Il 6 e 7 aprile 2010 il Procuratore Giuliano Mignini pronuncia la requisitoria finale nell’ Udienza Preliminare relativa al Proc. N. 2782/05/21 per omicidio e associazione a delinquere.

Questa la requisitoria: REQUISITORIA UDIENZA PRELIMINARE 2782 del 6 7 aprile 2010

Questa la trascrizione:

Procura della Repubblica

presso il Tribunale di Perugia

DISCUSSIONE UDIENZA PRELIMINARE

PROC. N. 2782/05/21

Considerazioni introduttive.

Premetto che questo intervento riguarda, nella sua lunga premessa, non solo le posizioni di tutti gli imputati che non hanno scelto riti alternativi, ma anche la posizione del Dr. Mancini Giovanni Battista, che ha optato per il rito abbreviato e di cui parlerò alla fine.

Signor Giudice dell’udienza preliminare, Signori Avvocati e parti private,

questa vicenda giudiziaria è arrivata dinanzi a lei, a questo punto, ormai solo per la discussione.

E’ una vicenda complessa, forse la più complessa, la più dirompente e la più tormentata che la cronaca giudiziaria di questa sede perugina ricordi.

E’ un fatto sul quale, credo, non sia possibile sollevare obiezioni e, come tutti i fatti, di esso occorre prendere atto e, sul fatto riconosciuto come tale, emettere, poi, il giudizio. Disquisire sul perché tale vicenda, quella della morte del medico perugino Francesco Narducci, abbia assunto queste caratteristiche, significherebbe già entrare nel merito di questa storia, a cui occorre avvicinarsi invece passo dopo passo, frigido pacatoque animo.

Debbo, inoltre, sottolineare un aspetto che ritengo fondamentale. Per tutto quello che dirò, com’è mio costume, vi sarà un richiamo preciso, puntuale, alle risultanze delle indagini.

Anche dal punto di vista processuale questa storia è complessa e va ricapitolata.

La vicenda parte, in sostanza da un procedimento quale quello n. 9144/01/21 (a carico di Brozzi Francesco + 3, per il quale è intervenuta una sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p. a carico di Bini Pietro).

Da questo fascicolo si stralcia il fondamentale procedimento n. 17869/01/44, sulla morte per ipotizzato omicidio del medico, collegato, a livello di indagini, sin dal 9.11.01, con i procedimenti nn. 6402/01 e 3212/96/44 Procura Firenze, sui mandanti dei duplici omicidi di coppie appartate giornalisticamente attribuiti al “Mostro di Firenze” e, poi, con quello n. 1277/03/21 Procura Firenze, a carico di Francesco Calamandrei.

Da questo fascicolo, cioè dal 17869, si stralcia, tra l’altro, il procedimento n. 8970/02/21 sulle attività criminose di “copertura” dell’ipotizzato omicidio e numerosi altri procedimenti.

Poi, il vecchio procedimento n. 17869 passa a noti, a Mod. 21, nel 2005 ed assume l’attuale numero 2782.

Poi ancora, dopo una fase di coassegnazione di altri due magistrati a questo PM, durata quasi due anni e dopo lo scioglimento di tale coassegnazione all’inizio del 2008, dal fascicolo 2782 viene stralciato il n. 1845/08/21, che riguarda diversi degli odierni imputati, per l’omicidio ed altre ipotesi di reato, oltre ad altri soggetti, come ad esempio il giornalista Gennaro De Stefano e i funzionari del Dipartimento di P.S. Dr. Sgalla e Dr. Viola e viene formulata una fondamentale richiesta d’archiviazione (per lo più per prescrizione o ex art. 125 disp. att. c.p.p.) in data 8.03.2008, alla quale si rimanda per la ricostruzione della vicenda quale emersa dalle indagini e nella quale viene cristallizzato e motivato tutto l’impianto accusatorio della stessa, richiesta integralmente accolta dal GIP D.ssa De Robertis con l’ordinanza in data 5.06.09.

Al presente procedimento vengono riuniti diversi altri procedimenti che generalmente derivavano da false dichiarazioni rese alla Polizia giudiziaria o da dichiarazioni reticenti dinanzi al PM di persone via via esaminate come informati sui fatti, prevalentemente nel procedimento portante, il famoso 17869/01/44.

Altri procedimenti sono o ancora sospesi o in via di definizione.

Preceduta dall’avviso ex art. 415 bis c.p.p., in data 10.07.2008 viene esercitata l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio, con le modifiche apportate nel corso dell’udienza preliminare.

Come si vede, anche solo ricostruire i vari passaggi dei procedimenti che si sono resi necessari per giungere a quello per il quale si tiene oggi la discussione dell’udienza preliminare, non è facile e questa Procura, questo PM che, posso ben dirlo, si è imbattuto in questa vicenda nell’ambito della trattazione del procedimento n. 9144 di cui ho parlato, necessita, lo anticipo, di un tempo superiore e di molto a quello normalmente necessario in questa sede per motivare e formulare le proprie richieste, sia per l’elevato numero di imputati e di imputazioni, sia per il carattere oggettivamente unico, anomalo ed irripetibile e, aggiungo, complesso, di questa vicenda e di questo processo, sul quale, va detto in tutta onestà e chiarezza, si sono esercitate, reiteratamente, sin dal suo sorgere, interferenze esterne che ne hanno ostacolato lo sviluppo.

Prima di iniziare, mi riporto a tutte le richieste già formulate nella stessa richiesta di rinvio a giudizio, a proposito delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, sia alla produzione della documentazione relativa alle pagine del libro “La leggenda del vampa”ed altro, sia a tutto quanto da me osservato in relazione a istanze ed eccezioni delle difese e mi riporto alla fondamentale ordinanza di archiviazione del procedimento sull’omicidio e reati connessi (proc. 1845/08/21), nella quale è stato pienamente accolto l’impianto accusatorio, come del resto è accaduto anche con l’ordinanza irrevocabile del Tribunale di Perugia in data 7/21.12.2004, in sede di appello cautelare e con quella successiva, anch’essa irrevocabile, del 14.12.2005, in sede di Riesame.

In questo momento e prima di affrontare il giudizio abbreviato a carico del Dr. Mancini, su cui mi soffermerò alla fine, mi muovo nell’ambito della discussione dell’udienza preliminare cioè dell’art. 421 c.p.p.

Per quello che ho testè detto, sarà necessaria, a tal fine, una lunga premessa per ricostruire la vicenda perché un’esatta comprensione della stessa e delle risultanze processuali è imprescindibile, sempre, ma soprattutto nella presente vicenda processuale, per consentire all’ufficio del Pubblico Ministero di formulare e motivare le richieste su tutte le imputazioni, ma, in particolare, sulla prima.

Gli antefatti.

Dalla notte del fine settimana del 14 e 15 settembre 1974 sino alla notte tra domenica 8 e il successivo lunedì 9 settembre 1985 (o, secondo altri, tra il 7 e l’8), nelle campagne attorno a Firenze, ma anche nella località di Calenzano, vicino a Prato, hanno luogo, come ho premesso, dei delitti terribili in danno di giovani, appartatisi in auto o, come nell’ultimo, in tenda: in tutto perdono la vita il diciannovenne Pasquale Gentilcore e la diciottenne Stefania Pettini, il trentenne Giovanni Foggi e la ventunenne Carmela De Nuccio, il ventiseienne Stefano Baldi e la ventiquattrenne Susanna Cambi, il ventiduenne Paolo Mainardi e la diciannovenne Antonella Migliorini, i ventiquattrenni Jens Uwe Rüsch e Horst Wilhelm Meyer, il ventunenne Claudio Stefanacci e la diciottenne Pia Rontini, il venticinquenne Jean Michel Kraveitchvili e la trentaseienne Nadine Mauriot.

Sono delitti terribili, di inusitata ferocia e freddezza, tutti caratterizzati da una dinamica che, grosso modo, salve delle varianti, è identica per tutti e che va ricordata: sono delitti che avvengono nel periodo estivo, salve puntate settembrine, e di notte, l’assassino o gli assassini usano una pistola calibro 22 e un’arma bianca o coltello; prima viene eliminato l’elemento maschile che non interessa e poi vi è l’accanimento sull’elemento femminile, fatto oggetto di un crescendo di violenze che passano dalle ben 97 coltellate nel 1974 (dopo che la Pettini è stata trascinata ancora viva fuori dall’auto) e dalla penetrazione con il tralcio di vite nella vagina all’escissione del pube e del seno sinistro (per Pia Rontini, quando, sembra, fosse ancora viva), passando attraverso modalità intermedie, caratterizzate dall’escissione del solo pube, non considerandosi i casi in cui le escissioni non vengono poste in essere o perché l’operazione criminosa fallisce o diventa pericolosissima, come nel 1982 o perché si tratta di vittime entrambe maschili, come nel 1983. Ultimo punto: non vi sono rapporti pregressi, in genere, almeno in ipotesi, tra chi uccide e le vittime.

Tradizionalmente, i delitti vengono fatti iniziare con quello del mercoledì 21 agosto 1968 di cui furono vittime il muratore siciliano Antonio Lo Bianco e la casalinga sarda Barbara Locci. Per tale delitto è stato definitivamente condannato il marito della donna, Stefano Mele che, trovandosi in carcere o comunque in espiazione di pena, non può aver commesso i delitti successivi che sarebbero stati, però, commessi con la stessa arma usata nel 1968.

Questo processo, relativo al delitto del 1968, va sottolineato, è passato per la Corte d’Assise d’Appello di Perugia, chiamata in sede di annullamento con rinvio, disposto dalla Corte di Cassazione.

Perché non si è partiti da tale delitto ?

Prima di proseguire e di rispondere, bisogna soffermarsi un attimo sul quando, sul come e sul perché questo delitto del 1968 sia stato accostato ai successivi. E non stiamo parlando di cose formalmente estranee alla presente vicenda processuale: il capo XIV della richiesta di rinvio a giudizio riguarda proprio questo aspetto.

La vulgata ufficiale espone una serie di passaggi che conosciamo: il solerte ed acuto Maresciallo Fiori, in servizio a Signa, nel 1968, dopo il delitto in danno del Mainardi e della Migliorini, si ricorda del delitto del 1968, “intuisce” possibili collegamenti coi delitti successivi, viene riaperto il vecchio fascicolo processuale passato per Perugia e qui definito e restituito alla Cancelleria della Corte d’Assise di Firenze il primo aprile 1974 e, incredibilmente, al fascicolo di un processo definito sono allegati i bossoli e i proiettili repertati in occasione del delitto del 1968…caso unico, credo, nella storia giudiziaria italiana. Vengono fatti i riscontri e si stabilisce che a sparare nel 1968 era stata la stessa arma utilizzata nel 1982…semplice no ? E’ importante perché è su questo che si fondava l’ormai defunta “pista sarda”.

Sono passaggi che lasciano, come minimo, profondamente perplessi, se si tiene presente che il l’art. 622, secondo comma c.p.p. previgente, prevedeva le cose sequestrate come corpo del reato e appartenenti al condannato, dovevano essere confiscate e devolute allo Stato, mentre la normativa successiva di cui all’art. 6 della l. n. 152/75 ne prevedeva il versamento alla Direzione d’Artiglieria. Qui si trattava delle munizioni utilizzate per un omicidio per il quale era intervenuta la condanna definitiva del responsabile (Stefano Mele), figuriamoci se ci si potesse discostare da tale normativa, applicabile all’epoca del procedimento ! Che nessuno, a Firenze, in Cassazione, a Perugia e, poi, ancora a Firenze, per altri otto anni circa, nessuno si sia accorto che al fascicolo processuale definito erano allegati i bossoli appartenenti ai proiettili utilizzati per un duplice omicidio, in aperta violazione delle disposizioni del codice, è un qualcosa che a menti critiche come quelle che si presumono in operatori del diritto non può non lasciare francamente increduli, anche perché dall’informativa che il Responsabile del G.I.De.S. Dr. Michele Giuttari ha inviato alle due Procure di Firenze e di Perugia (a questa proprio per il procedimento n. 17869) in data 2 marzo 2005 (la n. 133/05 di protocollo) emerge che il G.I. Dr. Tricomi il 20.07.1982 ha effettivamente richiesto gli atti alla Cancelleria della Corte d’Assise di Firenze ma non è stata rinvenuta traccia documentale dei successivi passaggi e, quindi, del rinvenimento dei bossoli.

Sicuramente, però, il reperto è stato rinvenuto poiché i proiettili e i bossoli sono stati, poi, sottoposti a perizia per raffrontarli con quelli degli altri delitti. Secondo Tommaso D’Altilia, sentito dalla Squadra Mobile di Perugia il 15.03.2002, sulla questione dell’arma utilizzata per i delitti, si è innestato un colossale depistaggio. Lasciamo la parola al D’Altilia: “posso dire che il depistaggio è avvenuto, a mio avviso, nella città di Perugia o meglio nel Tribunale di Perugia, allorquando il dottor Vigna subentrò come Capo del Pool Investigativo che si occupava dei duplici omicidi avvenuti nella città di Firenze. Ciò avvenne dopo il delitto Mainardi — Migliorini, quando lo stesso Dottor Vigna annunciò che avrebbe messo il silenzio stampa sulle indagini e che comunque era sua intenzione prima di affrontare il delitto Migliorini e i precedenti delitti Cambi – Baldi e De Nuccio – Foggi di voler ripartire da quello avvenuto nel 1974 Gentilcore — Pettini. Nella circostanza un maresciallo dei Carabinieri Francesco Fiore, affermò di ricordare che nel ’68 c’era stato un delitto analogo, una coppia uccisa forse a Lastra a Signa, Locci – Lo Bianco. Il maresciallo o la magistratura ritennero di recuperare i bossoli al fine di procedere alla comparazione degli stessi, e siccome l’iter giudiziario del procedimento a carico di Stefano Mele si concluse nella città di Perugia, tutti i reperti erano presenti presso quest’ultimo Tribunale da cui si deduce, che solo presso quegli uffici sia stato effettuato lo scambio dei bossoli affinchè quelli della serie partente dal ’74 coincidessero con l’arma dell’omicidio del ’68. Poiché in proposito proprio nella prima parte della perizia che io redassi feci un’indagine personale, anzi una duplice indagine personale presso la Soc. Beretta, risultò inequivocabilmente che l’arma usata nel ’68 portava 8 colpi a caricatore pieno, mentre quelle usate dal ’74 in poi ne portavano 10”.

Certo, sul luogo o, meglio, sull’ufficio dove un’operazione del genere potrebbe essersi verificata, si può discutere, se fosse cioè la Corte d’Appello di Perugia o quella di Firenze, luogo in cui il fascicolo tornò poi definitivamente, ma, se è vero quello che dicono D’Altilia e il Dr. Giuttari, questo significa che l’arma usata nel delitto del ’68 e quella utilizzata nei delitti seriali dal ’74 in poi, sino al 1985, non sono la stessa arma e, quindi, tutta la costruzione ufficiale fondata su questo postulato dell’identità dell’arma non solo crolla ma evidenzia verosimilmente una clamorosa operazione di autentico “montaggio”.

Vi è da dire che, alla luce di una dichiarazione del Dr. Tricomi del 15.01.02, rinvenuta nel corso della perquisizione domiciliare all’imputato Mario Spezi, probabilmente nell’inverno 1982, il Maresciallo Fiori si presentò da lui con un ritaglio di giornale che riferiva della condanna definitiva del Mele a Perugia e gli chiese se fosse possibile acquisire il procedimento.

Va ancora aggiunto che le risultanze della perizia sui proiettili del ’68 sono state non univoche almeno per quanto riguarda il proiettile estratto dal corpo di Antonio Lo Bianco, perché, mentre il Colonnello Zuntini ha colto sul proiettile in questione n. 6 rigature destrorse, gli altri periti hanno individuato sempre nello stesso proiettile, solo n. due frammenti di impronta di rigature con andamento destrorso (vds. relazione del Vice Sov. Natalini del 01°.03.2005, richiamata a p. 141 della citata informativa del 2.03.05).

Tornerò più avanti sulla pista sarda, ma, in questa sede iniziale, posso fermarmi qui.

Francesco Narducci e la sua morte.

Un mese esatto, proprio così, un mese esatto dopo l’ultimo delitto, il pomeriggio di martedì 8 ottobre 1985, scompare al Lago Trasimeno il trentaseienne medico perugino Francesco Narducci, il protagonista della presente vicenda giudiziaria: si tratta del più giovane (o di uno dei più giovani) professore associato d’Italia, figlio dell’illustre ginecologo Primario dell’Ospedale di Foligno, il Prof. Ugo Narducci e fratello di un altro ginecologo, il Prof. Pier Luca Narducci. Francesco ha sposato Francesca Spagnoli, figlia di Gianni, appartenente alla nota famiglia di industriali perugini, che era titolare di uno stabilimento di merendine dolci a Sambuca Val di Pesa.

Sia il padre che il suocero appartengono alla stessa loggia massonica del Grande Oriente d’Italia, “Bruno Bellucci”, che annoverava tra i suoi membri anche il Rettore dell’Università, il Prof. Dozza.

Anche Francesco, secondo quanto emerso dalle indagini, era massone. Si vedano, in proposito, le dichiarazioni del 27.10.05 del Notaio Paolo Biavati, anch’egli già del GOI: “Anche il figlio Francesco sono quasi sicuro che fosse massone, perché l’ho visto personalmente nella sede del collegio circoscrizionale sito in questa P.zza Piccinino, in occasione di lavori di loggia. Poiché me lo chede, le dico che a tali riunioni non possono partecipare estranei al Grande Oriente. L’unico caso in cui possono partecipare estranei sono i funerali e, quando vidi Francesco Narducci, si trattava di una normale riunione di loggia “.

Bigerna Torcoli Mariella, vecchia amica di Francesco, rivela in data 18.01.06 una confidenza fattale dal gastroenterologo: “Un’altra cosa che mi confidò Francesco e, quando me lo disse ricordo che era particolarmente turbato, fu quella relativa alla sua appartenenza alla massoneria. Mi disse che era entrato perché in futuro gli avrebbe consentito di fare migliore carriera e che all’inizio gli avevano fatto intendere che la massoneria era una sorta di mutuo soccorso tra gli appartenenti e che ne poteva uscire in qualsiasi momento. Quando scoprì che questa loggia non era quello che lui pensava e volendone uscire, non gli venne concesso, lui affermò che aveva fatto, per questo, una sciocchezza. “

Appartiene al GOI anche il Prof. Mario Bellucci, testimone di nozze di Francesca e lo sono molti altri protagonisti della vicenda. Da quanto emerso dalle indagini, lo è o lo è stato anche il farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei, indagato nel collegato procedimento fiorentino e assolto ex art. 530 c.p.p., per insufficienza di elementi: si vedano le dich. del 19.08.03 dell’ex convivente Mascia Rossana, alle pp. 32 e 33 della nota G.I.De.S. del 17.11.03.

Si tratta di un’appartenenza che è necessario richiamare per inquadrare il contesto di rapporti che esistono tra i protagonisti della vicenda e che non ha impedito, peraltro, al padre ed al suocero del medico di assumere atteggiamenti radicalmente divergenti sulle indagini dell’Autorità giudiziaria.

La vita del medico, specie negli ultimi tempi, grosso modo negli ultimi due anni di vita, pur se coronata da notevoli successi, non era esente da ombre, anche pesanti.

Prima di andare avanti, va puntualizzato un particolare, che emerge dalle dichiarazioni dell’impiegata dell’Anagrafe di Perugia Emilia Cataluffi del 12.01.2006: “ Per quanto riguarda la laurea, ho saputo all’Ospedale, non ricordo da chi, che il NARDUCCI si era laureato alla Sapienza di Roma in ostetricia e ginecologia con 110 e lode. Poi ha preso la specializzazione in gastroenterologia. “ Quindi, il Narducci non sarebbe stato solo gastroenterologo, ma anche ginecologo, come il padre ed il fratello Pierluca.

La vedova, la Signora Francesca Spagnoli, parte civile nel presente processo, è l’unica delle persone della cerchia familiare del medico ad avere assunto, sin dall’inizio, una posizione chiara e compatibile con la sua posizione di persona offesa dell’ipotizzato omicidio del marito.

La Signora Spagnoli si è presentata, infatti, spontaneamente sin dal pomeriggio dell’8 febbraio 02, cercando di dare il suo contributo agli inquirenti e dimostrando di voler conoscere la verità sulla morte e anche sulla vita del marito. Il tutto mentre invece, la famiglia del medico assumeva un atteggiamento via via più ostile alle indagini, chiedendone la fine con toni sempre più inquietanti. Da quella prima audizione, ne sono seguite molte altre e la Signora ha sempre fornito alle indagini tutti i particolari di cui si è ricordata. Le due fondamentali e più articolate dichiarazioni della Signora sono state rese il 21 e 22.01.2005 e le stesse ricapitolano un po’ tutto quanto la vedova ha raccontato del marito e, soprattutto, degli ultimi momenti di vita dello stesso.

Sintetizzando al massimo, la Signora ha posto in evidenza le insolite assenze del marito in questi termini: “Confermo anche il fatto che mio marito, di tanto in tanto, sentiva il bisogno di andarsene senza dirmi dove e tornava a casa la sera tardi. Ciò è accaduto tre o quattro volte, a quanto mi ricordo ed era collegato a dei litigi che potevano scoppiare per vari motivi. Qualche volta ebbi la sensazione che Francesco cercasse la lite proprio per potersene andare…. nell’ultimo periodo, Francesco si estraniava spesso e confermo l’episodio avvenuto una domenica, non ricordo l’epoca precisa, quando Francesco rimase silenzioso nella casa dei miei genitori di Via dei Filosofi presso cui ci eravamo recati per il pranzo e poi, tornati a casa, dopo aver litigato, lui colse l’occasione per allontanarsi senza dirmi dove e tornarsene a casa la sera tardi. Un altro episodio del genere accadde fra il 1982 e il 1983, durante una cena a casa di mia sorella Beatrice, quando Francesco se ne stette in silenzio per tutta la serata, intento a leggere il giornale. “ (vds. verbale 21.01.2005). E nel verbale del 22.01.05, la stessa Francesca Spagnoli ha dichiarato: “Ricordo che gli episodi dei litigi con conseguente allontanamento di mio marito senza dare notizia di sé avvenivano il sabato e la domenica e quando Francesco tornava, assumeva un atteggiamento di sorriso forzato per fare subito la pace con me, ma io mi rendevo conto che tutto aveva un contenuto di strumentalità e di mancanza di sincerità. Alla luce di tutta la mia esperienza posso dire che Francesco è stato per me un grande enigma “.

Tra le assenze più strane, vi è certamente quella che si verificò alla fine di luglio di uno dei due ultimi anni vita del medico.

Mentre Francesca Spagnoli ha sempre sostenuto che la scomparsa del marito in quel fine settimana si verificò nel 1985 (vds. verbale del 31.05.02), il suocero Gianni Spagnoli, il 22.02.02, ricordando l’episodio, racconta: “A quanto ricordo il periodo fu un fine settimana della fine di luglio 1984. Ciò avvenne perché prendevamo normalmente le ferie ad Agosto e qualche volta poteva capitare che dovevamo anticipare le ferie. Ricordo che Francesca era preoccupata perché non riusciva a rintracciarlo né a casa né in Ospedale. Mi pare che Francesco ci raggiunse il Lunedì o il martedì. “.

Lo stesso Gianni Spagnoli, che evidentemente aveva motivo di ricordarsi meglio l’episodio perché l’insolito comportamento di Francesco si verificò in coincidenza della malattia di suo (dello Spahnoli) padre Aldo, sciogliendo le precedenti incertezze, il 2.10.02, ha esattamente collocato quel periodo di assenza del medico in questi termini: “Mi sono presentato spontaneamente a seguito della mia riserva circa le ricerche che avrei effettuato circa il periodo di ricovero sofferto da mio padre Aldo che coincise con il periodo in cui il prof . Francesco Narducci resto’ in Perugia mentre mia figlia Francesca ando’ al mare con mia moglie. Ho accertato che il periodo fu l’ultimo fine settimana di luglio 1984 e non 1985. Ho chiesto in proposito alla domestica di Aldo, che si chiama Italia Cappelletti ed abita a Perugia in zona Prepo, e la stessa ha escluso che potesse trattarsi dell’anno in cui mori’ Francesco, proprio perche’ quell’anno Aldo Spagnoli non fu ricoverato e non ebbe problemi da ricovero “.

Sogaro Giancarla, in data 3.11.03, ha confermato la circostanza in questi termini: “Ricordo che nel mese di Luglio Aldo fu ricoverato per una serie di esami e l’anno corrispondeva a quello antecedente la morte di Francesco, ossia il 1984. “.

Il particolare non è di poco conto se si tiene conto che la domenica 29 luglio 1984 furono uccisi a Vicchio Pia Rontini e Claudio Stefanacci e che il Narducci era stato segnalato proprio per tale delitto e per quello degli Scopeti.

Per quanto concerne i rapporti del Narducci con Firenze, specie a livello lavorativo, gli stessi, come si vedrà, hanno trovato conferma (ad es. rapporto lavorativo con la Menarini e con l’Ospedale di Bagno a Ripoli).

Il Prof. Emanuele Rinonapoli, colui che vendette la sua autovettura CX al Narducci e che era, all’epoca, il Direttore della Clinica Ortopedica dell’Ospedale di Perugia e, prima ancora, a Firenze con il Prof. Scaglietti, ricorda il 7.05.02: “Mi sembra di ricordare che Francesco andasse di tanto in tanto a Firenze per motivi professionali. “.

Qui basta ricordare quanto dichiarato l’11.07.06 da Simona Moretti che, all’epoca era poco più che una bambina, abitante in Via Savonarola 27, quindi, vicina di casa del Narducci: “Tutti… davano per scontato che il Narducci lavorasse a Firenze. Era un fatto che veniva considerato certo. Anch’io sapevo che il Narducci si recava a Firenze per lavoro.

Anche la già citata Bigerna Torcoli ha confermato gli stretti rapporti che univano il Narducci a Firenze. Si riporta un passo delle dichiarazioni rese dalla stessa il 19.01.06: “Francesco è cambiato tanto da quando ha iniziato a frequentare Firenze. E’ divenuto ancora più sfuggente di prima. Fu Francesco che mi disse che aveva iniziato a frequentare Firenze, credo per motivi di studio. Francesco mi disse questa cosa, grosso modo nel periodo compreso tra il 1973 e il 1975. Mi ricordo che, spesso, quando lui mi invitava ad uscire ed io gli proponevo un giorno della settimana, generalmente il giovedì, il sabato o la domenica, lui mi diceva che non poteva perché era a Firenze “.

Circa i mezzi in possesso del Narducci, la vedova ha confermato che aveva, negli ultimi mesi, una Citroën CX di colore verde-celeste metallizato ed una moto e che entrambi i mezzi furono ripresi dal padre e dal fratello del Narducci, subito dopo la morte la moto e un anno dopo l’auto.

Il Prof. Emanuele Rinonapoli descrive così, il 7.05.02, la vendita dell’auto al Narducci: “Ho conosciuto dapprima il Prof. Ugo Narducci e successivamente, dopo la laurea, il figlio Francesco a cui ho venduto anche la mia CX Citroen diesel di colore verdolino, forse metallizzato, poco tempo prima della sua scomparsa. Non ricordo precisamente quando vendetti la vettura al Narducci ma ora che vedo il foglio complementare posso affermare di averla venduta all’inizio del mese di luglio 1985 e in particolare 02/07/85. “.

A proposito della CX verdolina, il giornalista de “La Nazione” Amadore Agostini, in data 4.03.2006 ha fornito indicazioni sulla localizzazione fiorentina del Narducci e ha dichiarato che in epoca non sospetta, cioè prima dell’inizio delle indagini perugine, la Ghiribelli gli parlò di quest’auto. Così ha detto il giornalista: “ho sentito dire da ambienti investigativi, all’epoca, che il Narducci aveva un appartamento in via dei Serragli o quantomeno in zona Porta Romana di Firenze. Altri, sempre dello stesso ambiente e nella stessa epoca, cioè negli anni ’80 – ’90, mi hanno parlato di un appartamento del Narducci in Scandicci. Si è trattato sicuramente di appartenenti alle Forze dell’Ordine che indagavano ma ora non ricordo con precisione chi fossero quelli che me l’hanno detto. Successivamente ho sentito parlare di un appartamento a Fiesole ma, all’epoca, cioè negli anni ’80 – ’90, gli unici riferimenti che sentì fare erano quelli di via dei Serragli e di Scandicci. Mi pare che ciò avvenne in occasione di anonimi e in un periodo in cui ne pervennero molti. Aggiungo che, prima dell’inizio dell’indagine perugina, durante le indagini sui compagni di merende e nell’imminenza del processo di appello a Pacciani, avendo scoperto l’identità del teste “gamma” e, incuriosito del fatto che questa convivesse con un nappista, mi recai in Via Tripoli, a casa di Gabriella Ghiribelli, con cui parlai a lungo altre 3 o 4 volte. Ricordo che mi aveva preso in simpatia…. La Ghiribelli non voleva…. parlare in casa e uscì. Mi parlò di molte cose ma ricordo ora che mi parlò anche di una moto e di una CX Pallas verde, che io memorizzai perché mio padre ne aveva una simile, di colore grigio. Questi particolari li ho collegati a notizie apprese di recente, secondo ciui il Narducci aveva una CX Pallas verdolina. Gabriella ne parlò in relazione alla vicenda del mostro, perché questo era l’argomento dei nostri incontri….Sono assolutamente certo che la signora Ghiribelli mi parlò di questa moto e di questa CX verde prima dell’indagine perugina e colloco temporalmente questi colloqui che ho avuto con lei da poco prima della sentenza d’ appello di Pacciani ad un anno dopo la stessa. “.

Come si vedrà, a Via dei Serragli si recò proprio l’Ispettore Napoleoni, di un appartamento nella zona sud occidentale di Firenze avrebbe parlato l’ex Carabiniere Giovannoni Roberto, riferendogli confidenze del Narducci, mentre dell’appartamento a Fiesole avrebbe parlato, tra gli altri, il Maresciallo Giovanni Maglionico, del Nucleo PG di Perugia. Di un sopralluogo nell’appartamento di Via dei Serragli n. 6, ha parlato l’Isp. Napoleoni, nelle dichiarazioni al G.I.De.S. del 12.12.03 che si riportano per la parte che ui interessa: “In data 30 settembre 1985, io ho redatto una relazione di servizio inerente una notizia confidenziale ricevuta circa un episodio di violenza carnale avvenuto ai danni di una ragazza a Firenze. Tale notizia mi è stata confidata, sicuramente da PICCHI Franco, un conoscente per motivi di lavoro. Immediatamente io e il MAZZI abbiamo fatto degli accertamenti che scaturivano in una seconda relazione di servizio da me redatta in data 8 ottobre 1985, nella quale io riferivo di aver individuato a Firenze in via dei Serragli nr. 6 l’appartamento di POLI Paolo, presunto responsabile della violenza ai danni della ragazza. E’ chiaro che per effettuare tale individuazione io mi sono recato a Firenze, ma non ricordo quando precisamente, sicuramente nel periodo compreso fra il 30 settembre e l’ 8 di ottobre 1985. E’ probabile che l’appartamento di via Dei Serragli nr. 6 ritenevamo potesse essere collegato alla vicenda del Mostro di Firenze “. Come si vede, l’appartamento è, in qualche modo, ricollegato alla vicenda del “Mostro”, ma riferito a certo Paolo Poli.

Circa eventuali propositi suicidiari del marito, la vedova li esclusi specie con queste parole che si leggono nel verbale del 21.01.05: “Quanto alla domanda se mio marito avesse mai mostrato propositi suicidi, lo escludo nella maniera più assoluta perché non era il tipo da fare certe cose. Era molto legato alla vita. Ricordo che si sentiva talmente superiore agli altri da non scendere mai in dialogo con loro. “.

Nello stesso verbale, la Signora, come si vedrà, ha precisato di aver visto una pistola in possesso del marito.

Sempre sulla condotta di Francesco, il Dr. Carlo Clerici, medico del Reparto di gastroenterologia dal 1983 sino al 1985, in data 18.09.2003, racconta che, nel maggio o giugno 1984, mentre se ne stava in un piccolo studio in Ospedale, sentì delle voci provenire dal corridoio. Lasciamo la parola al Dr. Clerici: “riconobbi subito che una di queste apparteneva al NARDUCCI, il quale diceva:” MI RACCOMANDO DI NON DIRE NIENTE A NESSUNO…. DI NON PARLARE”. Queste parole furono ripetute dal NARDUCCI più di una volta, tanto che io uscendo dallo studiolo, vidi che lo stesso stava parlando o con la caposala GASPERINI o con l’infermiera di nome Daniela. Ricordo che il NARDUCCI aveva un espressione in volto molto preoccupata, ed anche il tono della voce, lasciava intendere una forte preoccupazione. “

Per accennare ad aspetti singolari e indicativi della personalità del medico, trascurando rapporti che il Narducci aveva con altre donne e in particolare con Cappuccelli Daniela, vanno richiamati alcuni episodi.

Il primo, in ordine di tempo, è decisamente inquietante.

Bigerna Torcoli Mariella, l’amica di Francesco di cui si è prima parlato, dopo essere stata sentita dai Carabinieri del R.O.N.O., è stata da me assunta a informazioni il 19.06.06. In entrambe le occasioni, ha reso dichiarazioni estremamente significative. Il 18.01.06, dinanzi ai Carabinieri, la Bigerna, dopo aver illustrato diffusamente certi aspetti della personalità di Francesco, ha riferito un episodio incredibile che accadde ad una festa, nel corso degli anni ‘70: “Ragazzo taciturno, poco incline all’apertura verso altri amici e/o conoscenti, era caratterizzato da una forte ambiguità di fondo. Posso affermare abusando del termine, che Francesco era “tutti in una persona”…. Mi parlò spesse volte dei rapporti con la sua famiglia, in particolare quelli con suo padre: non la sentiva sua, non si sentiva amato; era come se i familiari fossero un’entità distaccata…. Un altro aspetto caratterizzante di Francesco, noto a tutto il gruppo, era una accesa instabilità che a volte egli manifestava: più volte sono stata spettatrice di attacchi di ira violentissimi di Francesco che, senza alcun motivo, iniziava a scagliare qualsiasi oggetto gli venisse alle mani, salvo poi ricomporsi come se nulla fosse successo. Devo dire che dopo qualche volta io ebbi il coraggio di chiedere a Francesco spiegazioni circa il suo comportamento assolutamente innaturale, egli ribadiva esternando il suo stupore circa quello che io gli raccontavo avesse fatto. Mi vengono un po in mente le crisi epilettiche che io ho potuto osservare da piccola allorquando una mia compagna di classe ne venisse colta. Anche quando gli parlavo del padre la sua reazione era molto sfuggente. Visto che me lo chiede, Capitano, preciso che sono state molte le volte che ho visto Francesco essere vittima di attacchi d’ira con violenza sugli oggetti; qualunque oggetto gli venisse alle mani veniva scagliato con forza. Voglio anche aggiungere che nel “gruppo” Francesco era un po’ temuto per questi scatti di violenza. Certamente, l’episodio in cui ho capito che Francesco avesse qualche problema, non altrimenti spiegabile se non sotto il profilo medico, almeno a mio parere, fu quello che riguardò una giovane conoscente del “gruppo”. Una sera ci recammo in un casale in località Bosco dove era stata organizzata una serata danzante…. Quella sera, che non dimenticherò mai e che ho presente come se fosse oggi, vidi Francesco allontanarsi con questa ragazza che era arrivata alla festa ospite si del gruppo, ma non ricordo chi la invitò. Era una giovane ragazza di cui non ricordo le fattezze, posso dire solo che eravamo coetanee. Dopo qualche tempo mi stavo recando in bagno e mi vidi arrivare incontro questa ragazza che era spaventatissima, tremava e balbettava, sembrava in preda al terrore. Le chiesi i motivi di questo suo stato terrorizzato, e lei mi rispose che Francesco, durante un approccio di tipo sessuale, aveva cercato di tagliuzzarla all’inguine. Rimasi stupefatta di questo e cercai di farmi spiegare meglio: in pratica mi raccontò che, durante l’approccio sessuale, lei effettuò del petting su tutte le parti del corpo di Francesco, chiaramente tale azione venne estesa anche ai genitali dell’uomo, penso con le mani, perché lei mi disse che cercò di stimolare l’erezione dell’uomo. Purtroppo, mi disse la ragazza, l’erezione non avvenne e ciò provocò grave irritazione in Francesco che allora si alzò dal divano o dalla sedia o da qualsiasi altro posto dove erano sistemati, e si recò verso gli indumenti perché, probabilmente, si erano spogliati. Francesco ritornò con un bisturi in mano e propose alla ragazza di farsi tagliare nell’inguine perché in questo modo avrebbe provato piacere e, quindi, avrebbe avuto l’erezione. A quel punto lei è riuscita a fuggire divincolandosi dalla stretta di Francesco che cercò di inseguirla bloccandosi subito dopo avendomi vista in compagnia della ragazza. Quest’ultima, ancora tremante, mi disse che non dovevo assolutamente rivelare ad alcuno quello che era successo, tra lei e Francesco, inducendomi a prometterglielo solennemente. “. L’episodio è stato puntualmente confermato dalla stessa Bigerna in Procura.

Un episodio non molto dissimile accadde alcuni anni dopo. L’infermiera Serenella Pedini, il 19.08.03, ha riferito di un episodio che le accadde tra l’80 e il 1982, durante un turno di notte, il Narducci si abbandonò ad avances piuttosto pesanti nei suoi confronti. Ma, oltre a questo, la Pedini ha aggiunto che il medico era “alterato…sudato….si agitava passeggiando nervosamente, mettendosi e togliendosi le mani di tasca….”. La Pedini ha aggiunto di avere avuto altre avances di medici ma che “il loro comportamento non era ansioso e strano come quello del NARDUCCI”. In altra occasione, sempre secondo il racconto dell’infermiera, la Pedini, recatasi dal Narducci, su richiesta di quest’ultimo, per fargli firmare una richiesta di esame, sempre durante il turno di notte, trovò il medico disteso sul letto a torso nudo coperto solo da un lenzuolo.

Il medico non andava mai al lago nei giorni lavorativi e, negli ultimi giorni, aveva un problema ad un occhio. Lo dice la moglie in questi termini: “Mio marito non andava mai in barca al lago e in un giorno lavorativo nel mese di ottobre. Di solito, si andava al lago a primavera inoltrata o di domenica. Aggiungo anche che non è mai successo che lui si sia recato al lago a preparare un intervento. Quando doveva farlo, lui registrava la lezione o l’intervento in un registratore a casa o nel suo studio in Ospedale. Ricordo anche che, negli ultimi mesi di vita, Francesco aveva come un pallino rosso all’occhio. “ (vds. il verbale 21.01.2005). A conferma di quanto narrato dalla vedova, stanno le dichiarazioni della sorella del medico, Elisabetta che, nelle dichiarazioni del 19.04.02, ha raccontato che Francesco trascorse al lago, nella villa di San Feliciano, tutta la giornata di domenica 6 ottobre 1985, cioè due giorni prima di quello della scomparsa.

Circa il problema all’occhio, la D.ssa Emanuela Gaburri, in data 15.04.02, ha dichiarato: “ricordo che durante l’estate del 1985 soffrì, come lui disse, di una dermatite allergica più una congiuntivite ad un occhio, forse quello destro, rammento che aveva la congiuntiva molto arrossata e delle chiazze rosse nell’area peripalpebrale; fu lui stesso a mostrarmi la lesione al suo ritorno dalle ferie, così almeno mi sembra. Ciò deve essere avvenuto o ad Agosto o in Settembre del 1985. “.

L’anomalo comportamento di Francesco, specie in ordine alle assenze, va collegato, tra l’altro, al singolare uso dell’assunzione del Valium prima del rapporto sessuale. Sul punto, in data 22.01.2005, la Signora Spagnoli ha precisato: “Quanto all’uso del Valium,prima dei rapporti, ricordo che Francesco dietro consiglio di Ugo, mi portò da un ginecologo di Roma per farmi controllare il funzionamento delle tube e questo medico mentre mi sottoponeva ad un esame si accorse che avevo degli spasmi alle tube e allora ci consigliò di usare il Valium prima del rapporto. Voglio aggiungere che questo medico mi era stato presentato da mio suocero Ugo e che l’attuale mio ginecologo è rimasto stupefatto da questo tipo di terapia, ed ha esclamato che era la prima volta che ne parlavo. Ciò accadde nel 1984. L‘uso del Valium che avveniva di sera faceva si che io mi addormentassi dopo il rapporto fino alla mattina successiva. “.

Il prof. Antonio Morelli, che aveva la responsabilità della Gastroenterologia a Perugia, il 19.10.2007, nell’ultimo verbale di assunzione a informazioni, ha dichiarato: “Ricordo che negli ultimi tempi, Francesco Narducci portava un cerotto sotto un occhio e in quell’occasione lo vidi molto turbato, dimagrito, nervoso e quasi piangente…. “.

La Signora Spagnoli ha raccontato in questi termini, il 5.03.02, un episodio accaduto poco tempo prima della scomparsa: “poco prima che F. morisse, avendo avuto dei problemi durante un rapporto sessuale, F. si mise a piangere. La cosa mi colpi’ perche’ si trattava di una reazione esagerata rispetto ad un fatto di trascurabile rilevanza e del tutto isolato.“.

L’infermiera Lilli Gianlaura, addetta alla Segreteria di Clinica Medica, in data 27.02.04, ha ricordato in questi termini un ulteriore particolare: “effettivamente il prof. Narducci, poco prima della scomparsa, forse un mese prima , ma non ricordo con precisione quando, si presentò in ospedale con una fasciatura ad un braccio. Ricordo che non poteva utilizzare quel braccio, tanto che si trovava in difficoltà nel lavoro. Il prof. Narducci non poteva quindi svolgere gli esami di manometria, e, quando qualcuno gli chiedeva cosa avesse fatto , rispondeva che era caduto. Non so dire se quella fasciatura fosse da ferita o da frattura, fatto è che il braccio lo teneva immobile. “.

Quanto a quello che il marito disse a Francesca il giorno della scomparsa, la stessa ha affermato: “Confermo, nella maniera più assoluta, che Francesco non mi disse che sarebbe andato al lago e che mi disse, invece, che sarebbe andato in Ospedale come sempre…“.

Va anche detto che il vecchio amico di Francesco, Paolo Coletti, in data 26.01.05 ha sottolineato: “non mi risulta che Francesco sia andato al lago in precedenza in una giornata lavorativa prima dell’8 ottobre. “.

Giova ricordare anche che, tra gli altri, l’infermiera Mariella Lilli ha dichiarato in data 11.09.02, che circa 15, 20 o 30 giorni prima dell’8 ottobre, cioè del giorno della scomparsa, notò che il Narducci aveva due punti sull’arcata sopracciliare sinistra: la ferita, non trascurabile, sarebbe quindi insorta contestualmente, grosso modo, all’ultimo duplice omicidio.

Secondo quanto riferito dal Prof. Ugo Mercati, Primario della Chirurgia d’urgenza del Policlinico di Perugia, il 7.05.02, nella prima decade dell’ottobre 1985, il Narducci avrebbe dovuto tenere una relazione sulla patologia del colon irritabile. Così si esprime il Prof. Mercati: “Ricordo che nella prima decade dell’ottobre 1985 venne indetto un congresso da me organizzato sotto l’egida dell’ AIOSS. Nell’occasione diedi l’incarico al Prof. Francesco Narducci di discutere in tale ambito, una tesi sulle patologie del colon atteso l’interesse di quest’ultimo per tale argomento. Ricordo che venne nel mio studio, forse con il Prof. Morelli qualche giorno prima della sua scomparsa per discutere, appunto, della relazione da svolgersi. Francesco mi appari tranquillo e del tutto normale e soprattutto interessato della problematica scientifica di cui il congresso avrebbe discusso:… io posso dire che in sede di convegno ci pervenne la notizia che il Prof. Narducci era irreperibile e la cosa mi apparve molto strana perché in questi casi si manda almeno una comunicazione quanto più rapida possibile in merito ad una impossibilità di presenza…. “.

La puntata al lago del Narducci appare ancora più incomprensibile se si richiama quanto dichiarato da Marco Furbetta, figlio di Diogene, medico in strettissimi rapporti con il Prof. Ugo Narducci, in data 20.09.02: “Probabilmente, dietro indicazione di mio padre, io poi dissi a Francesca Spagnoli che il pomeriggio dell’8.10.1985, Francesco Narducci avrebbe dovuto incontrare un professore, forse Larizza. Ciò lo dissi a Francesca, a Milano, dove lei vive. “ Il Prof. Larizza era il Direttore di Clinica Medica (vds. le dich. del Prof. Brunangelo Falini del 17.11.03). Appare, quindi, ancora più strano che il Narducci si sia potuto recare al lago in un pomeriggio in cui aveva un appuntamento così importante in relazione alla sua attività ed alla sua carriera.

Dal momento della scomparsa, i familiari del Narducci assumono un atteggiamento di progressiva chiusura verso la vedova che il 21.01.2005 ha riferito: “Per quanto riguarda l’atteggiamento di chiusura della famiglia Narducci nei miei confronti, confermo che iniziò inspiegabilmente la sera della scomparsa.

Atteggiamento di chiusura che tocca aspetti davvero inquietanti in queste parole di Francesca Spagnoli nel verbale del 21.01.05: “avevo detto che Pierluca mi aveva telefonato alle 23,30 dell’8 ottobre 1985, per avvertirmi della scomparsa di Francesco. Ora ricordo con certezza che Pierluca mi aveva chiamato anche prima, cioè verso le 17,30, senza dirmi dove si trovasse, mentre si stava facendo sera, chiedendomi dove fosse Francesco ed io gli ho risposto che si trovava in Ospedale. Non capivo dove potesse trovarsi a quell’ora Francesco e, con il senno di poi, quella domanda di Pierluca mi sembra strana perché a quell’ora Francesco stava sempre in Ospedale. Poiché me lo chiede, le rispondo che la grafia di Francesco era pressoché illeggibile. In precedenza, verso le 15,00, mi aveva chiamato, in tono brusco, il mio suocero, lamentandosi del contenuto di alcuni articoli di giornali su Francesco. Quando Pierluca mi telefonò verso le 23,30, mi disse che si trovava al lago, che Francesco vi si era recato e che non si trovava più. Mi invitò, quindi, a raggiungerlo alla darsena di Trovati. Oggi mi sembra strano questo intervallo di ben sei ore, quando è evidente che Pierluca, come lui stesso mi disse quando arrivai alla darsena a notte fonda, si era recato a San Feliciano intorno alle 17,00. Mi pare proprio che Pierluca mi abbia detto così. “ Quindi, Pierluca, e questo è veramente strano, secondo la vedova, si trova al lago alle 17, quasi mezz’ora prima dell’orario ufficiale di morte del Narducci, cioè 110 ore dalle 7,20 del 13 ottobre 1985, quindi alle 17,20 dell’8 ottobre…

L’infermiera Zepparelli Anna Maria, all’epoca in servizio alla Clinica Medica del Policlinico, in data 17.05.05, ha illustrato con queste parole il clima venutosi a creare dopo la scomparsa del medico: “Quello che mi colpì fu il clima di “tabù” che si venne a creare dopo questa scomparsa. Sembrava come se fosse proibito fare domande su questa vicenda e io non mi azzardai a farle. Ricordo anche che la gente, per strada, ci chiedeva in continuazione informazioni sulla scomparsa di Francesco, ma noi non eravamo in grado di darle. “.

Di comportamenti singolari è costellata questa storia, ma certo questo è uno dei più strani, come strano e anzi inquietante è quanto riferito da Francesca in relazione al suo arrivo alla Darsena di Trovati, la notte tra l’8 e il 9 ottobre 1985: “Verso le ore una, una e mezzo di notte, Pierluca ritornò a San Feliciano con mio suocero che piangeva disperato e fu in quel momento che il dott. Ceccarelli lo abbracciò e disse:” ho fatto tutto come se fosse stato mio figlio ! “ (vds. il verbale 22.01.2005).

La signora ha aggiunto, nella stessa occasione: “Confermo anche che le Forze di Polizia e Carabinieri erano in contatto solo con la famiglia Narducci che, da parte sua, non ci informava per nulla sulle ricerche. “.

L’imputato Dr. Francesco Trio, nel suo interrogatorio del 2.07.07, dopo aver confermato di essere stato lui a incaricare delle indagini la Squadra Mobile, ha fatto riferimento ad una pluralità di ipotesi a cui, in quel momento iniziale, si pensò: “Io incaricai immediatamente la Squadra Mobile che provvide alla formalizzazione della denuncia e che svolse accertamenti anche all’Ospedale. Vi era un ventaglio di ipotesi, come la fuga, il suicidio, una disgrazia, l’omicidio per gelosia o un sequestro di persona. “.

Dalla scomparsa iniziano battute al lago e continue ricerche.

Quello che è curioso è che gli stessi Carabinieri che svolgono le ricerche non sanno con chiarezza chi ricercano, sanno solo che si tratta di un “medico di Firenze”, proprio così…

L’App. dei Carabinieri Meli Daniele, in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Castiglione del lago, che, unitamente all’App. Di Goro, svolse le ricerche dello scomparso con la pilotina in dotazione e trasportò il cadavere sul pontile, ricorda un particolare dei giorni delle ricerche che va riportato. Nelle dichiarazioni del 17.10.02, l’Appuntato ha detto, riferendosi proprio ai giorni iniziali della scomparsa: “Qualcuno addirittura ci disse che si trattava di un uomo di Firenze e di una persona importante. Poi specificarono che si trattava di un dottore… Io sapevo solo che si trattava di una persona importante, di un medico di Firenze. Aggiungo che in uno di quei giorni delle ricerche giunsero sul posto delle persone che venivano definite altolocate, che apparivano in giacca e cravatta e nell’atteggiamento tipico di persone che ricoprono importanti cariche istituzionali….mi pare che queste persone salirono a bordo della nostra motovedetta… Mi pare di ricordare con maggiore approssimazione che questi personaggi fecero una sorta di giro nell’isola Polvese e nell’Isola Minore. Si trattava di un gruppo compreso tra quattro e otto persone…. I personaggi erano tutti uomini e di mezza eta’, a quanto ricordo. Non ricordo da dove provenissero. Ricordo comunque che questo sopralluogo fu fatto proprio nel periodo intermedio tra la scomparsa e il ritrovamento…. Credo che i sopralluoghi alle due isole siano avvenuti in giorni diversi, ma non sono sicuro che si trattasse sempre delle stesse persone…. Non ne sono sicuro , ma mi pare che i personaggi abbiano perlustrato anche la costa prospiciente Monte del Lago.

Quindi, tra il giorno della scomparsa ed il giorno del rinvenimento, un gruppo tra quattro ed otto uomini di mezza età, in giacca e cravatta, persone definite “altolocate”, si mettono a perlustrare l’Isola Polvese, l’Isola Minore e la costa di Monte del Lago.

Intervengono anche i “maghi”, proprio così. Sembra incredibile ma è così. Ne avremo più avanti l’ulteriore conferma. Mi riferisco in particolare al “sensitivo” che il padre ed il fratello o, forse, il suocero di questi, Ceccarelli Alberto, insieme a Ferruccio Farroni, incontrano in due occasioni, ma in particolare la sera di sabato 12 ottobre, nei pressi di Monte Tezio ed ai quali l’uomo comunicò dove e quando l’indomani sarebbe stato trovato il corpo di Francesco. Il Farroni, in uno dei tanti verbali, il primo, quello del 18.04.02, così racconta ciò che fecero l’indomani: “Il giorno dopo quindi andammo al lago, di mattina presto, ed effettivamente dei pescatori ritrovarono il corpo “. Quindi, i tre si recarono al Lago, recependo l’indicazione del sensitivo e….guarda caso, dei pescatori rinvennero il corpo.

Dopo numerose ricerche, il sensitivo è stato identificato in Ragugini Giuseppe, morto nel maggio 2000. La moglie di questi, Bellan Alide, ha dichiarato cose un po’ diverse ai Carabinieri del R.O.N.O., quando è stata sentita il 25.09.06: “Uno o due giorni dopo mi sembra che tornarono a casa mia in due, credo CECCARELLI Alberto ed un altro familiare, ma non saprei ricordare se fosse il fratello o il padre dello scomparso. Mio marito mi disse che riferì loro che Francesco NARDUCCI era ancora vivo e che poteva trovarsi nella zona del Lago Trasimeno. Non mi disse nulla di più preciso. Voglio precisare che sono certa che mio marito disse loro che Francesco NARDUCCI era ancora vivo “.

Non vi è più la possibilità di chiarire cos’abbia detto il Ragugini agli emissari della famiglia Narducci né se lo stesso abbia mentito alla moglie circa il contenuto del colloquio, ma certo è che Ugo, Pierluca e compagnia sapevano che il cadavere sarebbe riemerso proprio la domenica successiva e persino in quale punto del lago. Tra questi personaggi, permane una profonda ambiguità nel ruolo del Farroni: lo stesso appare a conoscenza del futuro rinvenimento, tace significativamente al Morelli da chi sia stato avvertito del rinvenimento del cadavere la mattina del 13 ottobre (vds. il verbale del 01°.06.2005: “Io chiesi a Ferruccio.” MA INSOMMA… CHI TI HA CHIAMATO QUELLA MATTINA DEL TREDICI?” e Ferruccio mi ha risposto:” UN AMICO” “, ma, nel contempo, si attiva perché venga effettuata l’autopsia ed è lui che, insieme al Morelli, riconosce ufficialmente quel cadavere per il Narducci, salvo quello che avrebbe affermato in seguito.

