Il 5 giugno 2009 il GIP Dott.ssa Marina De Robertis accoglieva, con un’ordinanza, la richiesta del PM Giuliano Mignini, condividendo l’impianto accusatorio (omicidio, “doppio cadavere” e connessioni fiorentine).

La Famiglia Narducci proponeva ricorso per cassazione, dichiarato dalla stessa Cassazione dalla VII Sezione inammissibile e condannando i richiedenti al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende.

Quindi le indagini sulla vicenda Francesco Narducci, iniziata con il procedimento n. 17869/01/44 che si concludeva il 25 ottobre 2001, si concluse con due fondamentali pronunce, relative al proc. n. 1845/08/21 RGNR, nel quale è confluito il procedimento originario. 

Quanto al procedimento principale, quello n. 1845, il PM Dr. Mignini aveva formulato una richiesta di archiviazione, ex art. 125 disp. att. C.p.p., nei confronti degli indagati accusati in particolare da Domenico Rizzuto e segnatamente nei confronti del giornalista marchigiano Mario Spezi e del farmacista di San Casciano V. P. Francesco Calamandrei. Avverso la richiesta hanno proposto opposizione addirittura i familiari di Francesco Narducci, appoggiati dagli stessi indagati, che chiedevano l’archiviazione ma con una motivazione radicalmente negazionistica, che si fondava sull’inesistenza dell’omicidio del medico, affermato con decisione dalla CT del PM, del Prof. Giovanni Pierucci, sulla negazione del “doppio cadavere, confermata, oltre che da quest’ultimo, anche da varie CC.TT., ultima delle quali quella del generale di Brigata CC. Luciano Garofano, del RIS di Parma. Per 5 gli altri reati, il PM chiedeva l’applicazione della prescrizione, ormai maturata e a cui nessuno rinunciava. Vedi Relazione Commissione Parlamentare

Questo il documento: Sentenza De Robertis ORDINANZA DI ARCHIVIAZIONE 5 giugno 2004

Questa la trascrizione:

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI PERUGIA 

UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI 

Proc. n. 3133/08 GIP Riunito il n. 7253/08 R.N.R. n. 6419/08 R. GIP 

Proc. n. 1845/08 N.R. 

ORDINANZA DI ARCHIVIAZIONE 

II Giudice, letti gli atti, sciogliendo la riserva nel Procedimento in oggetto 

OSSERVA 

Ritiene questo Giudice che la richiesta di archiviazione come formulata confronti di Francesco Calamandrei indagato del reato di cui agli artt. 110, 112, 81, 575, 576, 61 n. 2 e 4 c.p.; Mario Spezi indagato dei reati di cui agli artt. 110, 112, 575, 576, 61 n. 2, 378 dal PM nei c.p.; Cappelli Gianfranco indagato dei reati di cui agli artt. 110, 112, 81 c.p.; Cavataio Stefano o Salvatore indagato dei reato di cui agli artt. 110, 112, 81, 575, 576, 61 n. 2 c.p.; Sutera Salvatore indagato del reato di cui agli artt. 110, 112, 81, 575, 576, 61 n. 575, 576 61 n. 2 2 c.p.; Cavallaro Matteo indagato del reato di cui agli artt. 110, 112, 81, 575, 576, 61 n. 2 c.p.; Cavallaro Ignazio indagato del reato di cui agli artt. 110, 112, 575, 576, 61 n. 2 c.p.; Luigi Ruocco indagato dei reati di cui agli artt. 110, 81, 378, 340, 61 n. 2 indagato del reato di cui agli artt. 110, 81, 368, 340 595 61 n. 2 c.p.; Ferdinando Zaccaria indagato del reato di cui agli artt. 81, 110, 340 c.p.; Poma Rosario indagato del reato di c.p.; Douglas Preston cui agli artt. 81, 371 c.p.; Francesco Trio indagato del reato di cui agli artt. 81, 479, 61 n. 2, 48, 411, 413, 412, 410, 476, 340, 323 c.p.; Calcagni Marco indagato del reato di cui agli artt. 110, 81, 378 c.p.; Francesco Di Carlo indagato del reato di cui agli artt. 416, 61 n. 9, 412, 413, 410, 411, 479, 476, 328, 490, 326, 380, 611, 612, cpv. 340, 374 c.p. 81, Ugo Narducci indagato dei reati di cui agli artt. 413, c.p. 110, 81, 410, 411, 412, 479, 476, 490, 378 47, 48 c.p. 61 n. 2 c.p.; Pier Luca Narducci o Pierluca indagato dei reati 61 n. 2; artt. 378, 411, 412, 413, 410, 476, 490, 378, 48, 479, 61 n. 2 c.p.; Elisabetta Maria Narducci indagata del reato di cui agli artt. 378 c.p., 81 c.p. 110; Daniela Seppoloni indagata dei reati di cui agli di cui a gli artt. 328, 81, 479, 378 110, 81 61 n. 9 e 11 c.p.; Brizioli Alfredo indagato dei reati di cui a gli artt. 336, 340, 377, 378, 81, 410, 411, 412, 413, 110 c.p.; Brizioli Antonio indagato del reato di cui all’art. 336 c.p.; Giuseppe Trovati del reato di cui all’art. 378, 61 n. 11 c.p.; Sgalla Roberto indagato dei reati di cui agli artt. 326, 110, 81, 340, 490, 323 c.p.; Viola Mario indagato del reato di cui agli artt. 326, 340, 323, 490 110, 81 c.p.; Gennaro De Stefano indagato del reato di cui agli artt. 326, 110, 81, 490, 340, 323 Adolfo Pennella indagato dei reati di cui a gli artt. 412, 411, 410, 413, 378, 48, 479, 110, 81 61 n. 2 c.p.; Luigi Napoleoni indagato dei reati di cui agli artt. 347, 361, 328, 378, 379 c.p.; c.p.; Pennetti Dean Fabio indagato del reato di cui all’art. 340 c.p.; Napoleoni Monica indagata dei reati di cui agli artt. 326, 378, 110, c.p.; Recalcati Vittorio indagato del reato di cui all’art. 368 c.p.; Luigi De Feo indagato del reato di cui agli artt. 378, 379, 361 c.p., va condivisa, dovendo conseguentemente disporsi l’archiviazione del procedimento, all’esito dell’udienza fissata in camera di consiglio, a seguito dell’opposizione delle parti offese Narducci Ugo e Narducci Pierluca, in relazione all’ipotizzato reato di omicidio in cui appunto gli opponenti sono persone offese, udienza in cui sono state depositate memorie da parte dei difensori degli indagati. 

