Casciano Val di Pesa il 27.8.1941 ed ivi residente in Piazza O. Pierozzi n. 18, libero, presente, difeso di fiducia dagli avv.ti Gabriele Zanobini e Nicola Zanobini entrambi del  foro di Firenze

IMPUTATO:

in concorso con VANNI Mario, LOTTI Giancarlo e PACCIANI Pietro, per quali si è proceduto separatamente, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dei reati dettagliatamente descritti ai capi successivi, rafforzando il proposito criminoso dei correi, mediante la pattuizione con PACCIANI Pietro dell’esborso, di volta in volta, di somme di denaro, poi effettivamente consegnate, quale corrispettivo della consegna delle parti di corpo femminile da asportare in occasione degli omicidi. Nonché essendo presente sul luogo dell’omicidio sub A) di Scopeti – San Casciano accertato il 9 settembre 1985.

Con le aggravanti contestate nei singoli capi di imputazione e con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 CP. trattandosi, per gli omicidi dal 1983 in poi, di delitti commessi al fine di procurarsi l’ impunità dagli altri reati precedentemente consumati, (segnatamente quelli relativi all’omicidio del 19 giugno 1982 in Baccaiano di Montespertoli) in quanto la commissione del delitto del 10 settembre 1983 in Giogoli di Scandicci, determinava la cessazione delle indagini a carico di VINCI Francesco, indagato per i reati commessi in precedenza e in grado di rendere dichiarazioni accusatorie a carico dei veri responsabili a lui noti.

A) delitto continuato di omicidio aggravato previsto dagli artt. 81 cpv., 110, 575, 577 n. 3, 61 n. 5 c.p., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, agendo materialmente, il Vanni ed il Pacciani ed agevolando, (come recita testualmente la premessa generale contenuta prima dei capi di imputazione ascritti all’odierno imputato) il Lotti, l’attività delittuosa dei complici, mediante il controllo dei luoghi, esplodendo colpi di arma da fuoco con una pistola Beretta cal. 22 L.R. serie 70 ed utilizzando anche strumenti da punta e da taglio, agendo con premeditazione e profittando di circostanze di tempo, di luogo e di persona tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, cagionavano la morte di KRAVEICHVILI Jean M. e MAURIOT Nadine; Accertato in località Salve Regina di contrada Scopeti in Comune di S. Casciano Val di Pesa (Firenze), il 9 settembre 1985;

B) delitto di vilipendio di cadavere previsto dagli arti 81 cpv., 110, 410 II° co. c.p., perché, con più’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso come indicato nel capo A), mutilavano il cadavere di MAURIOT NADINE, asportando una zona del corpo in regione pubica e la mammella sinistra;

C) delitto di porto e detenzione illegale di arma comune da sparo previsto dagli artt. 81 cpv., 110, 61 n. 2 c.p., 2, 4, 7 legge n. 895/1967 e succ. modificazioni perché, in concorso come indicato nel capo A), al fine di commettere l’omicidio di cui al medesimo capo e nei tempi e luoghi ivi descritti, illegalmente detenevano e portavano in luogo pubblico una pistola Beretta cal. 22 L.R. serie 70;

D) della contravvenzione prevista dagli artt. 110, 61 n. 2 c.p., 4 legge n. 110/1975, perché, in concorso come indicato nel capo A), al fine di commettere l’omicidio di cui al medesimo capo e nei tempi e luoghi ivi descritti, portavano fuori della propria abitazione armi da punta e taglio non meglio identificate;

E) delitto continuato di omicidio aggravato previsto dagli artt. 81 cpv., 110, 575, 577 n. 3, 61 n. 5 c.p., perché, con più” azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, agendo materialmente il Vanni ed il Pacciani ed agevolando, il Lotti, l’attività’ delittuosa dei complici, mediante il controllo dei luoghi, esplodendo colpi di arma da fuoco con una pistola Beretta cal. 22 L.R. serie 70 ed utilizzando anche strumenti da punta e da taglio, agendo con premeditazione e profittando di circostanze di tempo, di luogo, e di persona tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, cagionavano la morte di PIA PONTINI e CLAUDIO STEFANACCI; In Vicchio di Mugello (Firenze), località La Boschetta il 29 Luglio 1984;

F) delitto di vilipendio di cadavere previsto dagli artt. 81 cpv., 110, 410 II° co. c.p., perché, con più’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso come indicato nel capo E), mutilavano il cadavere di RONTINI PIA, asportando una zona del corpo in regione pubica e la mammella sinistra;

G) delitto di omicidio aggravato previsto dagli artt. 81 cpv., 110, 575, 577 n. 3, 61 n. 5 c.p., perché, con più’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, agendo materialmente il Lotti unitamente al Pacciani, esplodendo entrambi colpi di arma da fuoco con una pistola Beretta cal. 22 L.R. serie 70, agendo con premeditazione e profittando di circostanze di tempo, di luogo e di persona tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, cagionavano la morte di MEYER Horst W. e RUSCH Jens U.; In località Giogoli di Scandicci, il 10 settembre 1983;

H) delitto continuato di omicidio aggravato previsto dagli artt. 81 cpv., 110, 575, 577 n. 3, 61 n. 5 c.p,, perché, con più’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, agendo materialmente il Vanni ed il Pacciani ed agevolando, il Lotti, l’ attività’ delittuosa dei complici, mediante il controllo dei luoghi, esplodendo colpi di arma da fuoco con una pistola Beretta cal. 22 L.R. serie 70, agendo con premeditazione e profittando di circostanze di tempo, di luogo e di persona tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, cagionavano la morte di MAINARDI Paolo e MIGLIORINI Antonella; In località Baccalano di Montespertoli, il 19 giugno 1982;

I) delitto continuato di porto e detenzione illegale di arma comune da sparo previsto dagli artt. 81 cpv., 110, 61 n. 2.c..p., 2, 4, 7 legge n. 895/1967 e succ. modificazioni, perché, con più’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso come indicato nei capi E), G), H), al fine di commettere gli episodi di omicidio di cui ai medesimi capi e nei tempi e luoghi ivi descritti, illegalmente detenevano e portavano in luogo pubblico una pistola Beretta cai. 22 L.R. serie 70;

L) contravvenzione prevista dagli artt. 81 c.p., 110, 61 n. 2 c.p., 4 legge n. 110/1975 perché, con più’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso come indicato nel capo E), al fine di commettere l’episodio di omicidio di cui al medesimo capo e nei tempi e luoghi ivi descritti, portavano fuori della propria abitazione armi da punta e taglio non meglio identificate;

M) del delitto previsto dall’art. 416 c.p., per essersi associati tra loro, allo scopo di commettere, nella provincia di Firenze, i delitti di omicidio ai danni di giovani coppie appartate in auto di cui ai capi che precedono, organizzando minuziosamente, gli associati, una attività preventiva di osservazione delle vittime, dei luoghi e dei tempi in cui le medesime si appartavano e le abitudini delle stesse, attribuendo a ciascuno specifici compiti prima, durante e dopo l’esecuzione dei singoli delitti;

Identificate le persone offese in:

1) Frosali Pierina in Mainardi e Mainardi Adriana residenti in Montespertoli Via del Glicine n. 4 difensore di fiducia avv. Aldo Colao del Foro di Firenze, entrambe costituitisi parte civile per il tramite del loro difensore di fiducia all’udienza del 20.3.2007;

2) Mainardi Laura residente a Montespertoli Via del Glicine n.2, difensore di fiducia avv. Aldo Colao del Foro di Firenze costituitasi parte civile per il tramite del suo difensore di fiducia all’udienza del 20.3.12008;

3) Migliorini Renato residente a Montespertoli Via Mandorli n.6;

4) Meyer Georg ed Elfriede abitanti in Schilstrasse 22, D-W 2844 Lemforde-Germania, domiciliato presso lo studio dell’avv. Luca Saldarelli del Foro di Firenze;

5) Rush Waltraud abitante in Germania, Neustrasse 10, D-W 2190 Cuxhaven, domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Luca Saldarelli del Foro di Firenze, sostituito dall’avv. Adriano Saldarelli , come da nomina oggi prodotta, costituitosi parte civile per il tramite del suo difensore di fiducia all’udienza del 7.9.2007;

6) Fusaroli Bruna Romana residente in Vicchio di Mugello, Corso del Popolo n.36, difensore di fiducia Avv. Patrizio Pellegrini del Foro di Firenze;

7) Stefanacci Sauro residente a Vicchio di Mugello Corso del Popolo n.36, difensore di fiducia avv. Patrizio Pellegrini del Foro di Firenze;

8) Stefanacci Luca residente in Vicchio del Mugello Corso del Popolo n.36, difensore di fiducia avv. Patrizio Pellegrini del Foro di Firenze;

9) Kristensen Winnie residente a Vicchio (Firenze) Via Craducci n. 10, difensore di fiducia avv. Patrizio Pellegrini del Foro di Firenze costituitasi parte civile per il tramite del suo difensore di fiducia all’udienza del 20.3.2007;

10) Kraveichvili Serge Fernand abitante in 25400 – Audincourt 38 Grand Rue- Francia, difensore di fiducia Avv. Prof. Fabrizio Corbi del Foro di Firenze costituitosi parte civile per il tramite del suo difensore di fiducia all’udienza del 27.11.2007;

11) Kraveichivili Irene difensore di fiducia avv. Vieri Adriani del foro di Firenze costituitasi parte civile per il tramite del suo difensore di fiducia ‘all’udienza del 27.9.2007;

12) Mauriot Georges Roger e Saugier Jeanine Alice abitanti in Vandocount – Francia – 7 Rue d’Abbévillers difensore di fiducia Avv. Prof. Fabrizio Corbi del Foro di Firenze;

13) Maryse Mauriot domiciliata in Chambery – Francia, 634 Rue de Chanaz, difensore di fiducia avv. Fabrizio Corbi del foro di Firenze;

14) Estelle Lanciotti domiciliata in 23200 – Aubusson – Francia, 64 Rue Vaveix, difensore di fiducia Avv. Vieri Adriani del Foro di Firenze ;

15) Anne Lanciotti domiciliata in 5 Rue Chifflet – 25000 Besbacon – France, difensore di fiducia Avv. Vieri Adriani del Foro di Firenze

CONCLUSIONI RASSEGNATE DALLE PARTI:

P.M.: condanna dell’imputato in ordine a tute le ipotesi delittuose a lui contestate alla pena dell’ergastolo; difensori delle costituite parti civili si sono associati alla richiesta dei P.M. chiedendo la liquidazione di somme di denaro quale del risarcimento dei danni subiti; difensori dell’imputato assoluzione del loro assistito da tutte le ipotesi delittuose contestate con formula ampia

FATTO E DIRITTO

PREMESSA GENERALE

I reati contestati a Francesco CALAMANDREI: i quattro duplici omicidi commessi tra il 1982 ed il 1985

I fatti addebitati al Calamandrei sono solo quelli relativi agli ultimi 4 duplici omicidi e sono compresi nel più ampio genus relativo agli 8 duplici omicidi commessi tra il 1968 ed il 1985 con la stessa pistola cal. 22, tristemente noti, a livello nazionale ed internazionale, quali compiuti dal cd. “mostro di Firenze”. Deve subito sottolinearsi come i P.M. nell’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis c.p.p., datato 29 maggio 2006, avevano contestato all’imputato anche il duplice delitto avvenuto in Calenzano il 23.10.1981, mentre nella successiva richiesta di rinvio a giudizio, datata 4 dicembre 2006, detta contestazione è venuta meno, sebbene nulla in punto di indagini fosse cambiato, se non la memoria depositata dal difensore dell’imputato dopo l’avviso di cui sopra. Evidentemente per il delitto di Calenzano mancavano gli esecutori materiali, dato che il Vanni era stato assolto, definitivamente, già con sentenza emessa in data 24.3.1998 dalla Corte d’Assise di Firenze, Il sez., confermata in grado d’Appello con sentenza emessa il 21.5.1999, passata poi in giudicato in data 26.10.2000, dunque, di gran lunga precedente alla formulazione del capo d’imputazione, mentre l’altro killer, il Lotti, non era mai stato neppure incriminato per detto delitto.

Peraltro tale limitazione esisteva già nella citata sentenza passata in giudicato della Corte di Assise di Firenze relativa al processo a carico di Vanni Mario e di Lotti Giancarlo, ritenuti dal P.M., unitamente al defunto Pacciani Pietro, correi del Calamandrei. La Corte di Assise, con la sua decisione, ha ritenuto che le prove raggiunte avevano permesso di accertare la responsabilità degli imputati per i delitti commessi dal 1982 in poi, cioè dal delitto di Baccaiano – Montespertoli a quello, finale, del 1985 di Scopeti.

Solo in merito a tali delitti, secondo il ragionamento della Corte di Assise, erano state raggiunte prove certe della responsabilità degli imputati Vanni e Lotti e, quantomeno indirettamente, del Pacciani. La confessione del Lotti e la chiamata di correo a carico dei due complici ha avuto un considerevole peso nella maturazione del convincimento di quei giudici e dei giudici di appello, che hanno confermato la decisione di primo grado. Per la verità, era anche stata raggiunta la prova della unicità dell’arma che aveva sparato in tutti i duplici omicidi dal 1968 in poi, ma i P.M. hanno ritenuto che tale elemento, da solo, non consentisse di ritenere raggiunta la prova per i delitti commessi prima del 1982. Gli elementi di prova raggiunti relativamente a tali 4 duplici omicidi si riferiscono alla ricostruzione delle condotte, come descritte  minuziosamente dal Lotti, che ha dimostrato di aver condiviso tali condotte criminose con Vanni e Pacciani solo a far data dal 1982 in poi. Occorre anche aggiungere, per la verità, che dagli atti sarebbe emerso un ulteriore elemento che, come si vedrà infra, porrebbe l’odierno imputato come presente addirittura sul luogo del primo duplice omicidio avvenuto nel lontano 1968, quantomeno in epoca successiva al fatto, ma anche tale elemento, come tanti altri del presente processo risulta del tutto privo di riscontri, essendo emerso solo nel memoriale redatto da Ciulli Mariella, consorte del Calamandrei, sulla quale occorrerà soffermarsi non poco nel prosieguo della presente trattazione. Il P.M., dunque, riportandosi alle conclusioni della citata sentenza della Corte d’Assise nelle imputazioni relative ai duplici omicidi contestavano al Calamandrei la sua partecipazione, quale mandante, avendo pattuito col Pacciani l’esborso di somme di denaro, relativamente ai duplici omicidi dei quali si erano resi autori materiali, oltre allo stesso Pacciani, anche gli imputati Vanni e Lotti nonché, almeno in parte, il medesimo Calamandrei. Questi, infatti, sarebbe stato presente fisicamente sul luogo dell’omicidio sub A) di Scopeti – San Casciano, accertato il 9 settembre 1985, ed avrebbe commissionato in prima persona tutti i duplici omicidi qui in contestazione “quale corrispettivo della consegna delle parti di corpo femminile da asportare in occasione degli omicidi”.

Il Calamandrei, quindi, si trova a rispondere nella richiesta di rinvio a giudizio dei P.M. dott. Canessa e dott. Crini dei fatti relativi ai delitti dal 1982 al 1985: – Omicidio 1982 In località Baccaiano di Montespertoli, ai danni di Mainardi Paolo e di Migliorini Antonella (in tal caso avvenuto senza l’asportazione di feticci femminili); – Omicidio 1983 a Giogoli ai danni di una coppia di giovani tedeschi di sesso maschile e, quindi, senza asportazione di feticci; – Omicidio 1984 Vicchio di Mugello ai danni di Pia Rontini e Claudio Stefanacci; – Omicidio 1985 Scopeti – San Casciano ai danni dei giovani francesi (in questo caso essendo stato egli stesso presente al fatto);

All’esito di una corposa fase d’indagine, protrattasi oltre ogni ragionevole limite a causa della stasi nelle indagini stesse dovuta alla controversa vicenda della costituzione del GIDES, il cui responsabile dott. Giuttari dal 1998 al 2001 era stato privato della direzione delle indagini per essere reintegrato solo a far data da quell’anno e dopo l’effettuazione di incidenti probatori disposti dal G.I.P. nei confronti sia di Ciulli Mariella (moglie separata dell’odierno imputato) onde accertarne la capacità di intendere e di volere ed il suo stato di salute psichica, nonché nei confronti dello stesso Vanni Mario (sentito dal G.I.P., sempre nell’ambito di incidente probatorio, a seguito di un colloquio carcerario svoltosi tra lo stesso e Nesi Lorenzo che aveva rivelato alcune circostanze, prima ignote agli inquirenti), nonché svariati verbali relativi sia all’audizione di pp.ii.ff. sia di sopralluoghi effettuati dalla P.G. di cui si terrà debito contro nella prosecuzione della presente trattazione, in data 7.12.2006 i P.M. formulavano la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del solo Calamandrei.

Nelle more l’imputato faceva richiesta, in data 10 marzo 2007, di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato ex art. 438 e seg. C.p.p. ed il Giudicante, dopo aver ammesso l’imputato al rito speciale, fissava la prima

‘(come recita testualmente la premessa generale contenuta prima dei capi di imputazione ascritti all’odierno imputato)

udienza di trattazione per la data del 20.3.2007. Veniva poi compilato un calendario delle udienze che terminavano in data 8.5.2008. Il giudicante, poi, rinviava all’ulteriore data del 21.5.2008 per la lettura del dispositivo.

SUL CONTENUTO DEI CAPI D’IMPUTAZIONE

Relativamente ai capi d’imputazione debbono subito evidenziarsi alcune evidenti discrasie emerse dall’esame dell’incartamento processuale: in primis circa la contestata aggravante di cui all’art. 61 n. 2, che recita “al fine di commettere gli episodi di omicidio di cui ai medesimi capi E), G), H), e nei tempi e luoghi ivi descritti” (duplici omicidi avvenuti il 29.6.1982, il 10.9.1983 e il 29.7.1984) e non più, come invece era stato riportato nell’originario capo d’imputazione relativo all’avviso di conclusione delle indagini, “al fine di procurarsi l’impunità dagli altri reati precedentemente consumati”, e, dunque, da tutti gli altri duplici omicidi. Tuttavia anche tale indicazione appare errata dato che la citata circostanza aggravante può riferirsi solo al duplice omicidio dell’82, (duplice omicidio di cui al capo G) in quanto la commissione del delitto del 10 settembre dell’83 in Giogoli ha determinato la cessazione delle indagini a carico dell’allora imputato (e detenuto) Vinci Francesco e, dunque, va espunto da esso sia il riferimento al capo E) che quello al capo H) non potendosi ravvisare in questi ultimi delitti quel fine.

Altra contraddizione contenuta nei capi di imputazione ed in particolare in quelli sub H (duplice omicidio del 19 giugno 1982, in Montespertoli) e sub G) (duplice omicidio del 10 settembre 1983) è rappresentata dal fatto che in entrambi i casi non risulta che siano stati asportati i “feticci”: nel 1° caso, pur essendosi in presenza di una coppia eterosessuale, non essendo risultate escissioni sulla giovane donna, nell’altro trattandosi di due soggetti maschili.

1° prelevamento di parti anatomiche di donna è avvenuto con l’omicidio di Scandicci del 6 giugno dell’81: le escissioni, dunque, hanno avuto inizio nell’81 e sono avvenute in entrambi i duplici omicidi di quell’anno, sebbene all’odierno imputato non risultano contestati in quanto all’epoca, quantomeno secondo l’impostazione accusatoria, ancora non vi erano mandanti, emersi solo a far data dal duplice omicidio dell’82. Si pone allora il problema se le escissioni, indubbiamente effettuate sui cadaveri delle due povere donne nell’81, debbano intendersi avvenute per il godimento personale dei killer o ordinate da altri “gaudenti mandanti”. In quest’ultimo caso, però, si pone il quesito relativo a chi fossero stati destinati, che fine avessero fatto e se fossero stati utilizzati per orge, messe nere e quant’altro. Certamente i “feticci” non potevano essere destinati ai partecipi dei “riti” della villa “la Sfacciata”, non essendovi alcun elemento che all’epoca portasse a detta pista.

Le modalità di commissione di questi delitti ad un certo punto cambiano e fanno doverosamente presumere che tale modificazione fosse avvenuta perché l’un gruppo, quello dei “dottori”, facente capo alla villa della Sfacciata, cominciò a finanziare l’altro gruppo (quello dei contadini) perché ciò facesse. Secondo l’assunto accusatorio il finanziatore non poteva che essere il Calamandrei, soggetto che avrebbe unito questi due gruppi nello scellerato disegno di sopprimere molte vite umane, a pagamento. Tuttavia nel duplice omicidio del 19 giugno 1982, in Montespertoli (vittime Mainardi e Migliorini) non risulta l’asportazione di “feticci” ed, egualmente, nel duplice omicidio del 9 settembre 1983, manca l’esportazione di “feticci” trattandosi di soggetti maschili.

Tale argomento inevitabilmente si intreccia con l’altra circostanza secondo cui i successivi duplici omicidi contestati sub E) (dupiice omicidio del 29 luglio 1984) ed A) (duplice omicidio del 9 settembre 1985) sono stati commessi, in entrambi i casi con asportazione da parte degli esecutori materiali dei feticci, allorché pacificamente la villa “La Sfacciata”, ove secondo l’assunto accusatorio dovevano essere portati per la loro destinazione alle orge e alle messe nere, era già stata abbandonata dall’inizio dell’anno 1984 a “gambe levate” (espressione efficacemente adoperata dai P.M. nelle loro requisitorie) da entrambi i personaggi che, secondo l’assunto accusatorio, avrebbero abitato la dependance della villa.

Infine, altra discrasia che deve evidenziarsi nei capi di imputazione è quella rappresentata dalla loro impostazione rispetto a quanto emerso dalle successive requisitorie ed assunti accusatori dei P.M.: secondo la premessa generale ai capi di imputazione l’odierno imputato, avendo agito in concorso con Vanni, Lotti e Pacciani, avrebbe “rafforzato” il proposito criminoso di costoro mediante pattuizione, con il solo Pacciani, dell’esborso, di volta in volta, di somme di denaro, poi effettivamente consegnate, quale corrispettivo della consegna delle parti di corpo femminile da asportare in occasione degli omicidi.

Orbene si versa in ipotesi del mandante “unico”, anche perché nel successivo capo M) si contesta, ancora al Calamandrei, unitamente ai tre citati imputati già giudicati separatamente, il reato associativo allo scopo di commettere nella provincia di Firenze i delitti di omicidio ai danni di “giovani coppie” di cui ai capi che precedono. Nelle requisitorie dei P.M.7, i quali non hanno provveduto, peraltro, a chiedere alcuna correzione dei capi di imputazione, invece, è stato prospettato un diverso evolversi dei fatti: in tale ambito il Calamandrei avrebbe ricoperto il ruolo di trait d’union tra il gruppo dei cd. “mandanti gaudenti”, termine adoperato testualmente proprio dai P.M., ed il gruppo degli esecutori materiali. Del 1° gruppo, tuttora non ben definito, avrebbero fatto parte alcuni, per così dire, “maggiorenti” che gravitavano nell’ambito di S. Casciano e che potevano identificarsi in un medico della malattie veneree, in medico oncologo, in un professore universitario ed in altri personaggi tra cui due che avrebbero assunto un’importanza decisiva (il “nero Ulisse” e il tedesco Parker, sui quali ci si soffermerà infra) alcuni dei quali, peraltro, tuttora da identificare compiutamente e non attinti, quantomeno per quel che emerge dalle attuali risultanze processuali, da alcun provvedimento giudiziario. A detto gruppo poi avrebbero fatto capo il militare Filippo Neri Toscano, all’epoca in servizio presso la stazione dei CC di S. Casciano, che secondo l’assunto accusatorio, che si basa per gran parte sulle dichiarazioni rese dal Lotti, avrebbe procurato ai killer le armi e i proiettili adoperati per i delitti, la cui posizione sarebbe attualmente al vaglio dell’A.G. di Firenze, nonché il dott. Francesco Narducci, su cui necessariamente ci si dovrà soffermare infra, il quale secondo, l’assunto accusatorio, avrebbe fatto parte a pieno titolo dei “mandanti gaudenti” e sarebbe stato legato in particolare proprio al Calamandrei, con il quale aveva stabilito stretti rapporti. A prescindere dalle obiettive risultanze processuali, in ordine alle quali ci si soffermerà infra, la contraddizione emergente dai capi di imputazione come contestati all’imputato e le citate conclusioni alle quali sono pervenuti i P.M. nella fase delle loro requisitorie appare di palmare evidenza.

Le dichiarazioni graduali di testi ed imputati.

Le persone che, nel corso del tempo, hanno rilasciato dichiarazioni testimoniali ritenute utili alla ricostruzione dei fatti sono intervenute per gradi, non essendo siate rilasciate in unica volta.

2 (v. in particolare il verbale delle deregistrazioni dell’udienza svoltasi in data 22.1.2008 pag. 86)

Questo vale per le dichiarazioni del Lotti e del Vanni, ma anche per le dichiarazioni rese dai principali protagonisti del presente proc. pen. Nesi, Pucci e Ghiribelli.

Le complesse indagini sui delitti attribuiti al c.d. Mostro di Firenze, sfociate in 3 fasi che hanno dato luogo a 3 processi.

A) L’AUTORE UNICO

B) PIU’ ESECUTORI MATERIALI – Pacciani, Vanni, Lotti: “I cd. compagni di merende”

C) Il| MANDANTE – presunte complicità di maggiore spessore.

A) II primo processo. La teoria dell’autore unico PIETRO PACCIANI. Le indagini tra il 1989 ed il 1994.

Nei primi anni le indagini si erano indirizzate su persone vicine alle vittime del primo delitto del 1968: Mele Stefano, condannato per quel delitto dalla Corte d’Assise d’Appello di Perugia, avendo la S.C. disposto l’annullamento della precedente sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze e rinviato gli atti a quella A.G. per nuovo giudizio, con sentenza passata in giudicato, Vinci Francesco e Vinci Salvatore (fratelli, Mele Giovanni e Mucciarini, che saranno tutti prosciolti dal Giudice Istruttore.

Successivamente esse si intensificarono, soprattutto negli anni 1989/90 e venne individuato Pietro Pacciani: iniziava, così, una complessa attività che avrebbe portato al processo del 1994 ed alla sua condanna in primo grado.

La prima caratteristica di questa fase dell’indagine, nata appunto alla fine degli anni 80, è quella dell’investigazione su un particolare ambiente legato al paese di San Casciano ed ai suoi dintorni. In quel momento, sebbene Pacciani risultasse l’unico indagato, procedendosi solo a suo carico, si venivano a delineare agli inquirenti figure a lui vicine. In primis veniva individuato Mario Vanni, postino di S. Casciano, che risultò vicinissimo al Pacciani. Costui venne sentito come teste in udienza dinanzi alla Corte d’Assise di 1° grado e, ancor prima che il P.M. gli ponesse la prima domanda, spontaneamente riferì la ormai famosa frase “si andava a fare qualche merenda…si frequentava qualche bar, si beveva un po’ di vino, si faceva qualche cena” (da qui poi il termine divenuto usuale di “compagni di merende”).

Già nella fase istruttoria di quel primo processo, ma soprattutto nel dibattimento, si delineò un quadro di apparenti “gaudenti” di paese, contadini, postini, e personaggi di simile estrazione sociale, quadro di cui facevano parte anche persone di più alto, per così dire, livello sociale, professionisti, quali avvocati del paese, (l’avv. Corsi, cugino dell’odierno imputato, che sarebbe stato processato e poi assolto dal reato di favoreggiamento contestatogli nell’ambito del processo VANNI), il farmacista (ed odierno imputato) Calamandrei, qualche medico, persone “cd. per bene” che non disdegnavano di passare qualche serata, a cena anche con il Vanni che cantava stornelli, faceva un po’ “la macchietta”, professava la sua fede politica inneggiando al duce o cantando canzoni del tipo “faccetta nera”. L’ambiente e quelle cene sicuramente erano innocui e innocenti passatempi tra persone dello stesso paese, pur se di estrazione sociale diversa.

Tale contesto era altro dalle abituali frequentazioni di alcuni imputati, quali Pacciani e Vanni, con prostitute, adeguate alla loro personalità. Nella sentenza della Corte d’Assise che giudicò Pacciani molto spazio fu dato, essendo ciò emerso nel dibattimento, alle figure di due prostitute Maria Antonietta Sperduto e Gabriella Ghiribelli che, oltre a prestarsi a soddisfare abitudini sessuali dei loro clienti risultava che facessero anche amori di gruppo, atti di voyeurismo, maghi o, almeno, qualche partecipante vestito da mago nei vari convegni, ecc.

Tali particolari emergenze non furono, tuttavia, particolarmente approfondite in quanto nel giudizio a carico del Pacciani rappresentavano circostanze irrilevanti e sostanzialmente secondarie ai fini della decisione. L’indagine all’epoca, infatti, era ben indirizzata sull’ipotesi di un autore unico di quei duplici omicidi.

Per questo motivo l’attenzione degli investigatori si focalizzò sulla figura di unico indagato che fu iscritto nel registro degli indagati cioè Pacciani. Alla luce dei successivi accadimenti può oggi sostenersi che ciò rappresentò certamente un grave errore perché dalle indagini svolte dalla polizia giudiziaria, già allora sussistevano forti indicazioni indirizzate ad una indagine più ampia, portata avanti solo successivamente. Le indicazioni, già presenti, di eventuali concorrenti nei delitti furono di fatto trascurate o, comunque, non furono assolutamente sviluppate. Occorre evidenziare che a quel tempo emerse, in verità, una reiterata indicazione a carico di una persona cd. “perbene” che sarebbe stata coinvolta nei delitti: essa venne effettuata ai Carabinieri – Nucleo di Polizia Giudiziaria della Procura di Firenze, i quali la presero anche in considerazione, tanto da effettuare una perquisizione domiciliare, con esito, ovviamente, negativo: ci si riferisce alle segnalazioni effettuate da Mariella Ciulli ancora prima della individuazione del Pacciani, indicando il marito Francesco Calamandrei ed altri insospettabili soggetti come coinvolti nei delitti. Tuttavia occorre subito sottolineare come lo stato psichico della Ciulli fosse già all’epoca del tutto alterato (come si avrà modo di esaminare infra nell’apposito capitolo) e che costei, oltre a tempestare letteralmente, in modo reiterato gli uffici delle varie forze di polizia, aveva chiamato in causa quali possibili autori degli omicidi i personaggi più disparati (dal dott. Vigna, allora Procuratore Agg. della Procura della Repubblica di Firenze, al filosofo Eugenio Garin, oltre ad una serie notevole di altri soggetti sui quali infra ci si soffermerà) con la conseguenza della sua assoluta non credibilità 3.

Il parere dell’F.B.I. La consulenza criminologia dell’Università di Modena.

L’ambiente dei compagni di merende e delle persone perbene non era all’attenzione degli investigatori, quantomeno come gruppo, in quanto si pensava all’autore unico. Vi era stata in proposito una indicazione tassativa da parte della scienza medico-legale secondo cui i delitti erano opera di un unico autore. Su tale impostazione convergevano all’epoca anche le indicazioni che venivano dalla Polizia, che aveva interpellato anche l’F.B.I., cui erano stati inviati gli atti. Gli investigatori americani fecero una loro valutazione delle scene del crimine, così come ricostruite all’epoca, senza indagini scientifiche sofisticate e le conclusioni furono anche in tal caso che si trattava di un autore unico. Come emergerà dalle successive indagini e dalle sentenze, fu un errore gravissimo che condizionò anni di indagini. Anche gli inquirenti furono portati su quella strada, trascurando aspetti che invece erano già ben presenti. Bisogna subito dire che gli studiosi (ben 5 professori universitari) effettuarono un’ “indagine peritale medico legale e criminologica in ordine alle valutazioni della dinamica materiale e psicologica dei duplici omicidi ad opera di ignoti verificatisi nella provincia di Firenze tra il 1968 ed il ì

3 (essendo, a quell’epoca, stata effettuata una accurata perquisizione nel frigorifero e nel freezer siti all’interno dell’abitazione dell’odierno imputato in cerca di “feticci” congelati, con esito, naturalmente, negativo).

1985”. Costoro cercarono di delineare il tipo d’autore sulla sola base delle autopsie, dei risultati degli accertamenti medico legali, dei risultati dei sopralluoghi della polizia giudiziaria, delle perizie balistiche e degli accertamenti della polizia scientifica. Ovviamente all’epoca mancava sia l’esperienza che le metodologie odierne. Le conclusioni furono del tutto univoche, avendo evidenziato il seguente responso: l’autore di quei delitti era uno psicopatico organizzato, che, pur non affetto da patologie mentali evidenti, presentava una particolare perversione di tipo sessuale a carattere individuale. La consulenza recitava testualmente “Siamo portati ad escludere che si tratti di un malato mentale….si tratta di un soggetto che è andato incontro, di delitto in delitto, ad una progressiva espansione di sapore paranoideo perché tendenzialmente volta a sottolineare in termini sempre più espliciti rispetto al passato il suo vissuto di onnipotenza”.

Queste teorie condizionarono pesantemente la fase della prima indagine, impedendo di approfondire quegli aspetti delle condotte e della vita del Pacciani. Non si ritenne, all’epoca, di dover approfondire alcune circostanze evidenti su tale personaggio, non nuovo, peraltro, alle cronache giudiziarie, risultando essere stato condannato in passato sia per il reato di omicidio che per quello di violenza sessuale ai danni delle proprie figliole: costui, già all’epoca, era stato ritenuto che avesse qualche consolidata amicizia, soprattutto con Mario Vanni, che insieme con lui frequentava prostitute, da solo e in compagnia, ma che era anche interessato alla magia ed alle “cose del diavolo”.

Le conclusioni cui erano pervenuti gli illustri esperti, tuttavia, vennero spazzate via al termine del processo a carico del Pacciani, svoltosi nel 1994 e conclusosi dopo 31 udienze. Il dibattimento aveva aggiunto elementi ulteriori rispetto all’indagine, come ben evidenziato dalla Corte di Assise di 1° grado di Firenze in una approfondita parte della motivazione della sentenza del 1 novembre 1994:’ “Un punto certamente non secondario dell’inchiesta verte sul concorso di eventuali complici nella commissione dei delitti ascritti al Pacciani….. se sulla scena dei delitti non risalta in maniera obiettiva l’intervento di eventuali complici, ciò, di per sé solo, non implica affatto che essi, uno o più, non possano essere stati presenti al momento della commissione di uno o di più episodi criminosi….. al contrario, anzi, di tale presenza vi è una prova sicura ed inequivoca nella deposizione del teste NESI Lorenzo, il quale la notte dell’uccisione dei giovani francesi aveva visto

4 (pagg. 444 e seguenti)

sfilare davanti a sé sulla via di Faltignano, in orario che si è visto essere perfettamente compatibile con quello di commissione del duplice omicidio, la Ford Fiesta del Pacciani, il quale aveva accanto a sé un individuo che il Nesi non era stato in grado di riconoscere ma che, stante la particolare situazione di tempo e di luogo, non poteva che essere strettamente intrinseco a lui, e, dunque, al crimine da poco commesso”.

In quel momento emergeva con grande determinazione la figura del Nesi, amico e compagno di cene e bevute soprattutto di Vanni, ma anche di Pacciani, il quale aveva sempre manifestato agli investigatori, ma non durante il dibattimento, di essere quasi certo di avere intravisto il Vanni in compagnia del Pacciani la notte del delitto ed avrebbe avuto modo di spiegare meglio tale circostanza nel successivo dibattimento a carico del Vanni.

Era chiaro che la scienza e I’F.B.I. non avevano aiutato le prime indagini. Anche il P.M aveva maturato la stessa convinzione dei giudici; infatti motivando la richiesta di condanna del Pacciani per i reati ascrittigli anticipava indirettamente la volontà di andare avanti nelle indagini descrivendo Pacciani come: “un figlio per fortuna eccezionale della nostra terra, un contadino scaltrissimo e perverso senza un’anima che si era contornato di uomini come lui squallidi e vecchi dentro che ha dominato sui compagni di merende che ancora lo temono con i quali ha condiviso sicuramente parte delle sue perversioni ed azioni”. All’epoca si riteneva sussistente una sola perversione, quella dell’autore materiale dei delitti. 5

Mario VANNI, il postino complice di PACCIANI.

Verso la fine dell’anno 1994 emersero alcune circostanze: il postino Mario Vanni era coinvolto, con Pacciani, almeno nell’ultimo duplice omicidio del 1985. Pacciani e Vanni frequentavano entrambi prostitute di bassissimo livello e, per quei che si sapeva all’epoca, quantomeno Vanni aveva amicizie e frequentazioni con persone cd. “per bene”. Lorenzo Nesi aveva fornito alcuni elementi utili all’indagine ed era al corrente, come si accerterà in un secondo momento, di altre notizie che inizialmente non aveva ritenuto di dover fornire agli inquirenti. Il Nesi, piccolo imprenditore titolare di una ditta di confezioni, era amico di vecchia data del Vanni e conoscente del Pacciani,

5 pagg. 444 e seguenti della sentenza

frequentatore a sua volta di cene e di qualche prostituta, compagno di bevute, al corrente di diverse cose, ed aveva deciso di collaborare con gli inquirenti. In epoca remota, nei primi anni 90, il Nesi era già intervenuto spontaneamente nel corso delle indagini a carico del Pacciani, fornendo una prima, precisa informazione. Quando, nel corso dell’istruttoria, Pacciani aveva negato di avere una pistola e la circostanza era comparsa sulla stampa, il Nesi si era presentato spontaneamente dal P.M. in data 8.11.1991, accompagnato da un legale, per riferire di aver appreso dallo stesso Pacciani, nel corso di una conversazione, che questi, con una pistola in mano, di sera al buio cacciava i fagiani su un albero ed aveva aggiunto “venivano giù come sassi”. Ed ancora, secondo quanto riportato nella motivazione della sentenza della Corte di Assise, allorché, nel corso del dibattimento, mentre si ricostruiva in aula il duplice omicidio del 1985 a Scopeti, sempre il Nesi si era presentato di nuovo spontaneamente una seconda volta in aula, raccontando di aver visto Pacciani poco lontano dal luogo del delitto con la sua auto, alla stessa ora, con una persona a bordo, aggiungendo, in seguito, che aveva sospettato si trattasse del Vanni, dimostrando ancora una volta la massima determinazione ma una grande cautela nel riferire tali fatti. La storia di quei delitti all’epoca aveva due sicuri protagonisti: Pacciani e Vanni. Secondo l’assunto accusatorio a margine si intravedeva già un gruppo di persone “perbene”, non ancora completamente definito, i quali frequentavano quantomeno il Vanni. Inoltre, durante il processo Pacciani era emerso un singolare interesse dell’imputato sul mondo satanico, in particolare per il diavolo. Nella prima perquisizione presso la sua abitazione era stato rinvenuto, tra l’altro, il volume: “dominio sui demoni”. Nella perquisizione in carcere, essendo all’epoca il Pacciani ristretto perché condannato per le violenze sessuali sulle figlie, venne rinvenuto materiale sullo stesso argomento, nonché un’attrezzatura (piccolo rudimentale altarino) utilizzata per la celebrazione di messe ed era emerso che egli stesso era stato visto celebrare periodicamente strane funzioni. Spesso durante il dibattimento aveva invocato alternativamente, a seconda delle occasioni, il buon dio o il diavolo per punire chi lo accusava a suo dire ingiustamente. Tale dato aveva destato curiosità negli investigatori.

II SFCONDO PROCESSO. | cd. “compagni di merende”. Le indagini dal 1995 al 1999: la condanna di Mario VANNI e di Giancarlo LOTTI.

Al termine del processo Pacciani la Corte di Assise 6, su richiesta del P.M, trasmetteva copia degli atti del dibattimento, relativi alla presenza di uno o più complici e venivano, perciò, svolte ulteriori indagini. La Squadra Mobile della Questura di Firenze si mise subito sulle tracce della seconda persona, presente sul luogo dell’omicidio del 1985 in auto con Pacciani e, abbastanza agevolmente, venne focalizzata la figura del VANNI come persona molto vicina al Pacciani. Approfondendo le indagini sul Vanni emersero altri due personaggi, fino a quel momento sconosciuti, vale a dire Lotti Giancarlo e Pucci Fernando. La P.G. appurò che la loro coesione nasceva dalla frequentazione dei medesimi locali, (i bar della piazza dell’orologio, il cosiddetto “piazzone” di San Casciano), ma soprattutto emerse la comune frequentazione di prostitute di bassissimo livello sia a Firenze nella zona di Via della Scala e della Stazione che nella zona di S. Casciano: dette prostitute venivano individuate, oltre che in Sperduto Maria Antonietta, soprattutto in una figura che risulterà poi centrale nelle frequentazioni del gruppo e cioè in Ghiribelli Gabriella, quest’ultima collegata a Nicoletti Filippa. Si iniziò a fare luce sul gruppo dei cd. “compagni di merende” e sugli interessi che accomunavano i componenti.

La casa di Salvatore INDOVINO sita a S. Casciano, in Via di Faltignano.

La presenza in quel luogo delle prostitute Maria Antonietta SPERDUTO, Gabriella GHIRIBELLI, Filippa NICOLETTI e dei cd. “compagni di

merende”.

Man mano che si acquisivano informazioni su queste tre donne, gli inquirenti ritennero che esse frequentassero a vario titolo la stessa casa, una sorta di stamberga, che si trovava in Via di Faltignano a S. Casciano, vicinissimo al luogo ove avvenne l’ultimo duplice omicidio, dove Nesi aveva visto l’auto di Pacciani con il complice a bordo, la sera dell’omicidio del 1985.

Si trattava della casa del pregiudicato Indovino Salvatore che all’epoca delle indagini (nel 1995/96), era già deceduto ma che, secondo la prospettazione accusatoria avrebbe costituito uno dei “fulcri” degli interessi dei compagni di merende: si vedrà peraltro come dall’obiettivo esame dell’incartamento processuale tale ipotesi per molti versi appare smentita. In quel luogo (non certo ameno, trattandosi di una vera e propria stamberga) secondo le

6 sentenza del 1° novembre 1994

dichiarazioni rese da alcune pp.ii.ff. 7 si sarebbero recati anche Vanni e Lotti. L’altra prostituta Sperduto, con la quale avevano avuto molteplici rapporti  sessuali sia Pacciani che Vanni, alla fine dell’anno 1980 era andata ad abitare nello stesso edificio colonico, proprio accanto alla abitazione di Indovino.

Il periodo in esame si situa in un arco temporale che si estende dalla fine dell’anno 1980 e prosegue durante tutti gli anni degli omicidi in esame, fino all’ultimo duplice omicidio del 1985. Tuttavia la stamberga di via di Faltignano è interessata solo per un breve periodo, in quanto in epoca prossima all’anno 1981-82 sarebbe mutato sia il luogo di riunione (essendosi individuata, secondo la Pubblica Accusa, la dependance, ben più prestigiosa, della villa “La Sfacciata” 8) sia i partecipanti agli incontri (essendo subentrato il cd. “gruppo dei gaudenti”, maggiorenti di S. Casciano e dintorni, con esclusione del Vanni e di tutti i “contadini” abituali frequentatori della stamberga, unico aggancio con il precedente luogo essendo rappresentato dal Lotti). La prostituta Filippa Nicoletti 9, conviveva all’epoca con Indovino nella stamberga e, quando questi era assente essendo spesso in carcere per motivi di giustizia, Lotti vi si stabiliva quasi in pianta stabile. La Sperduto abitava nell’appartamento limitrofo a quello dell’Indovino insieme ai figli, dei quali Milva Malatesta, frequentando quello squallido ambiente, era stata avviata anch’essa, fin da giovanissima, alla prostituzione. Si trattava di una ragazza giovane e bella, che aveva adottato il nome d’arte di “Silvia”.

Tale primo contesto di persone che gravitavano intorno al Pacciani, al Vanni e al Lotti era ben più ampio di quello conosciuto dagli inquirenti in precedenza. Nella casa colonica in pessimo stato sita in Via di Faltignano abitavano, in due diverse, modeste e limitrofe unità immobiliari due distinti nuclei familiari. Il nucleo facente capo al mago Indovino e la famiglia della Sperduto, con i propri figli. I due processi, già celebrati, hanno ricostruito ampiamente la storia dei singoli soggetti facenti capo a questi due nuclei familiari. Alle vicende di alcuni degli appartenenti a detti nuclei familiari, sono legati altri omicidi, diversi rispetto a quelli ai danni delle giovani coppie. Quali fonti di prova a carico dell’odierno imputato sono state indicate dai P.M. proprio le prostitute che frequentavano la modesta abitazione di via di 

7 (in primis le prostitute Ghiribelli e Nicoletti)

8 ma tale individuazione non appare affatto pacifica per le considerazioni che saranno svolte infra

9 (che sarà sentita in molteplici successive occasioni – v. infra)

Faltignano e cioè la Sperduto, la Ghiribelli e la Nicoletti, sulle quali, ovviamente, dovrà soffermarsi la presente trattazione infra. Sono entrambi nuclei familiari in cui le donne esercitavano la prostituzione: la Sperduto era una povera donna, che aveva esercitato la prostituzione in casa e a Firenze, dalle parti della stazione; era ben conosciuta dalle altre due donne. Prima di trasferirsi in via di Faltignano nel dicembre 1980, ella aveva abitato in località “la Sambuca” insieme al marito Renato Malatesta ed ai tre figli. Anche nell’abitazione della Sambuca Pacciani e Vanni erano di casa, in quanto la Sperduto risultava avere frequenti rapporti sessuali con entrambi. Il marito, a conoscenza di tale circostanza, si era dato al bere e veniva continuamente maltrattato dai due, che non tolleravano le sue rimostranze. Verrà trovato morto per impiccagione ad una trave della cantina di detta casa il 9 dicembre 1980. La moglie ha riferito nel corso del dibattimento che pochi giorni prima della sua morte era stata costretta ad abbandonare l’abitazione ed a trasferirsi con i tre figli nella casa di Via di Faltignano. A suo dire e a dire dei figli minori era stato l’appuntato Filippo Neri Toscano, un Carabiniere della stazione di San Casciano, amico di Vanni e Pacciani, che secondo la prospettazione accusatoria, non trasfusa però nei capi d’imputazione, avrebbe fatto parte a pieno titolo del gruppo dei “gaudenti”, a costringerla al trasferimento in quel luogo. Fin da subito sorsero sospetti in merito a tale apparente suicidio in quanto il cadavere appariva toccare terra con i piedi e, ciononostante, non venne disposta alcuna autopsia. Le relative indagini, tuttavia, si conclusero con l’archiviazione del procedimento ma, in tempi più recenti, il Gip del Tribunale di Firenze ne autorizzava la riapertura, a seguito di nuove emergenze, con indagini tuttora in corso.

Nella casa di Via di Faltignano la Sperduto era andata ad abitare con due figli più piccoli e con Milva, ragazza all’epoca poco più che diciottenne, a sua volta con un figlio piccolo, che anch’essa, come la madre, venne avviata al meretricio. Dagli atti emerge che venne indicata all’epoca come amante del mago Indovino, che abitava nella casa accanto, ed era solita accompagnarsi ad uomini che frequentavano quel luogo. La Malatesta, mentre era in pieno svolgimento il processo al Pacciani, nell’agosto del 1994 veniva trovata morta in auto insieme al figlioletto, ipotizzandosi un duplice omicidio: l’auto, infatti, risultava incendiata in un bosco vicino a Tavarnelle V.P. ma per tale fatto il proc. pen. era stato archiviato non essendo mai stato individuato un colpevole. La casa di via di Faltignano era frequentata anche da Filippa Nicoletti, prostituta che all’epoca esercitava a Firenze nei pressi della stazione centrale, in Via della Scala. Costei si era stabilita in quegli anni nella casa del suo convivente Salvatore Indovino. Tra il 1980 ed il 1984, epoca dei delitti, abitava stabilmente proprio in Via di Faltignano, anche da sola, nei periodi non brevi in cui l’Indovino era in carcere. In tali periodi, come già riferito sopra, Giancarlo Lotti, suo cliente abituale, si era insediato quasi stabilmente in quella casa. Secondo la prospettazione accusatoria anche Gabriella Ghiribelli frequentava la stamberga di Via di Faltignano: costei risulterà decisiva per inchiodare il Lotti alle sue responsabilità per il duplice omicidio del 1985, avendo riferito alla Corte d’Assise di averlo visto la sera di quel delitto a San Casciano, ove abitava con il suo protettore Galli Norberto, in Borgo Sarchiani, nella stessa via ove dimorava il Vanni. Anch’essa era solita prostituirsi a Firenze, nella medesima zona intorno alla stazione, come le altre tre prostitute. I P.M. più volte l’hanno definita quale teste “fondamentale”, ritenendo che dalle dichiarazioni rese si evinceva come fosse a conoscenza di molte cose. La Ghiribelli decedeva nel 2004 e, poco prima del suo decesso, era stata da poco rigettata dal Gip la richiesta effettuata dalla Pubblica Accusa della sua audizione, quale teste, nelle forme dell’incidente probatorio; tuttavia le sue dichiarazioni, per la verità anche alquanto contraddittorie, risultano raccolte in numerosi verbali versati in atti e che non si mancherà di esaminare nel dettaglio.

Tali prostitute erano accomunate, secondo la prospettazione accusatoria, dalla circostanza che avevano quali abituali clienti Lotti e Vanni (ma anche in tal caso ciò non appare pienamente corrispondente alle obiettive risultanze processuali, come si avrà modo di riferire infra). La Ghiribelli ha riferito di “strane cose” che aveva visto nei primi anni 80, periodo in cui aveva frequentato quell’ambiente, precisando che nell’ultimo periodo (anno 1985) l’Indovino era gravemente malato e la sera, dopo essersi recata a Firenze per prostituirsi, quando tornava a casa, era solita passare dal “mago” per praticargli una iniezione. Anche la sera dell’ultimo duplice omicidio del 1985, mentre ella si stava recando da Indovino, a suo dire, per lo stesso scopo, ha riferito di aver visto il Lotti in quella località prima di mezzanotte e di aver visto il gruppo degli esecutori sul luogo dell’omicidio. Se si considera che Lotti frequentava la stessa casa e sapeva in precedenza che quella sera avrebbe dovuto fungere da palo per l’omicidio sorge qualche ragionevole dubbio circa la casualità di quel passaggio in Via di Scopeti sul luogo dell’omicidio ma tale dettaglio appare, comunque, irrilevante.

A seguito di quanto dichiarato dal Lotti durante il processo a suo carico gli ufficiali di P.G. della Questura di Firenze, delegati alle indagini, cercarono di approfondire il contesto di persone che avevano frequentato le due case di Via di Faltignano. In particolare l’attenzione degli inquirenti si concentrò sui “festini”, orge, sesso di gruppo, e presenza di minori, ai quali aveva accennato la Ghiribelli in alcune delle sue deposizioni, che si sarebbero svolti soprattutto nella casa di Indovino nei fine settimana e che saranno analizzate infra. Ella aveva riferito che Milva Malatesta era la prostituta più richiesta ed aveva rapporti con molti degli uomini presenti, tutti legati sostanzialmente all’Indovino, aggiungendo che, a volte, aveva visto sul letto galline sgozzate e del sangue, ma all’epoca gli inquirenti non avevano ritenuto di dover approfondire tali argomenti, essendo molto perplessi in merito a tali dichiarazioni.

La necessità di una TERZA INDAGINE. Il mandante. L’indagine sul farmacista Francesco CALAMANDREI.

La Sentenza della Corte d’Assise di Firenze che condannava VANNI e LOTTI risale al 24 marzo 1998. Nel corso delle indagini relative ai cd. “compagni di merende” e, molto più chiaramente, nel corso del dibattimento apparve chiaro che anche l’esame delle condotte di costoro non esauriva la storia. In particolare secondo la Pubblica Accusa non era stato chiarito a sufficienza il contesto nel quale erano maturate le azioni delittuose. Nel corso del dibattimento non solo era tramontata definitivamente la tesi della esecuzione dei delitti da parte di un unico autore affetto da una perversione sessuale che si sarebbe manifestata e completata nella esecuzione dei delitti, come avevano originariamente avevano ipotizzato i criminologi e gli investigatori dei quali si è parlato sopra, ma anche l’ipotesi di una presunta forte perversione sessuale degli esecutori materiali dei delitti Pacciani e Vanni non esauriva il tema di indagine. La svolta alle indagini venne offerta dalla dichiarazione scritta di pugno spontaneamente dal Lotti secondo cui vi era “un dottore” che pagava il Pacciani denaro in contante per avere | “feticci” femminili. A quel punto le indagini si indirizzarono sul contesto ambientale e sui soggetti nei quali i delitti erano maturati. Secondo l’assunto accusatorio dall’esame della motivazione della sentenza della Corte d’Assise appariva sempre più evidente che gli esecutori materiali dei delitti non fossero portatori di particolari perversioni, avendo agito solo per denaro, ritenendo che i delitti fossero stati commissionati da un gruppo di persone altolocate, indicate dai P.M. con l’espressione di “mandanti gaudenti”, per soddisfare perversioni diverse da quelle degli esecutori materiali dei delitti. Per comprendere appieno, nella sua effettiva portata, quest’ultima dichiarazione del Lotti occorre fare alcune considerazioni preliminari.

In primis il Lotti non aveva mai riferito, sino a quel momento, alcuna notizia di sua spontanea volontà, non potendosi ritenere che, tecnicamente, avesse rivestito il ruolo di “collaboratore”. Il suo modo mentale di procedere era quello di vedere prima se gli inquirenti fossero veramente in possesso di qualche notizia e poi, qualora la circostanza fosse da lui conosciuta, egli si limitava a confermarla ed a fornire particolari ed eventuali chiarimenti. Tale modus operandi è avvenuto sin dalla sua prima ammissione relativamente alla notte dell’omicidio di Scopeti nel 1985, allorquando, essendosi dimostrato nel corso del processo che era stato visto sul luogo del delitto, non negava tale circostanza. Ciò è avvenuto anche per le altre circostanze, quali l’essere stato visto appartato in auto con un Uomo 0 l’ammissione di aver avuto rapporti omosessuali con Pacciani, che lo aveva costretto con la minaccia e con la forza. Ad un certo punto, invece, egli ritenne, in questo caso del tutto spontaneamente, di riferire la presenza di un “dottore” che avrebbe pagato il Pacciani per ricevere i feticci femminili dei delitti.

Il “dottore” che pagava per ricevere i feticci femminili dei delitti. Le dichiarazioni rese da Lotti Giancarlo.

Nel novembre dell’anno 1996 il Lotti consegnava spontaneamente una lettera manoscritta da lui stesso al dottor Vinci all’epoca funzionario della Questura di Firenze, in servizio presso la Squadra Mobile, nella quale per la prima volta egli faceva riferimento ad un “dottore” che avrebbe pagato somme di denaro per ricevere i feticci femminili delle povere vittime dei delitti. Il 15 novembre 1996 il dottor Vinci trasmetteva detta lettera al P.M. dott. Canessa con una nota di accompagnamento. La lettera, nella parte che qui interessa relativa al “dottore”, oltre ad essere stata scritta sua sponte dallo stesso Lotti, venne consegnata, altrettanto spontaneamente, al dott. Vinci, come emerge dalle sue dichiarazioni rese all’udienza dibattimentale del 3 dicembre 1997, pag. 88, ove, in sede di controesame condotto dall’avvocato Filastò, difensore dell’imputato Vanni, che gli chiedeva le ragioni della redazione della lettera, egli rispondeva: “L’avevo scritta così, per sfogarmi, non lo so”. L’avv. Filastò insisteva: “Ma tutt’a un tratto lei per sfogarsi scrive questa lettera”? E il Lotti confermava: “Sì, è spontanea, mia”, pag. 89 della deregistrazione. Avv. Filastò: “E’ sicuro che sia spontanea”? “Sì, è spontanea”. “Che vuol dire spontanea?” chiedeva ancora l’avv. Filastò. “Per liberarmi di qualcosa”.

Dunque la prima volta che il Lotti ha fatto riferimento ad un dottore lo ha fatto del tutto spontaneamente; il Lotti testualmente in questa lettera scriveva: “Dove li date queste cose della donna, il seno, vagina? Mario voglio sapere chi le date. Dottore che si serviva Pietro Pacciani. Vi pagava in soldî”. Ovviamente, essendo una circostanza che non era mai emersa prima e rappresentando una assoluta novità per le indagini allora in corso, il giorno successivo detta lettera veniva prontamente trasmessa dal dott. Vinci al P.M. dott. Canessa. Il giorno dopo il Lotti veniva immediatamente convocato dai P.M. per rendere interrogatorio e gli vennero poste, ovviamente, precise domande proprio relativamente alla parte della lettera dove Lotti parlava della fine dei “feticci”.

A pag. 3 del verbale di interrogatorio del 16 novembre 1996, a domanda: “Fattegli domande sull’altra parte della lettera, ove fa cenno a che fine facevano le parti del corpo che venivano tagliate”, Lotti rispondeva: “Un dottore che conosceva Pietro, me lo ha detto Vanni. lo insistevo e a me Vanni disse che queste cose le davano ad un dottore che curava Pietro, però non ricordo nome e cognome”. Naturalmente gran parte dell’interrogatorio si incentrò sulla individuazione del “dottore”. Lotti diceva, sempre nello stesso interrogatorio, pag. 3: “Un giorno si fermò una macchina e ci parlò Mario, ma io non sentii. Non vidi bene l’uomo che era sulla macchina. Poi chiamai Mario e gli chiesi. E lui disse che era un “dottore” che curava Pietro. Era la prima volta che vedevo quella macchina”. Poi di gli veniva chiesto dove si trovava e rispondeva: “Non sentii quello che dicevano nel colloquio tra Vanni e questa persona che era nella macchina. lo ero a qualche metro di distanza, saranno stati tre o quattro metri. Non ricordo il nome del dottore”. A quel punto i P.M. chiedevano al Lotti se facendogli dei nomi di medici potesse essere facilitata la sua memoria e gli facevano il nome di tale “dottor Becchielli, e Lotti rispondeva: “II nome Becchielli ce l’ho presente, lo conosco, ma era un veterinario e non è quello che mi fece Mario”. A pag. 5 Lotti dichiarava: “Il nome che loro mi dicono essere quello di un medico, lo conosco ma non è quello che mi fece Mario…Mario mi disse che il dottore aveva curato Pietro, ma non so per quale malattia”….”Quando Pietro abitava ancora a Monte Firidolfi, so che ebbe un infarto, non so se ne ha avuto uno anche dopo, di questo infarto a Monte Firidolfi me ne ha parlato il Fernando Pucci, che mi disse che Pietro si sentì male mentre era a giocare al circolino”.

AI citato interrogatorio faceva riferimento anche il dott. Giuttari nella nota del 20 gennaio 2003, dove, testualmente, evidenziava: “Lotti poi ha confermato le dichiarazioni in ordine al medico anche in dibattimento”. Dalla lettura testuale delle dichiarazioni dibattimentali risulta che tutte le volte che, anche in quella sede, al Lotti vennero poste domande sul “dottore” il Lotti, fece riferimento inequivoco ad un medico.

Udienza dibattimentale proc. Vanni-Lotti del 27 novembre ’97, pag. 20, Lotti: “M’hanno detto che questo dottore andava a Mercatale, da Pietro, a prendere questa roba delle donne”. Pag. 22, Lotti: “Dice gliene pagava questa roba qui, poi io”… Dottor Canessa: “Pagava nel senso che dava | soldi”? Lotti: “Sì”. “A chi dava i soldi”? “A quello di Mercatale”. Pag. 23, P.M.: “Lei gli ha mai chiesto che cifre erano?” Lotti: “Questo non me l’hanno detto”. P.M.: “Lei sa come conoscevano questo dottore? Chi lo conosceva? Se era conoscente, amico di Pietro o di entrambi”? Lotti: “Questo l’ho chiesto, ma non m’hanno spiegato bene le cose”. P.M.: “E lei questa persona l’ha vista? Stava parlando di una macchina, in piazza”. Lotti: “No, ma non c’ho parlato io, io ero distante sicché non ho sentito bene icché dicevano fra loro. Dopo me l’ha riferito”. P.M.: “Gliel’ha riferito Vanni”? Lotti: “Eh, che questa persona, questo dottore andava a Mercatale da Pietro”. Il Lotti avrebbe specificato, sempre in dibattimento, che la distanza dalla macchina era di quei tre o quattro metri. Ancora Lotti: “Sarà stato dopo cena e si fermò questa macchina e basta”. P.M.: “E ci andò Vanni, va bene”. 

Occorre evidenziare che nel precedente interrogatorio, reso il 16.11.96, il Lotti aveva riferito: “Ero a qualche metro di distanza, saranno stati tre 0 quattro metri”. In dibattimento ha confermato anche questa circostanza; alla citata udienza dibattimentale del 27 novembre 97, pag. 24, il Lotti arrivava anche a quantificare la distanza, dando dei precisi riferimenti di spazio nell’aula : “lo ero distante quanio il televisore lì vicino ai cartelli”.

Sempre nella stessa udienza dibattimentale, pag. 78, il Lotti, a domanda del difensore di parte civile avv. Colao, il quale chiedeva: “Lei, il suo medico, il medico che la cura, come lo chiama”? replicava: “Il mio medico” ed alla successiva domanda: “Se lei va a curarsi da un medico, come lo chiama? Medico o dottore?” riferiva: “Come lo chiamo? Dottore”. All’udienza dibattimentale del 28 novembre 1997, pag. 10, a domanda dell’avvocato Curandai, altro legale di parte civile: “Era un medico o un dottore, non so, un commercialista?”, Lotti replicava: “Vanni mi ha detto che era un medico”. Avvocato Curandai: “Era un medico, bene”. “Lui m’ha detto così”, rispondeva Lotti. Avvocato Curandai: “Senta, e questo scambio denaro-feticci riguarda i delitti… tutti i delitti oggetto di questo processo, cioè ’81, ’82, ’83, ’84 e ’85”? Lotti: “Questo non lo so di certo”. Sempre udienza 28.11.1997, pag. 54, avvocato Curandai: “Lei a proposito di questo medico disse: “E’ il suo dottore, il suo”. Il suo di chi? Di Pacciani”? Lotti: “Il suo dottore, quello che curava lui, che curava Pacciani”. Avvocato Curandai: “Che curava Pacciani”. Lotti: “Sì”. Avvocato Curandai: “Quindi questo medico è un medico di Pacciani, allora”. Lotti: “Sì”. Sempre udienza 28.11.97, pag. 16, a domanda dell’avvocato Franchetti, altro legale di parte civile: “Ecco, lei per caso non sa se quel dottore a cui sarebbe stata consegnata… consegnate quelle cose, come dice lei, fosse uno specialista in qualche ramo particolare”? Lotti rispondeva: “Un lo so chi l’è. Ha detto “il dottore”, un dottore che curava questa persona, questo Pietro Pacciani”. Udienza 28 novembre ’97, sempre Lotti: “C’era un dottore che curava il Pacciani, ma io ‘un so mica di quello che l’andava a prendere le cose, ‘un so se gl’è il solito”. Udienza 9.12.97, pag. 45, a domanda dell’avvocato Mazzeo: “E’ in grado di dire se questo dottore si fermò a parlare con Vanni dopo l’episodio di Scopeti”? Lotti: “Sì, sì”. “Chiese al Vanni dove abitava Pacciani”? Lotti: “Eh”. Mazzeo: “E voleva indicazioni sull’abitazione di Pacciani, dico bene”? Lotti: “Sì”. Poi interveniva il Presidente, sempre sullo stesso argomento, pag. 49: “Un dottore, cioè un medico, o non era un dottore, come disse l’altra volta”? Lotti rispondeva: “Un dottore, ma ‘un l’è proprio il dottore, ‘un l’ho spiegato? Quello che curava il Pacciani, ‘un so se è il solito”. Pag. 51, Presidente: “Lei ha detto che questo dottore andava lì, pagava il Pacciani e che i soldi li prendeva il Pacciani”. Lotti: “Sì, dicevano questo discorso qui”, Presidente: “E ha detto anche che lei non ha preso nessuna lira, nessun soldo”. Lotti: “Però io ‘un so mica che ne facevano, questo non lo so”. Sempre a pag. 51, interveniva il Pubblico Ministero dott. Canessa: “Sta dicendo che non sa cosa ne faceva il medico di queste cose. Signori, se seguiamo il discorso…” .

Il riferimento al “dottore”, oltre ad apparire del tutto spontaneo, smentisce anche quanto riferito nella requisitoria del P.M. (pagg. 15 e 16), circa il fatto che il Lotti non aveva mai raccontato nulla di sua spontanea volontà, essendosi limitato sempre a rispondere alle domande rivoltegli e ritenendo di parlare solo quando veniva messo alle strette.

Del resto su detto argomento deve riportarsi l’estratto della motivazione della Corte d’Assise di 1° grado che, proprio su questo punto specifico, a pag. 208 motivava: “Le risultanze processuali non hanno invece portato ad alcuna conferma delle dichiarazioni Lotti in ordine al dottore che avrebbe commissionato i delitti e che avrebbe acquistato le parti escisse dai cadaveri delle ragazze pagandole materialmente a Pacciani. La Corte ha cercato di acquisire elementi anche su tale punto, ex articolo 507 CPP, al fine di avere maggior materiale probatorio possibile relativamente alle dichiarazioni del Lotti sugli omicidi, ma il risultato non è stato positivo nel senso che non vi è stato alcun riscontro preciso sul predetto dottore”…. “Non sembra tuttavia che il Lotti possa aver mentito solo su tale circostanza, non avendo alcun ragionevole motivo per farlo”. Deve senz’altro concordarsi sul fatto che il Lotti non aveva alcun motivo per mentire, avendo riferito tutto quel che era a sua conoscenza sull’argomento, non potendosi sostenere neanche che fosse stato reticente.

D’altronde il Lotti sapeva benissimo chi fosse il farmacista di San Casciano e, dunque, se avesse voluto identificare il “dottore” nel Calamandrei, essendo stato sentito in innumerevoli occasioni sull’argomento, non avrebbe avuto alcuna difficoltà, mentre non ha mai parlato né in modo implicito, né in modo esplicito del farmacista, né ha mai riferito che gliene avessero parlato il Vanni o il Pacciani, anzi non ha mai parlato della figura professionale del “farmacista” quale possibile “dottore”. Il Lotti, quindi, ha parlato sin dal primo momento, in modo del tutto spontaneo, del dottore identificandolo in un medico, o, comunque, in un soggetto che “curava” il Pacciani, confermando anche nel corso del dibattimento che si trattava di un medico.

Tolto di mezzo l’argomento, suggestivo ma non confortato da alcun riscontro oggettivo, introdotto dai P.M. per indicare nell’odierno imputato il “dottore” cui faceva riferimento il Lotti, occorre esaminare solo di riflesso l’altro argomento circa il presunto, notevole potere di spesa quotidiana del Lotti, indicato quale soggetto che aveva grossa disponibilità di denaro (mostrando in giro banconote da centomila lire); ebbene anche sotto tale profilo all’udienza dibattimentale del 26 giugno 1997, fascicolo 12 a domanda dell’avvocato Pepi: “Lei ha fatto indagini sulla vita del Lotti, se era povero, se lavorava, in che condizioni viveva?”, il dott. Giuttari che ha da sempre svolto le indagini, rispondeva: “Ricco non era sicuramente il Lotti. Le testimonianze anche degli amici che abbiamo sentito, lo descrivono tutti come una persona che non aveva disponibilità di denaro, assolutamente”. Continua il dott. Giuttari: “Ma  se noi andiamo ad analizzare anche le macchine che ha avuto nel tempo, sono tutte macchine, la 124, la 131, la 128, che comprava di seconda e terza mano, con pochi soldi e che poteva sicuramente comprare con i soldi di operaio che ricavava dal lavoro alla draga. Quindi diciamo un tenore di vita consono è risultato all’attività lavorativa”. Dunque, anche sotto tale aspetto non appare acclarato il possesso di somme di denaro ingiustificate rispetto al livello di vita posto in essere dal Lotti sino al momento del suo arresto.

Infine deve accennarsi all’altro particolare, ancora tutto da dimostrare almeno sotto il profilo penale, secondo cui il militare Neri Toscano avrebbe consegnato delle armi e delle munizioni al “gruppo di fuoco”. Sotto quest’ultimo aspetto, tuttavia, non è emerso alcun ulteriore profilo, essendosi i P.M. limitati a riferire che penderebbe presso la Procura della Repubblica diFirenze un non meglio precisato proc. pen., tuttora non definito, proprio su tale personaggio.

Le dichiarazioni di MARIO VANNI sentito come teste assistito. Le frequentazioni comuni con il CALAMANDREI. La presunta chiamata di correo del “nero ULISSE”.

Durante il processo a suo carico Mario VANNI aveva riferito ben poco, non rispondendo alle domande. Si era presentato fin da subito, deponendo come teste nel processo a carico del Pacciani, come uno che faceva qualche “merenda” con gli altri, frequentando varie prostitute perché, a suo dire, la moglie era molto malata, con le relative conseguenze sul rapporto coniugale. Costui ha sempre negato di avere commesso i delitti attribuitigli, ma è stato condannato alla pena dell’ergastolo, con sentenza passata in giudicato, avendo ritenuto la Corte d’Assise di 1° grado di Firenze che egli fosse autore materiale dei quattro duplici omicidi qui contestati al Calamandrei quale mandante, sentenza poi confermata dalla Corte d’Assise d’Appello e, in sede di legittimità, dalla Suprema Corte di Cassazione. Nel corso delle indagini seguite alla condanna ha, però, cambiato completamente atteggiamento, facendo dichiarazioni graduali, ritenute dai P.M. di enorme importanza.

La chiamata di correo da parte di VANNI. Il “nero ULISSE”.

Vanni ha fatto quella che i P.M. definiranno una vera e propria “chiamata di correo”, scaturita da una visita in carcere a Pisa, ove era all’epoca ristretto, effettuata dall’amico Lorenzo Nesi il 7 luglio 2003: costui, in particolare, gli chiese con insistenza notizie su chi avesse effettuato materialmente i delitti. Detto colloquio risulta interamente registrato, con deregistrazione in atti 10. In sintesi Vanni riferiva al Nesi che l’autore materiale dei delitti era un “negro americano”, aggiungendo che era morto. Forniva anche una descrizione delle fattezze fisiche di tale individuo, dichiarando che era un uomo grande e 

10 nota della P.G. in data 12 Luglio 2007

grosso, “un omone” che stava in America, non sapendo indicare dove costui abitasse. Il Vanni affermava che costui sparava alle coppiette.

Occorre partire da un primo atto, e cioè dalle dichiarazioni di Nesi Lorenzo rese in data 22 maggio 2003, pag. 2, ove costui dichiarava: “Ho voluto spiegarvi queste cose per poter fornire un contributo alle vostre indagini, che secondo me sono mirate nella maniera giusta perché i mandanti esistono”. “E per far qualcosa di ancor più utile vi faccio presente di essere disponibile ad avere un colloquio in carcere con Vanni, per vedere se, data la nostra amicizia e la stima di Vanni nei miei confronti, possa confidarmi i suoi segreti”. Poi proseguiva: “Non so se riuscirò in questa mia opera, però devo dirvi che al processo, quando io testimoniavo, Vanni col capo assentiva a tutto quello che io dicevo e questo può vedersi anche nei filmati, quando finì l’udienza mi strinse la mano. Ebbi l’impressione in quell’occasione che stesse per dirmi qualcosa che nel frattempo due Carabinieri lo allontanarono e se lo portarono via”. Vi è poi l’ annotazione di P.G. dell’ispettore Natalini del 28 giugno 2003, sul colloquio Nesi-Vanni, nel quale si evidenziava che un primo colloquio, videoregistrato, era avvenuto nella struttura carceraria Don Bosco di Pisa, il 26 giugno 2003 e se ne dava atto. Detto colloquio precedeva, quindi, cronologicamente quello avvenuto il successivo 30 giugno: il Nesi ricordava al Vanni di quando andavano a “trombare insieme” e si dichiarava fiducioso che l’avvocato Filastò gli potesse far ottenere gli arresti domiciliari. Il Vanni diceva che il Lotti era un mascalzone, che la sorella gli aveva scritto due lettere con il maresciallo di San Casciano, poi nell’annotazione si leggeva: “Vanni parla di un negro di nome Ulisse che è stato arrestato”. Quindi di un soggetto di carnagione nera di nome “Ulisse”, che era stato arrestato non se ne parlò per la prima volta nel successivo colloquio del 30.6.2003, allorché, come si vedrà, sembra va che il Nesi cascasse dalle nuvole quando il Vanni parlava di questo Ulisse, come se ne parlasse la prima volta. E invece dall’annotazione emerge che di Ulisse se ne era parlato almeno due giorni prima. L’annotazione così concludeva: “Nesi lo invita a far mente locale di tutte le cose a sua conoscenza e di liberarsene con lui; lo informa che ritornerà durante la prossima settimana per farsi dire tutta la verità sui noti fati. Vanni dice che gli spiegherà tutto per bene e ribadisce che lui non ha fatto nulla”.

Esaminando ora il verbale del colloquio avvenuto il 30 giugno 2003 11, si evince che esso ha avuto inizio alle ore diciannove e ventuno e termine alle successive ore venti e cinquanta. “Dopo i convenevoli, Nesi invita Vanni ad

11 denominato dal Gides “Sintesi e trascrizione de! colloquio tra il detenuto Vanni Mario e il signor Nesi Lorenzo avvenuto presso la sala colloqui della Casa Circondariale di Pisa in data 30 giugno 2003”

aprirsi, ad esternare a lui i segreti che riguardano Pacciani Pietro. Infatti lo stesso intraprende una conversazione che viene di seguito riassunta e parzialmente trascritta”, Dice Nesi: “Eh, questo Pacciani, eh, icché… che” – a pag. 1 – “icché che… questo è un delinquente, eh”? Vanni: “Sì, sì, bravo”. “Quello è un delinquente”, dice Nesi. “Bravo, sì, sì”, dice Vanni. “Lo so, però gl’è stato il Lotti quello che ha sciupato tutto”, fa Vanni. E Nesi : “Ma perché l’ha sciupato il Lotti”? “Eh, lo so, perché gl’ha detto… gli ha detto, Dio Bono, che c’ero anch’io nel bosco con le pistole. Dov’ero? lo non c’ero. Mh. L’è una barzelletta. Però il Giudice credé a lui mentre a me no. Tre ergastoli, eh, mica un discorso”, a pag. 2. E allora il Nesi gli contestava che effettivamente le cose erano andate così e che quindi era inutile che lui ce l’avesse con il Lotti, perché costui in sostanza aveva detto la verità. “La conversazione si sposta sulle condizioni di vita del Vanni. Il Nesi continua a invitare il Vanni a spiegare le cose”. Nesi: “Ti vuoi aprire? Ti vuoi aprire l’animo con me, eh”? Vanni: “Eh”I ; diceva Nesi “le vuoi raccontare a me? E nel giro di dieci giorni tu sei fuori di galera”. Nesi: “Come gl’è stata tutta questa congrega? Il criminale gl’era lui 12 ? Vanni: “Sì”. Nesi: “Che vuoi, che Garibaldi che… che sia stato o… o te”? E Vanni: “Eh”. “Che tu vuoi? Come gl’hanno fatto a mettere in questa”? Vanni: “O che lo so”! “Mario, porca miseria, tu lo sai, perché tu lo sai, sennò ‘un ti potevano condannare in tre giudizi. Ne sei convinto, Vanni”? “Sì”. “E tu lo sai, te l’hai sempre avute le merende, le merende te l’hai sempre avute le merende, perché avevi paura del Pacciani, ma il Pacciani a questo punto gl’è nel più profondo dell’inferno”. Risposta di Vanni: “Ecco, bravo”. “Spiegamelo a me, Vanni, dammi retta come a un fratello”. Vanni: “Sì, sì, eh lo so”. Nesi: “Porca miseria, guarda Vanni, abbracciami, spiegameli come a un fratello, spiegami come sta questa cosa”. “E come sta”? – Vanni – “E la sta così. E Lotti parlò a bischero e disse che ero coinvolto con il Pacciani alle pistole. Quello gl’è un… un coso… e il Magistrato disse che gl’è vero. Dette ragione al Lotti”. Nesi: “Ma come gl’avrà fatto il Lotti, Mario, a inventarsi queste cose”? Vanni: “Boh”. Nesi: “Ma né te né il Lotti vu’ siete grulli. Dio ce ne guardi, perché te t’ha… ora tu sarai invecchiato, ma te t’hai sempre avuto una finezza di cervello fuori dell’ordinario, giusto”?. “Mh”, rispondeva Vanni. “Il Lotti gl’era un pochino più… ma ‘un era mica un demente” – fa il Nesi. Vanni: “Mh”. “Un era un demente”. “No, ‘un era un demente”. Vanni, non gli torna: “Ma perché il Lotti gl’è andato a dire… il mostro, con le pistole… ma quando sono stato con il mostro? Quando ho avuto le pistole? ‘Un so nemmeno come l’è fatta la pistola”. “O Mario” – gli fa il Nesi – “pensaci bene, vien via, pensaci bene”.