Anche il Nucleo Elicotteri di Arezzo sapeva in anticipo che quella mattina sarebbe stato rinvenuto il cadavere e, secondo la versione degli elicotteristi presenti nel pontile, furono proprio loro a scoprirlo, come vedremo, non i pescatori.

Dopo cinque giorni dalla scomparsa, nella prima mattinata di domenica 13 ottobre 1985, viene rinvenuto un cadavere in loc. Arginone, nella parte meridionale del Lago che, all’epoca, viene riconosciuto come quello del medico scomparso.

Dopo poche ore dal rinvenimento e dopo “accertamenti” (chiamiamoli così….) demandati alla dottoressa che avrebbe dovuto solo certificare la morte e lasciandone totalmente al di fuori il medico legale di turno Prof.ssa Francesca Barone, dell’Istituto di Medicina legale di Perugia, accertamenti svolti in un contesto di fretta e di approssimazione, senza una regolare visita esterna di un medico legale all’Obitorio, senza spogliare completamente il cadavere e senza accertamento autoptico, la dottoressa formula l’ipotesi di “asfissia da annegamento da probabile episodio sincopale”.

Va aggiunto che il Carabiniere Messineo Gaetano, in servizio quella mattina nei pressi del pontile, ha dichiarato in data 2.11.01: “Ricordo bene che era stato impartito l’ordine di non far avvicinare nessuno di non avvicinarsi noi Carabinieri compresi. Non so chi dette tale disposizione “. L’ordine che si estendeva addirittura anche ai Carabinieri, mentre gli uomini della Mobile e addirittura il Questore erano invece a stretto contatto col cadavere sul pontile, appare decisamente singolare, visto che si sarebbe trattato ufficialmente di disgrazia e non si comprende affatto il motivo per cui non solo i curiosi ma addirittura i militari della Stazione Carabinieri competente dovessero tenersi così a distanza dal cadavere ripescato.

Il cadavere, senza alcuna documentazione fotografica, viene restituito immediatamente ai familiari, con un nulla osta verbale, che sarà seguito addirittura il giorno dopo i funerali dal nulla osta scritto: si vedano le dichiarazioni dell’impiegata della Segreteria della Procura di Perugia, Miranda Bei, in data 15.03.02.

Bisogna fermarsi un attimo sul punto e dare la parola a Nazzareno Moretti, il titolare dell’impresa funebre di San Feliciano, che fa caricare il cadavere ripescato nel carro funebre e, affiancato da un funzionario di Polizia, che prende posto al suo fianco, si dirige verso Perugia. Debbono andare all’Obitorio, ma il carro funebre e le auto che seguono verranno incredibilmente deviati verso la casa dei Narducci in prossimità del Lago. Il 9.11.01 il Moretti ricorda: “L’ufficiale prese posto sul carro funebre e partimmo per Perugia. Giunti all’incrocio sulla Magione Chiusi, esattamente al Bivio di San Feliciano venni fermato da una donna, che credo sia stata la cognata del defunto, che rivolgendosi all’ufficiale che come detto prendeva posto al mio fianco testualmente diceva “HA DETTO MIO SUOCERO DI PORTARLO A CASA”. A questo punto l’ufficiale della Polizia di Stato sentito quanto riferito dalla donna mi diceva di dirigermi verso l’abitazione del Dottore “. E’ una scena che non abbisogna di commenti, perché “parla” da sola.

Va aggiunto un particolare significativo: nei due telegrammi inviati dal Questore Dr. Trio a: “MININTERNO SICUREZZA 559 – 123 et conoscenza: Prefettura GAB.”, si legge testualmente nel primo: “ Salma recuperata trasportata locale obitorio at disposizione A.G. informata punto In corso accertamenti punto Questore Trio” e, nel secondo: “ Salma recuperata trasportata locale obitorio at disposizione A.G. informata punto Escludesi morte violenta punto In corso indagini punto Questore Trio”, ciò che contrasta in modo inconfutabile, in primo luogo, con il fatto che la salma fu portata invece nella villa di S. Feliciano e non nell’obitorio e, in secondo luogo, con il fatto che agli atti del fascicolo iniziale “Atti relativi” non risultano atti d’indagine compiuti dopo il rinvenimento del cadavere.

Il Dr. Alberto Speroni, nel verbale del 5.04.02, lungi dal chiarire le palesi falsità di tali documenti, le ha accentuate. Ha detto infatti: “Ricordo…di avere io corretto un identico telegramma ove si diceva che la salma era stata riconsegnata ai familiari e che quindi non era stata portata all’obitorio e che non veniva esclusa la causa violenta della morte. “. Non si capisce, infatti, quale sia stato il “risultato” della correzione, se cioè lo Speroni abbia “corretto” il riferimento della restituzione del cadavere ai familiari, del conseguente, mancato trasporto del cadavere stesso all’obitorio e dell’esclusione della causa violenta della morte, perché, in tal caso, la “correzione” avrebbe implicato indicazioni contrarie, pacificamente false. In ogni caso, vi era un’indicazione, quella della non esclusione della causa violenta della morte, che veniva posta accanto a due circostanze invece pacificamente vere, quali quelle dell’immediata riconsegna del corpo ai familiari, senza passaggio all’obitorio.

Decisamente, i conti non tornano e non possono tornare.

Gli interrogativi sulla morte del medico e le primissime indagini.

Sembra tutto finito ma non è così.

Dapprima in sordina, a San Feliciano e al Lago Trasimeno, poi a Perugia, a Foligno dove il padre è Primario ginecologo, si forma e si sviluppa quello che, più che una leggenda metropolitana, come è stata chiamata, è una sorta di convinzione generalizzata, di “fatto notorio” più o meno geograficamente localizzato, più che di “voce corrente nel pubblico”, che si sentiva ripetere dovunque: Francesco Narducci è coinvolto nella vicenda del “Mostro”, anzi…è il Mostro.

Valga come esempio quanto dichiarato dal Comandante della Stazione CC. di Magione, il Lgt. Salvatore Salaris che, giunto a comandare la Stazione qualche tempo dopo i fatti, subentrando al Maresciallo Bruni, così ha riferito il 21.02.02, proprio nella fase iniziale delle indagini, riferendosi peraltro a quanto riferitogli dai militari della Stazione: “Quando assunsi il Comando della Stazione CC. di Magione vi fu un periodo di ambientamento, durante il quale ho ricevuto delle informazioni sui fatti più rilevanti accaduti a Magione. Nell’ambito di questi racconti si parlò anche del rinvenimento del cadavere del prof. Narducci. Si commentava che nell’ambito di questo fatto fu trovato non so dove se nella barca o addosso al dottore, un biglietto o una lettera nel quale il professionista si dichiarava il ” mostro di Firenze”. Nello stesso verbale il Lgt. Salaris ha aggiunto gli stessi particolari che leggeremo in relazione al rapporto tra il Narducci e la vicenda del cosiddetto Mostro di Firenze, ma indicando una fonte autorevolissima come il sottuficiale ha confermato, il Dr. Alessandro Trippetti. Ha raccontato il Lgt. Salaris nello stesso verbale: “Il secondo momento dei ricordi lo collego alle dichiarazioni del dr. TRIPPETTI, all’epoca del rinvenimento del cadavere, medico condotto del Comune di Magione il quale mentre si andava al bar a prendere il caffè, un giorno commentando il lavoro della Magistratura e delle FF.PP., mi disse che al momento del rinvenimento del corpo del prof. NARDUCCI, tutto fu fatto con una grandissima fretta e aggiunse che dopo di lui sopraggiunse un medico Legale il quale riconsegnò subito il corpo ai famigliari, senza ritenere utile l’esame autoptico. Il dr. Trippetti, ripetè in maniera simile, quanto mi era stato riferito dai militari, integrando il tutto con la notizia che il dr. Narducci era sposato con una SPAGNOLI, che il matrimonio sarebbe durato poco perché non sarebbe stato consumato in quanto impotente, che il prof. Narducci disponeva di un’abitazione nei dintorni di Firenze proprio in uno dei luoghi dove vennero consumati i delitti attribuiti al “Mostro di Firenze” e che nei fine settimana il NARDUCCI era solito recarvisi. Il dr. Trippetti aggiunse che in questa abitazione furono effettuate perquisizioni nel corso delle quali furono rinvenuti oggetti pertinenti ai reati attribuiti al cosi detto “Mostro di Firenze.”

Domanda: ” Lo ritenne attendibile il dr. TRIPPETTI? ” Risposta: ” Si, in quanto si trattava di una persona molto seria che non parlava a sproposito e mi fu detto che fosse molto amico del prof. Ugo NARDUCCI. “.

Avevo cercato di assumere a informazioni il Dr. Trippetti sin dai primissimi giorni dell’indagine, ma lo stesso era in condizioni fisio – psichiche proibitive e dovetti rinunciarvi.

In ogni caso, il M.llo Elio Fortuna, Comandante interinale alla Stazione CC. di Magione prima dell’arrivo di Salaris, il 15.11.04, ha sostanzialmente confermato quanto dichiarato dal Salaris. Si riporta parte delle sue dichiarazioni: “Domanda: ” Quando ha prestato servizio alla Stazione Carabinieri di Magione?” Risposta: ” Nel 1988-1990. “Domanda: ” Quando è arrivato il M. llo Salaris, lei era già in servizio a Magione?” Risposta: ” Sì, ero brigadiere in sede vacante, e in pratica comandavo la stazione. “Domanda: “Quando giunse il M. llo Salaris voi faceste una specie di briefing con cui aggiornaste il Comandante della situazione locale? “Risposta: ” Sì, ci fu questo tipo di incontro. “Domanda: ” Si ricorda se parlaste del caso Narducci ?” Risposta:”Ricordo che io gli dissi che c’erano delle indagini in corso sulla sua scomparsa. Ricordo che nel briefing dicemmo al m.llo Salaris che sul Narducci erano in corso indagini da parte del Nucleo Operativo dei CC. , non ricordo di quale centro, in relazio “.

Oggi sappiamo che questa fama generalizzata e persistente era stata preceduta da anonimi pervenuti a Firenze e accompagnata, nel suo sviluppo, da una serie di accertamenti e di risultanze.

Il medico perugino non è, infatti, uno sconosciuto a Firenze, tutt’altro. Se ne parla, poi succedono fasi di silenzio, poi il nome riemerge. Lo dice un vecchio e acuto cronista de “La Nazione” Mario Del Gamba, in un interessante verbale del 28.11.05: “del medico Narducci si parlava con più frequenza e ho avuto sempre l’ impressione che su questo personaggio si glissasse”.

Nel corso delle indagini, è stato sentito, il 01°.09.2004, il Maresciallo dei Carabinieri Annibale Cherubini, già in forza al Nucleo PG di Perugia, che ha riferito di un episodio che comprova un’attività d’indagine fiorentina a Perugia sul “Mostro di Firenze”, prima della morte del Narducci: “un giorno, sicuramente dopo il mio collocamento congedo, avvenuto come detto nel dicembre 1979 e, comunque, prima della morte del Prof. Narducci, mi trovavo di fronte alla ex Questura, in Piazza Partigiani, ove ora vi è ubicata la Procura della Repubblica, mentre ero intento a parlare con un appartenente alla Polizia di Stato, mio conoscente del quale non ricordo il nome, ma mi sembra fosse un appuntato che dovrebbe essere deceduto, vidi uscire dalla Questura un distinto signore che venne salutato molto deferentemente dal poliziotto, mio interlocutoire. Chiesi a costui chi fosse quel signore, pensando che si trattasse di un nuovo funzionario che non conoscevo. Il poliziotto mi disse testualmente: “E’ uno dei vostri! E’ un Colonnello dei Carabinieri che viene da Firenze per la questione del “Mostro di Firenze”.

Dagli atti di questa indagine, emerge con certezza che furono i Carabinieri della Sezione Anticrimine di Firenze a interessarsi espressamente del Narducci addirittura un mese o due dopo la morte del medico. E’ il Maresciallo Mario Calzolari, della Sezione Anticrimine di Perugia, il futuro R.O.S., che, interrogato il 19.02.02, ha dichiarato: “Ricordo anche che un mese o due circa, dopo la morte di NARDUCCI, vennero qui a Perugia, due elementi della sezione anticrimine del R.O. CC. di Firenze interessati ai possibili rapporti tra i delitti del cosi detto “mostro di Firenze” e il NARDUCCI. Questi furono da noi indirizzati ai colleghi del R.O. del Gruppo di Perugia. Ricordo anche che all’epoca sentii parlare di una possibile casa del Narducci a Firenze e ricordo anche il nome della località di Bagno a Ripoli “. Bagno a Ripoli è la località dell’Ospedale dove fu eseguita la perquisizione ed è anche il luogo di residenza dell’Avv. Giuseppe Jommi, un nome su cui si tornerà molto più avanti e che è, forse, il personaggio centrale dei rapporti fiorentini del Narducci.

Nell’incipit del verbale, il Maresciallo Calzolari ha illustrato anche i compiti a cui si dedicava la Sezione, con queste parole: “La sezione anticrimine si occupava soltanto di terrorismo e di movimenti eversivi e criminalità organizzata e anche di attività criminose ricollegabili a logge massoniche deviate. Quest’ultimo tipo di servizio fu svolta nell’ambito della nota indagine della Procura di Palmi. “. E’ evidente, quindi, che la Sezione di Firenze si è mossa nell’ambito di una di queste materie di competenza.

Per la storia del “Mostro di Firenze”, il Narducci finisce sui giornali nella primavera 1987, dapprima nella cronaca nazionale de “La Nazione” del 12 aprile. Nell’articolo, a firma proprio di Del Gamba, si parla di una lettera che il “Mostro” avrebbe scritto ancora al magistrato Silvia Della Monica, divenuta poi Procuratore Aggiunto di Perugia, lettera che avrebbe spinto gli inquirenti a rivedere l’orientamento maturato dall’ultimo delitto, che cioè il “Mostro” fosse morto, anche alla luce di indagini su due suicidi, uno di un soggetto di Montecatini Terme e, soprattutto, un altro, di un medico morto al Lago Trasimeno….Richiamo l’attenzione del GUP su queste affermazioni del giornalista Del Gamba: gli inquirenti fiorentini erano convinti che il “Mostro” fosse morto dopo il suicidio di un personaggio di Montecatini Terme e soprattutto di un medico morto al Lago Trasimeno.

La giornalista fiorentina di “Repubblica”, Franca Selvatici, sentita il 30.05.06, ha fornito utili indicazioni sull’impatto che il personaggio Narducci ebbe nell’ambiente giudiziario e giornalistico fiorentino, negli anni ’80 e ’90 e sul ruolo che gli veniva attribuito ed ha sottolineato testualmente: “grosso modo nel 1987 e 1988 giunsero alle Forze dell’Ordine due o tre anonimi provenienti da Perugia che indicavano Francesco Narducci come il mostro di Firenze. Ricordo anche che prima del processo Pacciani giunsero alle Forze dell’Ordine e forse anche ai giornali altri anonimi in numero maggiore sul Narducci. In pratica in questi anonimi si diceva che gli inquirenti stavano sbagliando tutto in quanto il mostro non era Pacciani ma Narducci. Si parlava appunto di questo medico, il Narducci, di cui si diceva si fosse suicidato perché oppresso dai rimorsi. Credo che nel 1987 – 1988 il colonnello Rotellini, capo del Nucleo di Polizia Giudiziaria di Firenze, svolse degli accertamenti su ordine della Procura, all’esito dei quali accertò che, in occasione di uno dei delitti, quello di Calenzano, il Narducci si trovava negli Stati Uniti, e per questo fu immediatamente escluso dalla lista dei sospetti perché all’epoca imperava la teoria del killer solitario. Ricordo anche che tutti noi rimanemmo colpiti dal fatto che il Narducci fosse morto un mese dopo l’ultimo dei duplici omicidi “.

A conferma dell’orientamento dell’interesse degli inquirenti in quel periodo, va citato uno degli atti più importanti emersi dalle indagini, che è certamente la richiesta in data 29.05.1987, relativa al proc. n. 5475/86 R.G., con la quale il Proc. Agg. Vigna e il sostituto Canessa (con firma per ricevuta Dr. Federico) scrivono al Comandante Gruppo CC. di Firenze, chiedendo di redigere (trasmettendone un esemplare) “un elenco aggiornato di tutte le persone – che saranno indicate per ordine alfabetico – oggetto di segnalazioni con riferimento ai duplici omicidi accertati il 29 luglio 1984 in agro di Vicchio di Mugello ed il 9 settembre 1985 in agro di S. Casciano V. Pesa….” E invitano gli organi destinatari a valutare l’opportunità di predisporre “una coordinata attività volta alla verifica della posizione di tali persone, o di quelle fra esse che appaiano più rilevanti, per l’ipotesi che abbia a ripetersi un episodio come quelli in passato verificatisi”.

Alla richiesta risponde la Squadra Mobile, con sigla “b” (Bernabei ?), con nota (indirizzata alla Procura e ai due magistrati e, per conoscenza, al Comando Gruppo CC. di Firenze) in data 14.07.1987, Categ.M/1/87 Sq.Mob.SAM., All. 1, Riservata a mano, in cui, in risposta alla richiesta e facendo seguito alla nota 17.06.1987 (comprendente altro distinto elenco di sospettati), trasmette altro elenco di “tutte le persone, segnalate, da anonimi e non, dopo i duplici omicidi del 29.07.1984, a Vicchio di Mugello, e del 9.9.1985, a S. Casciano V. di Pesa”.

L’elenco è intitolato “Elenco di tutte le persone segnalate da anonimi e non dopo il duplice omicidio Stefanacci – Rontini del 29.7.1984, trattate da questo ufficio, escluse quelle segnalate con elenco compilato in data 17.6.1987:”. Sono esattamente 254 nomi e al n. 181 è indicato: “ NARDUCCI Francesco, nato a Perugia il 4.10.1949, già ivi residente, deceduto per annegamento sul Lago Trasimeno; nel 1985”. Quello che più colpisce e che non è possibile non sia stato notato dagli inquirenti stessi è che il Narducci è l’unico, dell’elenco, deceduto dopo il delitto del 1985 (l’altro, certo Tamponi, è deceduto nel 1970: si tratta evidentemente di un nome inserito per errore).

Sembrerebbe, pertanto, che il Narducci fosse stato segnalato, come persona sospetta, sin dal delitto di Vicchio, del 29 luglio 1984.

La lista scaturiva da dati inseriti presso la Banca Dati dell’ex SAM, ma questa Banca Dati non si può più consultare a causa dell’intervenuta formattazione e della conseguente perdita e distruzione di tutta la memoria dell’inchiesta.

Ma vi erano stati atti precedenti, sin dall’ultimo duplice omicidio e, poi, dall’inizio del 1986, che, di seguito, si elencano.

Con informativa in data 27 luglio 2004 (prot. n. 344/04/Gides, all. 43), il Gides informava questa Autorità Giudiziaria che in un faldone del vecchio archivio SAM è stato rinvenuto quanto segue: Sul faldone è scritto: “Carteggio vario (a matita) – Anno 1985 – 85090809 PSB (sottolineato) – Auto transitate gg. 8 – 9/9785 provincia di Firenze (a pennarello in colore rosso)”; in superficie vi è un foglio, tipo modulo del Ministero dell’Interno per messaggio, ingiallito dal tempo, sul cui retro, vergato a mano, con penna a biro di colore blu, vi è annotato quanto segue: “ dr Narducci Francesco – medico – Perugia via Savonarola 31 – ed era proprietario di un appartamento a Firenze (così almeno si legge) ove avrebbero trovato dei bisturi e fettici – si sarebbe suicidato buttandosi nel Trasimeno”. L’appunto non reca né la sigla del compilatore né la data della compilazione. All’interno dello stesso faldone, vi sono diversi fascicoli, tutti ingialliti dal tempo e all’interno di qualcuno di essi vi sono atti corretti a mano, verosimilmente con la stessa grafia e in particolare in un sottofascicolo sulla cui copertina è scritto “da identificare X Cardelli” e in un altro fascicolo con scritto “relazioni sui duplici omicidi”.

L’annotazione manoscritta di cui al faldone delle auto transitate nei giorni 8/9 settembre 1985, verosimilmente deve essere stata compilata in quell’epoca, anche perché, se successivo, avrebbe dovuto trovarsi nel fascicolo personale del Narducci formato il 21 marzo 1987, come risulta dal cartellino d’archivio, sul quale, oltre al nome, luogo e data di nascita, c’è scritto: “ Deceduto misteriosamente presso il lago Trasimeno – accertamenti svolti dai CC di Firenze perché sospettato quale Mostro – il decesso risale all’ottobre 1985 ?”. Tra le auto transitate nei giorni 8 e 9 settembre 1985 (in concomitanza con l’ultimo duplice omicidio), nell’area esaminata, cioè nell’area della provincia di Firenze contigua all’area degli Scopeti, dev’esservi stata, quindi, anche quella del Narducci, del quale si riportano notizie non solo straordinariamente significative, ma collimanti (a prescindere dall’ipotesi suicidiaria, che era quella che, all’epoca, era presa in considerazione, ma poi abbandonata in favore di un’ipotesi di morte misteriosa) con le risultanze delle indagini.

Su questo punto, va aperto un inciso, perché i familiari del Narducci, fatta eccezione, come al solito, per la moglie, hanno cercato di sostenere che, nell’occasione dell’ultimo delitto, il Narducci si trovasse negli Stati Uniti.

La cosa è stata smentita recisamente dalla moglie del medico che ha collocato la breve permanenza del marito all’estero nella seconda metà del settembre 1985.

Il 21.01.05 la Sig.ra Spagnoli ha detto: “Francesco partì per gli Stati Uniti nel suo ultimo viaggio dopo il 15 o 20 settembre 1985. Di questo sono assolutamente certa, perché la permanenza all’estero di Francesco durò una settimana, dieci giorni e lui ritornò poco prima del mio compleanno che è il 2 ottobre. Mi ricordo anche che io l’avevo chiamato nella sua camera d’albergo e un giorno mi rispose un suo collega che era italiano, dicendomi che Francesco era in bagno e che me lo avrebbe chiamato. So che questo amico di Francesco è stato contattato da mio suocero perché lo ha riferito a mia madre. La dicitura ADVISED o ADVERSED, con la data 7 settembre, si riferisce, credo, ad un visto che è stato apposto, in Italia, al passaporto, prima della partenza di Francesco per gli Stati Uniti, ma sono assolutamente certa che Francesco partì per il suo viaggio dopo il 15 settembre 1985 “.

Ma non è solo la moglie a smentire l’assunto secondo cui il Narducci sarebbe stato in America nel fine settimana del delitto degli Scopeti. La Signora Bartocci Giuseppa, segretaria dello studio privato del Prof. Morelli, il 30.11.05 ha precisato: “ ricordo che quell’ anno, il 1985, io e la mia famiglia andammo al mare in Corsica o in Sicilia, sicuramente dopo il ferragosto e ci trattenemmo una decina o quindicina di giorni. Io rientrai nell’ambulatorio del prof. Antonio Morelli, quindi, tra la fine di agosto e i primi di settembre 1985. Non subito, ma qualche giorno dopo, io, dovendo recarmi al Policlinico dal Prof. Morelli, incontrai il prof. Francesco Narducci, mentre, con il camice addosso, stava percorrendo il corridoio d’ ingresso del reparto e si dirigeva verso il piazzale esterno. Mi salutò come sempre e, poiché me lo chiede, le dico che mi sembrava del tutto normale… Quello fu l’ultimo incontro che ebbi con lui che posso collocare, grosso modo, nella prima settimana di settembre. Più ci penso, più mi sembra che si trattasse proprio della prima settimana di settembre.”

Ancora più significativo è quanto dichiarato dalla D.ssa Pelli Maria Antonietta, collega del Narducci che il 09.05.03 ha riferito che Francesco partecipò al suo primo Consiglio di facoltà in un giorno infrasettimanale attorno alla metà di settembre 1985, insieme alla stessa Pelli che, però, non era al suo primo Consiglio. La D.ssa Pelli ha anche aggiunto che Francesco, contrariamente all’abitudine di indossare, in tali situazioni, un abito in giacca e cravatta, vestiva una maglietta lacoste e pantaloni blu e che circa dieci giorni prima di quello fissato per il consiglio, il neodocente veniva invitato al Consiglio dalla Facoltà di Medicina, per cui Francesco doveva essersi tenuto pronto per la chiamata sino dall’inizio di settembre di quell’anno. La D.ssa Pelli ha aggiunto che prima di quel Consiglio di Facoltà, Francesco non mancò mai dal lavoro “salvo i fine – settimana in cui non ci si vedeva” ed ha addirittura escluso che quel settembre il Narducci si sia assentato per più giorni, salvo i fine settimana.

Altri riferimenti al Narducci si trovano nei seguenti atti.

  1. Vi è un primo appunto, datato 30.04.1986 (allegato dall’SM – Ufficio OAIO del Comando Reg. CC. Toscana del 4.01.2002, indirizzato alla Sez. PG CC. della Procura di Perugia, al Comando Prov. CC. di Firenze e per conoscenza alla Procura di Firenze), in cui si fa la cronistoria della vicenda del “Mostro” e le indagini svolte.

  2. Vi è, poi, l’Appunto del M.llo Salvatore Oggianu, delle ore 10 circa del 3.02.1987, con cui il Maresciallo riferisce della telefonata dell’Ispettore Sirico della Squadra Mobile di Firenze che voleva sapere se i CC. di Firenze fossero informati sul suicidio avvenuto “pochi giorni orsono nel Lago Trasimeno” (ma è il 1987….). I CC. di Firenze rispondono di non saperne nulla e si rivolgono al Nucleo Operativo CC. di Perugia e in particolare al Brig. Fringuello che li informava del suicidio avvenuto l’8.10.1985, al Trasimeno, del Prof. Francesco Narducci, coniugato con Francesca Spagnoli. Il Fringuello riferisce anche che, alcuni giorni prima, era stato contattato da un familiare del medico che gli aveva riferito che lo stesso aveva uno studio medico in Firenze e che, negli ultimi tempi prima del suicidio, si era comportato in modo molto strano. Il Fringuello non ha ritenuto di spingersi oltre nei particolari, sia per motivi di riservatezza sia per timore di essere intercettato, ma si è riservato di riferire i fatti solo sul posto, cioè a Perugia. Ciò corrisponde all’annotazione di servizio, depositata il 24.01.2004 e redatta dal Lgt. CC. Mario Fringuello, ora in forza alla Sezione di PG (Aliquota CC.) sede, trasmessa nel corso delle indagini a questa Procura, in cui si riferisce che dopo la morte del Narducci, si presentarono al R.O. del Gruppo CC. due Marescialli provenienti dal R.O. CC. di Firenze, tra cui, forse, l’Oggianu e altro non identificato, di origine umbro – settentrionale, che riferirono al Fringuello che stavano procedendo ad accertamenti, nell’ambito delle indagini sui delitti del “Mostro di Firenze”, in merito al rinvenimento di bossoli o munizioni calibro 22, trovati presso una Clinica fiorentina, dove aveva operato il Narducci. Nell’appunto vi sono poi annotazioni vergate a mano, indicanti: “Morani”, “Marciana Marina (o Marna o Marna) LI” ,“Domenica”, “Cucinella”, “Nigiano (?) Magione”. Sentito il 15.03.05, il Maresciallo Francesco Di Leo, aggregato alla SAM, ha confermato la missione perugina del Maresciallo Oggianu: “Sì, ricordo che il maresciallo Oggianu si recò a Perugia per svolgere indagini sul Narducci e, siccome operava spesso con il brigadiere Luisi, è possibile che quest’ultimo possa averlo accompagnato. Circa la missione a Perugia del M.llo Oggianu per indagini sul Narducci, la ricordo perfettamente. “ Il Lgt. Luisi Donato, anch’egli della SAM, il 29.06.2005, ha così confermato la missione perugina: “Ricordo che, in relazione ad un esposto anonimo riguardante un medico perugino che mi sembra si chiamasse Francesco Narducci e che si sarebbe suicidato nel lago Trasimeno, io svolsi degli accertamenti. Secondo l’anonimo, il medico era il mostro di Firenze e vi sarebbero stati dei dubbi sul suicidio, nel senso che veniva ipotizzato l’omicidio del personaggio, senza ulteriori precisazioni. Per effettuare i necessari riscontri, ricordo che insieme a qualcun altro, sicuramente di grado superiore al mio, forse il Maresciallo Oggianu, mi portai alla Stazione Carabinieri di Magione. Io, all’epoca, ero Brigadiere e ho lasciato fare il mio superiore. “ I militari fiorentini provenivano dal Reparto Operativo del Gruppo CC. Firenze ed erano stati aggregati alla SAM, inquadrata nel N ucleo di PG della Procura Generale. Sul versante perugino, anche l’attuale Lgt. Fringuello era allora in forza al Reparto Operativo corrispondente, di Perugia ed evidentemente la missione fiorentina investì sia quest’0ultimo organismo che la Stazione di Magione.

  3. Vi è poi un appunto del Nucleo di PG di Firenze, Borgo Ognissanti n. 48, in data 5.02.1987, in cui si riferisce di avere appreso, che verso la fine del 1985, nelle acque del Trasimeno, sarebbe stato rinvenuto il corpo di Narducci Franco, medico di Perugia. Poi si afferma che, dalle indagini espletate, si era accertato che il medico era Francesco Narducci (generalizzato come il nostro), che l’8 ottobre il medico era scomparso, che nei giorni successivi era stato rinvenuto il motoscafo, senza nessuno a bordo e che il 13 ottobre 1985 era stato rinvenuto da due pescatori il cadavere del Narducci, in acqua “nei pressi della riva del lago, in Comune di Magione”. Si parlava degli accertamenti effettuati allora e si diceva che, dopo la morte, erano circolate voci insistenti secondo cui l’uomo si sarebbe suicidato perché era proprio lui il “Mostro di Firenze”. Nel documento si precisava che la voce che lo indicava come “il Mostro di Firenze” circolava anche prima della sua morte. Viene poi tracciato un quadro del personaggio e si parla del rinvenimento del cadavere con i pesi.

  4. Lo stesso appunto (come da annotazione in calce) viene consegnato dal Comandante del Nucleo di PG di Perugia al Comandante della Legione di Perugia che, a sua volta, lo consegna al Procuratore Gen. di Firenze, al Comandante della Brigata CC. di Firenze e al Comandante della Legione di Firenze. Lo scrivente (l’Oggianu ?) ne ha fatto avere copia al Comandante del Gruppo CC. di Firenze. L’appunto nasce nel Nucleo di PG CC. Perugia ed è stilato dal M.llo Maglionico.

  5. Il 13.02.1987 l’ufficio OAIO (Ordinamento Addestramento Informazioni Operazioni) della Legione CC. Firenze chiede alla Staz. CC. di Magione (e per conoscenza all’ufficio OAIO di Perugia e al Nucleo PG di Perugia) di trasmettere copia del rapporto sulla morte del Narducci, precisando che ciò ha attinenza col “noto appunto” che è quello sub 1, ma più verosimilmente, quello del M.llo Maglionico. Questi, assunto a informazioni il 25.02.02, ha precisato, tra l’altro: “Aggiungo che successivamente, nelle more degli accertamenti, ebbi modo di accertare che il Narducci disponeva di una abitazione a Fiesole non so se di sua proprietà. Aveva comunque cosi almeno mi risultava la disponibilità dell’abitazione.

  6. Con nota in data 13.03.1987, l’ufficio OAIO di Firenze (Col. Francesco Valentini) trasmette alla Procura di Firenze l’appunto loro consegnato dal Ten. Col. Antonio Colletti, Comandante del Nucleo di PG di Perugia. Si fa presente che il Ten. Col. Colletti ha precisato che avrebbe attivato le indagini se fosse stato richiesto dall’AG, ma ciò non avvenne. E qui, va aperto un inciso. Il Colonnello Colletti è stato esaminato come teste nell’incidente probatorio, svoltosi nell’allegato procedimento n. 8970, all’udienza del 25.11.05. Il Colonnello ha ricordato di avere informato delle notizie pervenutegli in merito al “Mostro di Firenze” e al Narducci, nel corso del 1987, l’allora Comandante della Legione Carabinieri Col. Vecchio, perché era sua intenzione svolgere accertamenti (vds. pp. 24 e 25). Di che cosa era venuto a conoscenza il Colonnello ? Ce lo aveva detto nel primo verbale del 3.05.02: “Ricordo che qualcuno nel corso delle indagini mi indicò il professor Francesco Narducci come il “capo” di un gruppo di persone coinvolte nella vicenda cd. mostro di Firenze. Non ricordo se mi venne detto che era proprio il “capo” oppure colui che materialmente eseguiva le mutilazioni. “ Ma il Colonnello Vecchio gli rispose in questo modo : “disse che della cosa si interessava l’Arma Territoriale con una Stazione, Comandante di Compagnia… e che la cosa per ora stava nelle loro mani e sembrava… PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): quindi il Colonnello: “non se ne deve occupare lei perché se ne sta occupando l’Arma Territoriale”. ANTONIO COLLETTI: sì. Sì. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): per Arma Territoriale intendeva la Stazione Carabinieri competente… ANTONIO COLLETTI: sì, sì, sì. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): …e la Compagnia da cui dipendeva? ANTONIO COLLETTI: la Compagnia Carabinieri di Perugia. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): di Perugia, che era comandata all’epoca da? ANTONIO COLLETTI: mi sembra dal Capitano Di Carlo. “ (vds. il verbale della deposizione testimoniale in data 25.11.05, a p. 26). Non soddisfatto della risposta, il Colonnello Colletti si rivolge all’allora Procuratore Generale Dr. Marco De Marco, al quale comunica la stessa notizia e la sua disponibilità a svolgere accurate indagini (vds. p. 29 dello stesso verbale). Ma il Procuratore Generale, gli rispose negli stessi termini: “mi disse che si interessava la Polizia di Stato, si interessava l’Arma dei Carabinieri Territoriale e cose, “per cui – dice – io ritengo…”… ha parlato anche mi sembra che mi disse col Colonnello Vecchio disse che non c’era bisogno di noi, del nostro intervento che già avevamo compiti investigativi qui a Perugia molto molto importanti e delicati e per cui “lasciamo stare – dice – si interessano loro”. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): quindi il Procuratore Generale le disse: “le indagini – su questa vicenda Narducci – le sta facendo la Polizia di Stato”. ANTONIO COLLETTI: sì. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): quale organo della Polizia di Stato glielo disse? ANTONIO COLLETTI: mi disse: “la Polizia di Stato” ma perché lì da lui poi veniva anche un Commissario. “ (vds. pp. 30 e 31 dello stesso verbale). E chi è il Commissario che, insieme al Capitano Di Carlo, si occupava, meglio si dovrebbe dire, si sarebbe dovuto occupare delle indagini sul caso Narducci ? Lasciamo la parola al Colonnello Colletti: “era per caso il Dottor De Feo?… ANTONIO COLLETTI: De Feo sì, sì, sì. Il quale veniva… naturalmente lui veniva soltanto due… un paio di volte a settimana dal Procuratore, un giorno sì e un giorno no dal Procuratore Generale, cioè quando io ero fuori dell’ufficio entrava lui, quando ero dentro io usciva lui, lui stava soltanto qualche ora così poi andava via…. sì De Feo, De Feo. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): il Procuratore Generale alludeva al Dottor De Feo quando diceva che se ne stava occupando la Polizia di Stato? ANTONIO COLLETTI: dice: “sì si sta interessando l’Arma Territoriale dei Carabinieri, la Polizia di Stato e cose…”… e poi naturalmente colloquiava col Dottor De Feo, però io non…”. (vds. pp. 31 e 32). PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): allora, l’Arma Territoriale io vorrei avere la conferma che… che cosa intendeva il Procuratore Generale per Arma Territoriale? ANTONIO COLLETTI: Arma Territoriale… gruppo… PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): che cosa era per lei l’Arma Territoriale? ANTONIO COLLETTI: era il Gruppo Carabinieri… il Comando Gruppo Carabinieri di Perugia che terminava… il Comando Gruppo tramite Compagnia e Stazione locale. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): ecco, ho capito. ANTONIO COLLETTI: e poi eventualmente i Nuclei investigativi incorporati nel Gruppo di Perugia a partire dal Nucleo di Polizia Giudiziaria nostro, mio. “ (vds. pp. 31 e 32). Nonostante ulteriori richieste (vds. p. 35 della deposizione Colletti), il Procuratore Generale era irremovibile: alle “indagini” ci pensavano solo Di Carlo e De Feo. Ogni commento appare decisamente superfluo. Basta solo richiamare, quanto al primo, quello che ha sempre riferito l’allora Comandante della Stazione CC. di Magione, il Maresciallo Lorenzo Bruni a proposito dell’atteggiamento del Capitano Di Carlo. Il 6.11.02, il Maresciallo ha dichiarato, ricordando quello che avvenne sul pontile e anche in altre occasioni: “la mancata presenza di un fotografo mi sorprese ed allora chiesi al Capitano Di Carlo di farlo intervenire come ho sempre fatto e come prevedono le procedure. La risposta che ebbi dal mio superiore fù la seguente:- NON PREOCCUPARTI TANTO SI TRATTA DI UN ANNEGAMENTO E POI CHE TI IMPORTA CON TUTTE QUESTE AUTORITA’ PRESENTI SUL POSTO TI PREOCCUPI TU CHE SEI L’ULTIMA RUOTA DEL CARRO. Ho insistito ancora con il Capitano a fronte di quella risposta ma non ebbe nessun esito la mia richiesta in quanto il mio superiore fece ancora una volta spallucce e tronco il discorso. A distanza di un mese dissi la stessa cosa all’ Ufficiale sottolineando che sui giornali erano uscite notizie alquanto inquietanti, alludenti a possibili coinvolgimenti del morto nella vicenda del cosiddetto “mostro di Firenze”. La risposta è stata sempre uguale in quanto mi disse di non preoccuparmi e di non pensare a queste sciocchezze. Concludo dicendo che non mi è più capitata una cosa del genere. “. Del resto, è stato lo stesso Di Carlo a escludere di avere svolto indagini sulla vicenda Narducci. Il 7.01.2002, infatti, l’ufficiale, rispondendo ad una precisa domanda sul punto, ha risposto: “Gli unici accertamenti da noi fatti furono quelli relativi alla ricerca dello scomparso “. Alcune osservazioni che anticipano quello che si dirà in tema di associazione per delinquere, si impongono. Ma come ? Non stava procedendo l’Arma territoriale, cioè la Compagnia CC. di Perugia, secondo il Colonnello Vecchio e il Procuratore Generale ? Quanto al Dr. De Feo, la moglie dell’ex Presidente Mazzini ci ha raccontato, come si vedrà, quali intenzioni “investigative” avesse il funzionario. Quindi: Di Carlo non fece nulla ma non solo non fece nulla, impedì a Bruni di fare qualcosa, Trio e De Feo non fecero nulla, anzi hanno occultato in pratica tutto. Il Comandante della Legione dell’epoca e il Procuratore Generale, entrambi defunti, hanno, a loro volta, impedito al Colonnello Colletti di svolgere le indagini che avrebbe voluto svolgere. Dire che il cerchio si chiude è quasi un eufemismo.

  7. Riprendendo la cronistoria degli interventi, il 19.03.1987 l’Ufficio OAIO gira l’appunto (quello sub 3, redatto verosimilmente dal M.llo Maglionico) al Gruppo CC. FI, al Nucleo PG FI, al NO CC. FI.

  8. Vi è successivamente una richiesta di accertare i periodi di permanenza all’estero del Narducci, previo accertamento sul passaporto (prese le opportune intese col Questore di Perugia), mandata da Vigna (Proc. Agg.) e Canessa al Comandante Nucleo di PG dei CC. di Firenze in data 23.03.1987 (in cui si richiama una nota 19.03.1987 dell’Ufficio OAIO della Legione CC. di Firenze).

  9. Vi è, poi, la richiesta dell’elenco dei sospettati e la risposta della Mobile. Il Comandante del Nucleo di PG di Firenze, Col. Rotellini risponde alla richiesta in questione il 4.07.1988, precisando che presso l’ufficio Passaporti della Questura di Perugia non erano stati rinvenuti documenti validi per l’espatrio da cui si potesse rilevare la permanenza all’estero del Narducci. L’ufficiale precisava che in data 17.07.1984 aveva rinnovato la validità del passaporto. Lo stesso Colonnello precisava anche che presso l’Università di Perugia era stato rinvenuto il decreto 14.08.1981 con cui il Narducci veniva autorizzato a un congedo straordinario per motivi di studio dal 16.09.1981 al 31.12.1981, dovendo il Narducci frequentare un corso di specializzazione a Philadelphia (USA) presso il Gastrointestinal Section Departement of Medicine Hospital of University of Pennsylvania – Philadelphia, dal Prof. William Snape Jr. e che, nella notte tra il 22 e il 23 ottobre 1981 (un giovedì), era avvenuto il delitto di Cadenzano. Nell’informativa si riferiva anche che, attraverso l’Interpol, si era accertato che il Narducci aveva soggiornato in Philadelphia, presso la International House, dal 16 settembre 1981 al 13.12.1981 e che aveva partecipato a tutte le lezioni che si tenevano il lunedì e il mercoledì; si diceva anche che non era risultato che fosse possessore di armi, che non era stato rinvenuto con le cinture con piombi per subacquei; che nessuno degli automezzi di sua proprietà era stato notato nei servizi “antimostro”; che non aveva svolto il servizio militare, pur avendo fatto domanda di partecipare al 58° corso AUC come ufficiale (era stato riformato). Si escludeva che potesse essere il “Mostro”. Le indagini richieste dall’Interpol erano state condotte dal detective Diegel Frank della Divisione Omicidi che aveva ottenuto il 25.01.1988, con l’aiuto del Detective Supervisor Michael Carroll, Università di Pennsylvania, Divisione di Pubblica Sicurezza (215-898-4485) il fascicolo personale del Narducci, consegnato dall’addetta d’Amministrazione Sig.ra Goldstein, Sezione di Gastroenterologia, Dipartimento di Medicina. Dai moduli risultava che il Narducci aveva frequentato l’Università dal 01°.09.1981 al 30.06.1982, come uditore, senza il titolo di studente o di dipendente stipendiato. Orbene, a prescindere dal fatto che il periodo di permanenza era stato indicato nell’informativa come quello dal 16 settembre 1981 al 13.12.1981, c’è un fatto che merita di essere sottolineato: il 20 giugno 1982, anniversario del matrimonio, il medico era a Perugia. Lo vede arrivare in Chiesa la moglie. Francesca Spagnoli così si esprime il 22.01.2005: “Il giorno del 1° anniversario del nostro matrimonio mi ricordo che Francesco venne in chiesa alla messa.. Il Narducci svolgeva la sua attività sotto la direzione del Prof. William Snape Jr., come ricercatore presso il Laboratorio di Gastroenterologia dell’Università. All’epoca lo Snape era Direttore della Sezione di Gastroenterologia del Centro Medico Harbor – UCLA – 1000 W. Carson, Torrance, California, 90509 (213-533-2471). Il Narducci era arrivato il 16 settembre, aveva preso alloggio alla International House, 3701 Chestnut Street, Philadelphia, Pa. (Pennsylvania), una struttura ricettiva con possibilità di pernottamento per uditori stranieri presso l’Università. Dai registri risultava che il Narducci vi aveva abitato dal 16 settembre 1981 al 13 dicembre 1981, occupando da solo una stanza doppia (C-42) a un prezzo simbolico. Si era accertato anche che presso la INTERNATIONAL HOUSE non vi erano registri né di ingresso né di uscita, né per annotare le telefonate in arrivo o in partenza. Da una lettera scritta dal Narducci al Dr. Cohen in data 1.06.1982 risultava che il Narducci era tornato in Italia prima di quella data (non è chiaro quale). Ciò conferma che nel mese di giugno 1982 il Narducci era a Perugia e che la moglie ha detto il vero. Il detective Diegel aveva avuto un colloquio con una collega del Narducci, certa Dr. Ann Ouyang, 37 0/F, 14, Lynne Circe, Paoli, Pennsylvania (647-7334) che in quel periodo lavorava sotto la direzione del Dr. Snape. Secondo la Ouyang, il Narducci partecipò a tutte le lezioni, del lunedì e del mercoledì. La stessa ha detto anche che lo venne a trovare a Perugia nel Settembre 1983. e poi venne a sapere della sua morte. Anche lo Snape ha confermato la frequenza. La conclusione, tratta dal Colonnello Rotellini e descritta al n. 11, lascia francamente sconcertati: dunque, il Narducci non poteva essere “il Mostro” o non poteva, comunque, essere coinvolto nella vicenda, perché, in coincidenza con uno dei sette duplici omicidi, quello, avvenuto il giovedì 22 ottobre 1981, in danno di Stefano Baldi e Susanna Cambi, il gastroenterologo si trovava, per motivi di studio, negli Stati Uniti, dove partecipava a lezioni che si svolgevano il lunedì e il mercoledì di ogni settimana, senza alcuna prova che fosse stato a lezione negli U.S.A. il mercoledì precedente e in assenza di alcun registro, né di ingresso né di uscita, presso la International House, la struttura ricettiva che lo avrebbe ospitato, solo, in una camera a due letti, il tutto senza neppure registri delle telefonate in entrata e in uscita. Ogni ulteriore commento appare francamente superfluo, anche perché altre apodittiche affermazioni dell’ufficiale sono state categoricamente smentite e ribaltate dalle indagini collegate.

  10. Interessante è quanto riferito dall’App. CC. Pasquale Pierotti, già appartenente al Nucleo di PG di Perugia, che il 3.06.04 ha detto: “A proposito del Narducci, ricordo che ci pervenne un fonogramma dalla Procura di Firenze o dal Nucleo Polizia Giudiziaria di Firenze che ci chiedeva espressamente di identificare i numeri di targa delle auto che frequentavano la villa dei Narducci al lago Trasimeno, mi pare a S. Feliciano. La richiesta faceva riferimento alle indagini sui duplici omicidi attribuiti al “Mostro di Firenze”. Non ricordo con precisione se il fonogramma pervenne prima o dopo la morte del Narducci, ma, pur non essendone certo, mi pare proprio che ci arrivò prima. Ricordo con certezza che mi trovavo da poco al Nucleo di PG.”A.D.R.: ” Non svolgemmo l’attività richiestaci, ma la sub-delegammo probabilmente al Nucleo Operativo. Non ne sono certo, ma, trattandosi di una cosa piuttosto delicata che faceva riferimento alle indagini sui delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze”, sicuramente non la sub-delegammo ad una stazione CC., ma, mi pare , ad un organo operativo qualificato, come il Nucleo Operativo del Gruppo. Non ne sono assolutamente certo, ma lo posso dire con buona approssimazione. “.

  11. Il Dr. Mario Tonelli, già aiuto di ruolo nel Reparto di Ginecologia dell’Ospedale di Foligno, diretto dal Prof. Ugo, ha dichiarato l’11.07.2005: “Ricordo che, qualche tempo dopo la sua morte, in occasione di un convegno di ginecologia che si svolse nel locali del “Giò” di Perugia, dove consumammo anche i pasti, o in un’altra occasione, non ricordo bene, un ginecologo di Viterbo che ha sempre esercitato a Perugia di cui non ricordo ora il nome, ma che conosce anche Nazario Piatti, mi confidò che Francesco Narducci era coinvolto nella vicenda del “mostro di Firenze”. Alla mia osservazione risentita che, prima di fare affermazioni del genere, bisognava pensarci, il collega, che appariva assolutamente sicuro di quello che diceva, mi disse che, da molto tempo ormai, Francesco Narducci era sempre seguito nei suoi spostamenti dalla Polizia di Perugia, come gli aveva riferito un amico poliziotto. Lui aggiunse che era sicuro che il Narducci fosse sempre seguito dalla Polizia. Il collega era assolutamente certo di quello che diceva. Ricordo che, quando parlammo, eravamo soli, ma questo collega, a quanto mi sembra, questa cosa la diceva un po’ a tutti, senza preoccuparsi di nulla. “. E’ un’altra conferma di significativa rilevanza che si affianca a quanto raccontato all’amico Ticchioni dal Sovrintendente Petri e, quindi, anche da Mariella Ciulli, moglie del farmacista Calamandrei e da quanto riferito dal Maresciallo Paolo Pellegrini (si veda capo d’imputazione XII).

Ma non era stata solo la SAM o i Carabinieri a interessarsi del medico.

E’ risultato, infatti, che, alla notizia dell’ultimo delitto allora attribuito al cosiddetto “Mostro di Firenze”, quello avvenuto sulla piazzola degli Scopeti, a San Casciano, personale della squadra mobile di Perugia autonomamente svolse indagini sul conto del Narducci, proprio in relazione alla vicenda fiorentina. Attività che si svolgono nell’ultimo mese dopo il delitto degli Scopeti. Non è l’attività, inesistente, ma della cui esistenza si cerca di convincere l’onesto e scrupoloso Colonnello Colletti, nel 1987, quindi. L’attività della Mobile non si spinge oltre pochi giorni successivi al rinvenimento del cadavere, possiamo dirlo, del “finto Narducci”.

Si intende, quindi, fare riferimento più nello specifico alla attività svolta dall’ispettore Luigi Napoleoni della Squadra mobile, che addirittura si recò anche in Firenze per poter individuare l’appartamento in uso al Narducci ed ivi rinvenire le parti anatomiche asportate alle povere vittime.

Di detta attività è stata trovata traccia inequivocabile agli atti della Questura di Perugia.

Infatti, è stata rinvenuta varia documentazione, tra cui:

– un foglio, recante la data del 30 settembre 1985, su cui risultava annotato: “Mostro di Firenze – ufficio postale – bar Jolly – via stretta – città – seduto fuori – colore di capelli castani – occhi – occhiali scuri – vestito maglietta bianca, blu jeans – un po’ di barba – niente orologi – bracciale”. Sull’altro lato del foglio c’era scritto: “Timberland – solo al bar – soldi dove sono – in tasca della maglietta”. Di traverso ancora: “Jach’o (forse la discoteca) – no macchina – sembra che…lettere sigillate pubblico presente – raccomandata – occhiali nel cassetto dell’ufficio pistola – soldi in barca (o banca)…ore 14 – lui no…finire il suo lavoro…21.00 oggi pizzeria in taxi (FI)…telo marrone mancante in una casa disabitata lontana dall’…taxi colore azzurro”;

– i brogliacci del lavoro dei dipendenti con le ore di straordinario effettuate, dai quali risultava che il predetto ispettore ed altri dipendenti, che lo avevano coadiuvato, avevano svolto attività “straordinaria” in relazione al “Mostro di Firenze” anche a Foligno (centro presso cui Francesco Narducci aveva uno studio privato). L’esame di quell’incartamento consentiva di accertare (si riporta testualmente le annotazioni relative all’incartamento):

  • 10.9.1985: ore 18/20 e 22/04 Indagini relative al Mostro di Firenze – Servizi di p.g. e sicurezza pubblica in Foligno. Per inciso, la scoperta dei cadaveri agli Scopeti avviene circa 24 ore prima, vale a dire nel primo pomeriggio del 9 settembre 1985.

  • 11.9.1985: ore 17/20 Indagini relative al Mostro di Firenze;

  • 27.9.1985: ore 21/03 Servizio di ordine e sicurezza pubblica – prevenzione dei reati nella città di Foligno;

  • 1.10.1985: ore 14/20 e 21/01 Indagini omicidio Gabriella Caltabellotta – servizio per segnalata ingente refurtiva;

  • 7.10.1985: ore 17/20 Rientro suppletivo per ricerche abitazioni Poli Paolo;

  • 8.10.1985: ore 21/24 Indagini p.g. in Foligno per duplice omicidio Firenze;

  • 9.10.1985: ore 6/8 e 16/20 ricerche persona scomparsa – dott. Narducci Francesco – Lago Trasimeno;

  • 10.10.1985: ore 16/19 ricerche sul Lago Trasimeno con le relative isole per la scomparsa di cui sopra; ore 19/22 servizio presunto pagamento riscatto Guglielmi Isabella Lante Della Rovere;

  • 12.10.1985: ore 16/19 e 20/24 ricerche sul Lago Trasimeno – permanenza per servizio sequestro Guglielmi;

  • 13.10.1985: idem (con una freccia corrispondente che riporta al giorno precedente alla voce ricerche sul Lago Trasimeno);

  • 15.10.1985: ore 21/01 servizio riservato città di Foligno;

  • 18.10.1985: ore 21/02 servizio riservato a Foligno e sorpresa bisca clandestina di via dei Filosofi;

  • da altro elenco risulta: 1.10.1985 Sardara Giampiero ore 14/20 Indagini relative all’omicidio Caltabellotta Gabriella; 9.10.1985 Tardioli Antonio ore 21/24 Indagini relative agli omicidi di Firenze. La documentazione in oggetto è stata puntualmente richiamata alle pp. 79 e segg. dell’informativa n. 362/03 G.I.De.S. del 17.11.03.

Dai documenti acquisiti e dai dati sopra riferiti, le attività di p.g. dell’ispettore Napoleoni possono quindi riassumersi come segue.

Il giorno della notizia giornalistica relativa alla scoperta dei cadaveri dei due turisti francesi in località Scopeti di San Casciano (10 settembre 1985), l’ispettore Napoleoni svolge indagini sul “Mostro di Firenze” e servizi di p.g. a Foligno e non è chiaro se le indagini sul “Mostro” furono eseguite a Foligno ovvero in altra località.

L’11 settembre l’ispettore Napoleoni proseguì le indagini sul Mostro di Firenze.