Circa l’ammissibilità dell’opposizione, le deduzioni delle parti dall’avvenuta fissazione dell’udienza a seguito dell’opposizione e di una delibazione implicita devono ritenersi superate sulla sua ammissibilità. 

Gli opponenti hanno formulato richieste di ulteriori (confronti tra consulenti, nuove perizie), per accertare le cause della morte di Francesco Narducci e la compatibilità del “corpo del lago”, con il corpo di Francesco Narducci, sostenendo che vi sia ancora incertezza sulle cause della morte, alla stregua delle diverse consulenze tecniche del PM e di parte in atti. 

Nel merito deve ritenersi che il quadro di indagine circa le cause della morte è completo ed esaustivo e che comunque ulteriori approfondimenti istruttori sarebbero inconferenti ai fini di un diverso esito processuale; gli stessi peraltro non potrebbero comunque legittimare la prosecuzione delle indagini, essendo finalizzati a dimostrare un evento suicidiario o un fatto accidentale: l’ipotesi del suicidio o dell’evento accidentale è da un lato sconfessata dagli elementi emergenti dalle ctu come di seguito riportati e dall’altro costituirebbero fatti privi di rilievo penale, per cui non sarebbe possibile svolgere o proseguire le indagini. Rigettata così, l’opposizione, deve pronunciarsi ordinanza di archiviazione del procedimento. Considerando dapprima la richiesta, in relazione al archiviazione del PM è stata formulata ai sensi dell’art. 125 disp. att. c.p.p., non essendovi sufficienti elementi a carico degli indagati, per sostenere in giudizio la commissione da parte degli stessi dell’omicidio di Francesco Narducci, pur all’esito delle lunghe e complesse indagini del PM, sulle cause della morte del medico perugino Francesco Narducci, sulla ipotesi del doppio cadavere, sui collegamenti di tale morte con i delitti c.d. del “Mostro di Firenze”. 

Giova in questa sede ripercorrere i tratti salienti della complessa indagine, composta da numerosissimi atti come elencati alle pagine 1, 2, 3, 4, della richiesta del PM che qui si intendono interamente richiamati, considerate anche le risultanze del complesso incidente probatorio dinanzi al GIP, in cui sono state assunte numerose testimonianze sui fatti oggetto del presente procedimento, indagine che riconoscimento nell’ordinanza del 7/21 dicembre 2004, n. 496/04 R. Mis. Caut. Pers., nel suo nucleo fondamentale ha trovato pronunziata dal Tribunale del Riesame di Perugia nel procedimento n. 8970/02 Mod. 21, relativo ai fatti oggetto del presente procedimento. Le iniziali conclusioni, del medico legale nell’immediatezza del ritrovamento del cadavere in data 13/10/1985, del medico perugino medico legale dott.ssa Donatella Seppoloni, intervenuta scomparso poco dopo le 15,30 del precedente 8/10/1985, circa la morte per annegamento, sono state contraddette dalle ctu a firma del Prof. Giovanni Pierucci, direttore del Dipartimento di Medicina Legale dell’Università di Pavia, come disposte dal PM ed in particolare quella ex art. 360 c.p.p., con riesumazione del cadavere ed accertamento autoptico compiuto a Pavia, con i correlati esami specialistici. 

Al riguardo il prof. Pierucci ha precisato quanto segue: ” Corno superiore di Sn vistosamente fratturato alla sua metà circa, con lussazione del moncone distale e formazione di una sorta di ginocchio al vertice dei due segmenti fratturativi: in corrispondenza di esso, il periostio – pericondrio risulta minutamente lacerato (v. ctu Pierucci ex art 360 c.p.p., alle pp. 16 e 17). “La menzionata lesione laringea esprime unicamente l’applicazione locale di una violenza meccanica” (v. ctu Pierucci alla pag. 46), attuata mediante costrizione del collo secondo una “modalità omicidiaria” (v. conclusioni pag. 52 ctu Pierucci). 

Inoltre il ctu prof. Pierucci, dopo aver escluso che la lesione possa essersi verificata accidentalmente, nelle fasi di recupero del cadavere o in quelle di trasporto dello stesso o in occasione della dissezione degli organi del collo, ha precisato, conseguentemente, nelle conclusioni, di ritenere che la lesione sia avvenuta in vita (v. pag. 52 delle conclusioni), mentre il Narducci era in condizioni di minorata difesa per l’assunzione della meperidina. 

Il Narducci infatti, faceva uso di meperidina, oltre che professionale, anche personale di tale oppiaceo sintetico. Di tale sostanza il Narducci faceva uso negli ultimi mesi di vita ed elevata è stata ritenuta la concentrazione della meperidina nell’encefalo. Va tenuto conto peraltro, soprattutto della rilevante riduzione di peso subita dall’encefalo (da 1400 gr. a 400 gr.), con conseguente perdita della componente di liquidi e proporzionale concentrazione nel tessuto residuo ricco di lipidi. Se si tiene conto di questo e si corregge l’eccesso di concentrazione, il dato conseguente di 2 – 3 microgrammi, che ne deriverebbe, riflette concentrazioni superiori alla dose terapeutica, indicata in 0,8 microgrammi/ml. sino a sfiorare la soglia tossica di 5 microgrammi/ml che è comunque, inferiore alla soglia letale, che si situa tra gli 8 ed i 20 microgrammi/ml. Sarebbe addirittura inferiore e non di poco al valore minimo dell’arco di concentrazione letale. Questo è stato accertato dalla tossicologa che ha operato in ausilio del Prof. Pierucci, la Prof.ssa Montagna (v. la seconda CT Pierucci alle p. 42, 43 e 44). 