12 (riferito al Pacciani)

Vanni: “Eh, t’hai ragione, Renzo”. “Tu sei dinanzi… ‘un tu sei dinanzi alla Polizia, né dinanzi a un Tribunale” – pag. 4 – “tu sei davanti a Renzo Nesi, pensaci bene”. “Eh, ci credo”, dice Vanni. “Ma sei convinto di quello che dici? Ma sei proprio convinto”? Vanni: “Sì, sono convinto”. “E allora tu_eri a conoscenza che il Pacciani faceva questi omicidi”? Vanni rispondeva: “Sì”. “Tu eri a conoscenza”? gli ripete va il Nesi. “Sì”. “E allora perché ‘un tu sei andato dai Carabinieri a dire il Pacciani cosa ha fatto? Spiegamelo a me”… “Per agosto tu sei fuori, tu sei a casa tua”. “Bravo, Renzo”, gli rispondeva Vanni. “Spiegamelo a me” – gli diceva il Nesi – “Mario”. “Te l’ho spiegato”. “No, ‘un tu m’hai spiegato proprio un bel cazzo nulla”. Il Nesi cominciava ad arrabbiarsi un po’. “Te eri a conoscenza che il Pacciani faceva questi omicidi”? “Mah” – rispondeva Vanni – “gl’era nel bosco con le pistole”. Ancora Nesi :”Ma spiegamelo per bene, Marino. Dammi retta, sennò tu muori in questo putrido carcere. E tu va’ a casa tua. Bene. Spiegamelo, quando te tu sei arrivato a sapere che Pacciani faceva queste cose? Quando sei arrivato? Sì, eh, spiegamelo, sì, dimmelo”. “Eh, gl’era nel bosco con le pistole”. Nesi: “Ma gl’era nel bosco con le pistole, e sennò… se non so… e sennò e le son come le merende, ma te tu lo sapevi, perché te, io mi ricordo, quando gl’era vivo mio zio Oliviero” – trattasi di Doni Oliviero, che faceva anche lui il postino – “tu desti un periodo di depressione notevole”. “Sì”. “Te ne ricordi”? “Mh”. Nesi: “Tu sapevi queste cose e ‘un tu le volevi dire” – a pag. 5 – “perché teri soggiogato dalla paura del Pacciani”. “Bravo”, gli fa il Vanni, “bravo, bravo”. “Ma bisogna che tu me le dica, Mario”. “O ‘un te l’ho detto io? E disse il Lotti che così, così, così, così”. E loro a un certo momento… dice “ma ora son morti tutti”, e il Vanni fa “eh, ‘un c’è più nulla, ‘un c’è più nulla”. E il Nesi: “E ‘un c’è più nulla, ‘un c’è né Filasiò né Filastà”. Vanni: “Bravo, bravo, sì”. “E tu sta’ in galera e basta. Non venire a dirmi le barzellette però a me, Mario, perché io non sono un giudice”. Nesi poi domandava: “Ma il Pacciani, tutti quei soldi chi glieli dava”? E il Vanni dice: “Eh, bah, e glieli dava… c’aveva le bestie e andava a lavorare da Rosselli del Turco”. “Ma non lo dire, non bastavano per quelli che aveva. Ma… ma anche te, Vanni, anche te, anche te tu c’avevi i soldi, ma tutti quei soldi”. E lui gli risponde: “Boh”. Per quel che riguarda il Pacciani dice che erano i risparmi. “Anche tu Vanni c’avevi i soldi”. E lui gli rispondeva: “Eh, io c’ho tre milioni al mese, capito?, di pensione, e un milione, tanti, la mi’ moglie”. Nesi: “Mh”. Vanni: “Mh”. “Però ‘un m’ha mandato nemmeno una lira” – riferito alla su’ moglie – “non so senza una lira non posso nemmeno accendere una sigaretta, nulla, non ho nulla, Renzo, neanche undecino”. Nell’annotazione a questo punto si legge: “Ancora il Nesi chiede al Vanni di spiegargli tutte le cose” – pag. 8 – “precisando al Vanni che al tempo dei fatti non era in pensione, quindi non percepiva tre milioni al mese, e lo invita a fare mente locale”, Nesi: “Vuoi fare mente locale e dire… t’ha costretto a far delle cose che tu non volevi fare”? Il Vanni: “Sì”. “L’è vent’anni che ‘un tu le dici. Le merende, le merende, le merende… le si fanno con il Corpus Domini”, fa il Nesi. Poi a pag. 10, Nesi fa: “Ma qualcosa t’avrà detto, “ho ammazzato due persone”, Dio bono! Qualcosa t’avrà detto, “l’ho ammazzato per un motivo”! Vanni: “Ma… eh… gli è stato il mostro, hai capito”? Nesi: “Come”? Vanni: “E’ stato Ulisse che ha ammazzato tutte questa gente, nero”. Nesi: “Chi gl’è il nero”? Vanni: “E’ un americano”. Nesi: “Un americano? E gl’ammazzava”? Nesi: “Ulisse”. Vanni: “Ulisse si chiama”. Nesi: “”Un l’ha ammazzati il Pacciani”? dice il Nesi. “O ‘un l’ha ammazzati il Pacciani”? Vanni: “No”. Nesi: “E indò gli era quest’americano”? Vanni: “E  indò gli era? Nel bosco lo trovi. Lo trovò nel bosco. Ogni cosa gl’aveva. Che l’era stato lui a fa’ questi delitti”. Nesi: “Ma chi l’ha detto questo”? pag. 11. Vanni: “Eh”. “Perché ora, fino a ora tu m’ha detto che questi omicidi l’ha fatti il Pacciani”. Nesi: “E questo Ulisse, e questo nero chi gl’è”? Vanni: “Ulisse si chiamava”. Nesi, pag. sempre 11: “Ma ‘ndo gli stava”? Vanni: “Eh, in America”. Nesi: “In…”? “In America”, dice il Vanni. Nesi: “E veniva a fa’ gli omicidi qui”? Vanni: “Davvero”. Nesi: “Mh. lcché tu mi dici, Mario? Ma vien via”! Nesi: “Ma te lo conoscevi questo nero”? Vanni: “No, io non lo conoscevo. Ho saputo la storia dopo, che gli era stato lui” – sempre a pag. 11 – “a ammazza’ tutte e sedici le persone”. Nesi… sì, questo l’ho già detto: “Ma te tu m’hai detto che gli omicidi l’aveva fatti il Pacciani”. “Sì”. Vanni: “O ‘un te l’ho detto? Gl’è stato questo nero” – a pag. 12 – “a ammazza’ tutta questa gente, questo Ulisse americano. Gli ha lasciato una lettera, s’è ammazzato, hai capito”? “E ha preso il procuratore ogni cosa”. Nesi: “Ma chi te l’ha detto”? Vanni: “Alla televisione s’è sentito per Dio”! A pag. 13: Vanni: “Detto che gli è stato questo Ulisse, questo Ulisse americano, che ha fatto questi delitti, hai capito”? Nesi: “No, Mario, ‘un tu mi convinci”. Pag. 14: Nesi: “E tu m’ha a spiega’ le cose come le stanno e tu vien fuori”. Vanni: “Te l’ho bell’e spiegato. E gl’è stato questo nero che ha ammazza’ tutte le sedici e l’ha preso la lettera”. Nesi: “Come? La lettera? Che… che lettera? Che lettera? Come”? Vanni: “Eh, e l’ha presa il giudice la lettera” – pag. 14 – “e ogni cosa, no? La pistola”. Nesi: “La pistola gl’ha preso il giudice”? Vanni: “Eh”. Nesi: “SÌ… sì” – fa – “o vien via, Mario, ma tu vaneggi”. Vanni: “Ma la s’è sentito a sera alla televisione”. Nesi: “Sì, ma sta zitto Vanni, codesta l’è roba da Grand Hotel”. Pag. 15: Vanni: “Sì, sì, ma insomma, l’è stato il nero, questo Ulisse l’ha morto sedici persone, gli ha lasciato la lettera, gli ha lasciato la pistola, gli ha lasciato ogni cosa”. Nesi: “A chi l’ha lasciata, Mario”? Vanni: “L’ha prese il Procuratore”. Nesi: “Ah. Chi”? Vanni: “Quello che conta, il Procuratore che conta”.

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Il P.M,, all’esito di detto colloquio, in primo luogo faceva richiesta di incidente probatorio per sentirlo quale teste assistito dal suo difensore Avv. Filastò, ai sensi dell’art. 197 C.P.P. sui suoi rapporti con Calamandrei.

Il Gip ammetteva l’incidente probatorio, che veniva svolto all’udienza del 28.12.2004, dinanzi al Dott. Crivelli. Anche il Vanni, come altri soggetti, ha parlato gradualmente, chiedendo in primis di non subire altri processi. Una volta ottenuta tale assicurazione si è reso disponibile in momenti diversi a fare dichiarazioni, rispondendo a domande in merito a persone diverse. Il difensore del Vanni preliminarmente poneva al giudice la questione relativa al fatto che il suo assistito non potesse essere sentito in merito ai fatti già addebitatigli o, comunque, a fatti relativi a sue ulteriori responsabilità. Una volta chiaritogli che doveva rispondere in quella sede solo relativamente a responsabilità di terzi e che su quello doveva dire la verità Vanni si dichiarava disposto a rispondere alle domande su fatti che non riguardassero sue eventuali ulteriori responsabilità (autoincriminanti) ex art. 198 Il co. C.P.P.

Nel corso dell’interrogatorio si apprendevano da Vanni alcune circostanze ritenute dai P.M. “sorprendenti”. Fino a quel momento si sapeva soltanto dallo stesso Vanni e da alcuni testi di riscontro, che aveva frequentato le cene di paese dove costui faceva la Macchietta, cene frequentate da vari professionisti ed una serie di persone che furono indicate alla Corte anche con foto acquisite agli atti. Nel corso dell’incidente probatorio Vanni aveva introdotto una circostanza assolutamente sconosciuta fino a quel momento, parlando di un rapporto privato tra Pacciani, Vanni, Lotti da un lato, e Calamandrei dall’altro 13 egli aveva descritto con dovizia di particolari l’abitazione del Calamandrei, soffermandosi minuziosamente sulla composizione delle camere, dei salotti, di due bagni che, secondo i P.M., corrisponderebbe alla planimetria acquisita successivamente. Peccato, però, che, contro esaminato dal difensore del Calamandrei a proposito di altri due maggiorenti del paese di S. Casciano (il sindaco ed il parroco), lo stesso Vanni abbia riferito più o meno le medesime circostanze, come sj vedrà nel prosieguo della presente trattazione, allorchè si esamineranno nel dettaglio le sue propalazioni.

Secondo quanto riferito dal Vanni il farmacista Calamandrei conosceva il Pacciani, li aveva visti insieme per strada, ed era con lui in rapporti di

13 (v. trascrizione dell’incidente probatorio in atti, che sarà esaminato nel dettaglio infra)

amicizia. Tale dato, secondo i P.M., doveva essere meglio chiarito, e, perciò, decidevano di procedere all’interrogatorio del Vanni nella veste di imputato di reato connesso, ancora quale teste assistito in data 25.1.2005.

All’epoca il Vanni si trovava ricoverato presso la casa di cura “La Cupolina” di Pelago, avendo compiuto i 75 anni di età ed era presente il suo difensore, il quale chiariva che il Vanni non avrebbe risposto se fosse stato indagato per  altri reati. Dopo il provvedimento del P.M., ai sensi dell’art. 197 Cpp il Vanni decideva di rispondere alle domande dei P.M. e ripeteva ossessivamente di essersi recato a casa del Calamandrei per prendere le medicine. Solo a distanza di tempo tornava sull’argomento relativo alle prostitute che il Calamandrei gli avrebbe chiesto di frequentare con lui ed il Pacciani, parlando di luoghi del centro di Firenze che si offriva di individuare. Gli veniva mostrato nell’occasione un album fotografico, avendo in precedenza affermato che il Calamandrei quando veniva con loro si accompagnava con un giovane che riconosceva nell’album fotografico nel dott. Francesco Narducci, medico di Perugia ma che Vanni aveva capito che si chiamasse “Giovanni” e che fosse di Prato. Secondo le dichiarazioni rese dal Vanni (ma infra si vedrà più nel dettaglio che costui appariva sempre molto esitante e con uno stato d’animo non proprio compos sui) questo giovane andava insieme a loro a cena alla trattoria denominata “Ponte Rotto”, all’epoca in cui il locale era gestito dalla famiglia Matteuzzi (i quali, peraltro, sentiti subito dopo dette dichiarazioni, negheranno con decisione tale circostanza e costoro sarebbero anche stati sottoposti, tra l’altro, proprio in quei giorni ad intercettazione telefonica senza esito alcuno).

LA ATTENDIBILITÀ DELLE DICHIARAZIONI DEL VANNI.

Secondo l’assunto accusatorio gli argomenti trattati dal Vanni e cioè da un lato l”assidua” frequentazione della casa di Calamandrei da parte di Vanni, Pacciani e Lotti, argomento prima sconosciuto, che aveva introdotto lui e, dall’altro, la frequentazione comune di prostitute su richiesta del Calamandrei avrebbero un’enorme importanza nell’economia del presente proc. pen. Il Vanni, infatti, sin dalle prime dichiarazioni al processo PACCIANI, che peraltro non lo vedeva imputato, aveva fornito risposte tali da evitare in tutti i modi quelle relative alla sua eventuale partecipazione agli omicidi. Egli era sempre apparso molto vigile ed attento con risposte secche e negative a quelle domande, Non altrettanto vigile appariva, di contro, su domande relative a fatti che non lo compromettevano direttamente, a suo parere innocue come ad es., secondo i P.M., circa la disposizione delle stanze della casa del Calamandrei, che conosceva e che non aveva motivo di negare. Ciò anche per la frequentazione di prostitute in comune così come per la frequentazione della trattoria del Ponte Rotto di Matteuzzi Silvano ed, infine, per il riconoscimento del giovane che andava con loro a prostitute a Firenze, guidando lui la sua macchina verdolina, nel medico Narducci. Tuttavia se tale era l’assunto accusatorio, deve subito evidenziarsi che, a prescindere dalle condizioni mentali nelle quali versava il Vanni all’epoca in cui ha rilasciato le sue dichiarazioni, dapprima dinanzi al Gip nel corso dell’incidente probatorio, e, successivamente, dinanzi ai P.M., sulle quali ci si soffermerà infra, tutte tali circostanze risultano del tutto contraddittorie o, addirittura, smentite dalle risultanze processuali: per quel che concerne, infatti, la disposizione della camere della casa del Calamandrei egli ha ripetuto al difensore dell’odierno imputato la medesima descrizione anche per quel che concerne altre abitazioni di maggiorenti del luogo sopra riferite, ed anche le risposte fornite in tali casi risultano del tutto analoghe, inframmezzate da ripetuti “unm”, “bravo” ecc., come se gli andasse bene qualsiasi affermazione del suo contraddittore, anche la più illogica ed inverosimile. Circa la frequentazione delle prostitute a Firenze basterà ricordare il passaggio della sua deposizione relativa al fatto che si sarebbero recati a Firenze addirittura a bordo di una fiammante “Ferrari” di colore rosso del Calamandrei per capire quale grado di affidabilità possa essere attribuita ad esse. Ma v’è di più: la P.G. ha effettuato una meticolosa ricerca nelle vie indicate dal Vanni circa possibili abitazioni ove avrebbero prestato servizio le prostituite delle quali aveva riferito i nominativi, anche consultando ufficiali di P.G. in servizio all’epoca presso la Buon costume della Questura di Firenze, con esito completamente negativo sia circa l’individuazione delle prostitute che delle abitazioni. La frequentazione comune da parte dell’odierno imputato unitamente al Pacciani, al Lotti e al Vanni della trattoria del “Ponte rotto”, gestita dal Matteuzzi è stata smentita, oltre che dal predetto, anche dal figlio, pure sottoposti, prima e subito dopo le loro deposizioni, ad intercettazioni telefoniche disposte d’urgenza dal P.M. e convalidate dal G.I.P.: costoro hanno chiarito che il Calamandrei frequentava il loro locale solo con le persone più in vista di S. Casciano e con il solo Vanni che faceva un po’ la “macchietta” intonando a fine pasto “faccetta nera” ed altre amenità, mentre non era mai stato insieme al Pacciani e al Lotti. Entrambi escludevano poi di aver mai visto nel locale la persona mostrata nell’album fotografico e corrispondente al Narducci.

Si passerà ora all’esame nel dettaglio delle dichiarazioni rese dal Vanni nel corso dell’incidente probatorio, celebratosi dinanzi al G.I.P. all’udienza del 28.12.2004.

A domanda del Pubblico Ministero 14: “Ma lei il Calamandrei lo conosce”? “si” Pubblico Ministero: “Da quando lo conosce, da quando”? E il Giudice anche lui gli domandava: “Da Quanto tempo conosce il Calamandrei?” ed il Vanni : “Da parecchio”. “Come l’ha conosciuto? Sa che attività svolge”? Il Giudice interveniva e chiedeva: “Ma ha capito la domanda? Come l’ha conosciuto”? E Vanni poi rispondeva: “Ma, è… paesano”. “Paesano dove”? “San Casciano”. “E lei come l’ha conosciuto”? E rispondeva: “Faceva il farmacista”. E allora il Giudice gli domanda va: “Andava in farmacia qualche volta”? “Sì, ci sono andato” – pag. 52 – “a comprare le medicine”. E il Pubblico Ministero allora, a questo punto, riprendeva il suo esame: “Anche perché c’era un rapporto fra di voi di amicizia”? E Vanni dice: “No, di Medicine, solo per quello, per le medicine”. “Lo ha incontrato sempre e solo in farmacia o anche altrove”? Vanni: “Mah”. Giudice: “Ha capito la domanda? Lo ha incontrato anche al di fuori della farmacia e dell’acquisto delle medicine”? E Vanni rispondeva al Giudice: “Sì”. “E dove vi siete incontrati e perché? E’ mai capitato che siete andati, non so, a cena fuori insieme con amici”? Vanni: “SÌ, siamo andati anche fuori a cena”. P.M.: “Sa con chi siete andati fuori a cena”? Vanni:”Mah, ‘un lo so. Come fo’ a rammentarmi tutti questi cosi?” P.M.:”Comunque con persone amici comuni? Ne ricorda qualcuna”? Vanni: “Mah”. Il Pubblico Ministero proseguiva: “Le chiedo uno sforzo, di ricordarsi qualcuna di queste persone”, a pag. 54. “Chi erano? Dove andavate? E se ci sa dire dove”. E lui rispondeva: “A San Casciano”. “Ma a cena in casa di amici o in locali”? “No, in locali”. “Eravate più persone o lei e Calamandrei soltanto”? E Vanni diceva: “Diverse persone”. “Le è mai Capitato di andare lei solo con Calamandrei”? “No, non mi pare”. “Queste cene, queste frequentazioni, in che periodi erano”? Vanni: “Non me lo rammento”. “Sono durate a lungo o per un periodo breve”? Vanni: “Mah”. “Da tantissimi anni? Da quando era giovane? Non so, prima del suo arresto”? E Vanni diceva: “Quando ero giovane”. “Anche il Calamandrei c’era quindi, che era più giovane di lei”? “SÌ”. Pag. 55. “Quando andavate a queste cene lei era la persona più anziana o era la più giovane”? “Mah”. “Tante persone eravate in genere”? “Mah, diverse, parecchi”. “Quanti sono”? “Dieci, forse più”. “Eravate solo uomini”? “Sì, solo uomini”. “La Ciulli, il nome Ciulli le dice qualche cosa”? “No”. “Le dice qualcosa il nome Ciulli”?

14 (pag. 52 della deregistrazione)

“Sì”. Prima diceva “no”, poi “sì”. “Cosa le ricorda? Sì nel senso che era la moglie o sì è un nome che conosce”? La risposta del Vanni: “Eh”? E il Pubblico Ministero: “Ha capito la domanda”? Vanni: “Ho capito”. “Ma vorrei insistere” – Pubblico Ministero – “se sa se la moglie si chiama Ciulli o si chiama, nonostante siano separati, non lo so”… Vanni: “Mah”. Poi l’avv. Filastò, a pag. 60, diceva che per due volte gli si stava ripetendo la stessa domanda e lui non faceva che rispondere altro che “Mah, mah, mah, mah, mah”. E allora interveniva il Giudice: “Allora, la conosceva questa signora Ciulli o non la conosceva”? Ancora una volta la risposta del Vanni era: “Mah”. Pubblico Ministero: “Ma ricorda se qualche volta a queste cene c’era anche la signora Ciulli”? Il Vanni rispondeva: “Mah, non lo so. Mah”. “Lei ricorda quando sono finite queste cene”? “Eh, da parecchio tempo”, pag. 61. “Lei ha mai avuto occasione di incontrare o di passare il tempo col signor Calamandrei”? “No”. “Ha parlato qualche volta così? Quali erano gli argomenti di cui parlavate”? “Mah, cose nostre”. “Cose vostre? E cioè? Ci vuole spiegare”? diceva il Pubblico Ministero, “lei ha detto cose nostre, sembra di capire che avevate qualcosa in comune”. Vanni: “Eh”. “Che cosa? Di che cosa parlavate”? “Icché gli ho a dire? Non lo so”. “Cerchi di ricordare, lei dice “cose nostre”” “vuol dire che qualcosa ha ricordato, sennò avrebbe detto di medicine, no? Quali erano le cose vostre”? pag. 62, ed il Vanni: “Mah, si parlava”. Pubblico Ministero: “Insisto, vorrei sapere di che cosa. Lei deve rispondere su questo, le ha detto il Giudice. Parlavate di lavoro”? E lui diceva: “Sì”. “Ad esempio”… “Di queste cose qui”. P.M.: “Parlavate di donne che frequentavate”? Vanni: “Si può aver parlato anche di donne”. Pubblico Ministero: “Frequentavate donne in comune, per caso, conoscevate”? “Mah, no, codesti affari no”. “E allora perché dice “si sarà parlato anche di donne”? Cosa vuol dire”? Allora, ancora una volta, – pag. 63 – interveniva il Giudice: “Ha capito, allora, signor Vanni? Le sta chiedendo il Pubblico Ministero se ricorda chi fossero le persone che lei incontrava a queste cene”. E lui rispondeva: “Amici, così”. Giudice: “Ha qualche nome di cui si ricorda”? “Eh no, non mi ricordo”. “Ricorda l’ultima volta in cui ha visto il Calamandrei”? “Gli è parecchio, parecchio tempo”. “Lui lavorava e ancora lavora in farmacia o non ce l’aveva più… o non ce l’aveva più”? Il Vanni rispondeva: “No, la farmacia”. “Lei lo sa se ce l’ha ancora”? “Mah, ‘un lo so mica io, ‘un ci sono più stato”. Pubblico Ministero: “Quando ha detto che vi incontravate e parlavate delle cose vostre ricorda dove avvenivano questi incontri e questi colloqui”? Vani:”E che ho a dire io? Non lo so”. P.M.: “Lei è mai stato a casa del Calamandrei”? Vanni: “Sì”. P.M.:”Sa dove abitava”? “Ci sono stato”. “C’è stato”? “Sì, ma icché… icché vuol dire”? “Il Calamandrei veniva a casa sua”? Vanni: “No, a casa mia il Calamandrei non c’è mai stato”. Pubblico Ministero: “Invece lei andava a casa del Calamandrei. E come mai andava a casa del Calamandrei”? “Eh, siamo amici”. “Ah” – fa il Pubblico Ministero – “allora siete proprio amici”. “Sì, bravo; sì, bravo”. “E perché? Quali erano i motivi per cui andava a casa del Calamandrei”? “Mah, a piglia’ le medicine”. P.M.: “Ma quando andava a casa del Calamandrei a pigliar le medicine, c’erano i suoi familiari? La moglie c’era”? “Sì”. “C’era anche la moglie. Quindi lei la conosce abbastanza bene la moglie”. “Sì, ‘un c’è male, ‘un c’è male”. Vanni: “Siamo di paese”. “Lei ha conosciuto” – a pag. 65 – “altri familiari del Calamandrei”? “No”. Qui diceva “no”; P.M.:”Sa se aveva figli”? Vanni: “Mah”. Pubblico Ministero: “Non lo sa. Ha capito la domanda”? Vanni: “L’ho capita, signor Canessa”. “Lei ha conosciuto anche il padre del signor Calamandrei”? “Sì, l’ho conosciuto anche lui”. “Cosa faceva”? “Mah, il farmacista”. “E frequentava anche il padre o ha frequentato solo Francesco”? Vanni: “Di queste cose non le so io”. “No, lei”. Vanni: “lo”? “Sì”. Vanni: “No, no”. “Solo il figlio”. E Vanni risponde: “Mh”. “Lei ricorda come l’ha conosciuto, come siete diventati amici”?, pag. 66. “Siamo paesani, no? Andavo a piglia’ le medicine per la mi moglie, no”? “Ho capito”, fa il Pubblico Ministero. “Eh, ha capito”, dice Vanni. “Io però le ho chiesto quando andava a trovarlo a casa di cosa parlavate, perché lei ha detto che parlavate delle vostre cose. Deve essere proprio un argomento così delicato” – diceva il Pubblico Ministero – “dato che non ci vuol dire quali erano le vostre cose”. Interveniva l’avvocato Filastò: “Ma, veramente l’ha fatto diventare delicato lei con questa insistenza sulle “cose vostre””. “E io le ho chiesto e le chiedo quali erano gli argomenti di cui lei e Calamandrei parlavate, dato che eravate amici”. La risposta di Vanni, ancora una volta: “Mh, a piglia’ le medicine, si parlava così”. “Però poi ha detto che andava a trovarlo a casa, eravate amici e parlavate delle vostre cose”, diceva il Pubblico Ministero. “Sì”. Proseguiva poi il Pubblico Ministero, pag. 67: “Vorrei capire come e perché sono diventati amici. Lei ha detto eravate amici. Ci vuole spiegare”? Vanni: “Eh, andavo a piglia’ Ie medicine, si parlava così, in amicizia, no?, per la mi moglie, le medicine, la roba, le medicine per casa”. P.M.: “Ma perché andava a casa del Calamandrei”? Vanni: “Mah”. Ancora: “Quando lei andava a casa del Calamandrei di che cosa parlavate”? pag. 68. “Si parlava così, d’amicizia nostra, qualche discorso si faceva, ma nulla di straordinario”. “Allora se non c’è nulla di straordinario ce lo può dire”. “Mah, io la senta”… Il Pubblico Ministero domandava: “Parlavate di sport”? e Vanni:”Sì, si è parlato anche di sport, ha voglia”. “Senta una cosa: sa se il Calamandrei andava a caccia, per esempio”? “Mah, non lo so”. “Mah, io non credo”. “No. Se aveva amiche donne”? “Non lo so”. “No. Lei ha mai parlato… le ha mai parlato il Calamandrei se aveva problemi con la moglie”? “Non me ne ha mai parlato”. “Quando era presente la moglie di che cosa parlavate”? “Mah, io andavo a piglia’ le medicine, ma poi ‘un facevo mica nulla di straordinario”. “La moglie era anche lei in farmacia? Le dava le medicine anche la moglie”? “No”. “Sa se il Calamandrei aveva delle armi”? “No, codesto affare non lo so”. “Ha mai sentito parlare in quella casa di pistole”? “No, mai”. “La moglie ha mai parlato di pistole”? “No, mai”. “A quelle cene ci sono stati il Pacciani e il Lotti”? “Mh, qualche volta ci sono stati”, pag. 70. “II Calamandrei era anche amico di Pacciani e Lotti, come ha detto lei”? Vanni: “Sì”. “E come lo sa? Li vedeva insieme”? Vanni: “Mh”, Pag. 70. “Cosa vuol dire “mh”? Sì o…”? “Un lo so”. “Ha detto “mh”, ci vuole spiegare cosa vuol dire”? Vanni: “Mah, icché devo dire? lo non lo so mica. Icché sapevo l’ho detto. lo altre cose non le so, ha capito”? P.M.:”lo le ho chiesto se si frequentavano. Mi ha detto “sì”. Le ho chiesto se erano amici, mi ha detto “mh”. Vorrei sapere come ha capito che erano amici. A casa, quando andava lei, a volte è capitato che ci fossero anche Pacciani e Lotti”? Vanni: “A volte c’è stato”. Pubblico Ministero: “A volte c’è stato. C’è stato Pacciani e Lotti” – Pubblico Ministero – “o l’uno o l’altro”? “Sì”. “A casa di Calamandrei”, diceva Vanni, “C’era presente anche lei”? “Eh”. Pubblico Ministero: “Eh, sennò come fa a saperlo? E di che cosa parlavate nelle volte in cui a casa eravate lei, Pacciani e Lotti e Calamandrei”? “Icché si parlava… io pigliavo, andavo per piglia’ le medicine per la mi moglie, poi le altre cose…”. E il Pubblico Ministero: “In casa eravate… quando eravate voi quattro di che cosa parlavate”? “Eh, ‘un lo so”. Pubblico Ministero, pag. 71: “C’erano anche altre persone oltre Pacciani, Lotti, lei, Calamandrei”? “No”. “O eravate voi quattro e basta”? “Un lo so io quest’affare qui”. P.M.: “Ma cos’era, la sera, la mattina, il giorno”? “Sì, di giorno, no”? “E perché lei Pacciani e Lotti andavate insieme a casa di Calamandrei”? Qui l’avv. Filastò interveniva: “Questo non l’ha mai detto, che ci andavano insieme”. Pubblico Ministero si correggeva: “E allora perché vi siete trovati insieme? E’ uguale. Lo saprà, eravate persone adulte. Qual è il motivo che vi univa insieme in quella casa, in quei momenti”? Vanni: “lo andavo a piglia’ le medicine per la mi moglie, poi le altre cose io ‘un le so”. Pubblico Ministero: “Andavate insieme, tutti e tre, voi, da Calamandrei, o vi trovavate lì”? “Si”, la risposta. “Andavate insieme o vi trovavate lì”? “Sì”. Pubblico Ministero: “Andavate insieme”? Vanni: “Ci si trovava lì”. P.M.: “Vi trovavate o ci andavate insieme tutti e tre”? “Eh”. “Perché andavate a casa dei Calamandrei”? “Mah, io andavo a piglia’ le medicine, gliel’ho detto. Fo i soliti discorsi io, no? E icché devo dire”? Interviene l’avvocato Filastò: “Gliel’ha detto cinque o sei volte”. Pubblico Ministero: “L’idea di andare avanti a trovare il Calamandrei ce l’aveva il Pacciani, il Lotti o ce l’aveva lei”? Pag. 72. “Mh”. Poi, ancora a pag. 72: “E’ mai venuto a questi incontri anche il Pucci”? “No, io credo di no”. “Cos’ha detto? Non ho sentito”. “lo credo di no”. “Il Pucci”. “Sì”. “Senta una cosa, lei ‘ha sentito di cosa parlavano in sua presenza Pacciani e Calamandrei”? “No, erano amici. lo icché ho a dire? Mah”. Pubblico Ministero: “E Lotti di cosa parlava”? “Andava a piglia’ le medicine anche lui, eh”. “Ma come mai capitava che eravate insieme lì voi tre più il Calamandrei”? Vanni: “Siamo amici”. “Ci può spiegare perché andavate voi tre a casa del Calamandrei”? “Siamo amici”. “Allora ci parli di questa amicizia”. “Mah”. Pubblico Ministero: “Perché eravate amici? Qual è il motivo per cui voi quattro eravate amici? Chi è diventato amico prima del Calamandrei? Lei, Pacciani o Lotti”? “Mah, io ‘un lo so codesto affare”. Pag. 73. Pubblico Ministero: “Ogni tanto capitava che andavate a casa del Calamandrei”? “Mah, ogni quando in quando”. “Cosa vuol dire “ogni quando in quando”? “Mah”. “Qual era il motivo per cui decidevate di andare”? Poi a pag. 75 Pubblico Ministero: “Lei ha mai incontrato Calamandrei e Pacciani insieme per strada”? “Sì, sì, a volte li ho visti insieme”, P.M.: “Dove”? Vanni: “Eh, alla farmacia”. Domanda del P.M.: “lei ha mai incontrato Calamandrei e Pacciani insieme per strada”? La risposta è “alla farmacia”. Vanni: “Sì, sì, a volte li ho visti insieme”. P.M.: “Dove”? Vanni: “Eh, alla farmacia”. A pag. 76: “Lei vedeva insieme Pacciani e Calamandrei? Li vedeva per caso”? Vanni: “Sì, sì, di combinazione, li trovavo alla farmacia”. “Le è mai capitato di vederli per caso fuori”? “No, no”. Pubblico Ministero: “E allora come mai a volte vi trovate, vi trovavate, come ha detto lei, no?, insieme? Perché a casa”? “S’andava a piglia’ le medicine”. P.M.: “Lei ci ha detto che conosceva” – a pag. 78 – “anche il padre del Calamandrei”. “Sì”. “Ricorda quand’è morto”? “Un lo so”. “Lei è diventato amico di Calamandrei Francesco quando il padre era ancora vivo o era morto”? “Sì, era vivo”. “Lei ha conosciuto Francesco quando il padre era ancora vivo”? “Sì, bravo signor Canessa”. “Andava a casa di Calamandrei quando il padre era ancora vivo o…”? “Sì”. (Il padre del Calamandrei risulta deceduto nell’anno 1971, e, dunque, tali incontri dovrebbero risalire a prima di quell’anno!!!) “Sì, sì”. “Quindi da tantissimo tempo”. “Sì”. “Anche il Pacciani e il Lotti”? “Sì”. “Quando il padre era ancora vivo”? dice il Pubblico Ministero. “Sì”. “E il padre era al corrente di questa vostra amicizia? Vi vedeva”? “Sì, ci vedeva”. “Il Pucci è mai venuto con voi”?15 Ora diceva: “A volte è venuto”. “Con voi dove, in farmacia o a casa”? “Sì, in

15 (occorre evidenziare che il Vanni a proposito del Pucci aveva detto sul punto “no, il Pucci no)

farmacia”. “Insieme a voi o andava per conto suo”? “Insieme a noi”. “Insieme a voi… insieme a voi o andava per conto suo”? “Insieme a noi”. “Quando eravate a casa del Calamandrei” – pag. 79 – “voi, Pacciani, Lotti e a volte Pucci, c’era anche la moglie”? “Sì. L’ho detto, no”?. “Eravamo noi solo quattro”. “Quando è morto il padre del Calamandrei grosso modo il figlio che età aveva”? “Un lo so”. Domanda del P.M.: “Quando lei ha conosciuto il Calamandrei, lei Vanni che età aveva”? La risposta: “Sì”. “Lei quanti anni aveva quando ha conosciuto il Calamandrei”? Vanni: “Eh, avrò avuto settant’anni”. Sa se il padre del Calamandrei era un cacciatore”? “Sì”. “Lo sa”? “Sì, sì, sì”. Pubblico Ministero: “Ha capito la mia domanda”? “Eh, ho capito”. “Il padre del Calamandrei era un cacciatore”? “Eh, ho capito, signor Canessa”. “Lei sa se il padre del Calamandrei era un cacciatore”? Vanni: “Eh, ‘un lo so”. P.M.: “Ah, ecco, non lo sa”. Pag. 80. Interveniva il dottor Crivelli: “Dal momento che ci sono riferimenti all’età… ci vuol dire quando è nato, signor Vanni, perché ci siamo”… La prima risposta: “Ah, ‘un lo so”. “Lei” – Giudice – “in che data è nato”? “Eh”, la risposta. Giudice, ripete ancora: “Lei quando è nato”? Vanni: “lo”? “Qual è la data della sua nascita”? proseguiva il dottor Crivelli. “Il 23 dicembre”. Giudice: “Di che anno”? “Del ’27”. Vanni: “Mah”. “In che luogo abita in questo momento”? “A San Casciano”. “A San Casciano”? fa il Giudice. Vanni: “Sì”. Pag. 81. Pubblico Ministero: “Come… è la residenza, signor Vanni”. E il Giudice: “E’ la residenza. Ma il posto dove abita fisso, dove dorme, dove mangia, dov’è che sta ora”? Vanni: “Mah, ‘un lo so”. Pubblico Ministero: “Non sa il nome”? E il Giudice: “Ma aspetti, aspetti Pubblico Ministero, perché sono questi gli accertamenti che dovevamo fare fin dall’inizio, perché noi per un certo calore della vicenda ci siamo scordati di fare. Dico quindi… ma faccio anche per sondare quella che è la capacità di memoria, di percezione del testimone”. E allora ripeteva la domanda: “Quindi lei stamani, per esempio, da dove è venuto? Per venire qui lei si ricorda da dove è partito per venire in questa aula”? “Non me lo ricordo”. Giudice: “Non se lo ricorda”? “No, non me lo ricordo”. A questo punto il Giudice diceva: “Andate pure avanti. Ecco, era per localizzare la memoria”. E poi si proseguiva: “lo le avevo chiesto se il Calamandrei Francesco ha figli”. Vanni rispondeva: “Sì”, a pag. 82. “Lei lo sa quanti ne ha”? “”Un lo so, mi pare due”. “Ah, vede? Allora le cose se le ricorda”. “Sì”. “Due maschi? Due femmine”? “Sì, due maschi”. 16  “Tutti e due maschi”? “Sì, sì”. “Lei li ha conosciuti, fin da bambini li ha sempre visti”? “Sì, sì, è vero”. Poi a domanda: “Vorrei che lei mi spiegasse quel concetto che ha detto, che eravate amici del Calamandrei, che parlavate del più e del meno. Ce lo vuole spiegare meglio”? “Mah, andavo a piglia’ le medicine”. “Eh beh, poi lei ha detto che non era solo, quello… eravate amici e parlavate del più e del meno, e che lei andava a casa. Volevo sapere di che cosa parlavate”. “Mh. Icché si parlava? Di poco”. “Di poco cosa vuol dire”? “Mah, ‘un lo so”. “Vi offriva da bere”? “Sì, qualcosa”. “Quindi vi sedevate intorno a un tavolo a casa sua? Cosa vi offriva”? “Mah, un bicchiere di vino”. “In casa del Calamandrei”? “Sì”. “Anche al Pacciani? O lui non beveva”? “Sì, anche a lui”. “Anche al Lotti”? “Qualche volta anche al Lotti”. “Qualche volta anche al Pucci o al Pucci no”? La risposta era: “Sì”. “Ma stavate intorno a un tavolo, non so”, fa il Pubblico Ministero. “Mah”. “Non se lo ricorda? La casa se la ricorda? Era grande? Piccola”? “No”. “Se la ricorda”? “Era grande, tante stanze, parecchie stanze”. “Quindi lei l’ha vista tutta”. “Sì, l’ho vista tutta”. “Aveva un salotto grande”? “Sì”. “Voi in genere stavate in salotto”? “Eh”. “Ma lei ha visto anche le camere”? “Eh”, “E’ grande in che senso”? “Sì, tante, parecchie camere”. “Parecchie. Lei le ha viste”? “Mh, le ho viste”. “Come mai ha visto le camere, mi scusi”? “Ma, mi c’ha portato”. “Per fargli vedere la casa? Lei non è che ha mai dormito in casa del Calamandrei”? “No, mai, io no”. “Ha mai visto che lui aveva ospiti o ci stava solo con i figli”? “Lui e la moglie”. “Anche i figli”? “Si”. “Lei ha detto che andavate a cena di quando in quando… ho capito…. ma ci può dire di quando in quando…”? “Eh, quando in quando, mica sempre”. “Ma perché andavate a casa del Calamandrei”? “A piglia’ le medicine e basta”. E allora… “Iecché ho a dire”? “Perché gli fece vedere le camere”? faceva il Pubblico Ministero. “Perché”? “Perché”? Lui: “Mah”. “Fu lui a dirgli, a fargli visitare la casa”? “Eh”. “Lei ha detto era grande. Ci può dire grande come”? “Grande”. “Ha stanze”? “Ha stanze”. “Ha visto anche il bagno? Le è capitato di andare in bagno”? “Mh”. “C’aveva uno o due bagni”? “Due bagni”. “Allora la conosce proprio bene questa casa”. “Eh, è un signore”. “Era un signore. Ma per arrivarci c’era un ascensore? Era al primo piano? Era al pian terreno”? “No, primo piano”. “Sopra la farmacia”? “Sì, bravo”. “E come ci si arrivava? C’erano le scale”? “Eh, un pochine di scale. C’era un portone, dalla farmacia”. “Da dentro la farmacia o c’era un portone per salire”? “Sì”. “Queste

16 (il Calamandrei risulta padre di un maschio, purtroppo deceduto nel corso del presente processo, e di una femmina, sempre presente in aula; v., comunque, nota dei CC di Firenze del 21.9.88 n. 3586 inc. gen).

scale da dove sono”? “Sì, dalla farmacia”. “Lei ha detto tante camere perché le ha viste tutte”? – Pubblico Ministero – “C’aveva un salotto solo o più di un salotto”? “Due”. “Senta, ma lei si è mai fermato anche a mangiare dal Calamandrei”? “No, no”. “Solo a bere”? “lo no, a mangiare no, solo a bere”. “Ma eravate voi, lei, il Pacciani, il Lotti, che chiedevate il vino o era lui che vi offriva il vino”? “Mah”. “A volte bevevate anche il caffè”? “Non lo so, sì, sì”. “Ah, e lo faceva lui o la moglie”? “Lui”. “Lui vi faceva il caffè. E quindi la moglie non c’era quando”… “No, no”. “Questa vostra amicizia è durata tanto tempo”? “Sì”. “Ma andavate a casa anche quando era vivo il padre”? “Sî”. Quindi non più tardi del ’71. “Perché il padre, dove abitava… anche allora”… “Sì”. “Quindi è un’amicizia lontana, perché il babbo del Calamandrei” – dice il Pubblico Ministero – “è tanto che è morto, ora non ho i dati”. “Eh”. “E il padre sapeva di questa vostra amicizia? Vi vedeva”?, pag. 87. “Ci vedeva, eh”. “E non diceva nulla”? “Mh”. “Vi salutava”? “Sì, i saluti”. “Lei conosceva anche Nesi Lorenzo, mi sembra”. “Come”? “Nesi lo conosce”? “Sì, sì, sì”. “Quando l’ha visto l’ultima volta”? “Gl’è poco… gl’è poco. Parecchio tempo fa”, “Dove l’ha visto”? “Eh, l’ho visto quand’ero in carcere”. “Lì all’ospedale dove ora ormai è venuto”? Vanni: “No, no. ‘Un l’ho mai visto più”. P.M: “AI carcere è venuto invece. Ma avete parlato”? Vanni:”Mh, qualche discorso s’è fatto”. P.M.: “E che tipo… ha parlato così, delle vostre cose, sue e del Nesi, perché siete amici”? Vanni: “No, siamo amici”. P.M.: “E’ venuto una volta? Più volte”? Vanni: “Sì”. P.M.: “Allora si ricorda di cosa avete parlato”? Vani: “Non me lo ricordo”. P.M.: “Ma il Nesi ha voluto parlare anche dei fatti che erano avvenuti a San Casciano, di tutti quei morti”?, pag. 89. Vanni: “Sì”. P.M.: “E lei che cosa gli ha detto”? Vanni: “Nulla gli ho detto io”. P.M.: “Ma quando Nesi le faceva le domande lei capiva o stava male”? Vanni: “Capivo, capivo”. P.M.: “Stava bene”? Vanni: “Sì, allora… allora sì”. P.M.: “Come stava oggi? Stava meglio o peggio”? Vanni: “Eh, insomma”. P.M.: “Stava bene. Ma siete dopo il carcere rimasti amici”? Vanni: “Si capisce, si capisce”. P.M.: “E che cosa gli chiedeva”? Vanni: “Icché s’è parlato? Delle nostre cose, dell’amicizia”. P.M.: “Ma di questi fatti che sono avvenuti a San Casciano”? E Vanni rispondeva: “Sì, siamo”… Giudice: “Noi stiamo stiamo per ricostruire le vicende con sincerità, ha capito”? “Bravo, bravo”, rispondeva Vanni. P.M.: “ma quando Nesi è venuto da lei, Pacciani! 17 era già morto o era ancora vivo”? Vanni: “L’era vivo, l’era vivo”. P.M.: “E’ sicuro? E cosa voleva sapere dal Pacciani? Cosa gli chiedeva”? Vanni: “Mah”. P.M.: “Gli ha chiesto se il Pacciani aveva una pistola, gli ha chiesto il Nesi”? Vanni: “Mah, io ‘un lo so”. 

17 n.b.: si era nel giugno dell’anno 2003!!!!!!

P.M.: “Lei non lo sa. Ma il Nesi gliel’ha chiesto”? Vanni: “Mah, me l’ha chiesto, ‘un lo so”. P.M.: “Lei ricorda cosa ha risposto? Cosa ha risposto lei”? Vanni: “Ma, io non lo so”. P.M.: “Non lo sa. Tanto non importa continuare”. “Tanto gl’è tempo perso”. “Eh” – diceva il Pubblico Ministero – “tanto c’è una registrazione, eh, del vostro colloquio. Lei dice al Nesi che il Pacciani aveva due pistole, che andava nel bosco”. Vanni: “No, io ‘un lo so. lo gli ho detto quest’affare qui… io ‘un gli ho detto quest’affare qui”. P.M.: “Non l’ha detto”? Vanni: “No, no”. P.M.: “Non lo ricorda”? Vanni: “Non lo ricordo, no”. P.M.: “Ma per caso il Nesi le ha chiesto chi era che faceva gli omicidi ai danni di quelle coppie”? Vanni: “Sì”. P.M.: “Gliel’ha chiesto. Gliel’ha chiesto, gliene ha parlato”? Vanni: “Ho parlato, ma non me lo ricordo. Che vuole, gli è passato parecchio tempo”. P.M.: “E perché gli ha parlato di un negro? A proposito di cosa”? Vanni: “Mah, non mi ricordo”. P.M.: “Gliel’ha detto che questo negro si chiamava Ulisse”? Vanni: “Sì”. P.M. “Gliel’ha detto lei al Nesi”? Vanni: “Sì”. P.M.: “E chi è questo”? Vanni: “E lo sapeva anche lui”. A pag. 93: “E lo sapeva anche lui”. P.M.: “Lo sapeva anche il Nesi”? Vanni: “Ma si capisce”. P.M.: “Cioè? Mi spieghi, che cosa sapeva il Nesi di questo Ulisse”? Vanni: “Mah”. P.M.: “Chi era questo Ulisse”? Vanni: “Un lo so”. P.M.: “Però se lo sapeva chi era questo negro di cui parlavate”… Vanni: “Mah”. P.M.: “Perché avete parlato di questo negro di cui il Nesi lo sapeva anche lui”? Vanni: “Eh, s’era… s’eramo amici”. P.M.: “Voi eravate amici di questo negro”? Vanni: “No, volevo dire del Nesi”. P.M.: “Ah”. Vanni: “Oh, via”. P.M.: “E chi era questo negro? Se era amico… lei lo ha mai visto”? Vanni: “Chi”? P.M.: “L’ha mai visto questo negro”? Vanni: “No”. P.M.: “E dove l’ha visto”? Vanni: “lo ‘un l’ho visto”. P.M.: “No”. Vanni: “Un l’ho visto”. P.M.: “Prima ha detto di sì”. Vanni: “No”. “E poi”, diceva l’avv. Filastò… “ha detto di no”. ” Giudice, interveniva: “Allora, le ha chiesto il Pubblico Ministero se avete parlato di un negro a nome Ulisse”. Vanni: “Sì”. Giudice: “Una persona… e le ha chiesto se lei lo ha mai visto questo Ulisse”. Vanni: “io non l’ho mai visto, non l’ho mai visto”. “Perché”… – il Pubblico Ministero riprendeva a parlare del nero – “ma cosa faceva questo negro”? Vanni: “Mah, ‘un lo so”. P.M.: “Però lei in questa registrazione che s’era fatta nel carcere ha detto al Nesi che era questo nero che ammazzava le coppie. Ha capito”? Vanni: “Si, ho capito”. P.M.: “Gliel’ha detto lei al Nesi”? Vanni: “Sì” – Pag. 95. P.M.: “Perché gli ha detto così”? Vanni: “Mah”. P.M.: “Ma lei lo sa cosa faceva questo negro e chi era? Questo negro lei sa se è vivo o è morto”? Vanni: “E’ morto”. P.M.: “Allora lo sa”. Vanni: “Mh”. P.M.: “E come sa che questo negro è morto”? Vanni: “Mah, dalla televisione”. P.M.: “Ma alla televisione parlano di tanti negri e di tanti bianchi che muoiono” – osservava il Pubblico Ministero. Vanni: “Sì”. P.M.: “Perché ha parlato di questo”? Vanni: “Eh, non lo so”. P.M.: “Non lo sa. Non lo sa e non lo sa”. P.M.:”Sì, perché avete parlato di questo”? Vanni: “Ma così, mentre si parlava insieme”. P.M.: “A proposito di che cosa? Di quei morti”? “Sì, sì”. Vanni diceva: “Dice gl’aveva morto un monte di persone”. E il Pubblico Ministero: “Chi lo diceva”? Vanni: “Eh, la televisione”. P.M.: “Ah, ecco”. Vanni: “Mica io”. P.M.: “E la televisione diceva anche il nome”? Vanni: “Sì, eh”. P.M.: “E dove è morto? Lei lo sa dove è morto”? Vanni: “Mah”. P.M.: “Come è morto”? Vanni: “Non lo so”. Quindi si proseguiva con il controesame del difensore del Calamandrei avv. G. Zanobini. A domanda: “Si sente bene in questo momento”? La risposta era sempre la solita: “Sì, bravo” – a pag. 99 -: “Che attività faceva prima di andare in pensione”? Vanni: “Il postino”. “Per quanti anni ha fatto il postino”? La risposta: “Sei”. “Solo sei anni”? Vanni: “Sei anni”. A pag. 102 il Vanni cominciava a cantare “Faccetta Nera che già l’ora si avvicina”. E il Vanni concludeva con: “Viva il Duce”! Poi, parlando delle cene di tutti i paesani – a pag. 103 – indicava tutti i nominativi suggeriti dal difensore. Pag. 113, a domanda: “Senta, Vanni, e il Pacciani e il Lotti ha detto che li ha visti anche insieme al Calamandrei. Va bene?”, Vanni “Sì”. E a domanda: “Dove li ha visti”? Vanni: “In farmacia. Siamo andati insieme”. Domanda: “Ah. Perché siete andati insieme, Vanni”? E lui rispondeva: “Mah”. “E dov’è che facevate per incontrarvi”? “Eh, in piazza, in piazza Pierozzi”. : Avv. Zanobini: “Ma lei andava a prendere le medicine. Andava sempre insieme al Pacciani e al Lotti o andava anche da solo”? Vanni: “No, io andavo da me”. Poi: “E vi siete trovati insieme”? “Sì”. Pag. 114. “Eh” – Vanni – “in via Machiavelli”. “Ah, in via Machiavelli”. Avv. Zanobini: “Vi siete trovati insieme lì e anche poi a prendere le medicine”? E Vanni: “Sì”. Avv. Zanobini “Lei, Vanni, e Lotti”? Vanni: “Sì” – Pag. 115. Quindi a domanda se conoscessero anche l’altra farmacia Parrini Vanni diceva “sì, sì”. E se conoscesse anche lui (il farmacista), Vanni: “sì, eravamo amici”. E a domanda: “Vanni, ma per lei cosa vuol dire essere amico”? Vanni: “Mah, siamo paesani”. A domanda: “La capisce la domanda”? rispondeva: “Siamo paesani”. “Quindi per lei” – domanda, a pag. 115 – “essere paesani e conoscersi vuol dire essere amici”? Vanni: “Sì, bravo”. Avv. Zanobini: “E quindi a San Casciano quanti amici lei aveva”? Vanni: “Parecchi”. Domanda: “Ma lei conosceva anche il sindaco”? – pag. 116. E Vanni rispondeva: “SÌ, Ciapetti”. A domanda: “Era amico anche del sindaco”? “Sì, ero amico anche dei comunisti”, “Senta, si è trovato qualche volta al bar col sindaco a bere”? Vanni: “Sì, anche al bar,eh”. Avv. Zanobini: “Con il sindaco”? Vanni: “Ha voglia, il sindaco Ciapetti, al Bar Italia. O sennò nel piazzone”. Poi: “Allora, ascolti, non si può dire che lei con il Calamandrei aveva un’amicizia particolare e diversa da quella che aveva con gli altri paesani”? pag. 117. Vanni: “Sì, era amico”. Avv. Zanobini: “Come con gli altri paesani”? Vani: “8]”. “Senta, lei dice una cosa, io ho capito, quando la interroga il signor Canessa, come dice lei”… “Eh”, faceva il Vanni “a proposito di questo Ulisse e che lei ha detto”… “Sì, ne abbiamo parlato”. “Eh”. “Ma lo sapeva anche lui”. “Cioè, vuol dire il Nesi”? E lui ribadiva, pag. 117: “Sì, sì”. Avv. Zanobini “Quindi, e avete… il Nesi le ha parlato di questo Ulisse anche a lei”? Vanni: “S]”. Avv. Zanobini: “Prima che lei ne parlasse al Nesi”? Vanni: “Sì, prima che ne parlassi al Nesi”. Avv. Zanobini: “E quando”? Vanni: “Eh, parecchio tempo fa”. Domanda: “Cioè quando veniva a trovarla in carcere”? Vanni: “Sì, bravo”. Pag. 118. Avv. Zanobini: “E che cosa le diceva il Nesi di questo negro, di questo Ulisse”? Vanni: “Mah, e che diceva? L’aveva sentito dire alla televisione”. Avv. Zanobini: “Anche lui? Senta, e poi a proposito di questo Ulisse, lei ad un certo momento dice che questo negro ha ammazzato tutti e sedici lui, vero? E poi hanno trovato la pistola. Se la ricorda”? Vanni: “Eh, l’hanno trovata di certo”. Avv. Zanobini: “A proposito di questo Ulisse, ad un certo momento lei dice che questo negro ha ammazzato tutti e poi hanno trovato la pistola. Se lo ricorda”? Vanni: “Eh, l’hanno trovata di certo”. Avv. Zanobini: “La pistola”? Vanni: “Alla televisione s’è saputo”. “Dice una lettera e ogni cosa, e poi lei dice che questa roba l’ha presa il Giudice”. E lui rispondeva: “Sì, eh”. “Eh”. Vanni: “Le ha prese il Procuratore”. Avv. Zanobini “E chi era questo Procuratore”? Vanni: “Mah, ‘un lo so”. Avv. Zanobini: “E lei dove l’ha sentito di questo Procuratore che ha preso questa roba”? – sempre pag. 118. Vanni: “Icché gli ho a dire? Non lo so”. Avv. Zanobini: “Però si ricorda di averlo detto”? Vanni: “Ma di certo”. Avv. Zanobini: “Quello che conta dice lei. Chi è il Procuratore che conta”? “Come”? “Lei dice le ha prese il Procuratore, quello che conta. Chi è il Procuratore”? Vanni: “Non lo so”. “Che conta per lei”? “Non lo so”. Avv. Zanobini: “Però si ricorda di averglielo detto al Nesi.Vanni: “Sì”. Poi interveniva il Giudice: “Gli ripeta questa domanda per verificare se ha capito bene….”. e il Vanni: “l’ha prese il Procuratore”… e “chi è per lei”?… e lui diceva “non lo so”. E poi: “Ma si ricorda di averlo detto oppure non se lo ricorda”? 18 Vanni: “Ma certo”. Poi si si

18 n.b.: prima aveva detto che se lo ricordava…

proseguiva e Vanni continuava a dire che andava in farmacia a prendere le medicine, ripetendo ancora che il Pacciani e il Vanni erano amici non solo del Calamandrei ma di tanti altri paesani – pag. 123; poi a domanda: “Lei conosce Don Polidori”? Vanni: “Sì”. Avv. Zanobini: “E’ stato in casa anche da lui”? “Sì, anche lì. Siamo amici”. ” Avv. Zanobini “Eravate amici anche di tutti quei paesani che venivano a cena insieme a lei”? – pag. 123. Vanni: “Sì, sì, sì, sì. Anche lì, anche lì”. Avv. Zanobini: “E com’è che fissavate”? Vanni: “Sì, si fissava in piazza e s’andava, poi si decideva lì per lì”. Avv. Zanobini: “Ed eravate amici anche con quelli che gli stavano… che gestivano questi bar”? Vanni: “Sì, amici, siamo amici, perché no”? Avv. Zanobini: “Come eravate amici con il Calamandrei”? Vanni: “Sì, bravo”. Avv. Zanobini: “Senta, Vanni, lei andava in chiesa”? Vanni: “Eh sì, andavo in chiesa”. Avv. Zanobini: “Alla messa”? Vanni: “Sono andato sempre alla messa”. Avv. Zanobini: “Lo conosceva il prete”? Vanni: “Sì, Don Polidori”. Avv. Zanobini: “Era amico anche di lui o andava soltanto alla messa”? Vanni: “Sì, andavo alla messa io”. Avv. Zanobini: “Era amico anche di Don Polidori lei”? Vanni: “Sì, lo conoscevo bene”. Avv. Zanobini: “Lo conosceva bene”? Vanni: “Sì, ha voglia”. Avv. Zanobini: “E ci parlava anche quando non era in sagrestia, quando non andava in chiesa”? “Sì, ci parlavo”. Avv. Zanobini: “Anche nella piazza”? Vanni: “Lo stesso, ha voglia”. Pag. 125 – “E’ stato a volte anche a casa di Don Polidori”? Vanni: “Eh”. A domanda: “Eh, c’è stato anche a casa di Don Polidori”? “Sì”. Avv. Zanobini: “Com’è la casa di Don Polidori”?. Vanni: “Grande, più bella della mia”. Avv. Zanobini: “Conosce bene anche quella. Senta, che è stato anche a casa del sindaco Ciapetti”? Vanni: “Sì, sono stato”. Avv. Zanobini: “E com’è anche quella”? Vanni: “Fra amico”. Avv. Zanobini: “E quando andava a casa di Don Polidori di che parlavate”? Vanni: “Si parlava delle nostre cose”. Avv. Zanobini: “Può darsi che abbiate parlato delle vostre cose”? Vanni: “Sì, eh, mah”. Pag. 127. Vanni riferiva che anche quando andava a casa di Don Polidori e del sindaco Ciapetti parlavano delle loro cose, come con il Calamandrei. “Eh, siamo amici, siamo paesani”. “Di che cosa parlava con il sindaco Ciapetti”? “Mah, lui è comunista”. Avv. Zanobini: “Spesso dice… senta, e quando dice appunto anche “con il Calamandrei si parlava delle nostre cose”, “delle nostre cose”, no”? “Sì”. “Ma delle vostre cose ne parlavate soltanto con il Calamandrei o ne parlava anche con gli altri amici”? Vanni: “Anche con il Calamandrei”. “Anche con il Calamandrei”. “Sì”, “Ma anche con il Ciapetti, per esempio”? Vanni: “Sì, ha voglia”. Pag. 127. Avv. Zanobini: “Ah e anche con tutti quegli altri amici”? Vanni: “Sì”. Z. “Quindi delle vostre cose non ne parlavate soltanto con il Calamandrei”? V.: “Sì”. Z.: “Si può dire questo? Aspetti, gliela ripeto piano piano”…”Delle vostre cose non ne parlavate soltanto lei e il Calamandrei”? V. “Mh, eh, sì”. Z.: “Ne ha parlato anche con quegli altri amici”? V. “Sì”. Avv. Zanobini: “Eh, non avevo capito bene” e l’avvocato Filastò: “Ha detto sì”. Avv. Zanobini: “Quindi, per esempio anche con il dottor Mancini, con il dottor Biagiotti, con il Torricelli? Sempre delle vostre cose parlavate”? Vanni: “Era amico, era amico”. Vanni diceva che quando andava a casa di Don Polidori e del sindaco anche loro gli offrivano un bicchiere di vino e il caffè, come il Calamandrei. E a domanda: “Quando” – a pag. 129 – “andava in casa del sindaco, no”? V. “Sì”. Z. “Che gli offriva anche lui un bicchiere di vino”? V. “Sì, ha voglia”! Z. “Per caso glielo offriva anche Don Polidori”? V. “Sì”. Z. “E quando andavate…e quando andavate a casa del sindaco”… V. “Sì, in casa”… Z. “dov’è che stavate a parlare delle vostre cose? In salotto? Dove”? V. “Sì, in casa, in casa”. Z. “Quante stanze c’ha la casa del sindaco”? V. “Parecchie”. Z. “Era grande”. Z. “E quanti salotti c’aveva quella del sindaco”? V. “Un paio”… Z. “Eh, lo credo. La conosce bene anche la casa del sindaco”. V. “Sì”. Z. “E quando andavate a casa di Don Polidori dove stavate a parlare, in salotto”? V. “Sì”. Z. “Quella della canonica”? V. “Anche quella grande”. Z. “Senta, e a casa del Ciapetti ogni quanto ci andava”? Pag. 131. V. “Di quando in quando”. Z. “Ogni quanto”? .V. “Ogni tanto”. Z. “E a casa di Don Polidori”? V. “Sì, uguale”. Z. “Uguale, ogni tanto. Ogni tanto come a casa del Calamandrei”? V. “Eh, eh, ha voglia”. Z. “Ha voglia vuol dire forse di più che… di più da loro che dal Calamandrei”? V. “Eh, eh”. Z. “E quanto è durata l’amicizia con il Ciapetti, con il sindaco”? V. “Per sempre”. Z. “E quella del Calamandrei, invece”? V. “Uguale”. Z. “Cosa vuol dire poi tanto tempo per il Calamandrei”? V. “Eh, andavo a piglia’ le medicine”. Poi Vanni parlava delle lettere, scritte a tutti i paesani – pag. 132. Vi era il controesame dell’avvocato Patrizio Pellegrini, difensore di una delle parti offese, che a pag. 136, chiedeva: “Gliel’ha presentato lei il Pacciani al Calamandrei”? E lui rispondeva: “No, io non ho presentato nulla”. P. “Ecco, quando cominciò ad abitare a Mercatale? Com’è che diventò amico del Calamandrei”? (si riferiva al Pacciani). Vanni: “Mah”. Sempre l’avv. Pellegrini: “Senta, a queste cene c’era anche questo omone nero di cui si è parlato”? Vanni: “Mah. No, mai, non l’ho mai visto”.. “Alle cene non c’era nessuno di fuori”? “Erano circa una ventina, anche di più, tutti paesani”. Pag. 138. V. “No, tutti di paese, anche di più di venti, ha voglia”. Poi vi era il controesame dell’avv. Vieri Adriani, altro difensore di una p.o.: “Vorrei mostrare al testimone una fotografia che è allegata al verbale di sommarie informazioni della signora Ghiribelli” – pag. 139 – “e chiedere se riconosce in questa fotografia una delle persone che frequentavano queste cene”. Vanni rispondeva: “Sì”…il Vanni non aveva capito, detta fotografia era allegata all’interrogatorio della Ghiribelli e l’avv. Filastò gli diceva: “Sì, si ricorda la Ghiribelli”? E lui: “Sì, bravo, sì, quella signorina che è morta, che era contro di noi. La Ghiribelli, che bestia”! Quindi l’avv. Adriani: “Ecco, io le chiedo se lei riconosce in questa fotografia qualcuna delle persone con le quali si accompagnava a queste cene”. Gli veniva mostrata la fotografia a pag. 140, e il Vanni rispondeva: “Pucci Fernando, sì, di Monte Firidolfi”. “Questo signore lo riconosce”? “Sì, è il Pucci”. E l’avv. Adriani: “A me non sembra il Pucci”. L’avv. Filastò diceva: “Lui ha detto il Pucci, perché sotto c’è scritto Pucci Fernando….invece quello lì è tutt’altro che il Pucci”. Allora l’avvocato Adriani insisteva: “Ma lei lo riconosce, ai di ià del nome che c’è scritto sotto? Questa persona lei la riconosce”? “lo lo riconosco, è il Pucci”. Poi, a pag. 144, anche il Giudice insisteva a fargli vedere la foto. E Vanni ripeteva, per la quinta volta: “E’ Pucci Fernando, con questa barbona”. Poi, ancora, a pag. 145, veniva mostrata al Vanni altra foto, sempre dall’avv. Adriani, Vanni sicuro rispondeva: “Questo non lo conosco davvero. No, non lo conosco. Sono sicuro”. La foto che gli veniva mostrata era la numero 8, allegata alle s.i.t. della Pellecchia, corrispondente al Narducci Francesco. Poi Vanni non riconosceva, a pag. 146, neppure lo Jacchia. L’avvocato Saldarelli mostrava di nuovo al Vanni la prima foto, e Vanni, ancora una volta rispondeva: “Gli è Fernando” (Pucci).

All’esito dell’incidente probatorio i P.M. decidevano di sentire il Vanni in data 25.1.2005; a pag. 6 si domandava, da parte del Pubblico Ministero: “La vengono a trovare i parenti”? “Sì” – faceva Vanni – “poi c’è il mi’ fratello” 19. Il dott. Canessa riprendeva il discorso dell’incidente probatorio: “Si ricorda lei quando era stato in casa del Calamandrei… l’aveva ben descritta, due bagni, due salotti”? “Un me lo ricordo, ‘un me lo ricordo”. A pag. 12. “Lei ha conosciuto la moglie, la signora Ciulli, mi pare, vero”? “Sì”. “Ci ha anche parlato”? “Sì, c’ho parlato”. “In casa”? “Eh”. “Diciamo, era un’amicizia, una conoscenza come col Calamandrei o al solo buonasera”? “Sì, sì”. “Sì cosa”?