Notizie afferenti la vicenda del Mostro di Firenze risultano contenute nell’appunto manoscritto del 30 settembre 1985 su un foglio di carta intestata “S & B – Salute e Bellezza – Centro Scienza estetica”, che si presenta con una scrittura apparentemente veloce.

Tornando alle conclusioni del Col. Rotellini di cui al punto 9), è doveroso puntualizzare che le stesse sono risultate smentite dalle risultanze delle indagini perugine.

Circa, ad esempio, il possesso di una pistola, escluso, come si è detto, dai CC. di Firenze, la vedova, confermando, sul punto, precedenti dichiarazioni rese alla Squadra Mobile della Questura di Perugia, sentita il 27.06.03, riferisce, invece, che il Narducci le manifestò il desiderio di acquistare una pistola, forse insieme al fratello Pier Luca (o Pierluca) che fece altrettanto. La Sig.ra Spagnoli ha riferito, in particolare, di aver visto la pistola, di colore nero e semiautomatica, nel vano portaoggetti dell’autovettura Citroën CX del marito. Si trattava di una pistola che non risulta denunziata e che era detenuta e portata illegalmente. La Signora ha escluso che la pistola, vista nell’auto del marito fosse di suo padre, e ha concluso di essere stata sempre a conoscenza del possesso dell’arma, da parte di suo marito, che l’acquisto avvenne durante il matrimonio (quindi tra il 20 giugno 1981 e la data della morte del Narducci) e di non sapere dove l’arma fosse finita.

Il 21.01.2005 la Signora ha dichiarato in proposito: “Quanto alle armi, confermo di aver saputo da Francesco dell’esistenza di una pistola che lui teneva in auto, nel vano porta oggetti della CX Pallas. Quindi lui acquistò l’arma l’ultimo anno di vita. Che io sappia, prima non aveva armi e comunque, non me ne aveva mai parlato. Dell’esistenza della pistola, ricordo che ne parlammo insieme a Pierluca in un pomeriggio estivo perché, i due fratelli, dovevano recarsi ad un poligono. “. Della pistola, la Signora ha anche aggiunto nel verbale 22.01.2005: “Mi pare che non fosse a tamburo, questo posso dire. “ Quindi, era un’arma semiautomatica e non un revolver.

Nel 1988, l’inviato de “Il Giornale”, Dr. Andrea Pucci, incuriosito dalla vicenda del medico, svolse un’indagine giornalistica a Perugia. Riporto i passaggi salienti delle prime dichiarazioni rese dal Pucci il 22.02.2002: “ebbi modo di parlare con il padre di Francesco, prof. Ugo. Ricordo in particolare di essere rimasto molto colpito dal fatto che dopo aver commentato che vi erano accertamenti giudiziari su Francesco nell’ambito dell’indagine sul mostro di Firenze e che quindi Francesco avrebbe potuto essere lui in così detto “Mostro di Firenze”, questi non fu sorpreso da tale affermazione e mi sembrò come se attendesse qualcuno che gli parlasse di queste cose. Non ebbe la reazione che io mi sarei aspettato, cioè quella di un genitore che sente un’affermazione così grave sul figlio morto. Il prof. Ugo Narducci, appariva fiaccato da questa esperienza ma anche sollevato di poter parlare con qualcuno di questo problema. Venni anche a conoscenza da un giornalista del corriere dell’Umbria, che una sera del settembre 1985 i giornalisti furono allertati dal direttore, che ordinò di fermare le macchine perché aveva ricevuto la notizia che il cosi detto “Mostro di Firenze” era un medico Perugino e sarebbe stato catturato di li a poco. Le ore passarono ma a un certo punto il direttore ordinò di continuare il lavoro interrotto. “ L’episodio del blocco delle macchine de “Il Corriere dell’Umbria” è eloquente e non è stato smentito dal Direttore.

Così si esprime, infatti, Giulio Mastroianni, all’epoca Direttore del quotidiano, sentito il 01°.03.02: “”Io non ricordo l’episodio ma non escludo che possa essersi verificato… Non me lo ricordo bene ma credo che l’episodio sia realmente accaduto. ” E il 3.07.2006 in pratica conferma il particolare: “Mauro Avellini mi ha detto che gli sembrava che ciò fosse accaduto. Mi ha detto infatti “mi sembra di ricordarlo anche io”. Io non me lo ricordavo ma se Mauro Avellini, che è una persona di assoluta fiducia se lo ricordava, vuol dire che è accaduto. Io gli ho detto che non mi ricordavo di questo particolare, ma lui mi è sembrato convinto. A questo punto, posso dire che non escludo di averlo ordinato.

Ma il 29 aprile 06 lo stesso Mastroianni aggiunge un particolare inquietante che lega, quantomeno cronologicamente, la possibile soluzione del caso del “Mostro” con l’esito della perquisizione nell’Ospedale di Ponte a Niccheri: “Aggiungo anche che mi sono recato alla fine di settembre 1985 aal’Ospedale di Ponte a Niccheri su indicazione dello stesso Chiodi che vi si era recato qualche giorno prima. Chiodi e altri mi avevano detto che nel corso della perquisizione era stato rinvenuto materiale pornografico nell’armadietto di un medico chirurgo e che i magistrati fiorentini erano convinti che quella fosse la pista giusta. Sempre secondo quanto dettomi dal Chiodi, i magistrati fiorentini ritenevano che i delitti fossero opera di un gruppo di persone e non di un serial killer solitario. Si parlava anche di pedofili e di guardoni “.

Di memoria decisamente più “labile” è proprio Roberto Chiodi che, sentito il 16.03.02, pur confermando la conoscenza e i rapporti col Mastroianni e il fatto che si fosse occupato del medico perugino, non è riuscito a ricordare altro.

Lo strano atteggiamento del padre del medico all’affermazione che il figlio avrebbe potuto essere “Il Mostro di Firenze” ricalca pressoché fedelmente l’analoga “reazione” (avvenuta circa tre anni prima, pochi mesi dopo la morte di Francesco) della sorella Maria Elisabetta che, addolorata per la morte del fratello, viene portata dal fidanzato Michele Baratta in casa di un suo amico, una sorta di “mago”, Stefano Capitanucci che, dopo averle “letto le carte”, le disse che bisognava compiere dei “riti magici” per liberare l’anima di Francesco, “implicato nei delitti del Mostro di Firenze”. Con queste parole, il Baratta commenta la sconcertante “reazione” di Elisabetta a queste precise parole del sensitivo: “Ricordo che quando il Capitanucci fece quelle allusioni al coinvolgimento di Francesco nelle vicende del cosiddetto mostro di Firenze, Elisabetta non fece strane reazioni e comunque non ebbe reazioni che mi sarei aspettato “.

Che il giovane e prestigioso gastroenterologo perugino venisse presentato non già, come si è fatto più volte anche recentemente, come persona a conoscenza dei retroscena dei delitti, ma addirittura come “Il Mostro di Firenze”, ce lo ha detto un vecchio amico di Francesco, il Dr. Giancarlo Giannoni, già compagno di banco di Pierluca Narducci nel Liceo Ginnasio “Annibale Mariotti”, oltreché fratello di Rosalba. Il 12.06.06, il Dr. Giannoni, soffermandosi su quanto cominciò a sentir dire in città dopo la morte di Francesco, ha riferito queste circostanze: “Circa due mesi dopo e comunque nell’inverno successivo alla sua morte, non ricordo nel novembre/dicembre 1985 o nel gennaio 1986 venni a sapere questa notizia in modo più circostanziato alla fine di una riunione della Loggia “Guardabassi” a P.zza Piccinino, sicuramente un venerdì sera che era il giorno di calendario delle tornate di loggia della “Guardabassi”. Si diceva che fosse giunto un dispaccio ANSA da Firenze, nel quale Francesco veniva indicato come “Il Mostro” di Firenze”. Non ricordo chi disse queste perché la tornata era sciolta e il gruppo di partecipanti parlava a livello informale. A quell’epoca, il venerabile della Loggia era Augusto DE MEGNI, mentre se non sbaglio, uno dei due Sorveglianti era Raffaele STOPPINI. Non ricordo chi fosse il segretario ma poteva essere anche l’Avv. Ruggero STINCARDINI. Non ricordo con precisione chi disse queste cose ma potrebbe essere stato uno qualunque dei partecipanti. Ricordo che i partecipanti avevano lasciato i paramenti massonici e parlavano informalmente. Sicuramente era presente Augusto DE MEGNI, lo STOPPINI e lo STINCARDINI. Saremmo stati circa trenta/trentacinque persone e ci trovavamo alll’interno dell’appartamento ove ha sede il Grande Oriente, ma al di fuori dal tempio. “.

Lo Stoppini, fratello di Stoppini Guasconi Maria Luisa, in stretti rapporti, come vedremo, con l’Avv. Giuseppe Jommi, ha confermato nelle sue dichiarazioni del 01°.02.2006, il rapporto dello Jommi con la sorella. Tramite il Dr. Salvatore Ortolani, di Trento, cugino del Trio, lo Stoppini ha suoi saluti e la sua solidarietà al Dr. Trio: si veda la telefonata n. 534 (decreto 672/04, relativo all’utenza fissa del Dr. Trio) in cui l’Ortolani, riferendo le parole dello Stoppini a proposito dell’inchiesta che ha coinvolto il Trio, dice: “Di, se lo senti salutamelo tanto affettuosamente ! “.

L’intreccio di rapporti Stoppini – Jommi – Narducci è vistoso e su di esso ci si soffermerà più avanti.

Significative sono anche, sul punto, le dichiarazioni del Maresciallo a riposo dell’Esercito Carlo Petrucci, collaboratore di Raniero Rossi, titolare di una nota Agenzia investigativa. Il Petrucci, in data 17.01.2005, ha detto: “Quando arrivai a Perugia perché trasferito al locale Comando Zona, ebbi modo di raccogliere confidenze sulla vicenda di NARDUCCI, in particolare da Raniero ROSSI che allora dirigeva la MALIBO’ investigazioni, oggi divenuta la RANIERO ROSSI INVESTIGATIONS. Raniero mi disse che il Narducci era legato alla vicenda del mostro di Firenze nel senso che o era lui l’autore dei delitti o comunque era coinvolto in quei crimini, soprattutto perché, dopo la sua morte, non vi furono più delitti. Il Rossi mi disse anche che la morte del Narducci s’inquadrava in un incrocio perverso di sette sataniche e massoneria. Lui in particolare, a quanto ricordo, mi disse che il Narducci era stato ucciso perché non parlasse, usando un termine che non ho più dimenticato da allora e cioè che il Narducci era stato “suicidato”. Secondo il Rossi, una parte importante nella copertura di questa vicenda era stata svolta dalla Questura di Perugia. Queste confidenze il Rossi me le fece in Piazza IV Novembre nel marzo-aprile 1990 e lo ricordo perché io indossavo l’impermeabile. Questi particolari delicati e relativi a vicende di particolare importanza, il Rossi le faceva all’esterno dell’agenzia perché aveva paura che qualcuno l’ascoltasse e lo riferisse agli ambienti interessati. Il Rossi era molto amico del Prof. Fabio DEAN che considerava più potente dello stesso Augusto DE MEGNI nella massoneria…. Aggiungo che il Rossi si interessò alla vicenda del mostro di Firenze dietro insistenza di una sua collaboratrice, una certa Anna Maria FELIGETTI, il cui figlio gestiva un bar in Via Dei Priori, chiamato “PAPAIA”. Questa FELIGETTI frequentava l’ambiente di Cecilia GATTO TROCCHI e conosceva un maggiore dei carabinieri che abitava in un immobile sito in Via della Pescara, oggi abitato da molti extracomunitari. Il maggiore prestava servizio al Comando Legione Carabinieri di Perugia, in Corso Cavour… Ricordo che, insieme al Rossi e alla FELIGETTI, andammo a Firenze dove il Rossi si sarebbe dovuto incontrare con Renzo RONTINI, padre di una delle vittime del cosiddetto “mostro”. Al ritorno, il Rossi mi propose di interessarmi di questa vicenda delittuosa ed io gli feci presente che la cosa mi interessava molto dal punto di vista professionale ma avrei avuto bisogno di un adeguato fondo spese. L’episodio, a quanto ricordo, si verificò nel 1990 “. Per chi non lo sappia, Raniero Rossi si interessò della scomparsa della figlia di Romina Power e di Al Bano, Ylenia Carrisi, scomparsa nel quartiere francese di New Orleans il 6.01.1994.

E la Signora Anna Maria Feligetti, più volte sentita, conosceva bene il Narducci e fu una delle ultime persone a vederlo in vita. Il 30.04.05 la stessa ha raccontato: “Affermo di essere stata una delle ultime ad aver visto Francesco NARDUCCI in vita. In particolare il giorno 8 ottobre 1985 ero in servizio presso il Policlinico di Monteluce nell’Ufficio Radiodiagnostica di Settore che è attaccato alla struttura della Clinica Medica. Erano circa le ore 13.45 – 14.00, perché stavo andando via, quando entrò nel mio ufficio Francesco NARDUCCI il quale mi disse che avrebbe fatto una telefonata dal mio telefono, non mi disse a chi avrebbe telefonato ma ho la sensazione che Francesco chiamò casa sua o casa della madre. Era assolutamente tranquillo ed il saluto fu naturale e cordiale, non ricordo se indossasse il camice oppure no. Da quel giorno non ho più visto Francesco.

Non basta ancora. Pieretti Antonietta, dipendente dello Studio notarile Biavati a Foligno, il 5.04.05, ha dichiarato circa il rapporto del Narducci con la tragica vicenda fiorentina: “Io…. ho sentito dire, mi pare per radio, subito dopo la scomparsa del Prof. NARDUCCI, che era morto il mostro di Firenze. L’ho sentito mentre stavo in auto ed avevamo l’autoradio in funzione. Questo lo confermo. Forse era presente mio marito. Niente di meno, mi pare addirittura che stavamo andando verso Firenze a trovare una mia zia che era stata operata al cuore. La notizia diffusa per radio ci raggiunse nella zona del Lago Trasimeno o forse un po’ più avanti, in provincia di Arezzo. Mi sembra di ricordare che era mattina e che si trattava di un programma nazionale. A mezzogiorno dovevamo trovarci a Firenze. Ricordo che la cosa fece scalpore. Io ne parlai stupita con i vicini e con mio marito e con gli altri familiari. La cosa ci colpì e ci meravigliò… “.

Vi è un altro momento dopo il 1987, circa sei anni dopo, a quanto è dato comprendere, in cui il Narducci viene di nuovo posto all’attenzione degli inquirenti fiorentini ed è in occasione della presentazione, da parte di un investigatore privato, certo Pasquini Valerio, residente a Impruneta (FI), Via Volterrana n. 1, abitante di fronte a Via di Giogoli, proprio dinanzi alla villa “La Sfacciata”, nei pressi del luogo dove furono uccisi i due turisti tedeschi, nel settembre 1983, di un memoriale sul gastroenterologo, alla Procura della Repubblica di Firenze. Il Pasquini, assunto a informazioni da questo PM, nella sede del G.I.De.S., in data 29 agosto 2003, ha precisato di avere svolto indagini a Perugia sul medico, accertando, tra l’altro, che:

  • Dopo la morte del Narducci, a Perugia correva voce che quest’ultimo fosse il “Mostro di Firenze”, come ebbe a dirle una impiegata dell’anagrafe, certa signora Emilia (di cognome Cataluffi, molto interessante, come vedremo, ai fini del processo), che gli aveva confidato che i Carabinieri della Compagnia di Perugia aveva svolto indagini sul gastroenterologo ancor prima della sua morte e che lo stesso era “tallonato” pesantemente ancor prima dell’ultimo delitto, a Via degli Scopeti (come gli aveva anche detto la moglie di certo Claudio Mazza, conosciuto all’Argentario, secondo la quale la telefonata anonima ricevuta dal Narducci in Ospedale, il giorno della scomparsa, lo aveva avvertito delle indagini dei Carabinieri), ma che le indagini erano state poi bloccate;

  • Una domenica di poco successiva alla morte del Narducci, era apparsa una locandina de “Il Corriere dell’Umbria”, in cui il Narducci veniva indicato come il “Mostro di Firenze”;

  • L’Ispettore della Polizia di Stato Luigi Napoleoni, confidava al Pasquini che il Questore aveva mostrato un particolare interessamento alla vicenda e che lo aveva dissuaso dallo svolgere sopralluoghi nell’abitazione del medico;

  • Il giornalista Mauro Avellini, de “Il Corriere dell’Umbria”, che si era occupato del caso, gli aveva confidato che non lo trattava più, per avere subito pesanti minacce. Il giornalista, ancora intimorito, aveva confidato al Pasquini che uno dei Vigili del Fuoco, intervenuti nel recupero della salma portata nella villa di San Feliciano, aveva visto nello scantinato “un barattolo di vetro con dei reperti umani”.

  • Il Dr. Pierluigi Vigna, a cui il Pasquini portò il memoriale, era in procinto di recarsi a un interrogatorio, ma lo invitò a illustrargli il contenuto del memoriale, dicendogli, poi, che erano state fatte ricerche e che il Narducci era risultato estraneo alla tragica vicenda fiorentina, ma invitandolo, comunque, a mettere per iscritto le sue dichiarazioni;

  • da allora, cioè dal 1993, non era stato più richiamato sino al 2002, quando aveva riferito del contenuto del memoriale al Dr. Vinci, della Questura di Firenze.

Nel corso delle sue indagini perugine, il Pasquini venne a conoscenza di un particolare importante che è più volte affiorato nel corso delle indagini svolte da questa Procura. Nel verbale in data 12.10.05, il Pasquini ha precisato quanto segue: “Preciso che avevo appreso dal personale del reparto che era stata effettuata dopo la morte di Francesco Narducci un perquisizione nella stanza del professore e che a farla erano stati agenti mandati dalla Procura di Firenze e mi venne fatto il nome del dr. Vigna o Fleury, informazioni che successivamente mi vennero confermate anche da Paciola Sandro e Pifferotti Beppino. “.

Quindi, dopo la morte del Narducci, personale di Polizia fiorentino avrebbe effettuato una perquisizione nello studio del Narducci all’Ospedale.

Il Farroni stesso ha confermato il particolare, dicendo di averlo saputo. Il 23.10.2007 ha dichiarato: “Della SAM all’Università che avrebbe acquisito il fascicolo del Narducci sulle presenze in Ospedale l’ho saputo ma non ricordo da chi “.

Nel corso dell’incidente probatorio, il Pasquini è stato esaminato all’udienza del 16.12.2005. Nel corso della stessa, il Pasquini ha precisato (pp. 144 e 145), raccontando quello che gli riferì l’infermiere Pifferotti, uno dei collaboratori del Narducci: “una domenica mattina andando alla messa con il figlio, il figlioletto lesse nella locandina del Corriere della Sera davanti a un’edicola che il Professor Narducci era indicato come il mostro di Firenze e mi sembra lui mi disse… mi sembra che parlavano di questi reperti umani trovati nella villa di San Feliciano dai due Vigili del Fuoco che portarono la salma dal lago…. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): Pifferotti. VALERIO PASQUINI:… ecco mi disse… allora io dissi: “no ma lei sa quale domenica…”… “no, non lo so, poi – dice – anch’io l’ho cercato perché non lo comprai e io – dice – non l’ho più ritrovato”. Allora io dalle indagini che feci su in biblioteca trovai tutti i giorni ma quella domenica lì mancava, penso ne siano mancate anche altre…. passai dal Corriere della Se… dell’Umbria…. al Corriere dell’Umbria e chiesi del… cronista ma non c’era all’epoca e allora mi diedero due numeri di telefono, mi sembra due numeri di telefono, uno era del giornale e un altro un cellulare del Dottore che io poi interpellai per telefono, ma io… non ho questa registrazione……lui mi disse questo: che… ecco devo dire Mauro Avellini allora era capo cronista e lui mi disse: “sì – dice – sono stato io a far ritirare queste… sì ho dovuto farle ritirare io perché sono stato minacciato di vita” “come…”… “eh sì – dice – mi avevano detto – dice – che mi avrebbero sparato se non l’avevo…”… insomma le parole erano queste più o meno, e allora… “.

Alla richiesta di accertamenti, sul Narducci, da parte della Procura della Repubblica di Firenze, datata 3.11.1993, relativa al p.p. 1822/93 Mod. 45, con cui veniva trasmesso un memoriale, presentato in quegli uffici giudiziari da parte del Pasquini, titolare dell’Istituto di Investigazioni “Ariston” e che conteneva il consuntivo di una attività informativa svolta sul posto dal Pasquini sulla famiglia del Narducci Francesco e sulla morte dello stesso, con una celerità sorprendente, risponde l’organo richiesto in modo tale che non viene dato ulteriore corso agli accertamenti: si richiama, infatti, la solita circostanza che, in occasione del delitto di Calenzano, il Narducci si trovasse negli Stati Uniti. Tale circostanza attiene al capo XX.

Si sono illustrati alcuni tra i numerosi passaggi delle indagini fiorentine (e non), riguardanti il Narducci che hanno accompagnato quella che si è definita “convinzione generalizzata” o “fatto notorio”.

Negli anni successivi, sarà soprattutto Pietro Pacciani a richiamare l’attenzione sul medico perugino, come se ciò fosse di utilità per la sua vicenda processuale. E non ne parlava solo con il suo avvocato con cui era in maggior confidenza, l’Avv. Pietro Fioravanti. A sentire quest’ultimo (vds. dich. del 22.01.03), in una delle udienze che precedettero l’audizione del Dr. Perugini, avvenuta il 4 o 5 luglio 1994, il Pacciani in aula esclamò: “ Ma perché non avete continuato le indagini sul medico morto a bordo di un gommone nel Lago Trasimeno ?”.

Con sentenza in data 24.03.1998, la Corte d’Assise di Firenze, Sezione II, nell’affermare la penale responsabilità di Mario Vanni e Giancarlo Lotti per gli ultimi quattro duplici omicidi del “Mostro”, segnalava la necessità di nuove indagini per identificare il “dottore” che, secondo quanto affermato da Giancarlo Lotti in una delle udienze dibattimentali, avrebbe commissionato i delitti e avrebbe acquistato, pagandole a Pietro Pacciani, le parti escisse delle vittime femminili (tale possibilità emergeva anche sulla base delle ingenti disponibilità finanziarie del Pacciani e del Vanni).

Per inciso, il termine “dottore”, almeno in Toscana e in Umbria, se non anche altrove, allude precisamente ad un medico. Che proprio ad un medico si riferisse il Lotti, emerge dalle risposte date da quest’ultimo alle domande degli avvocati Colao e Curandai, difensori di parte civile, rispettivamente delle vittime del delitto di Montespertoli e di Vicchio, all’udienza del 28.11.1997 (pp. 10 e 16). “Avv. Colao: Se lei va a curarsi da un medico .. come lo chiama medico o dottore?” “Imp. Lotti: e come lo chiamo ? Dottore” (Udienza 28/11/97, Pag. 10); “Avv. Curandai: Era un medico, o un dottore non so o un commercialista…” “Imp. Lotti: Vanni gl’ha detto che gl’era un medico” “Avv. Curandai: Era un medico, bene” “Imp. Lotti: Lui mi ha detto così” (ud. pomeridiana del 28.11.1997, p. 16).

Da qui nasce l’indagine “ter”, a cui si collegano le indagini sulla morte del Narducci.

Per inciso, anche il GUP Dr. Silvio De Luca, nella sua sentenza nel procedimento n. 1277/03/21 in data 21.05.08, depositata il 22.12.08, conferma che il riferimento fatto dal Lotti al “dottore” doveva intendersi chiaramente come relativo ad un medico (vds. la sentenza, alle pp. 26 – 28).

Le indagini collegate. La genesi.

Nel settembre – ottobre 2001, la Squadra Mobile della Questura di Perugia sta seguendo un caso stranissimo, che tutt’oggi, nonostante un’intervenuta condanna patteggiata, presenta degli aspetti oscuri e torbidi. E’ il caso delle quotidiane minacce telefoniche dal contenuto e dalle modalità espressive degne di un film horror, che una estetista di Foligno, certa Falso Dorotea, riceve da mesi, da più persone (un uomo certamente e, forse, una o più donne) che, con voce alterata, si affermano appartenenti ad una congrega di tipo satanista. E’ un fatto, non un giudizio, se lo ricordi qualcuno che, in maniera sin troppo sospetta, grida allo scandalo non appena si affronta l’argomento e confonde, deliberatamente, il fatto oggettivo con le supposte convinzioni degli inquirenti.

Ad un certo punto, attorno alla metà di ottobre 01, il contenuto delle minacce, dapprima piuttosto generico, assume, via via, dei riferimenti, sempre più precisi, alla tragica vicenda fiorentina e, in particolare, dapprima alla figura di Pietro Pacciani, poi, anche a quella di un medico, identificato esplicitamente in Francesco Narducci. Questi i passaggi più eloquenti:

“tutti i bambini con la testa rossa come tuo figlio ci piacciono, farà la fine di Pacciani”

“finirà come Pacciani che ha tradito”

“tuo figlio con quella bella testolina tutto rosso per il nostro signore satana verrà sacrificato sulle colline del Mugello”

“Presto per te arriveranno le tenebre di satana…verrai uccisa e seppellita come l’amico di Pacciani….del Lago Trasimeno”

“tu sei puttana e tuo figlio ce lo prendiamo noi in nome di satana e sempre in nome di satana maledetta sarai uccisa come i traditori Pacciani e il grande medico”

“sei una bestia….sei sempre più brutta, fai schifo, flaccida…ogni giorno diventi più brutta…”

“il dottore, il grande dottore Narducci…lui è un traditore come Pacciani di Satana ed è morto, morto E tu farai la stessa fine, puttana…”

“sarai sacrificata in nome di satana come il grande dottore Narducci, come tutti gli amici di Pacciani traditori di Satana. Povera puttana deficiente, fai schifo…sei brutta, è la tua fine”

“Ricordati che sei sempre oltre puttana, cornuta e tuo marito non ti scopa più perché sei brutta da fare schifo, capito ? E scopa con la tua baby sitter che è più giovane e più bella e scopa meglio di te….maledetta puttana….sarai sfregiata presto come i morti di Firenze, hai capito ? ”

“…prima di essere uccisa…..è possibile che qualche nostro adepto venga utilizzato a farti un bello sfregio come i morti di Firenze…puttana, scimmia. Gallina”

“Ricorda che Filiberto verrà rapito da noi discepoli di satana…la tua vagina verrà spaccata proprio come le vittime di Firenze e dei traditori Pacciani e Narducci che tradirono il nome di satana…”

“Noi ti vogliamo uccidere….il tuo sangue sarà versato per i nostri riti e la tua vagina sarà completamente spaccata come i sacrifici di Pacciani….”

“Finirai ammazzata….la tua vagina sarà spaccata così come fecero i traditori di Pacciani e il grande professore Narducci, finito nel Lago strangolato….useremo un divaricatore per vacche come te e tu vedrai il supplizio di satana, l’inferno in terra, per te, Dorotea” .

L’ascolto di almeno parte delle telefonate è più eloquente di ulteriori spiegazioni.

I primi riferimenti alla vicenda dei duplici omicidi mi spingono a formare fascicoli se non sbaglio a Mod. 45 che trasmetto alla Procura della Repubblica di Firenze, dove il Dr. Paolo Canessa, titolare del procedimento sui mandanti dei delitti, sta attendendo un’importante informativa sulla vicenda dall’allora Dirigente della Squadra Mobile Dr. Michele Giuttari che riguarderà anche la morte di Francesco Narducci. Si veda, in proposito, la “nota sui mandanti” del 3.12.01 che rimarrà inspiegabilmente bloccata dal dissenso del Procuratore Nannucci, da poco insediatosi, dissenso motivato, come lo stesso Canessa, ebbe a confidare al funzionario di Polizia, da suoi rapporti di conoscenza con soggetti attenzionati dalle indagini e il “blocco” sarebbe stato permanente se gli sviluppi clamorosi dell’indagine perugina non avessero costretto la Procura di Firenze a delegare indagini sulla morte del Narducci al Dr. Giuttari, verso la metà del giugno 2002.

Ma la stessa Squadra Mobile di Perugia non se ne sta inerte e, in una delle note che accompagnano la strana evoluzione della vicenda Falso Dorotea, richiama la morte del gastroenterologo e i suoi ipotetici rapporti con la tragica sequenza omicidiaria fiorentina.

Alla luce di tale nota, sempre nell’ambito del procedimento sulle minacce telefoniche, riprendo, anzi, questo PM prende per la prima volta, lo scarno fascicoletto “Atti relativi alla morte di Francesco Narducci”, esistente in Tribunale (ve ne è anche uno della Procura) e si comincia ad assumere a informazioni alcuni soggetti che possono fornire indicazioni su quella morte e, su indicazione della Mobile, la Prof.ssa Francesca Barone, appartenente all’epoca all’Istituto di Medicina legale di Perugia, di turno, ma stranamente non chiamata in occasione del rinvenimento del cadavere attribuito al Narducci.

La Prof.ssa Barone, quel giorno, si trovava proprio al lago e, mentre si trovava col marito ed i figli, in casa di amici, fu informata da Zoppitelli Giancarlo di un fatto gravissimo che ha riferito in questi termini il 5.12.2003: “Sono assolutamente certa sul fatto che ZOPPITELLI Giancarlo mi abbia parlato del cadavere del NARDUCCI precisando che aveva le mani legate dietro la schiena e che doveva aver subito tantissime borre, specie al volto. Mi pare, ma di questo non sono assolutamente certa, che mi disse anche che aveva i piedi legati. Lo ZOPPITELLI pronunciò queste parole nella casa di Luciano e Gino ZOPPITELLI a San Savino dove noi ci eravamo recati, come spesso accadeva la domenica, probabilmente verso le 16,30-17,00 come nostra abitudine. “.

Il marito della Barone, il Dr. Nazzareno Ramoni, ha confermato che quel giorno la moglie era di turno ed aspettò inutilmente di essere chiamata. Ha detto il Dr. Ramoni il 27.05.05: “quel giorno mi recai al lago Trasimeno con mia moglie e i miei figli mi pare nel pomeriggio. Poiché me lo chiede, nulla avevo saputo quel mattino. Credo che, appena arrivati, ci recammo subito dalla Peppa, perché la sua casa era un po’ la nostra “base” quando facevamo le gite al Lago. Sicuramente, al nostro arrivo, trovammo la Peppa e non ricordo chi altri fosse presente. Mi ricordo che, ad un certo punto, Francesca mi disse che dovevamo tornare a casa, perché era stato trovato un cadavere. Non ricordo se fece riferimento al Narducci. Preciso che, mentre mia moglie era rimasta a casa con la Peppa, io ero uscito con i miei figli ed ero andato forse al bordo del Lago. Fu al mio ritorno che Francesca mi disse che era stato ritrovato questo cadavere. Ricordo anche che mia moglie era di turno come medico legale dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Perugia e che la sua fretta nel tornare era data dal fatto che era convinta che sarebbe stata chiamata per fare gli accertamenti di rito.

Com’era sin troppo facile prevedere, sin dai primissimi atti d’indagine sulla vicenda Narducci, svolti, ancora nell’ambito delle telefonate ricevute dalla Falso, viene fuori un autentico terremoto: oltre alle incredibili anomalie degli “accertamenti” sino ad arrivare a due diversi certificati di accertamento morte (accertamenti sui quali sarà bene stendere un velo pietoso…), relativi al cadavere ripescato, insieme allo strano imbarazzo di alcuni soggetti convocati in Procura per chiarire circostanze rilevanti, numerose circostanze e clamorose dichiarazioni di persone informate sui fatti, in primis, proprio della Prof.ssa Francesca Barone (ma non solo), sollevavano con prepotenza il problema delle vere cause di morte del Narducci che non poteva essere morto per “annegamento da probabile episodio sincopale”, ma in conseguenza dell’azione di terzi che avrebbero agito con finalità omicidiaria. Questa è l’ipotesi emersa in quei giorni, cioè verso la fine dell’ottobre 2001 e che è stata successivamente confermata dalle indagini, come si preciserà meglio in seguito, oltreché dal GIP nella sua ordinanza d’archiviazione del procedimento n. 1845/08/21.

Dopo il collegamento di indagini con quelle sui “mandanti” degli efferati delitti (n. 3212/1996/44, poi passato a mod. 21 con il n. 1277/03), chiesto ed ottenuto dalla Procura di Firenze il 9.11.01, le indagini proseguivano celermente e nel più assoluto riserbo sul versante perugino, mentre il Procuratore fiorentino Nannucci, come s’è detto, per via di rapporti di conoscenza con persone all’attenzione degli inquirenti, non permetteva che si desse corso all’articolata richiesta di indagini, formulata dall’allora Dirigente della Mobile di Firenze Dr. Michele Giuttari, in una interessante nota depositata il 3.12.2001 (n. 500/2001 Squadra Mobile): lo evidenzia sin troppo chiaramente l’informativa G.I.De.S. n. 481 del 21 settembre 2005, con l’allegata cassetta del colloquio registrato Giuttari – Canessa del 21.05.02 e allegato verbale di trascrizione.

Nella nota del 3.12.01, nell’ambito di un vasto ambito di persone ed avvenimenti e di possibili percorsi investigativi per indagare sui “mandanti” dei delitti fiorentini, per la prima volta e in modo assolutamente indipendente dalle indagini perugine sulla morte del Narducci, veniva posta l’attenzione su quest’ultimo, messo in correlazione con l’avvocato fiorentino Giuseppe Jommi e sulla morte del medico (punti 3.2 e 3.3) e, alla lett. e) delle richieste di deleghe d’indagine, si sottolineava: “approfondimenti sulla persona del Narducci Francesco e, in particolare, sulla sua morte;”. La Procura di Firenze, poi, sull’onda delle clamorose risultanze dell’esumazione del cadavere del Narducci e dei primi risultati dell’autopsia, delegherà le indagini solo sulla morte del medico e, qualche mese dopo, su qualche personaggio ad esso collegato, ma la gran parte delle indagini richieste dal Dr. Giuttari rimarranno definitivamente disattese.

Le indagini perugine, nel frattempo, proseguivano, come s’è detto, in assoluta segretezza, sino a quando, dopo l’audizione di una persona informata sui fatti, i giornali, anche in sede nazionale, il 24 gennaio 02 davano notizia delle indagini, iniziate appena tre mesi prima.

Non erano passati neppure venti giorni, dalle primissime notizie giornalistiche sulle indagini e sul fatto che fossero iniziate da poco tempo, che l’11 febbraio 2002 si verifica un fatto che ha dell’incredibile: i Narducci sono persone offese dell’ipotizzato omicidio del prossimo congiunto, su cui i giornali hanno dato la notizia che la Procura di Perugia ha da poco iniziato le indagini a carico di ignoti. Dovrebbero sostenere le indagini ed auspicare che le stesse portino a fare piena luce sulla morte del loro congiunto. E invece no: nel loro primo atto difensivo, a firma dei loro difensori, gli Avv. Antonio ed Alfredo Brizioli, i familliari del Narducci (fatta eccezione per la moglie) chiedono l’archiviazione del procedimento per la morte del loro congiunto, senza neppure attendere la scadenza del termine delle indagini di un procedimento a carico di ignoti.

E non è un fatto isolato…è la prima di una lunga serie. E, per giunta, si tratta di richieste che, nei mesi successivi, saranno accompagnate da pressioni di ogni genere, anche un intervento sulla stampa con preannuncio di interrogazione parlamentare (poi….abortita) da parte di un personaggio politico di rilevanza nazionale per bloccare i troppo curiosi inquirenti ! Poi, in momenti successivi, personaggi di segno politico opposto interverranno per le stesse finalità.

Uno degli argomenti ricorrenti, continuamente ricorrenti, di questi attacchi è il fatto che si indaghi su vicende risalenti a circa un ventennio prima, come se i delitti di omicidio e, per di più, di quegli omicidi, dovessero essere dimenticati e chi insorge oggi contro le “lungaggini”, coincide con chi, all’epoca, si prodigò per “coprire” tutto o, comunque, favorì con la sua inerzia e il suo silenzio quelle incredibili omissioni.

C’è un proverbio napoletano che si attaglia alla perfezione a questo caso, nonostante le differenze geografiche e linguistiche dal contesto del proverbio. Cito solo l’incipit perché il seguito credo lo conoscano tutti: “Chi ha dato ha dato. Chi ha avuto ha avuto.,,,” con quello che segue… In sostanza, all’epoca fu fatto tutto con una fretta ed un’approssimazione incredibili, perché….c’era fretta di chiudere, oggi non si “deve” indagare perché è passato troppo tempo… Il problema vero è un altro e cioè che su questa vicenda c’è chi non vuole che si indaghi.

Le indagini collegate. Gli accertamenti medico – legali.

Si giungeva così alla decisione, ormai ineludibile, visto l’emergere di tanti elementi a conforto dell’ipotesi omicidiaria formulata, di disporre una CT medico – legale ex art. 359 c.p.p., prodromica ad una eventuale riesumazione, senza minimamente avere in dubbio che il cadavere sul quale erano stati svolti gli “accertamenti” sul pontile e che si poteva scorgere da foto scattate dal fotoreporter Crocchioni, de “La Nazione”, quel mattino di domenica 13 ottobre 1985, fosse proprio quello del Narducci.

L’incarico viene conferito il 12.03.02 al Prof. Giovanni Pierucci, titolare del Dipartimento di Medicina Legale dell’Università di Pavia che svolge un primo accertamento ex art. 359 c.p.p., sulla base degli atti d’indagine sino ad allora espletati e della descrizione che di quel cadavere avevano dato coloro che avevano avuto modo di osservarlo con attenzione: il pescatore Baiocco, l’App. Meli, gli addetti alle pompe funebri dell’impresa Moretti e dell’impresa Passeri ed altri, tra cui l’allora appartenente alla Polizia delle acque, oggi M.llo della Polizia Provinciale, Piero Bricca.

Neppure il Prof. Pierucci poteva immaginare che presto si sarebbe posto un problema insormontabile di compatibilità tra il cadavere ripescato e quello del Narducci, o, come lui stesso avrebbe detto in seguito, tra “il cadavere di Sant’Arcangelo” e “il cadavere di Pavia”.

Se si legge con attenzione la prima CT del Prof. Pierucci, ci si avvede, però, che per quest’ultimo “i conti non tornavano” sin da quel primo elaborato: il Prof. Pierucci sottolineava, tra l’altro, la stranezza dello scarto esistente tra l’elevato livello di trasformazione raggiunto dal cadavere, caratterizzato da una “facies negroide” e dal livello enfisematoso – putrefattivi di tale processo, a fronte di una asserita permanenza in acqua, in un mese autunnale, di circa cinque giorni (fatto questo che, com’è noto, rallenta sensibilmente i processi trasformativi cadaverici) e riteneva necessaria una tempestiva autopsia anche per chiarire le perplessità che questo scarto non poteva non aver suscitato (si veda a p. 22 della prima CT Pierucci).

E’ interessante riportare il giudizio che l’illustre direttore del Dipartimento di Medicina legale pavese ha formulato sugli “accertamenti” svolti all’epoca che, curiosamente, gli indagati considerano un “punto fermo”. “L’unico accertamento tecnico condotto sul cadavere putrefatto del Narducci”, osserva il Prof. Pierucci, che non aveva ancora elementi per dubitare dell’identità dello stesso (la riesumazione era di là da venire, poiché il deposito della prima CT è del 20.05.02) “consiste in una ispezione esterna: indagine, per di più, condotta da un medico ignaro – per sua esplicita ammissione – di medicina legale. In un articolo di A. Moritz del 1956, divenuto famoso tanto da essere ripubblicato sull’Amer. J. Forens. Med. Pathol. Del 1981, dal titolo “Classic Mistakes in forensic pathology”, è considerato errore numero 1 il non essere consapevoli dell’obbiettivo dell’autopsia medicolegale. Al numero 2 c’è l’autopsia incompleta. L’omissione dell’autopsia, poi, è considerata alla stregua della lettura di un libro giallo al quale sia stata preventivamente strappata l’ultima pagina….D’altronde anche l’ispezione esterna (che è importantissima, ma solo come fase preliminare di un accertamento complesso qual è l’autopsia), nel caso particolare, fu condotta in condizioni proibitive, all’aperto, nell’impossibilità di spogliare completamente il cadavere, con il perito che riteneva di dover compilare solamente un documento a valenza amministrativa, il certificato di constatazione di morte, in realtà poco più che una formalità di fronte ad un cadavere che non prospettava certamente dubbi sulla realtà della morte….La causa di morte, in una “situazione di annegamento”, non può essere in alcun modo precisata sulla base di una semplice ispezione esterna: tanto più in un cadavere putrefatto” (cfr. la citata CT alle pp. 25, 26 e 27). Sulla base delle condizioni del “cadavere del Lago”, quello studiato dal Prof. Pierucci nella prima CT, era prevedibile, anzi certo, secondo il CT, che avesse i capelli, i peli e le unghie “bensì distaccati, ma presumibilmente ancora integri” (cfr. p. 33). Se si osserva, invece, il “cadavere di Pavia”, cioè il Narducci, lo si vedrà con folti capelli castano chiari al capo, i peli corporei integri (anche quelli del pube) e le unghie regolarmente al loro posto.

Il Prof. Franco Fabroni, già titolare della cattedra di Medicina legale dell’Università di Perugia dal 1983 alla fine del 1985 e poi, da quella data sino all’ottobre 2003, Direttore dell’Istituto di Medicina legale della stessa Università di Perugia, sentito in data 11.08.04, ha confermato l’assoluta anomalia di quello che avvenne in quell’ottobre 1985 e ha sottolineato in proposito, rispondendo alle domande di questo PM: “Domanda: ” In quali casi voi intervenivate?”//

  • Risposta: ” in tutti i casi di morte che potevano avere un qualche interesse giudiziario e, quindi, dall’impiccato alla persona morta dentro casa, agli incidenti stradali ed agli omicidi e suicidi, oltre ad altri delitti contro la vita.”——————————————//

  • Domanda: ” siete intervenuti su annegati?”———————————————————-//

Risposta: ” senz’altro, in più occasioni. Quando veniva trovato un cadavere annegato, o in un fiume o in un lago, venivamo chiamati e veniva effettuata la visita esterna e, ovviamente, l’autopsia, perché, per accertare le cause di morte dell’annegato, necessita l’autopsia. “.

E il Prof. Gianaristide Norelli, oggi direttore della sezione dipartimentale di medicina legale dell’università di Firenze, all’epoca in forza all’Istituto di Medicina legale di Perugia, il 29.05.06, ha dichiarato: “Premetto che, all’epoca, il direttore dell’istituto era il prof. Franco FABRONI. Io ero associato e la dott.ssa Francesca BARONE era assistente. Ricordo che rimanemmo molto colpiti dal fatto che era affiorato un cadavere dal lago Trasimeno che era stato riconosciuto come quello del NARDUCCI e noi non eravamo stati chiamati come accadeva regolarmente nei casi di sospetto di annegamento. In questi casi, infatti veniva di norma e correttamente effettuata l’autopsia, anche perché, per accertare o escludere l’annegamento, è indispensabile l’esame autoptico, nonché gli esami di laboratorio ed istologici. Non ricordo chi fosse il medico legale di turno, ma comunque escludo che qualcuno di noi fosse stato avvertito del rinvenimento. “.

C’è ben poco, anzi, proprio nulla da aggiungere.

Ho trattato, come tutti voi sanno, oltre a numerosi altri processi, uno, quello sulla morte della giovane ragazza inglese Meredith Kercher, in cui le difese e una larga parte dell’informazione hanno attaccato con veemenza gli accertamenti svolti dalla Polizia Scientifica e anche dal medico legale, in sede di autopsia. Eppure, a prescindere da ogni altra considerazione, in quel caso c’è stata un’autopsia, accurate foto del cadavere e della scena del delitto, sono stati svolti numerosi accertamenti di genetica forense. Se da una certa parte si è gridato (a mio avviso ingiustamente) allo “scandalo” per le modalità con cui sarebbero stati svolti questi accertamenti, mi domando cosa si sarebbe detto, in Italia, ma soprattutto all’estero, di quelli compiuti sul pontile il 13 ottobre 1985.

Uno degli aspetti più inquietanti degli “accertamenti” del 1985 era costituito dall’orario della morte, indicato all’epoca dalla dottoressa intervenuta, come coincidente con le 110 ore prima, orario indicato con insolita e implausibile precisione, dato il tempo trascorso dalla scomparsa. E infatti, il CT richiamava il fatto che la dottoressa Seppoloni, nelle sue dichiarazioni rese al PM, avesse confessato di non essersi resa conto di come avesse potuto indicare una data così precisa: è lei che lo scrisse all’epoca ed è sempre lei che confessa poi di non sapersi spiegare perché mai avesse indicato quell’orario.

110 ore dal rinvenimento “ufficiale”, avvenuto alle ore 7,20 del 13 ottobre 1985 (vds. fonogramma del Comandante della Stazione CC. di Magione alla Procura di Perugia e alla Compagnia Cc. di Perugia, del 13 ottobre 1985), equivale, se non ho fatto male i calcoli, alle ore 17,20 dell’8 ottobre 1985. La D.ssa Seppoloni non sa spiegarsi come mai indicò quella data. Lo confessa sin dal suo primo esame, in data 24.10.01, in cui descrive anche, in modo eloquente, le pressioni a cui fu sottoposta: “Il verbale fu redatto materialmente in un locale, credo della cooperativa dei pescatori di S. Arcangelo, dove mi recai assieme ai Carabinieri i quali provvidero a redigere il verbale che io firmai nella parte relativa alla ricognizione del cadavere, ma non ricordo che mi vennero fatte domande circa l’orario della morte od altro, anche perché non potevo stabilire l’orario della morte del Dr. Narducci ed escludo di avere detto che era morto da 110 ore perché non avevo un minimo di competenza per affermarlo. Voglio aggiungere che c’erano delle forti pressioni intorno a me perché più io allontanavo le persone, con l’ausilio dei Carabinieri, più la gente mi pressava anche all’interno del locale. “. E la Dottoressa non cambierà mai più questa versione. Il 7.03.02 la stessa avrebbe, infatti, dichiarato: “nella mia memoria non avevo affatto il riferimento alle 110 ore perché non potevo darlo sulla base delle mie competenze che si fermavano all’accertamento della morte non essendo io medico legale. “. Il 4.03.2002 la D.ssa Seppoloni, ancora più sorpresa e sconcertata, ha dichiarato sul punto: “non potevo assolutamente indicare l’orario della morte perché non avevo nessun elemento per farlo e non riesco a capire come mai sono state indicate le 110 ore prima del ritrovamento. “. E allora ? Era difficile immaginarsi una sconfessione più radicale e completa di quello che era l’elemento più significativo degli “accertamenti”, cioè quello sull’orario della morte, proprio da parte del sanitario che fu “incaricata”, in pratica dal Questore (?!), di svolgere anche la visita esterna e di certificare le cause della morte, quelle che oggi le difese pretendono di considerare un fatto intangibile….Vi può essere una sconfessione così categorica e clamorosa da parte dello stesso autore dell’”accertamento” ?

A questo punto va richiamato quanto ricordato dal Brig. CC. Aurelio Piga, all’epoca in servizio presso il NORM Compagnia CC. Perugia, che, trovandosi sul pontile, fu l’unico elemento dei presenti a prendere le distanze, per come poteva, da quello che veniva fatto. Queste le sue parole riportate nel verbale del 25.03.02: “All’epoca ero Brigadiere CC in servizio presso il NORM della Compagnia Carabinieri di Perugia e quel mattino fui inviato a Sant’Arcangelo perché era stato rinvenuto un cadavere. Quando partii non sapevo di chi fosse quel cadavere e credo che non lo sapesse nessuno di noi. Con me vi era il Carabiniere Sante Fraccalvieri come conducente dell’autoradio. Noi dovevamo compiere il primo intervento, soprattutto per tenere lontano i curiosi e dare assistenza agli altri militari operanti. Quando arrivammo nel molo non vi erano molte persone e non riconobbi nessuno di mia conoscenza. Il cadavere era disteso sul pontile ed appariva gonfio e di colore scuro. Ricordo che emanava un po’ di cattivo odore che si sentiva solo avvicinandosi molto al cadavere. Intorno a quest’ultimo in quel momento vi erano persone che io non conoscevo e tutti attendevano l’arrivo del medico legale. Mi pare che il cadavere avesse le braccia incrociate intorno allo stomaco…..ho avuto in mano i suoi effetti personali tra cui un orologio, che tenni per un attimo mentre veniva eseguita l’ispezione. Questi oggetti furono rinvenuti al momento dell’ispezione cadaverica, quindi successivamente al mio arrivo sul posto….Pochi minuti dal mio arrivo sul posto, sopraggiunse una Dottoressa che iniziò l’ispezione cadaverica. La prima cosa che fece fu di sollevare gli abiti del morto che non sapevo chi fosse. Quello che mi colpì e che attirò la mia attenzione fu la presenza di vistosi ematomi sul petto del cadavere. Io mi trovavo a fianco del cadavere insieme ad altre persone ed ero talmente vicino allo stesso da sentirne il cattivo odore che si avvertiva stando sopra al cadavere e vicinissimi allo stesso. Mi ricordo che vi erano ematomi sicuramente nella zona mammaria sinistra. Per me erano chiarissimamente degli ematomi per quello che ne posso sapere. Preciso che di cadaveri ne avevo già visto molti e quei segni mi davano una sensazione di qualcosa di pesto e di innaturale. Ebbi la netta impressione che quella persona avesse subito percosse. Altri ematomi erano presenti nella parte sinistra del costato. Non si trattava di ipostasi a quello che potevo saperne, ma sembrava che l’uomo avesse subito dei colpi violenti in corrispondenza di quei punti. Gli ematomi più vistosi si notavano nella zona mammaria sinistra dove l’ematoma aveva le dimensioni di un’arancia con un colore di sangue pesto molto scuro e concentrato rispetto alla restante parte del corpo. Nella zona del costato e fianco invece i segni di ecchimosi avevano delle forme disomogenee, in alcuni punti a forma di striscia in altri con forme più circoscritte che mi sembravano dovute a colpi secchi ricevuti dal cadavere. Nella parte destra del petto si notavano segni che mi sembravano ematomi di forme più ridotte rispetto alla parte sinistra, ma dello stesso colore di pesto, sia nella zona mammaria che nel costato e nel fianco destro…Io ricordo che mentre la Dottoressa ispezionava il corpo e faceva dei commenti, un uomo vicino alla Dottoressa ed indossava i guanti di gomma, commentava anche lui lo stato del cadavere e la natura di questi segni, ipotizzando che il cadavere se li fosse prodotti sbattendo sulla barca perché caduto in seguito ad un malore, o comunque in maniera accidentale. A questo punto tra me e me mormorai “MA QUELLE SONO LESIONI” ma qualcuno a me vicino, alle mie spalle, mi intimò in modo autoritario di stare zitto. Ebbi la netta impressione che si trattasse di un uomo abituato al comando. Un’altra persona presente sul posto commentava che non poteva essersi trattato di suicidio perché altrimenti non avrebbe avuto senso il modo in cui era stata lasciata la macchina. Non ricordo se questa frase fu detta dalla stessa persona che mi aveva intimato il silenzio, ma certamente era una persona anch’essa abituata a comandare. Io mi ero risentito per il modo in cui ero stato trattato ma ricordo che notai tra i presenti un uomo che sembrava dotato di molta autorità e che parlava continuamente con il medico e con altre persone che aveva intorno. Chiesi a qualcuno dei presenti chi fosse quest’uomo e mi fu risposto che era il Questore….Ad un certo punto il cadavere fu rovesciato sul fianco destro, così mi ricordo, e venne data un’occhiata alle spalle. Anche sulle spalle aveva dei segni che mi sembravano degli ematomi ma non così vistosi come nel petto. Ricordo che quando fu piegato uscì del sangue misto ad acqua dalla bocca e dal naso, con un certo fetore, che avrei risentito nel corso degli anni di fronte ad altri cadaveri. Puzzava di fango e sangue. Ricordo anche che il cadavere aveva un segno a forma di striscia con il colore del sangue ammaccato poco sotto la mandibola sinistra….Il cadavere non fu spogliato interamente e non gli furono abbassati i pantaloni se non lievemente, in maniera da lasciare intravedere un segno a forma di fascia intorno all’addome, che reputai dovuto alla cintura, anche perché posteriormente non si notava, anzi posteriormente i pantaloni non sono stati abbassati…Non ricordo se siano stati ispezionati o meno i polsi e non notai cose particolari nel volto, ad eccezione del fatto che il colore del volto era più scuro delle parti del corpo non interessate dalle ecchimosi. Io comunque visto il modo in cui ero stato trattato, ero intimorito e quindi pur essendo sempre più convinto che l’uomo fosse stato picchiato e fosse stato ucciso, non dissi più nulla e rimasi stupito del fatto che non furono eseguite le normali procedure di Legge. Che io ricordi non c’era nessuno con macchine fotografiche. Quello che avvenne quel giorno sul molo di Sant’Arcangelo mi colpì talmente che ho sempre commentato la cosa e non ho mai capito le ragioni di questo comportamento. “.