L’obbietivata frattura del corno superiore sinistro della cartilagine tiroide, che il prof. Pierucci ha ritenuto essere avvenuta in vita, (v. conclusioni a pag. 52), rendeva “quanto meno probabile” che la causa di morte del Narducci risiedesse “in un’asfissia meccanica violenta prodotta da costrizione del collo (manuale – strozzamento; ovvero mediante laccio – strangolamento), secondo una modalità omicidiaria”. 

Quanto alla questione del doppio cadavere qualcuno, il 13 ottobre 1985, giorno del ritrovamento “ufficiale”, dopo la scomparsa denunciata l’8/10/1985, scattò delle foto del pontile di Sant’Arcangelo nel momento in cui il cadavere, trasportato dalla pilotina dei Carabinieri, fu adagiato sul pontile attorno a un ingente spiegamento di Forze, anche presente il Questore, che cercò di coprire il cadavere dalla vista dei curiosi. 

In particolare un fotoreporter della Nazione riuscì a scattare numerose foto, tra cui quella più significativa, nella quale si riesce a scorgere l’uomo ripescato anche nel capo e in del volto, gonfio, come nell’addome, scurissimo e con chiazze di capelli mancanti. L’uomo parte indossa una camicia chiara, pantaloni scuri con una cintura molto chiara e delle scarpe chiuse con lacci. L’uomo ripreso dal fotoreporter si raccorda piuttosto fedelmente con la descrizione che dell’ “uomo del lago” hanno reso numerose persone che hanno avuto modo di osservarlo, qualcuna anche con una certa attenzione. L’uomo di Sant’Arcangelo è stato, infatti, costantemente descritto come gonfio, dall’aspetto negroide, con labbra prominenti e occhi talmente gonfi da essere chiusi, nero e comunque scuro, con chiazze di capelli strappati. 

Tra le numerose dichiarazioni al riguardo si considerino quelle di Nazzareno Morarelli, che nella sua dichiarazione del 19/2/2002 così descrive il cadavere: “Quando aprimmo la cassa da recupero rimanemmo impressionati dal fatto che il cadavere era in avanzato stato di decomposizione e sembrava quello di un negro. Aveva le labbra grosse, di un colore scuro tra il viola ed il verde, il volto gonfio, il colore della pelle era nero come quello di un negro. Gli occhi erano chiusi ed era tutto gonfio”. 

Il prof. Ferruccio Farroni il 7/3/2003 così si esprime: “il cadavere sembrava quello del personaggio della Michelin tanto era gonfio”. 

II 31/5/2005 precisa: “Il cadavere era stato spogliato. Aveva un ventre gonfio, batraciano, con un telo apposto sopra di colore chiaro. Trasudava acqua dappertutto, maleodorante ed enorme come una taglia 70. Dico 70 perché era abnorme, non come una taglia 48 come era Francesco”. 

Inoltre circa il giorno del rinvenimento, numerose e qualificate persone informate sui fatti riferiscono con certezza del rinvenimento avvenuto in un giorno lavorativo, che non poteva essere il 13 (data ufficiale del rinvenimento), perché quel giorno era domenica. La più significativa è la dichiarazione dell’allora Comandante Prov. dei VV F. Ing. Gianfranco Eugeni che, il 23/6/2005, ha precisato, tra l’altro: “Il giorno del rinvenimento dovrebbe essere stato un giorno infrasettimanale, in quanto fui avvertito mentre stavo in ufficio o comunque al lavoro e non stavo a casa come stavo di norma la domenica. Ho il netto ricordo che si trattasse di un giorno lavorativo. Ero sicuramente al lavoro, perché non si trattava di una giornata festiva. Oltretutto non collego nella mia memoria, il mio intervento al Lago e una partita alla Stadio. Il Pontile presso cui fui portato era quello di San Feliciano e non di Passignano, perché l’unica incertezza è fra questi due pontili, mi pare proprio, però, che si trattasse del pontile di San Feliciano. Ricordo che mi fermai all’imboccatura di un qualcosa che non ricordo. Quello che rammento è che sicuramente non era un giorno festivo. Mi colpì il fatto che per una vicenda così clamorosa, invece di trovare una marea di gente al mio arrivo, non trovai più nessuno se non la macchina dei VVFF dei sommozzatori. Si trattava di circa tre o quattro sommozzatori e non c’era più nessun altro”. 

Sul punto della non coincidenza della data del 13 ottobre con quella del reale ritrovamento del cadavere del Narducci avvenuto a San Feliciano, (San Feliciano è anche il luogo della morte del Narducci che sarebbe avvenuta il 9, secondo il certificato cancellato con il bianchetto, v. ctu grafica a firma del prof. Francesco Donato), vi sono molte altre numerose dichiarazioni di persone informate. 

Si ricordino al riguardo, le dichiarazioni del M.llo della Polizia provinciale Piero Bricca, all’epoca vigile della Polizia delle acque e conoscitore del Narducci, che l’11/6/2002 ha affermato tra l’altro: “Ricordo che appena lo vedemmo esclamai: “ma questo non è lui!”. 

Ancora sul punto giova ricordare le dichiarazioni della signora Maria Teresa Miriano, amica della famiglia Narducci che ha dichiarato: “Io mi recai nella loro villa di San Feliciano, dove arrivai verso le 14.00. Mio marito non venne perché aveva l’ambulatorio. Ricordo c’era un gran via vai di amici. può darsi che sono andata alla villa di San Feliciano in due giorni diversi… il primo giorno che sono andata alla villa, ho visto il cadavere di Francesco all’interno della bara situata al piano terra. Francesco mi apparve con una espressione serena, con il suo volto di sempre senza nessun segno di violenza. Mi sembrava talmente sereno da apparire truccato. Aveva un paio di pantaloni tipo jeans, era senza scarpe, con delle calze scure, indossava un giubbotto color cuoio da cui spuntava una camicia verde. Me lo ricordo in maniera perfetta: il giubbotto aveva il colore del cuoio e mi sembra che fosse un po’ di pelle e un po’ di lana. A me sembra che subito dopo fosse stato portato via dall’impresa funebre, ma qualcuno mi disse che non era così. L’unica cosa che notai era che aveva un po’ di pancia e ciò mi stupì, perché Francesco aveva un fisico slanciato” (v. verbale del 20/2/2003). 