19 (Vanni non risulta che abbia fratelli!!!)

domandava il dottor Canessa. “Di che cosa parlava con la signora Ciulli”? “Delle medicine”. “Ma la signora Ciulli non stava in farmacia”? “Mh”. E gli dice, siccome fa “mh”… “E’ una domanda: la signora Ciulli stava anche in farmacia? Vendeva le medicine lei”? “Sì”. Tuttavia tale circostanza non ha  trovato alcuna conferma. “Ah”. “Sì, sì, andava, sì”. Si prosegue, a pag. 14. “lo le avevo chiesto l’altra volta, prima, anche questo: ma quando c’erano queste persone che lei ha detto che andavate a trovare Calamandrei, il Pacciani”… “Sì”… “E il Lotti, e ha detto alle volte il Pucci, poi, lei è stato abbastanza dettagliato sul punto, le ho chiesto: come mai andavate a casa e di cosa parlavate”? E Vanni: “Delle medicine”. E il Pubblico Ministero: “Capisce, Vanni, andare in casa per le medicine, sembra quasi inverosimile. Lei deve dire la verità. Eh, non può cavarsela dicendo “per le medicine”. Andavate in quattro per le medicine. E’ difficile crederla. Di cosa parlavate? Il Pacciani, era più amico il Pacciani di Calamandrei”? Vanni: “Sì”. P.M.: “Sa come si erano conosciuti il Pacciani con il Calamandrei”? “No, non lo so”. “Gliel’ha presentato lei”? Pag. 15. “Sì”. E il P.M.: “Sì, nel senso lei ha presentato il Pacciani al Calamandrei”? Si vuol fissare bene il punto. E il Vanni: “Il
Pacciani”. “E come mai? Come mai? Qual’era il motivo? Calamandrei cosa cercava? Perché gli presentò il Pacciani”? “Mah, che gli ho a dire io”? P.M.: “Vede che lo sa? Lo vedo come da lei… ormai io e lei ci si conosce, Vanni”. E allora diceva: “Perché gli presentò il Pacciani”?, pag. 15. “Calamandrei, capisce, era uno… non so, forse cercava qualche donna, qualche prostituta”? Vanni: “Non lo so”. “Non lo sa. E il Lotti perché glielo presentò lei”? “Sì”. “E il Lotti glielo presentò lei”? “Sì, anche il Lotti”. “Anche il Lotti”. Pag. 16. “Ma oltre che a casa per caso voi quattro, voi tre, andavate, non so, a mangiare o a bere qualcosa fuori, nei locali, il Pacciani e il Calamandrei”? Vanni: “Sì, a mangiare”. “A mangiare andavate insieme”? “Sì”. “E dove andavate a mangiare”? “Eh, al Ponte Rotto”. “Veniva anche Calamandrei con voi”? “No”. “Ah”. P.M.: “Ecco, lui mai. Invece la mia domanda era se vi è mai capitato di andare da qualche parte voi con Calamandrei”. Vanni: “No”. “No. Lo incontravate solo in casa”? “Chiaro”. “E però, capisce, noi dobbiamo cercare di capire, ci interessa Pacciani e Lotti, non lei”, fa il Pubblico Ministero. “Come mai Pacciani era presente? Ma erano diventati amici? Si vedevano parecchio”? “No”. “Eh”? “Siamo amici, così”. “Scusi, ho paura a volte che non riesce a capire le mie domande”. “lo domando, le chiedo: l’amicizia, se c’era un’amicizia fra Calamandrei e Pacciani. Erano diventati amici? Si frequentavano”? “Sì, andava lì a piglia’ le medicine”. Poi domandava il Pubblico Ministero: “M’ha detto gliel’ha presentato lei, eh”? Vanni: “Sì”. “Ma fu Pacciani a chiedere di conoscere Calamandrei”? a pag. 18 – “o fu Calamandrei che chiese”? Vanni… “o fu Calamandrei che chiese”… Vanni: “Calamandrei”. Quindi era il Calamandrei che chiese di conoscere il Pacciani. P.M.: “Ho capito. Calamandrei gli chiese: fammi conoscere il Pacciani, eh? Perché voleva conoscere il Pacciani”? “Mah, ‘un lo so, ‘un lo so il motivo”. “Ma come le disse? “Voglio conoscere il Pacciani perché è il Pacciani” o le disse “voglio conoscere una persona così, così, così”? “Ho Capito. Calamandrei gli chiese: fammi conoscere il Pacciani. E perché voleva conoscere il Pacciani”? “Mah, ‘un lo so, ‘un lo so il motivo”. “Ma come le disse? “Voglio conoscere il Pacciani perché è il Pacciani” o le disse “voglio conoscere una persona così, così, così”? Vanni: “Mah. O icché gli ho a dire
io”? P.M.: “No, me lo dica, perché vede, ci s’arriva, eh? Cioè, Calamandrei aveva bisogno di qualcuno, di conoscere qualcuno che gli serviva a
qualcosa”. E il P.M. proseguiva: “E cosa doveva fare? A cosa gli serviva al Calamandrei conoscere il Pacciani”? Vanni: “O che lo so io”? P.M.: “Ma perché lei Vanni scelse proprio il Pacciani per questo, da presentargli? Cosa cercava? Di chi aveva bisogno? Di chi aveva bisogno? Di qualcuno”? “Non lo so”. “Ma quando Calamandrei gli chiese” – pag. 19 – “di conoscere il Pacciani, lo conosceva già”? Qui interveniva il P.M. dottor Crini: “Lo conosceva già lui il Pacciani? Sapeva già chi era”? La risposta del Vanni: “Ha voglia”! “Ha voglia”. Pubblico Ministero. “Ci Spieghi cosa vuol dire “ha voglia”. Perché lo conosceva già? Sapeva già chi era”? “Mah”, rispondeva il Vanni. Pubblico Ministero Canessa: “Com’è che l’aveva saputo? Da chi”? “Non lo so”. “Ha detto “ha voglia”. “Non lo so”. “E la prima volta glielo portò lei”? Vanni: “Si”. “E dove glielo portò”? “Alla farmacia”. “E andaste anche su in casa”? “Sì”. “Eravate voi tre soli o c’era qualcun altro”? “No, eravamo noi soli”, “E insomma, Vanni” – diceva il Pubblico Ministero – “è chiaro che noi non la crediamo; noi la crediamo quando dice che fu lui a chiedere di voler
conoscere il Pacciani. Però di cosa parlavate? Ce lo deve dire”. Vanni: “No, non lo so mica io”. “Ma qua, davanti a lei, cosa gli disse il Calamandrei? Glielo portò lei per la prima volta. Si ricorda in che epoca”? “Si parlava delle medicine”.. “Ho capito”. “D’altre cose… che gli devo dire? Sennò”… Dottor Canessa: “Glielo dico io perché in questo noi non la possiamo credere”. Allora interveniva il dottor Crini: “Può darsi… da dove stava lui per venire fino a San Casciano, per le medicine, sembrava un pochino una storia, perché a Mercatale c’è la farmacia. Quindi perché il Calamandrei le disse “fammi conoscere il Pacciani””? “Mh”, la risposta del Vanni a pag. 21. Ancora il dottor Crini: “Perché? Se gli interessavano le Medicine sarebbe stato il Pacciani a dire “presentami il farmacista perché ho bisogno di sapere un po’ meglio di queste medicine”. . “E quindi perché lo voleva conoscere? Cosa gli disse a lei”? “C’ho da andare per le medicine, per la mi’ moglie, per i soliti discorsi”. “E lei quando andò da Pacciani, Vanni, cosa gli disse? Guarda, c’è il farmacista” – a pag. 21 – “Calamandrei che ti vuole conoscere”? “Sì, sì, sì”. Pubblico Ministero: “Ma stava già a Mercatale”? Vanni: “Sì, a Mercatale”. Il P.M.: “Allora scusi, ma lei fece ad andare da Pacciani e dirgli “vieni con me da Calamandrei””? “No”. “Come vi vedevate”? Pag. 23. “Eh, lo chiamai”. “Come lo chiamò”? “Sì, per telefono”. “Aveva il telefono”? “Sì, eh, ha voglia, c’aveva il telefono”, il Pacciani, eh? In quel momento… lo vedremo dopo quand’è che avrebbe dovuto avere il telefono. “E Pacciani gli disse” – Pubblico Ministero – “oh, ma icché vole da me questo Calamandrei”? “Eh, eh”, dice il Vanni. “Disse così o disse “no, no, vengo””? “No, disse a codesta maniera”. “Però venne lo stesso”. “Sì, sì, ha voglia”. “E poi? Dopo quella prima volta ci tornaste insieme”? “SÌ, sì. Sì, sì, sempre a casa, sempre a casa”. “Ma era il Calamandrei che diceva “vediamoci, portami il Pacciani, ci si vede””? Pag. 24. “Sì, a codesto modo”. E allora qui, cioè, bisogna che lei ci spieghi come mai Calamandrei vi voleva vedere. Perché vi chiamava”? Vanni: “Ma che… che… per le medicine”. Pubblico Ministero: “Ho capito, ma per chiamarvi cosa faceva? Telefonava Calamandrei a lei”? “Sì”. “A lei”? “A me”. “Ah. Gli telefonava e gli diceva “vieni a casa e porta anche il Pacciani””? Pag. 24. “Eh”. “E il Lotti? Come avvenne? Quand’è che portaste anche Lotti”? “Dopo un po’ di tempo”. “Dopo un po’ di tempo portaste anche Lotti. Chi lo decise di portare Lotti”? “Boh”. Pubblico Ministero: “La sento in difficoltà. Come mai”? “Mah”. A domanda: “Ma è una cosa brutta”? Vanni replicava: “No”. P.M.: “Allora io… la domanda era semplice: chi decise di portare Lotti dal Calamandrei”? Vanni:”Mah”. Pag. 25. “Quindi vuol dire che, se lei è in dubbio, vuol dire che lo decise lei, Vanni, eh”? “Mah”. “Lo decise lei, Vanni”? “Sì” “Ma come mai? Ce lo spieghi meglio, via, come portaste il Lotti una sera”? “Mah, io icché gli devo dire? Non lo so, boh, certe cose”… “Certe cose le capisco, però a noi invece ci interesserebbe capire come mai venne anche Lotti una sera”, pag. 26. “Ho capito”. “Il Calamandrei lo conosceva di già il Lotti o glielo presentaste voi”? “No, glielo presentai io”. “Oh, ha visto. Glielo presento lei. Ma il Lotti il Pacciani lo conosceva già a quell’epoca”? “Sì, sì”. “Ah, Andavate insieme al Ponte Rosso”? “Sì”. P.M.:”Portaste anche il Lotti”?..”Ma io non ho capito che curiosità aveva. Che cosa voleva da voi il Calamandrei? Quindi dica la verità, me lo deve far capire”. Vanni: “Medicine… ma che medicine”? “Sì, ma capisce, questo non la crediamo, ci sarà un altro motivo. Lotti ci poteva andare da sé a comprare le medicine. Perché il Calamandrei voleva voi”? “Mah, icché lo so io”? Pubblico Ministero: “Le ho chiesto se per caso il Calamandrei” era alla ricerca di qualche… può capitare, era separato, aveva dei problemi con la moglie” – pag. 27 – “cercava qualche… voleva venire con voi a qualche prostituta, eh? Che tanto l’avete detto andavate a prostitute. Forse voleva venire anche il Calamandrei con voi”? “Mah”. Dottor Canessa: “Eh”? “leché gli ho a dire”? Vanni. “No, se è così me lo dice”. Vanni: “Mh”. “E’ così”? Vanni: “Sì”. “Voleva andare da qualche prostituta”? “Mh”. “E da chi? “Mh” vuol dire sì? Sennò non si capisce”. Vanni: “Sì”. “E voi da chi lo portaste? A Firenze o lì”? E il Vanni risponde: “A Firenze”, “E non ci poteva andare da solo? Perché voleva venire”? Non si capisce, dice, parla a voce troppo bassa. “E da chi andaste? Se lo ricorda”? “No, non me lo ricordo ora”. Dottor Crini: “C’era da dire su questo, se lo ricorderà lei, da chi andava”? Dottor Canessa: “Anche perché l’avete detto da chi andavate, quindi se veniva anche il Calamandrei, si ricorda da chi andavate”? Dottor Canessa: – questa è |a domanda, eh” – “In centro a Firenze”? E Vanni: “Sì, a Firenze”. “A Firenze, Ma la sera o la domenica, il sabato? Quando ci andavate”? “A settimana”. “E veniva anche Lotti? E andavate in macchina del Calamandrei”? || Vanni risponde: “Sì”, E Canessa: “Mh. Che macchina aveva”? Vanni: “Mah, una bella macchina”, pag. 28. Dottor Canessa: “Di che colore”? .La risposta del Vanni “Una Ferrari”. “Ma era una macchina grande”? “Eh”. “Ma lei ha detto una Ferrari tanto per dire? C’aveva una macchina proprio Ferrari”? dottor Canessa. “Eh, c’aveva una macchina bella”. “Grossa”? “Grossa”. “Ma c’aveva anche una macchina sul colore verdolino, verde? Ce l’aveva”? “Ma, quello ‘un lo so”, “E dove andavate voi? Voi quattro e basta”? “No, solo noî”. Quindi… quindi… “E chi… e guidava sempre il Calamandrei”? “lo la macchina non la so mandare”. “E andavate dalle prostitute”? “Mh”, “Ma il Calamandrei era uno che gli piaceva andare insieme, tutti insieme, nella camera, a prostitute” E quindi lui dice: “Sì”… “sì”, poi dice “no”. A Pag. 31: “Ma pagava il Calamandrei”? “Eh”. “O ognuno pagava il suo”? “Ognuno il suo”. “Ah”. Sj fa il commento: “Non era nemmeno tanto generoso”. “Si capisce”, dice il Vanni. “Ma dov’era? Era sempre la stessa? Perché… perché ce n’era una brava che vi andava bene a tulti e quattro”? “Sì”. “Ce n’era una”… “Una brava, sì”, ” chi… e chi era questa? Dove stava”? “A Firenze”. L’aveva già bell’e detto. Dottor Canessa: “Volevo Sapere chi era questa, perché sa, se ci andavate doveva essere una particolarmente disponibile a fare una Cosa in quattro. E’ così”? “Eh, bella”. “Come si chiamava”? e lui dice: “Elena”. “Elena, le pare. Ma la conoscevate… lei, voi? O la conosceva lui”? “Non la conosceva”. “Ce l’avete portato voi”? “Sì”. Eh, lo so che non è piacevole, però è così. “Ce l’avete portato voi? Da che parte della città stava”? Pag. 32. “Eh”. “Dove la stava questa donna”? “Quasi in centro, vicino al centro”. Dott. Canessa! “Vicino al Duomo”? “Sì, bravo, l’era il Duomo, vicino al Duomo”. “C’aveva una casa da sola”? Eh, lo so, è da ridere, mi fa ridere anche me, ma io non posso. “Sì, sì”. “Elena, ha detto”? “Mi pare”. “Si ricorda il cognome”? “No, il cognome no”. “Quanti anni l’aveva? Ha detto era bella, era giovane”. “Una quarantina”. E qui bisogna soffermarsi. “Una quarantina”, Perché si entra, con la pazienza che si deve avere, nella cronologia. “Una quarantina”? “Una quarantina boni, sì, sì”. “Bionda? O si fingeva”? “No, no, era bionda, era ben messa…” “E riusciva…” — pag. 34 – “e riusciva a tenervi tutti”? “Eh, ha voglia”! “Tutti insieme”? “Eh, sì”. “Vanni, oh, e glielo chiedo perché ci andava lei a trovarla, non si meravigli”. La risposta di Vanni: “Era una bersagliera”. “E in questa casa voi ci andavate di sera o di pomeriggio”? “Mah, all’ora di sera”. “Di sera. Dopo che lui aveva chiuso la farmacia”? “Dopo desinato”. “No, dopo desinato o dopo cena”?, gli si domandava. “La cena”. “Ah, la sera, al buio”. “Eh, proprio”. “Ma quando ce l’avete portato la prima volta l’indirizzo come gliel’avete dato? AI Duomo, come avete trovato la casa? Voi ci andavate già”? “Sì”. “Come l’avete trovata la casa vicino al Duomo”? Pag. 34, E poi, Pubblico Ministero: “In che epoca siamo? Lei quanti anni aveva quando questa donna aveva quarant’anni”? La risposta del Vanni: “Erano sui trentasette”. “Ah era giovane”. 20 “Quindi” – diceva il dott. Canessa – “si trattava di una trentina d’anni fa”? “EN, mi sembra, suppergiù”. “Diceva quaranta, mi pare, vero? Gli anni della prostituta”? dice il dott. Crini, “Eh, così”. E il P.M.: “Quindi a trentasett’anni, se è così”. “Eh, beh”. “E’ un po’ di tempo. Perché? E avete cambiato”? “Sì”. “E da chi siete andati dopo”? “Da un’altra”. “E quell’altra come si chiamava”? Vanni: “Eh, ce n’è tante di queste donne”. “Però volevo sapere dopo l’Elena come si chiamava quella dopo, quella dopo”, a pag. 36. Vanni: “Giuliana”. “Ah. Quella dopo Giuliana. E com’era”? “Bella, anche questa”. “E questa chi la conosceva? Come mai andaste dalla Giuliana”? Pag. 37. “Chi la conosceva? Come la conosceste la Giuliana”? “Mah. La conosceva il Pacciani”. Dott. Canessa: “Anche questa”? Vanni: “lo andai con lui”. “E Giuliana dove stava”? “Eh”? “In che parte stava”? Vanni: “In via Cavour, mi pare”. “In via Cavour”. “Mh”. “La Giuliana. A che piano”? “Eh, al secondo”. “Secondo piano”. Dott. Canessa: “Via Cavour, vicino al Duomo”. “Sì”, “O vicino a Piazza San Marco”? “Vicino al Duomo, vicino al Duomo”. “E Giuliana come si chiamava di cognome”? “Non me lo

20 Se il Vanni, quando andava da Elena e dalle altre prostitute, aveva l’età di trentasette anni, essendo nato nel ’27, l’anno di riferimento doveva essere il 1964; all’epoca di queste spedizioni il Narducci, essendo nato nel 1949, aveva quindici anni, mentre il Pacciani era ristretto in carcere (risultando essere stato detenuto dall’anno 1951 all’anno 1964).

ricordo”. “Ma ci veniva anche il Calamandrei”? pag. 38. “Veniva anche il Calamandrei dalla Giuliana”? “Sì, anche lui, anche lui qualche volta. E l’era una bella donna, anche questa, bionda”. “Quanti anni avrà avuto”? “Era più giovane della Angela”, mi pare dice, vero? Sì. “Una quarantina”. “Era più giovane, più giovane dell’Elena”. “Anche questa Giuliana era disposta a fare tutti e quattro? Ma quanto spendevate per andare in quattro da questa”? “Eh, suppergiù” – Vanni – “una cinquantina”. “Per uno”? “Eh”. “Quindi voleva duecentomila lire per prendervi tutti e quattro”, pag. 39. “Eh, ci credo”. “Senta una cosa, siamo tutti uomini, ma il Calamandrei in questa situazione era uno che era un attivo? C’aveva dei problemi? Che guardava e basta”? “No, veniva con noi”. “Sì, ma con la donna voleva fare qualcosa anche lui”? “Sì, sì”. “Ho capito”. “Ma c’era qualcun’altra dopo la Giuliana? Da chi andaste”? “No, poi non lo so”. “Lei si ricorda questa Elena” – Pubblico Ministero, a pag. 40 – “e questa Giuliana. Quando ha detto la Giuliana stava in via Cavour vicino al Duomo… e invece l’Elena rispetto a via Cavour da che parte stava”? “Ah, non lo so ora”. “Vicino? Vicino”? “Mah”. Dott. Canessa: “Ma il Pacciani come la conosceva? Ci andava anche con qualcun altro”? “Sì”. “Con chi ci andava”? “Con il Lotti”. “Ho capito. Il Pucci ce l’avete mai portato a prostitute insieme con il Calamandrei”? “No, lui non è mai venuto”. “Non sa mica che fine hanno fatto queste prostitute”?, a pag. 41. “No”. “Sa mica per caso se sono morte”? “No, io non credo, poi”… “No, perché sa, a Firenze dicevano che in quegli anni ammazzavano le prostitute”. Ma non erano gli anni ’64, eh? “Queste due qui quindi erano più grandi di lei, era più giovane”? “Più giovane, io ero più giovane”. “Era il più giovane”? “Si”. “Ma quando andavate da queste c’era anche altra gente? Gli telefonavate”? “No, gli si telefonava, ci si sentiva”. “Voi quattro”? “Eh”. “In quella via Cavour”. “Sì”. “AI piano secondo”. “Secondo, secondo. Si saliva poco”. “Queste donne però” – dice il dott. Canessa – “non avrebbero… noi avremmo bisogno di capire qualcosa di più, perché noi crediamo che lei dica la verità, però capisce, ci farebbe comodo capire chi sono, per chiedergli se si ricordano..”. Pubblico Ministero: “Avevano un soprannome”? “No”. Pubblico Ministero: “No, ma m’ha detto… com’era? Bersagliera? Una bersagliera”? Avvocato Filastò: “Nel senso che era, dott. Canessa, una bella donna, arrapata, arrabbiata”… “Sapeva come fare, era attrezzata”. Poi si chiedeva a Vanni se fosse disposto ad andare a indicare la casa dell’Angela e della Giuliana, in via Cavour, e se fosse in grado di farlo e Vanni acconsentiva. A pag. 48, a domanda del Pubblico Ministero: “Se noi la volta che andiamo a vedere la casa della Giuliana la portiamo, lei ci sa indicare anche dove stava l’Elena o no”?, Vanni replicava: “Sì”. Pubblico Ministero: “Erano vicine parecchio”? “Eh, parecchio”. Allora domandava: “L’Elena a che piano stava”? Vanni: “AI secondo”, “Ah, anche l’Elena”. “Erano vicine parecchio”? “Eh, parecchio”. “L’Elena stava al secondo piano”. “Anche l’Elena”, A pag. 49, Pubblico Ministero: “Ma perché, scusi il Calamandrei voleva venire con voi a prostitute? Perché non ci andava da solo”? Vanni: “Mah, e voleva venire con noi”, Pubblico Ministero: “Lo disse lui”? “Sì”. Pubblico Ministero, pag. 50: “I figlioli ce li aveva? Erano piccini o erano già grandi”? Vanni: “Eran piccini”. Pubblico Ministero: “Si ricorda se ha avuto sempre la stessa macchina o se cambiava Macchina, a volte, quando siete andati”? Vanni: “Mah, io ho sempre visto la solita”. Pubblico Ministero: “Con quella rossa”? “Eh”. Pubblico Ministero: “Sicché Quando facevate questi viaggetti a Firenze” – pag. 51 – “col farmacista, era il periodo che questi ragazzi erano ragazzini”? “Sì, sì”, P.M;: “Andavano a scuola? Cioè, che età avevano, potevano avere”? “Mah, ora”… Pubblico Ministero: “Dieci
anni? Quindici anni? Tre anni”? “No, una decina d’anni”. A pag. 53: “Eppure è strano che ha voluto venire con voi il Calamandrei, no? Come mai? E come… come lo cominciò il discorso”? Vanni: “Come”? “Il Calamandrei com’è che vi disse? “Voglio venire con voi a prostitute”? E Vanni: “No, disse “Vengo anch’io”. La venga, la Venga, gli si rispose noi”. Pubblico Ministero: “Pacciani fu d’accordo subito a portare anche il Calamandrei”? “SÌ, sì”. P.M.: “Lo propose lei, Vanni”? “Sì”. Pubblico Ministero, pag. 54: “Gli è stato chiesto in corso di incidente probatorio se – e io gliela rifaccio così la domanda sa se il Calamandrei frequentava un medico? Gli è stato chiesto in corso di incidente probatorio e io gliela rifaccio così”. P.M. “Sa se il Calamandrei frequentava un medico, conosceva un Medico più giovane di lui”? Vanni: “Non lo so”. Pubblico Ministero: “Uno elegante”. Vanni: “No, non lo so” Pag. 54. Si passava poi alla individuazione fotografica del Narducci. Pubblico Ministero: “Se io le faccio vedere delle fotografie di una persona che tanti dicono che conosceva il Calamandrei, lei mi può solo vederle e dirmi se l’ha mai visto, eh”? “Mi faccia vedere chi è”, diceva Vanni. “Gliele faccio Vedere, son delle foto, fatte per bene”. dice il dottor Canessa. “Le guardi un po’, sono sempre… non c’è nomi, eh? Non c’è nomi”. E mostravano la foto. Pag. 55. E la risposta del Vanni: “Questo l’è un omo”. “Eh.”. Dott. Canessa: “Eh, questo è un uomo”. Vanni: “Eh, lo credo”. “Ma lei” – domandava l’avvocato Filastò — “ lo conosce? L’ha già visto”? . “Sì, l’ho visto qualche volta”. Dott. Canessa: “L’ha visto col Calamandrei”? Vanni: “Col Calamandrei”, “Ma è giovane”. “Eh, l’è giovane sì”. “Erano amici”? Dott. Canessa, Pag. 56. “Sì”. “Ci Spieghi un po’ come mai erano amici”. “Ma come”? “Erano amici”. E Vanni: “Ma come, erano amici, io ‘un lo so mica come sta questa faccenda”, “E dove l’ha visto”? “Eh”. “Eh”? “Dove l’ha visto”? Vanni: “A Firenze”, “E perché ha detto subito, appena ha visto questa foto “l’è un omo””? “Mah, e ci vuol poco a conoscere”. “Ho capito. Ma lei” – Pubblico Ministero – “ha visto anche col Calamandrei che parlavano anche delle cose di cui parlavate voi”? “Sì”, dice Vanni. “Ma lo sa come si chiamava”? “No, il nome non lo so”, pag. 57. “Ma sembra una persona” – fa il Pubblico Ministero – “non so, così elegante, è una persona a modo, insomma, non è un contadino o un Operaio, eh”? “No”, risponde il Vanni. “Lei se lo ricorda così”? “Eh sì”. “Mi dica qualche altra cosa” – fa il Pubblico Ministero – “su questa persona”. “Non lo so”, Pubblico Ministero ancora: “Ma era di San Casciano o era di fuori”? “Di fuori, di fuori”. “Non era di San Casciano? E di dov’era? Lo dica. Di dov’era? Lo diceva”? “Mah, ‘un lo so, ‘un lo so dire da dove viene questo giovanotto”, “Lei dice era Un giovane” – Pubblico Ministero – “era un giovane… era più giovane di voi o era”…? “SÌ, era più giovane di noi”, “Parecchio”? “Eh”. “Era elegante” -fa il Pubblico Ministero – “vestiva per bene”. “Sì, vestito bene”. Dottor Canessa:; “Per bene vuol dire in cravatta”? ” |] Vanni: “Eh, lo credo”. “Quindi c’aveva anche la cravatta. Era alto? Fra magro? Era basso”? “Era più basso di me”. “Un po’ più basso”. “Sì”. “Ma era un ragazzo”? “Era un lagazzo, vestito bene”. “C’aveva la macchina lui”? Pag. 59. “Sì, anche lui”. “E che macchina c’aveva? Di che colore”? “Non lo so. Una Volkswagen verde, mi pare”. “Macchina tedesca. Di che colore”? “Verde”. “Verde”? fa il dottor Canessa. “SÌ, verde”, “Grossa questa o piccola”? “No, no, grossa”. “Di quelle a quattro porte, per intendersi”? “Sì, esatto”. “Verdolina, com’è che ha detto? Verde”? “SÌ, sì”. “Ma lei si ricorda se questa macchina era targata Firenze? L’ha mai visto? O era targata di fuori”? “Non lo so”. “Non lo sa. Su questa macchina lei ci è mai salito”? “Sì”. “Con lui”? Pag. 60, “Sì”. “Guidava lui”? “lo ‘un la so mandare”. “E dove siete andati”? “Eh”, “Eh”? Pubblico Ministero: “Non si ricorda? Dove siete andati”? “A Firenze”. “Con lui”? “SÌ”. “E il Calamandrei”? “E il Calamandrei”. “E anche il Pacciani”? “C’era anche il Pacciani, sì”. Pubblico Ministero: “E siete andati da una prostituta? E veniva anche questo con voi”? E il dottor Crini: “Vanni, quando andavate che c’era anche lui, prendevate l’auto questa verde”? Vanni: “Sì. Lui guidava. lo mi lasciavo portare”. P.M.: “E da chi andavate? Da quelle due o da altre”? “No, da queste due, dalle solite”, E quindi il periodo era il medesimo e all’epoca sicuramente il Narducci non poteva avere più di 15 anni essendo nato nel ‘49!I!l “Ma questo aveva una casa anche a San Casciano, da qualche parte”? domanda il Pubblico Ministero, Pag. 62. Vanni: “No, a San Casciano no”. Pubblico Ministero: “No. Dove ce l’aveva”? Vanni: “Un lo so”. “A Mercatale”, P.M.: “Ma con voi lo portò Calamandrei”? Vanni: “Calamandrei”. “Lo conosceva lui”? “Sì. Era amico. Si davano del tu. Era più giovane di tutti noi”. Pag. 64. Ora gli venivano mostrate le foto dell’album numero 4 del 2003, Pag. 64, tutte sempre del dott. Narducci. “Come si chiamava questo giovane? Come lo chiamavate voi”? “Giovanni”. “Lo chiamavate Giovanni”. “Sì, questo”, “Ma sa se era il vero nome o si chiamava in altro modo”? “No, non so”. “Ma che mestiere faceva”? “Mah, il muratore”. “Ah, il muratore” — fa il Pubblico Ministero – “però era elegante come muratore. Vuol vedere qualche altra foto se gli somiglia? Guardi, è la stessa persona, eh”? dott. Canessa. Le altre foto che gli si mostravano erano la numero 2, la numero 3 e la numero 4 dello stesso album 4/2003. Il Vanni alla foto n. 2 rispondeva: “Questo ‘un lo conosco”. Fa il Pubblico Ministero: “Ho capito. Guardi bene, però, perché”… “Sì” – fa il Vanni – “l’ho guardato bene”. “Guardi bene” – dice il Pubblico Ministero – “e s’assomiglia questo qui un po’, no? E’ la stessa persona. Glielo dico io. Andiamo avanti. Gliene faccio conoscere un’altra”. Perché il Vanni diceva: “Sì, sì”. “Un’altra”. “Questo non lo conosco. Nemmeno questo”. Pag. 65. “Bene. Quindi quello che dice lei è questo qui, il numero 1”? Allora poi c’è… non so che cosa e dice: “SÌ, sì, l’ho bell’e scritto”. “Allora no, a verbale non l’abbiamo detto, comunque lo diciamo perché rimanga nella trascrizione: si dà atto che è stato mostrato” – pag. 65 – “al signor Vanni l’album fotografico « numero 4/2003 della Polizia Giudiziaria, in particolare Gruppo G, Ministero dell’Interno… e che in tale album sono state mostrate le foto del numero 1, 2, 3 e 4, che il signor Vanni ha riconosciuto nel giovane la foto numero 1 dicendo che non conosceva gli altri. Quindi, numero 1 : Che ha detto conoscere come Giovanni”. “Ci dica qualche altra cosa di questo con la macchina verdolina, via. Che tipo è? Quando è venuto? Veniva spesso”? “Sì, tante volte, parecchie volte”. Pag. 66. “Ma veniva anche di giorno di lavoro o questo era uno che veniva il sabato e la domenica”? “No, veniva nei giorni di lavoro”. “No, veniva i giorni di lavoro”. Gli si domandava: “Era toscano”? “Toscano”, risponde il Vanni. “Era fiorentino o le sembrò di fuori”? “No, fiorentino”. “Le sembrò fiorentino. Cioè, aveva un modo, la voce”… “Eh”. Dice: “SÌ, la voce”, rispondeva Vanni. Pubblico Ministero: “Un modo di parlare. Qui c’ha una catenina al collo, vedo. Lei l’ha mai visto che c’aveva una catena al collo”? “Un lo so come mai”. “Ma con le donne, ma anche lui c’aveva la fissazione delle donne”?, a pag. 67. “Sì”. “Ma con le donne, quando andavate da queste Elena e Giuliana, come si comportava”? “Per bene”. “Per bene, piaceva di molto. E bravo”. “Andavate a cena insieme dopo”? “Sì, siamo
andati, sì, anche a cena”. “Si ricorda dove”? “AI Ponte Rosso”. “Anche lui veniva là”? “A volte”. “Il Ponte Rosso a quell’epoca chi c’era li, se lo ricorda”? “I Matteucci” 21. P.M.: “Quindi il Matteucci lo conosce lui”? Vanni: “E io credo di sì”. “Veniva spesso”? “Eh”.

A proposito di quest’ultima dichiarazione del Vanni occorre evidenziare che il 21.1.2005, a distanza, cioè, di sette giorni dall’audizione del Vanni, venivano sentiti i titolari della trattoria “Al Ponte Rotto”. Matteuzzi Alessandro, figlio di Silvano, che era all’epoca il gestore del locale, non riconosceva il Narducci, neppure come frequentatore della Trattoria, negando che Calamandrei si fosse recato lì insieme al Lotti, al Vanni, al Pacciani e al Narducci. Gli venivano mostrate quattro foto dell’album fotografico 4/2003 e dichiarava: “Sono invitato ad osservare le foto numero” – a pag. 2 – “1, 2,3 e 4:” – cioè Narducci – “posso dire che non ricordo di avere visto questa persona, né che è un volto da me conosciuto”.

Matteuzzi Silvano, il titolare del locale, in data 25.1.05 riferiva: “Confermo le dichiarazioni già rese alla Polizia l’8.01.97 e il 27.08.2003 al Pubblico Ministero Canessa e al dottor Crini. Lotti lo si conosceva perché lavorava alla draga, che è lì vicino accanto alla Trattoria del “Ponte Rotto”…”Sì, conoscevo sia Vanni che Lotti. Venivano nelle ore pomeridiane a bere un bicchiere di vino e frequentavano la mia trattoria nelle ore pomeridiane”… “Come ho già detto, Vanni veniva anche in compagnia di persone più distinte, che venivano a cena la sera”…: “Tornando alle persone benestanti che venivano a cena nei primi anni Ottanta insieme al Vanni, ho già riferito. Ricordo che sicuramente insieme al Vanni, che al termine della cena in genere cantava, c’era il signor Pucci Silvano, che ha un’agenzia A.C.I. a San Casciano, e il marito di una signora di origine siciliana, e che è stata direttore delle Poste a San Casciano. Vi era tale Fusi Dino, ora deceduto, soprannominato “il Coppi”; con loro a queste cene c’era anche il farmacista Calamandrei Francesco e altri benestanti, di cui non ricordo il nome. A questo punto vengono mostrate le foto dalla 1 alla 4, nelle quali mi viene espressamente detto che è raffigurato Narducci Francesco. lo ho sentito parlare” – a pag. 2 – “di questa persona sui giornali recentemente, ho anche visto alcune sue foto, sempre sui giornali e nell’album che mi venne mostrato la volta scorsa dalla Polizia. Dopo aver visionato le foto da 1 a 4, che mi sono state mostrate, posso dire che non mi ricordano nessuno che ho conosciuto di persona. Un altro che veniva a pranzo era il Nesi Lorenzo, che aveva una maglieria a San Casciano. Non ricordo di aver visto Nesi e Vanni venire insieme. Tornando alle volte in cui Vanni veniva a cena con persone

21 (la trattoria si chiamava, in realtà, “al Ponte Rotto” ed i proprietari Matteuzzi)

benestanti, ora ricordo che oltre al Calamandrei e agli altri c’era anche un certo Pippo, che lavorava nelle Officine Stiatti c’era un certo Pecci Lamberto, che lavorava alle Poste”….”Per quanto riguarda il Pacciani, debbo dire che ho pensato al fatto se mai l’ho visto nel mio locale e mi è venuto in mente che forse l’ho visto qualche volta a bere vino di pomeriggio. Mi è venuto in mente Un ricordo relativo ad una domenica pomeriggio d’estate, in cui un gruppo di persone beveva nel mio locale ed una persona, che mi sembra proprio Pacciani, teneva banco e gli altri gli andavano… nel senso cioè che appariva Paesana. Quando ho visto il Pacciani in televisione o sui giornali, mi è venuto in mente questo ricordo. Quel pomeriggio mi sembra che tra gli altri, sette o otto che erano con lui, vi erano anche Lotti, Vanni, Dori Mario, detto “il Coppi”, Muso Salvatore”. Non ha parlato però del Calamandrei. “Come ho detto, parlando delle persone benestanti che venivano a cena, vi era senz’altro il Calamandrei. Si tratta di cene di soli uomini al termine delle quali il Vanni faceva il chiassone. lui terminava sempre con il saluto romano. Cantavano anche canzoni partigiane. Calamandrei però a volte veniva anche con la famiglia. Non sono in grado di dire che macchina aveva il Calamandrei. Conosco l’auto Citroen modello DS. Non ricordo di aver mai conosciuto qualcuno che possedesse tale auto. Non ricordo di aver visto persone con un’auto simile di colore verde nel mio locale.”

Il PM, in vista di tali audizioni, emetteva un decreto di intercettazioni in via di urgenza il 20 gennaio 2005, delle utenze cellulari del Matteuzzi Silvano e del figlio Alessandro per la durata di quindici giorni, entrambe poi convalidate dal G.I.P. il 21 gennaio 2005, con esito del tutto Negativo. In sostanza, dunque, i gestori del locale smentivano in maniera Categorica la circostanza secondo cui i protagonisti di fale vicenda (Pacciani, Lotti e Narducci) avessero mangiato insieme al Calamandrei nella {rattoria (a parte il Vanni, nelle cene conviviali sopra menzionate); il Narducci, poi, non veniva riconosciuto né dal padre né dal figlio quale frequentatore del loro locale.

Tornando all’interrogatorio (pag. 68), interveniva anche l’avv. Filastò domandando: “Con il Nesi ci è mai andato a Cercare le prostitute”? “No, col Nesi no”. Pag. 70. “Col Nesi mai”? “No, davvero”. Filastò: “Nemmeno una volta 0 due, per caso”? “No, mai andato io col Nesi”. “Nesi andava qualche volta lui”? “Sì, andava da sé lui”. “Andava da sé” “Sì”. “Con lei non c’è mai andato”? domandava Filastò. “No, con me non è mai venuto”, “E’ sicuro, Vanni”? sì”… “sì, sì”… Poi Vanni, a Pag. 73, parlava della terza prostituta. A domanda: “Ma c’era anche qualche altra prostituta”? “Sì, sì”, “E quando”… no, ancora non ci siamo… “E quando andava da solo chi cercava lei”? “Nessuno”, “Cercava una donna”, dice Filastò. “Sì. Come? Una donna”. “E chi era questa donna”? “La Silvana”. Pag. 73. “La Silvana”? “Sì”. “Mh”. “E questa Silvana dove stava di casa”? “Eh, boh”, la prima risposta. L’avvocato Filastò: “Dove stava questa Silvana di casa”? La risposta del Vanni: “via Cavour”. Avvocato Filastò: “Anche lei stava in via Cavour”? E il Pubblico Ministero, dott. Canessa: “Tutte in via Cavour le stavano”? Vanni: “Le maiale”. Avvocato Filastò: “Le maiale tutte in via Cavour”? “E’ un ritrovo a Firenze, via Cavour, di tutte le maiale”. Pag. 73. “E anche lei c’aveva dove” avv.Filastò: “A che numero? Più o meno, insomma. Rispetto a Piazza San Marco, era più vicino a Piazza San Marco o più vicino al Duomo”? Prima aveva detto: “E’ più vicino al Duomo”, invece all’avvocato Filastò rispondeva: “Più vicino a Piazza San Marco”. E poi a domanda: “Ma più vicina la Silvana? Com’era la Silvana? Ce la può descrivere”? “Bella, bionda, piazzata bene”, “Lei ci andava da solo”? “Eh, sì, ha voglia”. “Anche sulla Sita”? “Sì, sì, anche sulla Sita”. E l’avv. Filastò: “lo vorrei si desse atto che Vanni, durante l’interrogatorio, lui alle domande in generale ha sempre risposto “sì”. E quindi gli si faceva presente che non si preoccupasse, perché tanto era tutto registrato. Il 17 gennaio 2003 veniva redatto anche il verbale di assunzione di informazioni, non registrato. All’ultima Pag. si ripeteva che “vengono inoltre mostrate al Vanni le foto 2, 3 e 4 del medesimo album, parimenti con il nome in calce coperto da post-it e Vanni dichiarava di non riconoscere le persone
ivi effigiate; si dà atto che tutte e quattro le foto mostrate a Vanni raffigurano Francesco Narducci”. AI termine dell’interrogatorio il difensore chiedeva che il Vanni venisse sottoposto a perizia psichiatrica.

Il 25 gennaio di quell’anno veniva effettuato il sopralluogo: il Vanni veniva condotto in macchina dalla P.G., alla presenza del suo difensore oltre che dei P.M., nelle vie del centro di Firenze – Piazza del Duomo, via Cavour – dandosi atto che si era percorsa quest’ultima via in entrambi i sensi di marcia, per circa due ore, ma il Vanni non era riuscito ad individuare la casa, continuando a dire che non era in grado di orientarsi per il buio. L’avv. Filastò, al termine, faceva osservare che, invece, la via Cavour era molto ben illuminata perché erano le ore ventuno, e le luci erano tutte accese, Si chiedeva ancora al Vanni delle prostitute chiamate Elena, Giuliana, ecc. ma egli non sapeva assolutamente riconoscere le loro abitazioni. Chiestogli del fisico dell’Elena ne ribadiva le fattezze piacenti, confermando che era bionda. Infine il difensore dell’odierno imputato chiedeva che si desse atto che indipendentemente dalle dichiarazioni del Vanni le vie Martelli e Cavour risultavano bene illuminate e i portoni ben visibili.

A riscontro se in via Cavour avessero realmente vissuto le prostitute indicate dal Vanni nel corso sia del lungo incidente probatorio che nell’interrogatorio svoltosi dinanzi ai P.M., entrambi sopra riportati per ampi stralci vi era una annotazione di servizio 22 ove si evidenziava che, essendo stati presi contatti con gli ufficiali di P.G. in pensione Musotti Bruno e Giovannoni Gianfranco, che negli anni Ottanta svolgevano servizio presso la locale Squadra Mobile e si occupavano della Buon Costume, era emerso che in via Cavour, al civico 37, nei pressi di Piazza San Marco, nel quale il Vanni aveva segnalato un appartamento ove veniva praticato meretricio e ove erano stati effettuati anche appostamenti, vi era effettivamente un appartamento occupato da una nota prostituta dell’epoca, particolarmente bella, con capelli biondi, e che parlava con spiccato accento toscano, identificata in Cusinato Giuseppina. Tale apparente riscontro, tuttavia, veniva smentito dalla seguente precisazione secondo cui: “Da accertamenti anagrafici risulta che la donna, sino al 10 aprile 1992 risiedeva a Campi Bisenzio e che in tale data, nel 1992, emigrava per Firenze al citato indirizzo di via Cavour, 37”. Quindi la Cusinato non risultava aver abitato di certo in via Cavour né negli anni Ottanta, né in precedenza.

Vi era poi altra annotazione effettuata dalla P.G. in data 15 settembre 2005, circa l’esito negativo del tentativo di individuazione nella zona di Piazza del Duomo – Via Cavour come luoghi indicati da Vanni di esercizio del meretricio di prostitute indicate dal Vanni nella quale si evidenziava testualmente: “Veniva effettuato anche un tentativo di individuazione nella zona di Piazza del Duomo, in via Cavour, allo scopo di identificare i luoghi ove esercitavano il meretricio le donne indicate dal Vanni nelle verbalizzazioni rese al Pubblico Ministero in data 17 gennaio 2005 e 25 gennaio 2005, con esito negativo”.

Ulteriore annotazione in data 28 ottobre 2005 ove si riferiva lo stesso esito negativo ed, infine, annotazione del 29 marzo 2005, sempre con esito negativo.

A pag. 3191 dell’incarto generale vi è l’elencazione, da parte del Vanni, di tutte le prostitute su un appunto sequestrato, anche con le relative cifre loro corrisposte. Vanni le elencava minuziosamente: “Milena, Piazza Santa 

22 del 20 gennaio 2005 – pag. n. 2381 dell’incarto generale

Croce, centocinquantamila, telefono”. Poi: “Poggibonsi, via Roma, campanello centrale; Licia; Luisa”, con appunto: “Portare uccello finto, vibratore”. Poi: “Adriana, stella rossa”. “Bettina, Concettina”, Il Vanni nelle sommarie informazioni rese il 197.90 aveva già elencato le prostitute, ma qui forniva altri nominativi, dichiarando che aveva conosciuto il Pacciani nell’anno 1980 circa e che non era mai andato a prostitute insieme a lui. Sul punto debbono richiamarsi le s.i.t. rese dal Lotti Giancarlo, del 26.3.1999, al termine del primo processo dei “compagni di merende” ove egli aveva parlato anche delle prostitute del Pacciani.

A pag. 3207 dell’incartamento generale, interrogato alla presenza dell’avv. Bertini, essendo nelle more stato condannato, il Lotti dichiarava (pag. 2): “Andavamo con Vanni anche dalle prostitute, come ho detto nel corso della precedente indagine; ricordo che andavamo spesso da una che batteva in macchina, vicino alla stazione; era la Maria, aveva i capelli neri; poi un’altra, Adriana Innocenti, che abitava dalle parti di Santa Maria Novella, e ci andava anche con il Nesi”. Il Lotti non ha mai nominato prostitute quali Elena, Giuliana, Silvana, di via Cavour.

Ancora sulle prostitute frequentate dal Vanni, vi sono le sommarie informazioni testimoniali rese da Nesi Lorenzo il 19.2.2005 il quale riferiva: “Circa le prostitute che Vanni ha frequentato, io sono a conoscenza di una certa Gina Manfredi, poi di un’altra che stava in via Giampaolo Orsini, poi ne aveva un’altra a Poggibonsi” 23 “non mi ha mai parlato di una prostituta bella, né con i capelli biondi, e mi sembra una frequentazione non in linea con quello che io conosco di Vanni. Il nome Elena non mi dice nulla, mentre qualcosa mi dice il nome Giuliana. Potrebbe essere riferirsi alla prostituta di Poggibonsi”. Ancora il Nesi, il 28.1.1999 ha parlato di una prostituta di Piazza Ferrucci e di una prostituta di Colle Val d’Elsa, con la quale usava intrattenersi comunque il pomeriggio, mai la notte. Ai P.M. dott. Vigna e dott. Canessa, il 18 marzo 1993, il Nesi ha, infine, riferito della Manfredi come abitante dalle parti di Piazza Dalmazia.

A tal punto occorre soffermarsi sullo stato di salute mentale e fisica del Vanni all’epoca in cui venne sentito dal G.I.P, nell’incidente probatorio e dai P.M. subito dopo.

23 ciò corrispondeva esattamente all’elenco sequestrato al Vanni

In particolare debbono qui esaminarsi le perizie cui è stato sottoposto il Vanni nel corso degli anni: in primis la C.T.U. effettuata dal Prof. Marchi, disposta il 21.10.2000 dal Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, dove si parla di “stato di coscienza che appare ipovalido, alternando momenti di lucidità a momenti di confusione e difficile comprensione”. E alla visita del Vanni da parte dello psichiatra in data 4.11.2000: “L’elemento di maggiore è dato dallo stato neuropsichiatrico nel quale emerge una situazione di deterioramento cognitivo su base vasculopatica cerebrale”. Si proseguiva “Abbiamo visto come le T.A.C. hanno evidenziato una sofferenza diffusa su base vascolare, che dimostra peggioramento su quanto era emerso ad alcune T.A.C, eseguite nel 1996”. Ancora: “L’aggravamento del quadro vasculopatico cerebrale è confermato anche dagli episodi confusionalie di assenza e di apatia segnalati nel 1998”. Altra perizia veniva effettuata dal prof. Piero Cioni sul Vanni un anno dopo, esattamente il 31.10.2001 e così concludeva: “In particolare le condizioni neurologiche sono peggiorate dal settembre del 2000, quando ebbe luogo la precedente visita, Si conferma l’accentuato decadimento mentale”. Dalla perizia Medico-legale sul Vanni del 30.11.2003, Sempre disposta dal Presidente del Tribunale di Sorveglianza, al fine di valutare la compatibilità delle sue condizioni di salute con il regime Carcerario, si ricava, a Pag. 5, che alla fine del Mese di maggio del 2003 si erano verificati “momenti di alterazione psichica con completo distacco dalla realtà”. Infine, dalla annotazione Gides dell’8.1.2004 si ricava: “Si rileva che il dottor Cecere del Centro Clinico delia Casa Circondariale di Pisa, all’uopo contattato dall’ispettore Castelli, riferiva che il Vanni Mario alternava momenti di lucidità a momenti di completa confusione”, “Confronta annotazione citata che si allega Al documento 12″. Poi, alla cartella della casa circondariale di Pisa, nella data del 11 marzo del 2004 si leggeva la seguente annotazione: “Si richiede valutazione neurologica per valutazione demenza” , “Confronta copia pag. cartella clinica, documento 13”. Dalla scheda di pre-ammissione alla casa di cura “La Cupolina”, del 6.4.2004, a proposito del quadro clinico del Vanni si leggeva: “Aterosclerosi celebrale, con deficit cognitivi e mnesici”.

Conclusivamente sul punto occorre evidenziare come le dichiarazioni rese dal Vani innanzitutto nel colloquio come Nesi e, successivamente, nel corso del lungo esame avvenuto sia con l’incidente probatorio che con il suo interrogatorio dinanzi al P.M., entrambi sopra riportate per ampi stralci, porta ritenere che se inizialmente la pubblica accusa ha dato una enorme importanza ad esse, ed in primis al colloquio con il Nesi, laddove per la prima volta il Vanni, sia pure sollecitato da quest’ultimo, ha riferito di una persona, prima sconosciuta agli inquirenti, che addirittura avrebbe posto in essere materialmente tutti i sedici omicidi, escludendo una responsabilità in tal senso del Pacciani, tuttavia tale pista, oltre ad apparire del tutto inverosimile, essendovi stata la più volte citata sentenza della Corte d’Assise che aveva ritenuto colpevoli per i quattro duplici omicidi qui in contestazione lo stesso Vanni ed il Lotti, non ha contribuito in alcun modo a smascherare l’eventuale coinvolgimento del “nero Ulisse”- Parker in tali episodi delittuosi; anzi, la sua presenza all’interno della dependance de “La Sfacciata” non appare affatto certa, sulla base di quanto sarà riportato infra.

Anche per quel che concerne il riferimento alle prostitute che erano solite accompagnarsi, oltre che ad egli stesso, anche ai principali protagonisti di tale vicenda (il Calamandrei, il Pacciani, il Lotti ed il Narducci) appare comunque non provato, non essendovi stato alcun riscontro oggettivo a quelle dichiarazioni, rese, peraltro, nella forma che è stata riportata in precedenza, che lascia fortemente dubitare circa la capacità di prestare testimonianza del predetto. In ogni caso il Vanni non ha mai parlato della casa dell’Indovino come luogo teatro dei presunti incontri, ma solo di case Ubicate al centro di Firenze e men che meno di ville (rispetto alle quali comunque tutte le presunte partecipanti hanno escluso una presenza sua e del Pacciani).

In conclusione sul punto le possibili, iniziali ipotesi investigative offerte dal Vanni sono risultate tutte: prive di significativi riscontri oggettivi e di una qualche logica.

Si può quindi a questo punto fare un primo punto sulla situazione:

– Lotti aveva dichiarato che c’era un “dottore” che pagava per avere i feticci (escludendo peraltro che di trattasse di un farmacista e che, comunque, si trattasse del Calamandrei da lui ben conosciuto!!!).

– La Corte di Assise di Firenze ha ritenuto che gli esecutori materiali dei delitti fossero sicuramente Vanni e Lotti (essendo stata riconosciuta la loro colpevolezza per i presenti 4 duplici omicidi con sentenza passata in giudicato) in concorso col Pacciani (la cui posizione è rimasta, per così dire, nel limbo a seguito del suo decesso ma che, alla luce delle successive acquisizioni dibattimentali sebbene dalle successive indagini fosse emerso un suo ruolo ben preciso relativamente ai delitti attribuiti al “mostro di Firenze”, in sede giudiziaria non si è potuto acclarare essendo intervenuta nelle more la sua morte).

– Investigando su questi tre soggetti è emerso che fossero frequentatori di prostitute, spesso delle stesse donne. Non vi è certezza che frequentassero la stamberga di Via di Faltignano e, comunque, non insieme.

– Infine le cene effettuate anche con persone per bene sicuramente riguardavano solo il farmacista col Vanni ed altri “‘maggiorenti” del paese di S. Casciano ma non il Lotti (del tutto estraneo a questo gruppo) e ancor di più il Pacciani, che i titolari della Trattoria del Ponte Rotto hanno escluso di aver mai visto in compagnia del Calamandrei o di altri soggetti.

Vanni ha aggiunto:

– che frequentava la casa del Calamandrei, come pure il Pacciani ed il Lotti, ma in quello stato confusionale sopra evidenziato;

– che Calamandrei avrebbe chiesto a Pacciani ed a lui stesso di andare dalle prostitute da loro conosciute;

– che sarebbe venuto con loro un giovane che non sapeva chi era, amico del Calamandrei e che erano andati più volte con la macchina del Calamandrei (la già ricordata fiammante Ferrari rossa), individuando in una foto il Narducci, che avrebbe avuto in disponibilità una Vokswagen di colore verde, e che, secondo le sue dichiarazioni, si sarebbe chiamato “Giovanni” e faceva il muratore.

Aggiungeva nel colloquio col Nesi, un dato, che appare del tutto farneticante, e cioè che l’autore materiale di tutti gli omicidi delle coppie fosse un negro americano, morto, di nome “Ulisse” o “Uli”.

Le prostitute frequentate da CALAMANDREI e da NARDUCCI e da altre “persone per bene”.

Angiolina GIOVAGNOLI-

E’ la prostituta frequentata da sempre dal Calamandrei. Il suo numero telefonico (055 362432) compariva nell’agenda del Calamandrei rinvenuta nel corso della perquisizione effettuata nell’anno 2003. La GIOVAGNOLI abitava all’epoca a Firenze in Via Bellini, 41, e avrebbe dichiarato agli inquirenti di conoscere il Calamandrei, Circostanza confermata dal rinvenimento, tra i documenti della Giovagnoli, perquisita anch’essa, del numero di telefono del Calamandrei.

Sentita a verbale dalla Polizia, il 7.2.2003, subito dopo la perquisizione, pur mantenendo un atteggiamento di insofferenza, dichiarerà:

– che conosceva CALAMANDREI Francesco, avendo avuto rapporti sessuali con lui e riconoscendolo in fotografia;

– che Calamandrei andava da lei a Firenze;

– che non era mai stata a San Casciano V. di Pesa;

– che conosceva dal 1980 un’altra prostituta di nome Pellecchia Marzia, con la quale le era capitato di prostituirsi insieme con un solo uomo;

– che conosceva altre prostitute, delle quali forniva i nominativi: Miniati Loredana, Cantini Anna, e una tale Maria Teresa.

PELLECCHIA Marzia.

Veniva sentita dalla Polizia nei giorni 4 e 7 febbraio 2003, riferendo:

– che aveva partecipato ad alcune festicciole a luci rosse in un cascinale nelle campagne di San Casciano su consiglio della Giovagnoli, la quale si era prestata ad aiutarla economicamente, introducendola in un ambiente di prostituzione a suo dire “piuttosto particolare”;

– che si era prostituita facendo sesso con persone con problematiche sotto l’aspetto sessuale e con qualcuna che manifestava una certa brutalità;

– che aveva riconosciuto le foto di alcune persone con i quali aveva avuto rapporti sessuali: in particolare oltre Pacciani, Vanni e Lotti anche Calamandrei Francesco e Narducci Francesco, quest’ultimo da lei conosciuto come un medico di Prato del quale aveva fornito una descrizione di quest’ultimo che poteva corrispondere alla realtà: era più giovane di tutti gli altri uomini, portava al collo una medaglia a sportivo, alto 1,80 circa, capelli chiari, parlava dei viaggi fatti della Thailandia e di sport acquatici.

Costei veniva sentita dal P.M. il 13 febbraio 2007 e nell’occasione confermava le dichiarazioni rese alla P.G. aggiungendo: “ebbi un rapporto col medico di Prato, mi dette l’impressione che aveva delle problematiche, mi sembrò che con l’aggressività riusciva ad eccitarsi”. Ricordava che la casa ove avvenivano gli incontri era una vecchia casa colonica al piano terra e che l’anno poteva essere “il 1980, forse 81 no 82, c’erano i campionati mondiali di calcio” (che, com’è noto, avvennero nel 1982).

Data la discordanza tra le versioni rese dalle due donne circa la frequentazione della casa di San Casciano il P.M. disponeva il confronto tra la GIOVAGNOLI e la PELLECCHIA ma entrambe rimanevano sulla propria posizione. Tuttavia la Giovagnoli chiariva che se la Pellecchia aveva confermato la sua partecipazione ai festini ‘significa che è successo veramente perché lei non dice cazzate. Si vede che la mia mente ha deciso di cancellare questi ricordi perché troppo brutti”.

Su tutte tali dichiarazioni si ritornerà infra, analizzandole nel dettaglio.

I riscontri alla chiamata di correo di Vanni: il nero “ULISSE”.

Occorre ora verificare se la presunta chiamata di correo di Vanni abbia, come  sostenuto con forza dalla Pubblica Accusa, una qualche logica 0 se costui stesse farneticando o, comunque, depistando gli inquirenti anche alla luce delle sue condizioni fisiche e psichiche all’epoca. Il riferimento fatto nel colloquio col Nesi ad un “negro americano di nome ULISSE” poteva, in effetti, apparire sorprendente, essendone la prima volta che ne parlava. La presunta chiamata di correo risale al 7 Luglio 2003 e fino a quel momento, dopo l’iscrizione del farmacista nel registro degli indagati nel gennaio 2003, tra gli altri spunti investigativi si era cercato di raccogliere informazioni su di lui in tutti gli ambienti possibili. Nel dibattimento LOTTI/VANNI erano emersi testi ritenuti dalla Corte d’Assise attendibili quali Ghiribelli, Nesi, Pucci, a conoscenza degli ambienti e degli esecutori materiali degli efferati delitti. Nel marzo/giugno 2003, prima che Vanni parlasse di Ulisse, si era delineato un quadro più ampio di quello conosciuto intorno ai compagni di merende. Oltre ai festini nella casa di Indovino era emerso un luogo simile, ma ben più prestigioso, che secondo la Pubblica Accusa doveva individuarsi in una dependance della Villa “la Sfacciata”, abitata all’epoca da un tedesco. L’11 luglio 2003 la Ghiribelli, in sede di individuazione fotografica, riconosceva la persona di colore che abitava alla Villa ‘La sfacciata” in Parker Mario Robert nato nel New Jersey nel 1954 da padre americano e madre italiana, poi deceduto nel 1996 per AIDS, Dunque un americano di colore esisteva davvero ed era soprannominato proprio “ULISSE”, era deceduto e, contrariamente a quanto dichiarato dal Vanni, non si era suicidato e all’epoca dei fatti viveva o, meglio, era spesso ospite, secondo quanto riferito dalla Ghiribelli, a villa “La Sfacciata”. I risultati di tutti questi accertamenti venivano riportati nella annotazione riepilogativa del GIDES in data 17 novembre 2003.

Il “nero Ulisse” ed il tedesco che, secondo l’assunto accusatorio, vivevano in una dependance di Villa La Sfacciata.

Occorre ora verificare se il nero “Ulisse” avesse veramente a che fare con i delitti, dato che dimorava alla Sfacciata, luogo nei pressi del quale – 100 metri poco più in linea d’aria – era avvenuto il duplice omicidio del 1983, come sostenuto dal Vanni. Dagli accertamenti effettuati dai carabinieri proprio al momento del sopralluogo per quel delitto era emerso che vicino al furgone la mattina di domenica 10 settembre 1983, erano stati viste due persone, mentre il delitto era avvenuto la sera precedente. In particolare la P.G. negli atti dell’epoca, aveva riferito che entrambi erano stati visti da testimoni vicino al furgone con le loro rispettive auto. Il delitto, avvenuto nella tarda serata serata di sabato 9 settembre, non era stata ancora scoperto ne denunziato. Anzi dagli (ndr: atti) risulta che un soggetto, poi identificato proprio nel Reinecke, solo diverse ore dopo, e cioè alle 19.30 della successiva domenica 10 settembre aveva richiesto l’intervento dei carabinieri. Tali Circostanze erano State riferite da diverse pp.ii.ff. che avevano visto quella mattina le auto vicino al furgone. Dagli atti dei carabinieri che intervennero per i rilievi del delitto di Giogoli del 1983 emerse quanto segue: il furgone dei tedeschi era a poche decine, forse a centinaia di metri dalla villa, in pratica era in un campo che si trovava al di la della strada dove era ubicata la villa. In atti vi sono vari fascicoli fotografici redatti, all’epoca, dai Carabinieri, che ritraggono il furgone, la villa, i cortili prospicenti i vari appartamenti della villa e delle dipendenze. Occorre evidenziare da ultimo, anche una ripresa video filmata dalla P.G. in epoca recente, acquisita agli atti e che si è avuto modo di visionare all’udienza del 7.5.2008. I cadaveri furono ufficialmente scoperti intorno alle 19,30 della domenica 10 settembre 1983 su segnalazione del citato Reinecke, che abitava in una dependance della villa. Robert Parker, cittadino americano di colore, secondo le indagini espletate sia all’epoca che nel presente proc. pen, aveva a che fare con il Reinecke, ed entrambi vennero allora compiutamente identificati e sentiti quali pp.ii.ff. dai Carabinieri. La P.G. ha poi acquisito ulteriori informazioni sul loro conto, dalle quali si evince che entrambi risultano deceduti in epoche diverse, come già menzionato sopra.

Sul conto del Parker, in particolare, emerse che era uno stilista gay di madre italiana e padre americano ed aveva vissuto vari anni a Firenze in quel periodo, trasferendosi a Milano in epoca immediatamente successiva al duplice omicidio del 1983. Il tedesco Reinecke viveva da vari anni in una dependance della villa La Sfacciata insieme ad una cittadina svizzera e lavorava nel campo della lavorazione dei tessuti. Aveva sposato una donna italiana appartenente ad una famiglia titolare di una grossa ditta di lavorazione di lana a Prato, dalla quale si era separato anni prima. Sia il Parker che il Reinecke dichiararono all’epoca alla P.G. che non si erano accorti del furgone crivellato dei due giovani tedeschi né che i corpi fossero stati attinti da colpi di pistola. Detta circostanza, pur non risultando credibile, venne evidentemente sottovalutata dagli inquirenti. La sera stessa del duplice omicidio, però, il tedesco venne trattenuto dai Carabinieri ed interrogato dai P.M. Vigna e Della Monica, essendo stata effettuata presso la sua abitazione una perquisizione con rinvenimento di armi, tra cui alcune pistole e, successivamente, venne anche processato e condannato per omessa denuncia di un fucile e perché non in possesso di licenza per la collezione di armi.

Alcune pp.ii.ff., sentite nel corso delle indagini (soprattutto Ghiribelli, Nesi, Pucci), avevano parlato di tali due personaggi, entrambi da loro conosciuti. La Ghiribelli riferiva che, secondo quanto riferitole dal Lotti, costui doveva conoscerli bene, avendo ricevuto a volte denaro dal Parker, dotato di notevole disponibilità di denaro, aggiungendo che Lotti frequentava assiduamente la casa del tedesco e conosceva il nero americano come “ULI-ULISSE”. Infine la Ghiribelli dichiarava che il Lotti stesso le aveva riferito della consegna di denaro da parte del Parker. In tale contesto si inseriva quella strana chiamata di correo del Vanni che, nel colloquio avuto col Nesi nel carcere di Pisa, aveva indicato il Parker addirittura quale esecutore materiale di tutti i delitti del mostro di Firenze, escludendo qualsiasi responsabilità del Pacciani. I due inquietanti personaggi, dopo essere stati oggetto di accertamenti da parte della P.G., avevano lasciato in tutta fretta l’abitazione presso la Villa La Sfacciata. Infatti, dopo essere stati identificati e perquisiti dai Carabinieri, risultarono spariti dalla circolazione, il Parker essendosene andato a Milano ad occuparsi di Moda, il tedesco, che aveva una fabbrica in Italia a Prato sin dagli anni 70, avendo fatto ritorno a Monaco di Baviera, in Germania, con la sua compagna svizzera, lasciando l’appartamento della Sfacciata ed omettendo di pagare diversi canoni di locazione arretrati 24. Entrambi, dunque, nel 1984 erano già spariti da quella abitazione (circostanza che avrà il suo peso, come sarà evidenziato nel prosieguo della presente motivazione).

Secondo la prospettazione accusatoria l’appartamento del tedesco e dell’americano era un luogo dove avvenivano i cd. ‘festini”, specularmente alla casa di Indovino a Via di Faltignano. I festini, ammessa la loro effettiva sussistenza, però, in quel luogo, ovviamente, dovevano essere terminati prima degli omicidi del 1984 di Vicchio e del 1985 di Scopeti.

Le due case dei “cosiddetti festini”.

La casa dei “contadini” a Via di Faltignano e la dependance della Villa La Sfacciata a Giogoli frequentata dai cd. “mandanti gaudenti”.

A seguito della individuazione di “Ulisse” e del Reinecke, allontanatisi in fretta dall’appartamento della Villa La Sfacciata, gli inquirenti ritenevano che fosse indispensabile approfondire cosa avvenisse nelle due case, sulla base delle dichiarazioni rese dalle pp.ii.ff. Ghiribelli, Nesi, Pucci, ed, indirettamente, dalla Nicoletti. 25

24 Il proprietario, con atto di citazione del 7.3.1984, lo converrà in giudizio per circa 40 milioni di lire ed il tribunale di Firenze – II sezione civ., con sentenza del 19 ottobre 1987, lo condannava alla corresponsione di tale cifra.

25 Tutti gli atti sono contenuti nella nota in data 27 settembre 2004 della Polizia Giudiziaria del Gruppo GIDES del Ministero degli interni con i numerosissimi verbali allegati.

Orbene questo passaggio appare di fondamentale importanza nell’economia del presente procedimento: secondo la prospettazione accusatoria infatti i delle due case, soprattutto nelle ore notturne dei fine settimana, giungendo alla conclusione, che si rivelerà quantomeno non provata, secondo cui a casa del tedesco presso Villa la Sfacciata si svolgessero gli stessi “festini” di casa di Indovino a Via di Faltignano, con le stesse protagoniste femminili ma non maschili (ad eccezione del Lotti, unico soggetto ad essere stato presente in entrambi i luoghi) con un livello di perversione, però, nel primo luogo molto più elevato e sofisticato in quanto tra i presenti non c’erano contadini, bensì maggiorenti del luogo(i cd. “gaudenti”), dediti alle orge, a messe nere e a quant’altro. Ghiribelli Gabriella venne sentita a più riprese. Relativamente al gruppo di persone che frequentava la casa di Indovino ma soprattutto la Casa del tedesco Rolf Reinecke all’interno della Villa “La Sfacciata” riferiva fatti in gran parte appresi dal Lotti e dagli altri partecipi, raccontando nei dettagli cosa avvenisse in tali festini e chi li frequentasse. Tuttavia dalle parole della Ghiribelli non appare certa l’individuazione di detta villa (come si avrà modo di evidenziare infra allorché di esamineranno nel dettaglio le sue dichiarazioni).

Relativamente ai “festini” nella stamberga di Indovino in Via di Faltignano costei confermava ciò che aveva già detto in merito alla partecipazione, quasi come vittima predestinata, di Milva Malatesta e di minorenni che venivano portati dal fratello di Indovino Salvatore o dalla “Marisa di Massa”, identificata dalla Polizia nella prostituta Candido Veronica, anch’essa all’epoca minorenne, aggiungendo molti particolari dei quali non aveva mai parlato, tutti descritti nei numerosi suoi verbali, ma cadendo in numerose ed evidenti contraddizioni, circostanza quest’ultima spiegabile solo in parte con la mancanza della sua audizione dinanzi al G.I.P., essendo stata rigettata la richiesta, avanzata dai P.M., di incidente probatorio.

Confrontando le originarie dichiarazioni rese dalle principali protagoniste di Questa vicenda – la Ghiribelli, la Nicoletti, e la Pellecchia negli anni dal 1995 al 1997 – e quelle rese nella fase delle indagini relativa al presente proc. pen. (riferibili agli anni dal 2001 in poi) appaiono delle profonde discrasie, non facilmente motivabili solo con il lasso di tempo trascorso dalla prima data.

Le dichiarazioni concernano le due case, quella, fatiscente, frequentata dai contadini, di via di Faltignano, e quella degli “intellettuali”, indicata nella Villa “La Sfacciata” (sulla quale, tuttavia, deve nutrirsi più di un dubbio circa il fatto che fosse effettivamente questa la villa della quale hanno parlato le pp.ii.ff. come si vedrà infra).

La Ghiribelli, la Nicoletti e la Pellecchia (quest’ultima con un ruolo più ridotto) hanno descritto la vita nella casa dell’Indovino di via di Faltignano, per guanto a loro conoscenza.

Iniziando dalle dichiarazioni rese dalla Ghiribelli nelle sommarie informazioni testimoniali del 21.12.1995, costei riferiva testualmente: “Premetto che esercito l’attività di prostituta in Firenze, in via Fiume. Conosco Vanni perché abitava nella stessa via” 26 …”Conosco il Lotti. Ho avuto rapporti intimi con lui”, “Per quanto riguarda Pacciani Pietro io l’ho visto a casa di Indovino Salvatore quando arrivava il camper del personaggio che faceva il medium e che parlava siciliano”, (trattasi del soggetto individuato nel “Mago Manuelito”), Quest’ultima dichiarazione, peraltro, sarà smentita dalle successive sommarie informazioni testimoniali rese dalla Ghiribelli il 27.12.1995 (riferite infra). Subito dopo dette sommarie informazioni veniva registrata una conversazione telefonica, intercettata lo stesso giorno, tra Ghiribelli e Nicoletti, su utenza in uso alla Ghiribelli 27. Quest’ultima, parlando con Lotti Giancarlo diceva: “No, il Pacciani poi io non lo conoscevo”. Interveniva anche la Nicoletti, trattandosi di un’utenza in uso a quest’ultima, la quale diceva: “lo non l’ho mai visto”, riferendosi sempre al Pacciani, pag. 3. Ancora Ghiribelli: “E poi vogliono sapere chi era questo mago che veniva a fare le magie nere da Salvatore, veniva con un camper, siciliano”. Nicoletti: “Ma questo è successo dopo che sono venuta via io”. Occorre qui evidenziare un dato cronologico: la Nicoletti era stata convivente dell’Indovino dal 1978 fino all’84. Dagli atti risulta che nell’anno 1978, provenendo entrambi da Alessandria, dopo che l’Indovino era stato scarcerato, avevano preso casa nella famigerata stamberga sita in via di Faltignano e risulta che la Nicoletti era andata via da quell’abitazione nell’anno 1984, trasferendosi ad Arezzo con un nuovo compagno. La Filippa diceva: “lo l’ho visto sui giornali”. E la Ghiribelli invece: “Lui gli è andato a dire che io e te si conosceva il Pacciani”. Telefonata del 23.12.95, Ghiribelli, sulla stessa utenza, conversava sempre

26 la Ghiribelli risultava aver iniziato ad abitare a San Casciano, esattamente nella stessa via del Vanni, in Borgo Sarchiani, dalla seconda metà dell’anno 1984.

27 (fascicolo n. 5047/95 ngnr)

con la Nicoletti, cercando di far ricordare a Filippa il nome del personaggio che veniva col camper da Salvatore Indovino per le sedute spiritiche e Filippa diceva che quello del camper si chiamava “Manuelito”, aggiungendo: “ma noi non c’abbiamo visto fare niente” 28.

Sommarie informazioni rese dalla Ghiribelli il 27.12.95, alla P.G., in presenza del dott. Giuttari: “Confermo le dichiarazioni rese il 21.12.95, ad eccezione di due particolari…..La seconda circostanza che non confermo, in quanto non è stata da me riferita così come è stata verbalizzata, forse causata da me, che non mi sono saputa esprimere, è quella relativa alla presenza di Pacciani a casa Indovino Salvatore, in occasione dell’arrivo del personaggio da me indicato come medium, che giungeva con il camper. Devo infatti precisare che non ho mai visto il Pacciani Pietro né a casa dell’Indovino, nella circostanza riferita nel precedente verbale, né in altre circostanze. Ho visto Pacciani solamente in televisione o sui giornali”, Ci sono, dunque, due contrastanti dichiarazioni rese dalla Ghiribelli su tale punto. Poi vi è la telefonata della Ghiribelli alla Nicoletti del 28.12.95 nella quale la prima, che era già stata sentita, diceva: “Mi hanno chiesto se da Salvatore si facevano orge o sedute spiritiche, perché è stato fatto il nome di Luciano, della Grazia e di quello del camper, Manuelito”… “Io non l’ho mai visto fare”.

Sommarie informazioni rese dalla Ghiribelli l’8 febbraio 1996, pag. 7, dinanzi ai P.M. di Firenze: “Abbiamo abitato a San Casciano in Borgo Sarchiani 29 … l’Indovino, nel periodo in cui abitavo a San Casciano, era molto malato”…, “Tornando alle persone che il Sabato sera erano da Salvatore c’erano: Luciano, la Grazia 30, “il Sebastiano” 31 … ‘Manuelito e Agnello Domenico”. Altre dichiarazioni sono state rese dalla Ghiribelli all’udienza dibattimentale del processo Vanni-Lotti del 3 luglio 1997, fascicolo numero 15. Ghiribelli parlando del mago Indovino e della Casa di via di Faltignano riferiva: “L’unica cosa che a me faceva arrabbiare era perché facevano dei riti, una cosa e un’altra”. Poi ancora: “Vanni è venuto con me una volta sola, le altre due o tre volte andava con la Filippa Nicoletti” 32 “e con l’Antonietta Sperduto”. Ancora: “Era tutta una cricca, andavano tutti da Salvatore, lui, il Vanni, il Pacciani, il Giancarlo”. Quindi il 3 luglio 97 si contraddiceva rispetto alle

28 (quantomeno fino all’84, anno in cui la predetta andava via da quell’abitazione)
29 (nel periodo dalla metà dell’84 a tutto il 1986)
30 dovrebbe trattarsi della donna del citato Luciano.
31 fratello del Salvatore Indovino
32 che poi negherà tale circostanza

precedenti dichiarazioni rese il 27 dicembre 95. “Si trovavano sempre lì, soprattutto il sabato e la domenica, lo so perché le ho viste. C’era Giancarlo, c’era Mario, c’era Vanni, c’era l’Antonietta, c’era la Milva Malatesta”. Poi parlava delle prostitute del Vanni, frequentate a Firenze: “Lui se la faceva con due ragazze di Prato. Lui andava anche con quelle due di Massa, una era bionda e una era mora. Tra l’altro erano due sorelle. Andava a Firenze al “Mia Cara”, dietro a via Faenza, con la Filippa”. Il “Mia Cara” era una pensione; “io c’ero, ho visto il Vanni, ho visto il Lotti, il Pacciani, tutti quanti”…”No” – su domanda del Pubblico Ministero – “No, un momento, io non è che ho visto queste riunioni, specifichiamo. Ho trovato tante volte una stella a cinque punte, dei ceri, delle bottiglie vuote, dei preservativi; sul letto spesso c’era del sangue”. “lo ho visto anche un cartellone, c’era una lettera da una parte c’era un “sì” e da un’altra c’era un “no”. Poi c’erano tutte le lettere dell’alfabeto e nel Mezzo c’era sempre una tazzina di caffè”. Il Pubblico Ministero poi domandava: “Senta, ci può parlare di tutte le persone che lei a suo tempo ha memorizzato, che frequentavano questa casa? Finora ho capito Vanni, Pacciani, l’Indovino”. E la Ghiribelli diceva: “Cioè, il fratello di Salvatore, che era Sebastiano; poi c’era anche un altro che viaggiava con un camper 33 … poi c’erano delle persone che erano di Prato”; quindi parlava di nuovo di “Luciano che frequentava una ragazza piuttosto grassoccia. lo Salvatore l’ho conosciuto a Prato tramite il fratello Sebastiano”. Poi dirà che in questa casa “ce n’era tante di minorenni”. E a domanda : “E chi ce le portava”? Ghiribelli: “O Sebastiano… o quello lì, o quello là… Giancarlo anche, parecchie; le raccattavano a Prato loro, perché frequentavano questo bar, parlando in Piazza Duomo, e loro venivano tutti in Piazza del Duomo”, “Tutti chi”? “Giancarlo, Sebastiano, Salvatore, Lucianino e un certo Domenico Agnello”. Poi, a domanda del Pubblico Ministero, diceva anche che “Faltignano era frequentato anche da un certo Ezio, che aveva un negozietto e che era più che altro amico di Salvatore, comunque frequentava sia la Filippa che me. Salvatore faceva filtri, faceva le carte”. il Pubblico Ministero domandava: “Sa se la casa di Indovino era frequentata anche dai sardi”? Ghiribelli: “No, veniva Agnello, era siciliano, che però era amico di Vinci, quello che hanno ammazzato. Vinci Francesco e Domenico Agnello so che erano amici, perché venivano spesso a Prato, al Bar Rolando” 34 “C’era anche un certo Draculino, sardo, che frequentava la casa, però che si chiamava Sanna. Anche questo Sanna era amico del Vinci, perché tutti frequentavano il

33 il citato Manuelito
34 (negli anni ’78-’80)

Bar Rolando, che era un ritrovo proprio dei sardi”. Poi vi sono le dichiarazioni rese dalla Ghiribelli a partire dal 2003, cioè nell’ambito del presente proc. pen.

Sommarie informazioni testimoniali rese dalla Ghiribelli il 28 febbraio 2003: “Nel 1981 vi era un medico che cercava di fare esperimenti di mummificazione in una villa vicino a Faltignano, che da quello che sapevo sembra che l’avesse comprata sotto falso nome”35 in quell’occasione le veniva mostrato l’album numero 1 del 2003, che conteneva trentacinque foto; lei dopo averle esaminate dichiarava: “vedo l’orafo… l’altro medico di Perugia”… e poi riconosceva altri; testualmente, quasi in fondo, le venivano fatte vedere le foto numero 15, 22, 23 e 25 e su queste lei diceva: “Mi dicono qualcosa, ma non riesco a focalizzare bene”. In fondo alla pag. si dava atto che: “La foto 23 è quella di Calamandrei Francesco”. La Ghiribelli, dunque, in tale ambito rimaneva confusa davanti alla foto del Calamandrei, non riconoscendolo.

La Ghiribelli poi proseguiva:”…E di questo posto mi parlò anche Giancarlo Lotti in più occasioni e sempre negli anni ’80, quando ci frequentavamo”: poi alla pag. 2 parlava di una “Marisa” “che veniva da Massa unitamente alla sorella e alle ragazzine che portava; “…venivano da Marina di Massa, da Massa, da Viareggio, da Perugia; ricordo che venivano in pullman ed io personalmente ebbi modo di vederle insieme a queste minorenni; era sempre di venerdì e venivano a mangiare a casa mia a San Casciano. Devo precisare che venivano solo le due sorelle a mangiare, mentre i bambini sparivano”. Si è visto che i festini della “Sfacciata” sicuramente erano terminati nell’83, perché i due tenutari della dependance della “Sfacciata”, (in verità più il Reinecke che il Parker, per le considerazioni sopra svolte) che, secondo la prospettazione accusatoria sarebbero stati gli organizzatori dei festini, all’inizio dell’anno 1984, “se la erano data a gambe levate”. Ma, proprio seguendo la cronologia, dette dichiarazioni della Ghiribelli appaiono contraddittorie in quanto se la Marisa andava a mangiare da lei con la sorella, ma senza “i bambini” per poi recarsi alla villa la “Sfacciata”, la Ghiribelli negli anni 82/83 sicuramente non risultava abitare in San Casciano, ove, a suo dire, si era trasferita col suo compagno Galli solo nella seconda metà dell’84.
A quell’epoca, oramai, quantomeno nella villa o nella chiesetta sconsacrata

35 risulta pacifico che fino a questo momento, al 28 febbraio 2003, la Ghiribelli non aveva mai parlato del Calamandrei;

annessa alla villa non potevano più svolgersi i festini, non avendone più i protagonisti la disponibilità materiale.

Sommarie informazioni Ghiribelli del 1° marzo 2003 pag. 1: “Circa il dottore svizzero di cui ho parlato, lo vidi a San Casciano al Bar Centrale, insieme all’orafo e al medico delle malattie tropicali. Lo vidi viaggiare con un’auto di lusso, nera con le codine, che ho spiegato ieri” 36 …”Ricordo bene che in un’occasione lo svizzero si fermò con l’auto davanti al bar e fece salire l’orafo, come pure vidi bene la macchina; presero la direzione della villa. Ricordo che era di pomeriggio; all’epoca abitavo in Borgo Sarchiani”. Quindi lei doveva aver visto il medico svizzero, dentro l’auto, quantomeno dopo la metà dell’84, ma a quell’epoca questa persona (qualora corrispondente al Reinecke) numero 4, era stato proprietario dell’autovettura Innocenti Mini 90 targata FI946465 dal 24.3.1982.

Ghiribelli lo sfogliava e dichiarava: “Fra le macchine parcheggiate quella grande scura che si vede di profilo è proprio il tipo di macchina di cui ho parlato e sulla quale vidi lo svizzero insieme all’orafo”… “Da quello che ho saputo lo svizzero aveva comprato la villa sotto falso nome e viveva da solo, almeno come si diceva in paese”. Verbale ispezione Ghiribelli 1 marzo 2003 pag. 1:” Giancarlo mi fece vedere anche dove furono uccisi i due tedeschi e mi disse che il Pacciani l’aveva costretto, perché lui aveva visto la storia degli Scopeti”… “e allora gli disse che doveva Sparare a questi qui “così tu sei dei nostri””. Si trattava del duplice omicidio di via di Giogoli, in cui il Lotti era stato invitato a sparare, e lui di conseguenza aveva dichiarato: “ho sparato”, circostanza che la più volte richiamata sentenza della Corte d’Assise nei confronti degli imputati Vanni-Lotti su questo punto aveva messo anche in discussione, perché in essa si legge che, siccome i proiettili avevano centrato l’obiettivo e non poteva essere altro che una mano esperta ad avere sparato, si dubitava che questa circostanza, raccontata dal Lotti, fosse vera.