Ogni ulteriore commento è inutile. Questo militare dell’Arma fu l’unico, in quel pontile, quella domenica di ottobre 1985, a manifestare con chiarezza le sue perplessità per quello che veniva fatto, fu l’unico che ebbe la netta sensazione che quell’uomo fosse stato picchiato ed ucciso, ma bastò che venisse percepito il suo mormorio di sconcerto, perché il Questore o qualcuno che gli era vicino, lo intimidisse, ordinandogli di stare zitto. E il Piga, sempre più sconcertato, assiste a quella sorta di visita esterna nel corso della quale il cadavere non fu spogliato e i presenti si limitarono ad abbassargli i pantaloni, in misura sufficiente, però, a scorgere il segno a forma di fascia che vedrà anche il necroforo Morarelli. Quell’episodio ha segnato la vita del Piga che non comprese mai le ragioni di un tale comportamento, posto in essere da persone che rivestivano importanti ruoli istituzionali.

Era necessario richiamare le parole del Brigadiere perché non vi è descrizione più eloquente di quello che successe quella mattina sul pontile di Sant’Arcangelo.

In conclusione, quindi, richiamando la prima CT, secondo il Prof. Pierucci, gli “accertamenti” dell’epoca valevano e valgono zero, bisognava riesumare il cadavere e farlo in fretta perché i fenomeni di trasformazione cadaverica procedono con velocità imprevedibile.

Poco prima che il 20 maggio, il Prof. Pierucci depositasse il proprio elaborato preliminare, in data 18.05.2002 gli Avv. Antonio e Alfredo Brizioli, nell’interesse di tutti i Narducci, p. o., chiedono di nuovo l’archiviazione del procedimento e in subordine, l’incidente probatorio con testimoni circa l’assenza di lesioni e, poi, per la perizia autoptica.

Ma chi aveva mai parlato di lesioni a quella data ? Nei quesiti posti al Prof. Pierucci il 12.03.02 non vi è il benché minimo accenno a lesioni subite dal Narducci. Vi sono i soliti quesiti sulla causa e sulla causa della morte, sulle trasformazioni cadaveriche intervenute, sulla causa del rigonfiamento subito dal cadavere, sugli accertamenti eseguiti e sulla necessità o meno dell’autopsia.

Di lesioni non ne aveva parlato nessuno. Ne parlano solo i Narducci che chiedono che le indagini cessino immediatamente o che si accerti con incidente probatorio, tramite testimonianze, che non vi erano lesioni sul cadavere.

Dicono anche che le indagini sarebbero iniziate con un’intercettazione telefonica nel marzo 2000 e subito dopo sarebbe stato aperto il fascicolo, dimostrando di aver avuto notizia della genesi del procedimento ma non dei suoi tempi. Questa indiscrezione ricevuta dai Brizioli è all’origine della vicenda di cui al capo V, sulla cosiddetta “operazione Puletti”.

Non contenti di avere inviato l’istanza al PM, la trasmettono anche al GIP e al Procuratore capo, invitandolo implicitamente a intervenire sul sostituto.

Questo “mettere le mani avanti” da parte dei Narducci e dei loro difensori non si era limitato alle cause di morte: un mese prima che venisse inviata questa strana memoria, nel corso dell’assunzione a informazioni del Prof. Ugo Narducci, il 22.04.02, dopo una mia domanda su un possibile scritto lasciato dal figlio, l’Avv. Antonio Brizioli chiede che si inserisca nel verbale una frase che anticipava curiosamente la problematica del doppio cadavere che sarebbe emersa solo dopo i primi accertamenti sul cadavere oggetto della riesumazione, cioè di lì a qualche mese e che merita riportare integralmente: “L’avvocato Brizioli afferma che il cadavere è stato riconosciuto da diverse persone che erano presenti e che quindi non è possibile le sostituzione di un cadavere e rivolge la domanda al professore Narducci Ugo, il quale risponde che Francesco è stato riconosciuto dai vari intervenuti e che non presentava alcun segno di violenza, ivi presenti i due rappresentanti della Procura facenti parte della Polizia Giudiziaria.”

E così, il 28 maggio 2002 questo PM nominava CT lo stesso Prof. Pierucci, al fine di accertare le cause della morte del medico previa autopsia (non effettuata all’epoca), con l’ordinaria procedura in contraddittorio dell’art. 360 c.p.p. e il conferimento dell’incarico avveniva il 4 giugno 2002. Veniva nominato anche un CT in materia tossicologica, la Prof.ssa Montagna, dello stesso Dipartimento.

Ma, nel frattempo, i Narducci ed i loro difensori e CC.TT. non se ne stanno con le mani in mano e proseguono con il loro classico e ormai proverbiale e consueto fuoco di sbarramento: il primo giugno 2002, dopo aver ricevuto l’avviso degli accertamenti ex art. 360 c.p.p. e dopo una memoria del CT di parte Narducci Prof. Giuseppe Fortuni del 31.05.02, tendente ad evitare l’accertamento già disposto dal PM e il trasferimento della salma a Pavia, depositano una memoria in cui negano che esistano gravi indizi dell’omicidio, contestano l’iniziativa del PM e il disseppellimento; si oppongono alla nomina del Prof. Pierucci e al fatto che non siano stati nominati CT del Centro Italia, paventando possibili lesioni del cadavere a causa del lungo viaggio a Pavia; chiedono l’incidente probatorio (in un procedimento a carico di ignoti….si noti bene) e chiedono in subordine che comunque l’accertamento venga fatto a Perugia e in via subordinata che l’accertamento si svolga all’Istituto di Medicina Legale di FIRENZE.

Il giorno prima del conferimento dell’incarico al Prof. Pierucci, fissato per il 4 giugno, il Prof. Ugo Narducci cerca di bloccare di nuovo l’accertamento ex art. 360 c.p.p., con un telegramma inviato al Procuratore capo che è in congedo straordinario e al Procuratore generale, aggirando disinvoltamente il magistrato titolare del procedimento che aveva disposto l’accertamento e richiamando il contenuto della memoria del primo giugno.

Va richiamata l’estrema attenzione sulle seguenti telefonate che immediatamente seguono i primissimi accertamenti ancora con esito negativo sulla zona del collo.

Dopo le telefonate cariche di ansia e di preoccupazione nn. D0000172, tra Elisabetta e Pierluca, D0000174 tra gli stessi, sempre in ansia per i primi risultati; quella la telefonata n. D0000174 tra Elisabetta Narducci e il fratello del 6.06.02: la prima comunica sollevata a Pierluca che l’Avv. Alfredo Brizioli ha comunicato al loro padre, il Prof. Ugo che “è tutto o.k. !”. Pierluca rimane però ansioso e preoccupato, perché vuol sapere cosa significhi “tutto o.k.”); telefonata n. D0000279, in cui Pierluca manifesta di nuovo alla sorella la sua preoccupazione, condivisa dal padre, come gli conferma Elisabetta; Telefonata n. D0000281 del 7.06.02, in cui il Prof. Ugo manifesta alla figlia la sua profonda ansietà; Telefonata n. D0000318 tra il Prof. Ugo e la figlia in cui il primo dà la risposta a cosa lo preoccupasse tanto, vale a dire l’esito dell’esame radiografico (il Prof. Ugo comunica esultante e commosso alla figlia che l’Avv. Brizioli (divenuto indagato) lo ha informato dell’esito negativo (allora) dell’esame radiografico). Telefonata n. D0000319, tra Elisabetta e Pierluca, in cui anche quest’ultimo si rasserena dall’esito negativo dell’esame radiografico. Il profondo sollievo derivante dall’esito, allora, negativo dell’esame radiografico, viene comunicato da Elisabetta ad una sua amica, lo stesso giorno 7 (vds. tel. n. D0000381). E’ un sollievo peraltro non completo perché Elisabetta sa che gli accertamenti continuano. Ho citato solo alcune di queste telefonate. Non ne cito altre perché, mi pare, non siano state trascritte.

E non è finita. In un telegramma del 7.07.02, l’Avv. Alfredo Brizioli invita il Prof. Pierucci a considerare inutili, illegittime ed inutilizabili ulteriori analisi che il CT del PM avrebbe avuto intenzione di effettuare e ad avvertire immediatamente i difensori e garantirne la presenza nel caso in cui avesse ritenuto necessario effettuare esami “su parti così – fragili – come la parte anteriore del collo che racchiude il – delicatissimo osso ioide già inevitabilmente indebolito dal lungo processo cadaverico ed inoltre sottoposto allo stress traumatico conseguente alla necessità di isolarlo ed estrarlo completamente dalla salma – corificata – per agevolare l’esame radiografico approfondito….già effettuato in presenza di tutti i consulenti di parte e del sottoscritto con esiti concordemente negativi e quindi definitivamente conclusosi, osso ioide che da tempo è a sua completa disposizione…..conservato in un contenitore molto grande che nel corso dei lunghi trasferimenti cui è sottoposto può essere oggetto di scuotimenti ed urti al suo interno oltre che di eccessive quanto necessarie e più volte ripetute manovre manuali effettuate da più persone…”. Come a dire: sinora non è emerso alcunché al collo, basta con ulteriori esami e se lei dovesse invece andare avanti e dovesse scoprirsi una lesione, la colpa sarà stata del PM che ha disposto l’autopsia a Pavia e sua (cioè del Prof. Pierucci) che lo dovrà per forza manipolare per estrarlo dalla salma.

Analoghe note vengono inviate il giorno dopo dai CC.TT. Prof. Walter Patumi e Giuseppe Fortuni il cui senso è sempre lo stesso: impedire che si arrivi alla dissezione del complesso laringe – trachea – osso ioide.

Ovviamente, il Prof. Pierucci andrà avanti per la sua strada e, il 5.09.02, presenti PM e tutte le parti e CC.TT., veniva effettuata la dissezione del blocco lingua – faringe – organi del collo, con la rilevazione, come si vedrà, di una vistosa frattura del corno superiore sinistro della cartilagine tiroidea.

Qui, i giri di parole non si fanno e non si possono fare: è evidente, dal loro comportamento, che i Narducci erano a conoscenza del problema prima addirittura che si arrivasse alla riesumazione ed è questo il motivo per cui hanno cercato di impedirla in tutti i modi e, poi, di attribuirne la responsabilità al CT di questo PM, come in pratica avevano preannunciato.

Evidentemente i Narducci avevano ed hanno interesse a impedire che venisse scoperto chi, come e perché fosse stato ucciso Francesco Narducci e soprattutto l’ultimo interrogativo poneva evidentemente in pericolo la reputazione del morto e quella della sua famiglia, specie del padre e del fratello e del contesto sociale nel quale essa si inseriva. Era meglio un Francesco morto “ufficialmente” per disgrazia, ma in subordine anche per un misterioso suicidio che un Francesco vivo che potesse continuare ad operare. La realtà è, purtroppo, drammatica è questa.

Il 17.10.2002, alle 17,37, viene intercettata la telefonata (n. 226), intercorsa tra Giovanna Ceccarelli, cognata del Narducci e la madre Adriana Frezza. Dopo una lunga conversazione, quando la madre introduce, preoccupata, un tema inquietante, riportato dalla stampa, circa possibili coinvolgimenti di gruppi dediti a pratiche di tipo “magico-esoterico”, Adriana sbotta e se la prende con il cognato, cioè con Francesco.

Si riporta il passaggio più significativo: “Giovanna Eh ma oggi come ar… come ridice il giornale?

Adriana Ma sempre le stesse cose però le dice eh! Poi adesso vengono fuori ecco queste qui … ‘sti riti, ‘ste cose a me … c’ho paura eh! perché dice che questi son vendicativi… eh … visto che … quel che fanno? … a Pescara però l’han trovati e di qui non li trovono? dice che ce sono anche di qui!

Giovanna Eh

Adriana Eh

Giovanna Eh ma era tutto l’mi cognato che faceva casino no?

Il fatto che Francesco fosse coinvolto in attività tutt’altro che commendevoli era, quindi, noto ai familiari e, nella sua proverbiale schiettezza, Giovanna esplode in uno sfogo durissimo contro Francesco.

Queste sono considerazioni dolorose ma necessarie ai fini della definizione del presente procedimento.

Già si è detto che dalle dichiarazioni di Francesca Spagnoli del 21.01.05, emerge che Pierluca Narducci fosse al Lago Trasimeno almeno circa venti minuti prima dell’orario ufficiale di morte del fratello.

Va qui richiamato, sia pure in maniera necessariamente sintetica, un punto fondamentale su cui ci si è soffermati nella richiesta di archiviazione nel proc. 1845/08/21, quello comprendente, tra gli altri reati, anche l’omicidio, per il quale la richiesta è stata presentata a norma dell’art. 225 disp. att. c.p.p., vale a dire la questione del momento nel quale il padre e il fratello del gastroenterologo sono venuti a conoscenza della scomparsa del loro congiunto.

Nel suo primo esame del 19.04.02, Pierluca Narducci, ufficialmente il primo ad essere informato da Peppino Trovati dell’uscita al lago del fratello e del suo mancato ritorno, precisa: “Verso le 19.45 circa tornai a casa per cambiarmi perché dovevo andare a cena fuori con degli amici, quando mi telefonò Peppino Trovati, titolare della darsena di San Feliciano dove riponevamo la nostra imbarcazione, dicendomi che Francesco era uscito con la barca ma non aveva fatto ancora ritorno. Mi preoccupai molto perché era già buio e non riuscivo a capire cosa fosse successo… Mi recai subito da Peppino Trovati verso le ore 20.15 – 20.30 “.

Secondo la moglie di Pierluca, Giovanna Ceccarelli, esaminata il 27.06.01, il marito, prima di recarsi dal Trovati, telefonò a casa del fratello e chiese notizie di questi alla moglie Francesca che gli rispose, ignara di tutto, che lo aspettava per la cena.

Il Trovati aveva già sostanzialmente confermato l’orario della telefonata nel verbale in data 24.10.01.

Senonché, la vedova del gastroenterologo, nella deposizione del 21.01.05, dopo avere confermato la chiamata del cognato nella tarda serata dell’8, ha precisato, come s’è detto, che Pierluca le disse di essere al Lago dalle 17, smentendo tutto quanto dichiarato dallo stesso in proposito.

E di una presenza in loco, cioè nel Lago Trasimeno, di persone appartenenti alla famiglia della moglie di Pierluca, ben prima addirittura delle 17, ha parlato anche il fratello di quest’ultima, Ceccarelli Andrea, che il 18.04.05 ha detto: “Mentre dormivo, mia madre mi svegliò, avvertendomi che papà aveva chiamato verso le 16.00/16.30, dicendo che era successo qualcosa di strano a Francesco. La mamma mi disse che il babbo, aveva chiamato dal Lago. Mi ricordo che era una giornata calda e soleggiata. Preoccupato per mio padre, mi precipitai nella darsena di Peppino Trovati, dove sapevo che Francesco teneva l’imbarcazione. Quando arrivai al Lago era ancora giorno pieno. “. Successivamente, lo stesso ha cercato di ritrattare quella dichiarazione.

Ma Briganti Anna Maria, amica di Pierluca Narducci, e, quindi, del tutto insospettabile e credibile, ha dato indicazioni decisamente interessanti e confermative di quelle della vedova del medico. In data 24.09.04, riferendosi al momento nel quale venne a sapere che Francesco era scomparso, ha dichiarato: “Un giorno del mese di ottobre, tornata a casa verso le 17.30 circa, andai da mia madre per salutarla e venni a sapere da lei che non si trovava Francesco NARDUCCI; impressionata da questa notizia, chiesi a mia madre se l’avessero rapito e lei mi rispose di non saperlo. Ricordo che quando tornai a casa era ormai l’imbrunire. Mia madre conosceva la sig.ra Lisetta Valeri, madre di Francesco ed era solita recarsi ai “Filedoni” con delle sue amiche”.

E’ evidente che le cose non sono andate come hanno cercato di far credere i Narducci e che sia la strana telefonata del Prof. Ugo a casa del figlio, verso le 15, sia la presenza del suocero di Pierluca al Lago verso le 16, sia la presenza di quest’ultimo a San Feliciano verso le 17 testimoniano del fatto che Alberto Ceccarelli, suo figlio Andrea e Pierluca erano nel teatro del delitto prima ancora delle ore 17,20, orario a cui andrebbe fatta risalire la morte di Francesco, mentre del tutto ignara degli spostamenti del marito era, come sempre e come si è visto, la vedova.

E giova ricordare un particolare ancora più inquietante: come risulta dal dato relativo all’alba e al tramonto nel territorio di Perugia, l’8 ottobre il sole tramontava alle 17,41, tramontava cioè il disco solare scendeva sotto il livello dell’orizzonte, il che significa che, come minimo, sino alle 18,41, vi era il crepuscolo e, quindi, la luce naturale. (e San Feliciano di Magione:vds:http://wave.surfreport.it/almanacco_calendario_solare_calcolo_online_alba_tramonto….). Al riguardo va precisato che l’ora legale era terminata il 29 settembre precedente, come risulta dal prospetto “L’ora legale in Italia” ().

Il che significa che all’ora in cui Pierluca si sarebbe trovato a San Feliciano “alla ricerca del fratello”, non solo questi non era ancora morto, ma era giorno pieno…non è vero, quindi, che Pierluca si sia portato al lago nell’orario da lui indicato e quando ormai era notte…

I documenti sull’orario dell’alba e del tramonto e sull’ora legale sono stati prodotti all’udienza del 22.12.09.

E la stessa, gravissima contraddizione, riguarda anche l’orario del rinvenimento dell’imbarcazione del Narducci. Mentre, infatti, nel fonogramma che i Carabinieri di Magione hanno inviato a questa Procura e alla locale Compagnia in data 9.10.1985, si precisa che la barca era stata rinvenuta dal Mancinelli alle ore 00,30 del 9 ottobre, la vedova del medico, il 21.01.05, ha dichiarato: “Appena io arrivai nella darsena di Trovati verso mezzanotte, giunse un ometto a bordo di un gommone che esclamò che era stata ritrovata l’imbarcazione del Narducci e che, se volevamo, potevamo vederla. Ci dirigemmo a bordo del gommone, io e Pierluca, insieme al conducente, in direzione del castello dell’Isola Polvese, piegando leggermente a sinistra in direzione del castello stesso. Verso le ore una, una e mezzo di notte, Pierluca ritornò a San Feliciano con mio suocero che piangeva disperato e fu in quel momento che il dott. Ceccarelli lo abbracciò e disse:” ho fatto tutto come se fosse stato mio figlio !” “. Cos’ha fatto il Dr. Ceccarelli, tanto da abbracciare il padre dello scomparso e da pronunciare una frase così strana e, di più, inquietante ?

Ma è lo stesso “ritrovatore” della barca, Ugo Mancinelli, a precisare il 12.01.05, quasi stizzito di come fossero state travisate le sue dichiarazioni: “La barca fu trovata verso le ore 21.00 del giorno 8 ottobre 1985. Non vidi nei pressi altre imbarcazioni. Tornammo alla darsena di TROVATI verso le ore 21.20, trainando il natante….Sono assolutamente sicuro di quanto dichiarato.

L’evidentissima necessità, per i Narducci, di mentire praticamente su tutto, anche in relazione al pomeriggio e alla sera dell’8 ottobre è, pertanto, clamorosa ed oggettivamente inquietante.

Nel frattempo, prima di esporre i risultati della CT, si verificano, in area fiorentina, altri fatti che meritano di essere ricordati per la loro contestualità all’iniziativa di questa Procura di procedere alla riesumazione del cadavere del Narducci.

Danneggiamento dell’auto del Dr. Giuttari in data 13 giugno 02.

E’ il giorno prima del rilascio della delega da parte del Dr. Canessa al Dr. Giuttari per la morte del Narducci. In via Fratelli Rosselli 11 a Firenze ignoti forano verosimilmente con un punteruolo le quattro gomme dell’autovettura del Dr. Giuttari. Un altro episodio si sarebbe verificato il 22.12.03 sempre a Firenze quando ignoti avrebbero forato verosimilmente con un punteruolo la gomma anteriore destra dell’ autovettura del funzionario.

Rilascio della delega di indagini al Dr. Giuttari per la vicenda del caso Narducci. Il giorno successivo all’episodio che precede, il Dr. Canessa, pressato e stimolato dai clamorosi risultati della riesumazione del Narducci, avvenuta circa una settimana prima e consapevole di non potersene rimanere inerte, decide finalmente, d’accordo con il Dr. Nannucci, di accogliere, sia pur con evidente ritardo la richiesta di delega di indagini del Dr. Giuttari del tre dicembre precedente, solo per il punto e): auto di proprietà, disponibilità di immobili nel territorio fiorentino, acquisizione di una foto che si rivelerà determinante per i successivi sviluppi delle indagini.

Sfregi dei cadaveri nelle Cappelle del Commiato dell’Ospedale di Careggi. Su alcune salme che si trovavano nelle predette Cappelle si verificavano sfregi nell’estate del 2002, proprio in coincidenza con i primi sviluppi dell’autopsia sul cadavere del Narducci.

In occasione di tali episodi, il procuratore Nannucci, che aveva in pratica bloccato le indagini richieste dal Dr. Giuttari il 3.12.01, revocava la delega d’indagine sugli episodi di Careggi a quest’ultimo, all’epoca dirigente della Squadra Mobile, accusandolo in pratica di essere all’origine di una fuga di notizie sulle indagini stesse e delegittimandolo così pubblicamente.

L’accusa era pacificamente falsa (vds. dich. in data 30.05.06 della giornalista Franca Selvatici che inutilmente mise in guardia il Procuratore Nannucci e il sostituto Monferini contro l’errore di attribuire al Dirigente della Mobile le indiscrezioni) e il Dr. Giuttari presentava una denuncia – querela contro il Dr. Nannucci il 24 settembre 02 alla Procura di Genova che veniva, però, rimessa dopo una lettera chiarificatrice e di scuse dello stesso Dr. Nannucci. Ma la delega, ingiustamente revocata, non veniva più restituita al funzionario e qualsivoglia possibilità di approfondire ed acclarare i possibili collegamenti tra gli episodi delle Cappelle e quelli delle indagini collegate svaniva definitivamente. E, sia detto per inciso, le cappelle del Commiato non erano nuove nell’inchiesta sul “Mostro” essendo stato rinvenuto agli atti un appunto manoscritto dal funzionario della Sala Operativa della Questura di Firenze dell’epoca, dottor La Sorte, del seguente tenore: “Caro Sandro (Trattasi del dottor Sandro Federico, dirigente della Squadra Mobile dell’epoca, oggi Questore di Perugia), per quella faccenda di cui ti ho parlato delle Cappelle del Commiato mi è stato detto che l’unica persona in gradi di fornire qualche particolare sarebbe il superiore dei Padri Cappuccini che gestiscono le stesse Cappelle e che dovrebbero essere gli stessi di Trespiano. La data è confermata per sette o otto anni fa”. Il dottor La Sorte, interpellato in merito, riconosceva la propria grafia, ma non ricordava i dettagli dell’appunto, che però era riconducibile a una notizia relativa ai delitti del Mostro di Firenze.

Un riferimento agli episodi degli sfregi sulle salme delle Cappelle del Commiato, come noto, sembrava emergere anche nelle indagini genetiche del presente processo, nel contesto delle telefonate minatorie ricevute da Falso Dorotea, vittima di ripetute minacce da parte di membri della sedicente setta satanica di cui s’è parlato in precedenza. Si vedano i brani nn. N. 216: “sarai sfregiata anche con la polizia che non fa nulla…ricorda che quando uscirai da quella officina potrai essere sfregiata proprio come i morti di Firenze…e ricorda gli sfregi prima o poi li avrai bottana; n. 236: e ricorda ancor prima di essere uccisa e verrà questo tempo è possibile che qualche nostro adepto venga utilizzato a farti un bel sfregio come i morti di Firenze…sei brutta come una scimmia anche se verrai sfregiata verserai un po’ di sangue per Satana…forse qualcuno ti verrà a fare un piccolo sfregio e non ti servirà a strillare…che cosa fai se qualcuno ti viene e ti sfregia?; n. 306: la tua vagina sarà spaccata così come fcero i traditori di Pacciani e il grande professore Narducci finito nel lago strangolato”.

Pressoché contestualmente, in quel periodo critico attorno all’esumazione del Narducci, vi sono anche anonimi diretti contro il Dr. Giuttari come uno, rimasto piuttosto noto, in cui l’ignoto, ricordando che le rose sono tornate a rifiorire, ironizza sul “pover’uomo”, cioè sul Dr. Giuttari che non sa fare altro che “fumare il sigaro toscano”.

Ma non sono solo questi gli episodi comprovanti un’attività criminosa organizzata, diretta contro le indagini. Se ne parlerà più avanti.

Le indagini collegate. Gli esiti dell’accertamento autoptico.

Torniamo agli accertamenti del Prof. Giovanni Pierucci.

L’ampia, articolatissima, esauriente e contrastatissima CT veniva depositata il 20 dicembre 2002: in essa il CT dava atto della coincidenza tra il cadavere esaminato a Pavia con il Narducci; prospettava, viceversa, dubbi sulla coincidenza tra il cadavere ripescato il 13 ottobre 1985 e quello oggetto della CT (sia per problemi di compatibilità dimensionale e gli indumenti indossati dal “cadavere di Pavia”, sia per la presenza di capelli nel cadavere del Narducci, a fronte di una perdita segnalata in quello di Sant’Arcangelo, sia per lo stato di conservazione soprattutto viscerale, di fronte a quello che ci si sarebbe dovuto attendere da un cadavere in fase di florida putrefazione, come quello di Sant’Arcangelo); l’individuazione della data della morte risentiva, secondo il CT, delle incertezze circa la compatibilità tra i cadaveri, ma poteva coincidere con l’8 ottobre con “possibilità di una notevole escursione di anni, in più od in meno”; non erano state riscontrate tracce di annegamento, anche se il dato negativo, di per sé, non poteva escluderlo; era stata riscontrata meperidina in diversi organi – tessuti del cadavere ed era stata accertata la “frattura del corno superiore sinistro” della cartilagine tiroidea, che si riteneva avvenuta in vita e ciò rendeva “quanto meno probabile” che la causa di morte del Narducci risiedesse in una “asfissia meccanica violenta prodotta da costrizione del collo (manuale – strozzamento; ovvero mediante laccio – strangolamento), secondo una modalità omicidiaria”.

Nel corpo della motivazione, il Prof. Pierucci è stato ancora più drastico: “La menzionata lesione faringea esprime unicamente l’applicazione locale di una violenza meccanica” afferma con assoluta certezza il CT a p. 46.

E quando si sarebbe prodotta questa lesione, si è chiesto il CT ? Non nelle manovre di dissezione, da escludere, sia perché le operazioni sono state condotte in modo impeccabile, sia per le attestazioni, di tale comportamento, dai CT di tutte le parti e per le testimonianze di tutti i presenti (cfr. p. 47). Il Prof. Pierucci affronta, poi, l’ipotesi del verificarsi della frattura nelle altre fasi post – mortali, ritenendola impossibile, in considerazione del fatto che, come giustamente osservato dal Prof. Signorini, CT dei Narducci (che è in contraddizione tra premesse e conclusioni), si trattava di una “piccola lesione isolata, senza alcun segno di traumatismo nei settori contigui, posizionata in sede “protratta” etc.” (p. 47). Il CT di questo PM sottolinea, poi, come “l’impiccamento non sembra circostanzialmente proponibile in questo caso e aggiunge che nella costrizione mediante laccio (in particolare nello strangolamento), l’azione fratturativa si svolge con un meccanismo diverso da quello dello strozzamento, quello della retropulsione dello ioide e della tiroide contro i corpi vertebrali, mentre la tendenza delle due formazioni alla divergenza reciproca viene contrastata e impedita dalla membrana e dal legamento tiro-ioideo” (cfr. p. 48). Invece, “nelle varie forme di compressione attuata attraverso l’arto superiore, ma specialmente nello strozzamento, l’azione meccanica si svolge direttamente, staremmo a dire selettivamente, concentratamene in un’areola circoscritta: per questo la frattura riguarda un segmento così piccolo e protetto, perché esso è raggiunto nella sua (relativa) profondità da questa specie di sperone, la presa manuale” conclude in modo impeccabile il Prof. Pierucci (cfr. p. 47).

Il CT, avvalendosi della collaborazione della Prof.ssa Montagna, ha poi rilevato l’oppiaceo di sintesi “Meperidina” o “Petidina”, ad azione analgesico – narcotica, in estratti acquosi dello stomaco, della colecisti e della vescica, nell’encefalo e nei capelli (cfr. p. 25) e che, dagli accertamenti svolti, era risultato che il Narducci, negli ultimi mesi di vita, aveva fatto uso di meperidina, ripetutamente e con una certa continuità. L’elevata concentrazione della sostanza dell’encefalo dovrebbe, poi, essere valutata in correlazione con la perdita di peso dello stesso e il dato che ne deriverebbe, di 2 – 3 microgrammi/grammo, rifletterebbe concentrazioni ematiche superiori alle dosi terapeutiche massime indicate in 0,8 microgrammi/ml sino a rasentare la soglia di 5 microgrammi/ml, data come tossica, mentre il livello letale si porrebbe tra 8 e 20 microgrammi/ml (cfr. p. 28).

Si potrebbe ipotizzare, quindi, un livello “quasi” tossico, distante, comunque, dal livello “minimo” letale.

Il Prof. Giovanni Pierucci è solito usare un linguaggio estremamente cauto e prudente, da uomo di scienza e quando dice “8”, intende “10”, tanto per intendersi. Quei risultati, contrastati sino all’inverosimile dai Narducci e dai loro difensori, sono dirompenti, soprattutto perché aprono la porta (e non potevano fare altrimenti) all’ipotesi più straordinaria e incredibile che si potesse immaginare, confermata da tutti i successivi accertamenti e dal complesso delle risultanze delle indagini, sino alle conclusioni rassegnate dal Colonnello, oggi Generale di Brigata Luciano Garofano, del prestigioso RIS CC. di Parma, come si vedrà:

il cadavere ripescato il 13 ottobre 1985 e fotografato solo a distanza dal fotoreporter de “La Nazione” Crocchioni (vds. le dichiarazioni dello stesso in data 17.10.02 e 5.12.05) non apparteneva al Narducci ma ad altra persona, uno sconosciuto spacciato per il medico, in una colossale messinscena su cui si tornerà più avanti. Il Narducci è morto in circostanze di tempo e di luogo sconosciute, ma con gli effetti descritti dal Prof. Pierucci nel suo accertamento ex art. 360 c.p.p., mentre la CT precedente aveva riguardato lo sconosciuto del pontile.

Le dichiarazioni che i due “ricognitori” ufficiali Farroni e Morelli hanno reso nel corso delle indagini non lasciano margini di dubbio sul fatto che i due riconobbero quel cadavere per quello del Narducci perché si ricercava proprio lui, perché aveva i documenti del Narducci e perché nessuno ne metteva in dubbio l’identità.

Il Farroni, il 7.03.03 ha dichiarato: “il cadavere aveva un giacchetto di renna, una maglietta la coste blu, pantaloni tipo jeans e scarpe tipo Timberland.”Domanda: “Come era il cadavere?” Risposta: “ Il cadavere era in uno stato enormemente edematoso, soprattutto in corrispondenza dell’addome” – si dà atto che il prof. Farroni fa il gesto di allargare le braccia come per indicare l’abnorme dilatazione dell’ addome e lo stesso ripete il gesto in corrispondenza del volto…il volto era estremamente edematoso e cianotico….Il cadavere appariva gonfio e cianotico, i capelli erano appiccicati ma la capigliatura mi sembrava quella di sempre e non ricordo se avesse anelli, il cadavere era un pallone ed era sfigurato”Domanda:” lei ha riconosciuto quel cadavere in quello di Francesco Narducci ?” Risposta:” In una situazione di abnorme alterazione di tutti i parametri anatomici normali, è evidente che riconoscere un cadavere in quelle condizioni, non era come riconoscerlo in normali condizioni. Io sapevo che Francesco era scomparso cinque giorni prima nel lago, gli abiti erano quelli di Francesco e le circostanze mi hanno indotto a ritenere che quel corpo appartenesse a Francesco Narducci.” Per inciso, maglietta Lacoste, dice Farroni, come lo dice Pierluca Narducci, ma dalle foto si vede che il cadavere aveva una camicia, che risulta comunque dal verbale di ricognizione del 13 ottobre 1985.

Quanto al Morelli, lo stesso ha dichiarato il 23.02.05: “l’uomo ripescato aveva un volto edematoso – cianotico, cioè violaceo di un colore viola tendente al nero. Aveva il ventre gonfio tanto che si stavano strappando i bottoni della camicia. Le labbra erano cianotiche, edematose e gonfie. La fronte era molto spaziosa, il volto era molto gonfio come una palla e sembrava che avesse pochi capelli. Era la prima volta che vedevo un cadavere di un annegato e non mi sono posto il problema che potesse non essere Francesco NARDUCCI perchè veniva dato per scontato che fosse il cadavere dello stesso. La differenza di aspetto che esisteva tra quel cadavere e Francesco NARDUCCI in vita io l’ho attribuito alla permanenza in acqua che pensavo potesse produrre questi risultati data la mia inesperienza su cadaveri annegati, tanto più che quel cadavere aveva i documenti di Francesco e gli abiti dello stesso. Inoltre intorno a me vi era il vociare che quello era il cadavere di FRANCESCO. “.

E’ difficile rinvenire precedenti accertati, per un fatto così clamoroso. Li ho citati nella richiesta di archiviazione del procedimento 1845 e li richiamo soltanto.

Prima di proseguire, occorre puntualizzare bene ciò che si sapesse del cadavere del Narducci nel momento in cui sono iniziate le indagini nel procedimento n. 17869 e si è visto cosa valgono gli accertamenti dell’epoca e, quindi, l’ipotesi di “annegamento da probabile episodio sincopale”.

Cosa si sapeva, quindi, del cadavere del Narducci all’inizio delle indagini ? Lo ha descritto il Prof. Giovanni Pierucci nella sua CT ex art. 359 c.p.p., la prima, quella che precede quella effettuata ex art. 360 c.p.p., nel pieno contraddittorio delle parti. Il cadavere, rinvenuto alle 7,20 di domenica 13 ottobre 1985 da due pescatori (secondo il fonogramma n. 77/15 – 1 del 13.10.1985, della Stazione Carabinieri di Magione), era stato ispezionato dalla D.ssa Donatella Seppoloni, definita “ufficiale sanitario”, attivata durante il turno di reperibilità che, dopo dell’ispezione esterna, aveva appurato che il decesso era consequenziale ad “asfissia da annegamento da probabile episodio sincopale”.

La diagnosi è, e lo è per tabulas direbbero gli avvocati, letteralmente fantasiosa, priva, com’è, del benché minimo riscontro obbiettivo.

Quindi, annegamento da “probabile” sincope. Qui occorre fermarsi un attimo perché un esame più approfondito di questa “diagnosi” ne evidenzia l’assoluta inconsistenza.

Posto che nella diagnosi stessa, l’annegamento è indicato come la causa di morte del Narducci, mentre il probabile episodio sincopale è il mezzo che l’ha prodotta, occorrerà approfondire i due concetti, cominciando dal primo.

Cos’è, allora, l’annegamento ? E’ “uno stato di asfissia acuta di tipo occlusivo, che provoca una ridotta ossigenazione del sangue fino alla anossia che a livello cerebrale è la causa dell’arresto respiratorio” (p. 1 del file contenuto in ).

Il fenomeno può derivare da due modalità diverse, una definita “a polmone bagnato”, l’altra definita da “polmone asciutto”.

Nel primo caso, la persona in difficoltà annaspa per restare a galla, le entra acqua in bocca che la costringe a trattenere il respiro, ma solo per pochi attimi, perché poi la persona è costretta a respirare e ingerisce invece acqua con fasi di tosse, vomito e ancora ingestione d’acqua, finché la persona perde coscienza e l’acqua arriva ai polmoni. Qui c’è un primitivo arresto respiratorio cui segue l’arresto cardiaco e la vittima appare subito “cianotica”

Nell’altro caso, invece, la persona, trattenendo il respiro, perde coscienza, per sindrome ipossica e non riprende più a respirare e muore per asfissia. Qui l’arresto cardiaco precede quello respiratorio e la vittima appare pallida.

In altri casi, la vittima perde inaspettatamente coscienza quando è in acqua a causa di malori (sincope ipossica da apnea, sincope vagale, da ansia o emozione, da idrocuzione, per contatto con l’acqua fredda) o di traumi (si veda l’articolo “Le emergenze in acqua”, p. 1, in www.seaguardians. It/emergacqua.htm).

Nella fattispecie, poi, trattandosi di (ipotetico) annegamento in acqua lacustre, essa avrebbe determinato la diluizione del sangue, attraverso il passaggio dagli alveoli polmonari al sangue e, quindi, l’emolisi e la fibrillazione del cuore.

Passando alla “sincope”, si tratta di una improvvisa e brusca perdita di coscienza, che può essere scatenata da fattori diversi, come sopra descritti, di tipo traumatico, di tipo termico (per es. l’ingresso nell’acqua fredda), di tipo allergico, di tipo digestivo.

Come si vede, si tratta di situazioni diversificate, caratterizzate quasi tutte dal fatto che, in genere, l’episodio sincopale coglie il soggetto in acqua, mentre, nella fattispecie, prendendo per buona, per assurdo, la versione ufficiale “1985”, il soggetto avrebbe sofferto dell’episodio sincopale, stando in barca e sarebbe conseguentemente annegato vestito, perché così è stato rinvenuto dal pescatore Baiocco il cadavere all’epoca riconosciuto come appartenente al Narducci.

E’ opportuno sottolineare che il Narducci non solo era un bravissimo nuotatore, non solo non aveva mai avuto problemi in acqua, ma non soffriva neppure di disturbi che possono causare episodi sincopali o, comunque, un’improvvisa perdita di coscienza. Lo ha attestato, tra gli altri, sin dall’8.02.02, la moglie Francesca Spagnoli, quando, presentatasi spontaneamente, per la prima volta, nell’originario procedimento n. 17869/01/44, ha affermato, tra l’altro: “Ricordo che Francesco era un bravissimo nuotatore e praticava lo sci d’acqua ed il windsurf.

Domanda: “ ricorda se suo marito ha mai avuto problemi in acqua?”

Risposta: non li ha mai avuti.”

E invece, secondo l’”ipotesi” più riduttiva e “negazionistica” della morte del Narducci, “consacrata” negli scarni, diciamo così eufemisticamente, “accertamenti” iniziali, ipotesi solo recentemente abbandonata dai familiari, ma difesa tenacemente, rabbiosamente e in maniera decisamente sospetta, da Mario Spezi e Francesco Calamandrei e rispettive difese, nel connesso procedimento n. 1845/08/21, il Narducci avrebbe avuto una sincope, trovandosi nella sua imbarcazione e, invece di accasciarsi sui sedili della stessa, sarebbe caduto in un tratto lacustre alto meno di due metri, con acqua limpida e in una giornata assolata e priva di vento. In sede di incidente probatorio, il pescatore Dolciami Luigi, all’udienza del 18.11.05, rispondendo alle domande del Pubblico Ministero come fosse il tempo quel giorno (nelle ore in cui si trovò al lago, cioè dalle 15 alle 17 circa, vds. verbale alle pp. 129 e 137), se vi fosse vento e come fosse il lago, ha detto, riferendosi al tempo:chiaro, bello, pulito”, “sì, sì. No, no, no, non c’era vento”, riferendosi al vento e : “come il lago? Calmo, calmo… calmo proprio una tavola era(vds. p. 134).

Anche l’altro pescatore Ticchioni Enzo che era intento a sistemare le reti (“tofoni”) nella stessa area (tra il castello e la punta del Maciarone), tra le 14 e il tramonto, cioè in un arco più ampio di quello del Dolciami, descrive il lago come “molto calmo” e sottolinea di non ricordare assolutamente la presenza di vento, perché, se vi fosse stato, non sarebbe stato possibile sistemare i “tofoni” (vds. dich. in data 15.10.2004, nel procedimento n. 8970/02/21). Il Ticchioni, nella stessa occasione, ha precisato che il tratto di lago in questione, all’epoca sarà stato profondo circa un metro.

Che quel pomeriggio di ottobre il lago fosse assolutamente liscio e con totale carenza di vento, lo ha detto anche Belardoni Agata in data 7.10.06: “siamo ritornati alla darsena intorno alle ore 17,00. Era ancora giorno pieno e il sole stava leggermente calando. A quanto ricordo, il sole stava calando ma io non ero in grado di vedere, dal punto dove mi trovavo, la linea dell’orizzonte. Era comunque ancora giorno. Il lago era assolutamente tranquillo e non c’era un alito di vento. Il lago era, quindi, assolutamente liscio.

Anche nel periodo successivo, della tarda serata, le condizioni climatiche permangono inalterate: assoluta calma di vento e lago immobile. Ha detto, infatti, Ugo Mancinelli, che ritrovò l’imbarcazione del Narducci prima delle 22 dell’8 ottobre (e non alle ore 0,30 del 9 ottobre, come riportato nel rapporto giudiziario del 19 ottobre 1985): “Ricordo che quella sera c’era un tempo splendido e non spirava un filo di vento. Il lago era liscio come l’olio… Quello che ricordo con assoluta certezza è che ritornai nella darsena di Trovati verso le ore 22,00 circa.”(vds., tra l’altro, le dichiarazioni di Ticchioni Enzo e Dolciami Luigi). L’imbarcazione viene rinvenuta con la leva del cambio in folle e il motore spento (vds. dich. di Mancinelli Ugo, del 9.10.1985, allegate al rapporto giudiziario dei Carabinieri di Magione del 19.10.1095).

A questo punto, va portata l’attenzione sull’imbarcazione del Narducci, identificata come PR 3304, che era a quattro posti, sistemati “schiena contro schiena”, con i due posti anteriori che guardavano davanti e quelli anteriori che erano volti verso la parte posteriore dello scafo dove vi era il motore “Evinrude” (vds. foto 21, P1, 23 A – 24). I posti sono ubicati piuttosto in basso nello scafo e la parte superiore dei sedili è praticamente all’altezza del bordo dell’imbarcazione: chi si fosse seduto su uno di quei sedili si trovava assolutamente al sicuro, ben all’interno dello scafo, senza possibilità alcuna che una momentanea perdita di coscienza ne determinasse la caduta in acqua. Come s’è detto, l’imbarcazione è stata trovata con il cambio in posizione di “folle” e il motore spento.

Non solo, quindi, manca qualsivoglia elemento a supporto del preteso “malore” e del conseguente annegamento, ma tutto quello che si è detto, vale a dire il fatto che il Narducci fosse un provetto nuotatore, che non avesse mai avuto problemi in acqua, che non soffrisse di patologie tali da determinare perdita di coscienza, il fatto che il Narducci avesse lasciato la leva in folle e avesse regolarmente spento il motore, con un comportamento assolutamente normale e controllato, il fatto che i sedili dell’imbarcazione fossero ben sistemati all’interno dell’abitacolo e che, quindi, un eventuale malore comportasse solo un accasciamento della persona sul sedile e non il suo precipitare in acqua e il fatto che le condizioni climatiche fossero ottimali, con assoluta carenza di vento e superficie calmissima del lago, profondo, per di più, dal metro ai due metri, tutto quello che si è illustrato, si ripete, contrasta radicalmente con l’ipotesi descritta dalla giovane e inesperta D.ssa Seppoloni. Alla stessa, infatti, suo malgrado, come s’è detto, furono demandati all’istante compiti per cui era totalmente impreparata, in luogo dell’esperto medico legale di turno, la Prof.ssa Francesca Barone, che attese invano di essere chiamata quel giorno (vds. dich. della stessa Prof. ssa Barone in data 22.10.01, nel proc. n. 17869/01/44 e, come s’è visto, quelle del titolare della cattedra di Medicina Legale dell’Università di Perugia, Prof. Franco Fabroni, dell’11.08.04, nel proc. n. 8970/02/21, oltre a quelle del prof. Norelli).

Ma non basta ancora. Il Narducci era impegnato quel giorno nella sua attività professionale al Policlinico di Perugia. Che fosse impegnato in una sessione d’esami o nella concreta attività medica del Reparto o in entrambe, poco importa per quello che si dirà.

Che il Narducci, impegnato la mattina dell’8 ottobre in una sessione di esami, si fosse improvvisamente dovuto assentare dopo aver ricevuto una telefonata, lo ha detto e ripetuto il Prof. Mario Bellucci, riportando quello che ebbe a riferirgli il Prof. Antonio Morelli (vds. in particolare il verbale in data 3.10.02, nel procedimento n. 17869/01/44).

In effetti, il Narducci partecipava in quel periodo a commissioni d’esami: lo ha confermato il 4.10.02 il medico Giuseppe Bacci, laureatosi con Francesco Narducci nel 1984 con una tesi sulla sindrome del colon irritabile, che ha detto che tutti i mesi, salvo agosto, dal primo al 10, vi erano sessioni d’esami di laurea e quel giorno lui non vide il Narducci, ciò che accadeva quando lo stesso era impegnato in sessioni d’esami.

Il Bacci ha descritto con precisione le aule dove si svolgevano tali esami e la loro vicinanza con un telefono a cui tutti potevano accedere.

Il Prof. Antonio Morelli non ha ritenuto di confermare quanto confidato al Prof. Bellucci, circa la telefonata ricevuta dal Narducci durante la sessione d’esami.

Ha però parlato di un fatto sopraggiunto in tarda mattinata e cioè la difficoltà del Narducci nell’effettuare un esame gastroscopico o coloscopico e un’ulteriore telefonata per il Narducci da parte di persona residente a Firenze. Ha detto, infatti il 27.05.05: “Per quanto riguarda la telefonata ricevuta da Francesco NARDUCCI, questa è da collocare intorno alle ore 13 – 13.30 circa, pervenuta mentre Francesco stava effettuando un esame ad un paziente. Aggiungo che questa persona proveniva probabilmente da Firenze o era un congiunto di qualcuno che risiedeva a Firenze; tutto questo aspetto me lo ha riferito Giuseppe PIFEROTTI, nostro infermiere di vecchia data.”

A completare il quadro di quella mattinata vi sono anche le dichiarazioni del Dr. Giovanni Battista Pioda, del 4.05.02 (proc. 17869), allora specializzando in medicina interna, che lo incrociò quel mattino, verso le 11,30 – 12, mentre percorreva il corridoio a piano terra che portava ai laboratori o all’uscita e che non rispose al saluto dello specializzando e “appariva pensieroso. “.

In ogni caso, quello che è certo è che, nel corso della mattinata dell’8 ottobre, il Narducci decide di modificare radicalmente la propria giornata e di abbandonare il lavoro che sarebbe proseguito nel pomeriggio, recandosi al Lago Trasimeno e allontanandosi velocemente, in barca, verso la punta del Maciarone.

Ma quello che è ancora più strano ed incomprensibile è non solo che di tale sua decisione egli non informi minimamente la moglie, una volta tornato insolitamente a casa per un veloce pranzo, ma che abbia mentito apertamente alla stessa, dicendole che sarebbe tornato al lavoro in Ospedale e che sarebbe tornato presto a casa e nascondendole, quindi, del tutto il suo proposito di recarsi al Lago (vds. dich. della moglie Francesca Spagnoli, del 19.02.02, nel proc. 17869).

Perché negare alla moglie la sua intenzione di portarsi al lago e di prendere la barca quel giorno, magari per rilassarsi o concentrarsi per convegni a cui avrebbe partecipato come relatore ?

E’ evidente, quindi, che la caduta accidentale in acqua, in seguito a malore, secondo la vulgata ufficiale “1985”, non solo è priva di qualsivoglia riscontro ma è contrastata e smentita, in radice, da tutte le considerazioni che precedono.

La causa della morte, cioè, l’”annegamento” è poi impossibile precisarla in assenza di accertamento autoptico ed esami specialistici correlati.

Abbiamo visto come il Prof. Giovanni Pierucci, nella sua prima CT ex art. 359 c.p.p., valutasse gli accertamenti svolti all’epoca: un disastro, un autentico disastro, a cui va aggiunto, l’ulteriore, inescusabile particolare dell’assenza di foto ufficiali del cadavere.

E’ inutile aggiungere altro. I fatti si commentano da soli. Quello che fu fatto il 13 ottobre 1985 sul pontile di Sant’Arcangelo è qualcosa di oggettivamente scandaloso e non ci si può non meravigliare che vi sia ancora qualcuno che difenda ciò che è indifendibile.

E non è un caso che l’allora Procuratore Dr. Niccolò Restivo, in data 13.10.2005, abbia dichiarato: “si parlava di fatto accidentale e che non risultavano ipotesi di reato. Solo successivamente, ma non ricordo con precisione quando, qualcuno cominciò ad avanzare l’ipotesi del suicidio. In relazione a questa, non veniva mai fornita spiegazione sulle cause e la cosa mi colpì molto…“.

Strano, però, perché il Dr. Speroni, all’epoca Dirigente della Mobile, ci ha raccontato un’altra cosa quando è stato sentito la prima volta, cioè il 5.04.02. Diamo la parola al Dr. Speroni: “Il Dott. Centrone mi disse che tanto si trattava di suicidio come gli avevano detto i familiari e che quindi poteva essere riconsegnato agli stessi anche perché si trattava di una famiglia conosciuta. “.

E il Dr. Centrone, sentito il 10.02.03, non chiarisce affatto cosa gli fu detto ma ricorda di averne parlato con il Procuratore Restivo: “Ricordo che parlai con il capo dell’Ufficio Nicola Restivo, che informai dell’accaduto e al quale riferii che non ravvisavo la necessita’ di un esame autoptico. Io mi limitai ad impartire le direttive che si impartiscono solitamente in questi casi, e comunque mi sono regolato come sempre in situazioni del genere, specialmente per quanto riguarda i cadaveri rinvenuti nel Lago. “.

Allora, come la mettiamo ? Ha ragione l’allora Procuratore o il Dirigente della Mobile che riferisce quanto ebbe a dirgli il sostituto di turno dell’epoca, secondo cui i familiari gli dissero che si trattava di suicidio ? E suicidio perché ?

Sul punto, va richiamato quato dichiarato da Francesca Spagnoli il 22.01.2005: “Confermo anche che nel marzo 2002 all’incirca, dopo essere stata chiamata da Alfredo Brizioli, che invano mi si era proposto come difensore, chiamandomi al telefono dal nr. 075/5725219, incontratami in città, nel marzo 2002 all’incirca, mi disse testualmente: “ti sembra che una persona che vuol suicidarsi chiami un amico per fare un giro in moto lo stesso giorno?”. L’amico era, come vedremo oltre, il Prof. Aversa.

Ma come ? Alfredo Brizioli non è sempre stato il difensore accanito della vulgata “ufficiale” 1985 che vuole il Narducci morto per disgrazia o, in subordine, per suicidio ? A Francesca, in privato, diceva quindi cose ben diverse.

Sarebbe vano insistere. E’ un quadro, quello “ufficiale” dell’epoca, indifendibile.

Torniamo a quanto “accertato”, si fa per dire, dalla D.ssa Seppoloni: ““asfissia da annegamento da probabile episodio sincopale”. La causa ufficiale sarebbe questa. Ma, accanto e contestualmente a questa, circolava, come s’è visto e circola un’altra ipotesi, quella suicidiaria, questa sfornita persino di quel limitatissimo “riscontro” che poteva avere all’epoca la diagnosi della giovane dottoressa chiamata sul pontile.

Oggi i Narducci sono propensi ad accettare l’ipotesi suicidiaria, senza, peraltro, poter invocare altro che una specie di loro “certezza morale” subordinata (all’evento accidentale), ma guardandosi bene dal fornire una qualche spiegazione di un gesto del genere. Quello che ha sorpreso il Dr. Restivo all’epoca non può non sorprendere, a maggior ragione, oggi. In ogni caso, mentre l’ipotesi annegamento da sincope è fondata su una certificazione medica che è tamquam non esset, quella del suicidio non si basa neppure su questa, perché, al di là di tutto, è l’annegamento che non è provato e, trattandosi di un’assoluta illazione, non può trovare spazio alcuno in ambito giudiziario, anche perché, solo per fare questo esempio, bisognerebbe spiegare l’invito, rivolto dal Narducci proprio in quella tarda mattinata dell’8 ottobre, al Prof. Franco Aversa, di accompagnarlo al lago: si vedano le dich. dell’Aversa in data 29.05.02, in cui il medico riporta con queste parole l’invito: “Francesco era uscito dall’Istituto e quando mi vide iniziammo a parlare, poi mi chiese se volessi accompagnarlo al lago a fare un giro in moto vista la bella giornata…non avevo can Francesco un rapporto tale che giustificasse un invito del genere. Posso dire con certezza che tutto si poteva pensare quel giorno tranne che Francesco potesse suicidarsi. Questo lo affermo perché, ripeto, non notai alcun atteggiamento che potesse lasciare immaginare ad uno sconvolgimento tale che giustificasse minimamente quel gesto “.

La verità è che Francesco doveva recarsi al Lago ma voleva essere in compagnia di qualcuno che conoscesse.

L’assoluta arbitrarietà degli accertamenti è riconosciuta dalla stessa D.ssa Seppoloni che, assunta a informazioni il 4.03.02, ha negato, tra l’altro, come s’è già detto in precedenza, di aver indicato l’orario della morte in 110 ore dal rinvenimento. Sul verbale di riconoscimento e descrizione di cadavere ed ha confessato di non sapersi spiegare una tale indicazione”. La stessa ha aggiunto, nello stesso verbale del 4.03.02: “non riesco a capire come mai, nel verbale di visita esterna, abbia indicato “asfissia da annegamento” come mi chiedevano il Morelli ed il Farroni, perché non era possibile una diagnosi precisa in tal senso senza un esame autoptico.”