Le dichiarazioni confermate dal marito della signora, Prof. Ezio Moretti, sono state anche sostanzialmente confermate in sede di esame testimoniale, durante l’incidente probatorio. Che quel giorno dunque fosse lavorativo e fosse il lunedì successivo al 13, è risultato così confermato anche in sede di incidente probatorio ed in ogni caso alle 15 del 13 ottobre il cadavere ripescato non si poteva vedere più, perché la bara era stata chiusa un’ora prima (come affermato da Morarelli, da Farroni, da Barbetta, da Nazzareno Moretti). 

I dati così acquisiti trovano conferma nelle risultanze delle disposte quattro ctu, (vi è anche la consulenza di parte Spagnoli a firma dei dott. Ramadori e Bacci), dell’accertamento del RIS Carabinieri di Roma dell’ottobre 2002 e da ultimo del RIS Carabinieri di Parma, tutti di natura antropometrica e tutti concordi sul punto essenziale: il cadavere dell’uomo di Sant’Arcangelo non poteva appartenere al Narducci. 

Già il Prof. Pierucci prospettava dubbi circa la coincidenza tra il cadavere oggetto degli accertamenti medico legali e quello ripescato il 13 ottobre 1985 nelle acque del Lago Trasimeno e ciò sia per motivi di compatibilità dimensionale tra un cadavere in fase florida di putrefazione e gli indumenti indossati dal cadavere del Narducci, sia sulla base di elementi tanatologici, cioè dal raffronto tra la persistenza dei capelli nel “cadavere di Pavia”, cioè nel Narducci, a fronte di una qualche perdita segnalata nel “cadavere del lago” e ancora più nettamente dal raffronto tra lo stato di conservazione soprattutto viscerale del “cadavere di Pavia”, con quello che ci si poteva e doveva ragionevolmente aspettare dal “cadavere del lago”. 

Vi sono le condizioni di corificazione del cadavere di Narducci, dotato normalmente di capelli biondo rossicci e di visceri (specie encefalo e cuore) straordinariamente conservati, che non possono essere state precedute dallo stadio enfisematoso della putrefazione, di cui non si può arrestare l’azione distruttrice tissutale che si esaspera anche dopo che è cessata la fase enfisematosa. I fenomeni di trasformazione cadaverica non regrediscono infatti. Inoltre nel cadavere riesumato del Narducci non erano state riscontrate tracce di “annegamento” quale suggerito dalla “situazione del cadavere de lago”, quali “ geo e/o fitoplancton nei visceri”, assenza di diatomee, anche se il dato negativo non escludeva di per sé l’annegamento.  

Nella due CCTT a firma della dott. Gabriella Carlesi, la stessa ha risolto il problema in termini di una radicale incompatibilità e nel secondo studio ha cercato addirittura di ricostruire il volto dell’ “uomo di Sant’Arcangelo”. 

Ad analoghe conclusioni sono giunti i Carabinieri del RIS di Roma. 

Il Colonnello Luciano Garofano e l’App. Saverio Paolino, del RIS di Parma, hanno utilizzato la sofisticata tecnologia “laser scanner 3 D” il cui funzionamento è simile ad un radar e si basa sulla lettura del dato di ritorno dopo che l’onda luminosa ha colpito un corpo in grado di rifletterla e del software Cyclone della Leica Geosystems, attraverso il quale hanno proceduto alla registrazione di n. 3 “nuvole di punti” con un errore massimo di 3 mm., e la base di dati ottenuta è stata trasferita nel software Z – MAP Laser della Menci Software. Attraverso successivi passaggi, i due CCTT hanno proceduto alla misurazione della lunghezza del cadavere pari a cm. 160,5. Per una maggiore sicurezza dell’accertamento, i due CCTT hanno proceduto anche ad una sperimentazione, con l’ausilio di figuranti di diversa altezza e con diversa circonferenza addominale, sul pontile ove era stato deposto il cadavere, pontile rimasto immutato. 

All’esito, è stato accertato che solo il figurante lungo cm. 160,5 risulta quello che più si avvicina al cadavere ripescato, con il piede sinistro che si colloca ad una distanza dai paletti simile all’immagine captata dalla foto che riprende meglio il cadavere, analogamente alla posizione e lunghezza dell’arto superiore sinistro. 

In conclusione secondo i due CCTT del RIS di Parma, il cadavere dell’uomo ripescato il 13 ottobre 1985 dalle acque del Lago Trasimeno è risultato di altezza pari a cm. 160,5 e con una circonferenza corporea di cm. 99 all’incirca. 

Questa misura corrisponde grosso modo ad una taglia “56”. 

E’ noto, ed è comunque risultato, che il Narducci era invece alto circa 182 cm. (v. seconda ct del Prof. Pierucci a p. 39, dovendosi aggiungere alla lunghezza di cm. 180 indicata a pag. 10, circa 1-2 cm. a seguito delle curve fisiologiche del rachide, come indicato a p. 38) ed aveva un fisico slanciato tanto da indossare pantaloni di taglia “48 s”, trovati integri chiusi e con bottoni in parte persistenti (v. CT Pierucci a p. 9) che per di più erano chiusi su un asciugamano di tela robusta che poggiava sull’addome. 

Al Narducci quindi la taglia 48 stava addirittura abbastanza larga. 

Si tratta di divari incolmabili e spiegabili solo con una diversità tra i due cadaveri in questione. 