36 (avendo fatto l’individuazione di quella che avrebbe dovuto essere l’auto del Reinecke proprio il giorno precedente)

Altre sommarie informazioni testimoniali della Ghiribelli del 5 marzo 2003, già citate sopra, laddove diceva di non aver mai avuto come legale l’avvocato Fioravanti, che un giorno lo trovò in Pretura e che era interessato anche lui ai festini. E, in riferimento a questi festini, aggiungeva ‘”…posso dire che quando il venerdì notte avvenivano ed io ero presente, c’erano molte persone che partecipavano, tra cui c’era l’orafo, di cui vi ho già raccontato, il carabiniere di San Casciano, il medico delle malattie tropicali, la Filippa Nicoletti, la Milva Malatesta, Ezio, che è il droghiere, assieme alla moglie, il capo degli Hare Krishna, Sebastiano Indovino che si accompagnava con dei bambini minorenni di circa otto-undici anni”. Alla ulteriore domanda della P.G.: “Come mai quando ha riferito in passato dei festini a casa di Salvatore, non ha parlato anche della partecipazione dell’orafo e del medico delle malattie della pelle”? Ghiribelli replicava: “In verità io mi ricordo che durante il processo fatto a Lotti Giancarlo e Vanni Mario io parlai dell’orafo e del medico delle malattie della pelle, ma non venni presa in considerazione. Comunque, durante i verbali fatti in Questura non ne parlai perché le domande che mi venivano poste riguardavano il Lotti e il Vanni”. Alla domanda: “Sa dirmi dove avvenivano i reclutamenti dei bambini?”, la Ghiribelli riferiva: “Non sono a conoscenza di cosa facessero fare a questi bambini, in quanto io dovevo venire a Firenze a lavorare; comunque, questi bambini erano sempre diversi. So che provenivano dalla zona di Prato, ma non sono a conoscenza di come facessero a convincerli….lo ho anche parlato con loro, ma non ho avuto l’impressione che fossero stati costretti, i bambini di otto-undici anni”…. “Le feste avvenivano sempre a casa di Indovino, tranne una volta che andarono in un cimitero assieme al capo degli Hare Krishna, Infatti il giorno dopo c’era un articolo sulla “Nazione” che diceva che sconosciuti avevano scoperchiato le tombe. Il cimitero era nei dintorni di San Casciano e il periodo erano i primi anni Ottanta”.

Sommarie informazioni testimoniali del 5 giugno 2003: “Riconosco l’uomo la cui foto è contrassegnata con il numero 4, cioè il medico svizzero di cui mi aveva parlato Lotti. E’ quello che l’ho visto andare a bordo della macchina scura in compagnia dell’orafo di San Casciano”.?…”Sono certa altresì che si tratta della stessa persona che si accompagnava spesso con il medico di Perugia. Ricordo che il Lotti in merito a questa persona mi aveva riferito che il medesimo era entrato in possesso di alcuni papiri riguardanti la ‘ non l’aveva visto,quindi, per sbaglio una sola volta, ma diverse volte, in piazza a San Casciano, mentre entrava e mentre usciva dall’auto… mummificazione, ma lo stesso si lamentava che mancava una pag..” Peraltro la persona rappresentata dalla foto numero 4 non corrispondeva al Reinecke, trattandosi di tale Vitta Nathanel, che è un uomo molto corpulento e alto, il quale non ha mai abitato alla “Sfacciata”. La Ghiribelli aggiungeva: “E il periodo in cui ho visto queste persone, cioè il dottore svizzero e gli altri, che vi ho appena descritto, era l’82-’83; di questo periodo sono certa”. Tuttavia appare del tutto acclarato che negli anni 82-83 la Ghiribelli non abitava di certo in via Borgo Sarchiani, e, dunque, avrebbe dovuto venire appositamente da Firenze per vedere queste persone; la p.i.f. aggiungeva: “Ricordo che il Lotti mi raccontava che lui, con Pacciani e Vanni, quando trovavano un posto appartato frequentato da coppiette, lo dovevano riferire al medico svizzero, all’orafo e al dottore delle malattie tropicali”. Dette dichiarazioni non erano mai state rese dalla Ghiribelli in precedenza (dal 95 al ‘97, fino al processo Vanni-Lotti).

Sommarie informazioni rese dalla Ghiribelli 11.7.2003: “Ho visto questo individuo, (il Parker) dare soldi al Lotti. Queste somme erano costituite da svariate banconote da cento, credo che fossero qualche milione: credo che usava questi soldi per portare la nipote del Vanni al mare, o per andare con la Nicoletti Filippa a mangiare e a farci l’amore”. Anche questa dazione di denaro (semmai esistita veramente) doveva collocarsi cronologicamente negli anni ’82-’83, perché lo stesso Parker nell’84 oramai non era più in zona; ma non nell’82-83, la Ghiribelli non viveva ancora a San Casciano. Poi aggiungeva: “La sua autovettura, (vale a dire quella dell’Ulisse-Parker), era sportiva”. “Ora che ci penso ricordo che almeno in un’occasione ho visto il dottore svizzero, che ho già indicato e riconosciuto in una foto  38 …che mi avete mostrato in una precedente verbalizzazione, e l’Ulisse, insieme al Bar Centrale di San Casciano”…”nei primi anni Ottanta abitavo presso un albergo situato in via de’ Banchi; durante quegli anni all’interno dell’albergo ho conosciuto due ragazzine che ricordo chiamarsi una Marisa e una di cui non ricordo il nome” 39 che giungevano a Firenze il venerdì mattina, o il giovedì sera, ripartendo la domenica sera; la medesima è la stessa Marisa che portava i bambini ai festini che avvenivano a Faltignano e alla “Sfacciata”. Le veniva mostrata la foto numero 1, che corrispondeva alla Candido Veronica.

38 peraltro il soggetto che aveva riconosciuto nella foto non corrispondeva al medico svizzero!!
39 corrispondente alla prostituta denominata “Marisa di Massa”

Sommarie informazioni rese dalla Ghiribelli il 22.7.2003: “Sia il Lotti che il Galli mi avevano riferito delle feste alla “Sfacciata”. A dire del Galli erano feste davvero belle, dove ci si divertiva molto”. Anche il Galli aveva cominciato ad abitare a San Casciano, in Borgo Sarchiani, dalla seconda metà dell’84, insieme alla Ghiribelli.

Pratesi Attilio, sommarie informazioni testimoniali rese in data 1.8.2009, ex dipendente del Martelli, proprietario all’epoca della Villa “La Sfacciata”, ha escluso di avere mai visto il Parker abitare a Villa “La Sfacciata”. Alla pag. 6 di dette sommarie informazioni testimoniali, diceva: “All’interno della Villa “La Sfacciata” venivano organizzate molte feste. Ricordo in particolare quella organizzata dall’Alfa Romeo, a cui parteciparono molte persone e quella organizzata, dopo il 1984, dal Partito Socialista Italiano, a cui parteciparono molti invitati, oltre duecento. Queste feste però venivano organizzate dopo la morte di Martelli Martino, avvenuta nel mese di luglio dell’84, prima non si facevano”.

In questa prospettiva deve riportarsi anche una breve intervista alla Ghiribelli, che risulta effettuata nel corso dell’anno 2001 e trasmessa, peraltro, solo il 12 febbraio 2004, nella nota trasmissione “Un giorno in Pretura”. Detta intervista, su espressa richiesta dei P.M., veniva visionata nel corso dell’udienza camerale del 6.5.2008 e, nell’occasione, la donna così si esprimeva: “vi sto parlando con il cuore in mano”, “è la prima volta”, “ti ho già detto che non mi fido nemmeno della mia ombra”; e chiestole se “di tutto questo gruppo di merende, a San Casciano, sapevano”, rispondeva “sì, sì, lo sapevano, lo sa anche qualche altro, lo sa”; infine, chiestole se, secondo lei, “c’è qualcuno che sa e ancora non ha parlato”, affermava, rivolta all’intervistatrice, “anche in farmacia dovresti andare, però li devi prendere di brutto, a cattiva deviandare, eh !” cosicché, alla conclusiva domanda “perché loro, tu dici che loro sapevano?”, la risposta è secca: “come no !”. Dette dichiarazioni, secondo l’ipotesi accusatoria, nella loro convincente e sofferta spontaneità, costituiscono solo un semplice embrione delle assai più articolate dichiarazioni riportate sopra; esse hanno comunque la capacità di consegnare, con forza, tutto il profondo disagio della Ghiribelli nell’affrontare cerii argomenti, indirizzato nella direzione della “farmacia”, dove bisognava recarsi “prendendoli di brutto”, “a cattiva”, ritenendo costei intimorita e soggetta a possibili ritorsioni in quell’ambiente del tutto omertoso rappresentato dall’intero paese di S. Casciano. Tuttavia tale ricostruzione cozza irrimediabilmente anche sotto tale profilo con i fatti storici che saranno analizzati di qui in poi. Infatti, a richiesta del difensore dell’imputato, all’udienza dell’8.5.2008 venivano visionati due spezzoni televisivi relativi alle dichiarazioni rese dalla Ghiribelli nell’anno ’97 durante il processo in Corte d’Assise nei confronti degli imputati Vanni e Lotti. A domanda del Pubblico Ministero (minuto 19.50 della trasmissione), la Ghiribelli rispondeva: “Se ricorda la filastrocca <<Cicci cicci… tu sei il mostro di Scandicci>>? E noi da stronze si diceva così”…‘ma Giancarlo ha sempre negato. Fino a quella sera io non ho mai saputo”. (riferendosi alla sera in cui venne pubblicizzata dalla stampa e dalla tv la notizia che il Lotti era stato prelevato e messo sotto protezione, nel novembre dell’anno 1995). Subito dopo la Ghiribelli aggiungeva: “Ma si rende conto che io sono stata sedici anni a frequentare un essere del genere? Mi veniva in casa. A che rischio sono andata? Si deve rendere conto”. La Ghiribelli, dunque, nell’occasione assume di essere venuta a conoscenza delle terribili accuse mosse al Lotti solo nel novembre del ’95 e non prima. Poi al minuto 47 sempre della medesima udienza il difensore di parte civile avv. Colao le domandava, avendo ella in precedenza parlato sia del mago Indovino che di un altro mago, chi fosse il più bravo. E lei rispondeva: “Che ne so io, abbia pazienza. Che discorsi la mi fa? lo i soldi me li sono sempre guadagnati, non ho mai avuto bisogno di magia. Lei la venga a letto con me, poi si sta a vedere”. Dopo tale risposta si udiva chiaramente una risata generale dell’intera aula, che coinvolgeva lo stesso Presidente della Corte. Trattando questo delicato argomento dunque, la Ghiribelli all’epoca non si mostrava affatto preoccupata o intimorita. La Ghiribelli, invece, dimostrava di cambiare del tutto atteggiamento durante la dichiarazione resa alla giornalista Roberta Petrelluzzi nel corso della trasmissione televisiva: “Un Giorno in Pretura” , registrata nell’anno 2001 e mandata in onda nell’anno 2004. Nella requisitoria del P.M. dott. Canessa si evidenziava come esse avessero “il pregio dell’attualità” che, a suo dire, non vi sarebbe stato nei 2001, perché evidentemente del secondo livello a quell’epoca non si sarebbe parlato “nel modo più assoluto e categorico” (così testualmente si evince dalla deregistrazione) . Sotto tale profilo , tuttavia, il difensore dell’imputato alla medesima udienza produceva una serie innumerevole di articoli di stampa dimostrativi che l’indagine attinente ai possibili mandanti degli omicidi si situava temporalmente ben prima di detta dichiarazione della Ghiribelli. Ad esempio veniva prodotto un titolo Ansa del 24 marzo 1998: “Inchiesta ter su movente e mandanti”. Poi una copia del quotidiano “La Nazione” del 7 luglio 1998, che, con molta evidenza, titolava: “I delitti delle coppiette, inchiesta infinita” – “Mostro – Blitz in casa del farmacista di San Casciano – sequestrate agende, foto, dipinti. Come si evince, del resto, dalla nota riepilogativa redatta dal Gides in data 2.3.2005 a firma del dottor Giuttari, l’indagine ter a carico dell’odierno imputato era iniziata nell’anno 1998, allorchè nel mese di luglio venne effettuata la seconda perquisizione nell’abitazione del Calamandrei, da cui scaturiva poi il titolo e l’articolo de “La Nazione”, Ancora il 13 luglio sempre dell’anno 1998 compariva altro articolo de “La Nazione” sotto forma di un’intervista delgiornalista Mario Spezi al Calamandrei, nella quale il primo parlava del Calamandrei come del “mandante”, che avrebbe commissionato i feticci.

La stampa e la tv dunque si era occupata con enfasi e dettagliatamente del Calamandrei additandolo, a seguito delle indagini allora in corso e delle perquisizioni nella sua abitazione, proprio quale possibile mandante degli omicidi attribuiti al “mostro di Firenze” e la Ghiribelli, che ha sempre continuato ad abitare in quel contesto, non poteva certamente ignorare la assillante campagna di stampa e televisioni nei suoi confronti. Non appare credibile, dunque, allorchè, dopo circa tre anni da tale fatti e senza che nel frattempo fosse venuta a conoscenza di alcuna nuova circostanza, sembra adombrare una pista prima ignota (“dovete andare a cattivo alla farmacia..”).

Altra teste ritenuta fondamentale dalla Pubblica Accusa, insieme alla Ghiribelli, risulta Filippa Nicoletti, la quale venne sentita in numerose occasioni: sommarie informazioni testimoniali del 27.11.95: “Ho abitato in via di Faltignano fino al marzo del 1984. lo, quando stavamo insieme, non l’ho mai visto fare il mago. Non ho mai visto in vita mia il Pacciani. L’ho visto in televisione e sui giornali. Ho conosciuto Lotti Giancarlo nel mese di agosto del 1981, mentre il mio convivente, Salvatore Indovino, era in carcere. L’ho conosciuto in piazza a San Casciano. lo vivevo da sola e da quel giorno il Lotti mentre Salvatore era in carcere ha cominciato a frequentare casa mia e abbiamo avuto rapporto uomo-donna. Il Lotti non mi ha presentato mai nessun uomo. Ho visto in televisione, al processo Pacciani, il postino Vanni. Escludo di averlo mai conosciuto e tantomeno che il Lotti me l’abbia presentato”. Poi, anche lei venne sottoposta ad intercettazioni telefoniche richiamate supra a proposito delle dichiarazioni rese dalla Ghiribelli; intercettazione del 16/12/95, delle ore undici e quarantanove, tra Nicoletti e Lotti. Filippa diceva a Giancarlo: “Ma tu mica mi hai presentato qualche volta lui?” (riferendosi al Pacciani). Giancarlo: “No. Te non l’hai mai conosciuto per nulla”. Pag. 2. Filippa: “lo non l’ho conosciuto né tanto Mario, né al Pacciani. lo non li ho mai visti. Dice lì vicino ci abitava la Sperduto, ma io non ci ho mai parlato, buongiorno, buonasera”. “Perché” – a pag. 3 – “è la verità che noi non abbiamo mai avuto a che fare con queste persone, cioè Pacciani e Vanni”. Filippa, pag. 6: “Io li conosco a questi due per via della televisione”, ribadiva. Giancarlo: “Te non l’hai mai conosciuto come persona, te non l’hai mai conosciuto che persona è Pacciani, tu non sai nemmeno come è fatto, se è grosso, se è basso, se è alto questa persona qui”. Filippa: “Chi lo sa? lo non li ho mai visti” — ripeteva ancora una volta – “io li ho visti per TV e sui giornali”. aggiungendo: “Ma erano amici di lui”? “Ma amici di lui? Che ne so io”. Deve qui evidenziarsi che la Ghiribelli nelle sommarie informazioni testimoniali sopra riportate aveva detto, invece, che il Pacciani, il Vanni, frequentavano la casa di Indovino in via di Faltignano, salvo poi smentirsi helle successive dichiarazioni sopra riportate e tornare a sostenerlo durante la sua audizione dibattimentale. La Nicoletti su questo punto appariva categorica.

Sommarie informazioni Nicoletti del 6 febbraio 1996: “Ho conosciuto Indovino Salvatore ad Alessandria, dove io all’epoca abitavo con mio marito e due miei figli, nell’anno 1976”. Nel 1976 la Nicoletti era ad Alessandria insieme al suo convivente Indovino. Alla fine degli anni Sessanta, dunque, il mago Indovino non era a San Casciano.

Dichiarazioni della Nicoletti del 6 febbraio 96: “Nel 1997” – pag. 2 – “insieme ad Indovino andai via da Alessandria; poi siamo stati a Ramacca, paese di origine di Indovino, prima a Firenze a prostituirmi, poi a Prato a casa di parenti dell’Indovino; poi, nel ’78, avevamo trovato un’abitazione in via di Faltignano di San Casciano e lì ci siamo trasferiti. Abitai in questa casa fino al 1984, allorché, a seguito di un litigio con l’Indovino, lo abbandonai ed andai ad Arezzo, con un giovane nuovo amante. La casa di Faltignano era piuttosto piccola, si componeva di un vano cucina, che era all’ingresso, una camera ed un ripostiglio; per entrare in casa si doveva salire alcuni scalini, cinque-sei, per cui era un piano rialzato”. Questa descrizione, che sarà ripetuta anche dal Galli e da altre persone che avevano frequentato l’abitazione di via Faltignano, porta ad escludere che la casa di cui poi parlerà la p.i.f. Pellecchia nelle sommarie informazioni testimoniali che saranno riportate infra fosse proprio quella di via di Faltignano. Sommarie informazioni testimoniali del 10 febbraio 96, rese dalla Nicoletti ai Pubblici Ministeri Vigna e Canessa: “Ho conosciuto proprio in quel periodo, ’84-’85, a casa di Indovino, Ghiribelli Gabriella”. Secondo la Nicoletti, dunque, la Ghiribelli nell’82-’83 non aveva ancora messo piede nella casa di via di Faltignano, ove lei dimorava in pianta stabile, avendola conosciuta nell’84-’85, quando era andata ad Arezzo e da quel momento la Ghiribelli l’aveva in pratica, quantomeno parzialmente, sostituita, come amica del Salvatore, a cui andava a fare le iniezioni essendo gravemente malato, tanto che successivamente morirà per un tumore. Da queste ultime dichiarazioni emerge un dato assolutamente certo circa la non contestualità di frequentazione fra la lei e la Ghiribelli nella stamberga di via di Faltignano di Indovino. Proseguiva: “Circa le persone che venivano a casa dell’Indovino negli anni ’84-’85, quando io, come ho detto, ci capitavo, ho visto Luciano” – a pag. 2 -” la Grazia, Domenico Agnello, che ha portato una ragazza più giovane di lui, Margherita, e ci sono stati quindici giorni, era il 1978. lo sono andata ad abitare con Indovino in via di Faltignano nel marzo ’78 e ci sono stata fino al 30 aprile ’84. Loro mi leggono le dichiarazioni di una persona sentita dal Pubblico Ministero ‘ che descrive di aver visto la casa di domenica mattina in completo disordine, con preservativi usati, tracce di sangue sul letto, bottiglie di liquori, segni di riti. lo escludo di avere mai visto queste cose. lo dico che tali cose non le ho mai viste. lo escludo di aver parlato con chicchessia di questo sangue e che qualcuno me l’abbia chiesto”. “A proposito di Manuelito, l’ho conosciuto, era uno che stava dalle parti di piazza San Marco; faceva il mago; sono stata a casa sua una volta, mi ci ha portato Salvatore; dall’84 non l’ho più rivisto. Salvatore l’aveva conosciuto in carcere a Firenze nell’81. Ricordo inoltre che quando era in carcere il Salvatore mi scriveva che si era messo a studiare la psicologia e che era in grado di fare una scheda con le iniziali dei nomi delle persone. Non ho mai visto né Pacciani né Vanni, che ho conosciuto in TV, neppure a casa di Malatesta, che stava accanto a me”. Alle sommarie informazioni del 10 febbraio 96 seguiva una intercettazione telefonica dei 24 di marzo 96 intercorsa fra la Nicoletti e il Lotti. “Ma tutto quello che sta dicendo la Gabriella, questa l’è matta”. La Filippa parlava del Lotii e anche della condizione in cui si trovava costui. A proposito del Pacciani si diceva: “Lui è furbo, si vede che è una persona furba, anche per televisione”, “Eh, vedo che questo, da come parla, è furbo, perché io di faccia non l’ho mai visto, né lui, né Vanni; io non li ho mai visti tutti e due, e poi la Gabriella ha fatto scrivere sui giornali, dice che soltanto la Nicoletti poteva soddisfare le voglie di Vanni. lo non l’ho mai vista questa persona. Una volta voleva venire, ma poi non è venuto. E chi è che ho visto io”? “lo ho visto Giovanni, detto “Albero Bello Uno”, ho visto Luciano, ho visto Roberto Venturini, ho visto Mauro, quello che portava il gasolio”.

Sommarie informazioni Nicoletti del 23 aprile 96, davanti al P.M., a pag. 2: “All’Indovino non dicevo che andavo con il Lotti, perché Indovino non lo poteva vedere. Ho conosciuto il Lotti nell’agosto ’81 al mercato di San Casciano, quando Indovino era in carcere. Per quello che so io, nel 1980 la Gabriella abitava a Prato. L’Indovino ha conosciuto la Gabriella a Prato, era nel dicembre ’81. Erano insieme in ospedale, lei era alcolizzata”….”lo sono andata via di casa perché non ne potevo più di questa situazione, il 30.3.84. Quando tornavo in via di Faltignano spesso c’era la Gabriella, che diceva gli faceva le punture. Era con il suo uomo Galli. Spesso c’era Luciano Paradiso con la Grazia, che non sapevano dove andare per stare insieme, Lì mangiavano e si divertivano e giocavano a carte anche quando Salvatore stava male”. Poi viene esaminata anche all’udienza del 3 luglio 97, ripetendo quanto già riferito dinanzi al. P.M. dottor Canessa ed in particolare: “Che io sappia, quando abitavo insieme all’Indovino non faceva il mago”…”Indovino è morto in Sicilia il 15 agosto dell’86”. Ricordava poi i frequentatori della casa di Indovino elencandoli tutti: “Il fratello Sebastiano, Venturini Roberto, Luciano con Grazia, Paradiso, Enza, la sorella di Salvatore, Domenico Agnello, la Margherita, Manuelito il mago, Marzia Malatesta, amante”. Poi su domanda: “Ho saputo che ospitava anche ragazze giovani erano, diciamo così, quelle che trovava a Firenze, sbandate, però di venti, ventidue, ventitre anni, che gli facevano pena e le faceva dormire lì, magari straniere, e poi il giorno dopo le mandava via”. Poi ancora: “Ghiribelli e Vanni li ho visti a Faltignano da Indovino dopo l’84, fino all’84 no, però sapevo che la Ghiribelli aveva conosciuto l’Indovino in ospedale nell’81”. Ancora avanti: “lo non ho mai visto in casa di Indovino segni di attività di magie, candele, roba, cose del genere”. “Può essere che abbia visto un cartello con numeri e lettere con le scritte “sì” e “no”, perché poi lui voleva fare le carte a quelli che erano in crisi di matrimonio per vedere di rimetterli in pace. Ho conosciuto Manuelito”.., “Pucci Fernando”.

Si passa poi alle sommarie informazioni rese dalla Nicoletti nel corso delle indagini preliminari relative al presente proc. pen. : l’11 marzo 2003 riferiva: “Ho vissuto nella casa di Faltignano di Salvatore Indovino fino al 30 aprile ’84, giorno questo del suo compleanno; in questa data, a seguito di un litigio, andai via, trasferendomi a Castiglion Fiorentino. Fino a quando ho vissuto stabilmente con Salvatore questi faceva una vita abbastanza regolare. Fino a quando ho coabitato con lui non vidi fare nulla di magico, né vidi a casa persone che lo trovavano per motivi di magia. So che era un amico del mago Manuelito, che Salvatore conobbe in carcere nel 1981”. Poi gli veniva mostrato un album fotografico, e lei riconosceva nella foto numero 15 il Narducci e riferendo che era sicuramente il 1981, “forse nel periodo in cui Salvatore si trovava in galera”. “Mi viene detto che la foto raffigurata nella foto 15 è la stessa delle foto 13 e 14 e allora io rispondo che in effetti riscontro un rassomiglio, ma quando lo conobbi io questa persona era proprio com’è raffigurata nella foto numero 15”. La Nicoletti aggiungeva che aveva conosciuto il Narducci una sola volta, a Firenze, in via Nazionale, e insieme avrebbero mangiato alla Pizzeria “La Lampara”, senza averlo più visto. “Ricordo bene che in qualche occasione Giancarlo mi parlò di un amico senza averlo più visto. “Ricordo bene che in qualche occasione Giancarlo mi parlò di un amico americano con cui andava a pranzo e che l’aveva invitato anche in America, ma lui non ci era andato. Poi mi parlò di un amico tedesco, che aveva trovato a San Casciano e poi aveva visitato in Germania” (in realtà dagli atti emerge che Lotti si sarebbe poi recato in Germania per far visita ad un altro cittadino tedesco di nome Heinz). La P.G. dava atto che le persone raffigurate nella foto 19 e 27 erano Verdino Francesco e Candido Veronica ma la Nicoletti aggiungeva che di queste persone non sapeva nulla di più.

Dichiarazioni rese da Galli Norberto, compagno della Ghiribelli, il 27,12,95 alla P.G., dottor Giuttari: “Negli anni Ottanta lavoravo presso il ristorante “Mamma Gina” e da Donnini come lavapiatti. Nell’82 conobbi una donna che si prostituiva, tale Ghiribelli, della quale mi innamorai e con la quale trascorsi un lungo periodo di convivenza protrattosi fino al 1° di febbraio dell’88”. A pag. 2 riferiva: “Con la Ghiribelli ho vissuto circa un anno in un appartamento di San Casciano, in Borgo Sarchiani 80, mentre successivamente siamo venuti ad abitare a Firenze, in un appartamento di via delle Belle Donne 5. La Ghiribelli faceva la vita a Firenze, in via Fiume, ed era solita portare i clienti alla pensione “Tamerici”. Ero io ad accompagnarla a Firenze e a riportarla a casa a San Casciano”. A pag. 3: “Frequentai Indovino negli ultimi tempi; mi fu presentato dalla Gabriella, che gli faceva le iniezioni. Mi risulta che tra gli amici di Indovino vi erano prevalentemente persone di origine meridionale che abitavano a Prato, verso Pistoia, e che lo andavano a trovare anche perché aveva fama di essere un mago. Tra le persone di San Casciano che conoscevano l’indovino ricordo che vi era un certo Giancarlo, che abitava al Ponte Rotto e che aveva avuto degli screzi con Salvatore in quanto si era messo con la Filippa che era la donna di indovino, quando Salvatore era in carcere “… “ricordo che a casa di indovino ebbi modo di vedere due o tre volte un altro mago con il camper, di nome Manuelito “.

Altre dichiarazioni rese dal Galli l’8.2.1996, ai P.M. di Firenze: “So che Salvatore faceva o, almeno, diceva di fare, delle pratiche di magia. Ricordo che c’era una stanzina che doveva essere il suo studio. Lì, sopra un tavolo, c’erano un libro e un pendolino. Non so che pratiche di magia facesse il Salvatore, ricordo solo che un paio di volte era venuta da lui una bella signora di Pistoia, che il Salvatore mi disse che aveva problemi con il marito. In sostanza, capii che il Salvatore era professionalmente interessato per una storia di rappacificamento tra la donna ed il marito”… “A casa di Salvatore mi è capitato di incrociare alcuni meridionali residenti a Prato, tale Grazia, tale Domenico e Manuelito”. Nessuno, tranne la Ghiribelli, con la contraddittorietà già più volte sottolineata, ha riferito che la stamberga di via di Faltignano fosse frequentata anche da Vanni e da Pacciani, né tantomeno da nessuno dei cosiddetti “intellettuali”, in particolare dal Calamandrei. “Quanto al Lotti lo conosco come una persona molto amica della Filippa. Il Lotti però non l’ho mai visto dall’Indovino”.

Ulteriori dichiarazioni rese da Galli il 29.2.1996 ai P.M. di Firenze: “Non ho mai visto in quella casa” (dell’Indovino) “Vanni; mai ho visto il Pacciani. lo di riti magici e simili non ho mai visto tracce”…. “Posso solo dire, come ho già riferito, che nella stanza in fondo, che ho indicato nel disegno come camerina-studio, c’era un tavolo dove vidi un libro nero con accanto un pendolino. Salvatore mi disse che gli serviva a fare riavvicinare moglie e marito”. Dichiarazioni Galli 23.3.1996: “lo Vanni lo conosco, ma non l’ho mai visto a casa di Salvatore. Escludo di aver mai visto il Pacciani a casa e tantomeno a cena da Salvatore. Sono sicuro che quando iniziai a frequentare la casa di Salvatore era il 1984, quando andammo a stare a San. Casciano”…. “Mai ho partecipato a cene a casa di Salvatore con Pacciani, Vanni, Salvatore, Sebastiano e la Filippa”. “Lei mi chiede se sappia o meno che la Ghiribelli oggi pomeriggio ha rilasciato un’intervista in tal senso alla T.V.; lo apprendo solo adesso da lei”.

Sul conto del Galli e della Ghiribelli, vi è in atti una annotazione di informazioni, dell’8 febbraio 96, ove si riferiva che quest’ultima risultava dedita alla prostituzione dagli inizi degli anni Settanta, essendo stata sorpresa più volte in diverse zone della Toscana mentre era in attesa di occasionali clienti, per cui fu munita di foglio di via da parte dell’Autorità di P.S.. In data 25.05.83 unitamente a Galli Norberto era stata denunciata dalla P.G. di Prato per ricettazione continuata, contraffazione e alterazione di titoli di credito; conviveva con Galli Norberto fin dagli anni Ottanta, abitando in Firenze e nel Senese; in data 2.2.88 aveva denunciato il suo convivente per lesioni, sfruttamento della prostituzione e ricettazione. Sul conto del Galli si riferiva che era stato tratto in arresto dai Carabinieri di Siena per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione; era stato operato un altro fermo per favoreggiamento ancora.

Altre persone informate sui fatti che hanno reso sul punto sommarie informazioni sono: Indovino Sebastiano, fratello di Salvatore, il quale, sentito il 30,12,1995 dichiarava: “Mi vengono chieste notizie sui miei rapporti con mio fratello Indovino Salvatore e sulle sue amicizie e frequentazioni. Ho frequentato mio fratello Salvatore soprattutto negli ultimi anni di vita; soprattutto i fine settimana, e cioè il sabato e la domenica, ero solito andare a trovarlo a San Casciano insieme alla mia famiglia”. “In occasione di tali visite ho avuto modo di incontrare nella casa di Salvatore alcuni amici che lo frequentavano: un certo Luciano, un tale Domenico Agnello, una tale Gabriella, una certa Antonietta, la donna di mio fratello, Filippa”.

Sommarie informazioni testimoniali rese da Paradiso Luciano dinanzi alla P.G. il 3 febbraio 96: “Ho conosciuto Indovino Salvatore dopo l’anno ’80 a Prato, in Piazza del Duomo ed iniziai a frequentarlo… questi conviveva con una donna di nome Filippa, che spesso si ubriacava…Tra gli amici di Salvatore ricordo, in particolare, una persona alta e magra con la barba che vidi un paio di volte e che , per come mi riferì Salvatore, faceva il mago…dal quale aveva appreso l’arte della magia”.

Sommarie informazioni rese da Patierno Maria Grazia il 3 febbraio 96. “Ho conosciuto Indovino Salvatore, credo fosse l’anno ’84-’85. Riconosco anche nella foto numero 2 il noto Pacciani, che ho visto solo in TV”.

Sommarie informazioni rese da Venturini Roberto, l’8 febbraio 96: “Mi chiedete le persone che ho conosciuto a casa di Indovino. Rispondo che, oltre a quelle citate (parlava dello stesso Indovino e di altre persone da lui conosciute sul lavoro presso la ditta Daviddi Ivo di impianti elettrici) ho avuto modo di conoscere la donna dell’Indovino che si chiamava Filippa ed il fratello di nome Sebastiano e che lavorava con me alla Daviddi…Mi viene chiesto se sono a conoscenza che l’Indovino faceva il mago o comunque si intendeva di magia e rispondo negativamente. Indovino non mi ha mai parlato di magia, né ho sentito fare da altri discorsi che lui era esperto di tale arte”.
Sommarie informazioni rese da Pestelli Ezio, l’8 febbraio 96: “Mi viene chiesto chi frequentasse l’abitazione di Indovino. Ricordo Sebastiano, che è il fratello, Luciano di Prato con la convivente Grazia, tale Adelindo, che mi risulta deceduto il Lotti Giancarlo, quest’ultimo non gradito all’Indovino per come questi mi diceva. Frequentavano quella abitazione anche alcune donne da me viste e che non conoscevo e delle quali, quindi, non sono in grado di fornire particolari…. L’Indovino spesso ospitava nella propria abitazione ragazze sbandate che rimorchiava la sera a Firenze, non so però dove di preciso. Queste ragazze si fermavano per alcuni giorni dall’Indovino e, prima di partire da Faltignano, si fermavano nella mia bottega a prendere un cappuccino con l’Indovino. Li vedevo poi andar via ma non so dove andassero….Le avrò viste tre/quattro volte”.

Sommarie informazioni rese da Sassano Maria Antonietta, il 20 febbraio 96: “Fu Manuelito a farmi conoscere Salvatore nell’86, lo stesso anno che Salvatore morì”.

Sommarie informazioni rese da Ungredda Salvatore, 21 giugno 96: “Non ho mai conosciuto Vinci Francesco, del quale ho sentito parlare solo sui giornali e in televisione”.

Pellecchia Marzia, altra prostituta collegata alla Giovagnoli, ha riferito di altri incontri, qualificati quali “festini” sentita il 4 febbraio 2003 testualmente a pag. 6 evidenziava: “La Lina l’ho conosciuta. lo feci uno spot pubblicitario per il giornale “Il Marziano”40 … “Ci sarò andata per un anno, un anno e mezzo”. Poi: “Con la Lina sono andata sì a San Casciano, nell’epoca che andavo dalia Lina, negli anni Ottanta”, a pag. 17. “Si iniziò anni ’80, ’80-’81, giù di lì. Era una casa di campagna, un rudere” – pag. 18 – “perché era diroccato. No, no, giardino non c’era. La strada era con dei massi in terra. Era un po’ difficoltosa. Il pavimento era in cotto. Era uno dei pavimenti vecchi di prima, c’era un camino, me lo ricordo perché cuocevano la carne lì gli uomini. In questa casa andai con la Lina, quindi la Giovagnoli me lo propose lei. Trovai uomini. C’erano uomini, tre-quattro persone. Non avevo mai visto queste persone”. “Poi, un’altra volta” – pag. 21 – “andai anche con un’altra signora, sempre amica della Lina, tale Loredana Miniati”. “Andai massimo tre volte, una con la Lina e la Miniati e due con la Miniati e la Lina non c’era”, – pag. 22. Poi a precisa domanda su che tipo di prestazioni venissero richiedeste da questi soggetti, a pag. 24 riferiva: “No, le prestazioni che venivano fatte erano normali, normali, no, no, normali. Erano atteggiamenti, erano persone un po’ , scortesi con le ragazze, volgarotti, gente che beveva, sì”. A pag. 25: “Un po’ contadinotti, le solite facce di sempre”. Negli anni Ottanta lei ricordava di essere stata in una casa di campagna diroccata, mezza diroccata, aggiungendo “non c’era la superstrada”. Poi descriveva la casa, che era sul piano terra e non su due piani. Poi, a pag. 32, descriveva le ragazze viste a casa della Lina, in via Bellini ove c’era la Giovagnoli, che, come risulta dagli atti e come definito del resto dallo stesso difensore dell’imputato nella sua

40 (ciò avvenne nell’anno 1978)

arringa, doveva essere definita la prostituta “di fiducia” del Calamandrei. La Pellecchia riferiva sul punto: “Ragazze viste a casa della Lina in via Bellini: Angela, che stava a Prato, l’Emma, una volta ci vidi una brasiliana. A San Casciano invece c’ero io, poi la Lina, poi la Angela Giovagnoli e poi Anna Cantini”…. “Una volta ho visto un medico:” – a pag. 33 – “diceva che faceva il medico e lui si era portato la sua donna: l’ho visto due volte, una volta venne solo e una volta portò una ragazza, bella, giovane, alta un metro e settantacinque; questo medico non era fiorentino”, Pag. 35: “Io ho smesso di andare sia a Firenze, sia in via Bellini, sia nella casa di campagna a San Casciano, nell’anno ’82-’83”. “Ho smesso” – pag. 36 – “perché la Lina mi disse che non se la sentiva più. Sull’82 così si finì”, “Oltre a San Casciano” — Pag. 37 – “sono stata anche in una casa a Prato”. Poi a domanda su che cosa avvenisse in questi incontri, la Pellecchia diceva: “c’erano sempre e solo queste tre o quattro persone, molto volgari”; a domanda se si facessero orge, lei rispondeva testualmente a pag. 38: “No, ma di molti si andava ognuno per conto proprio”. Poi gli si chiedeva: “Che c’era qualche cosa di strano? Aveva notato qualche cosa di strano”? “No, non c’era niente di strano, roba di droga, niente, bevevano tanto, io non ho visto che si drogassero”…”Gente volgarotta, si spogliavano, si mettevano a ballare nudi”, “si cominciava alle sette, sette e mezzo, le otto, fino alle ore ventiquattro”, pag. 40. Veniva mostrato alla Pellecchia l’album fotografico numero 4 del 4 febbraio 2003 e alla foto numero 1, le veniva chiesto: “Le mostro la foto numero 1 e poi lei mi dice quale cosa questa foto oppure se non le dice nulla”. E la Pellecchia rispondeva, pag. 42: “Mi pare di conoscerlo, questo è il Pacciani”. Poi altra domanda : “Ma di quale foto sta parlando?” E lei rispondeva: “Di questa, della foto numero…Francesco”… non si capisce. “Questo signore poi mi pare di averlo già visto”. “Dove, signora”? La Pellecchia: “Non mi ricordo se a San Casciano o in via Bellini”. E lei poi diceva: “SÌ, non è una faccia nuova, ecco… anche questo non è una faccia nuova”. “Di chi sta parlando, signora”? “Della foto numero 2” – sempre a pag. 42 – “Della foto numero 2, non mi è una faccia nuova” (trattasi del Vanni). Poi veniva mostrata altra foto, (la numero 3) e la Pellecchia riferiva: “Anche questo, il seguente signore, io l’ho visto o a San Casciano o in via Bellini”. La foto numero 3 era quella del Lotti. Poi la foto n. 4. “Anche questo io l’ho visto o in via Bellini o a San Casciano”. “Di questa… di questo è sicura, della foto numero 4”? “Dj queste… di queste sono più sicura di tutte”. Poi vi era la foto n. 5 bis, (Vinci Salvatore), e diceva: “Anche questo mi pare di averlo visto o a San Casciano o in via Bellini”, pag. 43. Poi alla foto n. 6 la Pellecchia evidenziava. “Anche questa l’ho già vista, o a San Casciano o in via Bellini, più a San Casciano”. La foto numero 6 corrispondeva al Calamandrei. E a precisa domanda: “Ma dov’è che l’ha visto? E’ sicura, signora?” la Pellecchia replicava: “Ora… eh, son foto” – pag. 44 – “che di vent’anni fa è un po’ un problema; mi sembra più di averlo visto in via Bellini; forse l’anno scorso andrei sul sicuro, foto di vent’anni fa potrebbe essere, l’ho già detto”. Poi gli si mostrava la foto n. 7. “Anche questo l’ho già visto”. “Di chi parla, signora”? “Eh, questo è lo Zucconi”. Le si domandava: “L’ha vista anche questa persona?”. “Sì, sì”. “Lei guardi bene la fotografia numero 7 e ci dica che cosa le dice”. “Mi dice che io l’ho già vista anche questa persona qui, non sono sicura dove l’ho visto. L’ho visto a San Casciano o in via Bellini, anche qui sono incerta, sono incerta”. Poi le veniva mostrata la foto n. 8, corrispondente al Narducci, e la Pellecchia riferiva: “Sono incerta”. E a domanda: “Incerta in che senso?”.. “Incerta in dove lo posso aver visto”. “Ma lei è sicura di averlo visto”? “Sì. Può anche darsi che lo abbia visto, non sono sicura però”. “E che cosa le dice? Qual è il ricordo”? “Una persona di buone maniere, molto raffinata, di buona educazione”. Poi a pag. 48 si parlava della foto n. 8, “Le sembra”… “potrebbe essere anche questo, però non ne sono sicura. Mi disse “sono dottore””. Si trattava sempre del Narducci. Poi si passava alla foto n. 9: “A me non mi pare di averlo visto in nessun posto”. E poi si continuava: “Nemmeno questo”, diceva la Pellecchia a pag. 48. “Di che sta parlando?”…. “Della foto numero 10″. La foto numero 10 corrispondeva al Calamandrei. Quindi, quest’ultimo era stato riconosciuto nella foto numero 6, mentre nella foto n. 10, a pag. 48 non veniva riconosciuto dalla Pellecchia, avendo detto prima di “non averlo visto in nessun posto”. Poi si passava, pag. 49, alla foto n. 11 (corrispondente ancora al Narducci). “E questo l’ho visto a San Casciano”, E a precisa domanda: “Ah. E’ sicura di questo”? La Pellecchia replicava: “Sì, sì, questo sì”…: “Se lo ricorda bene? Le disse chi era questo signore”? “No, no”. “Le disse che lavoro faceva”? “No, no”. “Era venuto in macchina” – sempre a pag. 49 – “poteva essere un industriale”. Poi si passava a chiederle in quali altri posti lei ricordava di essere stata; e lei diceva: “Sono stata anche in una villetta a Poggio a Caiano”. A domanda se ricordasse qualche nome delle persone con le quali si incontrava, a pag. 51 rispondeva: “Non mi ricordo di aver conosciuto qualcuno di nome Francesco di San Casciano. Sono persone che ho visto due volte in questa casa, ci sono stata due volte e basta, sto parlando della casa di San Casciano”… “Queste feste nella casa di San Casciano venivano fatte infrasettimana, mai di sabato né di domenica, e venivano fatte dalle diciannove e trenta a mezzanotte”, A pag. 56 a domanda: “Ci ribadisce le donne che venivano con lei nella casa di San Casciano?”, la Pellecchia le elencava: “La Angiola Giovagnoli, detta Lina, l’Anna Cantini, che abita in via della Casella, vicino a me, e la Loredana Miniati. Non ho mai visto ragazze minorenni”, pag. 56. Poi, pag. 61, a domanda: “Ma il proprietario di questa casa di San Casciano chi potrebbe essere?”, “Ma, potrebbe essere quello rappresentato dalla foto numero 4”, corrispondente a tale Faggi, che era un coimputato nel processo dei “Compagni di merende”, insieme al Vanni e al Lotti, e che venne assolto nella sentenza della Corte d’Assise di primo grado, confermata in appello e passata in giudicato. Circa la foto num. 11, ove era rappresentato il medico Jacchia, la Pellecchia diceva: “Anche questo mi pare, ma non son sicura, non lo so, La casa a me non dava l’idea di essere abitata, era diroccata”. Poi a pag. 67 le veniva mostrato un appunto e a domanda: “Ma questo signore che è scritto su questo foglio intestato qui” — pag. 67, che il sovrintendente Natalini riferiva essere Francesco Calamandrei – “le dice nulla?” la Pellecchia rispondeva: “No, non saprei”. Poi a domanda: “Ma è sicura?”, a pag. 68 lei testualmente rispondeva: “io non lo conosco questo Francesco Calamandrei”. “Non le dice nulla?”, E lei rispondeva: “Nulla”. Poi a domanda: “Ma fra questi uomini c’era qualcuno, li ha mai sentiti parlare di Perugia, dell’Umbria”? “No, io non li ho mai sentiti parlare di Perugia e dell’Umbria”, pag. 74. A domanda: “Ii nome Narducci Francesco l’ha mai sentito nominare”? Pellecchia replicava: “Nz”, che sembrerebbe un no. La P.G.: “E in questi ambienti qui si parlava di magia nera, si parlava di riti?”, la Pellecchia replicava: “No, no, non ho mai sentito parlare”….- pag. 76 – : “Nemmeno che riguarda le messe nere, le sette sataniche, così, crocifissi, questa robaccia qui. Non ho mai visto mai roba così, mai vista”.

Sommarie informazioni rese dalla Pellecchia il 7 febbraio 2003. “Mi viene chiesto di spiegare con più dettagli la descrizione della colonica di San Casciano di cui ho parlato e dei personaggi”. E lei rispondeva: “la casa colonica si trovava fuori dal paese di San Casciano, si raggiungeva dopo aver percorso circa cinque minuti con la macchina, una strada sterrata… di queste persone… ma più sicuramente doveva essere a San Casciano; mi viene chiesto di spiegare la personalità di questi personaggi; erano sicuramente persone con problematiche, anche sotto l’aspetto sessuale, qualcuno era più violento, nel senso che nella presa era più manesco e irruente, come ad esempio il medico di Prato, di cui ho parlato e con cui in un’occasione ho avuto Un rapporto sessuale”. Poi parlava di “Loredana”, che era infermiera, aggiungendo che lei si recava anche a Poggio a Caiano. Anche nelle citate sommarie informazioni la Pellecchia non aveva mai parlato del Calamandrei.

In data 8.2.2003 il P.M., ritenendo che vi fossero contraddizioni tra le dichiarazioni rese dalla Pellecchia e quelle rese dalla Giovagnoli, decideva di effettuare un confronto tra le due pp.ii.ff.. La Pellecchia insisteva sul fatto che i festini avvenissero nella casa diroccata dicendo: “S’andò a queste feste con i “gozzilloni””. E la Giovagnoli: “Ma chi c’era”? La Giovagnoli: “Io non mi ricordo, non mi ritorna niente”. Dottor Giuttari: “La signora Pellecchia ha riferito circostanze precise, che è stata in questa casa, che ce l’ha accompagnata lei, che guidava lei”. “Se lo dice lei sarà vero, ma io non me lo ricordo”. E allora ancora la Pellecchia: “Ma della Loredana te la ricordi? Una volta venne anche la Loredana”. Giovagnoli: “La Loredana la frequentavo poco, la Teresa sì. lo sono andata là al Nord, poi ci è andata lei”. Interviene il dott. Giuttari: “Allora, lei non se li ricorda perché erano fatti brutti? Questo lavoro l’ha scelto lei, quindi se li ha cancellati erano fatti brutti”. La Giovagnoli: “Per me era sempre brutto quando non c’è l’amore”. E quindi rimangono tutte e due sulle loro posizioni e la Giovagnoli concede alla Pellecchia solo quella frase “se lo dice lei sarà vero” negando, però, la sua frequentazione nella casa di San Casciano insieme alla Pellecchia, tanto che concludeva: “Confermo le dichiarazioni fatte a verbale, ma le feste non me le ricordo”.

Ancora in data 8.2.2003 venne effettuato altro confronto tra la Pellecchia e la Miniati, quest’ultima trattandosi di una prostituta che si sarebbe recata alle feste della casa diroccata di San Casciano. La Miniati dichiarava di conoscere la Pellecchia solo di vista, negando nella maniera più assoluta di essere mai stata ai festini in compagnia di quest’ultima. In particolare a domanda se fossero andate insieme a San Casciano, pag. 1, Miniati riferiva: “Lo nego, non sono mai stata, sono sicura di questo”, mentre la Pellecchia: “Siamo andate insieme, Loredana, a San Casciano o a Poggio a Caiano”. Ancora la Miniati: “Non siamo andate insieme da nessuna parte” e la Pellecchia: “Posso sbagliare posto, può essere San Casciano”. Miniati: “lo non ci sono stata”….’Se tu mi hai conosciuta, in che anni mi hai conosciuta?”, Pellecchia: “Negli anni Ottanta. Tu non mi conosci”? Miniati: “No, la conosco solo di vista, ma non il nome”. L’Ufficio chiedeva alla Miniati se fosse stata in macchina insieme alla Pellecchia e la Miniati rispondeva: “Non lo ricordo, Ai festini non ci sono mai stata”.

Sommarie informazioni rese dalla Pellecchia il 13 febbraio 2003, ove quest’ultima riferiva: “I fatti che ho descritto relativi alla mia frequentazione di uomini, di feste con la Giovagnoli, risalgono al periodo ’80-’82. Ricordo bene che sono andata in quel posto d’estate, mi sembra di ricordare tre volte, faceva caldo. Era il mese di giugno o di luglio, però poteva essere il 1980 o forse l’81-’82. Ricordo che era un’estate in cui c’erano i campionati di calcio” (e quindi doveva essere l’estate dell’anno 1982, allorchè si svolsero i mondiali di calcio in Spagna) “In quella casa di campagna che ho indicato alla Polizia, ubicata in San Casciano io ci sono Stata una volta con la signora Giovagnoli e due volte con la signora Miniati”, A Pag. 2 riferiva: “c’era un uomo giovane che con me si qualificò come Medico; gli altri lo chiamavano “dottore”: mi disse che era di Prato e una volta venne con una ragazza; non ricordo la forma del viso”. Occorre evidenziare che in precedenza, nelle s.i.t. registrate e trascritte il 4.2.2003, alla Pag. 49, a domanda “che lavoro faceva questo giovane?”, lei replicava: “poteva essere un industriale”…”Erano foste che si svolgevano sempre in giorni della settimana, mai di sabato o di domenica”, Circa il “dottore giovane”, già riconosciuto nella foto n. 11, peraltro con un “mi sembra”, ora evidenziava: “Non ricordo la forma del viso”. Poi, alla pag. 4: “Dopo averle guardate, le foto, le dico che il medico di cui ho parlato mi sembra quello della foto n. 11; anche la foto n. 8 sembra raffiguri il medico di cui ho parlato”. Nel verbale delle S…t. del 4.2.2003 invece – pag. 46 – circa la foto n. 8 aveva riferito “sono incerta” e a pag. 49 circa la foto n. 11 aveva riferito: “potrebbe essere, però non sono sicura”. Poi le veniva chiesto come si facesse per arrivare a quella casa, e lei rispondeva: “Non ricordo se per arrivarci si passava da San Casciano. lo non ricordo esattamente dov’era il posto dove si andava, faccio Un po’ di confusione”….”Il paese di San Casciano non lo conosco. Mi sembra che si trattasse di una casa posta in pianura”. “Mi sembra di ricordare una zona tutta piana, non percorrevamo salite per arrivarci”.”Non ricordo se si passava per arrivarci dal paese di San Casciano, non ricordo esattamente dov’era il posto dove s’andava. Mi sembra di ricordare che loro dicevano che s’andava a San Casciano, però faccio un po’ di confusione”.

All’esito di dette dichiarazioni veniva effettuata l’ispezione luoghi in data 26.2.2003. Nei verbale si dava atto: “Da casa di Giovagnoli, in Firenze, via Bellini, si arriva a Mercatale, presso Villa Corsini, come possibile casa dei festini”….”Si è proceduto per recarsi nelle vicinanze dell’abitazione della Giovagnoli, indicato quale punto di partenza. Si specifica che la signora Pellecchia ha riconosciuto il civico n. 41, indicando le finestre. Si percorreva via Maragliano, via di Novoli, via Forlanini, via Guidoni, fino all’imbocco della bretella autostradale Firenze Nord”…”Al termine di detto tratto la Pellecchia ci indicava di proseguire in direzione dell’ex Motel Agip, oggi Holiday Inn. AI casello di Firenze Nord ci indicava di proseguire in direzione Roma. In questo frangente riferiva di riconoscere la chiesa sita sullo svincolo. Percorrendola in direzione Roma, dopo quindici chilometri si usciva al casello di Firenze Certosa e la donna precisava che dovevamo andare non in direzione dell’Autopalio, ma verso la via Cassia”. “Giunti nelle vicinanze dell’indicazione di via degli Scopeti la Pellecchia affermava che la strada era quella che lei aveva fatto per andare ai festini, specificando che ricordava sia la strada che la salita, sia la vegetazione intorno e proseguendo sulla strada in direzione di San Casciano ci fermavamo in prossimità di una strada sterrata sulla destra, ma la signora affermava di non riconoscerla. Si dà atto che trattasi di un viottolo sterrato posto prima di giungere al luogo del duplice omicidio ai danni dei due cittadini francesi. Proseguendo si raggiungeva l’incrocio con via di Faltignano”. “Percorrendo quest’ultima, la signora non la riconosceva”. “Si tornava indietro e si proseguiva in direzione di quest’ultima, si proseguiva in direzione di San Casciano. Passato il paese, si svoltava verso Mercatale. Raggiunta la via Grevigiana, la strada sterrata, la imboccavamo, e la signora Pellecchia esclamava: “La strada per arrivare alla casa era uguale a questa”. Continuando a percorrerla, siamo arrivati a due costruzioni. Qui la Pellecchia dichiarava di riconoscere la casa contraddistinta dal numero civico 4/A come molto simile alla casa dove aveva effettuato i festini a luci rosse. Inoltre esclamava: “Lo spiazzale era questo”, riferendosi all’aia e al muretto che la delimita, ricordando che il piazzale era fatto di pietre. Si rappresenta che continuando a percorrere detta strada, questa si interrompe davanti al cancello della villa dei Corsini”. “Per meglio vedere il luogo e la casa si scendeva dall’auto e, recatasi nella parte ove la donna diceva trovarsi l’entrata, questa non vi era, Ma all’interno del porticato si è notata la presenza di una porta. Inoltre non ricordava la parte estrema della casa, che era fatta ad archi e stondata. Durante il ritorno, la Pellecchia ribadiva che sia la strada che la casa erano molto simili, però non era quella”,

Sommarie informazioni rese dalla Pellecchia il 3 settembre 2003: le veniva mostrata la foto n. 10, che riproduceva la persona informata sui fatti Martellini Tamara, la quale, secondo le sue precedenti dichiarazioni, aveva accompagnato il “medico di Prato” identificato nel dott. Narducci e la Pellecchia dichiarava: “Direi che la persona raffigurata nella foto gli somiglia molto, direi, come ho già detto in precedenza, era una ragazza molto schiva, che parlava molto poco, che non parlava molto”. “lo ricordo che era castana scura o mora, ed aveva i capelli sciolti sulle spalle, come sulla foto che mostrate; era bellina di viso e mi sembrava indossasse o dei pantaloni o una minigonna, non era comunque vestita elegante e nemmeno portava i gioielli”. Le venivano mostrate altre foto dell’album fotografico n. 15 del 2003, e lei, dopo averle viste, riferiva: “Voglio precisare che vedendo la foto foto n. 4, ovvero quella ritraente una persona di colore, quando l’ho vista ha fatto scattare in me il ricordo della stessa. Non ricordo comunque in che contesto, ma io ho visto questa persona, ma di certo se si fosse trovato alle feste a cui andavo a San Casciano me lo sarei ricordato. E’ molto più probabile che io l’abbia visto in via Bellini”. “Per quanto riguarda le altre persone raffigurate nelle foto, non ne riconosco nessuna e non le ho mai viste”. La prima foto era quella di Ceccatelli Giovanni, marito della Martellini; la seconda foto era di Vitta Jonatha; la terza di Vitta Nathanel, del quale la Ghiribelli aveva parlato quale “medico svizzero”; poi vi erano raffigurati il Reinecke, il Parker, la Candido Veronica (detta “Marisa di Massa”).

Occorre ora esaminare le sommarie informazioni testimoniali rese da Miniati Loredana, già protagonista del confronto con la Pellecchia in precedenza riportato. Dette dichiarazioni risalgono al 7 febbraio 2003. Alla Miniati veniva mostrato nell’occasione un album fotografico contenente sedici foto, titolato “Album fotografico 07 febbraio 2003”, “Dopo averlo attentamente visionato la stessa dichiarava di riconoscere il professor Zucconi, conosciuto in quanto lavorava presso l’Ospedale di Careggi nello stesso reparto dove prestava servizio la Miniati”, ivi svolgendovi le mansioni di infermiera. La Miniati non riconosceva nell’occasione il Calamandrei, non citandolo proprio. Poi: “A specifica domanda risponde di non conoscere assolutamente Pellecchia Marzia”. Veniva chiesto alla Miniati se ricordava di avere avuto incontri a luci rosse a San Casciano, nei dintorni o di aver partecipato a festini particolari e la P.G. dava atto che la Miniati replicava: “In maniera decisa nega di essersi mai recata a San Casciano e dintorni e di aver mai preso parte a festini in compagnia della Giovagnoli e di altre persone. L’Ufficio mostra alla Miniati l’album, riconosce lo Zucconi; riconosce nella foto numero 13 la Pellecchia”. La Miniati aveva riferito di conoscere quest’ultima sin dagli anni 82-83, negando, però, di essersi mai recata con lei ai festini. Infine l’ufficio di P.G. dava atto che non riconosceva nessun altro fra cui Pacciani, Vanni, Lotti, Calamandrei e Narducci”. A seguito delle citate ss.ii.tt. i P.M. ritenevano necessario procedere al confronto tra la Miniati e la Pellecchia sopra riportato.

Altro soggetto ritenuto dagli inquirenti di un particolare interesse investigativo è Giovagnoli Lina, definita dallo stesso difensore dell’imputato quale prostituta personale di fiducia del dottor Calamandrei. Nelle sommarie informazioni del 7 febbraio 2003 costei riconosceva il Calamandrei nella foto numero 10. E poi a domanda: “Si è mai recata a cene o incontri con alcuni amici in compagnia di qualcuna delle sue amiche Cantini Anna Maria, Miniati Loredana, Marzia Pellecchia”? Rispondeva: “Non mi sono mai recata a nessuna festa ed a nessuna cena in compagnia delle persone che mi avete detto”. Poi si passava al riconoscimento fotografico e la Giovagnoli relativamente alla persona riprodotta nella foto n. 1 dichiarava “ha una fisionomia che non mi è nuova”. Poi si passava alle foto numero 2, 3 e 4. E la p.i.f. riconosceva Vanni Mario nella foto numero 2, Lotti Giancarlo nella foto numero 3, Faggi Giovanni nella foto numero 4, aggiungendo: “Credo di averle viste pubblicate sui giornali”. La foto numero 5 bis era quella relativa a Vinci – Salvatore. “Mi sembra quel sardo che era sul giornale”. La foto numero 6, Calamandrei Francesco: “Non lo conosco”. Poi, Vinci Francesco: “Mi sembra il Vinci del giornale”. Zucconi Giulio: “Non lo conosco”. Narducci Francesco: “Mi sembra una fisionomia conosciuta, non saprei dove”. Verdino Francesco: “Non lo conosco”. La foto n. 10, Calamandrei Francesco: “Mi sembra che assomiglia al Calamandrei di San Casciano”. Circa la foto numero 12, corrispondente a Jacchia Gian Eugenio, dichiarava: “Ha una fisionomia, in particolare della bocca, che mi ricorda qualcuno che conosco”. A specifica domanda: “Ci può spiegare dove ha conosciuto il dottor Calamandrei di San Casciano?” la Giovagnoli replicava: “Conosco il Calamandrei da circa quarant’anni” – a pag. 4 – “Io ricordo come un tipo simpatico, con molta voglia di vivere, sempre molto plateale, frequentava spesso la mia casa di via Bellini negli anni Settanta. Ricordo che in quegli anni si accompagnava con altri due amici, uno più giovane di lui, molto distinto e simpatico, con i capelli scuri, mentre dell’altro non ricordo assolutamente nulla. Con il Calamandrei ci siamo anche sentiti spesso al telefono senza incontrarci, dove parlavamo sempre di tante cose. Ad un periodo di frequentazione, in cui il Calamandrei veniva a trovarmi di tanto in tanto, da solo, nella mia abitazione di via Bellini, 41, per rapporti sessuali, poi le visite sono cessate ed ho ricevuto solo telefonate di tanto in tanto. Due volte l’ho incontrato per strada, la seconda volta mi sembrava un po’ sciupato. A San Casciano ci andavo perché lei c’aveva questo amico dentista da cui si faceva curare. Sono stata chiamata in passato dalla Polizia, in un’altra occasione, non ricordo, ma penso negli anni Novanta. Mi chiesero sempre le stesse cose e cioè se ero stata a feste in villa a San Casciano e altre cose che non ricordo”.

A fronte dell’esame analitico delle dichiarazioni rese nel corso degli anni dalle principali protagoniste non è emerso che costoro abbiano saputo indicare con precisione le due case che, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbero state le basi ove si riunivano i “gaudenti”, dapprima col gruppo dei contadini e poi con quello degli intellettuali. Infatti da un lato è emerso che Pellecchia e la Giovagnoli non avessero alcun contatto con l’altro gruppo di prostitute costituito dalla Filippa Nicoletti, dalla Ghiribelli, dalla “Marisa di Massa”. Occorre distinguere i frequentatori della fatiscente casa di via Faltignano, dai frequentatori della “Sfacciata” 41. Secondo l’assunto accusatorio la frequentazione del Calamandrei con la Giovagnoli dovrebbe essere la prova ed il dato di riscontro delle dichiarazioni del Vanni, rese nella sua audizione del 17 gennaio 2004. Da quanto si apprende dalle dichiarazioni della Giovagnoli sembra confermato solo che costei era la prostituta di fiducia del Calamandrei relativamente agli anni Settanta. La Giovagnoli però non è in rapporto con le altre prostitute che si recavano alla villa (forse la “Sfacciata”) mentre il Calamandrei non può essere additato come uno dei partecipanti a quei festini con i bambini che avvenivano nella villa.

Secondo la Pubblica Accusa i festini avvenivano nella dependance della casa in disponibilità del tedesco Rolf Reinecke presso Villa la Sfacciata a Giogoli: dovrebbe essere la villa frequentata “dagli intellettuali” di cui ella non aveva parlato prima per paura, un posto frequentato da persone per bene. Non è un “casino di pessimo profilo” come Nesi definisce la casa di campagna di Indovino. Pacciani e Vanni per quanto a conoscenza della Ghiribelli non frequentavano la Villa: costei aveva riferito che Lotti aveva conosciuto il tedesco e gli aveva fatto conoscere le ragazze e le persone che organizzavano i festini a Via di Faltignano, convogliando in buona sostanza nella villa una parte delle stesse persone che organizzavano i “festini” che erano vere e proprie orge. Venivano fatti in piena notte, fino alle prime luci dell’alba nei fine settimana e vi si faceva uso di cocaina. I partecipanti erano individuati oltre che nel padrone di casa e nel suo amico “Uli” (l’americano Bob Parker), nel Lotti, in Indovino Salvatore, in Milva Malatesta, nella “Marisa di Massa”, nel medico di Perugia Francesco Narducci, che dormiva nella villa del tedesco (elemento assolutamente non accertato e che, anzi, porta a ritenere che la esatta sede degli eventuali festini non fosse villa la Sfacciata), nonchè in giovani ragazze minorenni ivi portate dalla Marisa. Vi sarebbe stato anche un appartenente alle forze dell’Ordine, l’appuntato dei Carabinieri Filippo Neri Toscano, e altri uomini che si limitavano a guardare.

41 ammesso poi che si tratti proprio di detta villa, (sull’argomento si parlerà infra)

I numerosi verbali della Ghiribelli contengono dettagli sulle frequentazioni delle due case dei festini, sul fatto che “Marisa di Massa”, che era stata conosciuta dalla Ghiribelli a Firenze, insieme alla sorella, all’epoca entrambe minorenni, portavano bambini e ragazzine, riferendo, altresì, le orge che avvenivano in quei luoghi ed i partecipanti. Il Lotti avrebbe riferito alla Ghiribelli che “quando andavano alla Villa si divertivano molto perché qui avvenivano le orge dove interveniva anche la Marisa che portava i bambini. Giancarlo mi raccontò anche che i bambini dovevano prima “scopare fra loro” poi intervenivano gli altri che a turno “scopavano i bambini””.

Secondo l’accusa la Ghiribelli doveva aver partecipato personalmente a tutti i festini delle due case, avendo riferito dettagli così precisi che farebbero propendere per una sua diretta partecipazione ai festini che avvenivano nelle due case: tuttavia anche tale circostanza non trova alcun riscontro oggettivo, avendo sempre sostenuto costei di aver appreso tali notizie solo dal Lotti e ciò non ha trovato alcuna smentita dalle carte processuali.

Il gruppo delle cosiddette persone “per bene” indicato dalla GHIRIBELLI.

La Ghiribelli ha elencato, inoltre, una serie di persone, a suo dire amiche tra loro e in qualche modo legate da frequentazioni con il medico svizzero ed il negro americano Bob Parker. Si tratta di persone che aveva. visto personalmente insieme, a gruppi, nei bar di san Casciano con il farmacista Calamandrei, con i proprietari della villa, con il medico di Perugia. Il Lotti le avrebbe poi confermato i legami tra loro e con il tedesco. Costei ha elencato nelle persone dell’odierno imputato, di un medico delle malattie tropicali, di un orefice di San Casciano, di un imprenditore, di un ortopedico, citando vari episodi in cui li aveva visti insieme e intuendo che si frequentavano. Li aveva parzialmente riconosciuti negli album che le erano stati mostrati, riferendo solo che facevano parte di quella compagnia, ma non fornendo alcun dettaglio sulla loro specifica frequentazione della Villa La Sfacciata. A seguito di ulteriori accertamenti svolti a carico delle persone sopra evidenziate, i P.M. hanno dichiarato di aver provveduto da tempo, escluse ovviamente le persone decedute, alla loro iscrizione nel registro degli Indagati della Procura di Firenze e che le indagini sono ancora in corso.

In particolare nel verbale dell’1 Marzo 2003 la Ghiribelli aveva specificato che ai festini partecipava anche un carabiniere di San Casciano identificato in Toscano Filippo Neri, che riconosceva in foto al “mille per mille”. Le indagini si sono interessate a lungo di questo militare che secondo l’assunto accusatorio avrebbe frequentato anche la casa di Via Faltignano, dove abitava anche la Sperduto e sarebbe la stessa persona che, secondo quanto dichiarato dalla Sperduto e dai suoi figli, soprattutto dal figlio Luciano, avrebbe costretto la Sperduto a lasciare il marito e la casa della Sambuca, dove la famiglia abitava nel dicembre 1980, nella quale pochi giorni dopo il marito era stato trovato impiccato. Costui all’epoca svolgeva le funzioni di appuntato dei Carabinieri della Stazione di San Casciano dell’epoca, già appartenente negli anni precedenti alla soppressa stazione di Mercatale, e conosceva bene Vanni e Pacciani. | P.M. hanno riferito dell’esistenza di un proc. pen. a suo carico quale possibile fornitore delle armi ai killer, avendone parlato in tal senso il Lotti.

NESI Lorenzo

Si tratta di un soggetto del quale si è già parlato sopra avendo effettuato il colloquio in carcere con il Vanni, ritenuto dalla Pubblica Accusa di notevole importanza, il quale ha effettuato le sue dichiarazioni per gradi .Venne sentito dalla P.G. il 4, 8 aprile e 22 maggio 2003 e, dopo aver riconosciuto nell’album fotografico mostratogli tra altri, che, a suo dire, frequentavano il Vanni, un soggetto che apprese nell’occasione chiamarsi Narducci Francesco, riferiva sul suo conto: “Correva voce che fosse gay”, aggiungendo di averlo sicuramente visto a San Casciano: “Ne sono proprio certo e credo che abitasse in una villa vicino alla Chiesa di San Martino”. Si diceva certo di averlo visto a piedi nelle vicinanze di quella chiesa quando passava in macchina, aggiungendo di averlo sicuramente visto in compagnia del farmacista Calamandrei, nonché anche insieme alla sorella ed al cognato di quest’ultimo negli anni ira il 1975 ed il 1982. Successivamente dichiarava che, secondo quanto riferitogli dal Vanni, nella casa di Indovino venivano fatte cose strane, tipo orge, avendo capito che era un “casino di infima classe”, tanto che lo stesso Vanni ne rimaneva disgustato. Circa la persona che apprese chiamarsi Narducci forniva la seguente descrizione: persona dal fisico atletico, che all’epoca poteva avere 28/30 anni :”credo che praticasse sport tipo tennis”, specificando di averlo visto con una borsa con racchette da tennis. Inoltre riconosceva varie persone in fotografia che, a suo dire, avrebbero fatto parte di un giro altolocato ed eccentrico di cui facevano parte anche il farmacista Calamandrei ed il Narducci.

PUCCI Fernando

Si tratta del soggetto che insieme con Lotti aveva svolto il ruolo di “palo” sul luogo del duplice omicidio del 1985 a Scopeti. Sentito dalla P.G. il 3.6.2003 dichiarava che nel bar di San Casciano, da lui frequentato insieme a Lotti, aveva Visto che quest’ultimo era in confidenza con varie altre persone, che prendevano in giro Giancarlo dicendogli “sei buco”, aggiungendo di non avere mai parlato con queste persone. Riconosceva nelle foto mostrategli sia il Narducci che altri. A proposto del Narducci precisava: “era un tipo alto e magro tipo finocchino” aggiungendo: “Ricordo che Giancarlo andava in una villa nei dintorni dove c’erano minorenni con cui facevano sesso”.

Nel verbale del 4 agosto 2003 il Pucci confermava di aver sentito parlare Giancarlo Lotti del fatto che andavano in una villa vicina a fare sesso, ma aggiungeva di non conoscere la villa. Confermava i riconoscimenti delle persone precedentemente effettuati. Riconosceva nella foto n. 15 Candido Veronica (nota come “Marisa di Massa”), riferendo sul suo conto: “Era una specie di troia perché partecipava ai festini”. Riconosceva nella foto n.13 il farmacista Calamandrei affermando che era del gruppo e che lo aveva visto parlare al bar con la “Marisa”.

MARTELLINI Tamara

Costei era una conoscente del Calamandrei, essendo all’epoca moglie dell’architetto Ceccatelli Giovanni, amico di vecchia data del Calamandrei, dal quale si separerà in seguito: sentita dalla P.G. il 17 settembre 2003 aveva riferito circa la presenza di Parker Mario Robert in San Casciano negli anni 80 , aggiungendo che era “nero di colore, alto, magro, ben vestito”, nonché circa la presenza del Narducci Francesco nella farmacia, intento a palare con il Calamandrei, avendolo anche riconosciuto in foto: “Sono proprio sicura di averlo visto nella farmacia di Calamandrei. In quella occasione aveva gli stivali da equitazione. Era un giovane molto fine delicato, era poco più alto di Francesco Calamandrei ed aveva un fisico da sportivo. Era nella prima metà degli anni 80. Ricordo che nell’occasione indossava una maglietta Lacoste blu”.

BAGNOLI Maria Rosaria

S.i.t. rese il 27.12.2007 42 Costei era stata anche sentita dalla P.G. (GIDES) il 30.7.2003. Dinanzi al P.M. dichiarava di aver conosciuto il marito Sertoli Achille nella primavera del 1975, e di essersi sposata nel 1977. Erano andati a vivere nella casa di Viale Machiavelli n. XX che il Sertoli condivideva con l’odierno imputato. “Il marito è dermatalogo con specializzazione in allergologia e si era occupato di questi temi anche nell’ambito delle malattie professionali, non le risultavano, sue specifiche conoscenze nel settore delle malattie tropicali. Riferiva di aver conosciuto il Calamandrei e la moglie Mariella Ciulli in quanto costui era amico del Sertoli, avendo altresì, conosciuto anche anche Ferdinando Zerini, zio di Francesco. Tra l’altro nel 1982 prestò loro per 15 giorni la sua casa al mare a Punta Ala per le vacanze estive. Poi nell’anno 2000 vennero invitati al matrimonio della figlia Francesca e sempre nell’estate del 2000 invitarono il Calamandrei a cena una sera, ma non era sicura che la cena si fosse verificata prima o dopo quel matrimonio. Circa il carattere del marito egli, particolarmente all’inizio del matrimonio, si comportava in modo piuttosto violento, nel senso che se c’era qualcosa che lo disturbava, non esitava ad alzare le mani e a picchiarla. In seguito, quando gli fece presente che non avrebbe più tenuto per se queste manifestazioni di violenza, le aveva cessate cominciando però ad offenderla verbalmente, sempre in occasione dei suoi scatti di ira. Dalla prima denuncia che aveva fatto nel 2001 per maltrattamenti, era stato poi assolto, e, comunque, lei non si era costituita parte civile. In seguito fece un’altra denuncia per le escandescenze in cui dette allorchè ricevette l’ordinanza di allontanamento dall’abitazione, denuncia che tuttora risulta pendente, evidenziando che per tale reato era orientata a costituirsi parte civile. Circa eventuali frequentazioni di suo Marito a San Casciano rispetto a quando lo aveva conosciuto, la Bagnoli confermava che di non avere conoscenze ulteriori rispetto a quelle del Calamandrei e dello Zerini. Il Sertoli molti anni prima le parlò di una Specie di goliardata che fecero in occasione di una serata a San Casciano dove c’erano degli amici tra cui, a quanto aveva capito, proprio Calamandrei e Zerini. Tra l’altro il marito aveva una fiat seicento nuova che gli amici gli nascosero per fargli uno scherzo. Nella circostanza, secondo il racconto di suo marito, il gruppo, composto di soli uomini, era andato per una serata dal Mago di San Casciano. A quanto le riferì il Sertoli erano andati lì per divertirsi un po’ e per vedere quale era l’ambiente, Le parlò anche del fatto che aveva una sorta di aiutante e lei inquadrò la circostanza nell’ambito di una relazione omosessuale. La Bagnoli veniva informata dai P.M. che, nell’ambito di una attività di indagine tecnica a

42 il cui verbale, depositato dal PM all’udienza del 6.5.2008, è stato acquisito ex art, 441 c.p.p.

carico di suo marito, risultava intercettata una conversazione tra ella stessa e il Sertoli nella quale, dopo l’interrogatorio che la Bagnoli subì all’epoca della perquisizione, gli diceva di non aver parlato del Mago di San Casciano, ottenendo da lui l’invito a stare zitta. Dopo aver ricevuto integrale lettura del passaggio di detta conversazione e fattole presente che, da come esponeva la circostanza, sembrerebbe un discorso più ravvicinato rispetto a come da lei riferito in precedenza, la Bagnoli riferiva: ” Per quanto mi riguarda non posso che confermare ciò che ho dichiarato. In realtà è possibile che di questa visita al mago si sia parlato nel corso degli anni anche in epoca più recente ma non sono assolutamente in grado di individuare alcun contesto di riferimento. Lo considero solamente come un aneddoto che mio marito ebbe
a riferirmi. Gli ho dato rilievo, come risulta dalla conversazione telefonica, per il fatto che erano stati in casa sequestrati dei libri attinenti a materie tipo l’astrologia e simili”. La Bagnoli dichiarava che il mago, di cui, sul momento non ricordava il nome, si chiamava proprio Indovino, come le veniva detto dai P.M., ricordando esattamente quel nome così particolare per averlo fatto suo marito al tempo del suo racconto. Ne riparlarono anche dopo la perquisizione ed egli, a suo dire, le confermò che lui c’era stato una volta soltanto e che si era trattato di una goliardata, tanto per divertirsi. Lui non le aveva parlato della presenza di donne nel corso di quella serata e lei si era fatta l’idea, dai discorsi del marito, che era più che altro una questione a livello di seduta spiritica o simili, cui sì erano recati per curiosità. La Bagnoli dichiarava poi di non avere altri elementi da fornire sui contatti del marito a San Casciano ed in particolare sui suoi rapporti con Calamandrei anche perché rammentava che all’epoca in cui quest’ultimo ebbe un’operazione al fegato, negli anni ’90, chiamava il marito che sostanzialmente si negava in quanto non lo voleva vedere, e lei era rimasta sorpresa di tale comportamento. All’epoca non era emerso ancora nulla circa i sospetti su un coinvolgimento di Calamandrei nelle vicende di San Casciano o, forse, si era nel momento in cui egli le disse che Mariella aveva iniziato ad accusare il marito. Lei gli diceva che sicuramente il suo amico lo chiamava perché aveva piacere di parlargli, ma lui le faceva presente che preferiva non incontrarlo per non dover stare ad ascoltare tutte le sue lamentele. Da quello che capì il marito considerava in quel momento il Calamandrei un depresso al quale non dare ascolto. Quanto alle accuse di Mariella al marito, della quale ella effettivamente le parlò, probabilmente già in quel periodo, ricordava che in un primo tempo le disse che sicuramente era una vendetta della moglie nell’ambito della separazione; successivamente le disse che Mariella era diventata matta o qualcosa del genere. | suoi contatti con la Ciulli erano stati piuttosto sporadici. L’aveva rivista nel 2000 al matrimonio della figlia e nell’occasione le parve provata. Dopo la separazione ebbe modo di vederla soltanto una volta essendo capitata al negozio dei Ciulli in Via Pindemonte, dopo il 1990, facendo riferimento all’età dei suoi figli, nel senso che si era recata per comprare del materiale per qualche lavoretto Scolastico. Mariella viveva in Via San Niccolò dopo che si era definitivamente separata dal Calamandrei perché la convivenza si era rivelata ormai impossibile. Era al lavoro in negozio e non le parve affatto disturbata, comunque non entrarono in discorsi più particolareggiati. A quel punto il P.M. mostrava l’album fotografico n. 4 del 2003 in atti e la Bagnoli riconosceva la foto del marito, quelle di Francesco Calamandrei, mentre relativamente alle foto del Narducci, Lotti, Vanni e Pacciani dichiarava di averle viste solo sul giornale. Poi Precisava che, dopo foto in cui queste persone erano ritratte insieme; lei ne chiese conto al marito ed egli lo escluse. Nell’occasione, poiché già si parlava della vicenda di Narducci, e poiché egli aveva avuto ‘una costante frequentazione dell’ambiente perugino avendo fondato, col Prof. Lisi, una associazione di dermatologia tosco umbra, gli chiese se per caso avesse conosciuto Narducci. Egli le rispose di non sapere assolutamente chi fosse. Della vicenda della serata del marito e gli altri dal mago Indovino ne aveva parlato solo con i suoi genitori e con il suo amico Maurizio Cianferoni, Maresciallo dei Carabinieri al Galluzzo.