E ancora, sempre nello stesso verbale del 4.03.02: “ribadisco che non potevo dire asfissia da annegamento ma asfissia da sospetto annegamento. Mi trovo molto imbarazzata perché non riesco a capire perché ho scritto certe cose. “

E il 7.03.02, si è già parlato di quel verbale ma varrà la pena tornarci di nuovo perché è impressionante. La Dottoressa Seppoloni, si diceva, dopo aver visionato il processo verbale di ricognizione cadaverica ed aver avuto la conferma che nel verbale era apposta proprio quella indicazione, ha aggiunto, soffermandosi sulle condizioni in cui si svolse quella specie di accertamento: “Riconosco la mia firma. A questo punto comincio a dubitare dei miei ricordi perché nella mia memoria non avevo affatto il riferimento alle 110 ore perché non potevo darlo sulla base delle mie competenze che si fermavano all’accertamento della morte non essendo io medico legale. Debbo ripetere che sono stata pressata di continuo sul molo dall’uomo che indossava una divisa di colore scuro e, durante la stesura del processo verbale all’interno dei locali della cooperativa dal prof. Morelli e dal prof. Farroni che avevano riconosciuto il cadavere. In quella circostanza ci fu anche uno scambio di opinioni abbastanza animato tra me (che fino all’anno precedente ero stata volontaria nella clinica medica ove il professore Morelli era il responsabile del reparto di gastroenterologia e che tenne un corso a cui partecipai) e il prof. Morelli ed il prof. Farroni che in più occasioni cercavano di convincermi che il Narducci era morto per annegamento senza indicarmi la data della morte. Io insistevo cercando di sottolineare il fatto che non poteva essere messa una diagnosi di certezza sulla causa della morte ma solo di verosimiglianza o di sospetto e che era necessario un esame autoptico. Questo lo dissi come se si trattasse di un fatto scontato perché in questi casi si fa sempre l’esame autoptico. Non ricordo se questo lo dissi all’interno dei locali della cooperativa o sul molo parlando con il dottor Trippetti. Quello che è certo e che vi era una pressione continua a che si facesse in fretta al fine di restituire il corpo subito alla famiglia. “.

Ogni commento è superfluo: è la stessa “autrice” di quella sorta di pseudo ispezione cadaverica a sconfessare clamorosamente tutto il suo operato. Cosa si vuole di più ?

E almeno fosse emerso qualche riscontro all’annegamento nell’accertamento autoptico del 2002 ! E invece, nulla di nulla. “Non si è osservata alcuna forma riferibile a diatomee né a plancton cristallino” è la drastica conclusione del Prof. Pierucci nella CT ex art. 360 c.p.p. (vds. p. 27) che sottolinea, quindi, che non è suffragata l’ipotesi di morte per annegamento (vds. la stessa CT a p. 38).

Nella prima CT, il Prof. Pierucci, prima dell’accertamento autoptico e in relazione agli “accertamenti” del 1985, conclude, quindi, che sulle cause di morte e sui mezzi che l’hanno prodotta “non è consentita alcuna affermazione concreta” (vds. prima CT a p. 23).

Del cadavere ripescato a Sant’Arcangelo, delle cause della sua morte e dei mezzi che l’hanno prodotta e della stessa ora della morte, quindi, non si può dire alcunché e quegli accertamenti vanno tolti di mezzo e considerati inesistenti, tamquam non essent.

Il cadavere viene subito restituito ai familiari, previo rilascio, verosimilmente, di un nulla osta solo verbale. Il nulla osta scritto al seppellimento interviene, infatti, il giorno 16.10.1985, tre giorni dopo che il cadavere è stato restituito ai familiari: anche nel nulla osta della Procura, la data originaria “9/10/1985” è stata sbarrata e cancellata, come in uno dei due certificati di accertamento morte emessi sempre dall’USL del Trasimeno che riguardano la stessa persona, cioè Francesco Narducci: quello non trasmesso alla Procura, n. 786 (3 – 11 – B), dove risulta cancellata con pennarello bianco anche la dicitura: “ spiaggia di San Feliciano, sostituita con “fraz. Sant’Arcangelo” e che reca il timbro del Comune di Magione (PG) ed è a firma della D.ssa Donatella Seppoloni.

Vi è una nota dello stesso 16.10.1985 in cui la D.ssa Seppoloni riferisce alla Stazione CC. di Magione l’esito dei suoi “accertamenti”: precisa che la morte è dovuta “verosimilmente” ad “asfissia da annegamento” (scompare quindi il riferimento alla “sincope”), ne descrive, in maniera assolutamente impropria, i segni rilevati, confondendo, tra l’altro, lo stato “enfisematoso” con quello “edematoso”. Nella nota, la D.ssa riferisce addirittura di avere proceduto “dietro richiesta del Pretore presente sul luogo”, fatto questo in totale contrasto con quanto precisato nel verbale di ricognizione cadaverica in cui la stessa dà atto di avere proceduto per “delega orale del Sig. Procuratore della Repubblica dott. Centrone” ed essendo evidente che il Pretore non fu chiamato in quell’occasione (vds. dich. del 13.06.02 del Prof. Roberto Prelati, all’epoca Vice Pretore di Castiglione del Lago). Forse, la smarrita dottoressa ha detto “pretore”, ma voleva dire “questore”: le quattro ultime lettere, infatti, sono eguali…più o meno e poco importa che il questore fosse un intruso in quelle operazioni. Vista la situazione, non si può andare troppo per il sottile…..

Sempre rimanendo ai due certificati, l’altro, quello inviato in Procura, che reca il n. 788, è, invece, a firma della D.ssa Luciana Mencuccini e non riporta l’indicazione “frazione Sant’Arcangelo”. Non ve ne è bisogno perché questa non è sovrascritta su un’indicazione cancellata.

E la D.ssa Mencuccini, assunta a informazioni il 13.03.02, dopo aver precisato che, per redigere i certificati di accertamento morte, vi doveva essere il nulla osta della Procura e doveva essere esaminato il cadavere e dopo avere riconosciuto di avere compilato e sottoscritto uno dei due certificati, quello n. 788, ha ammesso che non poteva avere esaminato il nulla osta della Procura il 14 ottobre perché lo stesso è stato rilasciato il 16, che non aveva mai visto né prima né dopo il cadavere del Narducci e che non riusciva a spiegarsi come mai non fosse stata riportata nel certificato l’ora della morte indicata nel processo verbale di ricognizione cadaverica.

L’indicazione di 110 ore prima del rinvenimento, avvenuto ufficialmente alle 7,20 del 13 ottobre, avrebbe fatto coincidere, come s’è detto, la morte del Narducci con un periodo non di molto ma neppure di poco successivo all’allontanamento a bordo dell’imbarcazione, avvenuto poco dopo le 15 (vds. le dich. di Belardoni Giuliano del 6.10.06), mentre la moglie di Giuseppe Trovati, titolare della darsena ove era ricoverata l’imbarcazione del Narducci, sposta di circa una mezz’ora l’orario di partenza del Narducci, verso le 15,30.

Non basta. Manca una sia pure approssimativa descrizione del cadavere ripescato. Si dice soltanto che erano presenti: Capo: “Macchie ipostatiche e segni di macerazione della cute e delle mucose”. Tronco: “ Non presentava lesioni”. Arti superiori: “ Segni di macerazione della cute”. Arti inferiori: “ Non sono presenti lesioni” (vds. prima CT Pierucci a p. 4).

Così sono descritti gli indumenti: “ un pantalone jeans con giubbotto in pelle marrone, camicia e mocassine marrone” (vds. ibidem).

Il fratello Pierluca si è discostato, nella sua descrizione, dal dato obbiettivo della camicia indossata dal cadavere. Il 19.04.02 ha detto: “Mio fratello aveva una Lacoste blu, un giubbotto di camoscio ed un paio di jeans. “.

Come s’è detto, le autorità non scattarono foto del cadavere, che invece fu (provvidenzialmente) fotografato da giornalisti presenti, in particolare dal fotoreporter de “La Nazione” Pietro Crocchioni che, sentito in particolare il 5.12.05, ha dichiarato: “Io ricordo che fui avvertito dal cronista di nera Elio Clero BERTOLDI che mi chiamò a casa. Mi disse che era stato ritrovato il corpo del Narducci e che dovevamo portarci a Sant’Arcangelo. Ricordo che quando mi chiamò era mattina presto… Rammento solo che giungemmo sul pontile meno di un’ora dopo. Giunti sul posto, trovammo poche persone e ci venne impedito di avvicinarci al pontile, dove vi erano alcune persone in attesa dell’arrivo della motovedetta dei Carabinieri con a bordo il corpo. Da lì ho scattato le foto che ho poi consegnato ai Carabinieri del Comando Provinciale. Ho visto da lontano il cadavere che veniva issato sul pontile e che è stato da me fotografato. Poiché me lo chiede, non ricordo come fosse vestito, anche per la distanza. Ribadisco che, quando arrivammo, il cadavere non era ancora stato portato sul pontile ed era prima mattina. A quanto ricordo, il corpo è stato tenuto a lungo nella motovedetta, all’incirca trenta minuti…”.

Quanto riferito dal Crocchioni va “incrociato” con quanto riferito il 30.05.05 dall’allora Carabiniere Meli Daniele che si trovava a bordo della pilotina n. 516 dei Carabinieri di Castiglione del Lago in perlustrazione insieme all’allora Appuntato Di Goro Bruno e che ha precisato: “Quella mattina io e l’Appuntato DI GORO eravamo in perlustrazione tra lo specchio d’acqua l’Isola Polvese e Sant’Arcangelo. Potevano essere le 08,00, minuto più minuto meno, quando risposi ad una chiamata della Centrale Operativa CC. di Città della Pieve che ci informò di portarci nei pressi di Sant’Arcangelo in quanto vi era un pescatore che ci stava aspettando nella zona antistante il molo di Sant’Arcangelo. Da dove eravamo fino a quando raggiungemmo questi due pescatori, ci abbiamo messo meno di cinque minuti in quanto eravamo già nei pressi di quello specchio d’acqua… Come ho detto ci mettemmo pochissimo, ripeto tre, quattro, cinque minuti al massimo, ad arrivare sul punto dove c’era il cadavere. Atteso il fatto che allora i cellulari ancora non c’erano, io chiamai la Centrale per avvisare, via radio, che avevamo rinvenuto un cadavere. Senza perdere tempo, almeno così ricordo, con l’aiuto dei due pescatori, issammo il cadavere sulla nostra pilotina e, successivamente, raggiungemmo il pontile più vicino che era quello di Sant’Arcangelo. Anche in questo caso ci abbiamo messo circa cinque minuti, non di più. “

Il cadavere fu issato, quindi, sulla pilotina poco dopo le 8 del mattino e, completata l’operazione, fu portato in cinque minuti circa al pontile di Sant’Arcangelo, grosso modo verso le 8,15 – 8,20.

Mentre il cadavere veniva lasciato all’interno della pilotina sino, grosso modo, alle 8,45 – 8,50, giunsero il giornalista Bertoldi e il fotoreporter Crocchioni. Il primo dei due, informato da qualcuno (che il giornalista non ha potuto o voluto indicare) del rinvenimento del cadavere, aveva allertato il secondo la mattina presto e, in meno di un’ora, raggiunsero il pontile, grosso modo verso le 8,40 – 8,45. Considerato che il Crocchioni fu svegliato, come s’è detto, mentre si trovava a letto, si può verosimilmente fissare la telefonata del Bertoldi alle 7,50 circa e quest’ultimo, a sua volta, è stato informato del rinvenimento del cadavere ancora prima, verosimilmente verso le 7,45.

Eppure, a quell’ora, della scoperta del corpo erano a conoscenza solo i pescatori in attesa dell’arrivo dei Carabinieri e chi chiamò la Centrale Operativa della Compagnia CC. di Città della Pieve che solo alle 8, minuto più minuto meno, allertò a sua volta la pilotina.

Anche nel caso dei giornalisti e fotoreporter, specie di quelli de “La Nazione”, quindi, come si vedrà, in modo ancora più clamoroso per le Autorità presenti sul posto e per gli elicotteri dei VV.F. di Arezzo, l’allarme scattò prima ancora che il cadavere venisse avvistato, come se tutto fosse stato concordato.

E a nessun giornalista, in possesso di notizie tanto clamorose e di fotografie così clamorose sarebbe venuto in mente, negli anni avvenire, di fare uno scoop….

Tutto rimase silente per circa sedici anni, durante i quali crebbe a dismisura, sino a divenire una sorta di conclamata “leggenda metropolitana”, solo la fama del Narducci, “suicidatosi” perché scoperto come “Mostro di Firenze”: questo era quello che, con un crescendo impressionante, dalla scomparsa in poi, si cominciò a dire in città, nell’area del Lago e a Foligno, luogo dove il Prof. Ugo Narducci dirigeva il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale.

Poi, iniziate le indagini secondo le modalità sopra illustrate, quel cadavere di Sant’Arcangelo è stato descritto con dovizia di particolari, tutti costanti.

Ugo Baiocco, il pescatore che lo avvistò per primo, così descrive l’avvistamento, nel primo verbale del 24.10.01:“vidi il corpo di un uomo sfigurato, a pancia all’aria, vestito con cravatta, camicia e mi pare un giacchetto, calzoni e scarpe, con il volto tumefatto, nero e gonfio, e non si vedevano nemmeno gli occhi.”

L’allora Carabiniere Meli, che issò il cadavere sulla pilotina, così lo descrive il 26.10.01:“Ricordo che il cadavere aveva un braccio piegato davanti a se o forse tutte e due le braccia piegate davanti a sè ed era rigido. Aveva una camicia a quadri, mi pare avesse anche la cravatta, un giacchetto forse di renna marrone e pantaloni. Il cadavere era gonfio e gli occhi erano tanto gonfi da essere chiusi. Aveva anche liquido biancastro che usciva dalla bocca. Il lago in quel punto era piuttosto profondo e non vi erano alghe che affiorassero.

Quello che mi impressionò era però soprattutto la presenza di numerose escoriazioni sulla testa e sul volto. Il cadavere era con il ventre rivolto verso l’acqua e si notavano varie escoriazioni nella parte a1ta del capo tanto che i capelli era stati strappati via; sul volto aveva una escoriazione sopra il sopracciglio destro, che si notava molto perché l’occhio era molto gonfio. Era come se la pelle fosse stata strusciata via e si notava il bianco sotto. Nel capo in corrispondenza delle escoriazioni vi era del sangue rappreso, come delle strisciatine rosse.”

Il Maresciallo della Polizia Provinciale Pietro Bricca, presente sul pontile, era uno dei pochi che conoscevano il Narducci. All’epoca era vigile delle acque. Le sue primissime dichiarazioni dell’11.06.02, poi costantemente confermate, sono nette, sicure ed i suoi ricordi chiarissimi: “Il cadavere lo ricordo bene come una fotografia, perché mi fece senso in quanto il cadavere non sembrava quello del Professore o comunque di un uomo bianco. Sembrava un negro perché aveva le labbra tumefatte, molto grosse e la pelle scurissima, Ricordo perfettamente che gli usci, non appena lo muovemmo per tirarlo su, un rivolo di sangue da una narice. Non si trattava di acqua mista a sangue. Era proprio sangue e lo ricordo con assoluta certezza come fossi oggi. Il rivolo di sangue si fermò all’altezza alle labbra, anzi poco sopra l’inizio del labbro superiore, raggiungendo la lunghezza di un paio di centimetri. Non sembrava il Prof. Narducci che io conoscevo di vista e le cui foto ho rivisto sui giornali. Lei mi chiede di descrivere il cadavere ed io le rispondo che il corpo aveva un fetore insopportabile. Avevo visto molti cadaveri recuperati dall’acqua ma quello era diverso da tutti gli altri e mi ha impressionato troppo. Il cadavere aveva una camicia, e quello di cui sono assolutamente certo e lo ribadisco perché ho davanti ancora l’immagine di quel corpo, é che attorno al collo, sopra la camicia aveva una cravatta molto stretta al collo tanto che io pensai che il colore scurissimo del volto di pendesse dalla strozzatura della cravatta, Ricordo che appena lo vedemmo esclamai: “Ma questo non e lui!”. La camicia era chiara e non era tutta abbottonata fino al collo. Ripeto che questi sono particolari che non si dimenticano e dico ancora che sono assolutamente sicuro che quel cadavere avesse la cravatta al collo. Sarà stato alto circa mt. 1,75-1,77 ed era molto gonfio, Non ricordo se portasse qualcosa sotto la camicia. Non ricordo se il cadavere fosse supino o bocconi. Al momento del recupero uscì il rivolto dal naso. Anche questo fatto lo ricordo perfettamente. Ribadisco che quel cadavere non mi sembrava il Narducci poiché appariva molto trasformato. “

Il collega del Bricca, Paolo Gonnellini, partecipò anche lui alle operazioni di recupero. La sua descrizione, in data 11.06.02, è questa: “Quello che mi colpì del cadavere fu la cravatta stretta al collo con il classico nodo al di fuori del colletto di camicia, proprio sotto il mento. Il volto appariva molto scuro quasi come quello di una persona di colore ed anche le labbra erano tumefatte. Indossava una camicia chiara e abbottonata salvo all’altezza del collo dove la camicia appariva spanciata. Sopra la camicia aveva un giubbott di colore marrone. Ricordo ceh sotto la narice vi era come un rivolo di sangue rappreso che terminava all’altezza del labbro piegando veros lo spigolo delle stesse. Della cravatta sono sicuro al 100%, così come sono sicuro del fatto che lo stesso apparisse molto gonfio e scuro. “.

La Dott.ssa Seppoloni, sin dal 24.10.01, così descrive il cadavere: “Il cadavere del Narducci si presentava gonfio, edematoso e di un colore violaceo, aveva un notevole gonfiore al viso alle braccia e all’addome. “.

Tomassoni Marco è uno dei Vigili del Fuoco che parteciparono al recupero della salma. Così descrive il cadavere nel verbale del 6.12.01: “Il cadavere era vestito con un giubbetto di pelle marrone, una specie di cravatta di cuoio che non ricordo se fosse attorno al colletto della camicia o sul collo nudo, aveva un orologio funzionante, in acciaio chiaro forse cromato. Ricordo che il carabiniere che era presente al momento della visita del cadavere prese il polso sinistro dello stesso portandoselo all’orecchio e disse che era funzionante. Il volto della salma era gonfio e violaceo, mi pare che avesse un occhio semichiuso. Ricordo che il cadavere era alto circa 180 cm ed era di corporatura robusta. Non ricordo che fossero stati cercati i documenti sulla salma. Ricordo che era sfrontato con capelli radi sulla fronte; la faccia era gonfia e a forma di palla.”.

L’altro vigile Francesco Piceller così lo descrive sempre il 6.12.01: “si presentava vestito e aveva il volto molto gonfio e viola, aveva un cattivo odore “ .

Il fotoreporter de “Il Messaggero” Giancarlo Papi, sentito il 23.11.05, ha ricordato: “la testa e il volto del cadavere era molto gonfio e scuro. Anche il collo era particolarmente gonfio e mi sembra che avesse qualcosa al collo che stringeva… era piuttosto raccapricciante. “.

Lapidarie sono le espressioni dell’allora Vice Comandante dei VV. F. di Perugia ing. Settimio Simonetti, che, sentito il 27.09.05, ha affermato: “Ricordo di aver visto il viso dell’annegato, di fianco, in mezzo alla gente. Pennella esclamò, non ricordo se in quel momento o poco dopo:” Di morti ne ho visti tanti, ma così brutti non ne ho visti mai!” ed io eslamai:” Madonna mia, mi pare un negro !”. Mi sembrava, infatti, un negro che si fosse leggermente schiarito per effetto della permanenza in acqua. Questa è proprio la cosa che mi venne in mente e, quando recentemente, ho visto per televisione una trasmissione in cui si parlava della possibilità che il corpo ritrovato nel lago non fosse quello del Narducci, mi sono venuti i brividi, perché l’annegato che vidi e il Narducci erano completamente diversi, tutta un’altra cosa. “.

Uno dei due “ricognitori”, il Prof. Antonio Morelli, nel suo primo verbale, del 22.04.02, così descrive il cadavere: “chiaramente l’ho visto solamente vestito, in evidente stato di decomposizione, ematoso. Mi sembra che aveva una cravatta, ricordo bene che aveva la camicia con i bottoni molto tirati a causa dello stato di gonfiore del corpo.I1 cadavere era praticamente irriconoscibile per come era ridotto “. E il 19.10.2007, ha dichiarato: “Il cadavere era gonfio e violaceo, tendente al nero, specie nel volto. Era molto gonfio e aveva il ventre batraciano. Avrà avuto una taglia da 54 a 58. Era comunque molto gonfio. Aveva pochi capelli e di colore scuro. “.

L’altro “ricognitore”, il Prof. Farroni, il 26.06.02 così descrive il cadavere: “Appena giunto, alle ore 08.30 circa, constatai che sul molo medesimo era adagiato supino il cadavere di un uomo che presentava un gonfiore molto evidente su tutto il corpo, in particolare del viso e dell’addome. Ricordo anche che indossava un giacchetto di renna marrone, una maglietta Lacoste bleu, pantaloni scuri ed un paio di scarpe sportive… una volta spogliato, a prima vista, il cadavere non presentava lesioni evidenti, anche se, come detto, presentava un marcato edema al viso ed all’addome con macchie ipostatiche diffuse. “

Moretti Nazzareno, titolare dell’omonima impresa funebre di magione (PG), nel suo primo verbale del 9.11.01, dice: “Ricordo bene che era molto gonfio “.

Morarelli Nazzareno, addetto dell’impresa funebre “IFA Passeri” di Perugia, nella sua prima descrizione del cadavere, in data 19.02.02, un’epoca in cui non era stata depositata neppure la prima CT del Prof. Pierucci, ricorda: “il cadavere era in avanzato stato di decomposizione e sembrava quello di un negro. Aveva le labbra grosse, di un colore scuro tra il viola e il verde, il volto gonfio, il colore della pelle era nero come quello di un negro. Gli occhi erano chiusi ed era tutto gonfio. Gli togliemmo anche dei piccoli residui di canna che aveva addosso….Vi erano dei punti di maggiore intensità e qualche punto in cui era meno scuro.”

Domanda:. “ Lei conosceva il prof. Francesco Narducci e se sì lo riconobbe ? “ Si da’ atto che viene mostrata alla persona informata la foto del prof. Francesco Narducci apparsa sul quotidiano “La Nazione “ il 10.10.85.

Risposta: “ Il cadavere era irriconoscibile, non c’era alcuna somiglianza con il volto del prof. Narducci in vita…Il cadavere doveva essere comunque superiore ad 1,70 m., tra il m.1,75 e il m. 1,85. “

D: “Come era vestito?

R: “Se ben ricordo il cadavere era nudo dalla cintola in su, aveva un paio di jeans e vi erano dei vestiti in fondo alla cassa che gli erano stati tolti, ma non sono sicuro di questa cosa, e potrebbe essere successo che lo svestimmo in quel momento…Il cadavere appariva semi-rigido tanto che riuscimmo ad infilargli la camicia, la giacca e la cravatta. L’operazione era resa difficile dalla mole del cadavere. Quando lo tirammo fuori il cadavere aveva le braccia distese leggermente inclinate verso l’interno. Non abbiamo visto la schiena del cadavere perché non siamo riusciti a girarlo….“. Il collaboratore del Morarelli, Barbetta Gabriele, il 10.06.02, ha precisato: “Il cadavere si presentava gonfio, color grigio con chiazze color kaki, che sono caratteristiche di un corpo che entra in avanzato stato di decomposizione ed emanava fetore. Ricordo che i capelli erano sul nero un po’ stempiato come me. La fisionomia del cadavere era alterata in quanto era gonfio in volto, nei pettorali e nell’addome. Gli occhi erano mezzo chiusi. Rimasi talmente colpito dallo stato del cadavere che rivolto al mio socio Morarelli esclamai: oh Dio come è ridotto! Ma ce lo fanno anche rivestire? I familiari ci avevano preparato gli abiti. Quando lo spogliammo ricordo che aveva una canottiera bianca e dei pantaloni scuri. Non ricordo se indossasse una camicia o una maglietta. Svestimmo in fretta il cadavere e ricordo delle chiazze di colore grigio con tendenza al kaki ed al verde scuro in tutto il corpo. Rammento anche che partendo dalla tempia, passando per la guancia e arrivano fino alla spalla, non ricordo se a destra o a sinistra, il cadavere presentava una macchia più intensa ed estesa e continua che arrivava, appunto, fino alla spalla. Ripeto che il cadavere era molto gonfio. Lei mi chiede se fosse stato in vita quel cadavere quanto potesse pesare, io le rispondo all’incirca tra i 90 ed i 100 Kg. Sarà stato alto circa mt, 1,80. Ricordo perfettamente di aver fatto indossare al cadavere delle mutandine, una maglietta bianca, un paio di pantaloni ed una camicia. Mi pare che non mettemmo al cadavere una giacca ma lo lasciammo in camicia. Lei mi chiede se abbiamo posizionato attorno ai fianchi del cadavere, tra le mutande e i pantaloni una specie di telo o altra stoffa per cingere l’addome ed io le rispondo in maniera categorica che non è stato fatto indossare al cadavere un telo di qualsivoglia natura o foggia attorno al ventre. Di questo ne sono assolutamente certo…. Domanda: Gli indumenti che faceste indossare al cadavere erano di colore scuro o chiaro?

Risposta: Quello che ricordo è questo: i pantaloni erano scuri ma come se fossero di una tuta, quindi elastica e senza passanti. La zona superiore la ricordo scura e precisamente di color noce come la scrivania che mi trovo davanti nell’ufficio del Dr. MIGNINI che mi è davanti. Il golf era, se non ricordo male, era di lana. Non ricordo altro.–//

A.D.R. ….non è stato apposto in mia presenza, che preciso è stata ininterrotta durante tutta la vestizione e, nessun telo o altro sulla pancia, inoltre su quel cadavere non si potevano far indossare i pantaloni senza tagliarli dal dietro. “.

Si sono riportate le descrizioni delle sole persone che hanno avuto un contatto significativo col cadavere e si sono prese in considerazione le primissime dichiarazioni, rese in un contesto cronologico in cui non erano ancora emerse le novità che sarebbero state consacrate nella CT ex art. 360 c.p.p., che il Prof. Pierucci avrebbe depositato il 20.12.02 e in cui, quindi, il ricordo era più limpido e meno influenzato dalla pressione mediatica che avrebbe raggiunto una notevole intensità dall’estate 2002 in poi, con i primi risultati dell’accertamento autoptico.

Le descrizioni, come ampiamente motivato dal Prof. Giovanni Pierucci, sono perfettamente coerenti con la fase enfisematosa della putrefazione, cioè con lo “stato gigantesco” e la colorazione scura “è legata alla fase cromatica della putrefazione, con realizzazione della c.d. “facies negroide”; a quest’ultima inerisce pure l’ipostasi” in rapporto alla posizione assunta dal cadavere in acqua (vds. la CT ex art. 360 c.p.p. a p. 38).

Quindi, putrefazione, cioè degradazione dei tessuti ad opera dell’azione enzimatica di germi anaerobi ed aerobi che possono provenire dall’intestino o dall’ambiente e che, a sua volta, inizia con la fase “cromatica”, dopo le prime 24 – 48 ore (in cui si forma e si diffonde dapprima in corrispondenza del cieco alla fossa iliaca destra e si espande a tutto l’addome, investendo, poi, la rete venosa), prosegue, dopo 3 – 5 giorni dal decesso, con la fase “enfisematosa” o “gassosa”, dovuta alla migrazione dei gas attraverso il tessuto sottocutaneo che determina un notevole aumento del volume corporeo e spesso anche la fuoriuscita di un gemizio di sangue dalla bocca e dalle narici (vds. le dich. del Bricca), poi con la successiva fase “colliquativa”, dopo una o due settimane dal decesso, in cui non vi sono più batteri e la sostanza organica si trasforma in un liquido vischioso di colore nerastro e, infine, con la fase della “riduzione scheletrica” che, in una cassa di legno, si esaurisce in uno o due anni dal decesso, mentre, in una cassa metallica, in un periodo molto più lungo, pari a 10 o 15 anni, al termine della quale vi è la polvere bianca o cenere di ossa (vds. “Manuale di Criminologia clinica” di M. Strano, SEE Firenze, pp. 253 – 254).

Quando l’attività batterica viene inibita dal collocamento del cadavere in una cassa metallica e, quindi, in un ambiente asciutto e ben ventilato, i fenomeni putrefattivi si bloccano e sopraggiunge allora una rapida disidratazione del cadavere, che perviene allo stadio della “mummificazione” o “corificazione” (situazione analoga alla precedente ma caratterizzata da una maggiore flessibilità), in cui il cadavere assume le sembianze, rispettivamente, del cuoio vecchio o del cuoio da concia.

Orbene, il cadavere dell’uomo ripescato il 13 ottobre era già nella fase enfisematosa della putrefazione sin dal momento della scoperta, è rimasto esposto all’aperto nel pontile, in una giornata particolarmente calda : si vedano le dichiarazioni di Tomassoni Marco del 6.12.01 e si vedano le foto delle persone sul pontile, in particolare della D.ssa Seppoloni (foto 04.P1.4_4°), in maglietta estiva, con alla sua destra il Dr. Trippetti, con giacca e camicia e alla sua sinistra il M.llo Bruni, in divisa estiva. Il cadavere fu sistemato nella bara e questa fu definitivamente chiusa nella tarda mattinata del 13. Il 7.06.05 il Morarelli ha dichiarato in termini perentori: “Ricordo, quindi, che la bara venne sigillata da me e da BARBETTA Gabriele. Venne sigillata a fuoco con lo stagno e questo lo ricordo perfettamente e con certezza assoluta. Arrivai a casa e mangiammo solo io e mio padre atteso che eravamo intorno alle 15,00… Ricordo di essere ritornato alla villa per portare un mazzo di rose che erano state ordinate telefonicamente, non ricordo se dalla famiglia NARDUCCI stessa, ma è probabile che siano stati loro. Ad esserci stato nuovamente in villa ci sono stato, non ricordo se la stessa sera di domenica o il giorno successivo. Quando arrivai in villa c’era il Prof. Ugo e il Dott. Gianni SPAGNOLI e la bara l’ho trovata sempre nello luogo ove l’avevamo sistemata e non ricordo se sopra vi fossero dei fiori. Sono ritornato alla villa il giorno stesso in cui fu celebrato il funerale alla chiesa di Via dei Filosofi. Siamo andati alla villa a prendere la bara io, BARBETTA e due dipendenti di cui non ricordo i nomi. La bara si trovava sempre al solito posto. Voi mi chiedete se quando ho portato i fiori la bara fosse chiusa e le rispondo assolutamente di si; la bara era chiusa così come l’avevamo chiusa noi.”.

Per circa sette ore, il cadavere, già in fase enfisematosa, è rimasto, quindi, esposto al sole e all’aria aperta in una giornata pressoché estiva, poi all’interno dell’abitazione dei Narducci a San Feliciano, ma sempre all’aperto. In quella situazione, il cadavere doveva avere pressoché esaurito la fase enfisematosa e l’azione “prosciugante” della chiusura in una bara zincata e aereata non poteva più far regredire la putrefazione stessa e il passaggio alla fase colliquativa.

Le indagini collegate. Il “doppio cadavere” e la morte per omicidio.

L’apertura della bara del Narducci, nella quale era stata significativamente apposta la data del “9” ottobre, come quella della morte del medico (come indicato nel certificato n. 786), è avvenuta nell’Istituto di Medicina Legale di Pavia la mattina del 6 giugno 02: è innegabile che sin da questo momento siano emersi dei dati che sono subito apparsi in stridente contrasto col quadro consolidatosi nei precedenti otto mesi d’indagine.

La cassa era esternamente di zinco, internamente era costituita di spesso legno di rovere (vds. la seconda CT del Prof. Pierucci a p. 7).

Gli indumenti indossati dal cadavere erano, per la maggior parte, “integri e continui”, con ampie chiazze cromatiche derivanti o da esuberanti colonie fungine o da depositi salini (vds. la stessa CT a p. 8).

Si trattava dei seguenti capi d’abbigliamento:

  1. un “giubbotto integro”, fornito di “cerniera lampoo, rinvenuta chiusa, ossidata e – saltata – alle manovre sul cadavere”, indumento fornito di una fodera blu e di uno strato esterno di maglia, “apparentemente di colorito beige” (vds. pp. 8 e 9 della CT);

  2. “Camicia chiara”, con “discontinuazione completa lineare, superiormente configurata “a baionetta”, probabilmente preesistente alla svestizione (vds. p. 9);

  3. Mutande tipo boxer, integre ed indossate completamente, marca “Master – Made in Italy – Taglia M” (p. 9);

  4. “Pantaloni blu, anch’essi chiazzati e imbibiti, indossati completamente, integri, chiusi, con bottoni in parte persistenti. Etichetta interna con la seguente dicitura “48 – S” (vds. n. 4 a p. 9 della CT ex art. 360 c.p.p.);

  5. Calze chiare, piuttosto pesanti;

  6. “Asciugamano di tela robusta, posto al di sotto dei pantaloni, sistemato ad ansa, con apertura posteriore a modo di – ventriera -. Il telo è stato rinvenuto molto aderente all’addome ed ha lasciato quasi per compenetrazione l’impronta del proprio ordito sulla cute. I due lati più corti dell’asciugamano sono trapuntati.” (vds. n. 6 a p. 9 della CT).

A questo punto, prima di procedere nella descrizione delle varie fasi delle operazioni compiute in sede di apertura della bara, bisogna fermarsi, perché, quanto emerso, soprattutto nei punti 4) e 6), appare di portata oggettivamente insuperabile in ordine alle conclusioni cui è pervenuto questo ufficio di Procura.

Il cadavere indossava, quindi, pantaloni, chiusi nel punto di vita (tale è il significato dell’espressione “indossati completamente”) e non abbassati sotto l’addome e poco sopra il pube: si veda, del resto, la foto, scattata al cadavere ancora vestito, n. DSC00036.JPG, che riprende, sotto la migliore angolatura possibile, il bottone che chiude i pantaloni nel punto di vita, poco al di sotto della superficie lanosa del giubbotto che si diparte in due estremità sopra le quali si trova la chiusura a lampo giubbotto. La taglia è 48 Small o Medium, che corrisponde ad una misura della vita pari a 82 – 84 cm. (vds. www.oliviero.it/taglie/taglie_uomopantaloni.html, pp. 2,3,4). Il documento è stato prodotto all’udienza del 22 dicembre 09.

Quindi, pantaloni chiusi nel punto di vita con un bottone e di taglia 48 Small, non pantaloni in tuta, elastici, taglia corrispondente ad un individuo decisamente magro, com’era in vita il Narducci. La suocera Maria Bona Franchini, assunta a informazioni il 25.06.02, ha precisato sul punto: “Lei mi chiede che taglia di pantaloni avesse Francesco…. posso solo dire che credo avesse una taglia 48 “.

La moglie del medico è stata chiarissima: “Confermo anche che il corpo dell’ uomo che ho visto disteso sul pontile e che fu allora riconosciuto per mio marito, mi appare totalmente diverso da mio marito che era longilineo e portava la taglia 48 di pantaloni. Mio marito non aveva avuto cambi di taglia negli ultimi tempi ed era rimasto longilineo “,, ha precisato il 22.01.05.

E che il Narducci indossasse una taglia del genere, lo si evince chiaramente dalle foto in atti (vds., ad esempio, le foto Pim0020.jpg che riprende il Narducci mentre scherza con la moglie o quella n. Pim0004.jpg, con la moglie, proprio al Lago Trasimeno). Ciò significa che il Narducci è stato vestito poche ore dopo la morte, senza che le sue dimensioni in vita si fossero modificate e che, riposto in una bara con lastra zincata e sufficientemente aereata, il suo corpo è andato incontro ad un processo di corificazione, che è stato chiaramente accertato dal Prof. Pierucci (vds. CT a p. 10).

Non basta. Tra i pantaloni e l’addome, era stato apposto il famoso telo o asciugamano di tela robusta che costituiva ulteriore spessore e che allargava comunque la misura della vita del cadavere: si trattava, pertanto, di una taglia già molto contenuta, che, per di più, era sufficientemente abbondante per il cadavere da tollerare un telo robusto e di un certo spessore frapposto tra il corpo e i pantaloni. La misura del giro di vita va, quindi, ulteriormente ridotta, nell’ambito della taglia Small o Medium, con inclinazione più verso il n. 47 che il 48.

Si ignora il significato e la funzione di tale indumento. Non è possibile che servisse ad asciugare il cadavere dall’acqua nella quale sarebbe stato immerso, secondo la vulgata ufficiale, perché un corpo umano non è una spugna che si imbibisce d’acqua e, una volta asciugato, il problema è risolto.

Secondo lo studio del Prof. Massimo Introvigne, richiesto dalla D.ssa Gabriella Carlesi, nel suo primo studio sulla compatibilità dimensionale tra il cadavere ripescato il 13 ottobre 1985 e il cadavere oggetto degli accertamenti pavesi, l’apposizione del telo sui fianchi del cadavere aveva un possibile carattere “massonico arcaicizzante” e un possibile significato rituale “punitivo”. Ma il significato simbolico è sempre suscettibile di letture diversificate e in questa sede è preferibile muoversi sul terreno sicuro dei fatti, nella loro evidente oggettività e questo telo, apposto sul cadavere del Narducci, ci dice due cose, nude e crude : la prima, che il cadavere del medico poteva indossare agevolmente una taglia 48 Small di pantaloni, con l’aggiunta di un ulteriore spessore derivante dal telo, la seconda è che quel telo c’era nel cadavere del Narducci, ma non su quello dell’uomo, che, secondo la CT del Col. Garofano, aveva una circonferenza addominale che sfiorava i 100 cm. e che, quindi, si attestava, come minimo, su una taglia di “56”.

Il collaboratore del Morarelli, Barbetta Gabriele, è stato, come s’è visto, drastico sul punto ed ha escluso con decisione che fosse stato apposto un telo al cadavere ripescato. Il Morarelli, da parte sua, l’8.06.02, quanto alle dimensioni del cadavere, ha precisato: “Il cadavere era talmente gonfio da assomigliare ad una persona superiore a 100 Kg. Di Peso. Lei mi chiede di confrontare quel cadavere ad una taglia o a una persona, ed io le rispondo che il cadavere, viste le dimensioni poteva accomunarsi alla mia figura o leggermente meno. Aggiungo che non sono in grado di dire la mia taglia, posso dire che peso 101 Kg. E che se lei mi consente, contatto mia moglie per farmi dire la mia taglia. ——/// A questo punto l’ufficio da atto, che il sig. Morarelli, contatta tramite propria utenza cellulare, il numero di casa sua 075/5288449, nella persona di sua moglie, CORNICCHIA Vera. Cessata la conversazione il sig. MORARELLI, riferisce che la consorte ha precisato che la taglia dei pantaloni è la 60, mentre la giacca ha la taglia 58. ——-///“. E Moretti Nazzareno conferma il 10.06.02: “Quel cadavere poteva pesare sui 100 Kg..

Moretti Nazzareno, dell’impresa funebre di Magione, precisa il 10.06.02, quanto alla taglia del cadavere ripescato: “A.D.R. “Io porto la taglia 50 di pantaloni ma il cadavere ritrovato, avrebbe dovuto indossare una taglia vicina o superiore ai 60.

A.D.R. “Quando un cadavere si gonfia rispetto alle dimensioni naturali del corpo in vita, per vestirlo bisogna tagliare posteriormente tutti gli abiti che vengono così appoggiati al corpo “. Ciò non è accaduto nel caso del Narducci che indossava i pantaloni della sua taglia, perfettamente chiusi e integri.

Vanno richiamate anche le dichiarazioni dello stesso Moretti in data 20.08.02, sia in relazione al confronto tra il cadavere ripescato e quello esumato sia in relazione agli abiti indossati da quest’ultimo: “Si dà atto che vengono mostrate al Sig, MORETTI Nazzareno le foto riguardanti il corpo riesumato del Dr. Francesco NARDUCCI effettuate dal Gabinetto Provinciale della Polizia Scientifica della Questura di Perugia.—-/////

  • Domanda : “ Torno a chiederle se ha partecipato alla vestizione del cadavere e se riconosce gli abiti indossati dal cadavere di cui alle foto che le vengono mostrate”.

  • Si dà atto che il Moretti rimane colpito e sconcertato dalla vista delle foto. Lo stesso rimane in silenzio e scuote la testa per alcuni istanti.—//

  • Risposta : “ Sono sorpreso dalle foto che mi vengono mostrate perché il cadavere ripescato era quello di un uomo corpulento. Non riesco a trovare spiegazioni. Escludo di avere visto gli abiti indossati dal cadavere riesumato e di avere partecipato alla vestizione del cadavere ripescato.” Torno a ripetere che l’uomo del pontile era estremamente corpulento dal peso aggirantesi attorno al quintale. —///”.

Quanto al telo, il Morarelli, il 20.08.02, precisa: “Circa il telo poggiato sull’addome io non lo ricordo assolutamente e per quanto mi riguarda non ho apposto sul cadavere nulla di simile“. Questo è quanto lo stesso ha ricordato, in piena concordanza con il Barbetta. La successiva dichiarazione del 7.06.05 esprime soltanto un’illazione, non un ricordo, vale a dire la mera possibilità che un asciugamano fosse utilizzato per evitare che le strane “bolle” presenti sull’addome dell’uomo potessero sporcare i calzoni. Ciò che conta è quanto il Morarelli ha ricordato nelle sue primissime dichiarazioni. Nello stesso verbale del giugno 05 il Morarelli fissa l’orario di chiusura definitiva della bara alle 14 e così si esprime: “Il Prof, Ugo, in compagnia ad altre persone che oggi non ricordo chi fossero, mi ha chiesto di chiudere la bara. Rifacendo i calcoli potrebbero essere state le ore 12,30-13,30 circa, non di più sicuramente, comunque non più tardi delle ore 14,00. “.

L’esito della CT Pierucci, depositata il 20.12.2002, è, come s’è visto, clamoroso, dirompente.

Occorre richiamarne e sottolinearne i passaggi fondamentali.

Sulla superficie corporea “s’impiantano abbondanti peli rosso – biondastri, particolarmente evidenti agli arti”, “I capelli sono presenti, ad impianto fronto – temporale alto, lunghi 5 – 6 cm. circa” (vds. p. 10).

Le unghie delle mani sono state rinvenute in parte distaccate, quelle dell’alluce dei piedi conservate, salvo quella destra “semi amputata” (vds. p. 12).

Il cuore è risultato ancora nel sacco pericardico e se pur ridotto notevolmente di volume e di peso (g. 80), è “tuttora esplorabile”, tanto che la “relativa conservazione del viscere consente l’iniezione nella cavità di sinistra….di acqua distillata” e il suo stato “consente comunque l’esplorazione secondo la consueta tecnica settoria, rivelando cavità vuote e pressoché virtuali, muscolatura grigio-brunastra e molle….Sono tuttora esplorabili…le coronarie che risultano pervie, relativamente ampie…Il viscere viene prelevato pressoché per intero” (pp. 12 e 13).

Il Prof. Pierucci dà, poi, atto dell’”estrema cautela” con cui viene estratto il blocco lingua – organi cervicali (vds. la CT a p. 14).

Altro passaggio fondamentale riguarda l’encefalo che “risulta chiaramente delineato, raccolto nella fossa cranica posteriore, ed in piccola parte in quella media. Esso figura sotto forma di una massa consistente, pressoché compatta, simile a stucco, e conserva abbastanza fedelmente il disegno delle circonvoluzioni, mentre alla base si rendono ancora visibili, sotto forma di cordoncini a pareti afflosciate, i rami del poligono del Willis. Ai tagli…si nota una grossolana distinzione fra le due sostanze, che assumono peraltro un colorito brunastro la sostanza grigia e…roseo la sostanza bianca” (vds. p. 14).

Anche il fegato “è chiaramente identificabile”, mentre sono risultati assenti i reni (vds. CT a p. 15).

IL CT dà, poi, atto dell’”estrema cautela” con cui è stata compiuta la dissezione del blocco lingua – faringe – laringe – organi del collo, “al fine di evitare danneggiamenti – tecnici” (vds. p. 16).

Dopo avere accertato l’asimmetria del corno superiore di destra della cartilagine tiroide, il Prof. Pierucci ha precisato testualmente: “ Corno superiore di Sn vistosamente fratturato alla sua metà circa, con lussazione del moncone distale e formazione di una sorta di ginocchio al vertice dei due segmenti fratturativi: in corrispondenza di esso, il periostio – pericondrio risulta minutamente lacerato” (vds. CT alle pp. 16 e 17). La “vistosa” frattura del corno superiore sinistro della cartilagine tiroide è stata confermata definitivamente il 29.09.02.

Circa gli esami istologici, il Prof. Pierucci ha sottolineato, tra l’altro, il buon livello di conservazione della struttura di encefalo, cuore e polmoni (vds. p. 23). In relazione al corno sn tiroide, nell’ambito della componente cartilaginea, vengono evidenziati “nidi” di calcificazione e altri di ossificazione, con strutturazione in osso lamellare, in alcuni punti fratturato. Nei tessuti periferici, cioè nel pericondrio – periostio, “si sviluppano fittissime colonie fungine, verisimilmente della famiglia delle Mucoracee e in altri settori, cartilaginei e fibrosi, “si sviluppano fittissime colonie batteriche, verisimilmente del tipo degli actinomiceti” (vds. CT a p. 24).

Quanto alle diatomee, il Prof. Pierucci ha puntualizzato: “ Non si è osservata alcuna forma riferibile a diatomee né a plancton cristallino” (vds. p. 25).

E’ stata accertata la presenza di petidina o meperidina, oppiaceo di sintesi ad azione analgesico – narcotica, ciò che conferma che il Narducci, negli ultimi mesi di vita, aveva fatto uso dell’oppiaceo ripetutamente e con una certa continuità e l’entità della concentrazione è compatibile con una condizione di “leggea dipendenza” (quale derivabile dal consumo di alcune centinaia di milligrammi al mese) (vds. p. 26).

Ha aggiunto il Prof. Pierucci: “ La presenza di petidina nei liquidi di lavaggio della colecisti e della vescica e nell’encefalo è univocamente da riferire…a un’assunzione recente rispetto al decesso” e “apparentemente” per via orale (p. 27), senza escludere peraltro fenomeni di diffusione post mortali o da un processo di secrezione gastrica. Il dato di concentrazione nell’encefalo va corretto secondo il parametro della rilevante perdita di peso dell’encefalo, da 1.400 a 400 grammi, risultandone concentrazioni ematiche pari o superiori quelle terapeutiche massime, indicate in 0,8 microgrammi/ml., sino a rasentare la soglia 5 data come “tossica” (vds. p. 28).

Richiamate le osservazioni dei CT delle parti private e passando alla discussione, il Prof. Pierucci ha, innanzitutto, “posto sul tappeto” un problema formalmente esulante dai limiti e dai quesiti formulati, ma che non era ormai possibile ignorare, vale a dire “il problema dell’identità del cadavere…esaminato con quello del – cadavere del lago –“ vale a dire con quello recuperato il 13 ottobre 1985 dalle acque del Lago Trasimeno. Questione emersa con forza sia per problemi di ordine tanatologico (focalizzati sulla discrepanza tra i fenomeni cadaverici, quanto mai intensi, rilevati sul cadavere del lago ed alterazioni trasformative e anche fisiognomiche, presenti sul cadavere esumato). Il Prof. Pierucci richiama in proposito quanto osservato dall’allora Carabiniere Meli che recuperò il cadavere (unitamente all’App. Di Goro) secondo cui “si notavano varie escoriazioni nella parte alta del capo tanto che i capelli erano stati strappati via”. Se si rileggono nel loro contesto le dichiarazioni dell’App. Meli del 26.10.01 (anche queste sono le prime, immuni da qualsivoglia pressione mediatica perché il verbale è proprio dei primissimi giorni delle indagini) fanno ancora più impressione: “Quello che mi impressionò era però soprattutto la presenza di numerose escoriazioni sulla testa e sul volto. Il cadavere era con il ventre rivolto verso l’acqua e si notavano varie escoriazioni nella parte a1ta del capo tanto che i capelli era stati strappati via; sul volto aveva una escoriazione sopra il sopracciglio destro, che si notava molto perché l’occhio era molto gonfio. Era come se la pelle fosse stata strusciata via e si notava il bianco sotto. Nel capo in corrispondenza delle escoriazioni vi era del sangue rappreso, come delle strisciatine rosse.“.

Il cadavere esumato e oggetto dell’accertamento pavese era contrassegnato, invece, “da una capigliatura solo appena stempiata, ma per il resto regolare” (vds. p. 40).

Altro punto sottolineato dal Prof. Pierucci: è vero che, esaurita la fase enfisematosa, le dimensioni cadaveriche e viscerali si riducono per progressiva liberazione dei gas e colliquazione delle parti molli, ma “i danneggiamenti tessutali apportati dalla precedente trasformazione non si attenuano, anzi si accentuano” (vds. p. 40; il grassetto è mio). Così “un encefalo coerente con lo stadio trasformativo descritto per il – cadavere del lago – (cromatico – enfisematoso) ci aspettiamo di vederlo defluire spontaneamente all’incisione delle leptomeningi, in quanto pressoché colliquato. Il viscere rinvenuto nel NARDUCCI è discretamente conservato pure nella differenziazione fra sostanza grigia corticale e sostanza bianca emisferica…e, pur se cromofobo, palesa un’impalcatura vascolare ancora conservata e colorabile” (vds. p. 40).

Vi è, poi, il problema insormontabile di ordine dimensionale circa la possibilità di far indossare indumenti di taglia “agile” come una “48 Small” ad un cadavere in fase di “gigantismo putrefattivo”.

I profondi dubbi di identità del cadavere esumato con quello ripescato privano l’indicazione dell’ora della morte del “paletto” costituito dal dato circostanziale dell’allontanamento del Narducci nelle acque del Lago Trasimeno nel primo pomeriggio dell’8 ottobre 1985. Il Prof. Pierucci ammette che una coincidenza della morte con tale circostanza sarebbe “compatibile” ma tale compatibilità dovrebbe essere inserita entro un ambito di “una notevole escursione di anni, in più od in meno” (vds. p. 41). Il CT, esaminato il cadavere corificato del Narducci, afferma in pratica che la morte del gastroenterologo, da un punto di vista medico – legale, potrebbe essere intervenuta da qualche anno prima a qualche anno dopo quell’8 ottobre e, se, fino alle primissime ore del pomeriggio di quel giorno, noi sappiamo che il Narducci era vivo e vegeto, nulla potremmo dire per il periodo successivo: all’epoca della CT non erano, però, intervenute le dichiarazioni della Signora Maria Teresa Miriano che, in quelle del 20.02.03 e in quelle rese nel corso dell’incidente probatorio del 2.12.05, ha dichiarato di essersi recata nella villa di San Feliciano, in assenza del marito il Prof. Ezio Moretti, impegnato nelle normali visite ambulatoriali all’Ospedale di Foligno, quindi in un giorno lavorativo e non di domenica (quindi non il 13 ottobre 1985) e di avere visto il cadavere di Francesco, descritto nel suo aspetto consueto, ben diverso da quello del cadavere ripescato.

Lasciamo parlare la Signora Miriano nell’incidente probatorio (vds. pp. 69 e 70): aveva un aspetto sereno….aveva questo suo viso quasi che… sembrava quasi che lo avessero aggiustato, truccato un pochino…il colore non era quello delle salme, hanno un colore un po’ particolare… quasi roseo insomma. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI):… Senta, aveva le labbra gonfie? MARIA TERESA MIRIANO: no io di gonfio francamente non ricordo….PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): era scuro? MARIA TERESA MIRIANO: no. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): senta, aveva un aspetto negroide? MARIA TERESA MIRIANO: assolutamente, era lui…. era lui. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): senta, aveva i capelli ricci e radi? MARIA TERESA MIRIANO: no lui aveva i capelli lisci e castano… PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): castano chiari. MARIA TERESA MIRIANO: sì. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): senta, era cambiato da quando lo aveva visto in vita? MARIA TERESA MIRIANO: no….PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): senta, si ricorda come era vestito? MARIA TERESA MIRIANO: sì, aveva un paio di pantaloni o jeans o di colore jeans…. un giubbotto di lana e pelle davanti… poi non aveva le scarpe… e aveva delle calze scure.”La signora Miriano vide il cadavere del Narducci con tutte le caratteristiche di quest’ultimo e, per giunta, lo descrive con gli stessi abiti con cui è stato rinvenuto una volta aperta la bara a Pavia. E, del resto, anche dalle intercettazioni telefoniche, in particolare dalla conversazione n. 1724 del giorno di Natale 2002, tra Adriana Frezza, suocera di Pierluca e la Signora Miriano, quest’ultima ripete gli stessi concetti: “Teresa Allora quello che ho visto io a San Feliciano era … era … fatto di cera… Teresa io me lo ricordo come fosse adesso: c’aveva addosso un golfino verde, un giubbotto di cuoio

Adriana Si, si, si

Teresa E i jeans e accanto sul … perché ancora quando l’ho visto io non era ancora dentro la cassa

Adriana Ma tu dove l’hai visto?

Teresa Io a San Feliciano, ma a casa però eh?

Adriana Eh ma dov’era quando lo hai visto?

Teresa Era … steso su do …. È arrivata poco dopo la cassa …

Adriana E tu come mai eri andata su?

Teresa Perché sono corsa subito io … ho preso la macchina e sono andata giù subito … ma te ricordi eravamo tanto amici prima … ma no … ”

La signora Miriano non ha, quindi, mai mentito né dinanzi al PM né dinanzi al GIP.

E’ in forza di tali dichiarazioni e preciso meglio, solo di tali dichiarazioni, che è possibile riportare con certezza la morte ad un momento di poco successivo alla scomparsa.