A fronte di tali risultanze univoche e dotate, come si è visto di sicuro rilievo scientifico, vi sono le consulenze di parte, della difesa della famiglia Narducci, in particolare da ultimo quella a firma dei Prof. Carlo Torre e Nello Balossino, che si attestano circa le cause della morte sulle conclusioni della precedente ct di parte a firma del prof. Giuseppe Fortuni e continuano a postulare un’evenienza indimostrata, vale a dire l’insorgenza della frattura del corno superiore sx della cartilagine tiroide o nel corso delle manovre settorie o addirittura in occasione del rinvenimento del cadavere che secondo gli stessi, sarebbe stato preso per le caviglie e per il collo, in area sottomandibolare.

Ci sono al riguardo da considerare le seguenti circostanze:

1) la mancata obbiettivazione radiologica della frattura (scoperta solo successivamente, in occasione della dissezione del blocco lingua faringe- laringe – organi del collo) è dipesa, secondo il Prof. Pierucci, dalla retrazione e dall’addensamento pressoché ligneo delle parti molli perischeletriche, tali da costituire una sorta di ingessatura salda della frattura (v. seconda CT Pierucci pag. 46); 

2) nel corso delle manovre settorie non si sono verificati eventi del tipo di quelli ipotizzati dal Prof. Torre e dal Prof. Balossino. Lo attestano le dichiarazioni della dott.ssa Barbara Cucchi del Dipartimento di Medicina legale di Pavia, che il 31/3/2004, ha dichiarato tra l’altro: “Preciso ancora che il Prof. Pierucci ha scarnificato completamente la cartilagine tiroide, estraendola con molta cautela e facilità, senza toccare minimamente i corni della stessa. Una volta estratta la parte veniva mostrata ai presenti i quali non hanno fatto alcuna osservazione. L’operazione è durata circa tre ore, data l’estrema cautela impiegata dal Prof. Pierucci. Quando lo stesso ha mostrato la cartilagine prima descritta ben scarnificata, ha evidenziato la linea di frattura esistente nel corno superiore sinistro e nessuno ha obbiettato nulla, né sulla parte, né sull’operato del professore. “sarebbe stato onere della difesa provare il contrario, ma non è stato fatto”. 

3) “il cadavere del lago” non è stato preso alle caviglie ed in regione sottomandibolare (che oltretutto si trova più in alto del corno superiore sx della cartilagine tiroide), ma imbracato. Lo dice l’App. Meli, nelle dichiarazioni del 17/10/02 (che i CCTT di parte Narducci non hanno potuto vedere) che si riportano nel punto che interessa: ” il cadavere rinvenuto il 13/10/1985 è stato da noi imbracato normalmente con le corde che toccavano le cosce e la schiena. Il recupero è stato normale”. 

Concludendo dunque sul punto del doppio cadavere deve ritenersi che tutti gli accertamenti compiuti sul pontile riguardano l’ “uomo del lago”. E’ lui che è stato rinvenuto cadavere in una “situazione di annegamento” e gli interrogativi sulla morte e sull’identità dello sconosciuto rimangono. 

Del cadavere del Narducci si ha solo l’accertamento pavese, cadendo la causa di morte dell’annegamento, perché non si sa dove sia morto il medico, tanto più che non si sono riscontrate le tracce dell’annegamento. Del Narducci si sa solo che è stato visto allontanarsi, a velocità crescente, verso la punta settentrionale della Polvese, e che poi la sua barca è stata rinvenuta, nel canneto antistante il castello, con la chiave inserita in posizione di spento e la marcia in folle. 

Una cosa è certa: un cadavere come quello “del lago”, sottoposto ad una lunga immersione per più giorni in acqua dolce, per di più non particolarmente fredda, specie durante il giorno, è andato subito incontro ad un violento ed irreversibile processo putrefattivo di tipo enfisematoso che ha toccato l’acme non appena il cadavere è stato recuperato ed è stato per ore sul pontile e poi nel garage della villa di San Feliciano. Il cadavere del Narducci, invece, forse dopo un trattamento conservativo, è stato messo nella bara che, per di più, era di ottima fattura e ciò ha bloccato la colliquazione ed ha prodotto la corificazione del cadavere, con il mantenimento dei peli del corpo e dei capelli e l’eccellente conservazione viscerale specie a livello encefalico. 

La complessa ed imponente indagine con rapporti giudiziari, informative, di vari organismi, Squadra Mobile di Firenze, Nucleo di PG dei CC di Perugia e Firenze, Rono CC Perugia, GIDES Firenze – Perugia, con intercettazioni di conversazioni telefoniche ed ambientali, con numerosissime dichiarazioni di persone informate sui fatti, alcune delle quali assunte in sede di incidente probatorio dinanzi al GIP, ha riguardato anche il possibile movente dell’ipotizzata morte per causa omicidiaria del Narducci, ed in particolare il collegamento del predetto con gli ambienti fiorentini di San Casciano – Val di Pesa, nell’ambito dei quali si consumarono i numerosi duplici efferati omicidi ai danni di giovani vittime, oggetto di processi e sentenze dell’A.G. fiorentina.

Numerose sono le dichiarazioni di persone informate che hanno riconosciuto il Narducci come frequentatore dell’ambiente legato ai delitti e riportate nella corposa richiesta del PM. Si possono ricordare di seguito, alcune significative. 

Gabriella Ghiribelli teste chiave al processo fiorentino, prostituta in stretti rapporti coi “compagni di merende” e col mago Salvatore Indovino, anch’egli legato agli stessi, l’11/7/2003 ha dichiarato che conobbe il Narducci tramite il Lotti (che è colui che al processo alluse al “dottore” che ordinava e pagava i “lavoretti”, cioè le escissioni delle parti femminili delle vittime). Una volta andarono al ristorante “La lampara” con la Nicoletti ed il Lotti. Ebbe addirittura quattro o cinque rapporti sessuali col Narducci in un albergo di San Casciano. Ad Amadore Agostini cronista de “La Nazione”, la Ghiribelli dirà, in epoca non sospetta di aver visto in relazione ai delitti, una CX verdolina (che era l’auto del Narducci). 