SERTOLI Achille

All’udienza del 22.1.2008 veniva acquisito 43 anche il verbale delle dichiarazioni rese dal Sertoli, alla presenza del suo difensore di fiducia avendo il P.M. provveduto in data 16.6.2003 alla sua iscrizione in ordine ai reati p. e p. dagli artt. 81, 110, 575, 577 n. 3, 61 n.5, C.P, commessi in provincia di Firenze fino al 9 settembre 1985, nonché al reato di cui all’art. 416 C.P. nei confronti, oltre che del predetto, anche di Vitta Nathanel e di Filippi Fabio, il 20.12.2007 dinanzi ai P.M.: nell’occasione costui aveva riferito: “Ho visto l’atto che mi è stato notificato e quali sono i reati ed i fatti in nel 1957. Ho poi conseguito la specializzazione in dermatologia ed immunologia nei primi anni sessanta. Nei primi anni dopo la laurea ho frequentato l’ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze per poter conseguire la specializzazione. I miei genitori abitavano a Pistola ed io, per poter frequentare l’ospedale, ottenni dal Primario e dalla amministrazione una stanza con bagno dentro l’ospedale dove di fatto abitavo. In cambio io garantivo l’attività di medico di guardia nelle ore notturne e le domeniche. Tramite il primario cui si era rivolto il titolare della farmacia di San Casciano che era di proprietà del padre di Francesco Calamandrei, nei primi anni sessanta, cominciai a frequentare l’ambulatorio di quella farmacia una volta la

43 sempre ai sensi del disposto di cui all’art. 441 C.p.p.

settimana come dermatologo. Ricordo che instaurai un buon rapporto con il Dr. Calamandrei padre e conobbi cosi anche suo figlio Francesco che all’epoca era ancora studente ed era di qualche anno più giovane di me”. Il Sertoli precisava poi che in un primo momento aveva frequentato qualche anno della facoltà di farmacia e poi, poiché quella facoltà non gli piaceva, era passato alla facoltà di architettura. Ricordava che uno dei medici che frequentava gli ambulatori della farmacia che egli conobbe all’epoca era il dr. Zerini, che faceva il pediatra e che era parente della moglie del Calamandrei padre. Il Dr. Zerini era più grande di lui e di Francesco. Dopo un po’ divenne amico di Francesco Calamandrei, tanto che all’incirca all’epoca della alluvione a Firenze nel 1966 prese in affitto un appartamento dalle parti del Viale Machiavelli vicino al piazzale Galilei, proprio insieme a Francesco Calamandrei. Avevano una camera per uno e fu ben felice di condividere la Casa con il Calamandrei perché, avendo egli pochi soldi, venivano divise le Spese. Il Sertoli dichiarava che egli in genere andava a letto presto mentre il Calamandrei, che era ancora studente e aveva molti più soldi di lui, spesso tornava tardi la notte tanto che pensava che frequentasse night e facesse vita notturna. Ricordava che una mattina si accorse che il Calamandrei aveva portato a dormire una ragazza in casa perché la mattina la vide in bagno ma non sapeva dire chi fosse. Dichiarava di essere specialista in dermatologia ed allergologia e di non essersi mai occupato di malattie tropicale. Non ricordava di avere conosciuto alcun amico del Calamandrei e non aveva presente e non aveva presente l’avv. Corsi. Il Sertoli dichiarava di non aver mai frequentato prostitute insieme al Calamandrei né sapeva che lui ne frequentasse. Preso atto di alcuni stralci di intercettazione telefoniche, dei quali non conosceva l’esistenza e a contestazione circa il contenuto di una conversazione telefonica intrattenuta con la moglie il 30 luglio 2003, ore 15.42, nella quale costei, parlando dell’interrogatorio subito presso la polizia, lo informava di non aver detto niente a proposito della circostanza relativa al “Mago di San Casciano”, al che lui la zittiva, dichiarava che si trattava di una vicenda che riteneva di poter datare verso la fine degli anni 60 e, comunque, certamente prima di quando aveva conosciuto sua moglie. Erano a a cena a San Casciano, con Francesco Calamandrei e, probabilmente, suo zio Zerini, forse il Dottor Masi di San Casciano e qualche altro medico della zona, al massimo una decina di persone, di cui non ricordava al momento i nominativi e non erano presenti donne. Dopo cena, il Calamandrei propose di fare una scappata a casa di mago Indovino per una visita “a scopo canzonatorio”, tanto che all’arrivo a questa casa furono tirati dei sassi alle finestre per svegliare Indovino. Ricordava che, comunque, l’Indovino li fece entrare in quanto, come potè constatare dai saluti che si scambiavano, presumeva che i due si conoscessero. Il mago aveva una vestaglia variopinta ed un turbante a testa. Era presente un altro uomo che ritenne di poter qualificare come una sorta di aiutante. La visita non durò molto tempo e, comunque, Indovino volle di leggergli la mano. Quanto all’identità del mago, ricordava ancora, nonostante il tempo trascorso, che quella sera il Calamandrei aveva espressamente detto di “andare tutti dal Mago Indovino”. Circa le sue frequentazioni con il Calamandrei ricordava di avere fatto con lui un paio di gite una a Venezia, di un paio di giorni, con due ragazze di cui non conosceva il nome ed una al lago Trasimeno, ove si recarono una domenica insieme allo Zerini che portò un gommone con un carrello con il quale lo Zerini ed il Calamandrei fecero un giro nel lago mentre egli rimasi ad aspettarli ad un bar. Relativamente ad altra contestazione del contenuto di una conversazione telefonica avuta con suo cugino Luigi di Torino del 24 gennaio 2004, nel corso della quale il Sertoli diceva espressamente a suo cugino che “Calamandrei potrebbe anche essere un mandante, la mano sul fuoco al contrario non la metterei” precisava che si trattava di un discorso che effettivamente aveva fatto ma era una semplice sua deduzione, non fondata su elementi specifici, pensando unicamente al tipo di vita che, per quel che ne sapeva, faceva il Calamandrei. Essendogli espressamente contestato che dal tenore delle parole usate appariva una sua convinzione specifica sul punto il Sertoli ripeteva che si era trattato solo di un discorso telefonico fatto sulla base delle considerazioni che aveva appena fatto. Gli veniva mostrato l’album fotografico n. 4/2003 in atti, contenente numero 52 foto a colori. Riconosceva soltanto alle foto 33 e 34 Francesco Calamandrei ed alla foto 42 il noto Pacciani Pietro per averlo visto sul giornale ed in televisione.

DICHIARAZIONI DELL’AVVOCATO FIORAVANTI.

L’avvocato Fioravanti veniva sentito quale p.i.f. il 5 dicembre 2002 dal dott. Giuttari e a domanda : “Cosa ci sa dire su un ipotizzabile significato esoterico o magico dei duplici omicidi di Firenze, considerato che anche tra i motivi di appello alla sentenza Pacciani ha fatto riferimento, al primo punto, a rituali satanici”? rispondeva: “Ho tratto quel tema dopo essermi documentato, anche contattando alcuni esperti, ma sopratutto dopo averne parlato col mio cliente, il quale diceva che queste storie sono Minestre del diavolo, questi omicidi sono studiati a tavolino e la storia di questi omicidi è dentro lo spirito guida, intendendo per “spirito guida” la magia”. E poi diceva: “Mi ricordo che di questo me ne parlò Pacciani, ma me ne parlò anche un’altra persona, mi aveva detto… mi aveva parlato delle riunioni magiche nella casa di Indovino, chiedendomi che la difendessi in un processo; quando seppe che avevo difeso Pacciani non si fece più vedere: si tratta della prostituta che poi venne a testimoniare nel processo contro Vanni e i suoi compagni, tale Ghiribelli, che mi contattò in un arco di tempo collocabile tra la fine del processo Pacciani e l’inizio di quello dei suoi compagni”. Occorre subito evidenziare che quest’ultima sul punto, essendo stata sentita dalla P.G. in data 5 marzo 2003, nelle sommarie informazioni a domanda: “Ha mai avuto come legale l’avvocato Fioravanti”? replicava: “No, non è mai stato il mio legale. L’ho conosciuto tramite una mia amica di soprannome “Cicci”. All’epoca in cui ero amica della Cicci ricordo che un giorno in Pretura incontrai Fioravanti, parlammo del più e del meno e poi ricordo che commentai il fatto che dovevo andare a San Casciano e che sarei dovuta passare da casa di Indovino. Cominciammo a parlare delle feste che avvenivano da Indovino. Fioravanti mi confermò di essere già a conoscenza dei festini, tanto che commentò dicendo che anche lui voleva andarci”. Poi più avanti a pag. 2 l’avv. Fioravanti dichiarava: “Tornando alla notizia che avevo appreso ricordo bene che Pacciani mi parlò del farmacista di San Casciano, il cui nome è Calamandrei, come persona interessata a questi discorsi di magia, chiaramente facendo riferimento ai delitti del “Mostro”, nonché di un medico di Firenze che non era buono a trombare e che faceva l’ortopedico. Nei discorsi che mi fece mi parlò per l’appunto di riti e di magia legati agli omicidi del “Mostro di Firenze” e mi spiegò che il Pacciani c’entrava con questa storia perché riordinava la villa dopo che avevano fatto i festini. Non mi fece i nomi dei partecipanti a questi festini, ma mi disse che c’era anche qualche avvocato, che c’era anche qualche giudice, concludendo che comunque erano persone importanti”. Voglio consegnarvi una fotocopia di una lettera anonima consegnatami da Pacciani per il dottor Perugini”.

L’avv. Fioravanti veniva di nuovo sentito il 17 dicembre 2002 dalla P.G., la quale dava atto che mostrava al predetto una lettera manoscritta indirizzata allo stesso Fioravanti da Pietro Pacciani, esistente agli atti, siccome rinvenuta nel corso di perquisizione domiciliare nell’abitazione del Pacciani. Dopo aver visionato la lettera l’avv. Fioravanti dichiarava: “Ricordo bene questa lettera che in effetti ho ricevuto. L’avevo portata con me anche in occasione della precedente assunzione di informazioni in questi uffici il decorso 5 dicembre, ma non c’è stata l’occasione di mostrarvela”. Il 5 dicembre aveva detto che il Fioravanti, tuttavia, aveva sostenuto che Pacciani gli avrebbe riferito che il Calamandrei era coinvolto con la magia, riti esoterici, messe nere, minestre del diavolo, ecc. Dalla lettera redatta dal Pacciani all’avvocato Fioravanti si evince testualmente: “Avvocato Pietro Fioravanti, lei sta facendo tutti imbrogli di raggiri, di parole, rovesciamenti, accusando ora questo ora quello, mettendo calunnie, zizzanie da ogni parte. Si può sapere che strada percorre”? … “Lei si è presentato in Procura insieme alla Carlizzi e non ha risolto un fico secco. Lei ha parlato di sensitive e ne ha interrogate molte e ne ha fatto i nomi, streghe, messe nere e tante altre buffonate. E ora ha citato che a Poggio a Grilli, Villa Verde, si fanno queste messe nere. Lei le ha inventate. Fu lei, avvocato Fioravanti, a parlare di queste sette sataniche che si recavano a Roma, che c’è un tempio; ha parlato di streghe e di magia nera, del processo dei sardi. Non è stato lei che ha parlato anche di sensitive e ne ha interrogate una decina? C’ho le lettere. E ci ha messo di mezzo pure il P.R.” (forse riferito al Procuratore della Repubblica) “e poi tutti in bianco”. ..”E’ stato lei, signor avvocato Fioravanti, che ha mandato tutte calunnie addosso alla gente, inventa ora, leggo e dice “il Pacciani parla di messe nere”, è lei, io non ho mai creduto a queste buffonate, balle, io ho solo servito le messe bianche”…. “E’ stato lei, avvocato Fioravanti, che ha mandato tutte le calunnie addosso alla gente….”.

Ulteriori Sommarie informazioni testimoniali sono siate rese dall’avv. Fioravanti il 22 gennaio 2003: “Ricordo che quando si preparava il processo di primo grado, tra i primi del ’93 e l’inizio del ’94, avendo chiesto se avesse sentito parlare del Narducci, del quale si parlava in un atto avendogli chiesto se avesse sentito parlare del Narducci, il Pacciani mi rispose testualmente: “Ma questo è quel medico che aveva una villa in affitto a Vicchio e a San Casciano””. In entrambe tali località non è mai stata rinvenuta alcuna villa o abitazione facente capo al Narducci. La p.i.f. poi dichiarava: “Il Pacciani sottolineava in particolare il ruolo del farmacista di San Casciano, il dottor Calamandrei. A questo proposito, anche durante il primo processo il Pacciani, nel mese di maggio ’94, verso le diciannove di sera, dopo che era venuta a trovarmi la moglie del Calamandrei, su indicazione di un giornalista mi telefonò in studio proprio il marito, chiedendomi: “Narducci, a quanto riferitomi dal Pacciani, era inserito in questo ambiente e questo l’ho saputo anche per degli accertamenti che ho fatto di mia iniziativa, ma sempre nell’ambito della difesa Pacciani”. E poi aggiungeva: “Oggi sono sicuro, rivedendo tutto in maniera retrospettiva, che le indagini sulla morte del Narducci furono bloccate dall’alto, sia a Firenze che a Perugia, e a Firenze forse anche per un intervento esterno. Sono successe cose piuttosto strane, molto strane, nelle indagini sui duplici omicidi attribuiti al “Mostro di Firenze””….”Posso riassuntivamente dire la mia impressione: posso dire… posso dire questo: le mie fonti sono solo le parole del Pacciani… si dice che ormai nei luoghi dei fatti sono sulla bocca di molti”…. “Circa il coinvolgimento nei fatti del Narducci – del Corsini e del farmacista ho già riferito che cosa mi aveva detto Pacciani – ho anche capito che i discorsi del Pacciani sul punto li fanno ora in molti a San Casciano e molti parlano di medici coinvolti nella storia e in particolare del medico di Perugia. Ho sentito, sia nei discorsi in giro, sia al Ristorante “Da Nello” a San Casciano, che da persone che l’hanno saputo, da gente che praticava la farmacia di San Casciano”…”A questi discorsi mi riferivo quando al dottor Mignini ho detto, quando sono stato sentito, che avevo fatto una mia attività di verifica”.

Vi è poi un’annotazione del 22.11.2004, della P.G. a firma del sovrintendente Borghi dalla quale si evince: “Continuando a parlare il Fioravanti raccontava che stava preparando un libro sui fatti del “Mostro di Firenze”. Il legale riferiva inoltre di essere a conoscenza che Francesco Narducci aveva in sua disponibilità due stanze all’interno di Villa Corsini. Inoltre aggiungeva che qualcuno avrebbe dovuto spiegargli, oltre al fatto appena citato, anche le motivazioni della frequentazione del Narducci nel retro farmacia Calamandrei”.

Vi è anche in atti il verbale in forma riassuntiva, dove il Fioravanti sosteneva che il Narducci era stato visto insieme al farmacista Calamandrei, avendolo sentito dire in bar e in ristoranti della zona, aggiungendo: “Durante il processo ho tentato di parlare del Corsini ma il Presidente Ognibene mi riprese”. “Nel 1991 la ex moglie del farmacista mi ha parlato di giubbotti insanguinati, di freezer e nella circostanza credo c’era pure il figliolo. E quindi praticamente io mi sono occupato della parte storica e l’avvocato Bevacqua della parte tecnica. Riguardo alla denuncia che ho preso dall’avvocato Zanobini, in cui durante la difesa Pacciani ho accusato il farmacista, devo dire che il farmacista si accusa da solo. Ricordo anche un episodio in cui il farmacista di San Casciano mi invitava a casa sua presso le Terme. Tale circostanza è avvenuta dopo che la sua ex moglie era venuta nel mio studio e mi aveva parlato di giubbotti insanguinati. La moglie del farmacista in quella occasione mi apparve del tutto cosciente e in perfetto stato mentale”.

Sommarie informazioni testimoniali rese dal prof. Mario Bellucci il 14.5.2002 al P.M. di Perugia dott. Mignini : “Dopo la morte di Narducci sulla stampa fiorentina si alludeva al Narducci come coinvolto nei delitti del “Mostro”… “Ricordo anche che qualche tempo dopo la sua morte apparvero sulla stampa fiorentina degli articoli che alludevano ad un possibile coinvolgimento di Francesco nella vicenda dei delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” e so che il professor Ugo, tramite il legale di fiducia, fece arrivare una sua diffida al giornale, diffida che fu poi pubblicata”. “Nulla so di eventuali conoscenze fiorentine di Francesco”.

Anche tale figura, ritenuta dagli inquirenti di una qualche importanza in quanto dovrebbe servire ad integrare e riscontrare le dichiarazioni di altre pp.ii.f non appare aggiungere nulla di significativo al quadro accusatorio, anche perché, oltre a riferire circostanze apprese de relato dal Pacciani nell’ambito della sua attività difensoriale, risultano smentite dalla principale p.i.f. Ghiribelli, nonché dallo stesso Pacciani, trovando una vaga conferma per il solo riferimento alla “Marina di Massa” ,in un ambito, tuttavia, che non apporta alcun significativo contributo alla ricostruzione dei fatti.

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In conclusione, per quanto riguarda tale aspetto della vicenda, secondo l’assunto accusatorio si sarebbe acclarato da un lato che i festini erano legati ai delitti essendosi acclarati i luoghi ove avvenivano e, cioè, nella stamberga di Indovino frequentata dai contadini a Via di Faltignano ma, soprattutto, quelli più esclusivi e più forti, nella dependance della villa “la Sfacciata”, a via di Giogoli, abitata dal tedesco Reinecke (e dal “nero Ulisse”, Parker), frequentata dagli intellettuali ove si sarebbe anche fatto uso di cocaina. Alcuni dei protagonisti erano i medesimi sia a Faltignano che alla Sfacciata, almeno quelli femminili più importanti, non appare acclarato il coinvolgimento del Calamandrei nei due distinti luoghi: infatti la Ghiribelli ne ha parlato in maniera del tutto contraddittoria, in alcuni casi negandone la presenza ,in altri ammettendola; la Nicoletti, che più direttamente avrebbe dovuta parlarne per cognizione di causa, avendo abitato stabilmente sino all’anno 1984 in via di Faltignano, non ne ha mai parlato e neanche la Pellecchia e la Miniati. Altri testi, ritenuti attendibili nel processo Vanni-Lotti (il Nesi e il Pucci) ne parlano, come si è visto, solo de relato e senza una conoscenza diretta, limitandosi a . riportare, per lo più, voci correnti nel paese. Le donne che apparentemente facevano “le cose più forti” erano Milva Malatesta, la Candido Veronica (detta “Marisa di Massa”), con le ragazze minorenni da lei portate, i minori, che si accoppiavano tra loro mentre gli uomini presenti li guardavano o facevano anche loro sesso con i bambini.

Pestelli Ezio, droghiere del negozio vicino alla casa di Indovino, ha confermato la frequentazione della casa da parte di ragazze molto giovani.

Il Sertoli e la sua ex moglie Bagnoli hanno riferito di una visita effettuato negli anni 60 dal Calamandrei a casa dell’Indovino per goliardia, avendo, peraltro, notato il Sertoli una certa loro familiarità essendosi salutati con calore; tale particolare, tuttavia, non appare corroborato da altri e più significativi riscontri, avendo escluso lo stesso Sertoli di essere mai andato con l’odierno imputato con prostitute o che nell’abitazione dell’Indovino avesse notato, nell’occasione, qualcuna di quelle donne.

Alla Villa della Sfacciata lo spettacolo dei festini a luci rosse sarebbe stato dello stesso tenore ed anche le protagoniste femminili erano identiche (Milva Malatesta, la “Marisa di Massa” con la sorella), come pure il contenuto dei festini e delle orge. A seguito dell’intervento dei carabinieri a Giogoli nel 1983, però, il tedesco ed il “Nero Ulisse” (ma quest’ultimo non appare affatto acclarato che vivesse in quel posto) avevano dovuto cessare tale loro attività, essendosi allontanati “a gambe levate” da quell’abitazione. Gli omicidi però, sono continuati nel 1984 (Vicchio) e nel 1985, vicino agli Scopeti e a Via di Faltignano. Peraltro in tutto tale contesto la presenza dell’odierno imputato si riduce in spazi del tutto residuali, essendo collegato solo alla prostituta Giovagnoli e non alle altre, le quali non hanno fornito alcun significativo particolare sulla sua persona. Dalle dichiarazioni sopra riportate l’odierno imputato appare ben lontano dalla figura di una sorta di train d’union tra i due presunti e diversi gruppi tracciata dalla prospettazione accusatoria, la quale anche sotto tale profilo presenta non poche lacune e contraddizioni anche evidenti.

La magia, i diavoli, il mondo dell’occulto come contesto delle perversioni sessuali di alcune delle persone individuate nel corso delle indagini.

Sono emerse in alcuni passaggi delle indagini, ma non vi è prova alcuna che abbiano avuto una qualche influenza particolare con riferimento ai delitti. Si parte dal tedesco Reinecke, il quale aveva una compagna svizzera, con cui coabitava alla dependance della Villa “la Sfacciata”, che si occupava di magia asserendo di essere una sensitiva. Quest’ultima aveva riferito ai Carabinieri che aveva sentito, prima di vederli fisicamente, che nel furgone dei tedeschi c’erano dei morti, ma il suo compagno Reinecke li aveva visti la mattina prima del ritrovamento ufficiale da lui fatto la sera. Il figlio Marco lo ha descritto come una persona vestita di nero con collane e bracciali con diavoli e simili.

Anche nei confronti del Pacciani gli atti del processo a suo carico contengono elementi del genere: infatti sono stati rinvenute pubblicazioni sul diavolo nelle perquisizioni effettuate nella sua cella e la P.G. riferì all’epoca che aveva in cella una specie di altarino con cui celebrava una sorta di messa domenicale. Il Pacciani infine continuamente durante le udienze invocava Dio o il diavolo riferendosi a chi aveva commesso (o partecipato) ai delitti per cui veniva processato.

Altro personaggio legato al mondo della magia era il “mago” Indovino, avendone parlato ampiamente la Ghiribelli fin dalle udienze dibattimentali. Nella casa di Indovino alcune pp.ii.ff. (in primis la stessa Ghiribelli) riferivano che avvenivano riti con galline sgozzate, altarini in una stanzina vicino la camera da letto, smentita peraltro da altri soggetti (quali la Pellecchia o la Nicoletti, compagna e convivente dell’Indovino). Sul punto vi sono anche le dichiarazioni rese dal Sertoli circa la visita effettuata al termine di una cena da egli stesso e da un gruppo di persone su indicazione del Calamandrei che, nell’occasione, sembrava in rapporti di conoscenza con il predetto.

Anche questo aspetto risulta contraddittorio e, comunque, non provato, trattandosi al più, di sospetti e congetture che non hanno avuto ulteriori riscontri oggettivi.

Secondo la prospettazione accusatoria si sarebbe appurato che i cosiddetti festini/orge venivano organizzati in due distinte case di San Casciano e dintorni. Una è la più volte menzionata stamberga di campagna in Via di Faltignano a San Casciano, dimora del “mago” Indovino Salvatore, ove nella casa accanto viveva un’altra prostituta giovanissima Milva Malatesta, deceduta col piccolo figlio in circostanze non accertate, nel corso del processo Pacciani. L’altra è un appartamento che secondo la Pubblica Accusa si troverebbe in una dependance della Villa La Sfacciata a Via di Giogoli, ove all’interno si trova anche una chiesetta sconsacrata (in ordine alla quale veniva prodotto dai P.M. all’udienza dell’8.5.2008 anche album fotografico redatto dalla P.G.). Nei pressi di queste due case risultano essere stati commessi gli omicidi del 1983 (avvenuto a Giogoli e del 1985 (avvenuto in Via degli Scopeti, ove tuttavia oramai non abitava più l’Indovino). Dalle testimonianze raccolte si presume che presso questi due luoghi si sarebbero tenuti festini a luci rosse ed orge periodicamente, in genere nei fine settimana, in ore notturne.

La dependance all’interno della villa “La Sfacciata” e la sua frequentazione.

Dagli accertamenti effettuati dalla P.G. nel corso dei lunghi anni di indagini è emerso che detto immobile era sicuramente nella disponibilità del tedesco Rolf Reinecke; non appare affatto acclarato, invece, che avesse come ospite fisso il nero “Ulisse”, identificato in Robert Parker, indicato dal Vanni come esecutore materiale dei delitti. In particolare da una nota dei carabinieri del 25.11.1983 risulta: “in un appartamento di un caseggiato di proprietà di Martelli Martino, Situato nella via di Giogoli, abita il cittadino americano di colore Parker Mario Robert, il quale oltre all’autovettura Citroen Visa targata FI A 78728, di colore rosso, dispone della vettura Fiat 126, personal 4, di colore bianco, targata LI 229653. La targa di detta autovettura è di quelle di nuovo tipo e tra le due prese d’aria per il motore, situate nella parte posteriore al centro, vi è un adesivo indicante il limite di velocità di 90 Km/h. Poiché detta autovettura risultava identica a quella notata dalla guardia giurata Celli Orlando, il Parker veniva interrogato e nella circostanza affermava che era andato ad abitare nella villa di Giogoli il 19 ottobre di quell’anno e che aveva in disponibilità l’autovettura Fiat 126 su indicata, appartenente alla madre madre Beltrami Mara, dalla prima decade del mese di ottobre 1983, per cui la vettura notata dall’anzidetta guardia giurata non poteva essere la sua”. In allegato veniva trasmesso il verbale di sommarie informazioni testimoniali, redatto 24.11.1983, dal quale, oltre alle circostanze riassunte nella nota, risultava che il Parker, nella circostanza, diede come recapito telefonico il n. 204715 7 e che circa l’abitazione occupata egli aveva precisato: “dal 19 ottobre abito in un appartamento di proprietà di Martino Martelli sito in via Giogoli n. 2/6. Prima di allora abitavo sempre in Firenze, ove domicilio dalla fine del 1979 perché esercito la professione di stilista, in via B. Fortini n. 6”. La P.G. rilevava che, in Considerazione degli elementi all’epoca acquisiti, tra cui le affermazioni del Vanni circa il “nero americano”, coinvolto con Pacciani e Lotti nei fatti di sangue, aveva effettuato ulteriori approfondimenti sia sul Reinecke e la sua fidanzata che sul Parker, dai quali era emerso che non esisteva alcuna traccia di soggiorno del Parker negli appartamenti del Martelli, così come dallo stesso dichiarato ai carabinieri nel 1983. Infatti detta Circostanza risultava smentita da plurime informazioni di persone che o per rapporto di parentela, ovvero per quello di lavoro col Martelli, ovvero ancora per lo stretto legame di amicizia con lo stesso Parker, Ove fosse stata vera, avrebbero dovuto confermarla. Ma ciò non si è affatto verificato: il primo soggetto che venne all’epoca ha sentito quale p.i.f fu Pratesi Attilio, uomo di fiducia di Martino Martelli, proprietaria all’epoca dei fatti della villa “la facciata”, addirittura sin dal 1968 e fino agli inizi degli anni 90, il quale in data primo agosto 2003, oltre indicare gli occupanti nel tempo dei vari appartamenti affittati, tra cui anche la dottoressa Impresa, presentata al Martelli dal funzionario di polizia Marcello Carmineo, che andava a trovarla, tra l’altro, riferiva: “escludo nella maniera più categorica che presso gli appartamenti annessi alla villa vi abbia abitato negli anni 80 un cittadino americano di colore. Lo avrei sicuramente visto in quanto io giravo per tutta la proprietà e mi occupavo di tutta la manutenzione della stessa.” Allo stesso veniva poi mostrato un album fotografico contenente anche la foto del Parker e, dopo averlo esaminato, dichiarava: “escludo nella maniera più assoluta che la persona raffigurata nella foto n. 5 44 abitasse negli appartamenti annessi alla villa La Sfacciata. Io personalmente non l’ho mai visto e il nome non mi dice niente. Può darsi che vi abbia abitato dopo che io sono andato in pensione nel 1992. Anche perché quando lavoravo a La Sfacciata io ero tutto il giorno in giro nella proprietà e quindi lo avrei per forza notato… ribadisco, e di questo ne sono proprio certo, di non aver mai visto negli appartamenti o nella villa la persona di colore di cui ho visto la fotografia e che mi avete detto chiamarsi Parker Robert. Una persona così l’avrei sicuramente notata e non l’avrei potuta dimenticare, anche perché, come ho spiegato io stavo sempre nella villa e conoscevo bene tutti gli inquilini degli appartamenti. Dovete considerare che più volte ero io ad indicare al postino dove doveva recapitare la corrispondenza e dove abitavano i destinatari della stessa “45

A proposito della presenza nella villa di una Fiat 126, il Pratesi riferiva: “Non mi risultano auto Fiat 126 presenti nel complesso ed appartenenti agli inquilini che si sono succeduti nel tempo.” A proposito poi del tedesco Reinecke, dichiarava: (vi abitava) “un tedesco di nome Rolf, che era un uomo di circa 45 anni, molto alto e grosso con capelli biondi sul rossiccio, radi. Non ricordo che attività svolgesse; aveva allacciato una relazione con una signora svizzera che abitava nell’appartamento sito a fianco al suo sempre all’interno di villa La Sfacciata. Non ricordo il nome della signora svizzera ma posso dire che era una signora molto alta, con capelli lunghi ricci biondi, di corporatura molto robusta e non credo che svolgesse nessuna attività lavorativa. Il Rolf aveva una grossa auto, forse un BMW di colore scuro. Sono a conoscenza che lo stesso è la persona che negli anni 80 aveva rinvenuto i cadaveri dei due tedeschi uccisi in via di Giogoli. Anzi preciso meglio, mi disse che notò la targa del furgone dei tedeschi e mi disse che erano proprio della sua città

44 (quella del Parker)

45 La P.G. identificava sia la conduttrice di uno degli appartamenti della villa in Impresa Patrizia sia il soggetto che aveva presentato costei al Martelli, in Carminio Marcello, già funzionario di polizia di stato in servizio per diversi anni alla questura di Firenze e, alla fine della carriera, prefetto di Massa.

natale. Fu lui ad accorgersi per primo del delitto. Andò via dalla Sfacciata credo dopo del 1984 e, comunque, dopo che era morto Martelli Martino, insieme alla cittadina svizzera con la quale aveva una relazione. Aveva l’abitudine di bere molto. Mi ricordo che la signora Svizzera mi raccontò che la prima sera che conobbe il Rolf, quest’ultimo si avvicinò a lei mentre era seduta davanti a piazzale del suo appartamento sedendosi accanto a lei; nell’occasione il Rolf si scolò tre birre ubriacandosi e in seguito, mentre si alzavano, la donna vide che lo stesso aveva una pistola che teneva infilata nella cintura dei pantaloni e mi disse che non le piacevano le persone in quel modo. ll Rolf era un po’ strano, specialmente quando beveva diventava prepotente. Era un tipo schivo e sempre da solo. Non ricordo che qualcuno andasse a trovarlo,” Spontaneamente aggiungeva: “quando venne ad abitare la svizzera ricordo che il Martino Martelli mi disse che aveva dato l’appartamento in affitto per 100 mila lire al mese ad una ragazza svizzera che viveva da sola. Era un appartamento grande di 4 stanze e a me sembrò che una donna sola avesse preso un appartamento davvero molto grande, se si considera che le stanze erano molto molto ampie. Per molto tempo veniva a trovare questa svizzera un omino piccolo che la donna mi disse era originario di Napoli e faceva il posteggiatore. In effetti notai che l’uomo indossava in testa un cappellino con la visiera di quelli che di solito usano i parcheggiatori. Della svizzera ricordo adesso anche che aveva un’autovettura A 112 di colore bianco. Quando poi la svizzera conobbe e si mise con il tedesco l’omino napoletano scomparve.” Ed ancora a domande dell’ufficio, rispondeva: ” Questo omino napoletano poteva essere alto 1.60 Mt., era proprio piccolo di statura ed aveva il viso tondo. lo quando andavo via dalla villa lo lasciavo insieme alla svizzera ma non so dire se a una certa ora andava via o se pernottava nell’appartamento della svizzera… Il tedesco dall’idea che mi ero fatto era una persona con tanti soldi. Si vedeva che era una persona che stava bene e non aveva problemi di soldi. Il Martino non mi spiegò mai come aveva fatto a trovare questo inquilino…Il tedesco venne ad abitare dopo circa un anno che già abitava la donna svizzera…Sia la svizzera che il tedesco da quando sono andati via insieme non l’ho più rivisti e neppure li ho mai incontrati. Quando il tedesco e la svizzera si misero insieme, il tedesco lasciò il suo appartamento ed andò ad abitare in quello della svizzera che era più grande. Nell’appartamento del tedesco andò ad abitare una certa Cobetto o Cometto, almeno da quello che ricordo ed aveva il marito e due o tre figli. Gestiva dei negozzi di scarpe a Varese e di abbigliamento Benetton, anzi di borse, a Pontassieve. Il marito aveva un Mercedes 5000 scuro.”

Sbraci Adriana, ex moglie di Martelli Franco, figlio di Martino, sentita in data 1 agosto 2003, riferiva di aver abitato nella villa La Sfacciata dal 1983 fino al 1998, data in cui la villa fu venduta. Tra gli inquilini degli appartamenti, ricordava il tedesco Reinecke, ma non ricordava che vi avesse abitato un cittadino americano di colore, come pure di non aver mai sentito nominare il nome di Parker.

De Giorgio Amelia, convivente negli anni 80 di Martelli Franco, altro figlio di Martino, sentita il 30 luglio 2003, negava categoricamente che nella villa in quegli anni vi avesse abitato un americano di colore. La circostanza veniva negata anche dalla figlia della predetta Francesca Reger, anche lei abitante in quegli anni nella villa.

Pieri Violante, figlia dei proprietari della villa di via B. Fortini, presso cui il Parker aveva dichiarato di aver abitato prima di prendere il domicilio in via di Giogoli, sentita il 30 luglio 2008, riferiva che la propria famiglia aveva abitato in quella villa dalla data dell’acquisto, (nell’anno 1965) fino al 1982 circa, allorché fu venduta a seguito della separazione dei genitori. In relazione al Parker riferiva che si trattava di un amico di famiglia, che abitava a Livorno e che aveva frequentato la villa di via Fortini, nella quale la madre gli aveva messo a disposizione una dependance annessa alla villa, dove l’amico alloggiava quando veniva a Firenze. Del Parker poi raccontava: “Robert era per me come un fratello. Era una persona dolcissima, spiritosa, ricordo che vestiva molto elegantemente ed era molto curato nella persona. Era molto alto, circa 1.90 mt., con una corporatura adeguata all’altezza, non passava certo inosservato. Anche se lui personalmente non ha mai dichiarato di essere gay, lo sapevamo tutti che lo era…Ricordo comunque che aveva un orologio tipo Rolex, mi pare di ricordare un Sub Mariner oro e acciaio, ma di questo non ne sono assolutamente certa…Quando Robert frequentava la villa di via Benedetto Fortini, lavorava presso la ditta GIBO’ di Tavarnelle che produceva abbigliamento. Non ricordo se era disegnatore o seguiva la produzione di detta ditta. Successivamente si trasferì a Milano a lavorare per PRADA; dapprima viveva in una casa in affitto in via Castelmorrone, dove io sono stata anche ospite, e successivamente acquistò un appartamento al piano alto di uno stabile sito forse nella stessa via, comunque molto vicino all’appartamento che aveva in affitto. Era un appartamento piccolo, bella e curato.” Circa le amicizie del Parker, raccontava: “Per quanto riguarda le amicizie di Robert devo dire che lui è sempre stato una persona molto riservata e non mi ha mai raccontato la sua vita privata. Sono comunque a conoscenza che la sua migliore amica era la signora Silvia che abita a Milano e che io ho conosciuto. Ricordo che in una occasione, negli ultimi tempi poco prima che Robert morisse, io mi sono recata a Milano a trovarlo e la signora Silvia mi venne a prendere alla Stazione ferroviaria e mi accompagnò presso l’appartamento di Robert e successivamente mi riaccompagnò alla Stazione. L’ultima volta che vidi Silvia fu in occasione del funerale di Robert che si è svolto a Pisa in quanto lui era ricoverato presso l’Ospedale della città. Di Silvia ricordo che all’epoca era una signora di circa 40 anni, con capelli castani, alta, magra, ed aveva dei figli, non ricordo altri particolari, posso presumere che la stessa è conosciuta dai genitori di Robert….”

MASI Barbara, inquilina dei Martelli in uno degli appartamenti di loro proprietà in via di Giogoli dall’anno 1983 fino al 1986/87, sentita a verbale in data 26 settembre 2003, dichiarava di non sapere che in uno degli appartamenti vi avesse abitato in quegli anni un uomo di colore. Anche l’individuazione fotografica comprendente tra le altre anche la foto del Parker dava esito negativo.

BEVERIDGE Elisabetta, madre di Pieri Violante, sentita l’11 settembre 2003, alla richiesta di notizie sul Parker, dichiarava: “Era il mio figlio adottivo, sin da quando aveva quindici anni. Per sette anni ha vissuto con me in via Benedetto Fortini n. 6 a Firenze, in una dependance della mia villa. Poi quando nel 1981/1982 ho venduto la villa a tale Ferretti, Bob andò a vivere a Milano, credo per tre o quattro anni, dove lavorava per Prada e per Gucci sicuramente. Negli ultimi due anni di vita tornò a Firenze lavorando per Gucci ed andò ad abitare in via Dei Serragli. Durante gli anni in cui Bob ha vissuto a Milano è capitato che io sia andato a trovarlo, come è capitato che lui sia venuto a trovarmi ed io l’ospitavo oppure andava a Livorno dai suoi genitori. L’ultima estate è stato con me ospite nella mia casa di Positano. In pratica Bob era per me uno di famiglia.” Circa altre abitazioni del Parker, specificava: “Non mi risultano assolutamente altre abitazioni di Bob a Firenze. In questo caso lo avrei sicuramente saputo dato il rapporto che avevo con lui. Sulle amicizie a Firenze, specificava che Bob non ne aveva, oltre ai titolari della ditta GIBO’, presso cui lavorava. Aggiungeva: “So che aveva un amicizia a Grosseto di un ragazzo che è morto anni prima di lui ed un altro amico, anche lui italo-americano, che morì in un incidente con la moto, circa dieci anni fa. Anche questo italo americano era alto come Bob, uno splendido ragazzo. Studiava per dentista.” Alla domanda specifica se le risultassero frequentazioni di Parker a Firenze o di ville vicino Firenze, nella zona di Scandicci o Impruneta, lo escludeva categoricamente. Riferiva: “Lo escludo perché ero io che conoscevo un po’ tutti e quindi anche le persone che frequentava Bob. In pratica Bob me lo portavo dietro io. L’unica cosa che conosco che Bob fece senza di me fu una sua partecipazione ad una. festa del famoso Gelli. Mi disse che lui conosceva la figlia ed era stato invitato. Mi raccontò che era una cosa da morire dalla risate perché si trattava di gente bussa, nel senso che non erano signori; in pratica per lui erano stati dei cafoni.” In relazione al tipo di macchina posseduta dal Parker, dichiarava: “Non ricordo che macchina avesse Bob in quegli anni, ma comunque non si trattava di una macchina di lusso. E so che era una macchina normale e gli è stata rubata a Milano. A domanda specifica, rispondeva: “Non mi risulta che Bob avesse in uso una fiat 126 di colore bianco e ne io l’ho visto mai con un auto simile. Anzi a me sembra impossibile che potesse guidarla perché era molto alto, quasi due metri.” Allorché l’ufficio le faceva poi presente che risultava agli atti che il Parker nel 1983 utilizzava una Fiat 126, notata in via di Giogoli nei pressi della villa dei Martelli, rispondeva: “faccio presente di essere andata spesso alla villa dei Martelli essendo amica di tutti i proprietari. Sono stata spesso al ristorante Giogoli che appartiene alla villa, gestito da uno dei nipoti dei Martelli che credo si chiamasse Guido. All’epoca era di moda frequentare quel ristorante e può essere capitato che qualche volta ci sia stato Bob con gli amici della moda. lo non ci sono mai stata con Bob.” Ed ancora, richiestole se le risultasse che Parker le avesse detto di abitare in una pertinenza della villa Martelli o comunque di avere una casa a Giogoli, rispondeva: “assolutamente no. Mai. Lo escludo perché in questo caso l’avrei sicuramente saputo. Bob ripeto che per me era come un figlio e me ne avrebbe parlato. Dovete sapere che quando è ritornato a Firenze per lavorare da Gucci l’ho aiutato a cercar casa e poi è stato lui ad averla trovata in via dei Serragli. Questa casa l’ho visitata anch’io. Non è possibile che abbia abitato in quella zona perché, come ho spiegato, dopo che è andato via dalla mia casa di via Fortini nel 1981/1982, andò prima a Livorno e poi a lavorare a Milano, dove andai a trovarlo.” Infine, riferiva: “ripeto che Bob ha vissuto con me circa 7 anni e poi è andato a Milano. Se controllassi le foto e la data di vendita della villa potrei essere più precisa…Bob vestiva sempre elegantissimo e talvolta indossava anche un cappello tipo Borsalino. Non sempre, ma ricordo che lo portava.”

La P.G. nella citata nota riferiva anche degli accertamenti svolti nel contesto delle nuove indagini sul conto del Parker avendo individuato le autovetture da egli possedute 46. Il Parker risultava deceduto per cause naturali, presso l’Azienda ospedaliera di Pisa e la causa iniziale della morte era dovuta ad “A.I.D.S.” e per causa intermedia complicazione con sarcoma di  kaposi e per causa terminale, che ne ha provocato direttamente il decesso, “edema polmonare acuto”. La Questura di Milano, interessata per gli accertamenti in quel comune, riferiva che il Parker, sebbene anagraficamente residente in via Castel Morrone 11, risultava deceduto a Pisa il giorno 11.8.1996 e che, agli ultimi due indirizzi di residenza in via Castel Morrone 2 ed 11 era conosciuto come un omosessuale e come persona molto educata e rispettosa; la Telecom, interessata per conoscere l’intestatario dell’utenza 2047157 fornita nel 1983 dal Parker ai carabinieri quale recapito telefonico, comunicava che detta utenza fu assegnata per la prima volta il 9.9.1986.

Per quanto concerne, invece, il Reinecke e la fidanzata svizzera la P.G. riferiva che gli ulteriori accertamenti avevano consentito di rilevare che l’ultima traccia dei predetti risaliva all’anno 1984 allorché, come dichiarato dal Pratesi, essi si erano allontanati dalla villa. Gli accertamenti esperiti sia negli uffici anagrafici, che negli archivi del Ced ed in quelli della Questura di Prato, dove vi sarebbe stata la sede di lavoro del tedesco, davano esito negativo. Gli unici dati che era stato possibile raccogliere erano i seguenti: all’interno del rapporto n. 192/15-83 di prot. del 10.10.1985 del Nucleo Operativo dei carabinieri di Firenze, diretto alla Procura della Repubblica di Firenze, veniva riferito sulle segnalazioni anonime in merito al duplice omicidio Rontini-Stefanacci (fascicolo II). Infatti, al foglio 52 esiste la scheda di accertamenti relativi a Martelli Guido, residente all’epoca in via di Giogoli 10 (nipote di Martelli Martino, proprietario all’epoca della villa La Sfacciata), indicante quale motivo della segnalazione “lettera anonima”. Allegata alla scheda, vi era una relazione di servizio dattiloscritta, recante la data del 29.8.1984 priva di firma in calce, nella quale si leggeva: “Oggi 29 corrente mese mi sono recato in Via di Giogoli al civico presso l’abitazione del Sig. Martelli Guido, per accertamenti di Polizia Giudiziaria. Giunto sul posto notavo che il cancello era chiuso a chiave, e dopo alcuni minuti è arrivato tale Martelli Nerio, fratello dello stesso Martelli Guido, che dopo essermi presentato e avergli chiesto se c’era il di lui fratello mi diceva che non c’era in casa e che anche lui lo stava cercando. Dopo alcune insistenze da parte mia lui mi diceva che non sapeva se poteva farmi entrare vista l’assenza di suo fratello. Dopo le mie continue

46 (BMW 32511 Touring targata MI 7L2353, VW GOLF GTI Turbo targata LI 326554, CITROEN VISA targata FI A78728 (LI 384730), VOLVO 240 D targata MI 25570Z (LI 430690), immatricolata il 28,11.1985, intestata a BAI LEASING S.p.A.

insistenze riuscii a farmi portare da suo fratello, che si trovava all’interno del giardino ad effettuare alcuni lavori. Presentatomi al Martelli Guido gli spiegavo di cosa si trattava la mia ricerca e lui mi diceva di non potermi aiutare in quanto non aveva mai visto il soggetto da me indicato comportarsi in detto modo. Alla domanda se in quella abitazione vi fosse mai abitato una donna tedesca oppure svizzera lui rispondeva con sicurezza di no. Mentre io sapevo benissimo che tempo addietro vi era detta donna che vi abitava con suo marito di provenienza inglese. Confidenza dataci da certa persona degna di fiducia, faccio inoltre presente che alla Stazione Carabinieri di Scandicci il Comandante ha asserito che tempo addietro trovarono all’interno della sua tenuta un’autovettura con a bordo un uomo carbonizzato, e che quel caso rimase un po’ dubbio”.

Sempre all’interno del medesimo fascicolo II, vi è la nota n. 153/17-1984 – 192/15 -97 di prot. del 14.5.1985 del Nucleo di Polizia Giudiziaria dei carabinieri di Firenze, diretta alla Procura della Repubblica di Firenze, avente il medesimo oggetto della precedente nota, sopra indicata, con cui venivano trasmessi i verbali di s.i.t. delle persone interrogate in relazione alle segnalazioni in questione. In detta nota si leggeva: “In esito alla richiesta…si trasmettono i verbali di sit…ad eccezione di Martelli Guido, sul conto del quale il Nucleo Operativo del Gruppo CC di Firenze con foglio n. 192/1583 datato 10.10.1984 aveva compilato e trasmesso a codesta Procura della Repubblica la scheda di “accertamenti relativi alle segnalazioni di sospetti maniaci”. In allegato alla citata nota del 14.5.1985, vi era il verbale di sit rese da Bindi Edoardo, il quale, sentito il 7.5.1985

dichiarava: “prendo atto di quanto mi comunica. lo non sono in grado di stabilire chi abbia potuto avere interesse a calunniarmi affermando con una telefonata anonima che io potrei essere interessante alle indagini sul cosiddetto “Mostro” di Firenze in quanto tale anonimo mi ritiene per altro un “guardone” ed “omosessuale”. lo non sono mai stato un “guardone” ne mi ritengo un omosessuale. Chi ha voluto fare tale segnalazione credo che abbia voluto farmi uno scherzo di cattivo gusto… Fino a qualche anno fa ero colono ed avevo la disponibilità di un terreno sito in località “Giogoli” nel quale coltivavo le piante e seminavo qualche ortaggio ed in particolare allevavo conigli e galline. Per tale motivo, quando ero libero dal servizio, mi recavo in detto terreno per eseguire i lavori di cui prima ho parlato. Nelle vicinanze di detto appezzamento di terra era sita una villa di proprietà di un certo Martelli; sempre nelle vicinanze di detto terreno vi era una casa colonica affittata da un cittadino tedesco che conviveva, almeno credo, con una donna di nazionalità “svizzera”. AI riguardo posso dire che tale donna era solita fare qualche giro sulla bicicletta, nella zona, in costume da bagno…” Dalla lettura dell’atto si evince che il Bindi era stato segnalato da una telefonata anonima (nella scheda di Martelli Guido si parla invece di lettera anonima) e che lo stesso aveva riferito notizie sulla donna svizzera, evidentemente anche questa oggetto della segnalazione.

In data 22 settembre 2003, veniva nuovamente sentito a verbale e dichiarava: “fuori dal recinto della villa sfacciata vi erano alcune abitazioni che furono ristrutturate dal Martelli Martino e date in affitto. Tra gli affittuari ricordo un signore tedesco che all’epoca aveva circa 50 anni e si diceva avesse una fabbrica a Prato. Un’altra affittuaria era una signora Svizzera, una bella donna di circa 45 anni, alta, con capelli lisci castrati chiari lunghi fino alle spalle, che si vedeva spesso girare in bicicletta. Negli anni che vanno dal 1978 agli inizi degli anni 80, quando mi recavo a lavorare nel potere del Nordico vedevo spesso il signore tedesco passeggiare con la signora svizzera, di cui non so fornirvi i nomi e coi quali, a parte i doverosi convenevoli, non ho mai intrattenuto nessuna conversazione “. Al Bindi veniva mostrato un album fotografico contenente anche la foto del Parker e lo stesso, dopo averlo visionato, dichiarava che la persona del Parker non l’aveva mai vista, mentre nella foto del Vitta Nathanel coglieva una certa rassomiglianza col tedesco di cui aveva parlato. Precisava però che il tedesco aveva più capelli, anche se più o meno era della stessa età della persona in fotografia. Bindi Claudio, figlio di Eduardo, sentito anche lui il 22 settembre 2003, dichiarava: “ricordo che negli anni in cui mi recavo con mio padre a lavorare nei campi di via Dei Giogoli, verso la fine degli anni 70 – inizio anni 80, spesso mi capitava di vedere un signore di nazionalità tedesca in compagnia di una signora svizzera che passeggiavano in via Giogoli.  Gli stessi abitavano negli appartamenti ristrutturati dei Martelli ubicati dietro la villa La Sfacciata. Posso descrivere il signore tedesco come una persona di circa 35 anni, alto, robusto, viso tondo, capelli corti, mentre la signora Svizzera era una donna di 28 – 33 anni, alta circa metri 1,90, capelli lisci lunghi e chiari, molto attraente. Ricordo che la stessa girava in bicicletta nei pressi della villa. In quegli anni, non ricordo la data precisa in quanto ero molto giovane, la signora svizzera chiese a mia madre se io potevo andare ad aiutarla a passare dei cavi elettrici all’interno del suo appartamento; mia madre acconsentì ed io mi recai due giorni consecutivi in casa della svizzera e l’aiutai a montare i lampadari. Ricordo che nell’occasione la signora mi confidò di essere una donna sportiva e mi mostrò degli anelli ginnici che usava per fare la ginnastica ma non notai niente di strano.”.

Il 15 giugno 1963, in Prato, il Reinecke aveva contratto matrimonio con Bartolini Lucia, deceduta ed il successivo 29.6.1987 il Reinecke aveva presentato ricorso al Tribunale di Firenze per ottenere lo scioglimento del matrimonio; il Tribunale, con sentenza del 16.11.1987, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Dall’unione nacquero tre figli: Caterina, nata il 30. 9 1964; Marianna, nata il 29.12.1971; Marco, nato il 24.7.1966. Costui risultava socio della s.n.c. “Carbonizzo La Rocca di Reinecke & C.” con sede a Vaiano (FI) località “La Briglia”, costituita il 29.11.1958 e cessata il 31.12.1973, avente ad oggetto “la lavorazione di carbonizzatura lana e altre lavorazioni tessili”. L’altro socio era Baldacci Francesco, cognato del Reinecke per averne sposato la sorella della moglie di quest’ultimo. La P.G. riferiva che, per quel che concerne le auto di sua proprietà, era stata accertata un’autovettura Innocenti Mini 90, targata FI 946465. All’epoca risultava residente in via di Giogoli n. 4; il Reinecke risulta essere stato condannato in data 28.6.1985 dal Tribunale di Firenze per porto abusivo e detenzione illegale di armi (proprio a seguito della perquisizione presso la sua abitazione effettuata a seguito del duplice omicidio del 1983), nonché, in data 31.1.1973, per contravvenzione al codice della strada. Martelli Martino, proprietario della villa “La Sfacciata” con atto del 7.3.1984 conveniva in giudizio il Reinecke per ottenere il pagamento dei canoni d’affitto arretrati, non pagati, relativi all’appartamento di via di Giogoli 4/6. Il Tribunale civile di Firenze – Sezione Il – con sentenza del 19.10.1987 condannava il Reinecke al pagamento della somma di lire 40 milioni più accessori. Dall’atto di citazione si evince, tra l’altro, che il Reinecke aveva preso in locazione l’immobile di quattro vani più servizi il 15.3.1978. Nel ricorso per sequestro conservativo, depositato dal Martelli il 59.12.1984, si legge: “Sta di fatto che il ricorrente è venuto a Sapere che il Reinecke, ospite di tale Francoise Walther, e proprietario solo di una autovettura, intende entro pochi giorni lasciare l’Italia, sottraendosi così all’eventuale soccombenza nella causa …”

La P.G. sentiva quale p.i.. Baldacci Francesco, in data 7 ottobre 2003, in relazione ai suoi rapporti con il Reinecke, il quale dichiarava: “Alla fine degli  anni 70, inizi anni 80, sono Stato titolare della ditta LA ROCCA, ubicata a Vaiano in località La BRIGLIA. Tale società che si occupava della lavorazione per conto terzi di stracci, i quali venivano “carbonizzati” e cioè lavorati con l’acido cloridrico e con apposite macchine dai quali ne usciva la cosiddetta “lana meccanica” e cioè non lana di pecora. Tale società la gestivamo io e mio cognato Luciano Ciatti, successivamente l’abbiamo ceduta ad un terzo cognato, un tedesco di nome Rolf Reincke, il quale aveva Sposato la sorella più piccola di mia moglie, Lucia Cornelia Bartolini. Attualmente questa è morta da circa 5 anni di leucemia.” Circa la conoscenza da parte della cognata del Reinecke specificava: “negli anni 60/70, il padre di Rolf, rappresentava una grossa azienda della Baviera, e noi come Lanificio BARTOLINI eravamo uno dei tanti fornitori. In occasione di uno dei viaggi del padre Gerard, venne accompagnato anche dal figlio Rolf. In uno di questi viaggi in Italia il Rolf conobbe la mia cognata Lucia. Si innamorarono e successivamente si sposarono credo alla fine degli anni 60. La coppia non volle mai stare a Prato e fu così che il padre di Rolf acquistò per loro una casa a Firenze in via Pietro Tacca, nella quale attualmente vive una delle figlie, Marianna.” Quanto alle abitazioni ed alle abitudini di vita del cognato, dichiarava: “mio cognato Rolf, fino al 1977, 1978, ha sempre abitato con la famiglia, in via Pietro Tacca a Firenze, in quegli poi, dopo la separazione credo fosse andato ad abitare in affitto in qualche posto nei dintorni di Firenze, ma non so dirvi dove di preciso, in quanto dopo la separazione i rapporti si sono rotti ed io non l’ho più visto. I motivi per i quali si è arrivati alla separazione tra mio cognato e mia cognata, sono stati legati più che altro alla differenza caratteriale che vi era fra il Rolf e mia cognata Lucia. Mi spiego meglio, il Rolf, per come mi ricordo io era un tipo molto autoritario e strano, aveva un carattere molto burbero, al quale non piaceva molto lavorare, gli piaceva molto di più andare a fare girate per il Chianti e stare lontano dalla famiglia. Infatti durante il giorno lui era spesso in giro e rientrava solo la sera per cena o non rientrava affatto. Mia cognata Lucia invece era di carattere opposto a lui, in quanto era una donna che si perdeva dietro alla famiglia ed ai figli.” Sulle caratteristiche fisiche del cognato, spiegava: “di mio cognato Rolf, mi ricordo che era un omone alto circa m. 1.90/2.00, pesava circa 90/100 kg, aveva capelli corti e biondi, riccioli, occhi azzurri e per un certo periodo ha portato barba e baffi, aveva i lineamenti molto regolari.” Sulla reperibilità del predetto: “sono a conoscenza che il Rolf, circa dieci anni orsono è tornato in Germania, non so dirvi dove, ed ha allacciato una relazione con una donna di laggiù dalla quale ha avuto anche una figlia. Non sono a conoscenza dove il Rolf vivesse in Germania dopo avere lasciato l’Italia. Sono a conoscenza soltanto che la sua famiglia viveva a Bambergh in Baviera. Sono altresì a conoscenza che lo stesso, circa sei anni orsono, è deceduto per motivi di cuore. Questa notizia credo che l’abbia comunicata la madre, a mezzo telefono a mia moglie”. Circa le amicizie del cognato: “Non sono a conoscenza di eventuali amicizia che il Rolf aveva, ricordo soltanto che per un periodo lo stesso ha frequentato un mio dipendente di nome Gori Osmeno, il quale è deceduto qualche anno orsono. Ripeto non sono a conoscenza di altre amicizie, anche perché come ho detto con il carattere che aveva non legava molto con la gente.” Ed ancora: “il Rolf non aveva hobby particolari o praticava sport. lo non ho mai saputo che avesse una passione per le armi. Mi sembra di ricordare che per un periodo ha frequentato il Mugello, se non ricordo male Scarperia dove aveva acquistato un elmo con due spade incrociate, del quale andava molto fiero e teneva appese nella casa di via Pietro Tacca.”

La figlia del Baldacci, Francesca Marianna, sentita a verbale in data 9 ottobre 2003, in relazione allo zio Reinecke, dichiarava: “Di quello che ricordo il matrimonio è durato circa 14 anni, anche se dopo i primi due anni mia zia Lucia si lamentava del carattere di Rolf in particolare per la sua rudezza. Negli anni lo stesso Rolf peggiorava e sempre, da racconti fatti dalla mia zia, a volte rimproverava e picchiava i figli anche senza valido motivo; eccedeva nel bere e per tali motivi diventava violento… nel 1977/1978, mio zio Reinecke abbandonò l’abitazione di via Susini e non so se andò ad abitare subito dalle parti del Galluzzo, in via di Giogoli, io non ci sono mai stata. Noi in famiglia apprendemmo nel 1983, dai giornali che aveva rinvenuto due ragazzi tedeschi morti all’interno di un camper nei pressi della sua abitazione di via di Giogoli. Ricordo che in famiglia commentammo il fatto, pensando al dispiacere che aveva potuto avere nel ritrovare i cadaveri di due persone…” Circa armi in possesso dello zio, raccontava: “Non sono a conoscenza se mio zio Rolf avesse l’hobby delle armi, ricordo soltanto un episodio, riportatomi da lui e da mia zia, nel quale mi raccontarono di un litigio avuto negli anni 70 con dei vicini in quanto Rolf aveva sparato o impallinato un gatto, in quanto gli dava fastidio. lo non ho mai visto armi in casa anche perché all’epoca della mia frequentazione vi si trovavano i figli piccoli, e quindi anche se le avesse avute non le avrebbe certo tenute in giro.” Sulla reperibilità, spiegava: “Sono a conoscenza, che negli anni 90 dal momento che il Rolf aveva dei problemi finanziari tali, che decise di tornare definitivamente in Germania. Con lui si trovava anche la seconda moglie, che so essere una signora di origine Svizzera, che insegnava tedesco a Firenze, dove si erano conosciuti. Non sono a conoscenza del suo nome. So che da questa donna Rolf ha avuto una bambina. lo l’ho sentita nel 1996, quando ha telefonato a casa, e piangendo mi disse che Rolf era a Bambergh, e che aveva lasciato lei e la figlia in precarie condizioni economiche. Da quella volta la seconda moglie di mio zio Rolf, non si è fatta più sentire. Credo che i figli Marco, Marianna e Caterina abbiano avuto dei contatti successivi per la questione legata all’eredità. Per quanto ne so io tali contatti si sono limitati a quelli tenuti dai rispettivi legali.” Sulla personalità: “Che io sappia, mio zio Rolf era una persona molto solitaria, gli piacevo molto andare a mangiare in ristoranti in campagna e specialmente nel Chianti, dove gli piaceva molto andare a mangiare. So che andava anche spesso ad acquistare del vino nel Chianti, ma non so in che luogo di preciso…Ricordo .che negli ultimi tempi, e cioè alla fine degli anni 70, Rolf nonostante la sua altezza, si era molto appesantito ed aveva messo su pancia, aveva la barba bianca e grigia, era stempiato ed i capelli erano striati di bianco, portava spesso gli occhiali da sole, che se non sbaglio erano con la montatura marrone rettangolari in quanto aveva gli occhi chiari e delicati ed era alto circa ml. 1,95. Ricordo che si vestiva molto casual, indossava spesso giacche di pelle, e mi pare ne avesse una anche con delle frange, ricordo che in alcune occasioni indossava un cappello a tesa larga, tipo cow boy, e ricordo che spesso indossava anche degli stivali tipo buttero.” Precisava inoltre di non essere a conoscenza di dove fosse andato, dopo l’ultima volta che lo aveva visto e che risaliva alla fine di agosto – i primi giorni del mese di settembre 1984. Nella circostanza, la Baldacci consegnava alcune foto dello zio risalenti agli anni 60, scattate in occasione del matrimonio. Da queste foto si rileva una forte rassomiglianza con l’identikit redatto durante le indagini sul duplice omicidio del delitto ed in orario particolarmente significativo, così come il luogo, aveva notato la persona descritta alla guida di un’auto sportiva incrociata su un ponte. (Vedasi dichiarazioni di Parisi Rossella). La P.G. rilevava altresì che la descrizione dell’abbigliamento appariva perfettamente sovrapponibile con i dati forniti in precedenza dalla Ghiribelli allorché fece riferimento allo svizzero, amico del Lotti, che abitava in un appartamento della villa “La Sfacciata”. Vi era poi la conferma di quanto già appreso da altri testi (vedi Pratesi Attilio) sulla circostanza che il tedesco nel 1984 avesse lasciato l’appartamento di via di Giogoli insieme alla donna svizzera senza più farsi vedere. Nell’ottobre 1981 erano stati svolti accertamenti sulla coppia, tanto che erano state chieste informazioni a Martelli Guido, che aveva negato la circostanza della conoscenza dei due. Venivano sentiti a verbale anche i figli del Reinecke, Marco, Marianna e Caterina apprendendo ulteriori notizie, tra cui il fatto che il loro genitore nel 1983/1984 era tornato, senza dire loro nulla, ad abitare in Germania, che odiava la moglie, tanto che era stata la loro madre a chiedere la separazione, che era morto per infarto in Germania nel 1995, che la nuova moglie, Francesca (la svizzera Walther) era interessata alla magia e frequentava maghi ed astrologi. Marco, il 16.10.2003, tra l’altro, dichiarava: “in merito al duplice omicidio dei tedeschi avvenuto a Giogoli nel 1983, ricordo quanto segue: mio padre la domenica del duplice omicidio o i giorni immediatamente successivi, poteva essere la domenica successiva, si giustificò di un ritardo o di un mancato appuntamento, in quanto trattenuto dalle Autorità competenti a seguito del ritrovamento dei due ragazzi tedeschi uccisi a Giogoli. Mio padre mi disse che la sera prima del ritrovamento dei due corpi, sul tardi, aveva visto un furgone Wolkswagen appartato in un boschetto. L’aveva rivisto la mattina successiva nello stesso punto con un vetro rotto. Si avvicinò e vide due ragazzi morti, notò i capelli lunghi e per questo non capì se si trattava di due uomini o un uomo e una donna. Disse che aveva spontaneamente consegnato una pistola calibro 22, che lui deteneva da tempo con regolare licenza alle autorità presenti, che lui stesso aveva provveduto a chiamare. Mio padre si dimostrò allarmato in quanto era venuto a conoscenza che i delitti commessi dal cosiddetto mostro di Firenze erano stati eseguiti proprio con una pistola calibro 22. preciso meglio, mio padre nel dirmi che era allarmato mi fece, capire di esserlo proprio per eventuali problemi con la giustizia derivanti dal fatto di aver consegnato la pistola calibro 22 che era dello stesso tipo di quella usata nei diritti del cosiddetto mostro di Firenze. Era anche rammaricato del fatto di non detenerla più. Questa è stata la prima ed unica volta che mio padre mi ha parlato del duplice omicidio di Giogoli”. In una successiva occasione, il 17.11.2003, lo stesso Reinecke Marco aggiungeva che il padre era socio nel Club nautico di Carrara e di quello di Cala Galera, vicino a Porto Ercole e che possedeva un motoscafo abbastanza grande con due motori fuori bordo. Aggiungeva anche che in una occasione il genitore lo aveva portato al Lago Trasimeno a visitare il Museo dell’aviazione. Circa il racconto fatto in relazione alla scoperta dei due  cadaveri, va rilevato che, dagli atti, risulta che il Reinecke all’epoca ebbe a dichiarare di aver scoperto il furgone la mattina del giorno del ritrovamento dei cadaveri e non già la sera precedente e che, quando si era avvicinato ad esso, aveva pensato che l’occupante stesse dormendo. La P.G. acclarava altresì, che non risultava che lo stesso avesse consegnato una cal. 22 né che, a seguito della perquisizione eseguita nella sua abitazione, fosse stata rinvenuta un’arma di detto calibro. In relazione alla sua fidanzata svizzera Walther Francoise i militari accertavano che costei era immigrata dalla Svizzera in data 12/4/1978; risultava titolare di impresa individuale con sede in Firenze, via di Giogoli 6, con l’inizio  attività il 1/9/1978 e data di cessazione il 31/3/1980 avente per oggetto: “Agenzia di Commercio per viaggi-studio all’estero”; e che all’epoca degli accertamenti la predetta viveva, con una figlia avuta da Reinecke nella città di Bemberg, vicino a Monaco di Baviera. Queste, Dunque, sommare risultanze obiettive emerse a seguito delle dettagliate indagini di P.G.. Esse portano ad esclusa la presenza del  “nero Ulisse” nella dependance della Villa tra “La Sfacciata”, come hanno sostenuto tutte le principali pp.ii.ff. sentite ripetutamente dai militari, mentre appare acclarata la presenza del solo Reinecke e della sua compagna Svizzera all’interno della villa.

Secondo l’assunto accusatorio ai festini e alle orge che avvenivano all’interno della Villa non risulta che fossero stati mai presenti nè Vanni nè Pacciani. Era, invece, presente Lotti oltre al tedesco, mentre, come si è appena visto, appare fortemente dubbia e, comunque, non acclarata la presenza in quel luogo del nero “Ulisse” oltre che del Narducci,.il quale quando era nella zona di Firenze sicuramente non viveva nella villa del tedesco. Ad entrambi i luoghi dei festini, inoltre, avrebbe partecipato l’appuntato dei carabinieri FilippoNeri TOSCANO, della stazione dei carabinieri di San Casciano, ma su questo punto sono ancora in corso indagini e tale assunto, dunque, non può di certo ritenersi acclarato.

Dagli atti emerge che subito dopo il duplice omicidio del 1983 a Via di Giogoli il tedesco ed il nero venivano individuati dai Carabinieri; solo la sera, alle 19,30, il tedesco avvertirà i Carabinieri e quella stessa notte fu perquisito, processato e ,come si è detto sopra, condannato per detenzione di una collezione di armi, fucili e pistole. Subito dopo, il Reinecke e la sua compagna si davano a precipitosa fuga dalla Villa, trasferendosi in Germania. I festini, ammesso che avvenissero realmente nella dependance della Sfacciata, necessariamente terminavano in quell’anno. Gli omicidi, tuttavia, continuavano fino al settembre dell’anno 1985. Subito dopo l’ultimo delitto Narducci Francesco, medico di Perugia, moriva, presumibilmente non di morte naturale. La Procura di Perugina ipotizzava un omicidio volontario, indagando anche il Calamandrei (proc. poi archiviato). La sua conoscenza con il farmacista Calamandrei e con gli ambienti dei delitti, pur non apparendo incontrovertibile, può ritenersi acclarata e induce ad ipotizzare che sul punto l’odierno imputato abbia mentito, avendo con forza escluso ogni sua conoscenza con detto personaggio.

L’organizzatore – impresario” doveva ritenersi, secondo la Pubblica Accusa, per la stamberga di via di Faltignano lo stesso Salvatore Indovino, il quale, tuttavia, non può di certo considerarsi tale per quanto concerne la villa, non essendo emerso alcun ruolo in tal senso. La dependance della villa “la Sfacciata” tuttavia, veniva abbandonata definitivamente dopo il duplice omicidio del 1983, sebbene gli omicidi fossero continuati nel 1984 e nel 1985, ed allora deve chiedersi dove fosse ubicata la sede dei successivi festini (ammesso che ne sussistesse una..), anche perché il “dottore” avrebbe continuato a pagare i feticci, avendo il Lotti dichiarato di averlo visto mentre si recava a prendere i feticci dal Pacciani dopo il delitto del 1985 in cambio di denaro.

Appare del tutto non provata la circostanza secondo cui l’odierno imputato fosse inserito stabilmente nel gruppo di “gaudenti” e che fosse vicino al Pacciani e al Lotti, emergendo tale ipotesi accusatoria prevalentemente dalle dichiarazioni, in gran parte da ritenersi farneticanti, rese dal Vanni.

La moglie Mirella Ciulli lo aveva chiamato pesantemente in causa sin dal 1988, prima, quindi, della individuazione del Pacciani ma sul punto si è già evidenziata la poca attendibilità delle sue dichiarazioni complessive alla luce delle sue condizioni di salute mentale.

La articolata testimonianza di CIULLI MARIELLA, già moglie dell’imputato.

Uno dei motivi della particolare attenzione riservata dalla Pubblica Accusa alla posizione di Calamandrei, sotto forma di vera e propria scelta selettiva, è costituito dal complesso di affermazioni accusatorie effettuate nel tempo da Ciulli Mariella, moglie dell’imputato all’epoca delle propalazioni e, poi, divorziata. In punto di valutazione delle affermazioni della Ciulli occorre innanzitutto procedere alla “contestualizzazione” temporale delle sue dichiarazioni, che va indubbiamente indicata, quanto meno, nella primavera dell’anno 1988. All’epoca si era ancora nella direzione del serial killer solitario, per scoprire il quale, ovviamente, non si poteva che partire da una analisi di compatibilità rispetto alla materialità dell’esecuzione (quindi, precedenti omicidari, periodi di detenzione, ecc…). Fatta questa premessa, occorre ora stabilire se le dichiarazioni della Ciulli, nel loro complesso, rientrino o meno nell’area del puro vaneggiamento delirante, come pure si evince con una certa chiarezza dalla perizia d’ufficio, redatta dal prof. Giovanni Battista Traverso, ordinario di Psicopatologia Forense presso il dip.to di Scienze medico-legali e socio-sanitarie dell’Università di Siena, disposta dal G.I.P. nella fase delle indagini preliminari a seguito di incidente probatorio e depositata in data 26.8.2005. Secondo la Pubblica Accusa essa sarebbe carente rispetto a quella effettuata dal consulente del P.M. prof. Ivan Galliani, redatta il 9.9.2005, in quanto l’attività integrativa d’indagine, tesa a mettere in luce le condizioni reali della Ciulli, attraverso l’ascolto delle sue frequentazioni dell’epoca non venne posta a disposizione del Perito dal Giudice, il quale non ammise, in quella fase, tali produzioni. In sostanza secondo i P.M. la lettura del memoriale della Ciulli, risalente al 26.4,1991, ha maggiormente sollecitato l’attenzione del prof. Traverso, il quale lo ha richiamato espressamente anche nelle sue conclusioni, limitandosi, al momento della perizia, a chiedere alla Ciulli chi fossero le persone alle quali ella aveva fatto espresso riferimento in quello scritto, se ne poteva facilmente trarre un complessivo giudizio di confusione generale, attuale e risalente; un vaneggiamento, cioè, che toccava il suo apice, una sorta di sublimazione del farneticare, nell’incongruo racconto riferito al primo duplice omicidio, avvenuto a Castelletti di Signa nel lontano 1968. Secondo l’assunto accusatorio, invece, occorre confrontare quei ragionamenti con le persone a cui costei si riferì, non tanto per sostituire le loro opinioni con l’odierno giudizio di incapacità esposto dal Perito, quanto per verificare se le cose riferite dalla Ciulli all’epoca fossero o meno attendibili e orientate, sia pure sul solo piano della effettività degli accadimenti. Secondo la Pubblica Accusa il Perito Traverso non avrebbe effettuato tale accertamento perché non aveva l’incartamento e ciò avrebbe viziato le sue conclusioni. Si avrà modo di evidenziare infra che tale critica avanzata dai P.M. non può condividersi, Nella presente trattazione si terranno presenti sia le conclusioni cui è pervenuto il perito prof. Traverso, sia quelle della consulenza del prof. Galliani, raffrontandole proprio con quanto è emerso nella fase delle indagini a seguito delle dichiarazioni rese dalle principali (in tale ambito) pp.ii.ff..

Negli atti è stato ampiamente ricostruito quale è stato il comportamento della moglie del farmacista già da epoca antecedente alla individuazione di Pietro Pacciani. Costei, sempre in una sorta di delirio, aveva riferito molti particolari ai suoi conoscenti, i quali sono stati tutti sentiti dal PM ed i relativi atti si trovano nel fascicolo, mentre la gran parte li aveva trascritti in un ‘memoriale’, recante la data dell’anno 1991, acquisito al presente proc. pen.