Quanto alle cause della morte, come s’è detto, il Prof. Pierucci dava atto di avere espletato le indagini più idonee per provare l’avvenuto annegamento, cioè per confermare, con rigore scientifico, quella diagnosi formulata, senza il benché minimo riscontro oggettivo, dalla D.ssa Seppoloni. E’ stato ricercato il fitoplancton, segnatamente delle diatomee, nel polmone, nel fegato e nella milza e nel liquido di lavaggio della cavità cardiaca di destra, raggiunta dal sangue refluo dal circolo polmonare. Si è ricercato il plancton negli indumenti e nei peli cadaverici. Si è cercato plancton (fito e geoplancton) nei polmoni. Ma tutte queste ricerche sono state inutili: il risultato è stato sempre negativo e il Prof. Pierucci ha concluso: “ la prova dell’avvenuto annegamento non è stata raggiunta: ciò che si aggiunge alle incertezze in tema d’identificazione” (vds. CT alle pp. 41 e 42).

Qualunque riferimento ad una morte per annegamento, da episodio sincopale è, pertanto, destituito di qualsivoglia fondamento e riscontro oggettivo.

In tutte le discussioni che si potranno fare sulla vicenda del Prof. Narducci, dopo l’accertamento autoptico pavese, nessuno potrà più ragionevolmente ipotizzare una morte per annegamento. Sarebbe un’illazione e un’affermazione del tutto fantasiosa, priva di contatto con la realtà. Una favola, e siamo troppo adulti ormai, purtroppo, per poter credere ancora alle favole.

Se la causa di morte ipotizzata nel 1985 si è rivelata parto della fantasia, viceversa, ha sostenuto il Prof. Pierucci, l’ipotesi di un’”aggressione da parte di terzi….non rappresenta un’astrazione dialettica, del tutto avulsa da ogni elemento oggettivo, ma si basa su un incontrovertibile dato di fatto, cioè sulla rilevata frattura del corno superiore di sinistra”, accertata nel settembre 2002 dal Prof. Pierucci che, insospettito dalla rilevata asimmetria dei corni della cartilagine tiroidea, aveva insistito nelle indagini radiologiche e poi nella dissezione, ignorando la pervicace e sin troppo sospetta opposizione della famiglia Narducci, dei suoi difensori e CC.TT.

Quindi, occorre tornare su questo punto: frattura del corno superiore sx della cartilagine tiroide, non evidenziatasi nelle iniziali indagini radiografiche per la “retrazione e…addensamento pressoché ligneo delle parti molli perischeletriche, tale da costituire una sorta di ingessatura della frattura” (vds. CT. a p. 46).

Tale lesione laringea, la conclusione del Prof. Pierucci è perentoria, “esprime unicamente l’applicazione locale di una violenza meccanica” (vds. CT a p. 46. Il grassetto ed il corsivo sono miei), violenza che il Prof. Pierucci conclude di ritenere essersi verificata in vita (vds. p. 52).

Nell’analisi che il Prof. Pierucci compie del contenuto del “parere pro veritate” del radiologo Prof. Enrico Signorini, inserito nelle osservazioni del CT di parte della famiglia Narducci Prof. Giuseppe Fortuni, secondo cui la cronologia lesiva andrebbe posta in fase post – mortale, “a partire dal momento successivo alla morte fino al momento della dissezione diretta del reperto avvenuta a circa diciassette anni di distanza”, emerge con evidenza cristallina come una frattura di quel genere non possa essere ascrivibile ad una fase post – mortale.

E’ proprio la premessa posta correttamente dal Prof. Signorini che si pone in irrimediabile contrasto con le conclusioni dallo stesso formulate.

Il radiologo di parte Narducci esordisce, infatti, che quella riscontrata dal Prof. Pierucci è “una piccola lesione isolata, senza alcun segno di traumatismo nei settori contigui, posizionata in sede – protratta”…”. Ebbene, queste caratteristiche rendono la lesione stessa come la conseguenza di una pressione localizzata e concentrata (che non ha investito infatti i settori contigui) di un paio di centimetri all’incirca, che possegga una forza crescente e tale da raggiungere la sede protetta ove si trova il corno risultato fratturato.

Si richiama, in proposito, il passo della CT Pierucci ex art. 360 c.p.p. a p. 47: “ Nelle varie forme di compressione attuata attraverso l’arto superiore, ma specialmente nello strozzamento, l’azione meccanica si svolge direttamente, staremmo a dire selettivamente, concentratamente in un’areola circoscritta: per questo la frattura riguarda un segmento così piccolo e protetto, perché esso è raggiunto nella sua (relativa) profondità da questa specie di sperone, la presa manuale” (vds. la CT ex art. 360 c.p.p., a p. 47).

Quindi, è lo strozzamento, cioè la compressione manuale concentrata nel pollice della mano dell’aggressore, quello più adatto a produrre questo tipo di lesione.

Nello “strangolamento”, cioè nella costrizione mediante laccio, invece, escludendo quella analoga per “impiccagione”, “non…circostanzialmente proponibile in questo caso” (vds. CT a p. 48), l’azione fratturativa si svolge con un diverso meccanismo, quello della “retropulsione dello ioide e della tiroide – per effetto del laccio – contro i corpi vertebrali, mentre la tendenza delle due formazioni alla reciproca divergenza, viene inibito dalla membrana e dal ligamento tiro – ioideo” (vds. ibidem). Qui, infatti, la pressione è esercitata sì in maniera crescente e progressiva, ma non da una superficie di un paio di centimetri all’incirca, ma da una superficie estesa in larghezza anche se di ridottissima altezza, quale un laccio, appunto.

Ancor meno possono aver prodotto una lesione come quella evidenziata dal Prof. Pierucci urti contro superfici estese anche se di notevole intensità e/o che escauriscano la loro energia in un attimo, come la caduta e l’urto contro un ostacolo, perché in tutti questi casi mancano le due caratteristiche di fondo che la costrizione deve avere per produrre la frattura (vistosa) di uno dei due corni della cartilagine tiroide, cioè la concentrazione della pressione quasi in un punto e la progressività della spinta.

Ergo, nessuno degli eventuali urti o scuotimenti che il cadavere possa aver subito nelle fasi post – mortali, da quelle in sede di recupero (che, peraltro, riguarderebbero il cadavere “del lago”) a quelle successive al trasporto della bara dal Cimitero di Perugia al Dipartimento di Medicina legale di Pavia e sino alla dissezione degli organi del collo e lasciando fuori il lungo periodo in cui il cadavere è rimasto nella bara, urti, peraltro, indimostrati, potrebbe avere prodotto il risultato descritto (vds. la CT alle pp. 46 e 47).

Soprattutto va esclusa con forza l’ipotesi che questa eventualità si sia verificata nel corso delle manovre settorie del 12.06.02 e della dissezione del 5.09.02, poiché le stesse sono state condotte con “scrupolosa correttezza”, come hanno attestato i CC.TT. di tutte le parti che assistettero alle operazioni e come hanno testimoniato tutti i presenti. Sul punto si vedano i relativi verbali e le dichiarazioni del tecnico di laboratorio Cucchi Barbara che ha tra l’altro affermato il 31.03.04: “L’operazione è stata condotta dal prof. Pierucci in maniera professionale ed ineccepibile e nessuno dei presenti al momento ha avuto da ridire sull’operato svolto. Una volta posto in evidenza la parte interessata, il prof. Pierucci ha estratto la cartilagine tiroide, stando ben attento a non toccare i corni della stessa. Preciso ancora che il prof. Pierucci ha scarnificato completamente la cartilagine tiroide, estraendola con molta cautela e facilità, senza toccare minimamente i corni della stessa. Una volta estratta la parte veniva mostrata ai presenti i quali non hanno fatto alcuna osservazione. L’operazione è durata circa tre ore, data l’estrema cautela impiegata dal prof. Pierucci. Quando lo steso ha mostrato la cartilagine prima descritta ben scarnificata, ha evidenziato la linea di frattura esistente nel corno superiore sinistro e nessuno ha obbiettato nulla, ne sulla parte, ne sull’operato del professore. A quanto mi ricordo la frattura interessava solamente il corno superiore sinistro della cartilagine tiroide.

E ovviamente l’onere della prova del preteso carattere post – mortale della lesione avrebbe dovuto essere fornita dalla famiglia Narducci che ha sì cercato di contrastare le indagini sin dall’11.02.02, lo stesso accertamento ex art. 360 c.p.p. il 31.05.02 e il primo e il 3 giugno 2002 e gli accertamenti più approfonditi sul collo, ivi compresa la dissezione, con diverse diffide il 7 e l’8 luglio 02, ma che non hanno assolutamente contestato, quando sarebbe stato il momento di farlo, la correttezza del Prof. Pierucci e non hanno mai ufficialmente invocato e documentato con chiarezza la pretesa posteriorità cronologica della lesioni alla morte.

A questo si aggiunga che la Procura ha dimostrato, come si vedrà, che il cadavere del lago non apparteneva al Narducci e che, a fortiori, l’ipotizzato (nel 1985) “annegamento” non ha trovato alcun riscontro obbiettivo.

Né il Prof. Signorini, escusso all’udienza preliminare del 9.11.09, è riuscito a contrastare le inequivoche risultanze derivanti in particolare dagli accertamenti del Prof. Giovanni Pierucci: lo stesso, infatti, si è dichiarato competente nel solo, limitato settore radiologico ed ha confessato la sua impreparazione in ambito medico – legale, ammettendo più volte, in tutta onestà, di non poter competere, sul punto, col Prof. Pierucci. Non solo, ma l’”esperto “pro veritate” di parte Narducci non ha saputo spiegare perché il carattere isolato della lesione e il mancato interessamento dei settori contigui si attaglierebbe di più a urti accidentali post – mortali subiti dal cadavere, del tutto ipotizzati e non provati, che non alla “pinza” manuale con cui uno o più assassini avrebbero raggiunto il corno superiore sinistro della cartilagine tiroidea del Narducci. Ma l’evidente difficoltà in cui s’è trovato il Prof. Signorini è emersa in maniera clamorosa quando, dopo aver ammesso che la frattura evidenziata si sarebbe potuta produrre prima della morte in un soggetto giovane e dopo aver fatto presente che, a sua conoscenza, il Narducci non era giovane al momento della morte, di fronte all’osservazione di questo PM che il gastroenterologo aveva 36 anni, appunto al momento della morte, ha dovuto ammettere con evidente imbarazzo: “ Allora era giovane….”.

Quando un CT non conosce non solo gli atti, come hanno dimostrato di non conoscerli i CC.TT. di parte Narducci, ma neppure l’età della vittima, poi non ci si deve stupire se si producono situazioni di questo tipo.

Questo è il quadro complessivo che emerge dalla fondamentale CT ex art. 360 c.p.p. del Prof. Pierucci, che chiude il discorso delle cause di morte del Narducci con l’omicidio per strozzamento e apre con decisione quello sull’incompatibilità del cadavere oggetto dell’accertamento ex art. 360 c.p.p., che è sicuramente del Narducci, con quello a suo tempo ripescato dalle acque antistanti il pontile di Sant’Arcangelo nel Lago Trasimeno.

Non a caso, numerose persone informate sui fatti hanno collocato il rinvenimento del Narducci non in un giorno festivo, com’è invece accaduto per il cadavere del lago, ma in un giorno lavorativo, verosimilmente identificabile nel mercoledì 9 ottobre.

Si vedano, in particolare, le dichiarazioni della D.ssa Spanu Giuliana del 14.02.04 che ha riferito, tra l’altro: “qualche giorno fa, trovandomi nel negozio “GAD” di generi alimentari, tra via Torelli e via Piervittori, nei pressi di via Annibale Vecchi, dopo un’edicola, e ascoltando il giornale radio che parlava della morte del Narducci, la cassiera, una signora biondina, con capelli corti, sui 50 anni, mi riferì che conosceva la sorella del morto perché sua figlia andava a scuola da lei e che un giorno, portando la figlia a scuola, nel pomeriggio, così mi sembra, il personale dell’istituto le disse testualmente: “la signora non c’è. Hanno ritrovato il cadavere del fratello che forse è il mostro di Firenze”. La cassiera, commentando le notizie, aggiunse che a Perugia tutti lo sapevano da tempo. Conosco questa signora da almeno quindici anni ma non so come si chiami “.

La cassiera è stata identificata dalla Squadra Mobile in Ceccarelli Martina che ha confermato che mandava la figlia alla Scuola di Ginnastica Artistica di Case Bruciate ove la sua insegnante era Elisabetta Narducci. Un giorno, di pomeriggio, le dissero che doveva tornare a prendere la figlia Alessia (o glielo dissero quando l’accompagnò), perché avevano rinvenuto il cadavere del fratello dell’insegnante. Portava Alessia alla scuola due volte alla settimana ed erano giorni lavorativi, non era domenica. Dopo l’episodio, Elisabetta non tornò più a fare l’insegnante.

Altre dichiarazioni estremamente significative sul punto sono quelle dell’allora Comandante dei VV. F. di Perugia, Ing. Gianfranco Eugeni che il 23.06.05 ha detto: “Il giorno del rinvenimento dovrebbe essere stato un giorno infrasettimanale, in quanto fui avvertito mentre stavo in ufficio o comunque al lavoro e non stavo a casa come stavo di norma la domenica. Ho il netto ricordo che si trattasse di un giorno lavorativo. Ero sicuramente al lavoro, perché non si trattava di una giornata festiva. Oltretutto, non collego nella mia memoria, il mio intervento al Lago e una partita allo Stadio. Sul posto mi accompagnò un mio autista che era un Vigile ausiliario. Poiché me lo chiede, le dico che il pontile presso cui fui portato era quello di San Feliciano e non di Passignano perché l’unica incertezza è tra questi due pontili. Mi pare proprio, però, che si trattasse del pontile di San Feliciano. Ricordo che mi fermai all’imboccatura di un qualcosa che non ricordo. Quello che rammento è che sicuramente non era un giorno festivo. Mi colpì il fatto che, per una vicenda così clamorosa, invece di trovare una marea di gente al mio arrivo, non trovai più nessuno se non la macchina dei VV.FF. dei sommozzatori. Si trattava di circa tre o quattro sommozzatori e non c’era più nessun altro…. Quando fui avvertito, ero sicuramente al lavoro. Il mio ricordo è che non partii per il Lago da casa, ma da fuori o dall’ufficio di Madonna Alta. Non mi sembra di essere partito da Corso Cavour dove avevo l’alloggio e dove l’autista stazionava. Ricordo alcuni episodi in cui intervenni anche di domenica tipo il rogo di Todi, quando fui avvertito mentre ero sotto la doccia del bagno di casa ed erano le 11 della domenica 25 aprile 1982 e il terremoto che colpì alcune zone della nostra provincia nel mese di aprile 1984. In quest’ultimo episodio, io mi precipitai, da casa in Prefettura, alle 7 del mattino. Ricordo anche che quel giorno avremmo dovuto fare una gita alle Grotte di Frasassi col Circolo Ufficiali. Ovviamente, la gita la fece mia moglie mentre io dovetti precipitarmi in Prefettura. “

Le dichiarazioni del Comandante Eugeni sono univoche: il giorno del rinvenimento del cadavere del Narducci era un giorno lavorativo, infrasettimanale. L’Eugeni era sicuramente al lavoro e non era a casa come avveniva di domenica. E, particolare ancora più rilevante, è il fatto che l’ing. Eugeni fu portato nel pontile di San Feliciano o in quello di Passignano, ma verosimilmente nel primo, fermandosi all’imboccatura di qualcosa. Quindi, il pontile presso cui si recò il Comandante dei VV. F. non era comunque quello di Sant’Arcangelo, cioè quello nel quale fu portato il cadavere dell’uomo ripescato domenica 13 ottobre e, ulteriore particolare di rilevantissimo significato, è il fatto che non trovò affatto la marea di gente che si sarebbe aspettato ma tre o quattro sommozzatori e nessun altro.

L’allora autista dell’Ing. Eugeni, Banti Alessandro, in data 11.07.05, ha confermato le dichiarazioni del primo, salvo a correggere il riferimento al luogo in cui entrambi si portarono, dicendo: “Ricordo che una mattina di un giorno feriale, tra le ore 09,00 e le ore 11,00, non ricordo di preciso che ora fosse, accompagnai l’Ing. Eugeni presso la darsena di Giuseppe Trovati in località San Feliciano di Magione, luogo da me conosciuto in quanto mio padre, all’epoca, custodiva una barca proprio in detta darsena. Aggiungo di conoscere perfettamente Giuseppe Trovati oggi come allora, anche se non frequento più la darsena in quanto la barca è stata da noi venduta. Accompagnai l’Ing. Eugeni presso la darsena in quanto il mio Comandante era stato chiamato ed avvisato, non so da chi, che era stato rinvenuto un cadavere al lago Trasimeno. Preciso che io ero a conoscenza che in quei giorni era scomparso il Dott. Francesco Narducci “.

Su questo punto, molto importante, non possono non richiamarsi le dichiarazioni del giornalista Federico Fioravanti, all’epoca de “Il Corriere dell’Umbria”, in data 23.01.06: “….mi ci sono recato il giorno in cui giunse la notizia dell’imminente ritrovamento di un cadavere. Io venni a conoscenza della notizia verso l’ora di pranzo, e decisi di recarmi al lago, non ricordo dove, ma mi pare vicino a una darsena. Giunsi al lago verso le 15-16 e ricordo che i presenti ci dissero che c’era un cadavere ed io detti per scontato che si trattasse del Narducci, tanto più che, poco dopo il mio arrivo, giunse anche il fratello dello scomparso con alcune persone, credo parenti. Qualcuno degli appartenenti alla Forse dell’Ordine o, comunque, dei presenti, mi disse che si trattava del fratello dello scomparso…. Ciò accadde qualche giorno dopo la scomparsa del Narducci. Ricordo con certezza che era pomeriggio e che io me ne andrai all’imbrunire. “.

Il 13 ottobre a Sant’Arcangelo, c’erano invece, sin da prima che il cadavere venisse depositato sul pontile, il Questore, con il suo autista, l’allora Capitano Francesco Di Carlo, elementi dei Vigili del Fuoco, gli elicotteristi Pennetti Pennella e Cioni, il Morelli e il Farroni (vds. le foto in atti, specie quelle nn. 06.P2.12 A_13.jpg; 07.P2.13°_14.jpg; 08.P2.14°_15.jpg; 09.P2.15°_16.jpg, tanto per citarne solo alcune. Nelle foto il Questore è il signore anziano coi capelli bianchi, vestito in giacca e cravatta). Quanto dichiarato dall’ing. Eugeni, quindi, conferma con decisione che il cadavere del Narducci fu in effetti rinvenuto qualche giorno prima del 13 ottobre, giorno a cui risale il rinvenimento ufficiale del Narducci.

Anche Fabrizio Buscioni, all’epoca Dirigente accompagnatore del Perugia Calcio, ricorda che il giorno del rinvenimento del Narducci era un giorno lavorativo: “Domanda: ” Quando l’ hanno avvertita che era stato trovato il Narducci? “———–// Risposta: ” Ricordo che era il pomeriggio di un giorno lavorativo. Poteva essere anche sabato, ma di sicuro non era festa. Me lo ricordo bene perché, se fosse stato domenica pomeriggio, sicuramente sarei stato allo stadio, come accompagnatore del Perugia o ad ascoltare le partite. “. Si vedano le dich. rese il 18.01.2005.

Anche l’allora Procuratore Dr. Nicolò Restivo, assunto a informazioni il 13.10.2005, ha collocato il rinvenimento del Narducci in un giorno lavorativo e, cosa ancora più importante, ha escluso di essere mai stato informato delle indagini della Squadra Mobile e del Nucleo di PG.

E come non richiamare in proposito le dichiarazioni rese da Ferri Giancarlo ? Nel suo primo verbale del 17.02.04, il Ferri afferma testualmente: “Domanda: “ Quando ha saputo della scomparsa del Narducci? “Risposta: “ Lo seppi verso le 15,30-16,00, più o meno…. L’indomani, dopo aver lavorato al mattino e aver pranzato verso le 13,30 circa, feci un giro a San Feliciano e mi recai al pontile a un centinaio di metri più a sud, rispetto alla darsena di Trovati. Come ho detto, a quanto ricordo, era il giorno dopo la scomparsa del medico. In lontananza, avevo visto che in quel punto vi erano tre o quattro barche al largo dell’isola Polvese a sud-sud ovest rispetto alla costa meridionale dell’isola, nella zona del Muciarone. Io ero a terra e per una mezz’oretta ho osservato le barche e i pescatori che si adoperavano per cercare qualcosa…. A un certo punto, verso le ore 15,30-16,00 circa, ho visto una certa animazione nella zona delle ricerche…..Non mi ricordo quanti pescatori c’erano nella barca con il cadavere. Mi pare uno solo. Ho visto il cadavere a circa un metro di distanza perché mi sono avvicinato e l’ho osservato per circa sette-otto minuti…. Il cadavere era steso sulla barca, supino, con le palme delle mani rivolte verso l’alto e all’altezza delle spalle, come se facesse l’atto di arrendersi. I capelli erano di lunghezza normale e leggermente radi sulla fronte. Quest’ultima era di media altezza. Gli occhi non erano gonfi ed erano semi-chiusi; il naso era regolare e, a quanto ricordo non notai lesioni al volto né notai sangue; le labbra erano un pochino violacee ma erano di dimensioni normali e non gonfie; il colorito era bianco pallido. Le braccia erano robuste e muscolose e l’uomo indossava una maglietta estiva marroncina. Ricordo che faceva caldo e questo tipo di indumenti non mi stupì…L’uomo non era gonfio e soprattutto non aveva pancia, era asciutto e normale come dimensioni. Non aveva pantaloni a quanto ricordo, ma aveva un costume da bagno. Mi pare che il costume fosse a pantaloncini corti, ma non ricordo nient’altro. Le gambe erano nude e non aveva né calze né scarpe a quanto ricordo. La barca era lunga circa cinque-sei metri e il cadavere si trovava al centro della stessa. La testa era rivolta verso la prua ed io lo vidi dalla testa ai piedi, cioè al contrario. Dalla testa alla prua vi sarà stato circa un metro di distanza e i piedi erano distesi lungo il fondo della barca…..Sulla barca c’era, a quanto ricordo, una sola persona che mi pare che io conoscessi ma non saprei indicarne il nome…. Quello che posso affermare con sicurezza è che intorno non c’erano forze di Polizia né loro imbarcazioni…. Ripresi la macchina e mi diressi a casa a Monte del Lago, lasciando il cadavere sempre in quel punto, cioè all’interno della barca….. Dopo circa due o tre giorni, più o meno, forse anche più, al TG/3 regionale vidi le immagini del rinvenimento del cadavere del Prof. Narducci, così disse il giornalista. Rimasi stupito da questa trasmissione perché io il cadavere l’avevo visto alcuni giorni prima e non riuscivo a capire come mai la notizia fosse stata data quella sera, ad alcuni giorni di distanza dal rinvenimento. Rimasi altresì stupito, perché il cadavere era stato rinvenuto a Sant’Arcangelo e non a San Feliciano come avevo visto io. La televisione non fece vedere le immagini del rinvenimento a Sant’Arcangelo, ma fece vedere la foto dello scomparso, un uomo giovane, alto e ben piazzato. Era impossibile che avessero trovato a Sant’Arcangelo, alcuni giorni dopo, il cadavere che io avevo visto alcuni giorni prima….. Debbo precisare… che il cadavere che vidi il 9, lo vidi al rovescio ed era in maglietta, pallido e bagnato…..Sono stato l’unico che ha visto il Narducci cadavere e che ho avuto il coraggio di parlare, perché gli altri che l’hanno visto non lo ammetteranno mai”.

E il 23.02.04 il Ferri, in maniera ancora più esplicita, dichiara: “Viene mostrata a questo punto al Sig. FERRI le foto di cui al nr. 1-B datata 10.06.2002, che raffigura un pontile, un cadavere disteso sul bordo sinistro del pontile, guardando verso il lago, e un gruppo di persone tra cui Carabinieri in divisa. Domanda: “ Riconosce il cadavere da lei visto in quello che vede nella foto che le mostro? E riconosce comunque l’immagine che lei vede in questa foto come quella relativa al ritrovamento del cadavere a cui lei ha fatto riferimento? “Risposta: “ Assolutamente no. Il cadavere che vedo nella foto mi sembra piuttosto gonfio, mentre quello che ho visto io era snello e asciutto. Inoltre l’uomo che vedo nella foto sembra indossare una camicia, mentre quello che ho visto io, aveva una maglietta marroncina. Infine, l’uomo che io vidi non aveva pantaloni tantomeno con una cintura chiare come quella che vedo nella foto“.-// Viene mostrata a questo punto al FERRI, la foto nr. 4 32-A/33, raffigurante un gruppo di persone intorno al cadavere tra cui un Ufficiale dall’Arma e un Brigadiere, entrambi in divisa estiva, con il cadavere sulla sinistra di cui si scorge il capo e il volto. Domanda: “ Conferma di non riconoscere quel cadavere?“ Risposta: “ Escludo al cento per cento che il cadavere da me visto sia quello che vedo raffigurato nella foto. Questo cadavere che vedo nella foto ha il volto nero in modo impressionante, ma il cadavere che vidi io era normalissimo ed era bianco pallido “. Viene poi mostrata la foto nr. 2 14°-15, raffigurante un molo, sul Lago Trasimeno, con una imbarcazione sulla sinistra del pontile e un gruppo di persone tra cui due militari dell’Arma che adagiano, sul pontile stesso, un cadavere. Domanda: “ Riconosce l’imbarcazione che vede come quella che trasportò il cadavere da lei visto? “- Risposta: “ No, assolutamente. Il cadavere che io vidi era su una barca da pescatore, a motore. “

Vengono mostrate a questo punto al FERRI, le foto dell’album fotografico nr. 2/2003 del G.I.DE..S. di Firenze, rovesciate per simulare il modo in cui lo stesso FERRI vide il cadavere da lui descritto.– Domanda: “ Trova una rassomiglianza fra l’uomo che lei vide cadavere e qualcuno degli uomini di cui alle foto che le mostro, iniziando dalla pagina finale?” Risposta:” Trovo una certa rassomiglianza tra il cadavere che io vidi e l’uomo di cui alla foto che lei mi dice corrispondere alla numero 0041 e che raffigura un uomo in giacca e cravatta. Una qualche rassomiglianza la trovo nella foto che lei mi dice corrispondere alla numero 0019, raffigurante un uomo in camicia o maglietta azzurra, ma la rassomiglianza più forte la trovo nelle foto che lei mi dice corrispondere ai numeri 0004, 0003, 0002 e 0001. Eccolo al cento per cento, soprattutto nelle foto che raffigurano il giovane a torso nudo, con un maglione e una pipa e in giacca e cravatta ! Anche la foto 0003 mi ricorda moltissimo il cadavere che io vidi, soprattutto trovo una forte rassomiglianza nelle braccia. Inoltre la maglietta indossata dal giovane di cui alla foto nr. 0003, assomiglia a quella indossata dal cadavere.”. –// Si dà atto che la foto nr. 0041 corrisponde a VITTA Johanan, la foto nr. 19 corrisponde a POLI Paolo, mentre le foto 0001, 0002, 0003 e 0004, corrispondono a Francesco NARDUCCI. Si dà altresì atto che il FERRI esclama ripetutamente, guardando le prime quattro foto 0001, nr. 0002, nr. 0003 e nr. 0004:” Eccolo è lui !”.

A questo punto vengono mostrate al FERRI le foto nr. 0001, 0002, 0003 e nr. 0004, in posizione non rovesciata. Domanda:” La foto che lei vide al Telegiornale, nell’ottobre 1985, a quale delle quattro poteva assomigliare di più?”Risposta:” A quella in cui l’uomo ha camicia, giacca e cravatta. Per questo mi sembrava diverso dal cadavere che avevo visto e che era in maglietta, non perché non somigliasse a quel cadavere, ma perché era ben vestito. Invece la foto che mi ricorda più quel cadavere, è quella nr. 0001 in cui il giovane è raffigurato a torso nudo.”Domanda:” Lei ha riconosciuto soprattutto l’uomo di cui alle foto dal nr. 0001 al nr. 0004 perché ha visto, recentemente, quel volto in televisione, oppure perché quel volto rassomiglia molto a quello del cadavere che lei vide a San Feliciano?” Risposta:” L’uomo che vidi cadavere è uno di quelli che ho indicato dal nr. 0001 al nr. 0004 e, guardando meglio le foto, quello che me lo ricorda di più è il giovane di cui alla foto nr. 0003, sia perché indossa una maglietta pressoché identica a quella del cadavere che vidi a San Feliciano, sia per la robustezza delle braccia. Inoltre l’uomo che corrisponde a queste quattro foto, ha lo stesso volto del cadavere che io vidi a San Feliciano…..A quanto ricordo, la televisione fece vedere le immagini del ritrovamento qualche giorno dopo il ritrovamento del cadavere di Sant’Arcangelo e, quando vidi quelle immagini, esclamai, rivolto a mia moglie: “ Ma questo non può essere perché io l’ho visto qualche giorno fa a San Feliciano, non a Sant’Arcangelo ! “. Non ricordo se avevo raccontato a mia moglie Cavoli Maria di aver visto il cadavere a San Feliciano. Quando, però, vidi le immagini del ritrovamento a Sant’Arcangelo, non potei fare a meno di manifestare il mio stupore”.

Sono dichiarazioni che non abbisognano di commenti di sorta e sono dichiarazioni di un onesto lavoratore residente non a San Feliciano ma nel vicino centro di Monte del Lago, anch’esso frazione di Magione, un uomo che ha saputo resistere alla tentazione dell’omertà, purtroppo manifestatasi sistematicamente, in relazione alla vicenda Narducci, nell’ambiente di San Feliciano.

Il pescatore Scarchini Celestino, sentito in data 21.10.04, descrive il Ferri come: “bravissima persona, piena di buon cuore“.

Proprio per questo, il Ferri, come lui stesso ha rivelato il 17.09.2004, è stato avvicinato tre o quattro giorni prima di essere sentito dal pescatore Luigi Dolciami che lo ha invitato a ritrattare le sue dichiarazioni, ma il Ferri ha troncato il discorso, avendo avuto il sentore che si trattava di un’indebita pressione. E non è un caso che proprio il Dolciami sia stato “scoperto” come un teste chiave in sede di opposizione alla richiesta d’archiviazione del procedimento n. 1845/08/21 dalla difesa del Calamandrei e dello Spezi, con quale rispetto per il reale contenuto delle dichiarazioni dello stesso Dolciami, si vedrà meglio in seguito.

Sempre a conferma del rinvenimento del Narducci nel pomeriggio del 9 ottobre e del fatto che il medico era stato ucciso, sono le dichiarazioni rese il 15.12.03 dall’Isp. Leonardo Mazzi, all’epoca in servizio alla Squadra Mobile. Si riporta questo brano: “in quel periodo ero alla Squadra Mobile, alla sezione anti droga. Se ben ricordo, un pomeriggio, negli Uffici della Squadra Mobile, arrivò la notizia del ritrovamento del Professor Narducci ed all’epoca, vi era come dirigente il Dr. Speroni ed il comandante della Squadra Mobile era il Maresciallo Napoleoni. Se ben ricordo il Maresciallo Napoleoni andò sul posto e forse, come sua abitudine, andò via con un collega sardo di quelli presenti, che erano Sardara Giampiero, Cambula Angelo e Pascai Giuliano. Per certo, il giorno in cui loro partirono per il lago io non vidi rientrare il personale che si era recato sul posto, in quanto mi recai a casa mia, in quanto erano sopraggiunte le ore 20,00. I miei ricordi mi portano a pensare che il momento che arrivò la notizia del ritrovamento del cadavere era di pomeriggio, perché mi sembra di ricordare che quando partì il personale per il lago, iniziava ad imbrunire. Ricordo che dopo il ritrovamento del cadavere, all’interno dei corridoi della Questura, si diceva che il Narducci fosse ubriaco e che era stato ritrovato con le mani legate dietro la schiena. Tale voce girava più specificatamente nei corridoi della squadra mobile. Questi discorsi vennero fuori alcuni giorni dopo il ritrovamento del cadavere. Alla Squadra Mobile eravamo circa diciotto persone e posso escludere che il particolare delle mani e dei piedi legati dietro la schiena me lo abbiano riferito Ranauro Sergio, Tunesi Giuseppe, Marini Luciano, tutti appartenenti all’anti droga e ritengo che la voce possa essere venuta fuori da quella parte del personale che si era recata al lago per gli accertamenti e cioè, probabilmente, dal Maresciallo Napoleoni, dall’Agente Tardioli, dai colleghi Sardi, tale Cambula , Pascai e Sardara. Mi ricordo, almeno così mi pare, che il personale che fece gli accertamenti disse che il cadavere era legato mani e piedi, dietro la schiena, e che già era stato ripescato e portato a riva prima del loro arrivo. Dissero anche che il Narducci era “ incaprettato” così come usano dire i sardi. “.

Tutto quanto sin qui descritto porta ad un’unica conclusione: vi doveva essere qualcosa di enorme, di terribile, di inconfessabile se, per “coprire” il tutto, il gruppo interessato a mantenere il segreto su quella morte, ha dovuto organizzare una messinscena che, a raccontarla, ha dell’incredibile

Eppure, i fatti si debbono accettare, quando sono evidenti. Qui, il ricorso alla fantasia si rovescia: bisogna ricorrervi, e nemmeno basta, se si vuol continuare a sostenere, anche oggi, oltre ogni evidenza dei fatti, dopo le indagini, dopo le CC.TT., dopo le dichiarazioni di tante persone informate sui fatti, la versione del 1985….

Sarebbe follia, autentica follia, imbastire una “sceneggiata” di questo tipo, se si fosse trattato di una banale disgrazia….Non possiamo prenderci in giro.

Proprio in relazione ad uno dei capisaldi della ricostruzione, la morte per omicidio del Narducci, occorre richiamare alcuni strani episodi che si verificano dopo la scomparsa del giovane medico.

Di questi episodi hanno parlato soprattutto Ornella Servadio, amica di famiglia dei genitori e anche dei suoceri di Francesco e il suocero di quest’ultimo, Gianni Spagnoli.

In uno dei giorni successivi al 9, un “ometto”, così lo descrive la Signora Servadio, bussa alla porta di casa Narducci e, senza specificarne la provenienza, lascia a Ornella un mazzo di fiori “spelacchiati” e una cravatta forse usata, avvolta in una carta forse di giornale. Lo sconosciuto le consegna a Ornella dicendo che sono per il Professore. Ovviamente né Ornella né tantomeno Lisetta riescono a comprenderne il significato (vedasi le dichiarazioni di Ornella Servadio, in sede di incidente probatorio, in data 20.01.2006, alle pp. 15 e 16).

Baldassarri Giordana, che aveva lavorato come ostetrica all’Ospedale di Foligno, dove il Prof. Ugo era il primario e che era stata anche alle dipendenze di quest’ultimo nell’ambulatoriuo privato, oltre che lontana parente del noto pescatore Luigi Dolciami, sentita in sede di incidente probatorio, ha qualificato quello che l’anziana signora Ornella Servadio aveva indicato come “fiori spelacchiati”, come dei “bulbi” e questo perché glielo confermò il destinatario del “presente”, cioè il Prof. Ugo. Si riporta la domanda e la risposta della Baldassarri all’udienza del 16.12.2005 (vds. p. 52): “il Professore Ugo le ha parlato dell’invio di una cravatta e di bulbi? GIORDANA BALDASSARRI: sì. “.

Un mese o due dopo la scomparsa di Francesco, mentre Ornella e Lisetta sono in auto, quest’ultima mostra alla prima una lettera anonima con l’indirizzo del Professor Ugo, con la scritta “i mostri generano i mostri” (vds. lo stesso verbale del 20.01.2006 alle pp. 23 e 24).

Quanto a Gianni Spagnoli, si riporta la descrizione dell’episodio con le parole usate nel verbale di assunzione a informazioni del 21.02.2002: “in uno dei giorni fra la scomparsa e il ritrovamento del cadavere, mentre ci trovavamo nell’abitazione dei Narducci nei pressi di via Savonarola, qualcuno bussò alla porta e consegno alla domestica o ad una amica un pacco che conteneva dei fiori di campo tipo margherite spezzati in due, ed uno scopetto del gabinetto, con il manico di colore giallo, spezzato per metà in due. Il pacco era confezionato disordinatamente quando venne aperto il pacco la madre di Francesco si mise a piangere e qualcuno disse che erano i soliti che portano male, che fanno le fatture. Io rincorsi l’uomo che aveva portato il pacco che mi venne descritto come un “ornino” ma questi si era dileguato. “ Fiori di campo spezzati in due e uno scopetto del gabinetto anch’esso spezzato in due e l’uomo che porta questo singolare messaggio che si dilegua dopo la consegna del “presente”. Non vi è bisogno di essere esperti di simbolismo per cogliere il significato tragico, allusivo ad un’azione cruenta compiuta sulla vittima, nel particolare dei fiori e dello scopetto spezzati in due e, insieme, spregiativo, derivante dal tipo di utilizzo dello scopetto. E non c’è da meravigliarsi che la madre del giovane medico sia scoppiata a piangere disperata alla vista di questi oggetti, recapitatile dopo la scomparsa del figlio di cui ancora, peraltro, si ignorava la morte, almeno ufficialmente.

A questi episodi va aggiunto quanto dichiarato da una Signora, vicina di casa e conoscente dei Narducci, specie all’udienza del 18.11.2005, in sede di incidente probatorio nel procedimento riunito n. 8970/02/21. Si tratta di Elisa Zelioli Lanzini.

A p. 168 del verbale in questione la signora riferisce che, recatasi da un fioraio della zona di Via dei Filosofi, vicina all’abitazione sua e dei Narducci, per acquistare dei fiori, il giorno dopo la scomparsa del medico, si imbatté in una scena che la stessa aveva descritto nelle indagini ed ha puntualmente confermato nel contraddittorio delle parti in questi termini: “Io sono andata dal fioraio di Via dei Filosofi che allora era gestito dalla famiglia Carnevali perché dovevo ordinare un mazzo di fiori da mandare in una famiglia, è entrato un signore giovane, quarantenne, quaranta… quarantenne più o meno e ha chiesto: “conoscete i Narducci, stanno qui vicino?” e la fioraia, la Signora Carnevali dice: “sì conosciamo la famiglia e conosciamo dove abitano” “perché io vorrei mandare dei fiori” allora c’è stato un momento di silenzio perché probabilmente nella zona si sapeva già qualche cosa che forse non c’erano notizie di questo Professore. Lui si è sentito osservato e ha detto: “si sa che quando le persone frequentano certi ambienti probabilmente possono succedere certe cose” . Sulla data esatta dell’episodio, si veda anche alle pp. 178 e 179.

Come si inquadrano questi episodi in un contesto di mera disgrazia quale quello imposto nel 1985 dalla frettolosa sceneggiata che si verificò nel pontile di Sant’Arcangelo ? Come spiegare questi episodi ?

Gli inquietanti messaggi inviati ai genitori del gastroenterologo, allusivi ad una morte violenta che gli anonimi mittenti caricano, per giunta, di disprezzo, quale l’è indubbiamente l’utilizzo dello scopettino da water ?

Come spiegare l’invio di una cravatta, verosimilmente usata, ad una famiglia che era apparentemente in ansia per il mancato ritrovamento di un figlio che sembrava il ritratto del successo e del benessere ?

E come spiegare l’anonimo che, dopo la morte del medico, si rivolge al padre, qualificando lui e il figlio morto come dei “Mostri” ?

E il commento dello sconosciuto, forse l’infermiere Bordighini, che quando si frequentano certi ambienti, alludendo al Narducci, poi non ci si deve stupire che succedano certe cose ?

Su questo punto, vanno richiamate anche le dichiarazioni rese da un dipendente dell’Istituto di Zooprofilattica, Paoletti Artemio, che il 09.02.04, ha dichiarato: “poco dopo l a morte del Narducci, in una giornata ancora abbastanza calda, tanto che io portavo una maglietta estiva, mentre mi trovavo al telefono in una sala d’ingresso dell’Istituto, vidi due persone a pochi metri da me, una delle quali io conoscevo di vista, che parlavano della morte del Narducci. La persona che io conoscevo era un signore alto e magro, con capelli radi, sui 45-50 anni, che parlava in perfetto italiano, e comunque non era né perugino né toscano. Sicuramente era un medico, non un veterinario…. L’altro individuo, invece, era più robusto dell’altro, più o meno della stessa età dell’altro, con una inflessione diversa dall’altro. Mentre stavo al telefono ho sentito uno dei due che diceva all’altro :”Hai visto che è morto Francesco Narducci? “ . L’altro ha osservato:” Non è morto. L’ hanno ammazzato!” Quando ho sentito questa frase mi sono girato e i due sono rimasti sorpresi della mia curiosità e se ne sono subito andati a bordo di una elegante autovettura, presumo di colore rosso. Se rivedessi la persona che conoscevo di vista, sarei in gradi di riconoscerla. In tutti questi anni quelle parole mi sono rimaste impresse, anche perché contrastavano con la versione ufficiale della morte di Francesco Narducci….. Quando assistetti all’episodio, io conoscevo il nome di quella persona , ma non riesco assolutamente a ricordarlo. Quello che ricordo è che i due pensavano che io fossi intento a telefonare e rimasero sorpresi quando io mi voltai per osservarli.

Le indagini collegate. Il coinvolgimento del Narducci nella vicenda del “Mostro di Firenze”.

Da allora in avanti, le indagini, dipartitesi in diversi procedimenti, poi riuniti, non hanno fatto altro che confermare con estrema e insospettabile vitalità e coerenza l’ipotesi del “doppio cadavere”, divenuta ormai certezza dopo le univoche CT susseguitesi nel corso delle indagini e in particolare dopo quella affidata l’8.11.06 dagli allora coassegnatari del procedimento 2782 al Ten. Col. Luciano Garofano e all’App. Sc. Cc. Saverio Paolino del RIS Carabinieri di Parma e da questi depositata il 22.05.07 e dopo le accertate implicazioni del Narducci nella tragica vicenda criminale fiorentina, giornalisticamente conosciuta come quella del “Mostro di Firenze”.

Sotto l’aspetto del “doppio cadavere”, è risultato che il cadavere ripescato dalle acque del Lago Trasimeno aveva “una altezza di cm 160,5 (± 6 millimetri) ed una circonferenza corporea che corrisponde all’incirca a 99 cm.” (vds. la CT del RIS di Parma a p. 72).

Va ricordato che il Narducci era alto circa 1,82 ed era decisamente longilineo. Una descrizione delle sue misure ce l’ha data il Prof. Giancarlo Agnelli, già compagno di studi del gastroenterologo, divenuto poi titolare della cattedra di Medicina Interna della Facoltà di Medicina di Perugia. Questi, in data 11.09.02, ha affermato: “A.D.R. ricordo che Francesco era alta circa 1,82 mt e non pesava più di 75 Kg, almeno così penso. Credo che non portasse una taglia più grande del 48.

Per concludere sul punto, si richiama un brano delle dichiarazioni rese da Raspati Francesca, figlia di Raspati Fordise, rese in data 29.12.03. La ragazza, che conosceva il medico, era tra i curiosi che si assiepavano subito al di là del pontile in quella mattina di domenica 13 ottobre 1985. Ecco che cosa ha riferito, tra l’altro: “Mi colpì anche la straordinaria diversità del cadavere da me visto rispetto al NARDUCCI che io conoscevo di persona. Tra l’altro questo cadavere indossava dei rozzi pantaloni di colore molto ambiguo tra il cartazucchero ed il grigio, allora in voga tra persone anziane e del tutto inadeguato ad una persona raffinata come il NARDUCCI. “.

Va aggiunto che, come e ancora di più che su altri particolari, sull’assoluta discrepanza tra il cadavere del pontile ed il cadavere di Pavia, specie a livello di circonferenza addominale, nessuno degli imputati che videro il cadavere di Sant’Arcangelo e in particolare il Prof. Ugo e il figlio Pierluca hanno mai saputo fornire una qualche spiegazione: si sono limitati a confessare di non sapersi spiegare un fatto del genere.

Sotto il profilo della “connessione fiorentina”, oltre a quanto già indicato circa i molteplici riferimenti al Narducci, illustrati da p. 5 a p. 12 e relativi ad attività di indagine di organi di Polizia giudiziaria, della stessa Procura di Firenze e di persone imputate per i delitti di coppie (come Pietro Pacciani), vi sono state le ripetute, convergenti e significative dichiarazioni di persone informate sui fatti e, addirittura, di un condannato in via definitiva per gli ultimi quattro duplici omicidi (come Mario Vanni), non appena la foto del Narducci è stata loro mostrata specie dagli inquirenti del G.I.De.S. ma anche in certi casi, da quelli del R.O.N.O. CC. Perugia.

In certi casi, è risultato che il Narducci frequentasse i “compagni di merende”, in particolare Giancarlo Lotti e/o persone coinvolte dalle indagini collegate o, comunque, il territorio fiorentino e delle aree limitrofe, specie di San Casciano (e talvolta anche del Mugello), celando la sua identità, per lo più spacciandosi per un medico di Prato o, comunque, per un soggetto proveniente da quest’ultima città, ma talvolta presentandosi proprio come Francesco Narducci. E il fatto che il gastroenterologo avvertisse la necessità di celare la sua identità, è indicativo di motivi poco “ostensibili” e commendevoli circa la necessità che avesse di frequentare quelle zone e quelle persone.

E a proposito del farmacista Calamandrei, uno dei soggetti indubbiamente frequentati dal Narducci, e della sua assoluzione, con la formula “attenuata” (difetto, insufficienza o contraddittorietà della motivazione) del secondo comma dell’art. 530 c.p.p., questa sentenza incide, coi limiti derivanti dalla formula assolutoria scelta dal GUP, solo sul fatto che il Calamandrei fosse l’unico mandante degli ultimi quattro duplici omicidi in concorso con Pacciani, Vanni e Lotti (gli ultimi due definitivamente condannati), ma gli aspetti della vicenda fiorentina che rimangono al di fuori di tale pronuncia e che interessano direttamente il Narducci (come riconosciuto dai due PM fiorentini Canessa e Crini) sono troppo estesi e significativi per essere anche soltanto sottovalutati.

E non è un caso che proprio nella sentenza del GUP Dr. De Luca emessa in data 21.05.08, ma la cui motivazione è stata depositata il giorno 22.12.08, si leggono dei passaggi che legano i dubbi, o, per meglio dire, le “ombre” che residuano nella posizione del Calamandrei proprio alla persona del Narducci. Si veda, in proposito, l’intero capitolo dedicato al Narducci, intitolato “Le convergenze investigative con le indagini della Procura di Perugia: il dottor Francesco NARDUCCI”, da p. 172 a p. 202.

A pag. 201 il GUP osserva che le molteplici e reiterate conferme della presenza del Narducci a San Casciano e della sua frequentazione della farmacia Calamandrei, comportano “un’ombra nera…nei suoi confronti”, perché il Calamandrei ha inspiegabilmente e pervicacemente negato questa conoscenza.

A p. 207 della sentenza il GUP aggiunge: “ Le modalità della morte del Narducci, e ciò che ne è seguito, alla luce di quanto risulta realmente emerso sulla persona e sui suoi contatti a San Casciano, e non di mere congetture, portano effettivamente un’ombra di sospetto sul Calamandrei, il quale, avendo sempre serbato nel presente procedimento un atteggiamento di assoluto riserbo….solo in tale ambito ha negato decisamente qualsiasi sua conoscenza con detto personaggio” e. più avanti, a p. 209: “ L’unica, vera ombra è rappresentata….dalla vicenda “Narducci”, del quale comunque sono stati affermati la frequentazione di San Casciano e il rapporto col Calamandrei (vds., ad esempio, pp. 205 e 207).

Solo che il GUP Dr. De L:uca ha ritenuto, a mio avviso, erroneamente, di non aver potuto utilizzare le risultanze dell’indagine di questa Procura, perché la stessa non avrebbe condotto a risultati concreti, essendo intervenuta l’archiviazione del procedimento a carico del Calamandrei, ciò che, quantomeno alla data di deposito della motivazione della sentenza, cioè al 22.12.08, era all’evidenza non conforme alla realtà, perché, a quella data, vi era solo la richiesta di questo PM…. Orbene, a prescindere dal fatto che la richiesta è ancorata all’art. 125 disp. att. c.p.p. e, quindi, ad una insufficienza di elementi atti a sostenere l’accusa in giudizio o addirittura, per altri reati, diversi dall’omicidio, alla prescrizione e che la richiesta conferma e certifica tutto l’impianto accusatorio a suo tempo fatto proprio dal Tribunale d’Appello cautelare di Perugia con l’ordinanza irrevocabile del 7/21.12.2004, il GUP fiorentino, nella sua sentenza, non ha tenuto conto del fatto che vi è un procedimento giunto all’udienza preliminare per i fatti connessi alla morte del Narducci, quale l’attuale processo n. 2782 del quale bisognerà pure attendere l’esito, ben potendo dallo stesso giungere quegli elementi cui ha fatto riferimento il Dr. De Luca. Quest’ultimo ha, quindi, emesso una sentenza su un presupposto di fatto, uno tra i tanti, che da Perugia possiamo ritenere del tutto errato.

Questa difficoltà dell’Autorità giudiziaria fiorentina di valutare adeguatamente le risultanze delle indagini perugine, che pure, anche dal GUP De Luca, sono ritenute pacificamente collegate a quelle fiorentine, è un altro dei “misteri” di questa vicenda sul quale hanno pesato in maniera irreparabile, forse, i contrasti insorti tra le due Procure verso la fine del 2004.

Oltre a ciò, i riferimenti al Narducci, formalmente estraneo al “fatto contestato” nella richiesta di rinvio a giudizio e “assurto” a co-protagonista del processo Calamandrei in fase di discussione e di replica, esulano, è evidente, dalla portata della sentenza stessa e dal giudicato, stante il disposto dell’art. 521 c.p.p., trattandosi di riferimenti del tutto incidentali, cioè obiter dicta. Come mai il Narducci sia assente nella richiesta di rinvio a giudizio della Procira di Firenze, ma divenga, assieme all’imputato Calamandrei, il protagonista del processo, solo in sede di discussione e di replica, è un altro, l’ennesimo dei misteri del risvolto fiorentino di questa vicenda.

Oltre alla stranezza della sconnessione tra i fatti formalmente contestati al Calamandrei e l’oggettiva modificazione degli stessi, intervenuta in sede di discussione e di replica, con il pieno inserimento del Narducci come “mandante”, su cui ha posto l’indice il GUP a p. 12 della sentenza, vi è anche il fatto che, esaminando i numerosi informati che attestano la presenza del Narducci a San Casciano e presso la farmacia del Calamandrei, manca quello più importante e significativo, cioè l’allora Carabiniere Roberto Giovannoni di cui si tratterà più avanti, benché tali dichiarazioni fossero state da me trasmesse alla Procura fiorentina.

Il Narducci è stato riconosciuto, si è detto, frequentatore dell’ambiente legato alla tragica sequenza criminale fiorentina da Lorenzo Nesi, dalla defunta Gabriella Ghiribelli, da Filippa Nicoletti e da Pucci Fernando, già testimoni al processo ai “compagni di merende” e da altri, come, ad esempio, Marzia Pellecchia.

Per i riferimenti, si veda soprattutto l’informativa n. 362/03/G.I.De.S. del 17.11.03.

Brevemente.

La Pellecchia viene sentita il 4 e 7.02.2003. Alle pp. 2, 3 e 4 della citata informativa si legge che in particolare, oltre al Pacciani, al Vanni ed al Lotti, la donna aveva riconosciuto anche il Calamandrei Francesco, nonché il Narducci Francesco. Quest’ultimo da lei conosciuto come un medico di Prato.

A proposito del Narducci, la Pellecchia aveva fornito una descrizione fisica perfettamente sovrapponibile proprio al medico perugino. Aveva spiegato, infatti: “era più giovane di tutti gli altri uomini…vestiva elegantemente;……. in particolare ricordo che portava una catena a maglie larghe con una medaglia; lo stesso parlava correttamente l’italiano senza inflessione particolare;….. aveva un fisico sportivo, alto circa 1.80, capelli chiari… parlava più degli altri dei viaggi che aveva fatto. Lo sentii parlare della Thailandia ed anche di sport acquatici”.

Sul fatto che il Narducci praticasse gli sport acquatici, il fatto è pacifico ed emerge dalle foto di famiglia allegate (vds. Pim 0021, in cui il medico è ripreso mentre pratica lo sci d’acqua), ma è stato comunque affermato con certezza dalla moglie Francesca Spagnoli sin dalla sua prima audizione dell’8.02.02.

Sul punto, si può richiamare, a titolo puramente indicativo, quando dichiarato dal Dr. Giuseppe Bacci, all’epoca dei fatti studente di medicina, in data 4.10.02: “Desidero aggiungere che l’ipotesi della disgrazia ci sembrava inverosimile trattandosi di un provetto nuotatore tant’è che più volte mi aveva proposto di insegnarmi a nuotare. “.

Ancor più significative sono le affermazioni di Giuseppe Trovati, il titolare della Darsena dove era ricoverata l’imbarcazione del Narducci. Il Trovati, sin dalle primissime dichiarazioni del 24.10.01, ha detto: “preciso che il Dr. Francesco Narducci era un nuotatore provetto, che già conosceva il surf quando ancora nessuno lo conosceva; faceva anche lo sci d’acqua. Domanda: il Dr. Narducci ha mai avuto problemi in acqua? Risposta: no. Posso dire che il Dr. Francesco Narducci era in grado di effettuare lunghe nuotate ed era molto pratico dell’acqua e del lago in particolare “.