Filippa Nicoletti anch’essa teste al processo a Vanni e Lotti, amica della Ghiribelli e del Lotti è stata sentita l’11/9/2003 al GI De S; ha riconosciuto il Narducci con certezza, ha aggiunto che non era di Firenze, ha sottolineato di averlo visto alla “La lampara” (confermando così quanto dichiarato dalla Ghiribelli). Che si presentava come uno che abitasse a Prato.

Marzia Pellecchia, già prostituta del giro di San Casciano e del Calamandrei è stata sentita il 13/2/03, ha riconosciuto il Narducci con certezza come uno dei frequentatori della casa colonica fuori San Casciano dove si svolgevano i festini. Si presentava come un medico di Prato. Lo ha descritto con estrema corrispondenza al Narducci 

Lorenzo Nesi amico di Vanni e teste al processo a Vanni e Lotti sentito il 4/4/03 riconosce il Narducci e dice che abitava in una grossa casa colonica sulla strada che da San Casciano va a Cerbaia, vicino alla Chiesa di San Martino. Lo vide insieme al Calamandrei ed al Parker anche al bar frequentato da lui e dal Vanni. 

Elisabetta Marinacci figlia di un musicista che conosceva il Calamandrei è stata sentita il 20/4/2005, l’11/3/2005, il 4/5/2005 ed ha dichiarato di essersi recata con il padre, poi deceduto, rimasto paralizzato per un incidente nei primi mesi del 1981, nella farmacia del Calamandrei dove c’era un giornalista che le sembrava di riconoscere nello Spezi. Il padre aveva bisogno del farmaco per lo stomaco “Essen” ed il giornalista le fece presente che sarebbe bene che lo visitasse il prof. Narducci di Perugia, il quale chiamato al telefono dal Calamandrei rispose che si sarebbe recato nell’ambulatorio annesso alla farmacia dopo un paio di giorni, visita che poi avvenne, la teste riconosceva perfettamente il Narducci nella foto.

Anche Martellini Tamara ha visto il Narducci nella farmacia del Calamandrei mentre parlava con quest’ultimo con altre persone ed indossava una La coste bleu e pantaloni da cavallerizzo. 

Tralasciando numerosi altri riconoscimenti una delle dichiarazioni più rilevanti in proposito è quella dell’allora carabiniere Roberto Giovannoni che il 1/10/2005 ha riferito che, mentre era in servizio a San Casciano a tutela della principessa Beatrice d’Olanda e della sua famiglia, notata un’auto bianca tg. “PG” con lo stemma dei medici di fronte alla farmacia del Calamandrei, a “guardia” della quale vi era il postino Mario Vanni ed entrato nella farmacia per chiedere spiegazioni sulla sosta dell’auto, incontrò il Calamandrei ed il Narducci ed ebbe un colloquio con quest’ultimo che si qualificò esattamente come Francesco Narducci proveniente da Foligno e gli confidò di avere un appartamento nei pressi del casello autostradale di “Firenze – Certosa” nei pressi appunto della Certosa, mentre il Calamandrei lo osservava con disappunto per l’eccessiva loquacità dimostrata col carabiniere. 

Il Narducci è stato riconosciuto dal condannato Mario Vanni, per gli ultimi quattro duplici omicidi, che sentito dai PM Canessa e Crini il 17/1/2005 nel collegato procedimento fiorentino n. 1277/03/21 ha riconosciuto il Narducci come uno “di fuori”, amico del Calamandrei. Ha affermato ancora che il giovane viaggiava con un’auto grossa, tipo “Volkswagen”, cioè a due volumi, di colore “verde”, chiaramente allusiva ad un’autovettura tipo Citroen CX di colore verde, identica a quella che il Narducci aveva in effetti acquistato dal prof. Emanuele Rinonapoli. II Vanni ha ammesso di essersi recato più volte con il giovane riconosciuto nel Narducci, a bordo dell’auto descritta, alla cui guida c’era quest’ultimo, in compagnia del Calamandrei e del Pacciani, in cerca di prostitute. 

Calamandrei nei cui confronti, è stata recentemente emessa sentenza di assoluzione ex art. 530 co. 2 c.p.p. nell’ambito del processo fiorentino che lo vedeva imputato in concorso con Vanni Mario, Lotti Giancarlo, Pacciani Pietro quale mandante dei duplici omicidi commessi negli anni ’80 a San Casciano – Val di Pesa, Loc. Scopeti; a Vicchio di Mugello – loc. La Boschetta; a Scandicci loc. Giogoli; a Montespertoli loc. Bacchiano; a Calenzano loc. Bartolina, ha negato di avere conosciuto e frequentato a San Casciano il Narducci, che tra l’altro collaborava con l’industria farmaceutica Menarini di Firenze, come riconosciuto anche dalla moglie del Narducci, Francesca Spagnoli il 21/1/2005

Sul punto però è stata depositata anche in udienza dal PM il testo di una significativa intercettazione di una telefonata sull’utenza in uso alla figlia del Calamandrei, Francesca, nella quale il fratello di quest’ultima Marco, recentemente deceduto, si mostra preoccupato della circostanza che qualcuno potrebbe confermare che il padre conosceva il Narducci (….il babbo è fregato), e la sorella riferendosi al Narducci aggiunge: ” questo era a San Casciano fino all’85”. 

Circostanza, quella della conoscenza del Narducci, negata anche da altro personaggio dell’ambiente fiorentino avv. Giuseppe Jommi

Vi sono anche le dichiarazioni dell’avv. Pietro Fioravanti difensore di Pacciani il quale riferisce che il Pacciani gli disse che il Narducci era morto con una pietra legata al collo. Probabilmente Pacciani e Narducci si sono conosciuti a Vicchio, dove il Narducci aveva una porzione della villa di Roberto Corsini con cui secondo Pacciani, “era in combutta”: le riunioni le facevano a San Casciano vicino alla chiesa sconsacrata e ad un’azienda vinicola. Il Corsini è morto in un incidente di caccia nel 1984, proprio un anno prima del Narducci.