Veniva effettuata una prima richiesta di incidente probatorio dal P.M., diretta all’audizione della Ciulli quale teste sui fatti a sua conoscenza, come esposti in precedenza e nel suo memoriale. Detta richiesta però veniva respinta dal Gip dopo l’esame della documentazione medica prodotta nell’occasione dal difensore dell’odierno imputato.

La richiesta, tuttavia, veniva reiterata dal P.M., essendo motivata dal fatto nuovo costituito da una nuova perizia disposta nell’ambito di altro proc. pen. (n. 18923/00 rgnr nei confronti di Calamandrei Marco, figlio della Ciulli e dell’odierno imputato), nel quale la Ciulli, parte offesa denunciante, doveva essere sentita quale teste. In tal caso la perizia veniva redatta dal dott. Pietro Manetti e depositata il 6.3.2002.

Il Gip, nell’occasione, disponeva in un primo momento l’assunzione della Ciulli quale testimone e, contestualmente, disponeva affidamento peritale finalizzato ad appurare, per l’appunto, se la Ciulli fosse in grado di rendere la sua testimonianza. Veniva, così, affidato l’incarico peritale al prof. Traverso con incidente probatorio, e nell’elaborato si fa riferimento ad una prima consulenza, redatta dalla dott.ssa Lucia Astore l’11 settembre 2001, effettuata nell’ambito di un procedimento civile promosso dai familiari per la dichiarazione di interdizione della Ciulli. La dott.ssa Astore concludeva, dopo una parte motiva, per una diagnosi di “schizofrenia paranoide, psicosi cronica, insorta in epoca adolescenziale”. Vi è poi altra C.T.U., disposta nell’ambito del proc. civ. relativo alla interdizione della Ciulli, depositata il 20.12.2002 dal dott. Fulvio Carbone, psicologo, il quale, dopo aver visitato la Ciulli, e consultato gli atti, evidenziava che la Ciulli aveva avuto una serie di ricoveri iniziati nell’anno 1985, con una prima diagnosi di “psicosi schizofrenica di tipo depressivo”. Agli atti vi è poi un parere redatto redatto dal prof. Adolfo Francia, consulente della difesa dell’odierno imputato, riportata anche nella successiva perizia del prof. Traverso, che parla di “pensiero frammentato e incoerente”, adoperando termini quasi simili a quelli poi utilizzati nella parte medico-legale conclusiva della perizia del professor Traverso. In tal caso il prof. Francia ha riferito di “una mente caratterizzata da una chiara patologia psicotica”, richiamandosi all’episodio riferito dalla Ciulli, risalente all’anno 1968, che si riferisce al primo duplice omicidio in località Castelletti, per il quale a suo tempo intervenne sentenza passata in giudicato della Corte d’Assise di Firenze che condannava l’unico imputato Mele, riportato a lungo e dettagliatamente nel memoriale redatto dalla Ciulli nell’anno 1991. In particolare nella sentenza il passaggio relativo a “Natalino”,  che era sulla stessa macchina dei due soggetti poi uccisi e che nottetempo,  verso le ore una e trenta/due della notte, si trovava nella campagna di Lastra a Signa, loc. Castelletti, solo ed abbandonato e che poi, ad un certo punto, qualcuno avrebbe portato ad una vicina casa di contadini. In quella vicenda si discusse molto perché vi erano delle contraddizioni, prima di arrivare a definire, sulla base della confessione esplicita dell’imputato Mele, che Natalino, figlio della coppia, venne portato da lui stesso presso la casa dei contadini.

Ciulli Mariella in data 21.3.91 si presentava presso la Questura di Firenze, e rendeva alcune dichiarazioni, allegando un memoriale (allegato agli atti del presente proc. pen.). Nelle dichiarazioni la Ciulli riferiva sostanzialmente quanto segue: a fine estate ’68, dopo essersi recata col Calamandrei (allora per lei soltanto un amico, conosciuto attraverso il giornalista della “Nazione” Piero Magi) a casa di una signora che “toglieva il malocchio”, si era appartata in auto con lui in campagna in località “Castelletti”, quando avvertì alcuni spari; dopo pochi istanti videro un bambino, il quale piangeva dicendo che la mamma era morta, indicando, un’altra auto parcheggiata nei pressi; il Calamandrei andava a vedere e tornava dicendo che nell’auto non c’era nessuno, poi accompagnava il bambino con una bicicletta che si trovava nei
pressi, attraversando un ponticino; mentre attendeva il ritorno del Calamandrei, vedeva passare “un uomo in bicicletta…indossava una mantella scura ed un cappello ed era di corporatura piccola, si soffermò un attimo a guardarmi ma proseguì verso l’auto più grande dove si fermò ad osservarla  per poi proseguire…”; osservando meglio vide nella vettura due persone “una  con la testa più eretta, l’altra con la testa reclinata verso la prima…”; poiché lei si sentiva male, tornarono a casa dell’amica, dove la Ciulli fu fatta stendere su un letto. Il giorno seguente il Calamandrei, agitato, le chiese telefonicamente di accompagnarlo in un luogo dove era stato a pescare in precedenza, e dove aveva perso il mulinello; la portò nello stesso luogo della sera precedente; mentre lui rovistava nell’erba passarono tre uomini in divisa, forse Carabinieri, ed il Calamandrei, nel vederli, inaspettatamente l’abbracciò “per impedirmi di rispondere alle loro domande”; quindi il Calamandrei si diresse verso l’auto della sera precedente, prese qualcosa e, subito dopo, la  portò via. La Ciulli riferiva, altresì, che il marito era stato possessore di armi (una propria, una ereditata dal padre), che gettò in mare a Punta Ala dopo il delitto degli Scopeti; che il marito, dopo il delitto degli Scopeti, reagì stringendola al collo solo perché “io manifestavo il desiderio che il delitto venisse scoperto”; che lei, dopo essersi consigliata con una amica, aveva deciso di parlare delle sue “perplessità” ai Carabinieri di Borgo Ognissanti; che lei stessa, nei dicembre 1990, aveva consegnato un memoriale su questi punti all’avvocato Lena. Il memoriale veniva fatto leggere alla Ciulli, e la lettura veniva registrata su nastro magnetico.

In. data 11.4.91, chiamata dalla Questura per integrazioni a verbale, specificava, tra l’altro, che da un sopralluogo da lei effettuato poco tempo prima nella zona di Castelletti, la casa dell’amica “che toglieva il malocchio” era stata da lei individuata in una villetta posta al civico 22 di via Castelletti. Dapprima confermava, relativamente all’episodio del ’68, di essere tornata col Calamandrei sul posto della sera precedente, di aver visto l’auto della sera precedente, e di aver preso lei stessa qualcosa dall’auto. All’obiezione che l’auto era stata posta sotto sequestro dalla mattinata, la Ciulli replicava: “Prendo atto di tale particolare, mi sento sollevata, vuol dire che quella che vedemmo quel pomeriggio non è l’auto dell’omicidio”.

Agli atti risulta anche una comunicazione dei Carabinieri di Firenze diretta alla Procura della Repubblica di Firenze, in data 21.9.88, in cui si affermava che in data 28.6.88 “persona conosciuta…che ha chiesto di rimanere anonima”, aveva riferito sospetti su Calamandrei Francesco, come possibile autore dei duplici omicidi. Circa il delitto di S. Casciano Val di Pesa, la persona riferiva che i suoi sospetti si sarebbero rafforzati se il delitto fosse stato commesso nella notte tra il sabato e la domenica, perché la notte successiva il Calamandrei era stato sempre in sua compagnia. A seguito della segnalazione, veniva effettuata perquisizione domiciliare al Calamandrei, sia a S. Casciano, che nel villino di Punta Ala, che sulla barca, di sua proprietà senza alcun esito.

Occorre ora soffermarsi sulle informazioni relative alla storia clinica della sig.ra Ciulli, desunte dalla documentazione sanitaria presente agli atti e costituita da:

1. Cartella Clinica del Centro di Salute Mentale Infanzia – Adolescenza Firenze/3 del novembre 1985;
2. Relazione Clinica del MOM infanzia Adolescenza Fi/3 del 15-5-2001;
3. Relazione Clinica del MOM Infanzia Adolescenza Fi/3 del 15-2 2005;
4.Cartella Clinica del Centro di Salute Mentale del Servizio Salute Mentale della USL di Firenze 10/B dal 22-5-92 al 2005;
5. Cartella Clinica del ricovero dal 30-7-92 al 3-8-92 c/o Unità Sanitaria Locale 10/D di Firenze;
6. Cartella Clinica di ricovero dal 16-10-92 al 30-10-92 c/o Ospedale Santa Maria Annunziata della USL 10/h;
7. Cartella Clinica di ricovero dal 5-7-96 al 25-7-96 c/o Casa di Cura “Villa dei Pini”;
8. Cartella Clinica di ricovero dal 30-7-96 al 16-8-96 c/o Casa di Cura “Villa dei Pini”;
9. Cartella Clinica di ricovero dal 29-3-99 al 11-5- 99 c/o Casa di Cura “Villa dei Pini”;
10. Cartella Clinica di ricovero dal 13-12-99 al 19-1-2000 c/o Casa di Cura “Villa dei Pini”;
11. Relazione Clinica del 9-5-01 della dr.ssa Zani dell’USL di Firenze

le quali sono state tutte esaminate e riferite sia dal Perito Traverso che dai C.T. di parte e che saranno trattate infra.

Nella perizia del prof. Traverso si analizzava il memoriale della Ciulli laddove si sosteneva, in particolare che costei si sarebbe trovata in loc. Castelletti la notte del 22 agosto 1968, insieme al Calamandrei, in occasione dell’episodio omicidiario, aggiungendo che il Calamandrei avrebbe preso la bicicletta, appoggiata ad un albero, per portare il bambino nella casa dei contadini. La Ciulli riferiva, altresì, che mentre avveniva ciò c’era anche un signore con un pesantissimo mantello nero e un cappello nero (si era in pieno agosto…) il quale stava passando lì anche lui con una bicicletta; e poi aggiungeva che in quella occasione lei era stata portata in una casa, nella quale, oltre al Calamandrei, vi era anche altra gente, fra cui tale Piero Magi (poi identificato dalla P.G. quale, all’epoca, giornalista del quotidiano “la Nazione” e successivo direttore responsabile) il quale, insieme al Calamandrei, l’avrebbe narcotizzata.

Nel memoriale, poi, si riferiva che il Calamandrei, sempre con la Ciulli, sarebbe tornato il pomeriggio del giorno successivo e, cioè, del 23 agosto e che la macchina era ancora lì, aggiungendo che non c’era nessuno, e che il Calamandrei sarebbe entrato nell’autovettura e avrebbe preso un beauty case, nel quale, secondo una successiva dichiarazione, si sarebbe trovata una pistola calibro 22 del “Mostro”. Secondo la perizia redatta dal prof. Traverso – pag. 51 della relazione – “alla lettura del memoriale ci si accorge subito che i concetti espressi sono slegati, sfilacciati, incoerenti”, e quindi, concordando con la constatazione clinica del prof. Francia, aggiungeva che “la paziente è cronicamente affetta da un disturbo delirante di tipo persecutorio; è una diagnosi che è stata formulata in vari modi dalle strutture che l’hanno avuta in cura; alcune hanno parlato di parafrenia, alcune di disturbo psicotico, alcune di disturbo della personalità paranoide, psicosi, eccetera; comunque sia, risulta evidente, sia dalla lunga storia clinica della paziente, sia dalla conclamata sintomatologia caratterizzata da un delirio megalomanico di persecuzione e di riferimento, incentrato sulla convinzione, anche questa delirante, che il marito sia depositario di segreti del cosiddetto “Mostro di Firenze”, al pari del dottor Vigna e di altri personaggi”. La C.T. del prof. Francia sul punto evidenziava: “Il nucleo fondamentale del delirio sta proprio in queste convinzioni che l’hanno indotta a sporgere denunce” – pag. 53 -“a chiedere perquisizioni domiciliari, a stilare memoriali; le accuse che ha ‘mosso al marito sono frutto di confabulazioni a cui cerca di dare un alone di veridicità attraverso fili associativi che non reggono all’esame della realtà. Il memoriale del marzo ’91 rappresenta, nella struttura narrativa, nella costruzione e nel linguaggio, una chiara manifestazione di patologia in atto; emergono allusioni, fatti indimostrati e indimostrabili, che non reggono all’esame della realtà, come l’episodio del dottor Canessa”. A pag. 125 della relazione Traverso si legge testualmente: “A proposito dei fatti immediatamente precedenti l’episodio dell’omicidio del ’68, la paziente afferma fra l’altro che quella sera sarebbe dovuta andare al cinema, dove c’era anche Paolo Canessa, che era al cinema ad aspettare di entrare insieme al Vannucci. La paziente poi aggiunge: “Eravamo amici, io e Paolo, amici da bambini, abitavamo vicini di casa e si giocava insieme”, fatto, peraltro, questo dell’amicizia con il dottor Canessa, almeno in assoluto, plausibile, come spesso plausibili sono i contenuti a struttura coerente e sistematizzata dei soggetti affetti da disturbo delirante, specie paranoico, anche se, nel caso specifico, assai improbabile”.

Il prof. Traverso, poi, elencava tutti i dati della documentazione medica, partendo dall’anno 1985, riportando il contenuto del diario clinico del Presidio di San Felice a Ema – pag. 58 della sua relazione – : “La situazione emotiva di Mariella è fortemente improntata in senso depressivo; tutto questo le fa apparire coloro che la circondano come nemici e quindi consiglio alla signora Ciulli di farsi aiutare farmacologicamente in questo momento così delicato e di rivolgersi pertanto ad uno psichiatra”.

Nel successivo mese di giugno dell’anno 1988, altra relazione, come emerge dal diario clinico del Presidio di San Felice a Ema, dalla quale si evince che: “Compaiono sempre più massicciamente pensieri legati alle vicende del “Mostro””. A tal proposito deve evidenziarsi che in quell’anno avvenne la prima denuncia della Ciulli, che provocava una perquisizione nell’abitazione del Calamandrei, effettuata dal colonnello Rotellini e dal maresciallo Di Meo, alla ricerca dell’arma e dei “feticci”, che la Ciulli riferiva essere contenuti nel freezer (sul punto la Ciulli si soffermerà anche a pag. 88 del memoriale) e se ne parlava anche nel primo libro dello scrittore Mario Spezi, essendo attribuiti a un ginecologo, tale prof. Gentile, il quale avrebbe inserito i feticci nel suo freezer. Nella citata relazione si affermava che “questo pensiero stia diventando una ossessione; le cose che dice di ricordare sono frammentarie, confuse”.

Altra relazione, contenuta nel diario clinico del Presidio di San Felice a Ema frequentato dalla Ciulli, redatta dalla Dott.ssa Adima Ringressi nel gennaio 1989 che recitava testualmente: “Mi ha riferito di avere avuto bisogno di andare a parlare alla S.A.M., Squadra Anti Mostro, perché i pensieri che le assillavano la mente potessero essere valutati e sperando che le potessero togliere quella idea fissa”. Sempre dal diario clinico del Presidio di San Felice a Ema nel successivo maggio 1990 si riferiva: “I pensieri di Mariella sono sempre più di tipo immaginativo; compare qualche idea delirante”, riportato a pag. 60 della relazione del prof. Traverso.

Ed, infine, nel giugno 1991 altra relazione evidenziava: “Mariella si è comunque finalmente decisa ad affrontare un po’ seriamente una cura farmacologica, è seguita dal Servizio di Psichiatria di Zona”. Occorre sottolineare come nell’anno 1991 vi erano state numerosissime denunce della Ciulli alla S.A.M. 47.

Infine, essendo divenuto di dominio pubblico che il Pacciani era stato iscritto nel registro degli indagati ed era uscito dal Carcere, quello stesso anno la Ciulli si era recata a far visita anche al Pacciani.

Il prof. Traverso riporta anche – pag. 81 della sua perizia – due certificazioni delle specialiste del Presidio di San Felice a Ema, vale a dire della dott.ssa Ringressi e della dott.ssa Chelazzi.

Prima ancora, vi era stata una certificazione della dott.ssa Zani, direttrice di un centro di psichiatria della A.S.L., che aveva sempre seguito la Ciulli sin dal 1991, secondo cui: “La signora Ciulli Mariella è seguita continuativamente dal nostro servizio, fino dal 1992, in seguito ad un primo ricovero in turno medico

47 14 marzo, 21 marzo, 16 aprile; nell’aprile di quell’anno la Ciulli veniva sentita dal P.M. dottor Canessa ed avveniva la sua visita al signor Renzo Rontini, padre di una delle vittime

durante il quale fu già verificato, sulla base di alcune consulenze specialistiche, un disturbo delirante cronico, già in passato era stata in trattamento psicoterapico per disturbi comportamentali. Da quel primo ricovero la signora è in terapia con neurolettici e talvolta con cicli di antidepressivi. Anche nella famiglia di origine, soprattutto due fratelli, sono descritti con disturbi del carattere. Ha sempre lavorato con il padre, mostrando spesso atteggiamenti bizzarri e contraddittori, alla base dei quali è emerso un deliro megalomanico con temi persecutori che tuttora permangono aggravati” 48.

Estratto del certificato medico del 15.5.2001, redatto dalla dott.ssa Chiara Chelazzi: “La signora si è presentata al nostro servizio per problemi del figlio minore nel novembre dell’85. Nei colloqui emersero elementi che lasciarono pensare all’opportunità di un intervento psicoterapeutico, rivolto anche alla signora stessa…La signora aveva portato il figlio Marco, minore, perché pensava che lui avesse dei problemi da dover essere trattati con psicoterapia”. “Il sintomo iniziale più evidente era rappresentato da una sindrome D.A.P., Disturbo di Attacco Panico. Nel corso della terapia si andò via via sempre più manifestando disturbo di alterazione dell’affettività e del tono dell’umore, sia nel senso della depressione che nel senso dell’esaltazione. Col passare del tempo il pensiero della signora divenne ossessivamente rimuginativo, con spunti deliranti e persecutori”, adoperando quest’ultima espressione, identica a quella riportata nella C.T. del professor Francia : “che facevano pensare aduna psicosi schizo-affettiva di tipo depressivo. Fu così consigliato alla Ciulli di rivolgersi ad uno psichiatra per farsi sostenere anche farmacologicamente. La signora inizialmente accettò, ma dopo ci furono momenti di rifiuto di qualsiasi cura. Le sedute si diradarono fino ad interrompersi nell’anno ’92”.

Vi è poi la certificazione medica del 15 febbraio 2005, a firma della dott.ssa Adima Ringressi, ancora insieme alla dott.ssa Chelazzi, le quali riferivano: “Nel novembre del ’95, nel momento della presa in cura con sedute di psicoterapia, la signora Mariella Ciulli presentava sindrome di disturbo D.A.P. collegata a sentimenti di ansia e di separazione che la signora aveva sviluppato in relazione a vissuti problematici e ambivalenti nei confronti delle figure genitoriali. Cominciano a comparire modalità di pensiero di tipo rimuginativo collegato a forti stati d’ansia che, verso l’88-’89 assunse caratteristiche di pensiero ossessivo. Nel ’91 il pensiero della signora Ciulli

48 come si evince a pag. 81 della relazione Traverso

virò in maniera fortemente patologica con la comparsa di deliri di persecuzione.

E quindi, con tali premesse, il prof. Traverso arrivava alle considerazioni medico-legali e alle conclusioni (pag. 117): “Dal punto di vista psicopatologico la Ciulli è affetta da lunga data da una sindrome delirante e allucinatoria crenica, sviluppatasi su una iniziale sintomatologia ansiosa, poi virata in un turbe francamente ossessivo con emergenza di spunti deliranti persecutori”. Nella successiva pag. 118 si riferiva: “La paziente sembra avere sperimentato elementi di grosso disagio psichico fin dalla prima infanzia”. “Nel diario clinico dell’ottobre dell’anno ’92” – pag. 120 – “la paziente data l’inizio dei suoi problemi nel 1979, quando, a seguito della morte per TBC di una sua amica, cominciò a sviluppare timori patologici, a soffrire di turbe psichiche e ,contemporaneamente al deterioramento del rapporto con il marito, a sviluppare il convincimento delirante del coinvolgimento del marito nella vicenda del “Mostro di Firenze””, A pag. 122: “Tutto questo che lei dice le fa apparire coloro che la circondano come nemici”. Poi più avanti si evidenziava: “appare come una grave malata cronica, caratterizzata innanzitutto da un certo apprezzabile deficit della sfera intellettiva, cognitiva, compromissione dell’attenzione, della memoria, etc.; a livello del contenuto del pensiero, soprattutto in riferimento al cosiddetto “Mostro di Firenze”, si evidenzia una costruzione delirante che ingloba, nella narrazione della paziente, non solo il marito ma anche e soprattutto si direbbe il dottor Vigna, nonché il padre della stessa ed altri personaggi” – pag. 124.

Le conclusioni del prof. Traverso erano le seguenti: “sull’idoneità o meno a Testimoniare, nessuna idoneità perché affetta da grave disturbo delirante cronico, che produce gravissimi difetti del giudizio e della critica e che induce in lei anche un apprezzabile, seppur non grave, decadimento mentale”.

Preso atto di tali conclusioni il Gip revocava la propria ordinanza ammissiva della testimonianza della Ciulli e l’incidente probatorio si concludeva in data 17.9.2005. Oltre al quesito sulla idoneità o meno a testimoniare, il Gip aveva posto al perito anche l’altro quesito relativo allo stato mentale della Ciulli al momento in cui lanciava le accuse e la sua consapevolezza circa la realtà che la circondava. Il prof. Traverso circa tale secondo quesito riferiva a pag. 129: “Insorgenza del quadro clinico attorno al 1979.

Ultima conclusione sul quesito se l’insorgenza della malattia mentale, nel momento in cui veniva clinicamente visitata nel 2004-2005, fosse compatibile con una percezione originaria del reale non viziata e se vi fossero spazi della ciulli nel momento in cui costei non accusava il marito, ma lanciava accuse in varie direzioni – nella eventuale infermità mentale per esami e percezioni autentici, anche se parziali o a tratti”. Il prof. Traverso concludeva, circa la prima domanda, in relazione al Quesito secondario: “Si può rispondere affermativamente, in senso in via generale, ma per il Caso specifico Ciulli ritengo” – pag. 130 – “e il mio giudizio è Suffragato da dati oggettivi contenuti nell’amplissima documentazione medica esaminata, che il racconto che la paziente Ciulli fa dei fatti del ’68, tanto per fare un esempio, scaturisca e si sviluppi con buona probabilità da un’interpretazione distorta francamente patologica della realtà. Circa la seconda domanda si ritiene” – pag.131 -” di poter affermare che nella genesi e nella successiva elaborazione delle vicende narrate a terze persone, ovvero descritte nel memoriale, fossero già presenti elementi fortemente patologici legati allo sviluppo del disturbo delirante cronico dal quale anche attualmente ella risulta affetta, atti ad inficiare la sua realistica percezione ed un corretto esame di realtà degli anni ’88-’89-’90-’91 e seguito”.

Occorre ora esaminare le considerazioni che, nel contraddittorio delle parti, con l’intervento del Giudice delle indagini preliminari, il professor Traverso ha dato come spiegazione delle sue argomentazioni contenute nella relazione scritta. nel corso dell’esame del perito il Gip chiedeva di esplicare quali fossero i criteri che aveva adottato per arrivare alle sue conclusioni. A pagina 17 della trascrizione dell’incidente probatorio, dell’esame del perito, il prof. Traverso affermava: “Nel valutare le risultanze dei colloqui ho tenuto conto evidentemente e ho trasfuso nella mia relazione perché venisse dimostrato tutti gli atti… ho tenuto conto di tutti gli atti che mi sono stati consegnati e soprattutto dell’amplissima documentazione Medica, dato che una parte dei quesiti riguardava anche lo stato psichico anteriore della Signora e questa documentazione ritengo sia stata molto importante anche per fare una ricostruzione storica della malattia cronica, lungamente cronica, sofferta dalla signora”. Si proseguiva, a pag. 18: “La Ciulli è affetta da lunga data, il primo in turbe di tipo ossessivo e poi con emergenza di spunti deliranti persecutori che fecero pensare ad una psicosi schizo-affettiva”. Pag. 19: “Questa è una diagnosi che si rileva in alcune certificazioni, da quelle persone, da quei sanitari che videro quella signora diciamo in prima battuta”.. “adesso non c’è quella coerenza – pag. 21 – pur all’interno del delirio, che probabilmente era propria della situazione di alcuni anni fa. Abbiamo riscontrato questo disturbo delirante cronico, che io qui dico è insorto all’incirca una ventina di anni fa sulla base di una personalità premorbosa caratterizzata da tratti paranoidei, che sono sospettosità, diffidenza, rigidità, eccetera, e qui la documentazione medica ci è stata di grande aiuto” – pag. 23 – “e di capire che già allora, già moltissimi anni fa, le esperienze familiari erano state profondamente disturbate”, Pag. 26: “Oltre la documentazione nella genesi viene dato peso sia a fattori di tipo genetico-costituzionale, più latamente biologico e poi a fattori psicologici. Oltre la documentazione medica abbiamo tenuto conto anche di tutte le perizie e consulenze e quindi anche di tutta la documentazione psichiatrico-forense e medico-legale”, pag. 27. A domanda del Gip, il perito rispondeva a pag. 29: “Il problema della genesi: questo è abbastanza secondo me ben visibile nella documentazione medica che ho citato, in particolare diario clinico ottobre ‘92”. Pag. 30: “La paziente racconta di aver visto a casa una pistola e di aver pensato e di aver pensato che il marito fosse il custode dell’arma del “Mostro”. Il problema dell’aggancio fra la realtà e la patologia qui secondo me va considerato in modo molto particolare, nel senso che è una persona che a un certo punto della sua vita e sulla base di interpretazioni deliranti, anche se collegate a qualche elemento di realtà, non dimentichiamo che il paranoico sviluppa il proprio delirio anche a partire da elementi che possono avere anche un certo aggancio nella realtà, però poi interpreta questo fatto, che può essere un fatto del tutto banale, che non c’entra niente in realtà, e lo ingrandisce e lo sviluppa”. “Per esempio, ad un certo punto, sulla base del fatto della conoscenza di questa arma” – ancora pag. 30 – “comincia a maturare il dubbio che questa arma sia collegata a che il marito sia depositario dell’arma del “Mostro” e allora va, nella sua patologia, a tentare di ricostruire nelle esperienze passate, anche di molti anni precedenti, quello che potrebbe essere successo, quindi “- pag. 31 -” si costruisce retrospettivamente tutta la vicenda, ma io ritengo che, da questo punto di vista, se anche nello psicotico ci possono essere, ovviamente, degli aspetti del reale che vengono mantenuti, in questo specifico sviluppo patologico è un qualche cosa che ingloba nel delirio la ricostruzione, cioè non esiste un elemento di realtà. Che so, si parla del delitto del ’68 nel memoriale, che erano in macchina e che è successo tutta una serie di cose che sono successe, ma secondo me in realtà questa è tutta una sua ricostruzione”. Ancora: “In realtà questa è tutta una sua ricostruzione. lo ho pensato molto a fondo, ho valutato attentamente, dal punto di vista psichiatrico, gli elementi che avevamo posti dagli atti, che venivano posti dagli atti. Quella documentazione medica” – pag. 32 -“che è data di allora, attraverso qualche elemento di realtà che può di fatto essere presente nella sua storia, riguarda una sua ricostruzione; quando a lei si chiede di cosa andava a dire alla signora Sali Morella, dice “ricostruivo il 68″, cioè le viene il dubbio, ed il dubbio è alla base del delirio, l’idea ossessiva, la patologia psichiatrica comincia con il dubbio. Gli elementi che abbiamo avuto a disposizione non si riesce a pensare, a ricostruire, al fatto che sia davvero esistita quella sera, quei comportamenti, la pillola presa, la cartomante che ti dà la pillola sono tutti elementi che vengono anche nel delirio, il fatto che ad un certo momento pensava che nei bar” – pag. 33 – “somministrassero delle pillole che mettevano nel caffè e la signora, sulla base di alcuni elementi di un momento, ricostruisce una serie di situazioni che poi, evidentemente, è anche nel certificato, una serie di situazioni che leggeva sul giornale, perché era, come dire, alla ricerca di notizie; si è fatta accompagnare più volte dal marito della Sali sul luogo del presunto omicidio duplice del ’68, dico, è tutta una ricostruzione patologica, perché oggi, da matta, fra virgolette, da psicotica, cerca di ricostruire un qualche cosa, cioè non è che lo ricostruisce da sano, va alla ricerca di un’esperienza evidentemente avuta, ma nel suo sviluppo delirante; è tale il suo sviluppo delirante, che non riguarda la attualità. Lei va a ricostruire nel passato”- pag. 35 -“qualcosa che ha attinenza con quello che lei pensa in termini deliranti, quindi se lei pensa che il marito sia depositario dell’arma del “Mostro”, e quindi pensa che il marito sia il “Mostro di Firenze”, va alla ricerca della prova. Il delitto di Signa le fa ricostruire una ipotetica sera, voglio dire, non è che i posti e i luoghi non esistono, è chiaro che esiste una casa, che esiste un ponticello. Il documento memoriale è un documento molto confuso, io ho ascoltato la cassetta, anche se mancano alcune parti e non so perché. Lo stesso documento, a ben vedere, a ben esaminare, contiene delle situazioni di confusione e di dimostrazione di una patologia psichiatrica in evoluzione, ma già fortissimamente connotata, sostanzialmente una paranoia” – pag. 36. A quel punto il consulente del Pubblico Ministero introduceva un ulteriore argomento: il perito, per affermare che la Ciulli all’epoca era farneticane, delirante, ed inattendibile, aveva esaminato la Ciulli e quindi aveva tratto la conclusione secondo cui la Ciulli, essendo in quel momento delirante e farneticante, doveva esserlo anche all’epoca delle prime sue propalazioni, parlando del cosiddetto “effetto alone” – pag. 37. Il prof. Traverso rispondeva: “Circa l’effetto alone, cioè quello che vedo oggi dice va bene anche per allora, no, la amplissima documentazione medica che fa tutta la storia, permette di escluderlo. Esiste una elevata probabilità, la certezza è solo del delirante, che l’interpretazione clinica che stiamo dando, che è poi quella che da vent’anni danno i medici, gli psichiatri che l’avevano vista, sia di quel tipo, cioè sviluppo delirante, che è parte della interpretativa” – e a pag. 38 -“che non è ancora delirio; il “viraggio” si situa attorno all’88, in senso patologicamente grave e anche di spunto interpretativo, non solo di ossessione”. “Quindi situazione pre-psicotica in cui c’è ancora un certo controllo della realtà, ma quando questa situazione si perpetua per due-tre volte, allora questo dubbio diventa sempre più una situazione di irreale, si va a cercare la prova, cioè altri elementi che corroborino il dubbio;” – pag. 39 – “è questo lo sviluppo, che non è dall’oggi al domani, ma prende un certo tempo per diventare delirio”. “Prende un certo tempo per diventare delirio. In questa fase l’interpretatività è già patologica, ha tutte le caratteristiche della verosimiglianza”…”In questo caso, fortunatamente, abbiamo tutta una storia, i diari che ho citato… che ho citato sono estremamente importanti per la ricostruzione storica della malattia. Devo dire che da questo punto di vista esprimo piuttosto chiaramente il fatto che ho ben pochi dubbi. Poi, ovviamente, se vengono riscontrate prove oggettive”…”Ma proprio perché dall’85 ci sono diari clinici di sedute psico-terapeutiche” – pag. 44 -” di colloqui, dettagliatamente, quello che la signora riferiva, ci sono anche situazioni’ e quindi a pag. 46: “Del ’68, sembrerebbe che lei non conoscesse nemmeno il marito” invece si apprendeva che la Ciulli si era sposata nel ’69 e non nel ’70, e quindi nell’anno 1968 costei poteva aver effettivamente conosciuto il marito nel ’68.
Il prof. Traverso ha riferito che i dati obiettivi per ricostruire la storia della Ciulli erano i segmenti: annotazione colonnello Rotellini dell’88, perquisizione; interrogatorio della Ciulli da parte del dottor Canessa del 1991 circa il delitto del ’68; coinvolgimento del dott. Vigna, sempre dell’anno 1991, anno del memoriale. “Quando ho risposto al Giudice ” – prof. Traverso pag. 50 – “dicendo che il pericolo dell’effetto alone era il nucleo centrale da dirimere è stato, nella mia interpretazione, non solo tenuto conto ma in qualche modo esaminato e concluso rispetto alla documentazione fornitami”.

Occorre ora esaminare la relazione del C.T. del P.M. dott. Galliani, del 9 settembre 2005. Anche in tal caso veniva effettuato l’excursus di tutta la documentazione clinica, facendosi riferimento alle conclusioni dei vari consulenti tecnici e periti intervenuti e quindi la consulenza della difesa dell’imputato redatta dal prof. Francia, la consulenza del dott. Carbone, la perizia del prof. Manetti; parlando poi dell’esame diretto che egli aveva

49 per esempio, che si è coniugata nel ’69

effettuato insieme al perito prof. Traverso concludeva, a pagina 49 della consulenza: “Per quanto attiene a contenuti specifici in inerenti al “Mostro di Firenze “, questi non sembrano facciano attualmente parte del repertorio delle delirante dell’esaminata” … “Altri numerosi e frequenti riferimenti hanno come punto di partenza la figura del procuratore Vigna, che la Ciulli cita spesso nell’ambito dei suoi contenuti deliranti, mettendolo al centro delle vicende omicidiarie”. Alla pag. 50 il Prof Galliani, parlando dell’omicidio di tale Paola Favoni, sosteneva: E’ uno dei tanti delitti del “mostro di Firenze” commessi da Vigna, nel quale Vigna disse a Francesco: “scansati” … Pag. 51: “Per quanto riguarda il memoriale, la Ciulli mostra di conservare il ricordo di alcuni contenuti ivi espressi. A proposito dell’episodio del ’68,invitata la paziente dal C.T. a narrare, la Ciulli riferiva: “Si doveva andare al cinema, era pieno, c’era anche Paolo Caressa; eravamo amici, io e Paolo”. Poi si passava alla storia clinica della Ciulli e il professor Galliani riportava le risultanze del diario clinico del presidio di San Felice a Ema, nel maggio dell’87, del giugno ’88, del maggio del ’90. Poi a pag. 59, sempre riferimento al presidio di San Felice a Ema, diceva: “Sulla natura delirante di queste ideazioni si possono nutrire in realtà dubbi”. E poi aggiungeva: “Occorre in ogni caso sottolineare che in questo periodo non erano presenti i sintomi di alienazione che si sono presentati successivamente in maniera tanto inequivocabile da divenire evidenti anche a persone non professionalmente qualificate, mentre le testimonianze di amici e conoscenti, relativamente a questo periodo” – con riferimento alla Sali, al Caramelli e a Quant’altri -“parlano di una donna preoccupata, angosciata, depressa però lucida, spiritosa, allegra, quindi si può affermare che la patologia non è iniziata prima del 1992 – pag. 61 della relazione Galliani – “perché il primo contatto col servizio psichiatrico territoriale è avvenuto infatti nel maggio del ’92 e il primo ricovero in T.S.O. nell’ottobre nel ’92”. Quindi secondo l’assunto di tale consulenza il racconto della Ciulli, contrariamente a quanto sostenuto nella perizia del Traverso, doveva considerarsi assolutamente attendibile in quanto il Prof. Galliani sostiene la tesi che costei fosse divenuta delirante solo a partire dal 1992. Nell’ottobre del ’92 si era reso evidente un delirio che datava almeno un mese e che non precedeva significativamente alla somministrazione dei neurolettici “. E poi passava al capitolo de “Il delirio e le sue ideazioni sul “Mostro”, e riferiva che nell’ottobre del ’92 risultava che la figlia Francesca avesse accompagnato la madre in ospedale, perché era in una fase di “delirio elevato”, che non consentiva neppure l’anamnesi personale della Ciulli. Galliani a pag. 64: “Le anamnesi, attraverso la figlia Francesca. E’ comprensibile che Francesca Calamandrei e parenti abbiano coltivato e continuino tuttora a coltivare il pensiero-sentimento e la fervida speranza che i sospetti della Ciulli fossero solo farneticazioni, idee balzane, come dire, come se nell’ottobre del ’92 la figlia Francesca avesse pensato che disgraziatamente, ma certamente anticipatoria nel gennaio del 2004, suo padre fosse entrato in questa vicenda kafkiana e quindi si precostituisse e precostituisse per il padre un’anamnesi che potesse portare poi a dire “guardate, io temo che fosse vero, ma però io vi dico “non ci credete””. Poi Specificava a pag. 66: “Si può agevolmente ricavare, dalla documentazione esaminata, che gli psichiatri in effetti hanno mutuato dai resoconti anamnestici di Francesca Calamandrei l’ipotesi che rientrasse nella voce “delirio” tutto ciò che si riferiva ai sospetti della Giuli nei confronti del marito”. Quindi proseguiva il prof. Galliani: “Occorre invece esaminare se all’epoca delle testimonianze rese e della stesura del memoriale le condizioni di mente della Ciulli fossero tali da far dedurre che i contenuti relativi alle tematiche oggetto di testimonianze fossero di matrice delirante o comunque patologica, ovvero vi fossero spazi di lucidità da rendere la Ciulli capace di testimoniare”. Si soffermava sull’analisi del memoriale, dicendo che la struttura del memoriale appariva “razionale, linguaggio fluido, espressivo, spontaneo, la narrazione” – pag. 70 – “ha un carattere di tipo associativo proprio di un racconto che avviene per la giustapposizione di frammenti, di ricordi successivi, come vanno riemergendo nella memoria, allorché si stia tentando di riordinare ricordi di vicende lontane nel tempo”. “In questo tipo di ricordi prevalgono nessi associativi, più che nessi logici, quindi basati su ricordi influenzati da stati d’animo, come ritornare in luoghi frequentati all’epoca dei fatti”… “Si tratta di rievocazioni mnestiche, oppure associazioni ad altre rievocazioni mnestiche, in un processo di integrazione delle rievocazioni stesse che consente anche una riattribuzione di significato”. “Il procedere per associazioni, per attribuzione di significato, toglie alle rievocazioni” – pag. 74 – “complesse, di fatti remoti, la linearità e la compattezza che si ha nella narrazione di un evento recente, quindi erra il professor Francia quando afferma che i concetti espressi sono slegati, sfilacciati, incoerenti” – Pag. 76 – “Non emergono illogicità, le apparenti contraddizioni vengono sottolineate dalla stessa Ciulli, con commenti o punti interrogativi e fanno parte del processo associativo di rievocazione mnestica. Non sono presenti frasi illogiche o incoerenti, particolari che contrastino con l’esame della realtà. Il memoriale contiene frammenti di ricordo implicitamente veri”. A pag. 77, circa l’episodio del ’68 riferiva: “In qualche punto l’integrazione è stata fallace, però la Ciulli non ha mai parlato di altri delitti se non di quelli del ’68 e dell’85”. Tale asserzione risulta non corrispondente a verità in quanto la Ciulli, oltre ai citati delitti, ha parlato anche di quello che doveva essere l’ultimo duplice omicidio nel dicembre del ’91, che, come riportato supra, sarebbe dovuto avvenire alla Madonna del Sasso, come riferito con dovizia di particolari dal parroco don Belladelli. Poi a pag. 78 “L’incontro con Rontini 50, ma non del delitto Rontini e Stefanacci dell’84, che mai ha collegato al marito”. “La Ciulli ha sempre” – pag. 79 – “la consapevolezza di essere all’interno di un procedimento di rievocazione mnestica e in molti punti della difficoltà di tale operazione”. “Le contestazioni a questo proposito” -pag. 80 -“del professor Francia”… che parla già di idee e di intuizioni deliranti, che si ricavano dagli elencati singoli elementi, la mammana, il bambino in bicicletta, l’uomo con la mantella, l’auto che prima è vuota e poi con persone che scendono, la pistola del Calamandrei che preleva, il numero delle pistole che poi diventano due… non c’entrano nulla.” Poi a pag. 82: “Circa l’auto che per la Ciulli sarebbe stata presente il giorno dopo, ma risultava già prelevata, non è un’idea delirante, è un errore mnesico, verosimilmente di tipo associativo”. “Il resoconto” – pag. 85 -“dei primi sospetti e delle loro conseguenze non ha assolutamente le connotazioni di un’intuizione delirante, ossia una convinzione che insorge con i caratteri della subitaneità con i caratteri della subitaneità della illuminazione improvvisa, della assoluta certezza soggettiva. Si tratta invece” – pag. 86 – “di un sospetto che si è insinuato lentamente nella mente della Ciulli per i graffi, l’ambiguità, gli atteggiamenti strani del marito”… “Ma i particolari che lei cita, ma vogliamo scherzare che non siano particolari, che sono caratteristici di un racconto vero? La maschera di Carnevale” – a pag. 87, avendo ella riferito che, dopo il duplice omicidio degli Scopeti, il marito aveva portato in casa una maschera di Carnevale, volendo far intendere un suo pieno coinvolgimento nell’azione omicidaria, “La borsa insanguinata, i guanti da chirurgo, il fagotto in freezer, con le mammelle e l’organo genitale femminile sono reali pezzi di un mosaico”. Poi il prof. Galliani passava al capitolo dello stato di mente della Ciulli all’epoca dei fatti narrati e all’epoca di insorgenza delle prime ideazioni sul coinvolgimento del marito nella vicenda del “Mostro”, e – a pag. 92 – contestava l’espressione usata dagli psicologi del M.O.M., riferita alla Ciulli, secondo cui: “L’instaurarsi di meccanismi di negazione della realtà delle cose significhi una sua incapacità di attribuzione alla realtà di un significato razionale”. “Ma cosa dicono? Gli psicologi del M.O.M. non sono competenti per trattare la patologia psichiatrica degli adulti”. A pag. 93, anche circa lo stato depressivo e gli attacchi di panico rilevati dagli psicologi del M.O.M. il

50 Del quale ha riferito lo stesso imputato nelle ss.ii.tt. rese alla Questura di Firenze in data 7,7.1998, prodotte dal difensore all’udienza del 28.3.2008

Galliani dichiarava che erano rilievi “incongrui”, che però potevano coesistere con l’inizio del disturbo.

Il Galliani, a pag. 101, riportava la parte delle certificazioni del Presidio di San Felice a Ema dall’85 all’89, laddove le psicologhe riferivano: “Nel tempo cominciarono a comparire modalità di pensiero rimuginativo che verso l’88-‘89 assunse caratteristiche di pensiero ossessivo”. E poi : “Nel ’91 il pensiero della Ciulli virò in maniera fortemente patologica, con la comparsa di deliri persecutori”. Secondo Galliani invece: “Anche in queste ricostruzioni a posteriori, tuttavia, le comunicazioni inerenti al “Mostro” non trovano collocazione all’interno della ritenuta patologia delirante. Occorre quindi dedurre che nel periodo in cui la Ciulli fu seguita dalla psicologa del M.0.M. non fosse ancora iniziata la storia clinica nel senso psichiatrico della Ciulli”…”ciò è perfettamente in linea con la documentazione clinica successiva, secondo la quale la sintomatologia è iniziata nel 1992″. Poi passava all’analisi in parallelo delle ideazioni sul “Mostro” e della storia clinica. Si parlava, a pag. 105 della “Sintomatologia ansiosa depressiva, dovuta ai sospetti nei confronti del marito. Quest’ultimo fattore sembra l’unico in grado di spiegare l’insorgenza della sintomatologia, con sintomi fobici specifici quale il timore di salire in auto”. A pag. 108 diceva: “La Ciulli sta cercando di focalizzare i ricordi inerenti a fatti 1968; a livello colloquiale appare assolutamente credibile nelle cose che dice”. Pag. 109. Con riferimento al periodo marzo-aprile ’91 il Galliani diceva: “Nell’aprile viene sentita la Ciulli sia dal dottor Canessa, sia dinanzi al maresciallo Di Leo; posta di fronte a contraddizioni inerenti il giorno dopo, rispetto al delitto del ‘68, ne conviene, senza insistere nella propria versione”, e questo, secondo il consulente, rappresenterebbe il sintomo non di un delirio, ma di un “sospetto” sul quale lei rimuginava, quindi “ricordo mnesico”, dimostrazione di comportamento non delirante, a pag. 109: “Questo atteggiamento ci pone una volta di più di fronte alla capacità della Ciulli di esaminare la realtà con adeguatezza”.

Tuttavia dall’annotazione di P.G. del 26 aprile ’91 emergeva: “Nella mattinata odierna Ciulli Mariella telefonava a questo ufficio per fare ulteriori dichiarazioni da lei ritenute utili alle indagini svolte sul cosiddetto “Mostro di Firenze”: pertanto la Ciulli veniva accompagnata in Questura e le sue dichiarazioni, da lei scritte su fogli di carta, venivano formalmente ratificate. La Ciulli ipotizzava poi che, allorquando il Calamandrei frugò nell’abitacolo della vettura bianca in località Castelletti di Signa, poteva essersi impossessato di una pistola. A tale proposito dichiarava che il Calamandrei girava diverse armerie “per acquistare un imprecisato tipo di proiettili”…

A pag. 113 della C.T. si evidenzia: “Quindi i primi contenuti, qualificabili come  deliranti, compaiono alla fine del ’92. Le ricostruzioni amnestiche che retrodatano il delirio prima del ’92 appaiono arbitrarie, condizionate da un effetto alone, costituito dal raffronto fra il resoconto fornito dalla figlia, che riteneva di poter collocare all’interno del delirio anche i primi sospetti della madre, e dalla presenza di delirio nell’osservazione attuale. Il precipitare della sintomatologia delirante vera e propria ha fatto seguito ad una serie di stress esistenziali e al senso di solitudine ed isolamento esperito dalla Ciulli a seguito dell’inanità delle proprie rivelazioni”. “Conclusioni circa l’epoca di insorgenza della malattia: dall’analisi della documentazione si ricava che la patologia non è iniziata prima del 1992. Poi a pag. 116: “Possibili cause della insorgenza della malattia. Come per tutte le patologie deliranti non sono note le cause di insorgenza, però non va sottovalutata in particolare la portata patogena del prolungato stato di angoscia derivante dalla presenza di sospetti nei confronti del marito e dalle concrete esperienze che hanno indotto tali sospetti nonché dal senso di solitudine ed isolamento esperito dalla Ciulli a seguito dell’inanità delle proprie rivelazioni. Questi ultimi fattori, ovviamente, sembrano quelli che si ricollegano maggiormente alle produzioni deliranti, sia all’epoca dell’insorgenza che al momento attuale. Prima dell’insorgenza della malattia la percezione del reale non era viziata” – pag. 117 -“in particolare non erano presenti elementi tali da inficiare la percezione della realtà vissuta, né nel ’68 né nell’85″…”Tra il 1985, epoca di insorgenza dei primi sospetti, sulla base di esperienze coeve ed il 1992, epoca di insorgenza della patologia, periodo in cui sono stati elaborati ricordi relativi alle vicende narrate nel memoriale Ciulli, capace di una realistica percezione e di un corretto esame della realtà”. Pag. 118: “In detto periodo, 1985-1992, la Ciulli ha messo in essere un processo di integrazione mnestica, attraverso un normale processo di tipo associativo che consentiva l’ancoraggio dei ricordi, o frammenti di ricordo, ad altri fatti, e quindi di collocare cronologicamente i ricordi stessi. In questo periodo, in cui la Ciulli ha parlato confidenzialmente con più persone e di cui sono agli atti le testimonianze, non sussistevano sintomi psicopatologici atti ad inficiare l’esame di realtà, né sul punto della percezione del reale né sul punto della corretta percezione del ricordo 51. …”L’esame di queste deposizioni denota una piena padronanza delle capacità mnemoniche, intellettive e di critica”. “Analisi del memoriale. Riscontri positivi agli atti su molti dei particolari segnalati dalla Ciulli, anche quelli apparentemente bizzarri; assenza di patologia nel corso… o dei contenuti del pensiero; assenza di patologia del linguaggio; assenza di incoerenza; efficacia comunicativa”. E quindi concludeva: “Ponendo come premessa che non è compito né facoltà di un perito consulente valutare la veridicità o meno e la sincerità o l’insincerità, la corrispondenza o meno al reale vissuto delle rievocazioni mnestiche, elementi di valutazione della prova che vengono riservati al Giudice e al suo convincimento maturato attraverso i riscontri processuali e agli altri elementi di prova, si può quindi ritenere, com’è dimostrato, “ – pagg. 119 e 120 -“sul piano tecnico, tecnico-valutativo, psichiatrico forense, che all’epoca delle deposizioni e della stesura del memoriale non sussistevano nella Ciulli alterazioni psichiche tali da inficiare un corretto apprezzamento della realtà, una corretta rievocazione mnestica entro i limiti consentiti dai normali meccanismi rievocativi, un corretto apprezzamento dei contenuti mnestici rievocati, una corretta comunicazione degli stessi”.

Occorre a tal punto esaminare le dichiarazioni delle persone, in ordine temporale, che hanno riferito circa le accuse della Ciulli, sulle quali si sono soffermati sia i rappresentanti della Pubblica Accusa che il consulente prof. Galliani.

Sommarie informazioni testimoniali di Ciulli Pietro, fratello della Mariella Ciulli, del 23.7.2003: “Da quindici anni circa mia sorella soffre di problemi psichici.  So che i problemi sono sorti dopo il secondo figlio, cioè dopo il ’74”.

Sommarie informazioni testimoniali di Guerrieri Patrizia, moglie di Pietro Ciulli e, quindi, cognata della Ciulli, del 19.9.2003. La Guerrieri ricordava di avere accompagnato la cognata da Don Belladelli nel 1991 alla Sambuca, aggiungendo testualmente: “Conosco bene Don Attilio e ricordo benissimo l’episodio del ’91, anche se è passato molto tempo. Spiegherò perché lo conoscevo, ma perché mi arrivò a casa sia il parroco, sia il maresciallo dei Carabinieri. Era poco prima di Natale e a casa mia venne mia cognata Ciulli Mariella, dicendomi che avrebbe voluto confessarsi perché aveva avuto una illuminazione. Fu così che la accompagnai da Don Attilio…”.

51 Deve evidenziarsi come in tale ambito risulti incluso il memoriale della Ciulli, redatto nell’anno 1991!!!

Sommarie dichiarazioni testimoniali di Dongarrà Raffaele, amico di famiglia, dell’11.8,2004: “Ricordo che negli anni Ottanta venni a sapere che Mariella non stava bene, però sapevo, intuivo che nella donna c’era qualcosa che la disturbava. Successivamente ho saputo che era stata ricoverata per una malattia di nervi, che era stata tenuta abbastanza ben nascosta dai familiari”.

Sommarie informazioni testimoniali di Giani Alessandra dell’11.8.2004: “Ho lavorato presso l’Ospedale Villa Ognissanti fino al 1978. Non ricordo in quale periodo, ricordo però una volta la Ciulli venne ricoverata”.

Sommarie informazioni testimoniali di Mancini Pietro, del 20.8.2004: “Conosco la Ciulli dagli anni Settanta. Ho saputo da circa una decina d’anni che la Ciulli aveva accusato il Calamandrei di essere il “Mostro di Firenze”, non so in che occasione né in che termini, perché erano voci di paese e venivano addebitate alla scarsa salute mentale della Ciulli”.

Sommarie informazioni testimoniali di Midollini Graziella, del 24.8.2004: “Dopo il matrimonio con Francesco la Ciulli manifestò atteggiamenti non ortodossi, quasi schizofrenici”.

Sommarie informazioni testimoniali rese dalla sua amica Martellini Tamara, del 17.9.2003: “L’implicazione del Calamandrei nei delitti mi fu poi raccontata più in dettaglio dalla Ciulli, sicuramente quando già viveva per conto suo a Firenze. Devo dire che in un’occasione iniziai ad avere qualche perplessità ed è stato quando la Ciulli mi raccontò che era stata a cena dal dottor Vigna ed a lui gli aveva raccontato ancora più cose, fornendogli, a suo dire, prove inconfutabili, tanto che, mi disse, il dottor Vigna l’aveva messa sotto protezione e che erano stati messi tutti i telefoni sotto controllo. Questo particolare mi fece dubitare perché pensai che se effettivamente avesse fornito prove inconfutabili, ii dottor Vigna avrebbe dovuto arrestare Francesco Calamandrei più che mettere sotto protezione la Ciulli. Mi risulta che la Ciulli era effettivamente amica con la moglie del dottor Vigna”.

Sommarie informazioni testimoniali rese da Ceccatelli Giovanni, già marito della Martellini, dell’8.10.2003: “Non ricordo in che occasione mia moglie mi aveva riferito di aver saputo dalla moglie del Calamandrei di essere a conoscenza che il marito era il “Mostro di Firenze” e che della cosa ne avrebbe parlato con la moglie del dottor Vigna, del quale era amica. lo non detti molto peso alla cosa, in quanto sapevo che la Ciulli aveva un carattere molto particolare”….”Non ricordo se tali notizie mi sono state riferite anche dalla Ciulli stessa, in occasione di qualche incontro. lo comunque non ho mai dato peso più di tanto, in quanto tali fatti mi erano stati riferiti in un contesto generale ed io supponevo legati alla separazione in atto fra lei e Francesco”.

Sommarie informazioni di Giorgetti Anna, del 18.2.2004: ” Una mia conoscente, che credo si chiamasse Brunella, di Quarrata, la quale mi raccontò, all’epoca in cui accadevano ancora i delitti del “Mostro”, che aveva conosciuto la moglie del farmacista Calamandrei e che questa donna, che lei definiva “matta”, le aveva detto che il marito era coinvolto con i delitti e che credo l’avesse conosciuta in un soggiorno in ospedale, forse psichiatrico. Credo che quanto riferitomi dalla Brunella sia stato nella seconda metà degli anni Ottanta e le indagini sul “Mostro di Firenze” erano condotte in prima persona dal dottor Vigna e Canessa. Ricordo che Brunella mi diceva che in frigorifero teneva pezzi di carne rivoltati, che gli sembravano pezzi di organi, erano incartati “.

Sommarie informazioni ancora di Ciulli Pietro, del 6.4.1985: “Mia sorella si è trasferita in via dei Bardi, a Firenze, dopo la separazione” (risalente al novembre ’86) “credo che all’epoca mia sorella avesse già qualche problema di testa”.

Sommarie informazioni testimoniali di Zerini Fernando, zio del Calamandrei, medico di San Casciano del 31.8.2004: “Dopo il matrimonio del 1969 cominciarono i primi sintomi della malattia”.

Nell’annotazione della Questura di Pistoia, – pag. 3800 dell’incartamento processuale, allegato 27- vi sono le spontanee dichiarazioni rese da Caramelli Mario il 2 febbraio 2005: “La signora Mariella, moglie del farmacista, come cliente di mia moglie, ci confidava lo strano comportamento tenuto dal marito; in particolare un giorno, fra l’85 e il ’90 mi chiedeva di essere accompagnata a Castelletti di Signa dove a suo dire si trovavano, nei frigoriferi, in una villa resti di ragazze trucidate dal “Mostro di Firenze”. Poi raccontava che il Calamandrei rientrava a casa graffiato e ferito… A dire di Mariella il Vigna era al corrente di tutto”.

Sotto quest’ultimo profilo non può non evidenziarsi l’incredibile e sconcertante importanza attribuita dagli inquirenti a detto episodio, che contribuisce a ritenere la Ciulli, nelle dichiarazioni contenute nel memoriale del 1991, del tutto vaneggiante e oramai in preda a quel “delirio” di cui ha parlato efficacemente il prof. Traverso nel suo elaborato. Basti pensare che nella nota riepilogativa a firma del dott. Giuttari del 3.3.2006 risultano essere state effettuate lunghe ed elaborate indagini, riportate da pag. 98 a pag. 120, nelle quali si doveva accertare, anche attraverso approfonditi sopralluoghi, effettuati ad oltre 40 anni dai fatti remoti, avvenuti nel lontano 1968 e conclusisi con sentenza passata in giudicato nei confronti di Mele Stefano, oramai deceduto, se alcune incredibili e farneticanti dichiarazioni della Ciulli potessero trovare il conforto di un qualche riscontro oggettivo (naturalmente inesistente). (NdR: del tutto inesistenti non furono i riscontri… 23 Febbraio 2005 Indagini sul civico 22 a Castelletti di Signa)  Ancora più sorprendente risulta poi alla successiva pag. 132 l’affermazione secondo cui…’ Calamandrei è possibile, alla luce delle nuove emergenze (sic !!) che abbia svolto un qualche ruolo nel delitto del 1968, in occasione del quale, come dichiarato dalla moglie, si è potuto impossessare dell’arma del delitto, che poi comparirà in tutti i duplici omicidi fiorentini e che porterà per tanti anni a indagare l’ambiente sardo a suo tempo rimasto coinvolto in quel lontano episodio”. Dunque le “nuove emergenze” sarebbero rappresentate dalle dichiarazioni farneticanti della Ciulli relative ad un episodio oramai già giudicato in maniera definitiva e rispetto al quale vi è la più assoluta estraneità dell’odierno imputato, il qual è mai stato in alcun modo coinvolto in tale vicenda, pervenendosi perfino all’affermazione secondo cui egli si sarebbe impossessato dell’arma del delitto, adoperata anche in tutti gli altri duplici omicidi (e, dunque il Calamandrei, secondo tale originale prospettazione, sarebbe addirittura esecutore materiale di tutti gli omicidi del “mostro”!!!). Deve evidenziarsi, del resto, che la stessa Ciulli ha riferito che le sue rivelazioni prendevano spunto dalla lettura dei giornali: infatti nell’interrogatorio reso dinanzi al pubblico ministero, il 16 aprile 1991, ella dichiarava testualmente:  “Io ho fatto il racconto di questo mio ricordo prima ai carabinieri e poi alla polizia, perché dalla lettura dei giornali, sia il bambino che quell’auto di quella notte mi sembravano essere gli stessi del primo omicidio del mostro.”

Nell’anno 1994 veniva incardinato presso la Procura della Repubblica di Firenze il proc. pen. n. 1742/94 R.G. mod.45 sulla base delle dichiarazioni rese da Sani Morella circa il “Mostro” di Firenze. La Sani aveva riferito ai suoi legali di aver avuto confidenze da una donna, che asseriva essere la moglie del maniaco assassino, e tali affermazioni erano state pubblicate in un articolo apparso su “La Nazione” il 14 luglio 1994, mentre era in corso il dibattimento per il processo di primo grado a carico di Pietro Pacciani. La donna era poi stata identificata dalla P.G., per l’appunto, nella Sani, la quale avrebbe consegnato agli inquirenti una articolata memoria riassuntiva in un verbale contenente le confidenze ricevute negli anni 1988/89 dalla sua amica Ciulli Mariella. Le dichiarazioni della Sani venivano riassunte nella nota n. 2/37 di prot. del 25.8,1994 della Sezione P.G. carabinieri presso la Procura della Repubblica di Pistoia. Da tale nota si evinceva che le notizie alla p.i.f. erano state fornite dalla Ciulli, la quale, sebbene angosciata dalla tremenda scoperta, appariva “nelle sue piene capacità intellettive” (facoltà – riferivano i carabinieri – che invece sembrava non possedere più alla data dell’inoltro della nota, risultando affetta da gravi turbe di natura psichica), che in relazione al delitto del 1968 la Ciulli aveva riferito a lei e al proprio marito, Caramelli Mario; che la notte del delitto ella si trovava insieme al marito ed aveva partecipato a una seduta presso una veggente nel corso della quale sicuramente le era stato propinato qualche medicinale o intruglio e che ricordava vagamente di essersi recata col marito (allora fidanzato luogo del delitto e di aver corso durante la notte con un bambino in braccio. Per ricordare maggiori dettagli la Ciulli si era fatta accompagnare dal Caramelli sul luogo del delitto del 1968 (si dava atto che il Caramelli al momento non era stato ancora sentito né identificato, come pure Piero Magi, giornalista de “La Nazione”, di cui la Ciulli aveva parlato spiegando che costui quella notte si trovava nella casa della donna che toglieva il malocchio e che aveva capito dovesse avere una relazione con questa); che l’omicidio di una prostituta, verificatosi nel 1984, in qualche modo era collegato al marito della Ciulli, il quale una sera sarebbe stato chiamato da una persona con cui aveva fissato di lì a poco un appuntamento in via del Moro a Firenze. Dopo qualche giorno la Ciulli aveva appreso che proprio quella sera in un’abitazione di quella via era stata uccisa a coltellate una prostituta (riferivano i carabinieri che il 13.10.1984, in effetti, risultava essere stata uccisa Meoni Luisa all’interno della sua abitazione sita in Firenze, via della Chiesa, 42 52); per il delitto della Meoni a suo tempo era stato sospettato Vinci Salvatore, ma il delitto di via del Moro in realtà era quello ai danni di Giuliana Monciatti, anche lei prostituta, uccisa nel suo appartamento il 12.2.1982 con violente coltellate e, quindi, secondo la P.G. doveva ritenersi che si trattasse dell’omicidio di cui aveva parlato la Ciulli.  L’omicidio era rimasto ad opera d’ignoti ed in un servizio del giornalista Mario Spezi, 53 veniva collegato alla vicenda del Mostro di Firenze. Lo Spezi a proposito dell’omicidio della Monciatti riferiva che in questa occasione l’assassino aveva sottratto la borsetta della vittima, ammazzata quattro mesi dopo uno dei delitti del “Mostro”, ma non per rapina,

52 Il GIDES accertava con nota del 30/03/2005 gli omicidi a danno di varie prostitute verificatisi a Firenze nell’arco temporale dal 12.2.1982 — ai danni di Monciatti Giuliana, al 12/10/1984 — ai danni di Meoni Luisa ( pag. 2626 dell’inc. gen.)
53 Pubblicato su “La Nazione” il giorno 11.12.1988 dal titolo: “Mostro – identico coltello usato su due prostitute”

non contenendo la borsetta alcunché di valore, nè gioielli o denaro che furono tutti trovati nell’appartamento. Il giornalista aggiungeva che la borsetta scomparsa rimandava direttamente ed in maniera inquietante ai delitti del “Mostro”. In quasi tutti, infatti, anche se inspiegabilmente, era stato riscontrato che l’assassino aveva preso le borsette delle sue vittime, in qualche caso ritrovate aperte a qualche a qualche centinaio di metri di distanza dal luogo dell’omicidio, più spesso mai rinvenute. Nel citato articolo poi si menzionava altro omicidio, ai danni di Clelia Cuscito, anch’essa prostituta uccisa a coltellate nella sua abitazione sita in Firenze, via Orsini il 14 dicembre 1985 tre mesi circa dopo l’ultimo delitto del “Mostro”, la quale, come la Monciatti era stata assassinata per sadismo, come rilevò l’esame effettuato dal Prof. Maurri sulle 17 ferite riscontrate sul suo cadavere. Ancora oltre il giornalista scriveva: “Ancora una considerazione accosta gli omicidi delle due prostitute a quelli del Mostro: furono tutti premeditati. Chi infatti e perché se ne andrebbe a trovare una donna con un lungo coltello in tasca se non avesse già deciso di ucciderla? E quale altro movente può aver spinto l’assassino visto che non fu quello della rapina o quello occasionale scatenato da un litigio?”.

Dalla nota della squadra mobile del 13.2.82 relativa alla prima segnalazione dell’omicidio si rilevava, tra altro, che sul luogo del delitto ed indosso al cadavere nulla sembrava , all’infuori di una borsa o di un grosso borsellino che la Monciatti era solita portare con se, normalmente contenente le chiavi degli appartamenti, dell’auto e i soldi che guadagnava, peraltro somme modeste. Nel cestino dei rifiuti del locale in uso alla vittima venivano rinvenuti 3 profilattici apparentemente usati nella serata che, come richiesto dal P.M. dr. Nannucci venivano consegnati all’istituto di medicina legale.

L’odierno imputato risultava in possesso di due pistole, di cui una regolarmente denunziata a nome suo o del padre ed altra, una Beretta calibro 22 a canna lunga. 54

La Ciulli ha riferito che le due pistole sarebbero state gettate in mare dal marito dopo il delitto del 1985, per disfarsene. Da accertamenti effettuati dalla P.G. è emerso che il Calamandrei non risultava possessore di armi, mentre 

54 (quest’ultima sarebbe stata mostrata dal farmacista a un dipendente della sua farmacia che subito dopo sarebbe stato licenziato identificato in Cocchini Gianfranco di San Casciano — loc. Decimo, mai ascoltato).

suo padre Calamandrei Gioacchino, deceduto nel 1971, aveva in vita effettivamente il possesso di una pistola automatica marca Beretta cal. 9 matricola 649933 che, dopo la morte, non risultava consegnata ai competenti CC ovvero presa in carico da altre persone, per cui risultava arma da ricercarsi. La Ciulli sosteneva ancora nel memoriale che la notte del delitto nel 1985 il marito era tornato a casa “graffiato in volto” ed in altre parti del corpo. La P.G. con nota del 21.9.1988 riferiva che i sospetti della Ciulli erano venuti meno per tale fatto in quanto essendosi il fatto verificatosi tra la notte della domenica e quella del lunedì, il Calamandrei sarebbe stato sempre in sua compagnia. Peraltro nei giorni successivi ella aveva avuto modo di rinvenire nell’abitazione alcuni oggetti che avevano richiamato la sua attenzione: una maschera da carnevale in lattice o gomma dei figli, lacerata in più punti, una borsa di plastica macchiata di sangue con guanti da chirurgo, una mammella femminile e l’organo genitale femminile contenuti nel freezer all’interno di un fagotto, che il marito le aveva detto che conteneva cibo per cani. Dopo tale rinvenimento, la Ciulli collegando i (il coniuge non riusciva ad avere rapporti sessuali normali a seguito di  un trauma subito da bambino, aveva acquistato bisturi e stivali da barca, cambiava continuamente autovetture, la sera dell’uccisione dei due ragazzi tedeschi le aveva detto che usciva per un riunione di farmacisti) si era convinta che il marito fosse il “Mostro” tanto che, poco dopo l’omicidio, gli aveva esternato i suoi sospetti, venendo aggredita e chiusa in un ripostiglio. Dopo di ciò la Ciulli, consigliata da una non meglio indicata persona ave gettato via tutto ciò che aveva trovato e che poteva accusare il marito. Costei indicava una serie di persone che avrebbero potuto fornire riscontro alle sue dichiarazioni.

Nel verbale Sali Morella dichiarava anche di aver saputo dalla Ciulli che il marito aveva sempre frequentato un brutto giro, composto da persone poco raccomandabili, tra cui un ricettatore d’oro di Pistoia, alcune delle quali non di origine toscana dalla Ciulli definite “meridionali, brutti, come certi ceffi”. Precisava, altresì, di aver saputo che il marito della Ciulli non era in grado di avere rapporti sessuali normali per cui, nei rari rapporti avuti per la procreazione, riusciva a prenderla solo da dietro. Una volta la Ciulli l’aveva sorpreso nudo davanti allo specchio con la bava alla bocca ed invasato che stava dicendo che “odiava le donne e sfidava la legge”. A proposito dell’acquisto dei bisturi precisava che la Ciulli le aveva raccontato che in una 0ccasione questa aveva accompagnato il marito a Borgo San Lorenzo.
Precisava anche che la Ciulli le aveva lasciato un appunto in cui era segnato il nome e l’indirizzo di una donna che a suo dire era molto intima del marito e con cui aveva avuto una feroce litigata 55.

Questa in sintesi la “vicenda di Ciulli Mariella”, la quale venne senz’altro presa in considerazione, soprattutto all’inizio delle sue dichiarazioni, avendo la P.G. effettuato anche perquisizioni presso la sua abitazione alla ricerca dei feticci nel freezer e non ritenendo, giustamente, di effettuare ulteriori investigazioni allorché la predetta iniziò a coinvolgere nei suoi racconti anche persone del livello del Procuratore Vigna, del dott. Canessa, del direttore della Nazione Piero Magi o del filosofo Eugenio Garin.

Riscontri al racconto della Ciulli sono arrivati a ritenersi 56 addirittura il fatto che di un uomo con una mantella avesse parlato Nesi Lorenzo a proposito dell’uomo da lui notato presso la prostituta a nome Manfredi, allorché aveva aperto la porta della camera da letto di costei per veder se fosse ancora lì Vanni Mario !!!! 57; il fatto che, in relazione al delitto d i Scopeti, Frosecchi Alberto, amico di Silvia Del Secco, aveva dichiarato che nella zona aveva notato un uomo con una mantella nera sulle spalle verso le ore due della notte e vicino al luogo del delitto verso giugno 85 (anche in tal caso non si vede quale rapporto ci fosse con il mantello cui aveva parlato la Ciulli nel suo memoriale). Aveva spiegato anche un uomo con la mantella nera l’aveva visto anche anni prima (all’incirca nel 77 o nel 78) mentre era appartato con un’amica.

Altri riscontri, ritenuti significativi dalla PG, sarebbero i seguenti: l’esistenza di un ponticino, chiamato “Ponte alle Palle”, vicino al luogo del delitto del 1968, risalente ad epoca romana del quale aveva parlato la Ciulli nel suo memoriale; l’esistenza, sempre vicino al luogo di quel delitto, di un’abitazione, con le caratteristiche descritte dalla Ciulli, ove costei aveva dichiarato che all’epoca abitava un donna di cui si diceva che togliesse il malocchio; la sussistenza di un ottimo rapporto di amicizia tra il Calamandrei e il giornalista Spezi Mario; l’esistenza, in Marina di Vasto, di un hotel denominato “Perozzi”, circostanze delle quali, pure, aveva parlato la Ciulli in data 24 aprile 1991, dinnanzi alla Sam allorché aveva riferito che durante il viaggio di nozze

55 (Nell’appunto vi era scritto “Via S. Nicolò 105, 1 piano Volvo Rossa 480 Rosellina Riccone”)
56 (v. rapporto della P.G. del 2.3.2003)
57 (deve osservarsi il piccolo particolare che del mantello la Ciulli aveva parlato relativamente al delitto avvenuto nel lontano 1968…)

effettuato nella prima quindicina del 1969, durante un litigio col marito presso l’hotel Perozzi di Marina di Vasto, questi l’aveva minacciata con una pistola che custodiva nel cruscotto dell’auto. Lei si sarebbe impressionata e, impossessatasi dell’arma, l’avrebbe affidata a Mario Spezi, loro comune amico, consegnandogliela in un’abitazione che lo Spezi aveva in località Sant’Angelo in Vado, vicino Vasto. Dopo due o tre mesi lo Spezi aveva restituito l’arma al marito: in una nota senza data (verosimilmente una minuta) firmata per il dirigente della squadra mobile dal dott. Bernabei si asseriva che lo stesso se ne sarebbe disfatto e non era stata ritrovata. Trattasi come si vede di notizie “neutre” (come nel caso dell’hotel Peruzzi ove ella potrebbe senz’altro essersi recata in occasione del viaggio di nozze o dell’amicizia sua e di suo marito con il giornalista Spezi che non rappresentano di certo riscontri oggettivi a dette dichiarazioni.

La Ciulli, inoltre, riferiva che il marito aveva una personalità sessualmente deviata, che frequentava prostitute e che soffriva di crisi depressive scaturite dal rapporto avuto con la madre, circostanze tutte che l’avevano portato ad avere una “contorsione” nei rapporti con le donne. La Ciulli ha, altresì, riferito che i suoi rapporti sessuali con il Calamandrei in un primo momento erano normali ma che, successivamente, anche a seguito dei farmaci e dall’assunzione di alcool, erano praticamente inesistenti. A volte egli era preso da scatti di rabbia e violenza nei suoi confronti, tanto che una volta minacciò di impiccarla alla trave di casa mentre in un’altra occasione arrivò a schiaffeggiarla e per quest’ultimo episodio aveva sporto querela ai Carabinieri di S. Casciano e si era fatta portare all’Ospedale di Torre Galli nel giugno del 1993.

Relativamente a quest’ultimo aspetto veniva sentita quale p.i.f. Mascia Rossana, già compagna del Calamandrei, la quale, sentita dalla P.G. in data 19.8.2003, spontaneamente riferiva di aver avuto una relazione sentimentale con Francesco Calamandrei, durata un paio di anni, agli inizi degli anni ‘90. Nell’occasione, forniva notizie che apparivano interessanti per delineare la personalità del Calamandrei, definito come un depresso, schizofrenico, violento e sessualmente impotente. Dichiarava, tra l’altro, infatti: “…all’inizio della frequentazione con il Calamandrei, la mia amica, Tamara Martellini, di San Casciano che conosceva bene la famiglia Calamandrei, mi mise in guardia sul soggetto dicendomi che era una persona pericolosa anche perché c’erano stati dei sospetti su di lui relativi alla vicenda del “Mostro di Firenze”, che faceva parte della Massoneria, che maltrattava la moglie e i figli, usava psicofarmaci e aveva dei comportamenti violenti. lo non diedi credito a queste che mi sembravano dicerie. Nel novembre del 1991 fu ricoverato alla clinica di Fiesole per depressione. Nel febbraio del 1992 il Calamandrei si trasferì presso la mia abitazione di via Pisignano nr. 29. Sempre nello stesso mese mi aprì un conto corrente presso il Monte dei Paschi di Siena a San Casciano depositando circa 200 milioni, dicendomi che servivano per la mia sicurezza, nel senso che con quei soldi avrei potuto far fronte ai miei impegni di lavoro senza affrettarmi a vendere la casa .. .” In relazione ai suoi rapporti col Calamandrei, specificava: “voglio raccontare un episodio successo dopo la Pasqua del 1992. Ricordo che Francesco ricevette una telefonata in farmacia dal sig. Rontini che lui conosceva come il padre di una delle vittime del “Mostro di Firenze”. Lo stesso chiedeva di incontrarlo per un colloquio, Francesco chiamò l’avvocato Corsi, suo cugino, al quale chiese consiglio se presentarsi o meno al colloquio. L’avv. Corsi gli consigliò di non presentarsi al colloquio con il Rontini ma Francesco, disattendendo il consiglio dell’avvocato, decise di andarci. Nell’occasione mi chiese di accompagnarlo al colloquio per apparire il più normale possibile, cosa che io feci. Ci recammo quindi a Vicchio, a casa del Rontini .. Durante il colloquio ho avuto l’impressione che il Rontini lo avesse convocato per avere un confronto e una verifica sulla reazione di Francesco. Francesco rimase indifferente non affrontando più il discorso con me. Dava colpa a sua moglie. Devo precisare che non ho assistito a tutto il colloquio. I due vollero rimanere da soli. Ebbi l’impressione che la mia presenza frenasse il Rontini nel dire tutto quello che voleva dire.” Ed ancora, sempre in relazione all’incontro con il Rontini: “…Francesco si mostrò alla fine quasi sollevato dagli esiti del colloquio, come se in pratica avesse scansato un pericolo. Ne trassi proprio questa netta impressione. Devo precisare che in quell’occasione Francesco mi portò con se al solo scopo di dare a Rontini l’immagine di una vita del tutto regolare che conduceva.”