Sul viaggio in Thailandia del Narducci e del fratello, si vedano le foto 0030, 0031 e 0032. Anche qui la moglie, in data 17.05.02, ha pienamente confermato il viaggio in Thailandia del marito, precisando che avvenne un anno prima del matrimonio, cioè, grosso modo, il 20.06.1980.

La casa nella quale si svolgevano i “festini” di cui ha parlato la Pellecchia è stata dalla stessa riconosciuta come quella ubicata in una zona tra San Casciano e Mercatale, contraddistinta col n. 4/a, vicina a villa Corsini.

La stessa aveva riconosciuto con assoluta certezza anche altre persone come Jacchia Gian Eugenio, tanto che aveva affermato che avrebbe potuto metterci “la mano sul fuoco”…. Aveva riconosciuto altresì Vinci Francesco, con cui – specificava – aveva avuto rapporti sessuali.

In data 13.2.2003, la Pellecchia veniva sentita a verbale dal P.M. dott. Canessa.

Nella circostanza aveva confermato le precedenti dichiarazioni e, a proposito del “medico di Prato”, cioè del Narducci, aveva spiegato: “…ebbi un rapporto sessuale con lui e, come ho spiegato alla polizia, mi dette l’impressione che aveva delle problematiche. Non fu violento, ma nell’amplesso fu brutale ed aggressivo. Fu un rapporto che contrastava con il tipo di persona che sembrava essere esternamente. Ebbi l’impressione che avesse problemi latenti ma non capii niente di più né lo so spiegare ora. Per me aveva qualche problematica fisica, ma anche questa non la so spiegare. Mi sembrò che con l’aggressività riusciva ad eccitarsi…ricordo che in entrambe le occasioni aveva la collana al collo…era una collana d’oro, almeno apparentemente. Sia la catena che il pendaglio erano o sembravano d’oro. La catena era a maglie larghe, grossetta. Non era lunga ma non era neppure un girocollo. Arrivava qualche centimetro sotto il collo. La medaglia poteva essere grande come le 100 lire dell’epoca…”.

Sempre nella medesima circostanza, rivedendo l’album fotografico, a proposito della foto del Narducci, aveva dichiarato: “…le dico che il medico di cui parlo io è quello raffigurato nella foto a destra senza cappello e con gli slip azzurri…”.

La Pellecchia ha precisato che quelle feste si svolsero in un’estate del 1980, 1981 o 1982, in cui vi erano i campionati di calcio. Questi si svolsero, com’è noto, nel 1982.

Quanto a Ghiribelli Gabriella, prostituta, anch’ella amica del Lotti e del Vanni, sentita a verbale il 28.2, il 1 ed il 5.3.2003, nonché il 5.6.2003, aveva riferito notizie di particolare interesse investigativo, fornendo, tra l’altro, riscontro anche alle affermazioni della Pellecchia circa la frequentazione di San Casciano da parte di Narducci Francesco.

Infatti, oltre ad avere riconosciuto nella foto del Narducci la persona da lei vista a San Casciano, ne aveva indicato anche le frequentazioni, tra cui un orafo ed un “medico di malattie tropicali”, identificati successivamente rispettivamente in Filippi Fabio, nato a Rapolano Terme il 12.3.1952, il primo e Sertoli Achille, nato a Volterra il 23.7.1934, con studio medico negli anni 80 a San Casciano, il secondo. Aveva indicato anche un medico svizzero, del quale però non aveva fornito elementi sufficienti per la sua identificazione.

In data 1 marzo 2003, a seguito di individuazione di luoghi, la Ghiribelli aveva riconosciuto la villa, ove all’epoca aveva abitato il medico che lei aveva saputo essere di nazionalità svizzera, e presso la quale si svolgevano i festini di cui aveva parlato.

Si era appurato così che si trattava della villa “La Sfacciata” (oggi in via di ristrutturazione), che si trova proprio accanto al luogo, in cui, nel 1983, furono uccisi i due giovani tedeschi mentre si trovavano nel loro furgone.

Tra le persone riconosciute dalla Ghiribelli, vi era, come s’è detto, anche il dermatologo Sertoli, che negli anni 80 aveva avuto uno studio medico a San Casciano. Era questo il “medico della pelle e malattie tropicali” di cui la donna aveva parlato e che si accompagnava al “medico svizzero” ed al “medico di Perugia”.

La Ghiribelli, come si è visto, è quella che aveva riferito al giornalista Amadore Agostini della presenza di una CX verdolina nei luoghi dei delitti.

Ma la stessa ha avuto, in epoca successiva, ulteriori contatti con un giornalista eugubino, operante a Perugia, Euro Grilli. Questi sentito in data 8.11.03 dai Carabinieri del R.O.N.O. di Perugia, ha riferito ai militari operanti due cose importanti, la prima delle quali attiene alla famosa lettera che il Narducci aveva lasciato e che attiene al capo XIII. Il Grilli ha riferito che nei pressi della barca del Narducci o al suo interno era stato rinvenuto un manoscritto dello stesso medico, dove, tra le tante altre cose, lo stesso diceva: “ Chiedo scusa a tutto il mondo” oppore “Chiedo scusa al mondo intero”. Il Grilli ha anche raccontato che un Maresciallo che vide quella lettera e prese cognizione del suo contenuto, sparì improvvisamente dopo perché trasferito non si sa dove e perché. L’altro particolare importante e che riguarda proprio la Ghiribelli è il riferimento, fatto dal Grilli, ad un colloquio con una prostituta fiorentina, bassa e grassa, avvenuto in Perugia, Piazzale Europa tra il 1988 e il 1989. Il Grilli ha riferito che, nel corso del colloquio, la donna disse al Grilli, impegnato in un’indagine giornalistica sulla prosituzione, che lei esercitava il meretricio non solo a Perugia ma anche in altre località della regione e, quando il Grilli, saputo che era di Firenze, le fece una battuta sul “Mostro”, la prostituta commentò che gli “umbri” dovevano stare attenti poiché, come raccontò il Grilli “il mostro era un medico delle nostre parti e che aveva uno studio a Firenze”. Quando al giornalista i militari mostrarono un album fotografico, lo stesso confessò, con i “brividi”, di riconoscere la prostituta fiorentina conosciuta in Piazzale Europa con la donna raffigurata nella foto n. 0048 che corrispondeva proprio a Gabriella Ghiribelli, come hanno attestato in calce al verbale il Maresciallo “A” s. UPS CC. Vincenzo Laurizi, il Maresciallo O. CC. Luca Rossi e il Vice Brig. CC. Stefano Navarri, tutti in servizio al R.O.N.O. del Comando Prov. di Perugia dei Carabinieri.

Passando a Nesi Lorenzo, amico di Mario Vanni, questi, sentito il 4 – 8 aprile e 22 maggio 2003, aveva fornito anche lui importanti ed inedite informazioni, che, tra l’altro, riscontravano le dichiarazioni della Ghiribelli, della Pellecchia e del Fioravanti.

Il predetto, tra le persone che frequentavano il bar di San Casciano e che conoscevano il Vanni, sfogliando l’album fotografico, sottopostogli in esame dall’ufficio, aveva riconosciuto, tra gli altri, il Narducci, di cui però non conosceva il nome, ma con certezza aveva spiegato di aver visto la persona raffigurata nelle foto mostratele a San Casciano. A tal proposito aveva aggiunto: “Ne sono proprio certo e credo che abitasse in una villa o comunque in una casa colonica grossa, che si trovava sulla strada che da San Casciano va verso Cerbaia, e precisamente vicino alla chiesa di San Martino. Non era sicuramente una persona del posto e mi sembra di ricordare di averla vista insieme al farmacista di San Casciano che si chiama Francesco Calamandrei”.

Alla domanda su come ritenesse che abitasse in quel posto, aveva precisato di averlo visto più volte a piedi proprio lì mentre lui si trovava a passare con la macchina.

Ed ancora aveva aggiunto a proposito sempre del Narducci: “ricordo che correva voce che fosse gay. Questa persona sono sicuro di averla vista con un tipo un po’ strano, di nazionalità straniera, ma non so dirvi di dove. Dico strano perché era proprio un omone che vestiva in maniera un po’ stravagante ed ho ricordo che avesse una camminatura tipica da gay. Questo omone credo che avesse un’auto grossa, ma non so dirvi se fosse una Jaguar o un Mercedes…anche l’omone abitava nella zona in cui ho dichiarato abitava la persona raffigurata nella foto n. 2 (Narducci Francesco)”.

Circa poi il periodo di tempo in cui li aveva notati insieme, aveva precisato che si trattava degli anni che vanno dal 1975 al 1982 (sostanzialmente lo stesso periodo di tempo cui sia la Pellecchia che la Ghiribelli avevano fatto riferimento!).

In relazione sempre al Narducci, aveva aggiunto di averlo visto insieme al Calamandrei ed alla sorella ed al cognato di questi. Si confronti la citata informativa del 17.11.2003 alle pp. 13 e 14.

Il 4 aprile 2003 il Nesi, a proposito della persona riconosciuta per il Narducci Francesco: “Era una persona dal fisico atletico, più giovane dell’omone, all’epoca poteva avere 28/30 anni. Il fisico era ben curato e credo che facesse anche dello sport, tipo tennis. Dico questo perché ho ricordo di averlo visto con una borsa con le racchette da tennis, ma non so dire dove nella zona andasse a giocare, forse in un campo privato”.

Passando a Pucci Fernando, amico del Lotti e frequentatore, con lo stesso, della Ghiribelli, sentito a verbale in data 3.6.2003, aveva fornito anche lui importanti riscontri.

Infatti, circa le frequentazioni del bar di San Casciano, presso il quale s’incontrava col Lotti, aveva specificato di aver conosciuto di vista diverse persone con le quali però lui non aveva mai parlato a differenza di Giancarlo Lotti che veniva preso in giro. Tra i personaggi mostratigli in un album fotografico predisposto dall’ufficio, il Pucci aveva riconosciuto in qualche modo alcuni, ma su altri era stato abbastanza certo. Tra questi ultimi, aveva indicato le foto che riproducevano Narducci Francesco e Vitta Nathanel ed aveva precisato che li aveva visti insieme.

A proposito della persona riconosciuta per Francesco Narducci aveva spiegato che “era alto e magro, un tipo finocchino”, mentre del Vitta che “era un omone che stava bene coi soldi, ricco e che ho saputo perché me lo hanno detto che aveva una bella casa nella zona”.

Quanto a Filippa Nicoletti, ex convivente del “mago” Salvatore Indovino”, della stessa si parlerà più avanti. Anche la stessa ha riconosciuto il Narducci come persona incontrata a Firenze e presentatosi, anche a lei, come “medico di Prato” (vds. l’informativa G.I.De.S., del 2.03.05, Prot. n. 133/05/G.I.De.S., a p.126).

La deposizione della donna è molto importante perché la stessa, dopo avere reso le sue dichiarazioni l’11.09.03 al G.I.De.S., si è lasciata andare ad un commento significativo dopo la conclusione del verbale.

La nota G.I.De.S. del 17.09.03 (prot. n. 362/03) riporta testualmente il passaggio a p. 24: “A conclusione dell’atto, mentre la Nicoletti firmava l’album, che le era stato mostrato per l’individuazione fotografica, giunta alla pagina contenente la foto n. 15 (quella di Narducci Francesco), spontaneamente dichiarava: “mi sembra di vederlo anche ora.”

Queste persone, salvo, se non sbaglio, la Pellecchia, sono state tutte, come s’è detto, testi al processo ai cosiddetti “compagni di merende”, perché comunque in rapporti di amicizia e frequentazione con il Vanni (soprattutto il Nesi) e con il Lotti, processo conclusosi con la condanna definitiva di Mario Vanni e di Giancarlo Lotti.

La sentenza in questione oltre ad aver cristallizzato giudizialmente la responsabilità dei nominati Vanni e Lotti, esaltava alcune risultanze dibattimentali in considerazione delle quali iniziava ad ipotizzarsi la possibile compartecipazione ai fatti criminosi di un “dottore”, il quale avrebbe rivestito il ruolo di mandante pagando gli esecutori materiali; tra costoro, in particolare, Pietro Pacciani.

L’ipotesi era suffragata dalle dichiarazioni di Lotti in ordine al “dottore”, che avrebbe commissionato i delitti e che avrebbe acquistato le parti escisse dal cadavere delle ragazze, pagandole materialmente al Pacciani (pag. 208 sentenza n. 1/98 Reg. Sent. – n. 8/97 Reg. Gen. Del 24.3.1998 della Corte d’Assise di Firenze – Sezione Seconda, depositata il 30.7.1998).

Vale la pena richiamare in proposito, sul punto, quanto affermato, ormai in via definitiva, dalla Corte d’Assise di Firenze:

“La Corte ha cercato di acquisire elementi anche su tale punto (e art. 507 PP, al fine di avere il maggiore materiale probatorio possibile relativamente alle dichiarazioni del Lotti sugli omicidi), ma il risultato non è stato positivo, nel senso che non vi è stato alcun “riscontro”preciso sul predetto “dottore”.

Non sembra, tuttavia, che il Lotti possa aver mentito solo su tale circostanza, non avendo avuto alcun ragionevole motivo per farlo. D’altra parte l’istruttoria dibattimentale ha lasciato intravedere “qualcosa”, che porta nella direzione indicata dal Lotti e, quindi, del predetto fantomatico “dottore”. E’ emerso infatti:

che, in occasione dei duplici omicidi di Scopeti e di Vicchio ( che furono appunto caratterizzati dall’asportazione del seno sinistro e della zona pubica dal corpo delle ragazze), il Pacciani ed il Vanni, al termine di tutta l’operazione, avrebbero lasciato un “fagotto” al limite di tali piazzole, poggiandolo delicatamente per terra nella zona dei cespugli. Il che lascia ragionevolmente presumere che si sia trattato delle parti escisse dal corpo delle ragazze, che venivano lasciate temporaneamente lì, a disposizione di altro soggetto che avrebbe dovuto rimuoverle e portarle via; e ciò anche in considerazione del fatto che il Lotti non ha mai parlato di una diversa collocazione di tali “parti” dopo i delitti, tanto che per il duplice delitto di Vicchio ha specificatamente parlato dell’avvenuto occultamento della sola pistola nel casolare disabitato, lontano dal luogo del delitto.

Ciò porta ancora a ritenere che possa esserci stato, in occasione dei duplici omicidi, anche qualche altro “personaggio” nascosto tra i cespugli, personaggio che non si voleva far vedere da tutti quelli che partecipavano ai delitti e che chiaramente interveniva subito dopo, per prelevare e portare via le parti escisse, non appena gli altri si fossero allontanati dalla piazzola. D’altra parte, è impensabile che il Pacciani ed il Vanni si soffermassero sul posto per operare anche le escissioni, per poi lasciare il tutto sul posto, con l’intento di tornare in un secondo momento, perché la cosa sarebbe stata estremamente rischiosa, sia per il pericolo di perdere tutto a causa degli animali che circolano nelle ore notturne nei boschi, sia per il pericolo di essere sorpresi da qualcuno, tenuto anche conto che quelle aree erano frequentate da coppiette e che presto sarebbero scattate le indagini per i duplici omicidi” (vds. la sentenza richiamata a p. 3 e 4 dell’ultima informativa dell’ex G.I.De.S. del 4.04.07).

Si è parlato delle molteplici ed univoche dichiarazioni delle persone informate sui fatti circa le frequentazioni fiorentine del Narducci, in epoca contestuale a quella dei delitti.

Il medico perugino è stato riconosciuto da Marinacci Elisabetta, più volte sentita in sede d’indagini, che riferisce di averlo visto nella farmacia del Calamandrei dove le prescrisse un farmaco per il padre, dopo che il farmacista aveva consigliato a quest’ultimo, come gastroenterologo, proprio il Narducci, che operava nell’ambulatorio annesso alla farmacia.

Anche Martellini Tamara, ex moglie del’Arch. Giovanni Ceccatelli, amico di vecchia data del farmacista Calamandrei, sentita il 17.11.03, ha visto il Narducci nella Farmacia di quest’ultimo, mentre parlava con questo e con altre persone e indossava una Lacoste bleu e pantaloni da cavallerizzo, come lo aveva visto l’ortopedico Prof. Paolo Aglietti che lo aveva visto all’Hotel Brufani di Perugia e gli aveva ceduto la casa, come dallo stesso affermato nel verbale in data 4.05.02 e che la Martellini non poteva conoscere. La stessa Martellini ha puntualmente riconosciuto il Narducci in sede di ricognizione fotografica (si veda l’informativa del 17.11.2003, alle pp. 25 e 26).

Lo stesso faceva Ciulli Piero, fratello di Ciulli Mariella e, quindi, cognato del Calamandrei, ha riconosciuto il Narducci, in data 23 luglio 2003. In sede d’individuazione fotografica, lo stesso ha detto: “questo l’ho già visto insieme al Calamandrei, ma io non ci ho mai parlato. Può darsi che l’abbia visto o al matrimonio di mia sorella con Francesco o in farmacia dal Calamandrei. Era una persona molto distinta, sembrava quasi un Conte “.

Sintetizzando al massimo e tralasciando numerosi altri riconoscimenti, una delle dichiarazioni più significative e incontrastabili è quella dell’allora Carabiniere Roberto Giovannoni che il 01°.10.2005, ha riferito che, trovandosi in servizio a San Casciano a scorta della principessa Beatrice d’Olanda e della sua famiglia, notata un’auto bianca targata “PG”, con lo stemma dei medici, di fronte alla Farmacia del Calamandrei, vicino alla quale, come se la custodisse, c’era Mario Vanni ed entrato nella Farmacia per chiedere spiegazioni sulla sosta dell’auto, incontrò il Calamandrei e il Narducci ed ebbe un colloquio con quest’ultimo che si qualificò esattamente come Francesco Narducci, gli disse di essere proveniente da Foligno, di essere rappresentante di una Ditta Farmaceutica di Prato e gli confidò di avere un appartamento nei pressi del casello autostradale di “Firenze – Certosa”, nei pressi appunto della Certosa, mentre il Calamandrei lo osservava con disappunto per l’eccessiva loquacità dimostrata col Carabiniere.

Il Narducci è stato addirittura riconosciuto dal condannato Mario Vanni che, sentito dai PM Canessa e Crini il 17.01.05 nel collegato procedimento fiorentino n. 1277/03/21, ha riconosciuto il Narducci come uno “di fuori”, amico del Calamandrei.

Il postino di San Casciano, recentemente deceduto, ha affermato ancora che il giovane viaggiava con un’auto grossa, tipo “Volkswagen”, cioè a due volumi, di colore “verde”, chiaramente allusiva ad un’autovettura tipo Citroën CX di colore verdolino, identica a quella che il Narducci aveva in effetti acquistato, come s’è detto in precedenza, dal Prof. Emanuele Rinonapoli nel 1985. Il Vanni ha riconosciuto di essersi recato più volte con il giovane, riconosciuto nel Narducci, a bordo dell’auto descritta, alla cui guida c’era proprio il medico perugino, in incognito, in compagnia del Calamandrei e del Pacciani, in cerca di prostitute.

Sono risultanze inoppugnabili e convergenti con tutte le altre. Non possono essere ignorate o, peggio ancora, smentite.

Leggendole, si rimane impressionati dal tenace “negazionismo” del Calamandrei che continua a negare con sospetta insistenza di avere conosciuto e frequentato a San Casciano il Narducci.

Quest’ultimo, tra l’altro, collaborava con l’industria farmaceutica Menarini di Firenze, come riconosciuto dalla moglie Francesca Spagnoli il 21.01.05: “Domanda:” Suo marito aveva rapporti con la ditta farmaceutica Menarini di Firenze?”Risposta:” Ricordo ora che la ditta farmaceutica con cui lui era più in contatto, era la Menarini. Ne sentivo parlare molto spesso da mio marito e ricordo che anche Morelli era collegato a questa ditta. Io non ricordo se Francesco fosse ricercatore scientifico di questa ditta, posso però dire che pubblicava dei lavori per conto anche della Menarini perché, molto spesso, veniva invitato a congressi, ospite della Ditta stessa. Non ricordo che cos’altro comportasse questo rapporto e in particolare, non ricordo se lui si recasse con una certa frequenza presso la ditta Menarini, in relazione al suo incarico. Forse vi si recava ma io non me lo ricordo. “. Il Morelli ha confermato il particolare: “Avevamo rapporti con l’industria farmaceutica Menarini di Firenze e con la Boehringer che credo sia anch’essa di Firenze “ ha dichiarato il 19.10.2007.

Anche il chirurgo Dr. Oddi Nazzareno, in data 15.06.06, ha confermato il rapporto Narducci – Menarini. Si riporta il seguente passaggio: “Si diceva in particolare che avesse rapporti con la ditta farmaceutica Menarini di Bagno a Ripoli che si occupava, tra l’altro del settore gastroenterologico. All’epoca uscì un farmaco innovativo di terapia dell’ulcera gastroduodenale che si chiamava Ranidil nella versione commercializzata Menarini. In questo ambiente medico sentivo anche dire che il Narducci fosse legato alla vicenda del Mostro di Firenze. Ciò accadde non subito dopo la morte ma qualche tempo dopo. Dicevano anche che il Narducci avesse una sorte di interessi per le autopsie e reperti anatomici. Questo discorso dei reperti anatomici che interessavano il Narducci, l’ho sentito dire nell’ambito ospedaliero. Ciò è stato detto con certezza nel senso che il Narducci possedeva reperti umani e questo veniva ritenuto un grave indizio in ordine al fatto che veniva considerato il Mostro di Firenze. Veniva fatto riferimento anche al rinvenimento presso un Ospedale a sud di Firenze dei bossoli utilizzati per i delitti come un elemento che correlava Narducci ai tragici fatti fiorentini. In pratica questo ospedale veniva ricollegato al Narducci, non so perché. Ribadisco che il rapporto del Narducci con la ditta Menarini l’ho sentito sottolineare con chiarezza in Ospedale. Sicuramente queste notizie le ho apprese dai colleghi citati e non solo da questi. Ricordo che in clinica chirurgica c’era un medico di nome Ciccarelli che era marito della Prof. Pelli che operava in gastroenterologia e non escludo che tante notizie sul conto del Narducci fossero state veicolate da quest’ultima. “.

Circa la Menarini, non è senza significato quello che ha riferito Stoppini Guasconi Maria Luisa in data 24.03.2006: “Domanda: ” Lei sa se l’ avvocato Giuseppe Jommi avesse rapporti con la ditta Menarini ?”Risposta: ” Sì, era il legale della Menarini, anzi preciso la cosa in questi termini. Io in effetti, nei miei ricordi, collego lo Jommi alla ditta Menarini, ma non sono sicura quali rapporti avesse con questa Ditta. In effetti, la ditta Menarini e la Ditta S.I.N.A., erano comproprietarie dell’ albergo “Villa Medici” di Firenze, Porta Prato “. La Signora Stoppini ha cercato, poi, di ritrattare questa affermazione, ma inutilmente.

E’ lo stesso Jommi, in ogni caso, a confermare il rapporto con la Menarini con queste parole: “Lo studio Rocchi era lo studio di cui si serviva la società Menarini. Cessata la professione da parte del Rocchi, ho continuato io i rapporti professionale, che si sono rotti all’incirca nel 1994 “ (si vedano le dich. del 25.08.05).

Quindi, sia il Narducci che l’Avv. Giuseppe Jommi erano in stretti rapporti con la Menarini.

E si è visto chi era Giuseppe Jommi. E’ l’uomo che è in qualche modo il primo trait d’union ufficiale tra il Narducci e l’ambiente fiorentino. E’ l’ex amante dello Jommi Alves Jorge Maria Emilia che, sin dal 4.07.1990 e poi soprattutto dalla fine 2001 ai primi mesi del 2002, ha fornito indicazioni sempre più concrete circa la conoscenza, da parte dello Jommi, di un medico perugino identificato nel Narducci. Il 13.02.2002, dinanzi al sostituto fiorentino Dr. Paolo Canessa, nel collegato procedimento n.3212/96/44, la Alves ha detto: “lo Jommi mi disse che anche lui aveva un amico medico Anche questi si chiamava Francesco ed era un Gastroenterologo di Perugia ed aggiunse che era bravissimo e bellissimo. Quest’ultima affermazione, relativa alla bellezza mi sembrò un poiana ma non gli chiesi di più. Ricordo che aggiunse che questo Francesco era stato allievo del Professor Morelli, che mi sembra disse era di Bologna Ricordo che disse ciò in relazione al fatto che anche il professor Intontì, amico mio, era stato allievo di un famoso chirurgo svedese. Relativamente al Francesco di Perugia che conosceva lui, mi disse anche che insegnava ad Harvard. A.d.r. Lo Jommi non mi fece mai il cognome di questo Francesco ne io mai glielo chiesi perché la cosa non mi interessava, A dr Come ho già detto questo discorso con lo Jommi, su questo amico di Perugia lo colloco tra gli anni 81/82. Aggiungo ancora che all’epoca lo Jommi era spesso a Perugia, ma non ne conosco esattamente il motivo. Ricordo anche che una volta lo vidi con un auto targata Perugia, era di colore verdolino chiaro, tipo mono-volume e lo vidi dalla finestra. Gli chiesi come l’avesse avuta e lui mi rispose che era di un amico.“.

Il 23 agosto 2005, nei locali del G.I.De.S., la stessa Signora Alves ha approfondito la questione ed ha precisato quanto segue: “Negli anni 90, ho deciso di assumere un investigatore privato, di cui adesso non ricordo il nome, che aveva un agenzia a Firenze. Allo stesso detti l’incarico di andare a Perugia per prendere informazioni e su quanto era successo al medico di Perugia, deceduto al lago Trasimeno. Questo perché misi in relazione la morte di questo medico, e non ricordo come lo avevo saputo, con il medico di nome Francesco, che lo JOMMI mi aveva rammentato nel 1982. In questo momento non ricordo proprio come avessi appreso della morte di detto medico, annegato al lago Trasimeno. Ricordo comunque che decisi di assumere l’investigatore e di mandarlo a Perugia. Ricordo solo che io dissi all’investigatore di recarsi a Perugia e di accertare se questa persona deceduta nel lago poteva essere collegata ai delitti del Mostro di Firenze. Dopo qualche giorno ricordo che l’Investigatore mi contattò telefonicamente e mi disse, che il medico in questione si chiamava Francesco NARDUCCI, proveniva da una famiglia di medici, che era morto annegato nel lago Trasimeno, che era sposato con una della famiglia SPAGNOLI, con la quale si conosceva dall’infanzia, non era stata praticata l’autopsia, ma che non si poteva indagare su di lui perché qualcuno li aveva fermati, invitandoli a smettere le indagini. L’investigatore mi disse anche che un uomo sui 50 anni, il giorno del funerale aveva consegnato alla moglie un grosso mazzo di rose rosse. L’investigatore citò questo fatto come una cosa strana che aveva saputo.——————–“.

Lo stesso 23 agosto 2005, al G.I.De.S., la Alves ha confermato ed approfondito quanto già riferito circa un episodio avvenuto proprio la sera dell’8 settembre 1985, poche ore prima che venisse perpetrato il delitto degli Scopeti. Lascio la parola alla Alves. “Domanda: Nelle sue precedenti verbalizzazioni lei ha riferito di aver incontrato lo JOMMI Giuseppe a settembre 1985, di domenica pomeriggio. In tale incontro lui le avrebbe riferito che il Mostro di Firenze aveva ucciso un’altra coppia, è sicura che si trattasse della domenica? Risposta: Sono sicura che l’incontro con lo JOMMI ho avuto era il giorno 8 settembre 1985, erano le 19.00/19.20, era da poco finita la messa alla chiesa di piazza Santa Trinità ed io mi stavo recando a riprendere la macchina che avevo lasciato parcheggiata in piazza Davanzati. Ricordo che lo JOMMI vestiva con un pantalone di colore beje ed una camicia azzurrina con le maniche arrotolate. Mi sono accorta che vicino alla mia macchina vi era anche quella di Beppe, era tutta sporca di terra ed era danneggiata ad un parafango, ricordo che all’interno vi era u n vestito di lino da uomo color carta da zucchero. Io ricordo di essermi domandata di cosa ci facesse lì l’auto dello JOMMI, in quanto era domenica, decisi di aspettare, dal momento che l’auto era tutta aperta ed io da qualche giorno non avevo più notizie di Beppe. Dopo qualche minuto ho visto arrivare lo JOMMI, a passo molto lento che si appoggiò alla mia macchina. Io gli chiesi cosa ci facesse e lui dapprima mi disse che si trovava lì perché doveva fare una telefonata, io vedendolo strano gli dissi che non era stato al mare come mi aveva detto e gli chiesi dove fosse sparito per tanti giorni. E lui con tono lento mi disse solo che era stato in campagna, ma disse che non mi avrebbe detto dove. Poi disse “PER QUESTA NOTTE NON HO ALIBI….. IL MOSTRO HA COLPITO ANCORA NON L’HAI SAPUTO?……..” “. L’episodio si commenta da solo. C’è poco da aggiungere. A meno di credere alle favole e a doti di preveggenza, lo Jommi, se è vero quello che ci racconta la Alves, e non abbiamo motivo di dubitarne, era a conoscenza del delitto prima ancora che fosse stato compiuto. L’impressione si accresce se si tiene presente quello che racconta ancora la Alves in quel famoso verbale: “Sono a conoscenza, che lo JOMMI solitamente quando viene a Firenze, lascia la sua autovettura al posteggio dell’ospedale di Ponte a Niccheri, e da lì prende l’autobus alla fermata che si trova lì davanti per venire a Firenze. “. Il parcheggio, tanto per intendersi, è quello dove fu rinvenuta la cartuccia che motivò la perquisizione all’Ospedale.

Tra le tante telefonate intercettate nell’ambito delle varie indagini ne spicca una, relativa proprio al personaggio Jommi. E’ la telefonata relativa al Decreto 748/05, n. 6609 del 24.02.06. L’utenza fissa monitorata dello Jommi raggiunge quella dell’amica Giovanna. Ridendo l’uomo, ad un certo punto, dice: “..vorrei realmente ucciderti… cioè… farti a pezzi.. “, Giovanna afferma: “Non ci vengo più con te!.. non ti incontro più guarda!”. Jommi ride ed aggiunge: “... sì a piccoli pezzi.. mangiarti!...”, Giovanna cerca di spostare il discorso sull’aspetto spirituale dell’amore, ma lo Jommi continua: “Con un coltello affilato.. io bisogna… che un seno te lo strappi.. me lo porti via!”. Giovanna esclama: “Allora sai cosa ti dico?.. che ha ragione il GIUTTARI!“, ridono entrambi. Giovanna ripete: “Ha ragione il GIUTTARI!“, Jommi ride. Giovanna precisa: “Ha ragione il GIUTTARI… ed infatti non eravamo insieme in quelle date lì..”, alludendo ovviamente alle date dei duplici omicidi e Jommi farfuglia: “Ah sì posso essere io!“, Giovanna, sempre più sorpresa, continua: “No non non eravamo insieme.. (Jommi ripete le parole della donna) … eri con i tuoi amici!“. Jommi continua a ridere e a dirle ciao, ciao amore. Giovanna dice: “E’ improbabile vedi?.. con questi tuoi… aspirazioni…”, Jommi riferisce: “No ma (inc.).. a uccidere eh!“, Giovanna afferma: “Oddio l’ho scampata bella allora!“, Jommi precisa: “No vorrei vorrei.. non uccidere… spezzettarti..”.

Questa intercettazione certo non necessita di commenti, anche per il riferimento all’escissione e al prelievo del seno.

E, a proposito della moglie dello Jommi, il G.I.De.S., nella sua nota riepilogativa del 2.03.05 a p. 12, sottolinea il seguente particolare: “Ada Pinori, agli atti d’ufficio risultava proprietaria dell’appartamento, sito in via Benedetto Marcello, 45 di Firenze, presso il quale aveva abitato la famiglia di Susanna Cambi, una delle vittime del cosiddetto “Mostro”. “.

Quello che colpisce di più in questo personaggio, così legato al medico perugino, sono le conoscenze e le protezioni di cui lo stesso, a detta della Alves, godeva nell’ambiene giudiziario fiorentino, con la sola eccezione, forse, del Dr. Vigna che almeno avrebbe consigliato alla donna di rivolgersi ad un avvocato di fuori. A detta della stessa signora brasiliana, un magistrato della Procura di Firenze che lei ha nominato nel verbale del 22.08.05 sempre dinanzi al G.I.De.S., le avrebbe, infatti, detto a suo tempo, riferendosi ad una denuncia dalla stessa proposta contro il legale, originario di Montappone (AP): ““SENTA SIGNORA….. LO JOMMI NON PUO’ ESSERE PROCESSATO PENALEMENTE….”. io rimasi molto esterrefatta e feci presente al Magistrato che vi erano delle prove concrete, e lui mi rispose: “ VALE PIU’ LA PAROLA DI LUI CHE LE PROVE CONCRETE…… INTENTI UNA CAUSA CIVILE!!!…….”. Si veda il verbale in questione a p. 4 e si riprenda l’informativa dello stesso G.I.De.S. del 21.09.05 n. 481/2005 alle pp. 1, 2, 3 e 10.

Nelle indagini perugine, s’è avuto l’ennesimo incrocio di risultanze, questo davvero clamoroso, un incrocio che riguarda i rapporti Jommi – Stoppini Guasconi Maria Luisa e fratello, Jommi – Narducci e, soprattutto, il singolare comportamento dello Jommi in occasione dell’ultimo delitto. E’ l’impiegata dell’anagrafe Emilia Cataluffi che, il 01:02.2006, ha dichiarato, riferendosi al Narducci: “Ricordo anche che fu visto passeggiare a Perugia con l’avvocato di Firenze che ora rammento essere l’Avvocato JOMMI, che, a quanto mi risultava, era intimo conoscente della Siognora STOPPINI, sorella dell’Ing. STOPPINI di Perugia, che, come ho detto, aveva un albergo di fronte alla Stazione di Firenze e che rilevò anche una parte dell’albergo Brufani di Perugia. So anche che ha avuto una causa civile col fratello. La cognata di questa STOPPINI è la Signora Bona TEIXEIRA, che era la prima moglie dell’Ing. STOPPINI, la cui sorella era, come ho detto, amica dell’Avv. JOMMI. A quanto ho saputo quest’ultimo, come ho detto, fu visto rientrare una volta tardi e vestito male, subito dopo l’ultimo delitto del “Mostro di Firenze” e questo insospettì anche per la sua amicizia e frequentazione col Narducci che si diceva fosse coinvolto in quelle vicende. “. Qui i riscontri sono impressionanti, decisamente impressionanti, qui c’è il classico incrocio di risultanze da fonti estranee l’una all’altra e che, quindi, non possono essersi comunicate le rispettive conoscenze: la signora ha confermato particolari riferiti dalla Stoppini e dal fratello, nonché dalla Alves, che certamente non si conoscevano tra di loro, salvo i due Stoppini ovviamente e non conoscevano certamente la Cataluffi. A conferma di questa conclusione, sta il fatto che la Alves abbia riferito che lo Jommi in passato le parlò di una sua amica di Perugia che voleva vendere un importantissimo albergo della città e altri particolari chiaramente riferibili alla Stoppini (vds. dich. rese davanti al PM Dr. Canessa il 13.02.02).

Ma di incroci investigativi ve ne sono altri. Vi è in particolare quello che riguarda il Sovrintendente Emanuele Petri ed il suo interessamento al caso Narducci.

Il pescatore Enzo Ticchioni ha raccontato delle confidenze fattegli dal Petri in un verbale di assunzione a informazioni piuttosto dettagliato, quello in data 15.10.2004. Ha detto, tra l’altro, il Ticchioni: “Aggiungo anche che ero amico, all’epoca, di un poliziotto di Cortona, quello che è stato ucciso recentemente in treno dalle Brigate Rosse. Questo mi disse che il giorno in cui il Narducci era scomparso, era stato inseguito da lui e da un suo collega, in auto, ma lo avevano perso di vista, all’altezza di Terontola. Il poliziotto mi disse che il Narducci era in moto. Pensandoci meglio, ricordo che il mio amico poliziotto fece riferimento al giorno precedente alla scomparsa del medico. Il poliziotto era originario di Tuoro ed io lo conoscevo da tempo. Mi disse che pedinavano il Narducci da tempo perché avevano trovato i resti umani femminili dentro il frigorifero della sua abitazione di Firenze. Mi disse anche che era sicuro che lo avrebbero preso, ma purtroppo poi avvenne la disgrazia. Il poliziotto mio amico stava alla Stradale, ma non so se a Castiglione del Lago, a Camucia o a Cortona. Il poliziotto mi disse, come ho riferito, che avevano trovato i reperti umani femminili in una casa che il Narducci aveva a Firenze. L’amico poliziotto mi disse anche che avevano preparato un posto di blocco nella strada vecchia che viene da Firenze e passa attraverso Arezzo e Cortona, per giungere al Lago. Il Narducci, sempre secondo quanto mi disse il poliziotto, era riuscito a superare il posto di blocco e a scomparire nel nulla. Ripeto che si trattava del poliziotto ucciso dalle Brigate Rosse nel treno nei pressi di Terontola. In questo momento non mi ricordo il nome.”

In sede d’incidente probatorio, all’udienza del 18.11.05, il Ticchioni ha confermato che era amico del Petri (vds. pp. 33 e 47), nonostanti gli sforzi delle difese, il Ticchioni, sebbene intimidito e provato dalle sue condizioni di salute, rispondendo ad una mia domanda se confermasse queste dichiarazioni, ha così risposto: “le conferma queste dichiarazioni? ENZO TICCHIONI: le confermo sì queste. “. E ancora (a p. 68): “PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): lei conferma tutto quello che ha detto? ENZO TICCHIONI: confermo. “.

Si è detto che quanto riferito dal Ticchioni ha trovato un insospettabile “incrocio” investigativo nella moglie del Calamandrei, Mariella Ciulli. Quest’ultima, nel corso dell’assunzione a informazioni del 4.10.2005, osservando la foto del Narducci, ha detto: “me l’hanno fatta vedere un certo Lele, Poliziotto di Perugia che l’ha fatta vedere sia a me che a mia figlia, qui a Firenze un paio d’anni fa perché diceva che era morto annegato e volevano sapere in quali circostanze…. Questa foto mi è rimasta impressa perché ho pensato a lungo a chi potesse essere visto che Gabriele mi diceva che questo giovane, morto al Lago Tradimento frequentava mio marito a San Casciano ma io non me lo ricordo. Ci ho pensato a lungo perché sembrava importante che me lo scodassi visto che sarebbe dovuto tornare a interrogarmi. Mi pare di aver firmato un verbale….. la moglie di Lele ho sentito per televisione che h avuto la medaglia d’oro per la morte del marito avvenuta per un attentato ad un treno circa due anni fa. Ha sentito per televisione che il figlio è in Polizia e da circa due anni si sono trasferiti da Perugia a Milano . Ho riconosciuto in televisione la foto di Lele che era venuto qui a chiedere notizie del Narducci. E’ venuto in compagnia di una altro….Lele era un bell’uomo con i baffi, di media statura e con la faccia aperta. Mi ricordo che era molto gentile e nel corso dell’incontro mi diceva di stare tranquilla che non risarebbe successo nulla. Ne ho un buon ricordo, era una persona tanto per bene. L’alto era giovane, anche lui di bell’aspetto, alto come Lele ma non mi ricordo assolutamente come si chiamava. Lele avrà avuto 45-46 anni… poco tempo prima della morte ed era in un periodo freddo e che i due poliziotti in borghese sono rimasti un paio d’ore e mi hanno fatto delle domande. In particolare se ero stata sul Lago Trasimeno… “. E il 7.11.05, di nuovo esaminata da questo PM, la Signora Ciulli risposto: “confermo pienamente quello che ho detto a proposito del poliziotto Lele e di quello che gli ho riferito quando è venuto a trovarmi. Ricordo che venne a trovarmi circa un paio di anni fa e mi chiese notizie sulla persona che ho saputo essere il Narducci….Mi ricordo anche che Lele disse che sarebbe andato a parlare col dottor Giuttari di quello che aveva saputo da me. Poiché me lo chiede le dico che la parlata di Lele assomigliava a quella aretina che io conosco. E che si sono trattenuti per circa un’oretta…non ricordo quanto tempo passo’ tra la visita di “Lele” e la sua morte, ma non passo’molto tempo. Quando ho visto la foto di Lele sul giornale l’ho subito riconosciuto e ne parlai con mia figlia che era stata presente all’incontro in questa stessa stanza…Lele stava seduto in una delle sedie che stanno qui di fronte a me al di là del tavolo, mentre mia figlia si trovava alla mia destra. “.

L’episodio descritto dalla Signora accadde più di un anno prima che Ticchioni alludesse al Petri e alle sue indagini sul Narducci nelle sue dichiarazioni e la Signora è stata ricoverata presso l’Istituto delle Suore Passioniste di Via del Poggiolino di Firenze, dal 2001 (vds. le stesse dich. in data 4.10.2005). Non conosceva né poteva avere avuto contatti con un pescatore del Lago Trasimeno, per di più, con problemi di salute. Eppure quest’ultimo e la Ciulli hanno avuto occasione di parlare con “Lele”, cioè con il Petri, descritto dalla seconda con tutte le sue caratteristiche fisiche e con il tipo di inflessione che gli apparteneva, quella del Lago Trasimeno, che richiama notoriamente, specie per chi sia fiorentino, la parlata aretina e si sono sentiti dire in pratica le stesse cose: cioè che il Petri aveva svolto ed evidentemente svolgeva indagini sul conto del Narducci, non si sa per chi e a che titolo. E’ un classico incrocio di risultanze investigative che, essendo estranee le une alle altre ma con identico contenuto, si rafforzano a vicenda in termini oggettivamente clamorosi.

Tornando al Dr. Oddi, uno dei medici da lui citati, il Dr. Beccarini Alessandro, ha confermato i rapporti tra il Narducci e la sequenza omicidiaria. Ha detto tra l’altro il 13.04.05: “iniziammo a parlare della vicenda di Francesco NARDUCCI ed una persona, non ricordo bene chi fosse, ma poteva essere anche un infermiere, disse che il NARDUCCI era scomparso, e questo mi fa pensare che forse il corpo non era stato ancora ritrovato, in quanto un ispettore della Polizia di Firenze che indagava sui delitti del “Mostro di Firenze” aveva effettuato una perquisizione in una villa non meglio precisata di Scandicci ed aveva trovato dei pezzi anatomici e, risalendo al proprietario, aveva scoperto che si trattava di una casa dei Narducci di Perugia. “. Anche il Prof. Tarcisio Mezzetti, assunto a informazioni il 12.04.05, ha confermato i particolari.

E come ignorare l’importantissima intercettazione (la n. 5322 del 01°.03.06 – R.I.T. n. 213/05), sull’utenza n. 055/8290090, intestata alla figlia del Calamandrei, Francesca, che, per le note vicissitudini dei rapporti conflittuali tra le Procure un tempo collegate, questo PM non ha potuto trasmettere ai colleghi fiorentini Crini e Canessa e che, quindi, non è stata acquisita tempestivamente al procedimento n. 1277/03/21, a carico del Calamandrei, conclusosi con la sentenza ex art. 530, secondo comma c.p.p. ?

Il fratello di Francesca, Marco, recentemente deceduto, conversando con la sorella sui problemi giudiziari del padre, commenta, riferendosi agli inquirenti: “ Loro vogliono sapere…da come capii io….non me lo ricordo chi….che praticamente devono sapere cioè vogliono trovare l’appiglio da Perugia a Firenze e se qualcuno confermasse che il babbo conosceva…questo Narducci…questo coso….il babbo è fregato”. La sorella, anch’essa riferendosi al Narducci, senza smentire affatto il fratello, aggiunge: “…questo era a San Casciano fino all’85” (si veda la richiesta di proroga intercettazione n. 128/06/G.I.De.S. del 6.03.06 a p. 2).

Non è necessario aggiungere altro perché si tratta di una telefonata sin troppo eloquente.

Va detto soltanto che il tono preoccupato dei figli del Calamandrei richiama sin troppo analoghe preoccupazioni espresse dall’Avv. Giuseppe Jommi, che, contro ogni evidenza, anche lui ha sempre cercato di negare ad oltranza la conoscenza del Narducci, affermata dalla sua ex amante, la brasiliana Alves Jorge Maria Emilia: sembra proprio che il personaggio più compromettente per questi professionisti fiorentini fosse, quindi, proprio il Narducci e questo, insieme alla necessità di copertura della propria identità, è un ulteriore elemento che rende il personaggio Narducci assolutamente centrale nella tragicavicenda fiorentina.

Da ultimo, va sottolineato, che dell’esistenza di un appartamento fiorentino del Narducci hanno parlato non solo, tra gli altri, i Marescialli Bruni e Maglionico. l’ex Carabiniere Giovannoni (perché confidatogli dallo stesso medico, che alluse a un appartamento nei pressi della Certosa), la Bigerna Torcoli e Ornella Servadio (vds. udienza dell’incidente probatorio del 20.01.2006, alle pp. 25 e 26).

A conferma dei “risvolti fiorentini” e della morte per omicidio, con risvolti, questa volta, gravissimi perché riferiti all’azione non di terzi ma addirittura del padre del medico, debbono riportarsi le dichiarazioni dell’allevatore Piselli Attilio, già collaboratore della Ditta COMBECAR, presentatosi spontaneamente il 4.12.2002. Il Piselli, in un giorno del novembre o dicembre 1989, doveva recarsi a Barberino di Mugello ad acquistare un allevamento di mucche di una cinquantina di capi dalla Ditta “Il cigno”. Trovandosi a casa sua il Maresciallo dei Carabinieri Lorenzo Baldoni, all’epoca in servizio presso l’Aliquota CC. della Sezione di Polizia giudiziaria della Procura Circondariale, chiese al sottufficiale se potesse accompagnarlo. Messisi in viaggio e trovatisi davanti all’area di parcheggio di Scandicci, accadde un episodio che il Piselli ha così descritto: “il Maresciallo BALDONI che era in borghese, ricordo, esclamò come in tono di rammarico:” tutte le nostre fatiche per trovare il mostro di Firenze sono andate in fumo, eravamo proprio arrivati a mettergli le mani addosso e poi la massoneria fece archiviare tutto! ” A quel punto, incuriosito, gli chiesi chi fosse il Mostro di Firenze a cui lui aveva fatto riferimento e il Maresciallo BALDONI mi disse testualmente :” Era il figlio del prof. NARDUCCI e quando il padre si accorse di quello che faceva il figlio lo fece ammazzare sulla barca dal garzone nel lago Trasimeno” . Sono affermazioni decisamente gravi, ma, purtroppo, nient’affatto nuove, salvo il particolare, sconcertante, che a far uccidere il medico sarebbe stato il padre.

Giova sottolineare che il Maresciallo Baldoni, che, occorre precisarlo, nel 1985, faceva parte del Reparto Operativo del Gruppo CC. di Perugia, pur non confermando il viaggio a Barberino di Mugello col Piselli che però conosceva, ha confermato quello che sapeva del medico, che, è facile intuirlo, non veniva dalle voci raccolte al mercato o a pesca ma all’interno del Reparto Operativo del Gruppo in questione, in termini assolutamente inequivoci: “Ricordo… di aver sentito, da voci di corridoio, non ricordo dove, che l’indagine sulla morte del Narducci era stata bloccata dalla Massoneria, perche’ si trattava di una famiglia potente di Perugia. Ho sentito anche dire che il Narducci era stato ammazzato, e non che si era suicidato. Questo l’ho sentito dire circa una quindicina di giorni dopo il ritrovamento del Narducci. A quanto sentii dire, questo delitto sarebbe stato compiuto perché non venisse disonorato il nome della famiglia Narducci….”.

Si vedano le dichiarazioni del Maresciallo in data 28.05.2004.

Ramadori Simone, figlio di Cristina Peirone e di Sandro Ramadori, ha raccontato il4.05.04 ciò che sentì dire da Ferruccio Farroni, uno degli amici più stretti del Narducci e, insieme al Morelli, “ricognitore” del cadavere ripescato il 13 ottobre, nell’estate 2001, conversando in casa della Peirone di cui è stato convivente dal 2001 al 2003. Il Ramadori ha detto: “Era soprattutto Ferruccio Farroni che parlava di questo medico che era stato un suo grande amico. Ricordo che il Farroni sottolineava con enfasi il fatto che l’amico non si fosse suicidato, ma fosse stato ucciso. Il Farroni discuteva animatamente solo con Laura Berrettini che, sorpresa, gli chiedeva come facesse a sostenere queste cose. Di preciso, il Farroni non rispose alla domanda, limitandosi a discorsi abbastanza generici, ma appariva convinto di quello che diceva…. Ad un certo punto, il fervore della discussione tra il Farroni e la Berrettini mi incuriosì ed io chiesi a Ferruccio come facesse a fare quelle affermazioni. Ma lui rispose seccamente che questo era quello che pensava, senza fornire spiegazioni. Rammento che il Farroni sosteneva che la morte del Narducci fosse collegata con qualcos’altro, non ricordo se con il “mostro di Firenze”, la Massoneria, o tutte e due. Ricordo anche che Ferruccio disse che Francesco era entrato in un giro piu’ grande di lui. Parlando di questo giro, alluse ad un ambiente di “finocchi” altolocati, tra i quali vi era anche qualche politico importante.

Si vedano anche le circostanziate dichiarazioni di Jacqueline Malvetu, circa la sua esperienza fiorentina dell’estate 1985 e quelle del giornalista Davide Vecchi, che, nel corso di un’indagine giornalistica compiuta a San Casciano, ha avuto la conferma del fatto che il Narducci fosse pressoché di casa in quel centro. Si riporta quanto gli disse un abitante della zona a cui il Vecchi mostrò la foto del Narducci: “il signore, un uomo tra i 60/65 anni, alto circa 1.75 cm., con capelli radi e grigi e con una tuta da lavoro tipo officina, ha esclamato: “ME LO RICORDO…. ECCOME! PERCHE’ NON MI CREDE ? MI RICORDO ANCHE LA MACCHINA CHE AVEVA…… ERA UNA CITROËN PALLAS CHIARA, SUL VERDE…LA USAVA ANCHE IL CALAMANDREI PERCHE’ L’HO VISTO GUIDARLA !”. E’ inutile che sottolinei l’ennesimo, insospettabile riscontro circa il tipo di auto in possesso al Narducci che effettivamente, come si sa, disponeva di una CX verdolina.

Ma vi è un altro episodio che merita di essere riportato. E’ quanto ha raccontato, prima al collega Dr. Andrea Lama e poi, il 18.08.05 ai Carabinieri del R.O.N.O., il magistrato Manuela Velotti, nata il 1° febbraio 1959, oggi al Tribunale di Bologna, che ha così descritto l’episodio, accadutole con certezza, prima della morte del Narducci, esattamente nel 1984: “non avevo ancora terminati gli studi universitari che ho colmato, se ben ricordo, nel 1984….ricordo che ero in treno lungo la tratta Ancona – Roma, preciso che abitavo ad Ancona insieme alla mia famiglia e che mi capitava di andare a Roma… nello scompartimento si sedette una persona di sesso maschile, che all’epoca mi parve di mezza età, dall’apparenza piuttosto distinta. Conversammo piacevolmente di vari argomenti…. Questa persona mi disse che aveva un incarico istituzionale molto importante, mi sembra di ricordare che riferì di essere addirittura un deputato. Dai miei ricordi, questa persona, può essere salita o ad Ancona oppure in una delle successive fermate in umbria. Parlammo molto e cordialmente, ripeto, e nel corso della conversazione affrontammo il caso del Mostro di Firenze. Ricordo perfettamente che lui mi disse: “Ma lo sanno tutti che il mostro di Firenze è un medico di Perugia e che ha anche una casa nei pressi di Firenze”. La cosa la affermò con molta sicurezza Alla stazione di Roma ci salutammo e andai via….. posso affermare con maggiore sicurezza che si trattava di un’epoca anteriore e quindi quando avevo non più di 25 anni. Di questo sono certa….non riuscirei oggi a riconoscerlo, quello che ricordo era il suo tratto distinto e l’età tra i 50 e i 60 anni…Ricordo che lui mi disse che era un deputato, o un sottosegretario, comunque aveva un alto profilo istituzionale“.

Le conferme dei tre capisaldi dell’inchiesta Narducci, come sopra illustrate, a loro volta interagiscono tra di loro perché è l’ipotesi omicidiaria con il corredo di indagini che si sarebbe portata dietro che avrebbe fatalmente disvelato le “connessioni” fiorentine del Narducci, come sopra descritte e questo, evidentemente, non doveva assolutamente accadere per gli ambienti di cui era parte la famiglia Narducci e tale necessità di coprire e occultare in maniera irreversibile per gli anni avvenire quella morte implicava, a sua volta, la necessità dell’organizzazione di una clamorosa messinscena, quale quella del “doppio cadavere”, per apporre un “sigillo” di intangibilità della versione ufficiale “1985” sulla morte del Narducci, versione che, nonostante tutto, ha comunque “retto” per sedici anni.

Si tratta, quindi, di tre aspetti (morte del Narducci per omicidio, connessione con la vicenda del “Mostro di Firenze” e “doppio cadavere”) che sono tutti decisamente e clamorosamente confermati dalle indagini, che sono ineliminabili e che, per le considerazioni suesposte, si sostengono a vicenda.

Gli accertamenti dell’udienza preliminare.