Una notazione particolare meritano anche le dichiarazioni di Enzo Ticchioni 15/10/2004 che riferiva le confidenze ricevute da Sov. Emanuele Petri, nativo della zona del Trasimeno, morto nell’attentato ascritto alle Brigate Rosse del 2/3/2003, sul treno Roma Firenze. Questi gli aveva confidato di avere partecipato al sopralluogo nell’abitazione del Narducci, nel quale erano state rinvenute le parti anatomiche femminili. Il Petri gli aveva anche parlato dell’elusione, da parte del Narducci, del posto di blocco nei pressi di Terontola poco prima della scomparsa. A Firenze esisteva un fascicolo intestato al Narducci al cui interno si trovavano lettere anonime che lo indicavano come il “Mostro di Firenze”. 

A Firenze tra gli atti ex SAM vi erano anche dei precisi riferimenti al Narducci: all’interno del faldone “1985-85090809 PSB – Auto transitate gg. 8-9 provincia di Firenze”, (senza né la firma del compilatore né la data), è stato rinvenuto un appunto in cui si legge: ” dr. Narducci Francesco medico Perugia, Via Savonarola n. 31 – ed era proprietario di un appartamento a Firenze ove avrebbero trovato dei bisturi e feticci – si sarebbe suicidato buttandosi nel Trasimeno”. Provincia di Firenze va intesa con riferimento ai luoghi dei delitti: area a sud di Firenze e Mugello, ma in particolare la zona di San Casciano. I punti di osservazione erano dislocati nei luoghi dei delitti. 

Quindi l’auto del Narducci, la notte del delitto, era probabilmente nei pressi di Firenze, verosimilmente a San Casciano ma la circostanza era stata fatta oggetto solo di un appunto. Tra gli atti fiorentini va segnalato un cartellino d’archivio sul quale oltre ai dati personali del Narducci c’era scritto:” deceduto misteriosamente presso il Lago Trasimeno – accertamenti svolti dai CC di Firenze perché sospettato quale Mostro il decesso risale all’ottobre 1985″? 

Il nome del Narducci compare anche al n. 181, in un elenco, chiesto in data 29/5/1987 relativamente al Proc. n. 5475/86 R.G., dai PM di Firenze inquirenti sui delitti del Mostro dott.ri Vigna e Canessa al Comandante Gruppo CC Firenze, di persone oggetto di segnalazioni con riferimento ai duplici omicidi accertati il 29 luglio 1984 in agro di Vicchio di Mugello ed il 9 settembre 1985 in agro di S. Casciano V. di Pesa. 

La lista scaturiva da dati inseriti presso la Banca Dati dell’ex SAM, ma questa Banca Dati non si può più consultare a causa dell’intervenuta formattazione e della conseguente perdita e distruzione di tutta la memoria dell’inchiesta. 

Le indagini si sono dunque indirizzate ad individuare i possibili mandanti ed esecutori dell’omicidio di Narducci nell’ambito fiorentino, essendo state prese in considerazione anche le dichiarazioni di Domenico Rizzuto su alcuni nomi di mandanti ed esecutori materiali ed anche sulla c.d. struttura de “Il Forteto” di Vicchio, essendo però, lo stesso risultato persona non sicuramente affidabile. 

Tali elementi di indagine, seppur apprezzabili, tuttavia, come evidenziato dallo stesso PM richiedente, non possono ritenersi idonei a formulare una precisa accusa sostenibile in giudizio nei confronti dei soggetti indagati di avere causato la morte di Francesco Narducci, per fatti correlati con i delitti di Firenze ed in particolare per il coinvolgimento dello stesso Narducci in tali delitti. 

Contestualmente con le indagini in relazione ai fatti come sopraesposti, il PM ha compiuto una complessa attività di indagine, circa condotte criminose poste in essere da numerosi indagati come sopra nominati, volte inizialmente a nascondere la reale causa della morte di Francesco Narducci ed a occultarne e sostituire il cadavere e, successivamente, ostacolare le indagini su tale morte. 

Di qui le numerose imputazioni ascritte, in relazione alle quali mentre per alcune si è proceduto con separata richiesta di rinvio a giudizio dinanzi al GUP, per altre sono già state inoltrate precedenti richieste di archiviazione con emissione dei relativi decreti di archiviazione, per altre si chiede in questa sede che vengano archiviate, perché prescritti i reati, anche per morte quanto ai reati ascritti agli indagati Di Carlo e Poma, e comunque per inidoneità degli elementi raccolti a sostenere l’accusa in giudizio, per i rimanenti reati ipotizzati. 

In particolare, i reati di cui agli artt. 410, 411, 412 e 413 c.p. ipotizzati nei confronti di Ugo Narducci, Pierluca Narducci, il questore Trio, l’avv. Alfredo Brizioli, l’allora capitano Francesco Di Carlo (nelle more deceduto), l’ing. Pennetti Pennella Adolfo, sono estinti per prescrizione avuto riguardo alla data di commissione degli stessi, infatti il reato più grave, quello di cui all’art 411 c.p. è un reato istantaneo con effetti permanenti, che si consuma nel momento in cui viene posta in essere la condotta istantanea. Tutti gli altri sono reati istantanei. L’occultamento di cadavere è reato permanente ma, in tal caso, la permanenza deve ritenersi cessata il giorno 14 ottobre 1985, quando il cadavere del vero Narducci fu visto dalla signora Maria Teresa Miriano. 

Parimenti prescritti sono i reati di concorso in falsità continuata, ideologica (verbale di ricognizione cadaverica) e materiale (certificato di accertamento morte n. 786 e ideologica (altro certificato n. 788) e di soppressione di atti veri (art. 490 c.p.) ipotizzati nei confronti dei predetti indagati ad eccezione di Brizioli, poiché trattasi di reati istantanei commessi il 13 ottobre 1985. 