Raccontava ancora un altro episodio specifico appreso dallo stesso Calamandrei: “Ricordo un’altra circostanza che voglio raccontare. Francesco mi raccontò che verso la metà degli anni 80, prese la pistola di suo padre che custodiva nella casa di San Casciano sita sopra la Farmacia, e si portò a Punta Ala dove prese la sua barca e, in compagnia dell’Architetto Gianni Ceccatelli marito della mia amica Tamara Martellini, si recò al largo e buttò la pistola in mare. Non mi ricordo l’occasione in cui Francesco mi raccontò questo episodio. Lui mi disse che buttò la pistola per non avere noie burocratiche.” Sulla personalità del Calamandrei specificava: “Francesco dipingeva dei quadri che rappresentavano scene di sangue, siringhe infilate in masse di sangue; per me erano quadri ossessivi e violenti. Nei momenti di sincerità, Francesco diceva di avere “il diavolo addosso”, di essere “dominato” e di aver bisogno di assumere farmaci e cocaina per combattere la sua depressione. Francesco aveva delle manifestazioni schizofreniche, sembrava dominato da qualcosa più forte di lui: in questi frangenti diventava violento tanto da spaventarmi.” Ed ancora: “Ricordo che circa nel 1993-1994, Francesco frequentava un mago, di cui non so il nome, ma che dall’accento mi sembrava pugliese. La loro frequentazione, in quel periodo, era continua addirittura Francesco lo ospitava a casa; questo mago sembrava alle dipendenze di Francesco. Non credo che questo mago fosse conosciuto a San Casciano, bensì credo che fosse un’esclusiva frequentazione di Francesco. Posso descriverlo come una persona che all’epoca aveva circa 40 anni, magro, alto circa m. 1,70, capelli scuri, vestito in maniera modesta. Non posso essere più precisa su questo Mago perché all’epoca non frequentavo più Francesco avendo in corso con lui una vertenza legale…Francesco comunque era molto interessato alla magia e devo dire che anche Gianni Ceccatelli era un’altra persona frequentata da Francesco che era interessato alla magia.” Infine, la Mascia chiarava: “Ricordo che Francesco prestava dei soldi alla gente che si trovava in difficoltà finanziarie speculando sui loro bisogni economici; aveva un particolare atteggiamento di piacere nel rovinare la gente. Ebbi l’impressione vivendo con lui che in paese fosse noto che Francesco era disponibile a dare soldi in prestito. Anzi più che un’impressione di questo ne Sono convinta per avere assistito ad alcune telefonate giunte a casa mia periodo di convivenza con le quali gli interlocutori, per me rimanevano sconosciuti, gli chiedevano soldi in prestito. E da quello che poi potevo capire Francesco glieli dava. Da qui intuii che Francesco era in grado esercitare un certo potere dal momento che a lui si rivolgevano persone che si trovavano in stato di bisogno. Circa il potere di Francesco, mi ricordo che lo stesso fosse legato alla Massoneria Fiorentina, anche se non in grado di essere più precisa sul punto. Di questo però ne sono sicura per avermelo confidato lo stesso Francesco durante la nostra convivenza, oltre che, come accennato, per averlo appreso dalla mia amica Tamara. … nel breve periodo in cui siamo stati insieme, lui cercò di apparire normale ma non ci riuscì e si ricalò nella sua dimensione di assuntore di psicofarmaci.”

Altre ss.ii.tt. sono quelle rese da Vivoli Alessandra, altra compagna del farmacista, sentita il 26 settembre 2003, la quale, circa la personalità del Calamandrei, tra l’altro, dichiarava: “I nostri rapporti sessuali erano inesistenti. Lui non riusciva ad avere erezioni e faceva uso di punture che si faceva sul pene ma nonostante questo non riusciva comunque ad avere erezioni. Ricordo che una volta, dopo l’ennesimo fallimento, mi disse che se volevo potevo fare l’amore con un’altra persona. Rimasi colpita da questo fatto perché dentro di me pensai che lui non avesse moralità”.

Veniva sentito anche il dott. Giorni Gagliardi (esperto di esoterismo e già sentito mesi prima dalla P.G. nell’ambito delle indagini allora in corso) il quale inviava a mezzo e-mail un verbale di dichiarazioni rese dinanzi a lui da Caramelli Mario di Quarrata negli uffici della squadra mobile di Pistoia il giorno 2 febbraio 2005. Costui gli aveva raccontato alcune confidenze ricevute dalla signora Mariella, moglie del farmacista Calamandrei di San Casciano in relazione alla vicenda del Mostro di Firenze. Una ricerca agli atti d’ufficio consentiva di appurare che il Caramelli era il marito della Sani e che risultava a suo tempo non essere stato ascoltato. Contattato telefonicamente, il Gagliardi spiegava che si trovava a Pistoia per una consulenza su una setta e, nell’ambito dell’incarico, aveva avuto dichiarazioni quest’ufficio modo di ascoltare il Caramelli, il quale gli aveva riferito che avrebbero potuto interessare le indagini per cui aveva ritenuto di redigere un verbale e di trasmetterlo. .

In data 17 febbraio 2005 la P.G. procedeva, pertanto, a sentire il Caramelli nell’ambito dei procedimenti penali 17869/01 e 8970/02 del P.M. di Perugia. In tale sede l’uomo affermava che nel mese di dicembre 2004 era stato contattato da tale Reali, qualificatasi giornalista de “Il Tirreno” e abitante a Quarrata, che le aveva chiesto notizie su Ciulli Mariella, moglie di Francesco Calamandrei, probabilmente perché aveva saputo che sua moglie Caramelli Morella, deceduta nel 1997, aveva frequentato lui e la propria moglie. Il Caramelli, riferendo circa le confidenze ricevute dalla moglie Sali Morella, dichiarava che la Ciulli aveva raccontato i suoi sospetti anche al Vescovo di Firenze e al procuratore Vigna, il quale, sempre a dire della Ciulli, la prendeva in giro tanto che, durante le visite a casa di Silvia, veniva apostrofata con la frase: “ecco … la moglie del Mostro”. Secondo il Caramelli in quel periodo di frequentazione (1988/1989) la Ciulli era molto lucida e simpatica, tanto che con lei “si parlava bene” 58. Durante la visita a Castelletti la Ciulli aveva indicato un casolare che, a suo dire, era quello in cui si

58 circa la mancanza di lucidità della donna in quel periodo, peraltro, i dubbi, se non le certezze appaiono evidenti, alla luce di quanto evidenziato supra)

trovava nel 1968, in occasione dell’episodio del bambino. Il Caramelli si dichiarava disponibile ad effettuare un sopralluogo, che venne eseguito lo stesso giorno 17 febbraio 2005, subito dopo l’espletamento dell’atto di assunzione d’informazioni. Il Caramelli indicava un gruppo di case vecchie e apparentemente disabitate, che si trovano su un terreno su cui insiste anche l’hotel Country di Borgo Villa Castelletti e spiegava che si trattava dei luoghi indicatigli dalla Ciulli e che, secondo le dichiarazioni della donna, era il posto in cui ella si trovava la notte del delitto del 1968. Nella circostanza l’uomo aggiungeva di ricordare che la Ciulli gli aveva riferito che la casa dove si trovava la notte del delitto aveva un particolare del tetto o delle grondaie che l’aveva colpita (la P.G. precisava che si trattava di un gruppo di immobili 
ubicato sulla sinistra all’interno del cancello di entrata del citato hotel composti da una struttura principale e da un fienile distaccato, il tutto oramai in evidente disuso da diversi anni e completamente disabitato).

Altra p.i.f. è Ciardi Vittorio, detto “Ciardino”, sentito il 22.2.2005, il quale evidenziava che “la macchina era rimasta lì per più giorni, almeno per tre giorni, fintanto che non la tolsero i Vigili del Fuoco”. Ciò tuttavia, cozzava con quanto emerso dal verbale di sequestro dell’autovettura Alfa Romeo dal quale si evince che la macchina era stata asportata alle nove e trenta del 22  agosto ’68, mattina successiva al delitto. Si trattava di un’auto rinvenuta in una strada poderale, che costeggia la sponda destra del torrente Vingone,  custodita all’interno della Stazione dei C.C. di Lastra a Signa.

Negli atti del fascicolo Mele vi è anche la prima segnalazione, a proposito dei riscontri effettuati in Castelletti, nell’annotazione del 1° marzo 2005, relativa ad una coperta, 59 ove si evidenziava: “Dalla visione del fascicolo fotografico relativo al duplice omicidio Locci-Lo Bianco, alle foto indicate ai numeri 7,8,15 si nota il cadavere di Locci Barbara che giace su una coperta a quadri che ricopre parzialmente il sedile di guida. Detta coperta a quadri non venne menzionata sia nel verbale di sequestro, sia nel verbale di ispezione, sia nel verbale di sequestro oggetti”. Quindi essendo stata scattata la fotografia nella Caserma dei Carabinieri di Lastra a Signa il giorno stesso o il giorno dopo, la coperta non poteva certamente essere stata presa dalla Ciulli.

Alce pp.ii.ff. che hanno reso dichiarazioni concernenti la Ciulli sono:

59 alla pag. 7 della relazione di servizio.

dott. Acerbi Paolo che il 15.4.2005 dinanzi al P.M. riferiva: “In sintesi, le volte che l’ho vista a cena con amici, o a casa sua 0 altrove, si collocano tutte nell’arco di circa un anno dopo l’incontro del ’90”,… “Da altri ho saputo successivamente che con qualcuno aveva accusato il marito di cose ben più gravi, come quella di essere il “Mostro di Firenze”. Ricordo che il Raucci mi disse che la Ciulli era stata anche ricoverata”.

Pelagatti Giorgio il quale dinanzi al P.M. il 15.4.2005, dovendo riferire di un episodio risalente alla fine degli anni Ottanta, dichiarava che anche a lui la Ciulli aveva raccontato delle pistole del marito, ritenendolo il “Mostro”, nonché dell’omicidio degli Scopeti, allorché sarebbe rientrato graffiato, con gli stivali sporchi, con un lungo impermeabile, anche quello infangato, stivali che poi la Mariella il giorno dopo non aveva più trovato. Il Pelagatti aggiungeva poi testualmente: “lo per la verità rimasi piuttosto perplesso di fronte a questo racconto. Ricordo ancora che di fronte alle nostre perplessità la Ciulli disse che aveva preso, o forse che avrebbe preso, diretti contatti con la Procura, tramite la moglie del Procuratore, che era una sua vecchia amica”.

Mar. Di Leo Francesco, che effettuò la perquisizione nell’anno 1988, il quale dinanzi ai P.M., il 18.4.2005 dichiarava: “Ricordo di avere effettuato una perquisizione, ricordo che parlammo all’epoca anche della perquisizione, a seguito di indicazioni di una fonte confidenziale, ma che poi dopo si presentò, ed era lei, con il colonnello Rotellini, e prima della perquisizione ricordo che la Ciulli, a suo dire, era un’amica di vecchia data della moglie del Procuratore dottor Vigna, che si era rivolto a lei per esternare i suoi sospetti sul marito e il dottor Vigna l’aveva segnalata al Colonnello Rotellini. … Ricordo che circa un anno dopo, parlando con collega maresciallo Frillici, che all’epoca era in servizio al R.O.S., ebbi l’impressione che loro avevano preso in mano la situazione della Ciulli. Ricordo anche che mi fece capire, il maresciallo Frillici, che la Ciulli in qualche modo aveva riferito cose non vere e cioè che io avessi fatto in passato qualche avance, e lo stesso, a dire del maresciallo Frillici, era successo con  l’avvocato Lena. Poiché loro me lo chiedono, ricordo che nel corso della perquisizione guardammo anche nel frigorifero e l’unito freezer, che era in casa di Calamandrei, non trovammo niente di utile per le indagini. Non ricordo se il motivo di quel controllo era originato da discorsi della Ciulli o meno in merito alla conservazione dei reperti legati agli omicidi”.

Mar. Frillici Pietro, ex sottufficiale del R.0.S. dei Carabinieri, sommarie informazioni testimoniali del 3.5.2005 ai Pubblici Ministeri: “Quando ho sentito il nome della Ciulli, poco fa mi sono venute in mente due donne un po’ particolari che nell’epoca venivano alla S.A.M.”.

Sommarie informazioni della cognata Guerrieri Patrizia del 5.5.2005: “Ho sentito parlare delle accuse che anni fa mia cognata ha mosso al marito in relazione alle vicende del “Mostro di Firenze. Personalmente non ho mai dato particolarmente credito a questi discorsi…Devo dire inoltre che mia cognata mi è sempre apparsa una persona piuttosto labile, quindi la ritengo poco affidabile sui discorsi di questa portata. Mi parlò di avere avuto delle visioni e delle rivelazioni, tanto che mi indussi a chiamare il prete della Sambuca, tale don Attilio Belladelli”.

Sommarie informazioni testimoniali del 30.5.2005, di Minoliti Arturo, già maresciallo della Caserma di San Casciano, “E poi, a suo dire, conosceva magistrati di Firenze che in qualche modo lo proteggevano”, facendo il nome del dottor Vigna e del dottor Canessa.

Sommarie informazioni testimoniali Piccone Rosellina, del 31.5.2005: “Conobbi la Ciulli nell’anno ’84 o giù di lì; ricordo anche un episodio particolare: era una notte d’estate, mi sembra del 1991, in cui Mariella si presentò scalza a casa mia, era agosto, suonò, andò subito in giardino e mi disse che sentiva delle voci che le dicevano che doveva scappare, perché c’erano delle bombe; ricordo anche che successivamente fu ricoverata”.

Sommarie informazioni testimoniali do Don Attilio Belladelli, del 5.7.2007 ai P.M.: “Il racconto della Ciulli molto era preciso e perentorio” 60, Don Belladelli continuava: “E io sono allarmatissimo. Perché? Perché il racconto della Ciulli era molto preciso e perentorio, nel racconto non c’era nessuna componente che denotasse in sé un qualche squilibrio. In altri termini, la donna parlava come un’agitata ma con la testa a posto. In particolare, non cadde mai in una qualche contraddizione, da farmi sospettare che la cosa fosse inventata, magari per darsi importanza, o comunque che lei fosse fuori di testa. Il fatto che la donna parlasse di un evento di quella stessa notte e il realismo con cui parlava, mi indussero a cercare un contatto immediato con le Forze dell’ordine, cosicché contattai telefonicamente il maresciallo Tagliaferri, che la conosceva bene”. Quest’ultimo faceva intervenire i colleghi

60 (riferendosi all’episodio avvenuto il 21 dicembre 2001 allorché la Ciulli allarmò le forze dell’Ordine in quanto riferì che a casa sua il marito e il dottor Vigna stavano coinvolgendo anche suo figlio Marco per andare a commettere il nono duplice omicidio in località Madonna del Sasso, Comune di Pontassieve)

della S.A.M., che stavano indagando sugli omicidi attribuiti al “Mostro” ed arrivarono quattro poliziotti, fra cui il mar. Frillici, già menzionato supra. Don Belladelli riferiva: “Poi, non basta, arriva un secondo gruppo di Carabinieri, più esperti, sopraggiunsero, in un numero che mi sembra di ricordare non fosse inferiore a quattro unità. Ricordo che in un primo momento conferirono con il Tagliaferri e poi tutti ad un medesimo tavolo vollero sentire il racconto da me, che mi era stato fatto dalla donna. Fu nel corso di questo racconto che uno dei Carabinieri, sentendo che questa donna si agitava molto, mi chiese nel dettaglio che tipo di movimenti costei faceva; a seguito delle indicazioni che io detti mi fu detto che in effetti si trattava di persona che  loro conoscevano, perché aveva già fatto a loro questo tipo di rivelazioni. Devo dire con sincerità che fu solo in quel momento e a seguito di questa affermazione, che mi venne il sospetto che la donna potesse essere una persona con dei problemi mentali e che quindi parlava per esibizionismo o millanteria. Dalle affermazioni che io resi, non mi pare di ricordare che fu fatto un preciso verbale, come stiamo facendo in questo momento; probabilmente ciò si spiega con la ragione che il racconto si riferiva ad un evento così imminente che le Forze dell’Ordine furono prese dall’urgenza di apprestare i  relativi controlli. Essendo i fatti tanto gravi era meglio secondo i CC svolgere gli opportuni accertamenti in merito. Io, per parte mia, tornai in parrocchia talmente colpito dalla cosa che mi raccolsi in preghiera, andando addirittura in chiesa, che riaprii per questo specifico scopo. Seguii con apprensione le cronache giornalistiche del giorno dopo, rimanendo rinfrancato dall’assenza di qualsiasi riferimento al racconto dalla Ciulli. Ricordo che addirittura aprii il televisore alle sei della mattina, per seguire i primi annunci di cronaca. Prendo atto nell’annotazione dei Carabinieri, oltre a quanto già riferito, si cita specificatamente un richiamo che la donna avrebbe fatto alla responsabilità del marito, nella vicenda da lei raccontata, nonché al coinvolgimento del figlio, causato dallo stesso marito. Il richiamo al figlio mi ha in effetti fatto venire in mente che la donna disse che si era indotta a parlare con me di questa vicenda proprio perché temeva il coinvolgimento del suo ambito familiare, in persona, appunto, del marito e del figlio. Quanto al fatto che la donna abbia dichiarato che vi era nel gruppo, a cui faceva riferimento anche un’implicazione di persone legate alle indagini e addirittura del Procuratore. Ora che lei mi dice che ciò risulta dall’annotazione di P.G., che io abbia parlato in questi termini al maresciallo Tagliaferri, devo dire… confermarglielo. Può darsi che questi richiami siano stati anzi proprio quelli che hanno contribuito a rendere ancora più impellente l’urgenza di parlarne con le Forze dell’Ordine”.

Sommarie informazioni di Trallori Marta, del 5.5.2005: “Mi fece questa confessione che mi lasciò molto meravigliata. Mentre parlava mi mostrava dei fogli che aveva con sé su cui aveva, a suo dire, segnato tutte le date, i movimenti sospetti sul conto del marito; mi parlò anche di episodi particolari che l’avevano indotta a ritenere che fosse legato ai delitti del “Mostro di Firenze”. Mi disse anche che nel freezer aveva visto dei pube di donna; io la stetti a sentire e poi le chiesi se quelle erano delle fantasie, ma lei mi disse che era la verità e che sarebbe andata a riferire ciò che sapeva ai Carabinieri”.

Sommarie informazioni ancora del mar. Frillici, del 7.7.2005: “Vi è nel mio ricordo la presenza, accanto a Perugini, del dottor Bernabei, che ricordo come la persona più scettica sulla possibile attendibilità della Ciulli. D’altra parte, mi balza all’occhio il conclusivo richiamo che emerge nella annotazione alle accuse mosse al Procuratore della Repubblica, quali certamente all’epoca furono elementi che contribuirono a sancire l’inattendibilità della fonte. Preciso che, non mi ricordo in quale contesto, una successiva battuta fatta dal Procuratore in ordine alle accuse che la Ciulli gli muoveva, ebbi modo di ipotizzare che egli fosse a conoscenza degli atti da noi espletati la sera in questione. Per quanto riguarda il colloquio con Don Attilio Belladelli, confermo che ricordo che egli ebbe a raccontare confidenze della donna, successivamente poi individuata per la Ciulli; prendo visione dell’annotazione a mia firma del 23/12/’91, che sicuramente è stata confezionata da me e dal capitano Scricca”.

Occorre qui far riferimento alle precedenti dichiarazioni rese con sommarie informazioni da Don Gino Gamannossi, il 10.10.1994: “Lei” – riferito alla Ciulli -“si fece viva con me dopo la separazione con il Calamandrei e dai colloqui conclusi che era fortemente esaurita, con un sistema nervoso labile.”

Relativamente alle indagini svolte dalla P.G. a seguito delle dichiarazioni rese dalla Ciulli vi è una annotazione di servizio del 23.12.1991, inviata anche alla Procura della Repubblica di Firenze, ove si specificava che la Ciulli aveva parlato di una organizzazione nella quale era inserito il marito in posizione di spicco, e insieme a lui persone che svolgevano funzioni importanti, nelle indagini del “Mostro”; fra le persone, citate quali responsabili, vi era anche il Procuratore della Repubblica di Firenze. A questo punto la narrazione appariva sicuramente frutto di una persona in stato di alterazione psichica e veniva avvalorato tale convincimento e, non appena ricevute dette notizie,

“venne allertata l’Arma di Pontassieve, che provvide a svolgere adeguati servizi di vigilanza nella zona, con il concorso di altro personale del gruppo di Firenze”, come si legge testualmente nella nota.

Nella annotazione del 17 giugno 2005, 61 risulta che la Ciulli telefonò alla S.A.M., alle ore dieci e trenta del 30 aprile 1991, accusando l’intellettuale Garin Eugenio di essere il “Mostro” 62. Alle successive ore undici la Ciulli effettuava un’altra telefonata alla S.A.M., accusando, in tal caso, tale Tesi Tiberio e denunciando la manomissione del suo ascensore. Altra telefonata veniva effettuata dalla Ciulli il 24.4.1991, sempre alla S.A.M., nella quale tornava ad accusare il Calamandrei e parlava della pistola, prelevata dall’auto in località Castelletti nel 1968, che sarebbe stata consegnata a Mario Spezi Sant’Angelo a Vado 63.

Occorre ora far riferimento alla comunicazione del 12.7.2005, all’esito di tutte le indagini fatte personalmente dai Pubblici Ministeri, a firma dott. Canessa e dott. Crini, diretta al Procuratore Capo dott. Nannucci, nella quale si evidenziava: “Facendo seguito alle anticipazioni verbali dei giorni scorsi, per doverosa comunicazione e per tue determinazioni ti segnaliamo che nell’ambito del procedimento a carico di Calamandrei Francesco sono stati svolti i seguenti atti di indagine, stante la necessità di approfondire la posizione di Ciulli Mariella e le dichiarazioni nel tempo rese da costei alla P.G., trattandosi di persona nei confronti della quale è tuttora pendente l’incidente probatorio richiesto dal P.M.. prossima udienza 16 settembre 2005”. Si elencavano i verbali delle dichiarazioni rese dalle pp.ii.ff. soprarichiamate :”Ti alleghiamo inoltre copia della documentazione acquisita in copia presso il R.O.S. Carabinieri di Firenze, a seguito della deposizione del brigadiere Scanu, qui trasmessa con nota del 17 giugno 2005, che comprende un’annotazione di servizio del 23 dicembre 1991 64 a firma
dell’allora comandante del raggruppamento capitano Scriccia e del maresciallo Frillici all’epoca assegnato alla S.A.M., che non era presente negli atti a disposizione di questo ufficio”. “Il citato documento riveste

61 pag. 3938 dell’incarto generale
62 (sul punto si evidenzieranno le successive indagini svolte dalla P.G. in data 25.2.2008, circa l’esistenza di un nipote del Garin, a nome Maurizio, che svolgeva l’attività di assicuratore, amico di vecchia data del Calamandrei, peraltro del tutto estraneo ai fatti per cui si procede)
63 pag. 4017 dell’incartamento generale
64 relativa all’intervento effettuato a Madonna del Sasso

particolare interesse in quanto, nel dar conto delle accuse reiterate nel tempo dalla Ciulli nei confronti del marito, in relazione alle quali è in corso l’incidente probatorio di cui sopra è fatta menzione, precisa che nella circostanza” – dicembre ’91 -“La Ciulli ebbe a raccontare particolari relativi al numero delle persone implicate negli omicidi, figlia, Marco Calamandrei, Francesco Calamandrei, alle tecniche di individuazione delle vittime, nonché alle ritorsioni del gruppo nei confronti di possibili testi scomodi rivelatesi nel prosieguo totalmente fondati. Infine è doveroso segnalare che, mentre alla data della menzionata nota del R.O.S. era già avviata e pubblica l’indagine su Pietro Pacciani, nessun procedimento esisteva invece a carico di costui nel maggio ’88, periodo al quale risalgono poi le iniziali confidenze della Ciulli ai Carabinieri nei confronti del marito. Peraltro, i risalenti rapporti di quest’ultimo con gli stessi Pacciani e Vanni trovano oggi conferma nelle più recenti dichiarazioni rese sia al G.1.P. che a questo ufficio dal Vanni medesimo”.

Vi è poi un’annotazione della S.A.M., che parla di “restituzione del fascicolo 1742 del ’94, relativo alle dichiarazioni rese a suo tempo da Ciulli Mariella, esito accertamenti”. Si riepilogava l’intera storia riferita dal sacerdote, e, ad un certo punto, all’ultima pag. si annotava: ‘E’ opportuno far presente che Ciulli Mariella ha esteso le sue accuse ed i suoi sospetti anche ad una moltitudine di persone, che arricchiva ed integrava tutte le volte che si presentava dagli investigatori. Tali dichiarazioni sono agli atti nel fascicolo 17837/89, modello 44 e risultano tutte firmate e controfirmate dalla stessa al momento dell’acquisizione da parte della P.G.”. Poi si diceva che la Ciulli:”…. così come si presentò a casa di Rontini Renzo, verosimilmente deve essere stata anche a trovare l’attuale imputato Pacciani Pietro, alcuni mesi prima che questi venisse arrestato (anno 1993-’94)” ….”Il suo arresto in seguito ad emissione di custodia cautelare che risale al gennaio del 1993. La visita si può collocare nel periodo estivo-autunnale del ’92. La conferma di ciò deriva da due fatti. Nel corso dei normali servizi di vigilanza a Mercatale, seguenti alle ultime perquisizioni, la S.A.M. ha appreso informalmente che una signora, la cui descrizione corrisponde a quella della Ciulli, chiese notizie di dove abitasse esattamente il Pacciani, dicendo che era amica della moglie, alla titolare del negozio di abbigliamento posto in via del Sonnino… Tale circostanza è stata confermata alla S.A.M. dalla Ciulli stessa, nel corso del 1994 prima della pausa estiva del dibattimento in Corte d’Assise”.

Poi, sempre a proposito della Ciulli, rappresentata dal Prof. Galliani persona “ben lucida” agli atti vi è anche una lettera  datata 9 luglio 1991 scritta a mano dalla Ciulli al dottor Perugini, dove si diceva testualmente: “…ho conosciuto il marito separato di una mia amica, o meglio conoscente, tale dott. Ugo Cappelli, amico anche del dott. Paolo Acerbi e del dott. Pasquale Maiorano” 65 “Il Cappelli mi vuole aiutare, però è legato alla mafia e quindi io non mi fido”.

Sulla vicenda Ciulli vi è una richiesta del 30 giugno 2004 del P.M. dott. Canessa alla segreteria, dove si chiedeva: “Per ragioni di giustizia concernenti il procedimento 1277/03 66 prego acquisire dall’archivio gli originali dei seguenti fascicoli a suo tempo definiti e tutti concernenti gli accertamenti a carico di Calamandrei Francesco, a seguito di esposti della ex moglie Ciulli Mariella”. E la segreteria rispondeva: “Il procedimento n. 1742 del ’94, (atti relativi a dichiarazioni della Ciulli riportate da Sali Mariella ), è stato definito con archiviazione del G.I.P. in data 7/12/94; l’altro procedimento n. 740 del ’97, modello 45 notizie di reato 67, è stato definito con archiviazione del G.I.P. del 18/09/97″. In entrambe le istanze di archiviazione appariva la medesima motivazione: “perché trattasi di soggetto psicotico”

Agli atti vi è la annotazione della P.G. del 24 febbraio del 2005, con accertamenti approfonditi anche su Piero Magi, che all’epoca era un giornalista del quotidiano “la Nazione”, divenendone poi direttore, e, in tale sua veste, essendo stato ritenuto persona a rischio a seguito di minacce brigatiste, era stato sottoposto a tutela con la scorta di Polizia per circa otto mesi, e che risultava deceduto nell’anno 2003 ;

Dall’esame obiettivo degli atti sopra riportati emerge che tutti i periti coincidono nel dire che la Ciuli non appariva idonea a rendere testimonianza, non era in grado di determinarsi liberamente o coscientemente, nè di discernere criticamente il contenuto delle domande al fine di adeguarvi coerenti risposte, non possedeva capacità mnemonica in ordine ai fatti oggetto della deposizione, come si è avuto modo di verificare, in particolare, dall’esame della perizia Traverso (pagg. 128-133) e della consulenza Galliani (pag. 57). Il punto sul quale i due  elaborati differiscono profondamente tra di loro attiene al periodo di effettivo esordio della malattia della Ciulli e all’attendibilità in primis del memoriale, redatto nel marzo dell’anno 1991, ma anche dalle dichiarazioni rese, quantomeno dall’anno 1988 in avanti.

65 (trattasi di due magistrati all’epoca in servizio presso il Tribunale di Firenze)
66 (cioè il presente proc. Pen.)
67 relativo a lettere inoltrate dalla Ciulli

Innanzitutto le conclusioni della perizia Traverso e della consulenza Galliani appaiono in profondo contrasto circa l’esordio e l’evoluzione della malattia della Ciulli. Il prof. Traverso, infatti, considera l’insorgenza della malattia della Ciulli prima  del memoriale, rifacendosi ai primi contatti col Centro di Salute Mentale Infanzia-Adolescenza risalenti all’anno 1985, quando a causa del disturbo del figlio, le venne indicata una psicoterapia. Il Disturbo delirante cronico, insorto una ventina di anni prima (quindi, all’incirca nell’85), sulla base di personalità premorbosa caratterizzata da tratti paranoidei sarebbe stato favorito da esperienze traumatizzanti e conflittuali esperite precocemente nella famiglia di origine e poi nella famiglia acquisita datandolo sin dall’anno 1979 (v. pagg. 129-133). Il Galliani, invece ritiene che l’insorgenza della patologia della malattia debba situarsi solo a far data dall’anno 1992, sostenendo che nel 1985 vi era stata l’insorgenza “dei primi sospetti, sulla base di esperienze coeve”.

Il Traverso si riporta alla citata perizia redatta dal dott. Manetti, nell’ambito di altro proc. pen. nella quale, rispondendo al quesito, affermava l’esistenza “di spazi mentali tali da compromettere gravemente la capacità a rendere testimonianza, ma senza escluderla”, aggiungendo che tali condizioni psichiche sussistevano anche all’epoca delle dichiarazioni che avevano dato origine a quel procedimento e che la ciulli era affetta da “psicosi delirante cronica”.

Sotto tale profilo risulta difficile affermare con certezza assoluta l’esordio della malattia delirante. | primi sospetti della Ciulli secondo cui suo marito fosse implicato nelle vicende del “mostro” risalgono all’anno 1987, in un contesto ambientale sfavorevole, con vissuti depressivi. Proprio in quell’anno venne inviata da uno specialista psichiatrico e iniziò la presenza di ossessioni con idee di tale indole, senz’altro in crescendo. Dalla documentazione di quel periodo (tra il 1987 e il 1992), si evidenzia come, pur non essendo emersa la diagnosi “di disturbo delirante”, infatti formulata definitivamente solo nell’anno 1992, ciò non esclude un inizio graduale del delirio. La diagnosi definitiva di “delirio”, infatti, venne formulata solo nell’anno 1992. I pensieri, che risultavano ossessivi e che dettero origine alle confidenze con terzi e alla successiva stesura del memoriale, possono ritenersi allo stesso tempo inizio effettivo del delirio e manifestazione di elementi di verità. Non è possibile discernere quanti e quali dei contenuti, sia nelle dichiarazioni rese dall’anno 1988 in avanti, che del contenuto del memoriale possano considerarsi vero e proprio delirio e verità supportata dai ricordi. Tantomeno può appurarsi su base logica e scientifica se tali elementi di verità si appoggino su fatti realmente vissuti e ricordati oppure se siano stati ricostruiti a posteriori, includendo informazioni (deformate e/o sopravvalutate) acquisite dalla realtà stessa. Un difficile miscuglio di pensieri ed idee che hanno forme di ricordi, di ricostruzione e di delirio simile, riferite anche a persone con la quale la Ciulli si confidava o con le quali era, comunque, in rapporto di conoscenza.

Altra problematica attiene alla ricerca degli eventi gravi, realmente accaduti nella vita della Ciulli (quali, ad esempio la separazione dal marito, la scoperta nel marito di problemi sessuali e di alcol, il difficile rapporto col figlio l’impossibilità di crearsi una nuova vita affettiva, il rapporto con la famiglia di origine) che possono avere facilitato sia lo scatenamento della malattia (attraverso meccanismi di scissione molto gravi) sia aver contribuito a quella forma di “delirio non strutturato”, termine efficacemente adoperato dal prof. Traverso nel suo elaborato, che successivamente prenderà definitivamente la forma di delirio parafrenico o delirio cronico.

Anche per quel che concerne l’evoluzione della malattia appare una discrasia tra la perizia del Traverso (v. pag. 133) sue dichiarazioni, rese nel corso dell’incidente probatorio svoltosi dinanzi al Gip e l’elaborato del prof. Galliani; il primo, infatti, ha sostenuto che nella genesi e nella successiva elaborazione delle vicende narrate a terze persone, ovvero descritte nel memoriale fossero già presenti elementi (fortemente patologici, legati allo sviluppo del disturbo delirante cronico) atti ad inficiare la realistica percezione ed un corretto esame della realtà della Ciulli. Il Galliani, invece, si è soffermato nel suo elaborato lungamente sull’analisi del memoriale (pagg. 67-89), riferendo che esso rappresenta una produzione coerente frutto della modalità “associativa” del pensiero tipica delle psicoterapie. Inoltre viene dato valore di verità ai suoi contenuti in relazione ai fatti descritti (pagg. 80-83).

Sotto tale profilo deve ritenersi che il resoconto riportato nel memoriale appare sfilacciato illogico, a momenti confuso, riportando i nominativi delle più disparate e diverse persone (dal marito, al dott. Vigna, al direttore del quotidiano “La Nazione”….) con citazione di tanti luoghi che spesso si sovrappongono e si confondono. Risulta difficile coglierne il senso principale e spesso ci sono problematiche che si incrociano, in quanto lo scritto procede soltanto da un argomento all’altro. Nel contenuto, spesso, emergono momenti nei quali la Ciulli appare in evidente stato confusionale (si pensi all’episodio relativo alla presunta somministrazione di droghe prima dell’episodio di Castelletti di Signa). Inoltre il contenuto del memoriale presenta elementi che suscitano, da parte della Ciulli, un forte bisogno di qualcuno che le avesse chiarito le idee e che, se fosse vero quanto da lei sostenuto (pur non apparendo in pieno convinta, dubitando su molti punti), si fosse preso cura della situazione. Colpisce questa finalità, non apparendo in effetti quale una denuncia chiara e certa di fatti ma, piuttosto, una richiesta di aiuto di una persona confusa ed in evidente difficoltà. Sotto tale profilo può senz’altro condividersi quanto sostenuto dal prof. Traverso circa il fatto che lo sviluppo delirante, parte della interpretatività, non è ancora delirio; il “viraggio” si situa ben prima del memoriale, e cioè attorno all’anno 1988 in senso patologicamente grave e anche di spunto interpretativo, non solo di ossessione. Il memoriale, quindi, può essere inquadrato in forma di delirio non strutturato, che successivamente prenderà definitivamente la forma di delirio parafrenico o delirio cronico. Il delirio parafrenico è caratterizzato dalla presenza di una ricca produzione delirante di tipo fantastico, senza rilevante influenza sul comportamento, in assenza di alterazioni grossolane del pensiero e dell’affettivi inizio tipicamente tardivo (all’incirca intorno all’età di 45 anni)68.

Secondo la scienza psichiatrica le modalità di inizio della malattia appaiono variabili, in quanto in alcuni casi sono lente e insidiose, in altri immediate e si configurano in una sorta di mutazione fantastica della relazione del paziente col mondo. Sono stati evidenziati, in particolare, alcuni punti essenziali:

1) Pensieri Patologici: in queste forme il pensiero delirante è sfrenato. Non esiste una preoccupazione della verosimiglianza logica del delirio. La favola delirante si può sviluppare al di fuori di ogni categoria di comprensione. Spazio e tempo sono al servizio della fantasmagoria, la ambiguità delle persone, la mescolanza, la multiplicità, la simultaneità e la confusione amalgama gli eventi. La mostruosità o la assurdità delle figure delle scene di questa mitologia somigliano alla produzione mitiche e alle creazioni surrealistiche. Da ciò deriva l’aspetto straordinariamente estetico di tale immaginazione debordata.

2) Megalomania: i temi di influenza (dominio malefico, spiritismo, procedure scientifiche o magiche di azione a distanza) temi di persecuzione, le idee di avvelenamento o di trasformazione di organi, stregoneria fanno sentire il paziente perseguitato. Il delirio di persecuzione ha qualcosa di

68 come si evince dal Trattato di Psichiatria di Henry Ey, edito da Masson.

megalomanico, ad esempio di partecipazione a eventi storici, nello spazio terrestre o interplanetario il paziente si sente un giocattolo di una lotta gigantesca.

3) Primato della componente fantastica su quella allucinatoria.

4) Integrità paradossale dell’unità della sintesi psichica: sorprende il contrasto tra la concezione patologica e la mitologia del delirio con il corretto e a volte perfetto adattamento alla realtà. L’immagine dell’Io ad es. permane inserita nella realtà con il suo vero sviluppo storico. Si interferisce con l’immagine delirante dell’io metamorfosato in una specie di diplopia molto caratteristica. I più fantastici dei deliri, di successi straordinari non impedisce al malato di essere inserito nella realtà dell’esistenza quotidiana. La capacità intellettuale, la memoria e l’attività lavorativa come il comportamento sociale possono rimanere intatti in modo notevole.

La parafrenia evolve come delirio cronico, generalmente irreversibile e si fissa indefinitamente sui temi essenziali. Ci può esse a evoluzione verso l’incoerenza ideoverbale con un tipo di pensiero ogni volta più impenetrabile. Sicuramente la patologia di “psicosi delirante cronaca”, accertata dal perito dott. Manetti sin dall’anno 2002 (e, dunque e della C.T. Galliani) appare del tutto assimilabile a quella della parafrenia, entità nosografica ben descritta dalla psichiatria classica anche se non riportata nelle più recenti classificazioni 69, dove risultano collocabili nell’ambito del “disturbo delirante” o più spesso, della “schizofrenia paranoide”.

In conclusione sotto tale aspetto può affermarsi che, situandosi il “viraggio” dello sviluppo delirante, che non può ancora definirsi delirio, della Ciulli in un arco temporale ben prima del memoriale, e cioè attorno all’anno 1988, anche le dichiara rese dalla predetta, a partire quantomeno da quell’anno, appaiono affette dalla grave patologia già in atto. Il memoriale, invece, può essere senz’altro inquadrato in una vera e propria forma di delirio non strutturato, che successivamente prenderà definitivamente la forma di delirio parafrenico o delirio cronico. A ciò si aggiunga che le affermazioni riportate dalla Ciulli non sono state in alcun modo corroborate da riscontri oggettivi, pur essendo state svolte approfondite indagini sui vari punti: dall’incredibile e allucinante racconto riferito al duplice omicidio di

69 DS-IV-TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 2001, Masson)

Castelletti del lontano 1968, all’altro episodio secondo cui avrebbe visto il marito con graffi in faccia subito dopo il duplice omicidio del 1985, allorchè ella stessa ammise di essersi sbagliata, avendo fatto confusione sul giorno, all’ultimo, altrettanto incredibile, episodio del nono duplice omicidio che doveva avvenire in loc. Madonna del Sasso, con mobilitazione di tutte le forze di polizia, allertate dal parroco don Belladelli, in uno con le ripetute richieste di intervento sin dall’anno 1988 alla ricerca di feticci che dovevano trovarsi nel freezer del frigorifero di casa, circostanze tutte che, qualora lo stato di salute psichico della Ciulli non fosse stato della gravità nei termini sopra riferiti
avrebbero senz’altro imposto l’immediata apertura di un procedimento penale nei suoi confronti per il reato di calunnia aggravata e reiterata. 

Deve, comunque, evidenziarsi che nelle sue esternazioni la Ciulli non ha mai nominato il Pacciani, il Vanni, il Reinecke, il Parker, facendo riferimento al Sertoli quale medico che utilizzava l’ambulatorio della farmacia e allo lacchia, anch’egli quale utilizzatore dell’ambulatorio della farmacia. Ha poi nominato tale Vitta, che era di San Casciano e lo vedeva nella piazza, ove si trovava ubicata la farmacia; ed, infine, un orafo e lo Zucconi indicato, anche in tal caso, quale medico che utilizzava i locali della farmacia.

Pur emergendo, soprattutto a seguito delle dichiarazioni rese dalle sue successive compagne Vivoli e Mascia un ritratto del Calamandrei non certo esemplare, essendo stato descritto, sopratutto dalla Mascia, quale soggetto depresso, schizofrenico, violento e sessualmente impotente, descrizione che, unicamente sotto tale profilo, sembra combaciare con quella effettuata dalla Ciulli circa la personalità negativa del marito, tuttavia anche per questo filone delle indagini, deve ritenersi che le ipotesi investigative non hanno condotto ad alcun concreto risultato, essendo rimaste, per quanto sinora evidenziato, al di sotto della soglia indiziaria non avendo assunto quella consistenza ed efficacia tale da poter fondare l’affermazione di una responsabilità dell’imputato.

Le convergenze investigative con le indagini della Procura di Perugia: Il Dott. Francesco NARDUCCI.

Secondo la prospettazione accusatoria basata essenzialmente sulle testimonianze raccolte, il dr. Francesco Narducci risulterebbe, nell’ambito del presente proc. pen., un personaggio strettamente legato all’ambiente di persone e di luoghi esaminato: sono numerose le persone che lo hanno descritto come presente con prostitute ed in vari luoghi di San Casciano e di Firenze. Occorre anche subito evidenziare come altre pp.ii.ff. non hanno riconosciuto questa persona o lo hanno riconosciuto in modo equivoco (avendolo ad es. riconosciuto solo in una foto e non nelle altre dell’album fotografico loro mostrato). Parallelamente il P.M. di Perugia portava avanti uno spunto investigativo completamente diverso relativamente al decesso del Narducci. In tal caso l’assunto accusatorio è partito dal presupposto che il Narducci, morto nel lago Trasimeno un mese dopo l’ultimo duplice omicidio del 1985, sarebbe coinvolto negli omicidi di Firenze e dintorni. I carabinieri e la Questura di Perugia hanno prodotto una amplissima mole di atti in proposito. Le indagini nel momento centrale degli anni 2003/2005 sono state collegate a quelle effettuate dai P.M. di Firenze. I presupposti erano diversi: a Perugia il proc. aveva tratto origine da segnalazioni di vario genere, nonché da intercettazioni telefoniche a terzi. L’indagine perugina si fondò sul presupposto che il Narducci non fosse morto di morte naturale, come si era fatto credere, e si scoprirà la sussistenza di un doppio cadavere. La famiglia Narducci aveva in qualche modo ostacolato la attività di indagine su quella morte, non essendo stata effettuata nemmeno l‘autopsia del cadavere, sospettandosi favoreggiamenti di pubblici uffici dell’epoca. Si pensava in un primo momento ad un suicidio ma subito le indagini si indirizzarono proprio
sul Calamandrei, il quale, insieme ad altri venne indagato per l’omicidio del Narducci, ma nelle more della decisione del presente proc. pen. giungeva notizia che l’indagine perugina era stata archiviata dal G.I.P. di quel Tribunale. Sembrerebbero accertate, sia pur nel modo contraddittorio che sarà riportato infra, tanto la sua presenza in San Casciano, quanto i rapporti col Calamandrei, ma nulla di più. Non è provata nemmeno la sua partecipazione ai cd. “festini”, avendone parlato solo un paio di prostitute ma più per occasionali rapporti sessuali. Le sue perversioni sono state descritte da alcune pp.ii.ff a Firenze e a Perugia. In particolare appaiono di un qualche interesse due verbali della A.G. di Perugia concernenti le dichiarazioni rese dai suoi colleghi di Ospedale Farroni Ferruccio e Morelli Antonio, sentiti dal P.M. 70

70 (Farroni vol. Ill pag. 201-204, Morelli pag. 177)

pag. 174

Secondo l’assunto accusatorio 71 le indagini di Perugia sul Narducci erano confluite in modo specifico sul dato concernente il gruppo degli “intellettuali” orbitanti nel comune di S. Casciano. Le indagini avevano portato gli inquirenti a ritenere sussistente un’abitazione in un luogo nei pressi di San Casciano, asserendosi che il Narducci sarebbe stato ospite della villa “la Sfacciata” ed il P.M. 72 ha evidenziato come tutto l’incartamento di Perugia dimostrerebbe come quella indagine avrebbe chiarito bene il contesto della morte del medico, essendosi risaliti alle sue frequentazioni, ai suoi contatti, alla sua amicizia con il Calamandrei che sono scaturiti nella sua morte violenta relativa prova del fatto che costui si sarebbe ammazzato. Il P.M. – a pag. 76 – ha parlato di “una situazione oggettiva”, maturata nel tempo, che vedeva il coinvolgimento del Narducci nelle storie di Firenze, essendosi provata la sua presenza costante a San Casciano, ove dormiva presso la villa “La Sfacciata”, essendo strettamente legato a Calamandrei. A pag. 89 della requisitoria si evidenzia un contributo notevole della Procura di Perugia, per quel che riguarda la prova del binomio Narducci- Calamandrei da una parte, e killer dall’altra. Nella discussione dell’Avv. Corbi (difensore di parte civile) a pag. 44 ha parlato della vicenda Narducci “con una rilevanza decisiva nel processo”; a pag. 45 rilevava il legame con la dependance della villa “La Sfacciata” e con San Casciano. A pag. 46 evidenziava che si era trattato di un suicidio e sottolineava, anche, il comportamento serbato dalla sorella del Narducci, laddove costei risultava aver partecipato a sedute spiritiche e ciò sarebbe significativo anche della prova che i familiari o, comunque, un componente della famiglia avesse la quasi certezza sul coinvolgimento del proprio congiunto.

Anche nella requisitoria si Publico Ministero Dott. Crini” 73 si è parlato di dette sedute della sorella definite “mistiche”. A un certo punto 74 il P.M. sottolineava come la sorella del Narducci “conduceva al movente della morte del Narducci”. Quest’ultimo, dunque, avrebbe rappresentato l’ultimo elemento determinante nel contesto che portava al riconoscimento del Calamandrei come trad d’union tra i mandanti gaudenti e i killer prezzolati.

71 (v. pag. 59 della requisitoria del Pubblico Ministero Dott. Canessa del 28 novembre 2007)
72 (v. pag. 75 della requisitoria)
73 (udienza del 21 gennaio 2008 – pag. 95)
74 pag. 98 sempre della requisitoria del 21 gennaio

Deve, perciò, partirsi dal dato della presenza del Narducci in San Casciano: dall’annotazione di P.G. del 17.3.2005, relativa all’audizione di Tamara Martellini, la quale era stata sentita, senza una vera e propria verbalizzazione, presso la Caserma dei Carabinieri di San Casciano, emerge che nel corso di un colloquio con la stessa, registrato a sua insaputa, la Martellini aveva dichiarato di aver visto Narducci in farmacia una volta e poi altre due volte nella piazza di San Casciano, sempre vestito con una polo e sempre con pantaloni e stivali da cavallerizzo. Tale personaggio era stato da lei notato tra il 1979 e il 1981. Nell’annotazione si aggiungeva che la Martellini aveva circostanziato tale periodo, poiché lo riconduceva ad a sua situazione di vita personale. Poi la Martellini riferiva che tale personaggio l’aveva riconosciuto nelle fotografie mostrate dal Dott. Giuttari. Costei sarà risentita il 30 marzo 2005, e, cioè, tre giorni dopo, e nell’occasione precisava che il periodo non era quello dal 1979 all’81 ma quel 1979 all’80, essendosi ricordata che dall’81 non abitava più a San Casciano, ma a Decimo. Poi aggiungeva che aveva chiesto al suo ex marito 75, chi potesse essere l’uomo con quei modi “eleganti e raffinati, vestito da cavallerizzo”, e lo stesso le diceva che poteva trattarsi di uno legato al tennis del posto. Nel  corso di detta conversazione, registrata ma non sottoscritta, venivano mostrate alla Martellini le copie delle fotografie 1 e 3 dell’album fotografico predisposto dal Gides di Firenze, e nell’occasione essa riconosceva il detto soggetto nelle foto nn. 1 e 3, riferite all’effige di Narducci Francesco. Non è dato sapere se nell’occasione la P.G. avesse mostrato alla Martellini l’album fotografico che in precedenza era stato sottoposto anche ad altre pp.ii.ff., il quale conteneva l’effige del Narducci anche nelle foto nn. 2 e 4. Poi, sempre relativamente alla Martellini, in punto di presenza del Narducci a San Casciano, vi sono le s.i.t. ai P.M. Dott. Canessa e Mignini negli uffici della Procura della Repubblica a di Firenze il 30 marzo 2005 ove, però, non risulta esservi stata individuazione fotografica, essendole state poste solo delle domande. La Martellini, dopo aver confermato integralmente, a pag. 2, quanto detto sia ai Carabinieri che alla Polizia in merito “a quel giovane incontrato nella farmacia del Calamandrei, vestito in maglietta Lacoste con stivale per equitazione”, faceva una prima precisazione: “…vorrei precisare che la Lacoste era celeste e non azzurra”, aggiungendo: “Questo giovane,
oltre che in farmacia, l’ho incontrato un altro paio di volte, oltre che nella farmacia anche un altro paio di volte. Era in piazza Pierozzi a San Casciano.

75 (L’Arch. Gianni Ceccatelli, anch’egli sentito più volte nel corso delle indagini, che già aveva riconosciuto e parlato del Narducci)

Era ugualmente vestito da equitazione con stivali e maglietta Lacoste. Era solo. Non ci siamo salutati, era lo stesso periodo d’estate. Ricordo che aveva gli stivali sporchi, quindi era già stato a cavallo, non saprei dire dove”.

Vi sono poi le dichiarazioni s.i.t. rese da Nesi Lorenzo il 4 aprile 2003 dinanzi al Dott. Giuttari: “A questo punto l’ufficio” – pag. 2 – “mostra al Nesi un album fotografico, contrassegnato con il numero 1 del 2003. E si chiede se conosce qualcuna delle persone effigiate”. Il Nesi rispondeva: “la persona raffigurata nella foto numero due l’ho vista sicuramente a San Casciano. Ne sono proprio certo e credo che abitasse in una villa o comunque una strada colonica grossa che si trova sulla strada che da San Casciano va verso Cerbaia e precisamente vicino alla chiesa di San Martino. Non era sicuramente una persona del posto e mi sembra di ricordare di averla vista insieme al farmacista di San Casciano che si chiama Francesco Calamandrei. Su questo punto non sono proprio certo”, “Ma ribadisco con la massima certezza che questa persona raffigurata nella foto numero due l’ho vista a San Casciano. Questo è proprio fuori discussione” “l’ho visto con un omone, e ricordo che correva voce che fosse gay” Il Nesi aggiungeva: “Mi viene adesso in mente una persona che dai miei ricordi mi sembra che frequentasse sia l’omone di cui ho parlato sia la persona contrassegnata con la foto numero due, il Narducci. A occhio e Croce nell’arco di tempo va dal 75
all’82. La persona della foto numero tre, anche dall’andamento delle dichiarazioni, rassomiglia alla precedente, ma la persona di cui ho parlato è proprio quella della foto numero 2. 76 La persona riprodotta nella foto numero 4 la riconosco ed è la stessa ritratta nella foto numero 2”. E l’ufficio dava atto che le foto nn. 1, 2,3 e 4 rappresentano proprio le effigi del Narducci. AI Nesi veniva nuovamente mostrato l’album fotografico e costui rispondeva testualmente: “Apprendo che la persona riprodotta nella foto numero 1 è la stessa delle foto 2,3 e 4. In effetti vi è una rassomiglianza specie negli occhi. Ma io questa persona la conobbi come raffigurata nelle foto 2 e 4. Il nome Narducci Francesco non mi dice nulla”. A domanda, “ci dica quello che lei ricorda sui Personaggi del gruppo da lei definito altolocato ed eccentrico”,
pag. 4 il Nesi replicava: “Era un gruppo che era formato da questi personaggi, cioè dalla persona che ho saputo chiamarsi Narducci, dall’omone, dal marito della sorella del Calamandrei, da Francesco Calamandrei, dal cugino dell’attore Giorgio Albertazzi”. I militari chiedevano: “Si ricorda che macchina aveva il Narducci Francesco?” e il Nesi rispondeva: “Aveva una macchina

76 Quindi il Nesi non aveva abbinato con sicurezza la foto numero 3 al Narducci

grande, però non so di più”. Alla successiva domanda: “come le risulta che l’’omone e Narducci abitavano sulla strada per Cerbaia dopo la chiesa di San Martino?”.. “Dove ha visto a San Casciano l’’omone e il Narducci?” il Nesi replicava: “ricordo di averli visti in piazza, al bar, quello stesso frequentato anche da me e da Vanni”. Poi a pag. 5 costui precisava ancora: “la persona di cui alle foto 2 e 4, Narducci cioè, la vidi sicuramente con Francesco Calamandrei, poi col cognato pittore, poi con la sorella del Calamandrei”….“Si frequentavano anche andando al mare o a cena”. “Al mare andavano nel grossetano. Ma non so dire il posto preciso. Ai ristoranti, credo che andassero al Ponte Rotto e poi anche all’Antica Posta e nei luoghi più vari, li sentii parlare al bar che andavano a cena”.

Ulteriori sommarie informazioni testimoniali vennero rese dal Nesi l’8 aprile 2003 circa il gruppo degli intellettuali: “Confermo quanto da me dichiarato in data 4 aprile. Successivamente alla verbalizzazione sono tornato a casa e ho infatti nella giornata di sabato ho tentato di mettermi in contatto con qualcuno. Nella giornata di lunedì sono riuscito a contattare il dottor Giuttari tramite il centralino della Questura, al quale ho spiegato i nuovi particolari che mi sono ricordato. In particolare ho ripensato alla persona da me indicata come omone. Aveva una camminata particolare, perché andava impettito a testa alta, ancora ricordo che lo stesso si chiamava “Vitta”. “Ricordo che era  il Vitta la persona da me indicata come l’omone. E che era sempre insieme alla persona da me riconosciuta nella foto due e quattro, aveva in uso diverse auto di grossa cilindrata, Mercedes di colore scuro, in massima parte targate Milano, e voglio precisare con assoluta certezza che a San Casciano molte persone, tra cui il Vanni Mario, conoscevano il Vitta. Posso dire che in qualsiasi bar di San Casciano all’epoca si parlava del Vitta, conosciuto come persona facoltosa. Il Vitta si accompagnava spesso anche con il Calamandrei Francesco e con la persona da me riconosciuta come il Narducci.” “Ricordo che il Vitta abitava in una villa che si trova proprio all’incrocio fra via della Mucciana e la strada che discende verso Cerbaia. Della stessa ricordo che aveva un muro alto di cinta e cipressi…. Vorrei aggiungere che da quello che ricordo probabilmente anche Pietro Pacciani conosceva il Vitta, perché se non ricordo male era stato a lavorare come contadino presso i poderi di quest’ultimo.”

Altra persona informata sui fatti è Pucci Fernando, sentito il 3 giugno 2003 dall’Ispettore Castelli e dal Dott. Giuttari. A domanda circa la sua frequentazione del bar di San Casciano costui riferiva che lo frequentava quasi sempre il sabato pomeriggio, e poi gli veniva mostrato l’album numero 4 del 2003. Il Pucci dichiarava: “a persona della foto numero 1 l’ho vista al bar. Era magro, era un tipo “finocchino”. L’ho visto che chiacchierava con Giancarlo, ma Giancarlo non mi ha mai spiegato nulla. La persona della foto numero 3 è la stessa della precedente ma io ho un ricordo più preciso di quella guardando la numero uno”. Sembrerebbe anche qui che il Pucci non riconoscesse il Narducci nelle foto nn. 2 e 4. Poi, osservando la foto n. 33 (corrispondente all’odierno imputato) sosteneva di conoscerlo. A pag. 2 Pucci: “posso dire anche che tra tutte le persone da me riconosciute nelle foto quella delle foto 1 e 3” (cioè Narducci) “la vedevo insieme a quella della foto 36”, (cioè Vitta)”, “mentre le altre nei miei ricordi erano….Ricordo bene che l’omone nella foto 36, che mi avete detto chiamarsi Vitta, era sempre con la persona della foto 1 e 3 che ho definito “finocchino”.

Anche Ghiribelli Gabriella a domanda specifica, se il cittadino di colore da lei riconosciuto dal soprannome di “Uli”, fosse solito frequentare anche il medico di Perugia ribadiva: “Sono certa che si conoscessero in quanto in alcune occasioni li ho visti parlare insieme, successivamente andare insieme il medico di Perugia e Uli, sempre a bordo dell’auto di quest’ultimo”. Tale circostanza, peraltro, doveva essere inverosimile perché la Ghiribelli era andata ad abitare a San Casciano dopo la metà dell’84 dimorandovi fino all’86, ma l’Uli, vale a dire il Parker, insieme al Reineker ai primi dell’84 “se la dette a gambe levate”, mentre lei asseriva di essere certa di averla vista anche a bordo della macchina di quest’ultimo, cioè del Parker. Ancora a pag. 3: “Da quanto tempo non ha più visto Uli?” e la Ghiribelli ricordo che Uli è sparito dalla circolazione nel periodo in cui fu pubblicato sui quotidiani, il fatto che il Pacciani era stato indagato per i delitti del mostro di Firenze, da quel periodo io non l’ho più visto in giro”:  appare un fatto notorio che il Pacciani sia stato indagato solo nell’anno 1991.

Sommarie informazioni rese da Ciulli Pietro, fratello di Ciulli Mariella, del 23 Luglio 2003, pag. 271 nell’incartamento generale: “Riconosco il Narducci, può darsi che l’abbia visto al matrimonio di mia sorella” avvenuto peraltro nell’anno 1969, e all’epoca il Narducci aveva 20 anni. Però poi aggiungeva alternativamente che poteva averlo visto anche in farmacia.

Sommarie informazioni rese il 1° agosto 2003 da Nesi Lorenzo a pagina 1: “oggi quando mi avete mostrato la foto con raffigurato una persona di colore o riconosciuto senza dubbio come persona che ho visto negli anni ’70-’80 a San Casciano e dintorni, preciso meglio, sono sicuro di averlo visto in più occasioni a mangiare alla trattoria Ponte Rotto denominata “da Silvano”. Ricordo che oltre a me…c’erano anche il Nesi Rolando…ricordo ancora che in trattoria ho visto mangiare insieme in differenti occasioni la persona di colore sia con il biondino che ho riconosciuto nella foto n. 2, che sarebbe il Narducci, sia con Giancarlo Lotti”. Sul punto, tuttavia, occorre richiamare quanto riferito dai titolari del locale e cioè Matteuzzi Silvano ed il figlio, che hanno entrambi escluso di aver mai visto nel loro locale il Narducci. Poi a pag. 2: “..riconosco senza dubbio la persona che si accompagnava e che riconosco nella foto 3. Sono certo che la persona raffigurata nella fo numero 1, Parker, l’ho visto più volte a mangiare insieme al biondino”.

Sommarie informazioni rese da Pucci Fernando il 4 Agosto 2003, ove costui parlava del Narducci, del Parker, del Sertori, dello lacchia, del Lotti, “che mangiavano insieme al Ponte Rotto e rombavano e parlavano di festini “. “Alla trattoria del Ponte Rotto c’era anche la persona della foto numero 11 da me riconosciuta la volta scorsa 77 che chiamavano il “finocchino” e quest’ultimo però non c’era spesso, mentre gli altri li vedevo di frequente”.

Circa quest’ultimo teste il difensore dell’imputato allegava la relazione di consulenza tecnica collegiale di ufficio del Prof. Ugo Fornari e del prof. Marco Ragazzi del 24.12.96, nella quale, dopo aver riferito della documentazione antecedente al loro intervento, con la quale il Pucci nel 1983 era stato riconosciuto invalido al 100% per grave oligofrenia, concludevano che “nel Pucci c’è presenza di disturbi della personalità e di un ritardo mentale non esattamente quantificabile”.

Sommarie informazioni testimoniali rese da Vanni Roberto l’11 Agosto 2004  78: “Voglio riferire una circostanza, che lo scorso anno 79 mentre mi trovavo in Umbria per una partita di pallavolo del San Casciano contro una squadra umbra che però ora non ricordo il nome, alcuni dirigenti della squadra avversaria, quando seppero che io ero di San Casciano mi dissero che loro sapevano che il mostro era di Perugia, ed era un dottore che faceva parte di una setta che commetteva questi delitti”, l’ufficio dava atto che veniva mostrata una foto che ritraeva Narducci Francesco, e il Vanni dichiarava: “Posso affermare con certezza che riconosco sicuramente la persona raffigurata ma in questo

77 (che sarebbe il Narducci)
78 pag. 1264 dell’incarto generale
79 vale a dire il 2003

momento non riesco a localizzare le circostanze in cui l’ho riconosciuto, posso dirvi, che se la faccia non mi è nuova, significa che sicuramente è persona vista più volte e non escludo in qualche altro posto che frequentavo, preciso che intendo dire che questa persona l’ho sicuramente inquadrato in quanto ha attirato la mia attenzione”.

Poi vi sono le ss.ii.tt. rese da Pellecchia Marzia, la quale aveva riconosciuto il Narducci, come il giovane che faceva parte di un gruppo di “gozzilloni”, insieme alla Martellini che se la portava dietro, pagg. 1 e 2, non però nella Villa La Sfacciata, e nemmeno nella stamberga di via di Faltignano, avendo parlato di un’altra catapecchia.

Anche Nicoletti Filippa, la quale già è stata menzionata supra, essendo una prostituta ben nota, compagna di Indovino e amica del Lotti, ha chiarato di aver conosciuto il Narducci allorché, sentita dalla P.G. l’11 settembre 2003, riconosceva una foto di quest’ultimo. Ella dichiarava che all’epoca (anno 1981) il suo convivente Indovino era in carcere. A proposito del soggetto effigiato nella foto la Nicoletti dichiarava testualmente che si trattava di “persona molto fine ed elegante, che parlava bene e che non era di Firenze” ma non sapeva dire di dove fosse. Aggiungeva di averlo visto alla trattoria “La Lampara” di Via Nazionale a Firenze, ove avevano mangiato insieme, ma  non ricordava se con lui ci fosse qualcun altro. Era stata una cosa passeggera e forse si era presentato come fotografo. Non ricordava se avesse avuto rapporti sessuali con lui ma se c’era la Ghiribelli era un cliente che si sarebbe tenuto certame e per sé, non condividendolo, perché “non mi ci faceva arrivare”. La Nicoletti ne tratteggiava le fattezze fisiche descrivendolo come una persona “con un fisico molto ben curato, alto, atletico quando lo vidi era proprio come ritratto della foto 15. Aggiungeva che poteva darsi che ci fosse andata anche a letto, ma non lo ricordava, pur descrivendolo molto bene. Di questa persona la p.i.f. ricordava che aveva un modo di fare vanitoso, ci teneva a dirle che era una persona buona e risultava molto esuberante, avendo la medesima sua età all’epoca. Si esprimeva in perfetto italiano, aggiungendo: “Ho un ricordo come se mi abbia detto di abitare a Prato. Non lo rividi più”.

Martellini Tamara, già menzionata supra, rilasciava ulteriori dichiarazioni l’11 settembre 2003: le veniva mostrato l’album n. 2103 e riconosceva il Narducci, che indossava stivali da cavallerizzo – a pag. 3 – poi proseguiva: “la persona raffigurata nella foto numero 15 non mi è un viso nuovo ma non riesco a ricordare francamente dove l’ho visto; del fatto che andasse con il Calamandrei non sono proprio sicuro ma non riesco francamente a ricordare dove l’ho visto, ora che lo sto riguardando, ricordo di averlo visto in farmacia e nell’occasione aveva gli stivali di equitazione”. Sul punto occorre riferire che nelle sommarie informazioni testimoniali rese da Spagnoli Francesca, moglie del Narducci, in data 28.09.2002 costei diceva: Francesco non ha mai avuto stivali da cavallerizzo”. La Martellini poi riferiva: “Nella foto numero 2 riconosco Calamandrei, nella foto numero 4, voi mi dite che si tratta sempre del Calamandrei” pag. 3, “io vedo una forte somiglianza con il rappresentante all’epoca della casa Christian Dior – settore profumeria e che era un ottimo amico del Calamandrei.”

Sommarie informazioni testimoniali rese ancora da Ceccatelli Giovanni 80 dell’8 Ottobre 2003: “La persona raffigurata nella foto numero 10 ha un volto da me conosciuto, lo associo ad una persona vista, se non sbaglio a Viareggio insieme al Calamandrei, in occasione di una visita di una barca che Francesco voleva acquistare”.

Sommarie informazioni testimoniali rese il 6 e il 9.11.2001 da Jorge Emilia Maria Alves, che all’epoca dei fatti frequenta l’Avv. Giuseppe lommi, uno degli amici del Calamandrei, nelle quali in riferimento al Narducci dichiarava che, essendosi rivolta ad un’agenzia privata di investigazioni, che si chiamava “La Segretissima”, le fu riferito che la persona che le era stato indicato quale “Francesco di Foligno” che a Perugia era considerato come “il mostro di Firenze”, in realtà si chiamava Narducci e che apparteneva ad una famiglia molto importante di Perugia, che era stato trovato morto annegato nel lago Trasimeno un mese dopo l’ultimo delitto.

Sommarie informazioni testimoniali rese da lommi Giuseppe il 10.4.2003 dinnanzi al P.M.: “Non conosco l’avvocato Alberto Corsi che lei mi dice essere di San Casciano. Conosco invece l’avvocato Francesco Corsi che è professore di diritto commerciale. Lo conosco perché è il nipote dell’avvocato Guido Rocchi con cui iniziai a lavorare negli anni 68-69 e nel cui studio sono rimasto dopo la sua morte. Lei mi chiede se conosco qualche avvocato che abita a San Casciano ed io le dico che a San Casciano non conosco nessun avvocato… Conosco l’Avvocato Giorgio Lapi. Anche lui era nello studio Rocchi insieme all’avvocato Sacchettini. L’avvocato Lapi non esercita più da tempo, abita all’Impruneta da tantissimi anni. Mi è capitato a volte di andare a

80 (ex marito della Martellini)

casa sua all’Impruneta o di pomeriggio o a cena anche in compagnia di mia moglie e dei miei figli. E’ capitato anche che lui sia venuto a casa
nostra… Conosco Perugia per aver a volte visitato le sue bellezze artistiche ma non ho amici a Perugia. Ho avuto invece rapporti professionali per molti anni perché ho avuto varie cause in quella città. Tutto nacque negli anni 84-85 ma, se necessario, potrei verificare le date esatte. Si è trattato di incarichi che ho avuto a seguito di una sollecitazione di professionisti di Perugia che mi hanno portato a curare cause di due loro clienti che già avevano come legale l’avvocato Lamberto Bigi di Siena. Le clienti erano due signore di Siena ed esattamente la signora Erika Bartsch vedova Stoppini e Maria Luisa Stoppini le quali avevano l’albergo Palace Bellavista di Perugia di proprietà della s.n.c. Fratelli Stoppini. Quest’incarico ha riguardato varie cause finite intorno al 98 e chiuse con una faticosa transazione. Mi è capitato per questo motivo di recarmi spesso a Perugia sia presso gli uffici giudiziari e presso i clienti, soprattutto lo studio Scassellatti Sforzolini. Gli incontri avvenivano generalmente o presso l’albergo Palace Bellavista o presso lo studio Scassellatti Sforzolini… Non conosco nessuna persona di Perugia che frequentasse Firenze o che frequenti Firenze ora…Il nome Francesco Narducci è un nome per me nuovo. Non conosco alcuna persona con questo nome. L’ho letto per la prima volta nel biglietto di convocazione che ho ricevuto per oggi. Alcuni colleghi di studio, con i quali ho parlato della mia convocazione, mi hanno spiegato che è un nome apparso recentemente nelle cronache dei giornali e mi hanno raccontato sommariamente ciò che hanno letto. Loro mi dicono che lavorava con tale prof. Morelli. Anche questo nome non mi dice niente. Non ho mai avuto auto targate Perugia. Non ho neppure mai usato occasionalmente auto con la targa Perugia. Non ho mai auto di colore verde ne tantomeno ho usato auto di quel colore, targate Perugia. Loro mi dicono che questo Francesco Narducci aveva un Citroen CX targata Perugia. Escludo di averla mai vista nè tanto meno usata. Mi viene a questo punto mostrata la foto n.l  allegata alla nota della Squadra Mobile di Firenze del 5.4.2003 in atti. Escludo di avere mai visto la persona raffigurata in quella foto anche se debbo dire che è un volto abbastanza comune come caratteristiche, ma non certo perché mi ricorda qualcuno da me conosciuto. Mi vengono a questo punto mostrate oltre alla foto n.1 anche le foto n.2,3,4 dello stesso album e mi viene detto che rappresentano Francesco Narducci. Confermo che non conosco in alcun nodo la persona raffigurata in dette foto…. Sono andato all’Isola d’Elba in vacanza per alcuni anni alla fine degli anni 50 e poi successivamente, diverse volte nei primi anni 70 in quanto avevamo una multiproprietà in un residence di Procchio che in verità abbiamo ancora ma nel quale non andiamo più da tempo. Non conosco nessuno dei rappresentanti della famiglia Spagnoli di Perugia. Non conosco Gianni Spagnoli che voi mi dite essere il suocero di Francesco Narducci. Mi viene spiegato che Francesco Narducci era un medico gastroenterologo che aveva tra l’altro insegnato negli USA. La cosa non mi dice niente… La zona dell’Argentario l’ho frequentata molto poco. Ho avuto però degli amici che hanno una proprietà sopra Porto Ercole. Si tratta di Domenico Orsini e della moglie. Non conosco alcun medico di Perugia di nome Francesco… Conosco l’avvocatessa Maria Luisa Orlandini. Ha avuto rapporti di lavoro con il mio studio negli anni 75-80 per quel che ricordo. Si è occupata del recupero di alcuni crediti. Mi sono occupato di alcune vicende giudiziarie relative alla sua separazione dal marito professore Francesco Romano. Mi sembra, non ho ricordi precisi, che l’avvocatessa Orlandini sia venuta all’Elba. Niente so dire di interventi dei carabinieri nel luogo dove l’avvocatessa Orlandini alloggiava all’Elba. La circostanza è a me ignota e l’apprendo ora. Mi si fa presente che tale circostanza potrebbe essere stata anche un argomento nella causa della separazione dell’avvocatessa Orlandini, Niente ne so; per essere più preciso voglio aggiungere che il merito di tale cause lo curava direttamente la avvocatessa Orlandini. Io mi occupavo ovviamente della causa e degli atti, ma per quel che è il mio ricordo, una circostanza del genere non l’ho certamente memorizzata. Mi sembra anzi che la causa fu sistemata. Mi si chiede se ho conosciuto ortopedici che hanno lavorato o lavorano a Firenze. Ho conosciuto senz’altro il prof. Marchetti Pier Giorgio: era un mio compagno di collegio alla Querce. Ora è al Rizzoli di Bologna. Conosco Piero Salvi che è ortopedico a Firenze. Il nome Jacchia è legato ad un ortopedico di Firenze che è venuto per una sua vicenda personale sulle cronache dei giornali. Quel nome m’impressionò quando lo lessi sui giornali per ricordai di aver avuto un compagno di studi alla Querce alla fine degli anni 40-50. Non l’ho più rivisto e non ho saputo se lo Jacchia di cui si parlava sui giornali era il mio giornale. Ricordo solo un particolare o cioè la mamma era di Padova ed era bellissima, aveva gli occhi verdi. Loro mi fanno presente che, per quanto noto all’ufficio ortopedico Jacchia è nato a Padova e che potrebbe essere proprio il mio compagno di collegio, ma non posso dire niente di più in proposito… Sono stato in passato d’estate 2 o 3 volte a Cortina per periodi di circa 10 giorni, della signora Anna Maria Tulini vedova Menarini di Firenze. Ciò è avvenuto dopo il 1985. Mi viene a questo punto mostrata la foto n. 5 l’album della Questura indicato all’inizio. Mi si dice che raffigura Narducci Pierluca fratello di Francesco. Anche tale foto non mi dice niente”.

Sommarie informazioni testimoniali rese da Malvedu Gises il 24 novembre 2004: esse rientrano nell’ambito di quelle dichiarazioni farneticanti e fantasiose, spesso presenti nell’ambito del presente proc. pen.

Costei, dopo aver riferito che era a Firenze e dormiva in una tenda verso il Piazzale Michelangelo, dichiarava che ad un certo punto due uomini aprirono la tenda e allora lei scappò spaventata, trovando sulla strada due soggetti che la volevano aiutare, riconoscendoli nelle foto del Calamandrei e del Narducci; nella foto contraddistinta dal n. 8 le sembrava di riconoscere uno degli uomini che le prestarono soccorso e che poi le mostrarono le foto 3 e 5. La P.G. dava atto che nelle foto 3 e 5 era ritratto Narducci Francesco e nella foto 8 Calamandrei Francesco. Nelle dichiarazioni del 18 Dicembre 2004 la Malvetu testualmente diceva :“Leggendo il Corriere della Sera del 4/12/2004 vi posso certificare senza ombra di dubbio che ho riconosciuto anche il Lotti anche in particolare, riconosco Fernando e poi il viso non me lo ricordo,  Camanga, uguale, le raccordo il nome Camanga”. Costei scriveva una lettera il 21 Aprile 2005, all’Ispettore Borghi, dove riferiva: “ho trovato altre ipotesi che conferma quello che già vi ho parlato, sono convinta al 100% di essere stata manipolata dai mostri di Firenze senza saperlo”, e poi dirà di essere stata interrogata all’epoca su questa circostanza anche dal “poliziotto Ubaldo Nannucci”.

Altre dichiarazioni farneticanti sono quelle rese il 20 Aprile 2005 dinanzi ai P.M. Dott. Mignini e dott. Crini in Roma, negli uffici della Carlizzi, sempre quale p.i.f., da Marinacci Elisabetta, la quale riferiva: “Premetto che io sono amica da lunga data di Silvia Salomone 81 che ho conosciuto al conservatorio di Santa Cecilia. Circa quattro anni fui trasferita alla cattedra musicale dell’Istituto Marco Polo, presso la scuola media Franco Ferrara di Roma. Recentemente parlando con Silvia le ho detto dove insegnavo, e per rimarcare questa affermazione e anche il fatto che il Ferrara fosse stato nostro docenti di direzione di orchestra, Silvia ha mostrato un vivo interesse per questa figura, mi ha fatto capire che avrebbe gradito sapere qualcosa di più di questo personaggio, poi mi ha invitato a parlare dell’argomento con Gabriela Carlizzi amica della stessa che io non conoscevo, poi ho avuto un colloquio con quest’ultima, con la mia amica Silvia, mi pare fosse Gennaio di quest’anno 82. Poi mi ha fatto domande sui rapporti di mio padre nell’ambiente fiorentino e io le ho raccontato quanto avrei riferito alle sezione di P.G. di

81 (direttore all’epoca della stazione ferroviaria di Firenze S.M. Novella)
82 (e quindi del 2005)

Perugia. Nel ’73 mio padre si era operato di ernia al disco presso il professor Scaglietti di Firenze e che sia per questo episodio, sia per la paraplegia che lo colpì in seguito all’incidente automobilistico che subì nell’anno ’96, mio padre ha poi frequentato il centro traumatologico ortopedico di Firenze, tra i quali collaboratori di Scaglietti c’era anche lachia”…“L’episodio di P.G. che ho descritto è accaduto pochi mesi prima della morte di mio padre, morto esattamente il giorno prima dell’omicidio degli Scopeti, il 7 Settembre 1985. Durante il viaggio verso Milano decidemmo di fermarci a San Casciano perché io dovevo fare una tesi di storia della musica e stavo approfondendo il periodo medioevale… Mio padre soffriva di disturbi gastrici che derivava dall’immobilità e quindi entrammo nel centro di San Casciano, c’è un’unica farmacia, che so essere quella del dottor Calamandrei e ci siamo recati per acquistare il farmaco Exen che mio padre assumeva per i disturbi. Quando siamo entrati erano presenti in farmacia, il titolare, un uomo di 40-45 anni, abbastanza robusto e uno più magro e molto meno alto del farmacista che ho saputo essere il farmacista. Ricordo che aveva questi capelli scuri, la pelle del volto piuttosto scura e l’espressione torva”.

La P.G. mostrava l’album fotografico, e la Marinacci diceva: “l’uomo che vedo raffigurato nella foto l’ho visto altre volte e non escludo che possa essere il giornalista conosciuto nella farmacia di Calamandrei 83. L’uomo che vedo potrebbe essere il farmacista anche se quello era più giovane. Da come il farmacista si è rivolto a mio padre avuto la sensazione che si conoscessero; nel presentarmi il farmacista mio padre mi disse che era il dottor Calamandrei; anche il giornalista presente conosceva di fama mio padre il quale ha cominciato a appresentare i suoi problemi di salute. A questo punto il giornalista rivolto al Calamandrei, gli ha suggerito di fare una visita dal Dottor Narducci di Perugia e il Calamandrei ha convenuto con il giornalista; anche mio padre ha detto di conoscere di fama il Narducci. Pensavo che dovessimo recarci a Perugia per la visita, e invece il farmacista parlando a telefono con quest’ultimo 84 che chiamò in quel momento si senti dire che tanto quest’ultimo si sarebbe dovuto recare a San Casciano Val di Pesa entro un paio di giorni e a quel punto il farmacista gli ha detto che poteva visitare mio padre nell’ambulatorio annesso alla farmacia e l’appuntamento  fu così fissato. Aggiungo anche che circa due anni prima mi ero allontanata da casa dopo una lite con i miei genitori accettando di

84 (la P.G. dava atto che si trattava dell’effige del giornalista Spezi)
85 (e, cioè, con il dottor Narducci)

presentarmi nella zona di Tor Vergara, che aveva inserito un annuncio di lavoro sul quotidiano il Messaggero. E questo medico che aveva inserito un annuncio sul Messaggero, mi ha tenuta segregata con violenze e minacce nella mia abitazione per circa quattro mesi e durante questo periodo mi ha portato anche in Toscana ma non ricordo dove; all’epoca quest’uomo aveva 48 anni, rammento anche che questi aveva amicizie molto importanti. Posso dire che al momento di lasciare la farmacia, sentii il giornalista rivolgersi al farmacista chiedendogli, “è uno dei nostri?”, alludendo a mio padre. La cosa mi colpì tanto che in auto chiesi a mio padre spiegazioni di quell’espressione ma mio padre non mi rispose come faceva quando non voleva ci interessassimo di queste cose. Non so se questa domanda potesse alludere alla massoneria, di cui comunque ho sentito parlare in casa, dopo un paio di giorni tornammo alla farmacia del dottor Calamandrei e lì incontrammo un dottore che mi venne presentato come il dottor Francesco Narducci. Posso dire che quest’uomo, avrà avuto trent’anni, mi colpì per il bell’aspetto, aveva capelli e occhi chiari, all’incirca uno e settanta, lo riconosco perfettamente, non c’è dubbio, 1, 2, 3 e 4, ma in particolare nel foto numero 2. Era una persona distinta, vidi che parlava con il farmacista e mi sembrò proprio che si dessero del tu, dopo un breve colloquio salimmo al piano superiore della farmacia e quindi con il dottor Narducci, la visita durò circa un’ora e anche il Narducci consigliò l’intervento suggerendo a mio padre una gastroscopia; aggiungo anche che mio padre frequentava personaggi importanti come Saragat, Gronchi, Piccioni e conosceva bene Gianni Ferrio e la cantante Mina”.

Il Narducci, che poi lei aveva riconosciuto era stato introdotto dal musicista Ferrara, nominato nelle dichiarazioni di Fargi Simonetta del 27.4.2006, la quale riferiva, per il punto che qui interessa, che lei era la nipote della sarta amica del Vinci e quest’ultimo gli aveva riferito che in realtà il “mostro di Firenze” non era il Pacciani ma il figlio naturale del musicista Ferrara, il quale all’epoca del ’68 soggiornava in Castelletti a Lastra a Signa, era un depravato ed alcolizzato, cliente della Locci, e sosteneva che quella sera non fu il Mele, che era stato condannato con sentenza passato in giudicato, a commettere gli omicidi ma il Ferrara, di cui ha parlato anche la Marinacci, il quale sparò con la calibro 22 che aveva lui, e che poi aveva passato al giornalista, suo figlio naturale, il quale poi con la medesima pistola avrebbe commesso tutti i successivi sette duplici omicidi, protetto prima dal Questore Corrias, che era come lui sardo, che, a sua volta, proteggeva i sardi che operavano i sequestri in Toscana, e poi che era ugualmente stato coperto dal dottor Manganelli, all’epoca non ancora capo della polizia.

Occorre ora far riferimento al fascicolo n. 5/96 squadra mobile Sam, datato 25 Gennaio 1996, nel quale risulta allegato il verbale delle sit rese da Ulivelli, gestore del bar Centrale di S. Casciano, il 17 Gennaio 1996. A domanda, “Se tra i suoi clienti figurano Lotti Giancarlo, Vanni Mario, una certa Gabriella e tale Norberto”, l’Ulivelli replicava: “Conosco il Lotti che è un mio cliente da diversi anni, è un tipo chiuso con pochissimi amici Rosario Borsi e Giorgio Casini”. Poi, a pag. 2, “conosco Vanni, il Vanni Mario non ha mai commentato le indagini sui delitti del maniaco, oppure le cronache sul processo a carico del Pacciani, anzi mi sembra che quando c’era qualche servizio televisivo sul Pacciani non era nemmeno presente nel bar. Per quanto riguarda la Gabriella e il Norberto”, (riferendosi al suo convivente Galli Norberto) “io non li conosco o, meglio, mi sembra di non conoscerli personalmente, posso dire invece che talvolta una donna di nome Gabriella telefona al bar e cerca Giancarlo, l’ultima volta è stato proprio domenica 17 gennaio ultimo scorso intorno alle 18 mi sembra, ho avuto l’impressione che essa sia amica di Giancarlo perché telefona spesso. Poi c’è un’altra donna che lo cerca e che si fa chiamare Filippa. Questa anzi alcuni anni fa venne come cliente insieme a Giancarlo. Apprendo da voi che Norberto è il marito di Gabriella e che entrambe abitavano a San Casciano”. Poi a domanda: “Conosce un uomo di nome Pucci Fernando che è stato amico di Lotti Giancarlo? Questo Fernando è celibe, di mezza età, abita a Monte Firidolfi”, l’Ulivelli rispondeva: “non conosco questa persona fra i miei clenti”. A tal proposito deve evidenziarsi come il Pucci, invece, avesse detto che era un frequentatore del bar Centrale insieme a Giancarlo Lotti, e da li vedeva tutto. Altra domanda: “Quali erano i frequentatori che si attardavano di più al bar centrale? Quali nomi lei ricorda dei suoi clienti che frequentavano il suo locale?” risposta: “Non sono in grado di ricordarlo a causa degli anni trascorsi; sono sicuro però che non avevo come clienti abituali il Vanni e il Lotti” ; “prendo atto che voi mi dite che non è molto verosimile io non ricordo nessuno in rapporto alla gravità di un fatto che destò molta risonanza, ma ripeto, io non ricordo nessun cliente in modo particolare, o meglio, posso dire che tra i clienti abituali giornalieri allora ricordo, il maresciallo Sordi Adolfo che ha cessato l’attività ma la cui moglie ha un negozio in Piazza Perozzi, il farmacista Calamandrei Francesco e i suoi collaboratori, la pasticcera Ciappi che ha il panificio davanti al mio bar, il fruttivendolo Matteuzzi Dino, il merciaio Brunetto Soffici, l’elettricista Grassi Paolo con i figli, le famiglie Visibelli e Rossi che abitano accanto al bar, poi ancora, Nardini Bruno, Montecchi Ovidio, Baldini Renzo e Caiani Mauro”.

Dichiarazioni di Marchi Mario, gestore dell’altro bar Sport, sito nella stessa piazza centrale di S. Cascaino, del 18 Gennaio 1996 : “Voi mi chiedete di indicare i nomi di alcuni avventori abituali intorno al 1985. Posso citare Pietro NIEDDU (via Machiavelli), Romano MUGNAINI (via Borromeo), Romano PUCCI (via Colle D’Agnola), Andrea LASTRAIOLI (Borgo Sarchiani), Renzo BALDINI (barbiere in via Roma), Carlo SOFFICI (via Borromeo). Costoro sono clienti anche ora; giocano a carte e arrivano tra le 21.30 e le 22.00. Ovviamente conoscono il Vanni ed il Lotti ma non c’è con loro particolare rapporto di amicizia. A proposito di questi ultimi anche loro sono clienti di vecchia data. Il VANNI capita la mattina ed il pomeriggio, mentre il LOTTI capita il tardo pomeriggio e dopo cena fino alle 22.30/23.00. Mentre il VANNI ha mantenuto costanti nel tempo i suoi orari di frequenza al bar il LOTTI ha aumentato il ritmo delle visite negli ultimi 5 anni. Entrambi, a volte, si recano anche al bar centrale.”… “Qualche volta il VANNI e il LOTTI si trovano insieme mentre in altre occasioni ognuno ha la sua compagnia: il VANNI viene con un suo amico BERNARDONI Sandro che ha una gamba artificiale e con un altro, FUSI Dino, soprannominato Coppi. Due amici del LOTTI sono CASINI Giorgio e il CORSI Rosado e un tale Galliano che fa il muratore, è emiliano e abita a San Casciano.” Voi mi chiedete se conosco un altro amico del LOTTI che si chiama Fernando Pucci, che mi dite essere abbastanza magro e abitante a Montefiridolfi nonché possessore di un ciclomotore Ape Piaggio. Io avrei bisogno di vedere una foto di questa persona perché anche se è venuta nel bar non associo il suo nome ad alcuna fisionomia. Prendo atto che mi dite che Fernando e Giancarlo non sono più amici dal settembre 1985. Giancarlo ha dato il recapito telefonico del bar a due donne che qualche volta lo hanno cercato: Gabriella di Firenze e Filippa. La prima ha chiesto di lui per telefono 4 o 5 mesi fa, almeno credo, la seconda è diverso tempo, ma credo che sia emigrata per un altro Comune. Giancarlo, parlando di loro, ha detto talvolta che non facevano l’amore solo con lui.”…“Voi mi chiedete se VANNI e LOTTI commentano gli articoli di giornale o i servizi televisivi che parlano dei delitti del mostro. Il VANNI legge in silenzio il giornale ma non l’ho mai visto quando davano trasmissioni in televisione anche perché alle 19.00 lui è già tornato a casa. Il LOTTI non legge il giornale e guarda solo dei film. A volte qualche avventore ha stuzzicato il VANNI sollecitandolo a commentare le cronache sul processo PACCIANI ma lui si è chiuso in un assoluto mutismo. Mi sembra comunque che abbia paura. Il LOTTI, per parte sua, si è limitato a dirmi di essere stato convocato “laggiù a Firenze” ed io ho intuito che poteva essere stato dalla Polizia perché a volte siete venuti a chiedere di lui.”.

Persone che non hanno riconosciuto il Narducci a San Casciano.

Deve evidenziarsi, tuttavia, che oltre alle persone che hanno riconosciuto, sia pur con non poche contraddizioni il Narducci quale frequentatore del paese di S. Casciano e dei luoghi limitrofi, vi sono anche soggetti che, sentiti quali pp.ii.ff., non lo hanno affatto riconosciuto.

Sommarie informazioni del 30 Luglio 2003 rese da De Giorgio Amelia, già convivente del Martelli, proprietario di Villa La Sfacciata. Veniva mostrato l’album fotografico e a domanda: “Ci risulta che ha abitato negli anni ’80 a Villa La Sfacciata” ci può dire quanto tempo ha abitato e chi erano gli inquilini?” rispondeva: “A villa La Sfacciata ho abitato dall’83 fin0 a settembre dell’85, prima ho abitato nella cosa colonica di via Gialli dietro la Villa, all’epoca convivevo con Paolo Martelli figlio del proprietario e in questa casa colonica sono andata ad abitare alla fine degli anni ’80. alla Villa La Sfacciata ho abitato dall’83 fino al Settembre ’85, poi dopo sono andata non più a Villa La Sfacciata, ma alla colonica accanto dove forse c’era anche l’appartamento del Reineke.”…”Quando siamo andati ad abitare nella villa, degli inquilini dei vari appartamenti ricordo, un tedesco che seppi essere quello che all’epoca trovò i due tedeschi uccisi, poi c’era la famiglia Fiaschi, moglie e figlia, poi c’era Iacobelli con la sua compagna, poi Renzo Montagnani che aveva la moglie inglese e poi c’era anche una coppia della quale ricordo solo il nome di lei, Nadia. Fino a quando sono rimasta alla villa non ho conosciuto altri inquilini.” Le veniva chiesto se nella villa abitasse anche un americano di colore e la De Giorgio rispondeva negativamente; poi le veniva fatto presente che in un verbale di dichiarazioni testimoniali precedente avrebbe detto invece che vi abitava il Reinecke e lei replicava: “non me lo ricordo anzi mi sembra proprio impossibile che io abbia detto questo”. Le veniva mostrato l’album n. 9 del 2003 e dichiarava: “La persona ritratta nel primo foglio e la cui foto è contraddistinta dal numero tre ha un volto noto ma non conosciuto, si tratta di un volto che anche nella foto numero 2 mi sembra noto, anche se non mi sembra la stessa persona” (entrambe le foto si riferivano al Narducci). “La persona ritratta nella foto 20 e 21, anch’essa è un volto noto e mi da l’impressione di un volto che abbia potuto vedere in televisione o sui giornali a differenza della foto già detta numero 3 che tenderei ad escluderla di poterla aver vista pubblicata. La foto 20 e 21 sono quelle del Calamandrei. Vi chiedo se posso far intervenire mia figlia che all’epoca stava con me nella villa, può darsi che lei possa ricordare qualcosa, e quindi si fa venire la figlia che si chiama Francesca Regers”. La P.G. acconsentiva e mostrava alla Regers l’album; dopo averlo visionato costei dichiarava: “delle persone raffigurate mi colpiscono quelle della foto 3 e della foto 20 e 21 ma non so dirvi nulla”. L’ufficio faceva presente che la foto numero tre era quella del Narducci e quelle nn. 20 e 21 corrispondevano al Calamandrei. A domanda se avessero loro detto qualcosa, entrambe, madre e figlia, rispondevano negativamente.

Sommarie informazioni di Sbraci Adriana, del 1° Agosto 2003, già moglie di Martelli Franco, proprietario della villa La Sfacciata, la quale dichiarava: “ho abitato alla Sfacciata dall’83 fino all’88, data in cui la villa è stata venduta, mi si chiede di ricordare i nominativi di chi abitava negli appartamenti dietro la villa e io vi dico non ricordo esattamente chi erano, ricordo del tedesco che si chiamava Reneker perché fu lui a trovare i cadaveri”;  pag. due: “nel periodo in cui ho abitato alla Sfacciata non ricordo che negli appartamenti posti sul retro della villa La Sfacciata vi abbia abitato un cittadino americano di colore, ricordo soltanto che forse vi ha abitato per un breve periodo un fotografo o un disegnatore di moda, credo americano che però io non ho mai visto né conosciuto”; la P.G. mostrava l’album fotografico numero 9 del 2003 e lei diceva: “non conosco alcuna delle persone ritratte all’interno dell’album”; a quel punto la P.G. indicava alla Sbraci la foto n. 26, corrispondente al nome di Parker Robert e la Sbraci ribadiva di non conoscere assolutamente la persona ritratta nella foto 26 né di aver mai sentito il nome Parker.

Sommarie informazioni rese da Grassini Alessandro il 4 Agosto 2003; egli dichiarava di conoscere il Calamandrei ma non ricordava di averlo mai visto alla trattoria del Ponte Rotto, da lui assiduamente frequentata. Il Grassini all’epoca lavorava alla Draga del Ponte Rotto, ove nell’85 vi si trovava a lavorare anche Lotti Giancarlo. Poi aggiungeva testualmente: “In quegli anni io frequentavo qualche ristorante della zona tra cui il ristorante Leoncini da Nello, la “cantinetta del nonno” a San Casciano, ricordo anche di aver frequentato la trattoria al Cencio, ubicato in località Ponte Rotto e di proprietà Urzi Silvano. Posso affermare inoltre che nel periodo in cui ho lavorato insieme al Lotti anche lui insieme a me frequentava la trattoria del Ponte Rotto, io ci andavo quasi sempre di giorno a pranzo, ma è capitato alcune volte che ci si è andato in compagnia di amici anche la sera. Ricordo che in certe occasioni è capitato di vedere delle persone di ceto sociale diverse in quanto ben vestite ed eleganti, mentre la sera era frequentato da gente di San Casciano e da clienti abituali di Firenze”. Gli si mostrava lo stesso album fotografico contenente 22 fotografie, e dopo averlo attentamente visionato diceva: “riconosco la persona ritratta nella foto numero 1 per averla vista sicuramente a San Casciano, nella foto numero 2 ricordo una persona che ricordo di aver visto in giro a San Casciano ed è il Corsini, non sono sicuro ma mi sembra che lo stesso qualche volta lo posso aver visto a bere alla Cantinetta. Nella foto numero 3 mi sembra di riconoscere il De Filippi che ha un’oreficeria a San Casciano, nella foto numero 6 vedo una persona che non mi è una faccia nuova ma non saprei dire in ogni caso dove l’ho visto, tutte queste persone che San Casciano frequentano, ma un conto è San Casciano e un conto è la trattoria del Ponte Rotto. Nella foto numero 7 riconosco una persona che ho sicuramente visto a San Casciano ma non ricordo in che situazione, non saprei dirvi il nome. La foto numero 7 è Iacchia. Nelle foto numero 13 e 14 riconosco il farmacista di San Casciano ricordo che lo stesso frequentava la Cantinetta ma non ricordo di averlo mai visto alla trattoria del Ponte Rotto”. Il Narducci non veniva nominato, eppure nell’album, attentamente visionato dal Grassini, vi erano 9 foto del Narducci (nn. 10 e 11).

Altra p.i.f. ritenuta importante per la Accusa è Matteuzzi Silvano (dichiarazioni del 26.8.2003) il quale, gestore della trattoria Ponte Rotto, escludeva che ne fosse frequentatore un soggetto di nome Narducci. Il Matteuzzi dichiarava che il Calamadrei era stato visto, anche col Vanni, negli anni 70/80, insieme ad altri che con Vanni facevano ridere, definiti “chiassoni”, e poi tutto con i familiari. Per quel che riguarda invece il Narducci alla pag. 3, dopo aver preso visione del solito album fotografico alla domanda, “Ha mai visto nel suo locale le persone raffigurate nelle foto 1. 10 e 11?” 85, rispondeva: “non mi ricordo di aver visto le persone raffigurate nelle foto 1, 10 e 11 nel mio locale”.

Sommarie informazioni testimoniali rese da Bagni Paola, già dipendente della farmacia Calamandrei dal ’72 all’87, in data 1 Ottobre del 2003, la quale riferiva: “Ricordo che tra il 72 e il 73 iniziai a lavorare presso la farmacia Calamandrei, fu Don Isidoro ad introdurmi… l’unico fatto che posso riferire e che sono stata poi licenziata nell’87 perché Pierfrancesco mi disse “abbi pazienza, ci viene ora a lavorare mia sorella””…. “Annesso alla farmacia vi erano dei laboratori che il Calamandrei gestiva con i medici. Oltre ai medici di

85 (La foto numero 1 raffigurava il Parker, le foto 10 e 11 il Narducci)

base, quale Ferdinando Zerini, il dottor Guido Ciappi, il Dottor Manzori, il  professor Zucconi, il professor Sertoli, che probabilmente dopo i primi anni si spostò da un’altra parte sempre a San Casciano. I rapporti del Calamandrei erano tranquilli, ricordo che ogni tanto notavo il Calamandrei recarsi al bar per consumare con i sopra citati professori e dottori”. “Per quanto riguarda le conoscenze del Calamandrei mi ricordo che a volte veniva a cercarlo un certo Giancarlo detto luris, che so essere cugino dell’attore Giorgio Albertazzi, e un altro che si chiama Luciano. Mi sembra di ricordare che il Calamandrei andasse a giocare a tennis con il De Ciutis”. Poi ancora, “all’epoca la moglie del Calamandrei era molto depressa” – pag. 3 – “è capitato che in farmacia capitassero persone in abbigliamento da equitazione in quanto nei dintorni di San Casciano negli anni ’80 vi erano dei maneggi”.

Sommarie informazioni testimoniali rese il 15 Aprile 2004 da Marchi Silvano, vigile urbano di San Casciano, il quale riferiva: Sono ufficiale di polizia municipale di San Casciano dal 1969, attualmente sono istruttore direttivo, ho sempre abitato a San Casciano, dall’95 convivo con Denuccio Rosanna, sorella di Carmela, che è stata una delle vittime insieme al Foggi dei duplici omicidi dell’81”…“Ho letto sui giornali delle indagini sul medico di Perugia morto dopo l’omicidio di San Casciano nell’85. Sui giornali ho letto che si chiamava Narducci, non ho mai visto foto di questa persona neppure sui giornali, mi viene detto che secondo gli esiti di alcuni accertamenti eseguiti dalla Polizia Giudiziaria il Narducci avrebbe frequentato nel periodo antecedente l’omicidio dell’85 San Casciano e in particolare il farmacista Calamandrei, io di tale persona non avevo mai sentito parlare prima che il suo nome non venisse sui giornali”; anche a lui venivano mostrate le foto contrassegnate dai numeri 1 a 4 contenute, nell’album 4 del 2003, riferite tutte al Narducci. Il Marchi riferiva: “Dopo aver visionato attentamente tali foto le dico che non mi sembra proprio di aver mai avuto a che fare con tale persona, né posso dire di averla mai vista in San Casciano. Mi viene anche detto che lo stesso aveva un auto Citroen DS di colore verde targata Perugia. Le dico che per quanto ricordo un auto di quel tipo ma di colore marrone rosso fegato l’aveva Visibelli Giuseppe che era un cantore del coro del comunale che stava a San Casciano in Piazza Perozzi ma ora è deceduto. Non ho memoria di aver visto un auto di colore verde a San Casciano. A domanda rispondo, le persone che possono aver visto questo Narducci se veramente frequentava la farmacia Calamandrei, possono essere i commessi che vi lavoravano all’epoca e la commessa che vi lavorava all’epoca è quella Bagni di cui le ho già letto le dichiarazioni e di cui le leggerò anche le altre successive. Per quanto riguarda l’auto Citroen potrei controllare, se tale auto risulta mai sanzionata a San Casciano, datemi la targa” (occorre precisare che il numero di targa gli veniva riferito ed il controllo sarebbe risultato negativo).

Altre ss.ii.tt. sono quelle ulteriormente rese da Bagni Paola dinanzi al P.M. dott. Canessa in data 12.5.2004, la quale ha riferito di aver lavorato nella farmacia del Calamandrei fino all’anno 1989/90 sia la mattina che la sera, per tutta la settimana. Poi aggiungeva: “Ultimamente come ho detto prima ho comprato i giornali, incuriosita dalla storia del Calamandrei e del morto” a pag. 2” nel Trasimeno, ho visto anche la foto del medico morto sui giornali, una dove mi sembrava una persona giovane e una sul Corriere della Sera dove c’era la foto di un signore con una cravatta a strisce, non mi sembra di avere mai visto prima la persona raffigurata in quelle foto”. A pag. 3, veniva sottoposto anche a lei l’album con le foto dalla 1 alla 4, e la Bagni, dopo averle osservate attentamente visionate, dichiarava: “Le dico che non raffigurano persone a me note, né conosciute. Lei mi dice che la persona raffigurata in tale foto è il dottor Narducci Francesco, la foto numero uno, quello di cui ho parlato prima avendo letto sui giornali, le ripeto che non mi ricorda nessuna persona conosciuta. Poi ripensando alle foto 1,2 e 3 e 4, ma soprattutto la foto 4 a ripensarci bene e non so spiegarmi perché, mi sono venute in mente delle circostanza che voglio riferire. Quelle foto, soprattutto la numero 4, rappresenta per me una persona per bene, direi angelico che mi ha fatto venire in mente un rappresentante della Chicco, di nome Silvio Celso che riforniva la farmacia. Mi è venuto in mente che questo Silvio poi aveva anche un fratello che si chiamava Gino, pensando alle sembianze di Gino così come lo ricordavo, mi sembra di ricordare sembianze in un certo senso del tipo di quelle della persona raffigura nel numero 4 ed il  Silvio era effettivamente il rappresentante della Chicco, a lui facevo gli ordini e quindi lui lo ricordo. Aggiungo che i Celso non avevano l’accento toscano ma abitavano a Pistoia, però l’accento era marchigiano. Dopo essere venuta via dalla farmacia mi è sembrato di averlo incontrato anche nel negozio “mondo bimbo” di San Casciano, ove lui si trovava per lavoro e dove io ero andata a cercare qualcosa per mia figlia. Mi ricordo anche che Silvio usciva con una ragazza piccola di nome Manuela che all’epoca faceva la baby sitter del Calamandrei”.

Deve anche darsi conto delle dichiarazioni  rese da Giuntini Francesco, altro dipendente della farmacia, il quale, nelle sommarie informazioni testimoniali rese il 1° ottobre 2003, dinanzi alla P.G. – G.I.De.S. dichiarava: “Dal gennaio del 1978 all’ottobre del 1983 ho lavorato in qualità di ragazzo di bottega presso la Farmacia di San Casciano denominata Francesco Calamandrei. Insieme a me vi erano altri due dipendenti che si chiamavano, Bagni Paola e Cocchini Gianfranco che so essere deceduto da poco. Non ricordo se fu proprio il Cocchini, che all’epoca abitava nella stessa via dei miei genitori, a farmi assumere in quanto si era liberato un posto in Farmacia… Non saprei indicare gli amici di Francesco. Posso dire che Francesco giocava a Tennis… in quel periodo era sposato e aveva un figlio e una figlia, rispettivamente Marco e Francesca. Possedeva un Citroen Pallas di colore mi sembra grigio, comunque chiaro. Ricordo che il Cocchini mi raccontò che il Calamandrei avesse dei problemi di alcool, ma devo dire che io non l’ho mai visto ubriaco. Ultimamente, circa due giorni fa, l’ho visto in giro per il paese, l’ho trovato molto trascurato e la cosa mi ha colpito perché lo conoscevo come una persona molto più attiva e come una delle persone più ricche di San Casciano. Ho saputo che ha venduto da poco la Farmacia ma non so chi l’abbia acquistata. Per uscire dalla propria abitazione, Francesco doveva passare o dalla Farmacia o da un corridoio che attraversava gli Ambulatori. Quest’ultimo lo usava poco perché essendoci sempre gente in attesa preferiva passare dalla Farmacia. Non so indicare se venissero persone di fuori San Casciano a trovare Francesco a casa, perché io prevalentemente ero sempre sul retro a mettere a posto. Penso che potrebbe essere più precisa la signora Bagni dal momento che lei stava anche al pubblico. La P.G. dava atto che veniva mostrato al Giuntini l’album fotografico 27/2003, composto da nr. 10 fotografie. Il Giuntini, dopo averlo attentamente visionato dichiarava: “La persona raffigurata nella foto nr. 1 mi ricorda qualcuno, forse  un medico che ho visto in farmacia, la faccia mi dice qualcosa ma non saprei essere più preciso. La persona raffigurata nella foto nr. 5 è una faccia che io ho conosciuto, potrebbe essere di una persona di San Casciano che ho visto all’interno della farmacia ma non riesco a ricordare bene in che contesto. Tutte le altre fotografie appartengono a persone che io non ho mai visto”. L’ufficio dava atto che le persone raffigurate nelle foto nr. 1 e 5 erano rispettivamente Narducci Francesco e Jacchia Gian Eugenio.

Sommarie informazioni testimoniali rese da Fantappiè Leda, moglie del Matteuzzi, gestore della trattoria Ponte Rotto, in data 25.1.2005: “Non sono mai stata sentita ufficialmente a verbale da inquirenti e forze di polizia, comunque qualche volta nel tempo sono passate persone incaricate di indagini per prendere informazioni. Ricordo che una volta vennero i Carabinieri di Mercatale, più recentemente, circa un anno fa, è venuto da noi un signore che credo fosse il Giuttari, ma non sono sicura, sempre in relazione alle frequentazioni. In effetti Giancarlo veniva spesso nel nostro negozio e talvolta veniva anche a cena con la Filippa, non era un chiacchierone, anzi un tipo silenzioso, un sempliciotto’. A domanda rispondeva: “con persone un po’ più in vista di San Casciano veniva invece il Vanni però si parla di un periodo piuttosto lontano nel tempo, ricordo tra gli altri un tale Pucci, (trattasi solo di un omonimo dell’altro Pucci Fernando, il quale era gestore di un’agenzia automobilistica ACI a San Casciano) un altro postino, nel frattempo deceduto. Era un gruppo che quando alzava il gomito era solito fare la cantata. Ricordo la presenza del farmacista Calamandrei solo quando era molto giovane, con ragazzi suoi coetanei, non me lo ricordo con il gruppo di persone alle quali ho fatto sopra riferimento: cioè in compagnia del Vanni. Poi mi vengono mostrate le prime quattro foto del gruppo fotografico 4/2003, non ho mai visto le persone ivi effigiate”. Il P.M. dava atto che le foto riproducevano Narducci Francesco a diverse età. La Fantappiè aggiungeva: “Ricordo anche lotti venne da noi agitatissimo, dicendo che era stato tenuto sotto interrogatorio tutto il pomeriggio, anche se non mi ricordo esattamente le parole. Sono certa che  disse che l’interrogatorio riguardava i delitti del mostro.  Giancarlo si lamentava che non ne poteva più, perché si era trattato di un impegno pesante e ricordo che gli dissi che, non avendo niente da nascondere, non aveva motivo di preoccuparsi e che poteva accettare di buon grado; lui non raccolse questo suggerimento e continuò a rimanere preoccupatissimo. Devo anche dire che vi è stato un altro episodio che mi è parso strano e mi aveva lasciata perplessa, tuttavia in seguito non ci avevo pensato proprio perché Giancarlo mi sembrava veramente un giovanotto modesto e inoffensivo. L’episodio accadde nel nostro locale, se mal non ricordo, il lunedì successivo al duplice delitto di Baccaiano e quindi, se non sbaglio, siamo nell’82. Io ero al banco e vi erano 4 o 5 avventori che adesso non posso ricordare, intenti a parlare del delitto che era un po’ l’argomento del giorno. Ricordo che uno di loro chiese al Lotti che era lì presente che cosa ne pensasse. Il Lotti si discostò, non volendo partecipare alla discussione e disse distintamente che non sapeva nulla, che lo lasciassero stare, se no chiacchierava troppo, lo disse più volte e in modo da far pensare che sapesse qualcosa, tant’è che mi arrabbiai, alzai la voce e gli dissi che se aveva delle cose che andasse dai Carabinieri però Lotti fece la spese e se ne andò. Mi fece tanto arrabbiare, per un momento pensai io di andare dai Carabinieri. Il tedesco Hainz lo ricordo bene perché era un personaggio che è venuto nel corso degli anni, unendosi al Vanni e al Lotti, più al Vanni che al Lotti, per far girate, scampagnate …. Circa la presenza di Pacciani nel nostro locale, anche se non sono certa, posso dire che una domenica pomeriggio il gruppo del Vanni e del Lotti, con altri che ancora non ricordo, aspettava con una certa trepidazione che il gruppetto non sapeva se sarebbe venuta o meno, in effetti poi questa persona arrivò e quindi avendone in seguito parlato con mio marito sono abbastanza certa che quella volta sia venuto da noi il Pacciani. Ricordo che tra i motivi di apprensione sul mancato arrivo di questa persona vi era anche il dubbio che avesse capito di andare alla Cantinetta”.

Sommarie informazioni rese dal prof. Morelli Antonio il 19/6/2003 – pag. 1 – il quale riferiva: “non ho mai sentito dire che il Narducci abbia frequentato a qualsiasi titolo Firenze. Lei mi chiede a questo punto di riferire se sono al corrente di feste o festini, tipo quelli che io ho riferito con cui Francesco Narducci abbia partecipato a Firenze, io come ho già detto, di Narducci a Firenze niente so e tantomeno di partecipazione a feste o festini”.

Annotazione della P.G. del 4 Luglio 1988 — pag. 2888, nella quale, con riferimento alla circostanza evidenziata da alcune pp.ii.ff. secondo cui il Narducci sarebbe stato avvistato a San Casciano con una Citroen verdolina in Piazza Perozzi, si riferiva che nessuno degli automezzi di sua proprietà o in sua disponibilità, avendo fatto la verifica anche su quelli in disponibilità della sua famiglia, del padre e della sorella, risultava inserito nell’archivio elettronico della questura di Firenze come controllato durante i servizi preventivi anti mostro. Nella stessa anotazione si riferiva testualmente “In relazione alla data del 23 marzo dell’87 riguardante il Narducci abbiamo accertato che il Narducci lavorava presso la facoltà di Perugia, dell’università di Perugia, la cattedra assistente di medicina e chirurgia, …. ha avuto un congedo per motivo di studia dal 16.9.81 al 31.12.81 dovendo frequentare un corso di specializzazione a Philadelphia in Usa”.

Annotazione dei Carabinieri di Perugia del 2 marzo 2005 per il P.M. dott. Mignini, per eventuale contatto del Narducci con la società farmaceutica Menarini di Firenze, relativa ad un colloquio con il dottor Giovanni Aleotti membro esecutivo della società, per l’esigenza di reperire eventuale documentazione attestanti il tipo di rapporto avuto da quella casa farmaceutica con il Narducci. Successivamente al colloquio, in data 9 dicembre 2004 veniva acquisito presso la sede materiale documentale relativo alle prestazioni professionali effettuate dal Narducci in favore della Menarini srl; in data 18 Gennaio 2005 veniva escusso Ugolini Giancarlo, responsabile delle politiche ospedaliere presso la casa farmaceutica Menarini, il quale  specificava il rapporto avuto dallo stesso per conto della Menarini con il Narducci, precisando di non averlo mai incontrato a Firenze.

Poi a pag. 2507 dell’incarto generale vi è un annotazione del colonnello Rotellini, datata 4/7/88 su Petricci Francesco e anche in tal caso si riferiva che risultava accertato documentalmente che il Narducci dal 16/9/81 al 31/12/81 aveva frequentato un corso di specializzazione presso l’università di Philadelphia. A pag. 2 riferiva che nessuno degli automezzi di proprietà o in disponibilità del Narducci risultava inserito nell’archivio elettronico della Questura di Firenze, come controllato durante i servizi preventivi svolti dalla S.A.M..

pag 197

In un altro rapporto dei Carabinieri di Firenze del 5.2.87, relativo alle voci sul Narducci, riportava: “Dopo l’evento sono corse insistenti voci che la morte del professionista sarebbe avvenuta per suicidio e che lo stesso avrebbe compiuto tale gesto perché sarebbe stato l’autore della serie dei duplici omicidi avvenuti in provincia di Firenze”. Le stesse voci, peraltro, secondo tale annotazione, riferivano anche che il Narducci sarebbe stato impotente.

Dal registro delle assenze dell’ospedale di Perugia dove il Narducci lavorava, riferito dall’anno 78 all’anno 85 risultano due giorni di assenza per malattia nel mese di febbraio 1983, oltre ai congedi ordinari e straordinari per studi e convegni. 86

Spagnoli Francesca, moglie del Narducci è stata sentita in innumerevoli occasioni. Nelle sommarie informazioni testimoniali dell’8 febbraio 2002 costei riferiva testualmente a pag. 2: “ci siamo sposati nell’81, avevo vent’anni anni e Francesco ne aveva 31”… “mio marito rimase ininterrottamente negli Stati Uniti, all’università di Philadelphia nel corso di settembre al dicembre 81″. A domanda a pag. 4: “capitava che suo marito si assentasse per un certo periodo di tempo, anche per frequenze, circoli o associazioni?” rispondeva assolutamente no”. A pag. 7, a domanda: “suo marito aveva comunque rapporti con Firenze?” rispondeva: “finché è stato vivo non ho mai avuto modo di supporlo”. Ripeteva poi che suo marito si era recato in America nel periodo settembre-dicembre di quell’anno. Poi venivano mostrate alla Spagnoli copie dei due articoli del quotidiano “la Nazione” del 28 e 29

86 (v. pag. 2548 dell’incartamento generale)

settembre 85, relativi ai delitti attribuiti al cosiddetto mostro di Firenze. E alla domanda: “suo marito leggeva il quotidiano La Nazione? Suo marito ha mai parlato con lei di questa vicenda?”, la Spagnoli riferiva: “Mio marito leggeva il quotidiano La Nazione e forse qualche volta ne avremo anche parlato della questione ma non ricordo nulla di preciso”.

Sommarie informazioni Spagnoli al P.M. di Perugia del 20 febbraio 2002. A pag. due a domanda: “suo marito il sabato lavorava?”, la Spagnoli replicava che egli lavorava solo al mattino e alle ore 13.30 era casa. Sommarie informazioni Spagnoli del 22.4.2002 al P.M. dott. Canessa e al dott. Giuttari pag. uno: “nemmeno per caso mi è capitato di parlare con lui dei delitti del mostro di Firenze, non era un argomento sul quale abbiamo mai portato la conversazione. Non ricordo di essere mai venuta a Firenze con mio marito, venivo a volte alla Sambuca, mio padre aveva una azienda di alimentari, mio marito non è mai venuto con me in tale località”. A domanda rispondeva “non mi vengono in mente circostanze 0 fatti della vita di mio marito legati a Firenze”…“per quel che ne so non conosceva nessuno a Firenze”. A pagg. 2 e 3: “nessuno degli amici di mio marito da me conosciuti era di Firenze”.

Sommarie informazioni testimonial della Spagnoli del 5 marzo 2003: le veniva chiesto di tutte le macchine che suo marito aveva avuto in costanza di matrimonio e lei ne forniva l’elenco specificando: Quando conobbi Francesco aveva una BMW bianca che vendette poco prima del matrimonio 87 per acquistare una Ritmo metallizzata e che poi, dopo un anno, prima della morte di Francesco, vendette la Ritmo e si prese una CX verde 88 che dava quasi sul celeste, che aveva acquistato dal professor Rino Napoli che era a Perugia da molti anni”.

Sommarie informazioni rese dalla Spagnoli del 17 marzo 2002 rese dinanzi alla P.G., a domanda: “più volte ha detto che suo marito aveva bisogno di una sua indipendenza, forse eccessiva, a causa di questo si allontanava anche per intere giornate” la Spagnoli riferiva: “Ribadisco il concetto espresso più volte e sottolineo ancora. Francesco è una persona estrema introversa. Alcune volte capitava che avevamo degli screzi.

87 (che risale all’anno 1981)

88 (tale circostanza probabilmente errata, risalendo la vendita all’anno prima come si evince documentalmente, risultando che dal 2 luglio 1985 il Narducci era stato proprietario proprio di una auto Citroen di colore verdolino, acquistata usata dal prof. Rino Napoli con atto di proprietà del Napoli, risalente al 14 gennaio 83)

Non riuscivo mai ad avere un contraddittorio con lui perché ergeva un muro impenetrabile. Alle mie rimostranze circa questo comportamento che io ritenevo e ritengo anomalo, Francesco troncava e andava via, rimanendo fuori casa per ore, rimanendo fuori casa fino al suo rientro che avveniva fra le ore 22 e le ore 24”…” Lei mi chiede di specificare ancora meglio e io rispondo dicendo che i giorni in cui avvenivano tali avvenimenti, vale a dire i litigi, erano prevalentemente il fine settimana, sabato e domenica”.

Sommarie informazioni testimoniali, sempre della Spagnoli, del 26.6.2006: “Ho saputo dopo la morte di mio marito che lo stesso aveva coltivato relazioni extraconiugali specie con infermiere Non solo, ma me l’ha detto anche mio cognato Gaetano Paludetti. E mi ha detto anche che Francesco dava fastidio alle infermiere più avvenenti. Qualcuno mi aveva parlato anche di una signora che abitava in Via dei Filosofi che avrebbe avuto una relazione con Francesco”

pag 199

Sommarie informazioni di Spagnoli Francesca del 28.9.2002:  Domanda: “ci furono periodi in cui Francesco si allontanò per svariati motivi?” risposta: “Sì, diverse volte per alcune ore. Accampando motivi quali la noia”. Seconda domanda, alla pag. successiva: “è vero che Francesco aveva interessi esoterici?” e lei rispondeva: “no, è la prima volta che lo sento, non ho mai visto pubblicazioni o altro attinenti questa materia”. Altra domanda: “Francesco si è mai vestito da cavallerizzo, “no, sicuramente no da quando l’ho frequentato io”.

Sommarie informazioni rese da Spagnoli il 21.1.2005: “Confermo anche il fatto”, a pag. 1,”che mio di tanto in tanto sentiva il bisogno di andarsene senza dirmi dove e tornava a casa la sera tardi. Ciò è accaduto 4 o 5 volte a quanto ricordo. Ed era conseguenza di litigi che potevano scoppiare per vari motivi. Confermo l’episodio avvenuto una domenica. Non ricordo l’epoca precisa”, pag. 2443 dell’incarto generale. Alla successiva pag. 2446 la Spagnoli riferiva: “confermo l’episodio avvenuto una domenica, non  ricordo l’epoca precisa, quando Francesco rimase silenzioso presso la casa dei miei genitori presso cui ci eravamo recati a pranzo e poi tornati a casa dopo aver litigato. Lui colse l’occasione per allontanarsi senza dirmi dove e tornare a casa la sera tardi”… “accadde tra l’82 e l’83 durante una cena a casa di mia sorella Beatrice, quando Francesco sene stette in silenzio per tutta la serata intento a leggere il giornale”. Sommarie informazioni testimoniali del 22 gennaio del 2005. “debbo precisare che l’episodio del litigio con Francesco” a pag. 2451 incartamento generale “dopo essere stato a pranzo dai miei genitori non si è verificato nel settembre 85 ma prima. Ricordo che gli episodi con conseguente allontanamento di mio marito senza dare notizia di sé avvenivano di sabato e di domenica”.

Sommarie informazioni testimoniali 27.5.05 rese da Spagnoli Francesca al P.M. di Perugia dott. Mignini: “L’8 ottobre 2005 Francesco mi pare proprio che indossasse un paio di Lacoste di colore blu”, riferendo altresì di aver trascorso le vacanze estive col marito all’isola d’Elba nel luglio dell’anno 85.

Vi sono poi le sommarie informazioni testimoniali rese dal prof. Bellucci Mario, testimone di nozze dei Narducci il 26.2.2003: “Dopo la morte di Narducci (avvenuta l’8 ottobre 1985) sulla stampa fiorentina si alludeva al Narducci come coinvolto nei delitti del “Mostro”. “Ricordo anche che qualche tempo dopo la sua morte apparvero sulla stampa fiorentina degli articoli che alludevano ad un possibile coinvolgimento di Francesco nella vicenda dei delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” e so che il professor Ugo, tramite il legale di fiducia, fece arrivare una sua diffida al giornale, diffida che fu poi pubblicata”.

Veniva sentito quale p.i.f. De Megni Augusto in data 18.6.2002 dichiarava di aver saputo da tale Binazzi Gianfranco, amico del Narducci, che quest’ultimo frequentava a Firenze un gruppo di persone “poco raccomandabili”.

Anche il Binazzi veniva sentito nella stessa data, confermando quest’ultima circostanza e riferendo, altresì, che Francesco (Narducci) e gran parte dei suoi amici avevano “tendenze omosessuali”.

Sul punto occorre riferire altresì, le ss.ii.tt. rese dall’Avv. Pietro Fioravanti, legale di Pacciani, il quale ha fornito molti particolari a lui noti, essendo stato sentito il 5 ed il successivo 17.2.2002 dalla P.G. nonché il 22.1.2003 dai PM di Perugia e Firenze quale persona informata sui fatti. Tra le altre cose ha dichiarato che i delitti a dire di Pacciani erano “minestre del diavolo tutti di matrice demoniaca” , che Pacciani gli aveva confermato di aver frequentato la casa di mago Indovino (come la stessa Ghiribelli); Pacciani inoltre gli aveva parlato del farmacista Calamandrei come di una persona interessata a discorsi di magia. Pacciani, inoltre, lo aveva invitato ad interessarsi della morte di un giovane medico avvenuta nel lago a Perugia perché, a suo dire, il chiarimento di quella morte sarebbe andato a suo vantaggio.

Altra annotazione, redatta in data 22.11.2004 dal sovrintendente Borghi, nella quale si riferiva : “Continuando a parlare il Fioravanti raccontava che stava preparando un libro sui fatti del “Mostro di Firenze”. Il legale riferiva inoltre di essere a conoscenza che Francesco Narducci aveva in sua disponibilità due stanze all’interno di Villa Corsini. Infine aggiungeva che qualcuno avrebbe dovuto spiegargli, oltre al fatto appena citato, anche le motivazioni della frequentazione del Narducci nel “retrofarmacia Calamandrei”.

In sostanza è possibile che il Calamandrei abbia mentito sul punto della sua conoscenza con il dott. Narducci di Perugia in quanto se è vero che esiste un gruppo (anche abbastanza nutrito) di soggetti prima evidenziati, i quali hanno riconosciuto il Narducci nelle foto mostrate, non avendo nemmeno mai sentito il suo nominativo, tuttavia un gruppo ancora più nutrito di persone (anch’esse ben individuate dalla P.G. e sentite nel corso del indagini) lo hanno quantomeno riconosciuto, vuoi per la sua frequentazione presso la farmacia del Calamandrei o nella piazza di S. Casciano vuoi per aver avuto con lui rapporti sessuali, anche se in maniera minima ed estemporanea. Tuttavia se ciò comporta un sospetto, anzi un’ombra nera (tanto per rimanere in tema di magia, esoterismo e cose affini..) nei suoi confronti per aver taciuto di detta conoscenza (o amicizia) mettendo in proposito avendo espressamente dichiarato nella richiesta di giudizio abbreviato in data 10 marzo 2007: “Mai e poi mai ho conosciuto tale Narducci”, sottoscritta dal Calamandrei, dagli atti del presente proc. pen. e di quello pendente presso la Procura della Repubblica di Perugia non è dato ravvisare, almeno allo stato, quale sia il nesso logico che leghi il Narduccci con la vicenda del “mostro di Firenze”.

Anche in tale ambito, al più, versa in un sospetto o anche in un indizio di una certa consistenza circa la presenza del Narducci nella zona di Firenze e di San Casciano; ma certamente quel soggetto “un po’ finocchino” (per usare lo stesso gergo adoperato dal Nesi) che si accompagnava a qualcuno dei cittadini viventi all’epoca in quel paese, ma in maniera senz’altro sporadica, non è dato ravvisare in che modo sia coinvolto in detta vicenda, essendo acclarato che si fosse trattenuto con qualche prostituta per soddisfare i suoi appetiti sessuali e che, sotto quest’ultimo aspetto, assumeva talvolta atteggiamenti perversi (come sottolineato dalle stesse pp.ii.ff.). Non può essere certo di aiuto all’indagine tuttora pendente a Perugia, archiviata, per quel che è dato sapere, per la posizione dell’odierno imputato quale possibile mandante dell’omicidio del Narducci. Rimangono, dunque, anche per tale ambito solo sospetti, dubbi e congetture e quell’’ombra nera” di cui si è parlato supra.

SUI CONCETTI DI PROVE, INDIZI E SOSPETTI O CONGETTURE.-

Occorre a tal punto e prima di affrontare conclusivamente la questione fondamentale attinente alla sussistenza nei confronti del prevenuto di prove o, quantomeno, secondo quanto previsto espressamente dal disposto di cui all’art. 192.2 c.p.p. di “indizi gravi, precisi e concordanti”, fare il punto della situazione riferendo, sia pur in maniera succinta e sommaria, le principali pronunce giurisprudenziali sull’argomento.

La prova diretta offre una rappresentazione immediata del thema probandi, mentre la prova indiziaria o critica consente di pervenire agli stessi risultati di quella indiretta (cioè all’accertamento della verità) attraverso l’acclaramento di fatti diversi, da cui far derivare, sulla base delle regole di esperienza, la prova dell’oggetto del giudizio. Ciò vale soprattutto per la cosiddetta “chiamata in correità” ma, naturalmente, può estendersi a qualsiasi altra fonte di prova. Detta impostazione tende a rimarcare come la prova indiziaria non sia una prova meno certa rispetto alla prova -in quanto la differenza sussiste solo nel metodo utilizzato per l’accertamento della verità e non nella certezza dei risultati cui si perviene. Rispetto alla valutazione degli indizi la S.C., già con sentenza 25.03.1976 in  riv. it. dir. proc. pen. 1980, pg.1408, evidenziava che nel procedimento indiziario gli indizi devono portare ad un convincimento che non deve avere di sè alcun dubbio ragionevole: a
tale scopo occorre che l’indizio sia certo e non soltanto ipotetico, che la deduzione dal fatto noto rientri in un procedimento logico ispirato al massimo rigore e alla più assoluta correttezza e che, valutati nel loro insieme confluiscano in una valutazione logica ed unitaria del fatto ignoto.

Detta pronuncia della Suprema Corte appare del tutto condivisibile e ha trovato, proprio negli ultimi tempi, un aggancio legislativo, rappresentato dall’art. 533, co. 1, come modificato dall’art. 5 |. 20.2.2006 n. 46, che ha recepito tale principio dell’<oltre il ragionevole dubbio>, in veste di regola decisoria, per la quale “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio, come recita testualmente la nuova norma.

La nuova regola di giudizio viene a svolgere un ruolo cruciale per l’identificazione dell’effettivo standard di prova necessaria e sufficiente per
vincere la presunzione d’innocenza e giustificare legalmente la dichiarazione di colpevolezza e la condanna dell’imputato, standard conclusivo di alta probabilità logica della decisione giudiziaria, in termini di “verità” e di “certezza” processuale®°. Il precetto, infatti, impone di pronunciare la condanna dell’imputato quando, alla puntuale e razionale ricostruzione probatoria del fatto, si oppongano solo eventualità remote, pur astrattamente prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui reale evenienza, nel caso concerto, risulti non plausibile, non trovando riscontro nelle specifiche emergenze processuali 90.

Per assurgere al rango di prova non appare, però, necessaria una pluralità di indizi: ne potrebbe bastare anche uno solo, purché connotato da gravità, precisione e coerenza col dato da dimostrare. In difetto di tali connotazioni neanche una pluralità di indizi può, di per sé, costituire una prova: ove ciascuno di essi abbia limitata attitudine dimostrativa del fatto probandum si avrà soltanto una somma di probabilità ma non la “certezza”. Infatti, la dizione al plurale dell’art. 192.2 non pare esigere una pluralità di fonti indiziarie per ritenere esistente un fatto ma ha una funzioni puramente descrittiva di come devono essere gli indizi per poter essere utilizzati come prova. Ancora, al fine di definire più dettagliatamente il termine indizio, la S.C. l’ha attribuito sia a dichiarazioni direttamente rappresentative del fatto, quali la confessione o la chiamata di correo, sia a dati che non integrano entità sensorialmente percepibili anche se connesse al fatto/reato, sia a risultati emersi da attività istruttorie atipiche ed irrituali 91. La giurisprudenza, inoltre, ha posto quale discrimine tra il concetto di prova e quello di indizio i seguenti canoni: l’indizio coglie la dimostrazione di verità nel suo divenire, quindi nel suo dinamismo, la prova descrive la dimostrazione di verità conseguita; l’indizio postula una attività di acquisizione, quindi nel suo dinamismo, la prova descrive la dimostrazione di verità conseguita; l’indizio postula un’attività di acquisizione del dato probatorio che è in corso, la prova presuppone il compimento di tale attività: sussiste, dunque, un nesso funzionale tra indizio e prova posto a fondamento della decisione di merito.

89 (così G. Canzio, “Il giusto processo nello Statuto della Corte Penale Internazionale tra common law e civil law”, in Quest. Giust., 2004, 1285)
90 (per una recente definizione di tale criterio si veda S.C., 1° sez. pen., 21.5.2008, n. 31456 , Franzoni)

91 (v. sent. 25.05.1984 in Cass.n. 1986, 117)

L’interpretazione del disposto sopra richiamato dell’art. 192.2 e la sua incidenza sul principio del libero convincimento del giudice dipendono dalla definizione del concetto di indizio. Sussistono due criteri di distinzione fra prova ed indizio, l’uno dottrinario e l’altro giurisprudenziale: il primo distingue tra prova rappresentativa o diretta e prova critica o indiziaria; il secondo definisce la prova come idonea a sorreggere un giudizio in termini di certezza? l’indizio come idoneo a giustificare il convincimento del giudice soltanto in termini di probabilità e verosimiglianza 93. La citata norma, esigendo la pluralità degli indizi, sembra recepire una nozione dell’indizio come probatio minor. La giurisprudenza della S.C. a volte ha ritenuto indirette quale, ad es., la dattiloscopica più attendibili di rappresentative 0 dirette 94, in altri casi invece, alcune prove rappresentative sono state valutate in modo critico perché per esempio prove  del giudizio quale la parte civile 95 del resto anche la testimonianza, considerata tipica fonte di prova, richiede secondo la SC una valutazione con riferimento alla globalità delle prove acquisite e annotazioni in comune esperienza allo scopo di saggiare l’attendibilità del testimone 96.

Nel codice di rito la norma cardine relativamente alla valutazione della prova è quella di cui all’art. 192.1 la quale deve coordinarsi con l’altra significativa norma rappresentata dall’art. 546.1 lett. e) c.p.p. per la valutazione della prova nel giudizio di merito. Le due norme impongono al giudice di dar conto nella motivazione dei risultati probatori acquisiti e dei criteri d’inferenza adottati e, al contempo, di indicare nella motivazione della sentenza le prove poste alla base della decisione e l’enunciazione delle ragioni per le quali egli ritenga non attendibili le prove contrarie. Ciò significa che, muovendo dai vari elementi di prova scaturiti dalle singole fonti, il giudice perviene, in termini di certezza, ad una determinata conclusione in ordine all’ipotesi prospettata dall’accusa di ricostruzione di un certo fatto e del suo autore. Il giudice, quindi, nel valutare la prova è svincolato da qualsiasi definizione normativa sull’attitudine dimostrativa degli elementi di prova acquisiti sulla base del suo libero convincimento, sebbene da ciò non derivi il riconoscimento senza limiti del libero, arbitrario, soggettivo ed insindacabile convincimento dato che “il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento 

92 (v. tra le altre, Cass. sez. I, 29.10.1985, Bagarella) 

93 (in tal senso v. Cass. sez. I, 29.05.1987, Senapa, Cass. sez. I 1.12.81 – Massimi) 

94 (v. Cass. sez. II, 29.03.82, Mistroni) 

95 (cfr. Cass. sez. I 30.09.85, Curzi) 

96 (Cass. sez II, 1.03.84, Caporasi) 

salvo che la legge disponga altrimenti”. Su un piano più strettamente operativo il raccordo tra libero convincimento del giudice e obbligo di motivazione si traduce, da un lato nella enunciazione delle risultanze processuali e cioè nel risultato conseguito all’espletamento dei vari mezzi di prova, e, dall’altro, nella indicazione dei criteri di valutazione utilizzati per vagliare quelle risultanze processuali. I criteri di valutazione non sono altro che le “massime di esperienza” che possono essere definite quali regole mentali universalmente adottate in quanto suggerite dalla esperienza comune (l’id quod plerumque accidit), regole che sono espressione di un certo ordine di successione fenomenica in base al quale data una certa azione si può formulare un giudizio di probabilità su quella che l’ha preceduta e sulle altre che la seguiranno. 

In particolare la S.C.97 aveva stabilito che, sebbene l’art. 192 c.p.p. non ne faccia esplicita menzione, ciascuna circostanza di fatto assumibile come indizio deve essere caratterizzata dal requisito della certezza, che postula la verifica processuale circa la reale sussistenza della circostanza stessa, in quanto non potrebbe essere consentito fondare la prova critica su un fatto verosimilmente accaduto, supposto o intuito inammissibilmente valorizzando il mero sospetto o la personale congettura. 

Facendo piena applicazione di detti consolidati principi fissati nel tempo dalla S.C. si passerà ora alla analisi concreta relativamente alla sussistenza o meno di prove o, quantomeno, di indizi gravi, precisi e concordanti nei confronti dell’odierno imputato. CONCLUSIONI.- 

Occorre innanzitutto evidenziare come la prospettazione accusatoria cada in una serie di sillogismi che mancano di una base logica e, soprattutto, che non presentano alcun significativo riscontro oggettivo, ognuno di loro essendo risultato non provato da quello presupposto o successivo. Si prendano, ad esempio le dichiarazioni rese dalla Pellecchia, laddove ha riferito di “festini” in cui collocava sia pur non in pieno (avendo parlato solo di due o tre incontri sessuali) il Narducci. 

Il primo sillogismo è che, siccome l’organizzazione di queste riunioni era della Giovagnoli (ma anche tale assunto non risulta affatto provato) e la sede era San Casciano, doveva ritenersi ben plausibile dedurre che il coordinatore-trait d’union fosse il Calamandrei, in quanto cliente “storico” della Giovagnoli. 

97 con sent. n. 4556 del 7.1.94 

Ebbene tale sillogismo, oltre a non essere veritiero, non può di certo porsi a base di un ipotetico e non accertato indizio a carico del Calamandrei. All’epoca, peraltro, si era ancora nella stamberga di via di Faltignano frequentata dal gruppo dei “contadini”, rispetto alla quale manca qualsiasi serio indizio circa la partecipazione dell’odierno imputato, avendo la Pellecchia solo ritenuto, sia pur con qualche dubbio, di riconoscere il Calamandrei non certo, però, quale frequentatore della stamberga. 

Anche la Ghiribelli ha parlato dei “festini” da Indovino, sempre nella stamberga di via di Faltignano, ai quali però ha escluso di avervi partecipato in prima persona, essendole stati riferiti dal Lotti. Ha inserito tra i partecipanti la “Marisa di Massa”, sulla quale ha riferito anche la p.i.f. Avv. Fioravanti (come evidenziato nelle dichiarazioni sopra menzionate) ed ha parlato anche del carabiniere Toscano. Poi ha affrontato il tema della villa “La Sfacciata”, riferito sempre dal Lotti, avendo costei sempre sostenuto di non aver voluto frequentare quell’ambiente. Il solo Lotti fungerebbe da tramite tra i due mondi incomunicabili, oltre forse a qualche prostituta, non essendovi traccia di persone che avessero frequentato la stamberga nell’altra e, ben più prestigiosa, abitazione. A detta del Lotti i feticci servivano al “tedesco” della villa, il quale, peraltro, non era stato riconosciuto nell’album fotografico dalla Ghiribelli, che lo aveva visto solo una volta, avendolo confuso con l’imprenditore Vitta che, in effetti, gli somigliava. 

Anche il gruppo degli “intimi”, indicato in: dermatologo, orefice, Narducci ed, in seguito, in Calamandrei, ortopedico e Parker, nonché nel tedesco Reinecke, non risulta affatto essere stato indicato in tale composizione dalla Ghiribelli, né tampoco dal Pucci e, comunque, non vi è prova alcuna che questo “gruppo” avesse frequentato né in contemporanea né individualmente le due sedi dei festini. 

Il riferimento alla dependance della villa “la Sfacciata” abitata dal “tedesco” Reinecke, e dal “nero” Ulisse non appare suffragata da ulteriori elementi indiziari e di riscontro; anzi dalla visione del filmato effettuato dalla P.G. vi è più di un dubbio che possa trattarsi proprio del luogo ove avvenivano le orge e quant’altro, soprattutto in quanto non è stata riconosciuta da alcuno dei partecipanti e perché gli affreschi, ivi tuttora presenti, non corrispondono in alcun modo con quelli del tipo murales di cui hanno parlato le pp.ii.ff., che li hanno descritti come molto simili ai quadri dipinti dal Pacciani (che presentano tutti immagini demoniache e non certo religiose). Inoltre seri dubbi sussistono altresì sulla stessa presenza del Parker all’interno della villa, come emerso dalle dichiarazioni delle pp.ii.ff. sopra riportate. 

Senonché la “campagna di omicidi” proseguì anche dopo che il “tedesco” fece ritorno in Germania ed il “nero Ulisse” sparì dalla circolazione. Siccome gli autori materiali degli omicidi qui in contestazione risultano sempre medesimi, e siccome Lotti aveva parlato di un mandante – acquirente (su cui nessuno, in quel momento, era in grado di chiedergli dettagli) proprio in relazione al duplice omicidio di Scopeti, vi è una chiara “permanenza” del progetto criminoso, con modalità identiche. Si pone il quesito (del tutto irrisolto) circa il motivo della prosecuzione dei duplici omicidi e circa l’eventuale effettuazione dei riti orgiastici anche dopo l’allontanamento dei due soggetti, nonché del luogo ove essi si svolgessero e dei soggetti che vi partecipassero. 

Le modalità della morte del Narducci, e ciò che ne è seguito, alla luce di quanto risulta realmente emerso sulla persona e sui suoi contatti a San Casciano, e non di mere congetture, portano effettivamente un’ombra di sospetto sul Calamandrei, il quale, avendo sempre serbato nel presente procedimento un atteggiamento di assoluto riserbo (non risultando aver mai effettuato alcun tipo di dichiarazione), solo in tale ambito ha negato decisamente qualsiasi sua conoscenza con detto personaggio. D’altra parte sul conto del medico di Perugia, che pur risulta essere stato investigato in tutti i modi e in due diverse indagini, poi riunite, non è emerso quantomeno allo stato un suo coinvolgimento con i fatti per cui è causa, al più risultando coinvolto in qualche rapporto sessuale con prostitute della zona di S. Casciano e Firenze ed essendo stato avvistato (sia pur con non pochi dubbi e non da tutte le pp.ii.ff. sentite nella lunga indagine) nella zona. 

Anche qui appare un sillogismo secondo cui, facendosi anche riferimento alle allarmate ma ferme parole della Ghiribelli sulla “farmacia”, da trovare “a cattivo”, poiché il prevenuto ha dichiarato di non aver mai conosciuto Narducci ed essendo invece quest’ultimo “legato” a San Casciano, non poteva costui non avere responsabilità gravissime negli omicidi. Tuttavia, non essendo emerso alcun serio riscontro che leghi il Narducci al gruppo degli “intellettuali”, anche tale ipotesi appare quale sospetto o indizio ma non si spinge oltre detta soglia e non può di certo costituire, quindi, conferma dell’assunto accusatorio. 

Ulteriore sillogismo è rappresentato dal fatto che, essendo Calamandrei il solo a conoscere da tempo il gruppo dei “contadini” e quello dei “dottori”, avrebbe rappresentato una sorta di “tramite necessario”. Tuttavia anche tale circostanza non risulta affatto corroborata dai necessari riscontri oggettivi: infatti, una volta escluso che il Calamandrei possa identificarsi nel “dottore” che pagava per avere i feticci, non vi è alcun ulteriore elemento per identificarlo in colui che fungesse da tramite tra questi due presunti gruppi di persone, né che avesse ingaggiato il Pacciani ed il Vanni per gli omicidi, in quanto la conoscenza del Pacciani emerge solo attraverso le dichiarazioni per più versi farneticanti e, comunque, per lo più inattendibili rese dal Vanni, il quale, peraltro, ha parlato solo ed esclusivamente di visite sue, del Pacciani e del Lotti a casa del Calamandrei finalizzate ad incontri con prostitute che dovevano avvenire a Firenze e non certo dei due luoghi ove sarebbero avvenuti i “festini”. 

Infine, i sospetti “antesignani” della moglie Mariella Ciulli non rappresentano riscontri inequivocabili del fatto che il diretto coinvolgimento dell’imputato si presentasse, alla donna, convivente all’epoca delle vicende qui in contestazione, come una situazione di assoluta evidenza. Basterà, sotto tale profilo, riferirsi a quanto evidenziato nel capitolo relativo alla Ciulli per escludere, date le evidenziate condizioni psichiche della predetta, che esse possano in qualche modo corroborare l’ipotesi accusatoria, essendo anche esse prive di qualsiasi riscontro. Esse, peraltro, si riferiscono ad episodi che esulano dal presente proc. pen., concernendo in un caso un duplice omicidio avvenuto addirittura nel lontano 1968, in ordine al quale era stata pronunciata sentenza passata in giudicato nei confronti di Mele Stefano e non essendo emersa alcuna ipotesi di un qualche coinvolgimento del Calamandrei; in un altro caso avendo la stessa Ciulli escluso che il marito potesse aver partecipato materialmente al fatto (duplice omicidio del 1985, come pure da ella paventato in precedenza) in quanto quel giorno egli si trovava proprio con la Ciulli; ed, infine, avendo riferito di quell’incredibile duplice omicidio che doveva essere commesso anni dopo, nel 1991, quando la stessa si trovava in preda a pieno delirio, in loc. Madonna del Sasso, sul quale ha riferito con dovizia di particolari il parroco Don Attilio Belladelli con le dichiarazioni sopra menzionate e che, egualmente, non ha trovato (né poteva, comunque, trovare) riscontro alcuno, pur essendo intervenute le forze dell’ordine in gran numero. Infine anche le perquisizioni effettuate dalla P.G. a seguito delle reiterate richieste di intervento e delle denunce operate dalla Ciulli hanno avuto esito del tutto negativo, essendo state effettuate anche nel freezer del frigo sito nell’abitazione del prevenuto ove, a dire della Ciulli, costui avrebbe dovuto conservare i feticci congelati. L’unico spunto che risulta aver trovato una qualche conferma è quello rappresentato dal carattere violento del Calamandrei, con la problematica afferente ai suoi problemi di carattere sessuale, anche qui però con risvolti diversi e contraddittori, avendone la Ciulli parlato anche come di un impotente, che non poteva avere rapporti sessuali (e ciò contrasterebbe con quanto, invece, riferito in punto di suoi continui approcci con prostitute), dei quali hanno anche riferito le sue successive compagne Mascia e Vivoli. 

Deve, in conclusione, evidenziarsi, ricollegandosi a quanto sopra riportato circa l’enucleazione dei concetti di prova, indizio, congettura o sospetto e del principio, oramai consacrato anche nel codice di rito, secondo cui debba essere pronunciata sentenza di condanna solo “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che nel caso di specie certamente quest’ultima soglia non appare non solo superata ma nemmeno sfiorata: i sillogismi sostenuti dalla Pubblica Accusa non solo non si sono tradotti in indizi gravi, precisi e concordanti ma sono risultati solo ipotesi, inizialmente anche plausibili, ma non collegate le une alle altre da riscontri di una qualche oggettività. L’unica, vera ombra è rappresentata, come già evidenziato supra, dalla vicenda “Narducci”, la quale se avesse portato nell’indagine condotta dalla Procura perugina a qualche risultato concreto, essendosi svolta una serrata istruttoria, poteva avere una qualche ripercussione anche nella presente vicenda, alla luce della pervicace negazione di qualsiasi conoscenza o rapporto con il medico da parte dell’odierno imputato. Ma così non è stato e, dunque, anche sotto tale profilo si rimane ben al di sotto di una seria soglia indiziaria. 

Deve, infine, riportarsi la giurisprudenza della S.C. relativamente al concetto di prova insufficiente o contraddittoria: si ha insufficienza della prova quando essa non assume quella consistenza ed efficacia tale da poter fondare l’affermazione di responsabilità: si ha contraddittorietà quando sussiste l’equivalenza delle prove di reità con quelle di innocenza98. Si è, comunque, precisato che detto giudizio di bilanciamento, pur potendo riguardare solo una parte delle circostanze sulle quali si manifesta il dubbio, implica una valutazione approfondita ed articolata degli elementi che hanno originato il dubbio stesso, sì da escludere una loro interpretazione contraria alla tesi prospettata dalla difesa99. In prospettiva sovranazionale la CEDU ha evidenziato lo stridente contrasto con l’art. 6, par. 2 CEDU della sentenza di condanna che si basi esclusivamente su elementi probatori idonei non già a provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, ma più semplicemente a far “presumere” la colpevolezza dell’imputato, determinando una situazione siffatta un’indebita inversione dell’onere della prova, in conflitto con la presunzione di innocenza100 

Nel caso di specie, a conclusione della doverosa e rigida analisi dell’intero castello accusatorio, versandosi nell’ambito del giudizio svoltosi nelle forme del rito abbreviato ex art. 438 e seg. C.p.p., deve ritenersi che non sia emersa la prova consistente ed efficace tale da poter fondare l’affermazione della responsabilità del prevenuto in ordine ai reati a lui ascritti. 

98 (così S.C. sez. VI, 14.3.1997, Calabrò, in CP, 1998, 2421) 

99 (così S.C. sez. 1°, 27.10.1994, Marino, in FI, 1996, III, 307) 

100 (cfr. C. Eur. 20.3.2001, Telfner c. Austria, in LP, 2001, 1101) 

Si impone, dunque, la pronuncia di una sentenza con formula assolutoria “perché il fatto non sussiste”, che, oltre ad implicare l’esclusione della condotta, dell’evento o del nesso di causalità o, comunque, il dubbio su tali elementi, prevede, come nel caso di specie, l’assenza o l’insufficienza della prova circa il presupposto del reato. 

Si ritiene di dover liquidare a favore del difensore della costituita parte civile Kristensen Winnie la somma di € 2.404,00 oltre ad € 12,40 per le documentate spese e ad IVA e CAP se dovuti, come da separata ordinanza letta in udienza.- 

  1. dispositivo allegato. 

Firenze, 21.5/22.12.2008 

P.Q.M. 

IL G.U.P. 

DOTT. SILVIO DE LUCA 

DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL. 22.12.2008 

IL CANCELLIERE. Barbieri

GUP Dott. Silvio DE LUCA 

N’ 1277103 N.R 101304 

613/04 Gip 

REPUBBLICA ITALIANA 

TRIBUNALE DI FIRENZE 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

IL G.I.P. PRESSO IL TRIBUNALE DI FIRENZE, all’esito delle udienze svoltesi nelle forme del rito abbreviato ex art. 438 e seg. 

c.p.p.; 

Visto l’art. 530.2 c.p.p. ; 

assolve CALAMANDREI FRANCESCO in ordine a tutti i reati ascrittigli perché il fatto non sussiste. 

Liquida a favore del difensore della costituita parte civile KRISTENSEN WINNIE, ammessa al gratuito patrocinio a spese dello stato, la somma di € 2.404,00 oltre ad € 12.40 di spese e ad IVA e CAP, se dovuti, come da allegata ordinanza. – 

Visto l’art. 544.3 c.p.p. fissa il termine di gg. 90 per la redazione della motivazione della sentenza. – 

Così deciso in Firenze il giorno 21.5.2008. 

G.I.P 

Dott. Silvio De Luca Dott. $ixio 

Letta in udienza il 21/5/2008

1) 

INDICE 

PREMESSA GENERALE – I reati contestati a Francesco CALAMANDREI: i quattro duplici omicidi commessi tra il 1982 ed il 1985.

Pagg.7/9 

2)SUL CONTENUTO DEI CAPI D’IMPUTAZIONE. 

Pagg. 9/12 

3) Le complesse indagini sui delitti attribuiti al c.d. Mostro di Firenze, sfociate in 3 fasi che hanno dato luogo a 3 processi. 

  1. A) L’AUTORE UNICO. 

Pagg. 13/15 

Pagg. 15/17 

  1. B) PIU’ ESECUTORI MATERIALI – Pacciani, Vanni, Lotti: “I cd. compagni 

di merende” 

Pagg.17/18 

  1. C) II MANDANTE – presunte complicità di maggiore spessore. 

4) Mario VANNI, il postino complice di PACCIANI. 

Pagg. 18/19 

Pagg. 19/20 

5) La casa di Salvatore INDOVINO sita a S. Casciano, in Via di Faltignano. La presenza in quel luogo delle prostitute Maria Antonietta SPERDUTO, Gabriella GHIRIBELLI, Filippa NICOLETTI e dei cd. “compagni di merende”. 

Pagg. 20/23 

6) La necessità di una TERZA INDAGINE. Il mandante. L’indagine sul farmacista Francesco CALAMANDREI. 

Pagg. 23/25 7) Il “dottore” che pagava per ricevere i feticci femminili dei delitti. Le dichiarazioni rese da Lotti Giancarlo. 

Pagg. 25/28 

8) Le dichiarazioni di MARIO VANNI sentito come teste assistito. Le frequentazioni comuni con il CALAMANDREI. La chiamata di correo. II “nero ULISSE”. 

9) LA ATTENDIBILITÀ DELLE DICHIARAZIONI DEL VANNI. 

Pagg. 28/35 

Pagg. 35/69 

10) I riscontri alla chiamata di correo di Vanni: il nero “ULISSE”. 

Pagg. 69/72 

11) II “nero Ulisse” ed il tedesco che, secondo l’assunto accusatorio, vivevano in una dependance di Villa La Sfacciata. 

Pagg. 69/72 

12) Le due case dei “cosiddetti festini”. La casa dei “contadini” a Via di Faltignano e la dependance della Villa La Sfacciata a Giogoli frequentata dai cd. “mandanti gaudenti”. 

Pagg. 72/99 13) Il gruppo delle cosiddette persone “per bene” indicato dalla GHIRIBELLI. 

14) Le dichiarazioni dell’avvo. P. Fioravanti. 

Pagg. 99/107 

Pagg. 107/111 

15) La magia, i diavoli, il mondo dell’occulto come contesto delle perversioni sessuali di alcune delle persone individuate nel corso delle indagini. 

Pagg. 111/113 

16) La dependance all’interno della villa “La Sfacciata” e la sua frequentazione. 

Pagg. 113/119 

17) La articolata testimonianza di CIULLI MARIELLA, già moglie dell’imputato. 

Pagg. 119/172 

18) Le convergenze investigative con le indagini della Procura di Perugia: Il Dottor Francesco NARDUCCI. 

Pagg. 172/201 

19) SUI CONCETTI DI PROVE, INDIZI E SOSPETTI O CONGETTURE. 

Pagg. 201/205 

20) CONCLUSIONI. 

Pagg. 205/210 

22 Dicembre 2008 Motivazioni sentenza Silvio De Luca processo Francesco Calamandrei

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