Quanto al reato di soppressione dei fascicoli esistenti in Questura e presso i Carabinieri, ipotizzati nei confronti di Ugo Narducci, Pierluca Narducci, Trio e Di Carlo essa è avvenuta in epoca successiva al 1985 ed imprecisata, ma comunque nel corso degli anni ’90, come tale prescritto e per Di Carlo comunque estinto per morte dell’indagato. 

Il reato di cui all’art. 336 ipotizzato nei confronti di Brizioli Alfredo per un fatto dell’ottobre 2002 a Pavia, deve essere archiviato non sussistendo elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio, come pure i reati di cui agli artt. 323 c.p. ascritti a Trio e Di Carlo (quest’ultimo anche per morte dell’indagato), essendosi ipotizzato anche a loro carico il più grave reato di cui all’art. 416 c.p. per cui vi è stata richiesta di rinvio a giudizio. 

Per i reati di favoreggiamento ipotizzati nei confronti dei familiari di Narducci e di altri soggetti indagati, sono prescritti trattandosi di condotte che si sono esaurite nell’epoca del ritrovamento del cadavere o al massimo qualche anno dopo; come pure prescritti reati di cui agli artt. 361 c.p., 378, 379 c.p., nei confronti di Isp. Napoleoni e dr. De Feo, e 347 c.p. nei confronti del solo Isp. Napoleoni, nel merito comunque gli elementi raccolti sono inidonei a far ritenere una consapevole condotta dolosa in capo all’Isp. Napoleoni, per i fatti nei suoi confronti ipotizzati, considerato che, anche alla luce delle considerazioni difensive di cui alla memoria ex art. 121 c.p.p., depositata in atti dal difensore dell’indagato Isp. Napoleoni, quanto ai reati di favoreggiamento non vi sono elementi certi per sostenere la consapevolezza dei reati presupposti e in considerazione che egli svolse indagini nell’ambito della generale inchiesta sul c.d. mostro di Firenze. 

Le ulteriori ipotesi di favoreggiamento, calunnia, false dichiarazioni rispettivamente ascritte a Spezi, Ruocco, Preston, Trovati, non sono procedibili per le ragioni evidenziate dal PM richiedente, a Poma per morte dell’indagato. 

I reati di falso di cui all’art. 479 c.p. e di omissione di atti di ufficio, a carico di dott.ssa Seppoloni e di omissione di atti di ufficio a carico dell’Isp. Napoleoni sono prescritti. 

Il reato di cui all’art. 378 c.p. ascritto a Calcagni Marco e Narducci Elisabetta è già stato oggetto di altra richiesta di archiviazione in separato procedimento e deve essere comunque archiviato, non sussistendo elementi idonei e per improcedibilità per Narducci Elisabetta. 

Il reato di cui all’art. 340 c.p. non sussiste a carico degli indagati di esso, ad eccezione di Trio, Brizioli, Di Carlo (estinto per quest’ultimo per morte dell’indagato nei cui confronti deve disporsi archiviazione) per cui si procede separatamente. 

Per il reato ascritto all’indagato Brizioli di cui all’art. 336 c.p. verificatosi in data 18/11/05 si procede separatamente. 

Quanto alle posizioni di Sgalla, Viola, De Stefano, venivano pubblicati ampi brani di una lettera di richiamo al dr. Giuttari, responsabile del GIDES, con la foto del capo della Polizia Dr. De Gennaro posto in contrasto con il Responsabile del GIDES, come confermato dal più stretto collaboratore del Dr. Roberto Sgalla, responsabile dei rapporti esterni del Viminale, dr. Mario Viola, risultato in stretti rapporti col giornalista Gennaro De Stefano, come documentato anche da da una telefonata intercettata tra De Stefano ed il direttore del settimanale “Gente” Umberto Brindani (cfr. la telefonata del 7/8/2004, h. 12.43.44). Tuttavia come evidenziato dal PM richiedente non vi sono elementi idonei per sostenere l’accusa in giudizio nei confronti dei tre predetti indagati, atteso che quanto a De Stefano potrebbe concorrere nei reati se avesse, in qualche modo, sollecitato la nota che riguardava Giuttari, ma non vi sono elementi a riscontro di questo e non si può, in tal caso, ritenere il giornalista concorrente, come extraneus nel reato proprio di rivelazione di segreti d’ufficio; quanto a Sgalla, non è sufficiente per ritenere il suo coinvolgimento nell’ipotesi criminosa, il fatto che il Viola sia uno dei suoi più stretti collaboratori, in assenza di ulteriori elementi; 

quanto al Viola, è vero che la nota di richiamo del Dr. Giuttari era un atto d’ufficio assolutamente interno o comunque riservato, rimangono comunque interrogativi su chi aveva dato la nota al De Stefano e a chi si riferisse il giornalista con la frase: ” perché interessava a loro” oggetto della intercettazione di cui sopra; non vi sono, dunque, anche in questo caso elementi idonei per affermare la sussistenza del reato ipotizzato di cui all’art. 326 c.p. Quanto alla posizione del Vice Comm. Monica Napoleoni per i reati di cui agli artt. 326, 378 c.p., la stessa deve essere parimenti archiviata in considerazione di quanto dalla stessa riferito nella presentazione spontanea del 17/5/2006, analogamente alla posizione dell’avv. Vittorio Recalcati per il reato quest’ultimo, di cui all’art. 368 c.p. 

Tanto accertato e ritenuto, nel condividere la richiesta formulata dal PM; 

PQM 

Il Giudice, visti gli artt. 409, 410 c.p.p. dispone l’archiviazione del procedimento ed ordina la restituzione degli atti all’Ufficio del Pubblico Ministero in sede. 

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. 

Perugia, 5/6/2009 

TRIBUNALE DI PERUGIA 

Ufficio G.I.P. 

DEPOSITATO IN CANCELLERIA 

5 GIU 2009 

IL CANCELLIERE 83 (Luana Mastroforti)

IlGIUDICE 

Dott. Marina De Robertis

5 Giugno 2009 Ordinanza del GIP Marina De Robertis in accoglienza all’impianto accusatorio del PM
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