Nel corso della lunga udienza preliminare, sono stati esaminati i CC.TT. Pierucci, Carlesi e Garofano.

All’udienza del 3.06.09 i primi due hanno pienamente confermato le precedenti considerazioni e anzi, come riconosciuto dal Prof. Pierucci, lo stesso ha ritenuto ancora più evidente l’ipotesi del “doppio cadavere”.

I CC.TT. di parte Narducci hanno addirittura manifestato un clamoroso contrasto di posizioni circa l’eventuale insorgenza post mortale della frattura riscontrata, l’uno, il Prof. Fortuni collocandola, senza alcun elemento di riscontro, nella fase delle operazioni settorie, pur dando atto al Prof. Pierucci di avere svolto le operazioni in assoluta correttezza, l’altro, il Prof. Torre, collocandola, invece, sempre in modo altrettanto apodittico, nella fase del recupero, avvenuta il 13 ottobre 1985.

L’uno e l’altro hanno manifestato comunque una totale convergenza circa la profonda e incomprensibile ignoranza degli atti del procedimento successivi alla prima CT Pierucci.

All’udienza del 17 giugno, il Col. Garofano, unitamente all’App. Saverio Paolino e la D.ssa Carlesi (coadiuvata dall’esperto Gavazzeni), da parte loro, hanno integralmente confermato gli accertamenti di natura antropometrica e, nel corso dell’esame di quest’ultima, la stessa ha precisato che la misurazione effettiva della lunghezza del cadavere era pari a m. 1,61, perfettamente coincidente quindi con quella individuata dal RIS di Parma e allungata di qualche cm. di tolleranza dalla D.ssa Carlesi solo per esigenze di maggiore garanzia nella misurazione. La lunghezza del cadavere è pertanto identica, in entrambi gli accertamenti e ciò costituisce un ulteriore, decisivo elemento a conforto dell’assoluta incompatibilità del cadavere del Lago con quello del Narducci che, in vita, misurava un’altezza superiore di circa 20 cm. a quella dell’uomo del Lago.

A cuò si aggiunga che la circonferenza addominale di 99 cm. si riferisce ad un momento di poco successivo al recupero del cadavere dal Lago, cioè al momento in cui fu scattata la foto utilizzata per la misurazione.

Ma quel cadavere è rimasto per molto tempo ancora esposto all’azione dell’aria e del sole e, poi, di un ambiente chiuso e durante tutto quel tempo i processi putrefattivi intestinali hanno continuato a “galoppare”, come si è espresso il Prof. Pierucci e sicuramente nel momento in cui il cadavere fu vestito dal Morarelli, la circonferenza addominale era cresciuta e, verosimilmente, di molto rispetto ai 99 cm. iniziali.

Di fronte alle illazioni circa la possibilità di rottura del corno tiroideo durante le operazioni del 5.09.02, la D.ssa Carlesi ha invece pienamente confermato l’estrema correttezza dell’operato del Prof. Pierucci ed ha aggiunto che non solo la difesa di parte Narducci e i suoi CT non hanno sollevato la minima eccezione sulle operazioni stesse né hanno concretamente evidenziato la pretesa manovra lesiva, mai intervenuta, ma la stessa CT del PM ha potuto percepire la frase: “ D’ora in avanti dobbiamo negare l’evidenza”, provenire dal gruppo comprendente l’Avv. Alfredo Brizioli e i suoi CC.TT. e lo stesso difensore del Brizioli, Avv. Ghirga, ha confermato che trattavasi del suo cliente (vds. Annotazione dell’Ass. Mion, della Squadra Mobile di Perugia). Fatto questo di inusitata gravità, che comprova come le ipotesi formulate di rottura accidentale del corno in questione in fase post mortale abbia carattere del tutto strumentale e sia consapevolmente destinata ad occultare un omicidio che avrebbe imposto indagini che la famiglia del Narducci non avrebbe potuto tollerare.

Quanto alla copia di foto, con evidente modifica, presentata dall’imputato Brizioli Alfredo all’udienza del 17 giugno, si tratta dell’oggettiva e chiarissima chiamiamola così “rilettura” e “riproposizione” della foto “04.P5.22_23.jpg”, presente agli atti, nella quale quelle che vengono presentate come le gambe del cadavere non sono altro che un telo di plastica bianco e svolazzante, che si trova a destra del cadavere, posto sempre nella stessa posizione delle altre foto. La foto 05.P5.23_24.jpg lo comprova sin troppo chiaramente.

Cionostante, all’udienza del primo ottobre, la difesa di parte Brizioli e lo stesso imputato, sostenuti dalla difesa Trio e da quella Narducci, hanno tentato di riproporre la questione, hanno insinuato addirittura che la foto era stata sottratta dalla Procura e non inserita negli atti del procedimento, hanno cercato di far credere che le foto (e i rispettivi negativi) di cui al CD in atti non fossero state accompagnate dai rispettivi negativi ed hanno depositato, per la prima volta, una nuova CT del Prof. Mallegni, le cui conclusioni sono fondate su questa specie di foto, con la quale Mallegni ha cercato di “ricostruire” e di “rileggere” la citata foto “04.P5.22_23.jpg”. Ma i negativi, subito fatti ricercare da codesto GUP, anche su richiesta di questo PM, erano agli atti e l’iniziativa delle difese dei principali protagonisti di questa inquietante vicenda processuale si è rivelata un clamoroso autogoal.

Correre il rischio prevedibilissimo di vedersi clamorosamente sconfessati, com’è accaduto regolarmente, e ciononostante insistere in un’iniziativa che appariva all’evidenza pericolosissima…questo è quello che hanno fatto le difese Brizioli, oltre all’imputato Alfredo Brizioli, Trio, Narducci e, se non sbaglio, Pennella, che hanno, per di più, confermato l’assoluta comunanza di intenti e di strategie ancora alla data del primo ottobre 09. Se tutto fosse stato un banale incidente, una banale disgrazia, anche un semplice suicidio (peraltro senza una plausibile motivazione), si spiegherebbe tale condotta ? Lascio a codesto GUP la risposta.

E’ sempre la solita storia, continua con le identiche modalità che l’hanno accompagnata dal 1985 ad oggi.

Si è visto, in proposito, che esito abbia avuto una iniziativa difensiva così, consentitemi, azzardata, all’udienza del 22 dicembre 2009, con l’ordinanza di codesto GUP che ha respinto tutte l’istanza di perizia sul punto, oltre alle residue istanze ed eccezioni ed ha fissato l’inizio della discussione al 22 febbraio 2010.

Tornando alle CC.TT medico legali, all’udienza del 17 giugno, il Prof. Mauro Bacci, consulente di parte civile, ha confermato, con una lucidissima esposizione le conclusioni del Prof. Pierucci, escludendo in particolare che la frattura del corno superiore sx della cartilagine tiroidea potesse essere ascritta ad un fatto accidentale, verificatosi post mortem ed ha confermato che l’imponente colonia batterico – fungina in corrispondenza della frattura potrebbe essere segno indiretto della presenza di sangue e, quindi, della vitalità della lesione.

Si sono illustrati in precedenza episodi rivelatori di un’attività criminosa di contrasto alle indagini soprattutto nella fase dell’esumazione del cadavere del Narducci.

Ma episodi non meno inquietanti sono accaduti nel secondo semestre del 2003 e del 2005, in coincidenza, questi ultimi con l’incidente probatorio svoltosi nel vecchio procedimento n. 8970.

Il 4 novembre 2003, due tecnici della Ditta CITE, operante in sub appalto per la Telecom, identificati in Zambernardi Rossano e Ramalli Matteo, si presentavano negli uffici del G.I.De.S. per dar corso all’installazione di una linea ISDN presso la centrale telefonica del complesso “Il Magnifico”, ove era ospitato il G.I.De.S.,, come da ordinativo dei lavori, che esibivano a personale del G.I.De.S. e nel quale figurava quale intestatario la Procura della Repubblica di Firenze, Viale Luigi Gori nr. 60, giusta richiesta del 31.10.2003.

I due tecnici, dopo aver provveduto all’allaccio, eseguito alla costante presenza di personale del G.I.De.S., se ne andavano via. Notiziato di quanto sopra, poiché non era stata avanzata alcuna richiesta di linee, il Dr. Giuttari disponeva immediati accertamenti presso la citata ditta e presso la Telecom.

Contattati i responsabili della Telecom, gli stessi dichiaravano di non essere a conoscenza del lavoro e questo anche la signora Antonella Bellon dell’ufficio di Milano, che nell’ordinativo del lavoro era citata come referente.

Su richiesta dell’ufficio diretto dal Dr. Giuttari, nella stessa giornata si presentava il tecnico Telecom Marchi Simone che procedeva alla disattivazione della linea e, nell’occasione, la borchia ISDN, denominata NTI/BA – 2B1Q recante il numero 3438150, veniva sottoposta a sequestro.

Si apprendeva che la richiesta di installazione sarebbe stata fatta telefonicamente al servizio 191 della Telecom, ove all’atto della domanda telefonica, il richiedente doveva fornire il codice fiscale, l’intestazione della linea e l’indirizzo e che successivamente non era seguito alcun supporto cartaceo.

Zambernardi Rossano, sentito in data 05.11.2003, riferiva:

“ …Si tratta di una superlinea ISDN digitale. Su tale linea, che può andare ad una velocità di 64 K, non può essere collegato un telefono normale perché su tale linea passano esclusivamente flussi di dati. Pertanto, come terminale della linea vi può essere collegato o un telefono ISDN o un personal computer o una particolare apparecchiatura in grado di decifrare dati. Dalla centrale telefonica presso la struttura Il Magnifico dove abbiamo collocato la borchia ISDN, attraverso un cavo secondario che arriva ad un armadio collocato in una stradina qui vicina, si dirama un cavo primario che arriva alla centrale di Peretola in Via Zambeccari. Da tale centrale, in cui noi tecnici CITE possiamo accedere soltanto al permutatore, si diramano le linee che possono essere dirette in qualsiasi parte d’Italia. Ieri, nel pomeriggio, verso le 15.30, io ed il collega ci siamo recati in Via Zambeccari per attivare la linea installata in mattinata; posso confermare che la linea funzionava”.

Gli sviluppi degli accertamenti, in un primo tempo delegati da questo PM, venivano poi svolti personalmente dal dr. Canessa e il loro esito è, ad oggi, sconosciuto: giova solo osservare che, attraverso tale strumentazione, potevano essere captate e registrate tutte le comunicazioni telefoniche e le intercettazioni telefoniche in corso al G.I.De.S. Si veda l’ultima informativa G.I.De.S. del 4.04.07 a p. 223.

Il 22.12.2003 il Responsabile del G.I.De.S. denunciava:

“In data odierna, verso le ore 12.00, ho prelevato la mia autovettura( A.R. 156 tg. BR 221 TP) parcheggiata nel garage coperto sito all’interno del Complesso “Il Magnifico” per recarmi a casa dovendo partire per un periodo di ferie all’estero, già programmate. Alle successive ore 12.20, parcheggiavo l’auto in via Curtatone, accanto alle aiuole nelle vicinanze dell’omonimo bar. Verso le ore 17.00, riprendevo l’auto svoltando in via il Prato dove, dopo aver percorso un breve tratto, improvvisamente la gomma anteriore destra si afflosciava. Dopo essermi accostato al marciapiede ho chiamato due collaboratori, il V. Sov. Michele Natalini e l’Ass. C. Alessandro Borghi, ed unitamente a loro ho sostituito la ruota portandomi presso il gommista sito in via Toselli per la riparazione. Il gommista, dopo aver controllato la gomma, mi faceva notare un piccolo buco che era stato praticato lateralmente e mi riferiva che, viste le dimensioni e la posizione dello stesso, era stato fatto sicuramente con dolo escludendo così un evento accidentale. Denuncio pertanto, a tutti gli effetti il danneggiamento patito….

Non ho sospetti su alcuno, ma posso affermare con tutta probabilità l’atto possa rappresentare un gesto di ritorsione e, comunque, di sabotaggio, per l’impegno investigativo nella nota indagine sui fatti attribuibili al c.d. “Mostro di Firenze” e su quelli dell’inchiesta perugina collegata. Voglio altresì ricordare che in data 13 giugno 2002 ho subito il danneggiamento mediante la foratura delle 4 gomme dell’auto Lancia Delta tg. AP 715 DX, all’epoca in mio possesso, posteggiata nella circostanza all’interno dell’area ferroviaria di Porta al Prato e che di tale evento, in data 14 giugno 2002, ho sporto regolare denuncia”.

Alla data dell’informativa, cioè al 4.04.07, secondo il Dr. Giuttari, nulla gli era stato chiesto dall’AG procedente a cui era stata presentata la denuncia e si ignorava se fosse stata disposto la richiesta consulenza sul copertone in sequestro, che ancora era custodito nei locali del “Magnifico”. Il Dr. Giuttari, quindi, doveva recarsi all’estero e avrebbe verosimilmente percorso un lungo tratto autostradale….

E veniamo alla notte tra il 7 ed 8 novembre 2005, quando ignoti entravano nella stanza 801, in uso al Dr. Giuttari e mettevano sottosopra i faldoni contenenti la documentazione delle indagini, sparpagliandoli a terra. Successivamente, sempre dal personale addetto, veniva notato che la placca di copertura della presa telefonica in uso al Dr. Giuttari era staccata dal muro ed appoggiata per terra. ed anche di questa situazione venivano scattate alcune foto.

L’incaricata delle pulizie, che per altro si trovava ancora al piano per terminare il suo giro, riferiva di aver trovato, anche lei, al momento di entrare nei locali sopra citati i faldoni a terra, precisando però di aver solo provveduto a svuotare i cestini della carta.

Venivano svolti anche accertamenti presso il locale Corpo di Guardia del Complesso “Il Magnifico”, dove però il personale addetto riferiva che il passe-partout in uso veniva spesso preso da molte persone, senza che però la cosa venisse annotata, né veniva operato un controllo sull’effettivo uso.

Con delega n. 13323/05, del 9 novembre 2005, questo PM disponeva il sequestro delle videocassette del circuito televisivo interni del Complesso “Il Magnifico”, relativo al periodo compreso fra le ore 20.00 del 7.11.2005 e le ore 08.00 dell’8.11.2005. Sequestro, però, che non era possibile eseguire poiché, come da dichiarazioni rese dall’Isp. C. Armando Saccoccioni, responsabile dei laboratori tecnici della Zona Telecomunicazioni di Firenze, l’impianto di registrazione non era funzionante in modo corretto e, pertanto, non aveva registrato immagini.

Veniva inoltre assunto a S.I. tutto il personale della Polizia di Stato in servizio di vigilanza presso il Complesso “Il Magnifico” dalle ore 20.00 del 7.11.2005 alle ore 08.00 dell’8.11.2005.

Dalle dichiarazioni rese emergeva che durante il servizio di vigilanza presso il Corpo di Guardia del complesso “Il Magnifico”, la prassi usata per l’uso del passe-partout, con il quale si accedeva a tutte le stanze del complesso, prevedeva che un componente del Corpo di Guardia accompagnasse il richiedente fino alla propria camera, provvedendo ad aprire la porta. Nel caso straordinario in cui non vi fosse stato personale sufficiente ad effettuare tale servizio, il capo turno provvedeva a consegnare la chiave direttamente al richiedente, annotando la richiesta sul registro delle novità. Non risultava però che nelle date interessate fosse stato annotato tale evento. In particolare l’Agente Scelto Neri Sergio, in servizio presso l’8° Reparto Mobile, riferiva di aver appreso da altri colleghi che uno dei passe-partout forniti al personale che si occupa delle pulizie era stato perduto.

Il personale del G.I.De.S. apprendeva inoltre che oltre ad essere stato smarrito un passe-partout del personale addetto alle pulizie, erano in circolazione altre copie in possesso di non meglio identificati appartenenti alla Polizia di Stato.

Dell’episodio poi si interessava la Procura di Firenze, che delegava la squadra Mobile e nulla si sapeva dell’esito delle indagini: si veda la citata informativa G.I.De.S. alle pp. 228 e segg.

Va solo sottolineato che tali locali, dove si era svolta l’irruzione, facevano parte di una struttura, completamente recintata e vigilata, della Polizia di Stato e che, alla data del novembre 2005, il Dr. Giuttari e la sua struttura operava solo alle dipendenze di questa Procura per le indagini sul caso Narducci.

Era necessario ricapitolare i gravissimi e inquietanti episodi che si sono descritti, rivelatori del fatto che, anche nel corso degli ultimi anni delle indagini, si sono ripetuti episodi che non possono ragionevolmente spiegarsi se non per effetto di una struttura permanente organizzata, volta da sempre a paralizzare lo sviluppo delle indagini su tutta la vicenda, una struttura che, per di più, era in grado di agire indisturbata anche in una Caserma della Polizia di Stato, qual’era la sede de “Il Magnifico”.

Infine, il procedimento per l’omicidio e i reati connessi al “doppio cadavere” ed altro, si è concluso con ordinanza di archiviazione ex art. 125 disp. att. sulla riferibilità del fatto agli indagati Spezi e Calamandrei e per prescrizione sui reati di cui agli artt. 411 e altro c.p., con la piena conferma dell’ipotesi omicidiaria, di quella del “doppio cadavere” e, infine, di quella del coinvolgimento del Narducci nella vicenda dei delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” (vds. ordinanza della D.ssa Marina Derobertis del 5.06.09, nel proc. 1845/08/21).

A conclusione di tale passaggio, va posta l’attenzione su un aspetto su cui hanno reiteratamente insistito non solo le difese Narducci, Brizioli, Trio, Di Carlo, ma anche lo Spezi e il suo difensore Avv. Antonino Filastò, specie nell’udienza di opposizione alla richiesta d’archiviazione del procedimento n. 1845/08/21, cioè di quello relativo, in particolare, al delito di omicidio pluriaggravato.

Mi riferisco alle dichiarazioni di Dolciami Luigi, pescatore ma anche lontano parente di Baldassarri Giordana, infermiera che aveva lavorato nell’Ospedale di Foligno, presso il Reparto di Ostetricia e di Ginecologia di cui era Primario il Prof. Ugo Narducci e nell’ambulatorio ospedaliero dello stesso (vds. dich. della Baldassarri in data 18.09.02, p.p. 17869/01/44).

Di persone informate sui fatti ne sono state sentite tantissime. Alcune si sono rivelate più importanti di altre dal punto di vista processuale.

Dolciami Luigi si era rivelato persona di un certo interesse per le indagini sin dall’audizione del 30.05.02, la prima, dinanzi a questo PM.

E perché ? Per una serie di motivi, vale a dire in primo luogo per il fatto che, come è successo anche a Ticchioni Enzo, il Dolciami si è trovato al lago in coincidenza temporale e spaziale con il passaggio del Narducci da San Feliciano; in secondo luogo, perché l’anziano pescatore (Dolciami) ha visto, sia pure da notevole distanza (oltre 500 metri), un’imbarcazione con una persona a bordo, in un punto che potrebbe coincidere con il passaggio del Narducci, in terzo luogo, perché, ripassato nei pressi dell’imbarcazione, aveva notato che la persona non c’era più e, infine, perché da persone del paese di San Feliciano, a qualche giorno dalla scomparsa del Narducci, sentì dire che quest’ultimo era il mostro di Firenze e, successivamente, che faceva parte dei “compagni di merende”.

Nella successiva assunzione a informazioni sempre dinanzi a questo PM, in data 30.12.03 (sempre nel procedimento n. 17869/01/44), il Dolciami ha aggiunto ulteriori particolari, che di seguito si elencano:

  • l’imbarcazione da lui vista l’8 ottobre e a cui si riferiva la sua descrizione non era verosimilmente quella di cui alle foto allegate al verbale (cioè alle foto 20.P1.22°_23.jpg; 21.P1.23°_24.jpg; 22.P1.24°_25, erroneamente descritte col numero: “Provino 5”, mentre si tratta del Provino 1 e che ritraggono appunto l’imbarcazione del Narducci), perché con forma più rettangolare e punta non “aguzza” come quella ripresa nelle foto;

  • la persona alla guida dell’imbarcazione aveva, forse, un berretto ed era vestito di “una specie di tuta di colore grigio” e il Dolciami non è in grado di dire se l’uomo potesse essere il Narducci, che, peraltro, lui aveva conosciuto solo dalle fotografie pubblicate dai giornali dal 2001 in poi e che non conosceva all’epoca;

  • a San Feliciano pressoché tutti gli abitanti dicevano che il Narducci fosse coinvolto nel giro dei delitti, in particolare il defunto Zoppitelli Giuliano e anche, tra gli altri, Ticchioni Enzo.

  • Nei giorni successivi alla morte del Narducci, un pescatore affermò che quel cadavere ripescato a Sant’Arcangelo non poteva essere quello del Narducci, non corrispondendone l’altezza.

Circa i riferimenti alla tragica vicenda criminale fiorentina, Bigi Vincenzo ha sostanzialmente confermato ed ha precisato che venne a sapere di tali circostanze dal cugino Bigi Dante, di Sant’Eraclio, poi defunto. Il Bigi, nel verbale in data 15.10.2004 (proc. n. 8970/02/21), quello a cui si riferiscono le sue dichiarazioni, ha aggiunto testualmente: “Faccio presente ho avuto difficoltà a dire queste cose perché ho paura.” Faccio notare che questo soggetto aveva, quindi, paura di parlare, come molti altri, e ce l’aveva ancora il 15.10.2004, a quasi vent’anni dalla morte del medico…..Paura di chi e di che cosa se tutto sarebbe finito nel 1985 ?

Anche il Cocchini ha confermato quanto riferito dal Dolciami (vds. verbale dell’8.10.2004).

Il Ticchioni, da parte sua, ha ampiamente confermato la circostanza e a confessato che a informarlo era stato Emanuele Petri, il Sovrintendente di Polizia, originario del Lago Trasimeno, morto nell’attentato del 2.03.03, sul treno regionale lungo la tratta “Roma – Firenze”, poco oltre la Stazione di Cortona – Camucia, in direzione di Perugia.

Il Dolciami è stato esaminato come teste anche in sede d’incidente probatorio il 18.11.2005 (proc. n. 8970/02/21).

In quella occasione, il Dolciami ha detto che:

  • l’imbarcazione era una pilotina, di colore celeste (cioè un’imbarcazione con cabina): vds. pp. 125 e 131 del verbale della deposizione del Dolciami in data 18.11.05);

  • l’uomo (o la donna) a bordo aveva un giacchetto come quello indossato dal teste (che era grigio): vds. stesso verbale a p. 132;

  • il lago era calmo come una tavola, l’acqua era limpida e intorno alla barca non c’era nulla (vds. lo stesso verbale a p. 134 e 142);

  • vide l’imbarcazione verso le 15 e circa due ore dopo se ne tornò a casa, ma l’uomo non c’era più e, avvicinatosi all’imbarcazione, s’impressiona e vede che non c’è nessuno (vds. stesso verbale a pp. 137 e 140);

E’ evidente che il Dolciami non ha visto affatto il Narducci che non indossava una tuta grigia né, tantomeno, un cappello e non ha visto affatto la sua imbarcazione, ma un natante con cabina, cioè una “pilotina”. Ha visto, quindi, un soggetto che non era il Narducci che Belardoni Agata, moglie di Giuseppe Trovati, titolare della darsena dove Francesco si recò a prendere la sua barca l’8 ottobre, descrive vestito in questo modo: “Aveva un giacchetto di pelle marrone. Mi sembra che sotto il giubbotto avesse qualcosa di scuro, in particolare di verde o marrone. Non ricordo se il giubbotto fosse o meno allacciato. Mi pare che i capelli fossero in ordine ma io non lo vidi arrivare ma lo vidi qualche attimo dopo. La moto era rossa. I pantaloni mi pare che fossero scuri” (vds. le dich. in data 7.10.06, nel presente procedimento 2782). E Belardoni Giuliano, cugino della moglie del Trovati, conferma: “Indossava un giubbotto di pelle di colore marrone chiaro. Poiché me lo chiede le dico che non ricordo se indossasse una camicia o una maglietta e se portasse una cravatta. Aveva dei pantaloni mi sembra scuri” (vds. dich. in data 6.10.06).

Il Dolciami descrive, poi, un’imbarcazione profondamente diversa da quella mostrata al teste. E la descrizione di questa imbarcazione assomiglia sin troppo a quella che Fagioli Francesco, nel primo pomeriggio, dell’8 ottobre 1985 ha visto avvicinarsi all’imbarcazione del Narducci, portatasi ad altissima velocità nei pressi a sud dell’Isola Polvese (vds. le dich. in data 28.09.06).

Nonostante l’”ammorbidimento” subito dal teste (vds. capo XI), evidenziato, tra l’altro, dalla insofferenza con cui lo stesso ha risposto alle domande di questo PM nell’incidente probatorio e, soprattutto, dalle pressioni esercitate dal Dolciami su Ferri Giancarlo, prima che lo stesso rendesse le sue dichiarazioni il 17.09.04, affinché il Ferri ritrattasse le precedenti (vds. le dich. del Ferri in data 17.09.04 e il passaggio a p. 52), nonostante tutto questo, il Dolciami è uno dei soggetti le cui dichiarazioni comprovano la presenza di un soggetto e di un natante diversi dal Narducci e dalla sua imbarcazione in coincidenza spaziale e temporale con la scomparsa del medico.

E’ appena il caso di aggiungere e ribadire che, a fronte di un così imponente complesso di risultanze a conforto del quadro complessivo, formulato da questa Procura, pressoché nulla abbiano potuto contrapporre le difese, a sostegno di una ricostruzione dei fatti, mirante a contrastarlo ed a sostenere il carattere accidentale della morte del Narducci o, in subordine, la natura suicidiaria della stessa, l’inesistenza dell’ipotesi del “doppio cadavere” e quella di qualsivoglia connessione della vicenda Narducci con quella della tragica sequenza omicidiaria fiorentina.

E tutto questo perché le risultanze investigative e degli accertamenti svolti dai CC.TT. della Procura e il quadro emerso dal lungo e complesso incidente probatorio sono talmente imponenti e unidirezionali, nel loro significato, da aver precluso alle difese margini di manovra di un qualche significato, soprattutto sul versante dell’incompatibilità tra “cadavere di Sant’Arcangelo” e “cadavere di Pavia” e connessioni fiorentine, mentre l’unico tentativo di difendere l’ipotesi della morte accidentale si fonda sul complesso degli “accertamenti” svolti all’epoca, che sono indifendibili in un modo, va detto, che può e deve definirsi letteralmente scandaloso, per tutto quello che si è detto sugli stessi e della cui gravissima lacunosità le difese hanno addirittura cercato, inutilmente, di avvantaggiarsi.

Uno dei personaggi, già finiti indagati, vale a dire Giuseppe Trovati, il titolare della Darsena di San Feliciano, in data 24.10.01, ha dichiarato, tra l’altro: “Quando il cadavere fu portato a terra lo vidi e mi pare che avesse le mani lasciate lungo i fianchi, leggermente spostate verso l’inguine; si vedeva il giubbotto contro cui premeva l’addome rigonfio. Vidi il cadavere quasi nero in volto che cominciava a scurirsi; fui chiamato per il riconoscimento e dissi che si trattava del Dr. Narducci. Il volto era normale e cominciava a scurirsi, io comunque lo vidi da circa due o tre metri. “.

L’8.05.02, il Trovati ha aggiunto: “un comandante forse della Polizia mi disse di riconoscere il cadavere. Io da una distanza di tre o quattro metri riconobbi nel cadavere il Prof. Narducci Francesco. Voglio precisare che io ero sul pontile quando la motovedetta dei carabinieri arrivò portando il cadavere del prof. Narducci sullo scafo e mentre lo stavano alzando per adagiarlo sul pontile io lo vidi e lo riconobbi senza ombra di dubbio “.

Il Trovati, quindi, ha dichiarato di aver visto il cadavere ripescato, di averlo visto gonfio e col volto quasi nero, da circa due o tre metri, di essere stato chiamato a riconoscerlo e di averlo riconosciuto.

Due cose balzano evidenti: i “ricognitori” ufficiali dell’epoca, come da relativo verbale, sono il Morelli ed il Farroni, non il Trovati. Quest’ultimo, peraltro, non è visibile nelle foto che riprendono il pontile.

Ma la risposta a queste dichiarazioni del marito ce l’ha data la moglie, Belardoni Agata, il 7.10.06: “Io non so se lui ha visto effettivamente il cadavere o meno perché mio marito ha il terrore dei cadaveri e non può guardarli. Lui mi ha detto vagamente che avevano trovato il cadavere del Narducci che aveva un giacchino addosso, ma non so se questa cosa l’ha vista lui o glielo hanno detto. Io non lo so. Mio marito è rimasto nel vago. In particolare, mio marito non ha assolutamente descritto il cadavere. Mi ha solo detto che aveva un giacchetto addossso simile a quello con cui era partito e che lo stringeva ai polsi. A quanto ho capito, da quello che mi ha detto mio marito e conoscendolo, lui non ha osservato il cadavere perché ne sarebbe stato traumatizzato ma, forse, ha dato solo un’occhiata da lontano in direzione del cadavere stesso. Da vicino non lo ha assolutamente visto. Rimango sorpresa nel vedere il cadavere di cui alla foto 02.P4.32A-33 che mi viene mostrata anche perché il cadavere indossa una camicia bianca ed io ricordavo che il Narducci avesse qualcosa di scuro sotto il giubbotto. Rimango sconcertata alla vista di questa foto e di quella n. 08.P2.14A-15, nella quale vedo che il cadavere è avvolto in un telo di plastica nel momento in cui viene issato sul pontile dalla pilotina dei Carabinieri e non capisco come mio marito possa averlo visto. Non lo so, questo non l’ho capito.

Le parole della Belardoni chiudono la questione, non solo sulle interessate dichiarazioni del marito che, in un’epoca in cui nessuno metteva in dubbio che il cadavere di Sant’Arcangelo fosse il Narducci, ha cercato di qualificarsi, contrariamente al vero, come il “ricognitore” di un cadavere che, al massimo, avrà intravisto da alcuni metri di distanza ma ha, in maniera oggi sin troppo sospetta, affermato di averlo riconosciuto.

Le parole della moglie del Trovati chiudono, invece, la questione, se ce ne fosse ancora bisogno e sono fondamentali non solo in relazione a questo particolare ma in relazione agli indumenti indossati dal medico.

Il Narducci, infatti. al momento della scomparsa, indossava, sotto il giubbotto, una maglietta scura, verde o, più verosimilmente, blu, forse quella maglietta Lacoste di cui hanno parlato Pierluca Narducci e Ferruccio Farroni e che la vedova stessa gli aveva visto indossare quando il marito lasciò la casa per non tornare mai più.

Il 28.05.05, Francesca Spagnoli ha precisato: “Ancora oggi ricordo e mi pare proprio fosse così che Francesco, quel giorno e cioè l’8 ottobre 1985, indossasse una polo Lacoste di colore blu. “. La stessa, in altra occasione precedente, vale a dire il 21.01.05, ha ricordato: “Quanto all’abbigliamento di Francesco il giorno della scomparsa, indossava dei jeans Burberrys di colore blu chiaro, dei mocassini neri, il giubbetto di renna “. Soffermandosi sui pantaloni, la Signora Spagnoli, l’8.03.2003, ha precisato: “non riesco a capire che tipo di pantaloni indossasse quel cadavere…io ricordo di aver regalato a Francesco il 04.10.1985, giorno del suo compleanno, proprio un paio di jeans…burberrys di colore piuttosto chiaro e mi sembra proprio che, il giorno della scomparsa, Francesco indossasse…quei jeans.. “.

Il cadavere di Sant’Arcangelo, invece, aveva, come s’è detto, una camicia chiara, pantaloni scuri e mocassini marroni, non neri. Si vedano soprattutto la foto 02.P4.32A_33 e il verbale di ricognizione che descrive in questo modo cosa indossasse il cadavere: “ “. Un pantalone jeans con giubbotto in pelle marrone, camicia e mocassine marroni”. Si vedano anche le primissime dichiarazioni della Seppoloni il 24.10.01, quando la stessa ha descritto gli abiti indossati dal cadavere: “una camicia e, se ricordo bene, un giubbotto sopra la camicia “. L’App. Meli, da parte sua, il 26.10.01, ha dichiarato: “Aveva una camicia a quadri “. Il Maresciallo Bricca ha dichiarato l’11.06.02: “Il cadavere aveva una camicia, e quello di cui sono assolutamente certo e lo ribadisco perché ho davanti ancora l’immagine di quel corpo, é che attorno al collo, sopra la camicia aveva una cravatta molto stretta al collo “. Anche il Dirigente della Mobile di allora, il Dr. Speroni, ha dichiarato di aver visto il cadavere con indosso una camicia: si veda il p. v. del 5.04.02.

Quanto ai pantaloni, la foto 02.P4.32A_33 è nettissima: i pantaloni indossati dal cadavere sono decisamente scuri, molto più scuri dei jeans indossati dal Farroni che preme, col piede sinistro, verso la spalla sinistra del cadavere.

Quanto al colore dei pantaloni indossati dal Narducci il giorno della scomparsa, si è visto che, secondo quanto riferito dalla moglie, l’ultima, insieme alla moglie del Trovati, che lo vide in vita, erano di colore blu chiaro. Secondo l’infermiera Mariella Lilli che vide il Narducci proprio l’ultimo giorno, i pantaloni erano neri (vds. il verbale in data 30.09.02) e il medico se li tolse verosimilmente, una volta tornato a casa, per indossare abiti più sportivi, tra cui i jeans chiari. Quelli del cadavere di Sant’Arcangelo erano scuri ma, ricorda l’Isp. Antonio Tardioli della Squadra Mobile, sentito il 5.03.04: “Io l’ho visto solo con la camicia e, se ben ricordo, i pantaloni dovevano essere di colore marroncino.

Vi è un ulteriore particolare che va sottolineato. Come si vede dalle foto, il cadavere indossava pantaloni scuri e una cintura chiara: basta osservare la stessa foto 02.P4.32A_33 o anche quella 22.P5.28A_29. La vedova, in data 8.03.03 ha osservato: “La cintura bianca o comunque chiara che vedo indossata dal cadavere…non l’avevo mai vista indosso a Francesco, anzi credo proprio che Francesco non avesse cinture di colore chiaro. Francesco aveva cinture, per lo più, di colore scuro di pelle o in stoffa”.

I reati oggetto del presente processo.

Questa lunga premessa era necessaria per affrontare i vari capi d’imputazione, quelli per i quali si procede nelle forme ordinarie e porre in evidenza la sussistenza di tutte le condizioni richieste per il rinvio a giudizio.

Capo d’imputazione n. I. E’ la contestata associazione per delinquere, cioè il consorzio criminoso intervenuto, sulla base dei risultati delle indagini, tra Narducci Ugo e Pierluca, rispettivamente padre e fratello del medico deceduto, l’allora Questore Trio, l’amico del Narducci e, per un certo periodo, legale della famiglia Narducci, l’Avv. Alfredo Brizioli, l’allora Comandante del Nucleo Elicotteri di Arezzo dei Vigili del Fuoco e Vice Comandante dei VV. F. di Perugia, Pennetti Pennella Adolfo e l’allora Dirigente della Divisione Polizia Giudiziaria della Questura di Perugia, il Vice Questore Aggiunto Luigi De Feo e l’allora Comandante della Compagnia CC. di Perugia, Francesco Di Carlo, recentemente deceduto.

A questi si sono, poi, aggiunti, come concorrenti esterni, lo Spezi, il Rinaldi e l’Avv. Antonio Brizioli.

E’ il reato più importante tra tutti quelli contestati, quello che emerge dalle indagini e che consegue necessariamente e logicamente una volta che si sia preso atto dei tre aspetti fondamentali delle indagini sopra illustrati

Occorre premettere che, com’è noto, elementi costitutivi di tale reato:

a) un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati;

b) l’indeterminatezza del programma criminoso che distingue il reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato;

c) l’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira” (Cass. Sez. I sent. n. 10107 del 1998, ric. Rossi e altri).

Ad avviso di questa Procura, le risultanze delle indagini che di seguito si richiameranno, consentono di ritenere la piena sussistenza di tutte le condizioni richieste dalla legge per farsi luogo all’approfondimento dibattimentale circa l’esistenza di tale reato e il vincolo associativo permanente da esso scaturito.

Quello che è stato fatto per occultare in particolare attraverso la clamorosa messinscena del “doppio cadavere” la morte per omicidio del Narducci e ciò che si poneva “a monte” dell’omicidio stesso, cioè il coinvolgimento del medico nella vicenda dei duplici omicidi di coppie e il fatto che questa fiction, chiamiamola così, dovesse perdurare negli anni nonostante tutti i possibili e prevedibili tentativi che avrebbero potuto essere posti in atto da parte della Procura di Firenze, nel corso di immaginabili approfondimenti della vicenda criminale fiorentina, ma anche, col passare del tempo, della stessa Procura di Perugia, magari su impulso della vedova del medico e della famiglia della stessa, tutto questo, si diceva, non poteva essere frutto della spontanea azione di questo o quel personaggio comunque coinvolto nella vicenda.

Qui occorreva:

  • dapprima avere il quadro esatto delle condotte fiorentine del Narducci e di quello che gli inquirenti fiorentini sapessero di lui;

  • poi occorreva che la morte per omicidio del medico e il suo effettivo rinvenimento venissero completamente occultati, come in effetti è avvenuto e, a tal fine, bisognava poter controllare in maniera assoluta gli organi di Polizia giudiziaria e i potenziali curiosi che fossero intenzionati a parlare;

  • occorreva anche che gli organi d’informazione dessero la notizia del rinvenimento del Narducci il 13 e non il giorno in cui fu effettivamente ritrovato;

  • bisognava, poi, poter occultare il Narducci in modo che potesse essere poi esposto quasi “truccato” il lunedì successivo e fosse visto da stretti conoscenti come la Signora Miriano;

  • bisognava reperire il cadavere di uno sconosciuto morto qualche tempo prima, immergerlo nel lago con pesi (il cui segno è forse il segno a “grattacacia” che il Morarelli vede nel corpo dell’uomo ripescato) e farlo riemergere nella prima mattinata di domenica 13 ottobre;

  • era necessario controllare il movimento degli elicotteri del Nucleo di Arezzo dei VV.F. al cui comando era uno degli associati, Pennetti Pennella Adolfo, per farli levare in volo in un giorno di domenica, molto prima che venisse avvistato il cadavere dello sconosciuto affiorato dalle acque del lago Trasimeno, antistanti il pontile di Sant’Arcangelo;

  • era necessario porre in essere tutte le condizioni perché il cadavere ripescato non fosse oggetto di una regolare visita esterna, non venisse fotografato, venisse “riconosciuto” solo attraverso i documenti, non fosse sottoposto ad accertamento autoptico e venisse immediatamente restituito ai familiari, dopo un “nulla osta” verbale dell’Autorità giudiziaria e, quindi, era necessario che soggetti partecipanti all’associazione gestissero tuta l’attività sul pontile di Sant’Arcangelo, tenendone sostanzialmente all’oscuro l’Autorità giudiziaria, “rassicurata” circa il carattere meramente accidentale di quella morte. Sul punto, si richiamano le dichiarazioni dell’addetto al Cimitero Comunale di Perugia, Gianfranco Caligiani che, esaminato il 01°.03.05, ha detto che la salma del Narducci fu portata al Cimitero nel pomeriggio e che, contrariamente a tutte le regole, fu tumulata quella stessa sera, il che sarebbe ben strano se si riferisse al cadavere del Narducci i cui funerali si svolsero la mattina di martedì 15.10.1985 (vds. interrogatorio di Narducci Ugo del 01°.10.2007). A questo proposito, va riportato un passaggio delle dichiarazioni rese da Verzini Franco, all’epoca addetto al servizio necroscopico del Comune di Perugia, distaccato presso gli uffici di Via Fiorenzo di Lorenzo: “un giorno, non ricordo con esattezza quale ma credo che fosse il giorno in cui fu portata la salma a Perugia per la celebrazione della messa e la conseguente tumulazione, e comunque di mattina verso le ore 10 circa, vidi arrivare presso i nostri uffici di Via Fiorenzo di Lorenzo, il Dr. Ugo NARDUCCI insieme all’Ispettore NAPOLEONI della Questura, che conoscevo anch’egli molto bene in quanto persona molto nota a Perugia con la quale avevo avuto a che fare per motivi di lavoro. I due entrarono nell’Ufficio del responsabile, tale CALIGIANI Gianfranco di Perugia, e si chiusero dentro abbassando, addirittura, le tendine delle finestre. La cosa mi parve un pò strana e quando chiesi al CALIGIANI il motivo per cui si era incontrato con le suddette persone questo mi rispose in maniera evasiva, senza farmi comprendere il motivo di tale incontro. Mi sembra di ricordare che a quell’incontro non ci fossero altre persone. Qualche giorno dopo, per pura curiosità, domandai al direttore del Civico Cimitero di Perugia, tale Marino BATOCCHI, dove avevano tumulato la salma di Francesco NARDUCCI. Lo stesso, in maniera molto evasiva. mi rispose asserendo che al momento aveva da fare, senza darmi altre spiegazioni circa quanto da me chiesto. “.

  • era necessario occultare in maniera radicale il rinvenimento delle parti femminili escisse delle vittime ed evitare di informarne la competente Autorità giudiziaria, particolare questo riferito dal Dirigente della Divisione di PG Dr. De Feo al defunto Presidente del Tribunale Dr. Luigi Mazzini e a sua moglie Sig.ra Agostinucci. Era necessario falsificare la documentazione circa i doppi certificati di accertamento morte (la cui assoluta anomalia è stata riconosciuta, tra gli altri, dal Sovrastante del Cimitero Comunale di Perugia Marino Batocchi in data 28.02.05 e di Sciurpi Mauro, dell’ufficio servizi demografici del Comune di Magione che il 18.12.03 ha detto testualmente: “ “Non riesco a spiegarmi la presenza di un doppio certificato né le altre anomalie. Posso solo dire che a me sembra falso. Non ho mai visto in vita mia una cosa del genere”), in particolare attraverso la cancellazione dell’effettivo luogo di rinvenimento del cadavere e alla data dello stesso, nonché tutti i rapporti della Squadra Mobile della Questura di Perugia e del Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri di Perugia e, mediante soppressione, della scheda d’intervento del 13.10.1985 del Nucleo Elicotteri del Comando Provinciale dei VV. F. di Arezzo e operare una sistematica attività di pressione e intimidazione di tutti coloro, in primis il M.llo Lorenzo Bruni, che avrebbero potuto denunciare questo o quel particolare della vicenda, ivi compresi interi organismi di Polizia giudiziaria. Circa l’assoluta anomalia del doppio certificato di morte, si confrontino le dichiarazioni dell’impiegata del Comune di Magione Mencaroni Marisa del 01°.03.2005 e quelle di Calderini Renzo del 12.12.03. Ma le dichiarazioni più sconcertanti sono quelle del 13.03.02 della D.ssa Luciana Mencuccini che ha dichiarato testualmente: “Domanda . ” Ricorda di essere intervenuta con degli accertamenti circa la morte del dott. Francesco Narducci? ” Risposta : ” All’epoca della morte del dott. Narducci io mi trovavo in ferie . Avevo preso circa tre o quattro giorni di ferie. All’epoca io svolgevo le funzioni di medico responsabile del distretto socio­sanitario di Magione nell’ambito delle quali rientrava anche quella dell’attivita’ necroscopica. Noi nella nostra attivita’ ricevevamo i certificati di morte e sulla base di tali certificazioni rilasciavamo i certificati di accertamento di morte. Per redigere il certificato di accertamento di morte noi dovevamo vedere il cadavere e se si trattava di morte violenta…In pratica ricevuto il certificato di morte noi andavamo a vedere il cadavere, salvo casi eccezionali specialmente per i pazienti che conoscevamo personalmente. Invece nei casi di morte violenta andavamo solo noi a vedere il cadavere perche’ chiamavano noi del distretto che redigevamo il certificato di accertamento di morte e la nostra attivita’ non era preceduta da un certificato di morte come nei casi di morte non violenta….Domanda: Nei giorni in cui lei era assente chi la sostituiva? R:” Probabilmente il medico del distretto di Passignano.Domanda: “Lei Conosceva la dott.ssa Seppoloni? Risposta . ” Conoscevo la Seppoloni che svolgeva le sue funzioni presso la sede U.S.L. di Panicale . “Domanda : ” Per la zona di S. Arcangelo chi era competente?” Risposta : ” Il distretto di Magione.” A questo punto viene mostrata alla dott.ssa Mencuccini viene mostrato il certificato di accertamento di morte . Domanda : “Riconosce la sua firma? “Risposta : ” Si. Io ho rilasciato quel certificato sulla base del verbale di visita esterna e dopo aver visto il nulla-osta del magistrato. Il documento non l’ho solo firmato, l’ho anche compilato.”Domanda: ” Le contesto che il nulla-osta al seppellimento del cadavere e’ intervenuto due giorni dopo il rilascio del certificato di accertamento morte. Mi sa spiegare questa anomalia? ” Risposta : ” Non so spiegarmela. Mi pare di aver visto qualcosa della Procura, ma certo non il documento che mi viene esibito che e’ datato 16 ottobre.”D:” Lei mi ha detto che per redigere il certificato di accertamento di morte dovevate vedere il cadavere. Ha visto il cadavere del dott. Narducci prima di redigere il certificato? R:” No, ne’ prima ne’ dopo. D:” Sa spiegarmi perche’? R:” Ricordo che vi doveva essere qualche certificato della Procura che mi autorizzava a farlo.D:” Come mai non sono riportati sul certificato di morte i dati relativi alla macchie ipostatiche presenti invece nel processo verbale di riconoscimento e descrizione di cadavere redatto dalla dott.ssa Seppoloni e non e’ riportata l’ora della morte che la dott.ssa Seppoloni indica invece in 110 ore prima del rinvenimento?R:” Non so spiegarmi perche’.“. C’è poco da aggiungere a tutto questo specie se si tiene conto anche del fatto che la D.ssa Mencuccini, in occasione della morte del Narducci, fosse in ferie;

  • era necessario disporre del controllo degli organi di Polizia giudiziaria per bloccare sul nascere qualsiasi attività investigativa sul Narducci e questo è quello che ha descritto, tra gli altri, in particolare il Colonnello Antonio Colletti e questo non soltanto nei due ultimi mesi del 1985 ma anche, anzi, forse, soprattutto, in un momento successivo. E infatti l’intervento sul Comandante dek Nucleo PG di Perugia, tanto per citare solo questo, a titolo esemplificativo, avviene nel 1987 e a ridosso della costituzione delle Sezioni di Polizia Giudiziaria, cioè attorno all’ottobre 1989, vengono fatti sparire importanti documenti e vengono ancora bloccate indagini (è ciò a cui si riferiscono le dichiarazioni dell’impiegata comunale Cataluffi);

  • era necessaria un’azione d’intimidazione degli organi d’informazione, immediatamente denunciati non appena avessero rotto in qualche modo il silenzio che era stato imposto sulla vicenda;

  • e questo solo a titolo esemplificativo, dovendo richiamarsi in proposito tutte le attività che si erano rese necessarie per calare una cappa di silenzio su tutta la vicenda, in tutti i suoi molteplici aspetti.

Di tale associazione debbono ritenersi partecipi, il Prof. Narducci Ugo, promotore, costitutore ed organizzatore dell’associazione, a livello generale, mentre il figlio Pierluca era costitutore ed organizzatore della stessa. Importante, in relazione a Narducci Ugo è quanto dichiarato dalla suocera del figlio Francesco, Sig.ra Maria Bona Franchini, sin dal suo primo esame del 21.02.02, secondo cui: “Nel pomeriggio del giorno 9 mentre mi trovavo in casa di Ugo con mia figlia ed erano presenti molti loro amici, come il rettore Dozza e la moglie, Ugo mi prese in disparte portandomi in un’altra stanza, uno studio, e mi disse:” mi sono messo d’accordo con il Questore per non far fare l’autopsia a Francesco”. Quindi, già il pomeriggio del 9, mentre erano ufficialmente ancora in corso le ricerche del medico, il padre di questi, che evidentemente conosceva la verità e che cioè il figlio era già stato ritrovato morto, si era subito preoccupato di mettersi d’accordo col Questore per bloccare il più elementare accertamento che si sarebbe dovuto compiere sul cadavere, vale a dire l’autopsia e questo è quello che Ugo disse alla consuocera ma è ragionevole ipotizzare che vi fossero ben altri particolari sui quali l’accordo tra Ugo e l’amico Questore Trio si sarebbe dovuto esplicare. E non è l’unica stranezza di quel 9 ottobre. La stessa Bona Franchini ha riferito anche testualmente: “Il giorno dopo parlando con Pierluca nei pressi di S. Feliciano nel tentativo di spiegare la scomparsa di Francesco ipotizzai che poteva forse aver avuto un appuntamento di lavoro, anche perché il titolare della darsena aveva detto che Francesco gli aveva assicurato che avrebbe fatto presto rientro ma Pierluca non mi fece nemmeno concludere il discorso esclamando: “ non veniamo fuori con questi discorsi non infanghiamo la memoria di Francesco”. Detto questo se ne andò lasciandomi interdetta “. Lo stranissimo comportamento di Pierluca aveva avuto un precedente proprio la notte tra l’8 e il 9 ottobre. E’ Francesca Spagnoli a narrarlo nella sua prima audizione: “Quando arrivammo al lago, a San Feliciano io o mia madre chiedemmo se Francesco fosse arrivato da solo al lago; a quella domanda Pierluca reagì in modo assolutamente anomalo esclamando: “ non cominciate ad infangare la memoria di Francesco!” “.

Di fronte ad una domanda più che legittima, la reazione di Pierluca è apparentemente inspiegabile ma è costante: alludere alla semplice possibilità che Francesco si fosse recato ad un appuntamento al lago, significava “infangare” la memoria del fratello. E’ una risposta che, in un contesto normale, non avrebbe il benché minimo senso. Anche se la suocera e la moglie avessero voluto alludere alla possibilità che Francesco avesse avuto un incontro con un’altra donna, magari, cosa del tutto possibile e tutto sommato banale, mai e poi mai ci si sarebbe potuto aspettare una risposta di quel genere, ma semmai una risposta tesa a rassicurare due persone, specie la moglie, che, per i loro rapporti con lo scomparso, erano legittimamente in ansia.

Pierluca ha scoperto involontariamente nei due passaggi che si sono indicati di essere a conoscenza di tutto, in piena sintonia col padre. Evocare l’appuntamento, significava indirizzare le ipotesi sull’omicidio e questo avrebbe aperto la strada alle indagini e, quindi, allo “scandalo” fiorentino che avrebbe, questo sì, “infangato” la memoria di Francesco.

E il Questore Trio, partecipe del segreto sulla vita di Francesco, mette subito la struttura della Squadra Mobile a disposizione dell’amico Ugo. Gianni Spagnoli, suocero di Francesco, che trascorse la notte tra l’8 e il 9 a San Feliciano con Ugo, racconta in questi termini, sin dal 21.02.02, le parole che un funzionario di Polizia mandato dal Questore disse a Ugo proprio quella notte: “Il questore inviò sul posto un maresciallo il quale arrivò e a me non rivolse parola, infatti si rivolse al sig. Ugo dicendogli che era stato mandato dal Questore e sarebbe stato a sua disposizione in quel momento e per sempre.“. Il Questore, quindi, aveva messo il funzionario (che altri non era che l’Isp. Luigi Napoleoni, colui che aveva svolto le indagini sul “Mostro”, dopo il delitto degli Scopeti; vds. le dich. del Napoleoni in data 25.01.02) “a disposizione” del Prof. Ugo, per un fatto che, secondo la vulgata 1985, difesa ad oltranza dagli stessi Ugo Narducci e Francesco Trio, era riferibile ad “annegamento da probabile episodio sincopale”, in quel momento e per sempre.

Decisamente i conti non tornano, perché quel “sempre” non ha alcuna ragionevole motivazione in relazione ad un fatto che, secondo la versione ufficiale di allora, presentava delle caratteristiche meramente accidentali.

E questo accadde la notte tra l’8 e il 9 ottobre, ma già da un mese prima la Squadra Mobile e in particolare l’Isp. Napoleoni aveva svolto, come s’è visto, indagini sul “Mostro di Firenze” a Perugia, a Foligno e a Firenze, all’insaputa del Dirigente Dr. Alberto Speroni (vds. le dich. di quest’ultimo in data 5.04.02).

Ma il Dr. Speroni non fu l’unico a non essere stato informato di tali indagini. Il poliziotto del Commissariato di Foligno Sergi Antonino, che teneva da sempre i contatti con la Mobile di Perugia, ha detto in data 30.09.02: “non riesco a capire perché in relazione alle indagine in Foligno da parte della Squadra Mobile di Perugia visto il registro che conferma, io non sia stato mai contattato. “.

E l’Isp. Napoleoni ha parlato anche di indagini svolte a Perugia sulla vicenda del “Mostro” da parte di personale di Polizia proveniente da Firenze. Si vedano le dich. del Napoleoni in data 12.12.03: “Ricordo però che in più occasioni è venuto a Perugia, personale che si occupava delle indagini sul “Mostro”, provenienti da Firenze, non ricordo però chi fossero, io mi sono limitato a dare supporto logistico e non credo di conoscere il risultato di tali indagini. “.

Il 27.01.2004, Verzini Franco, dipendente dell’USL di Perugia, addetto al servizio necroscopico distaccato presso il Comune di Perugia, ha riferito circa un altro strano episodio in cui l’Isp. Napoleoni accompagnò il Prof. Narducci al Cimitero, in occasione della morte del figlio, sottolineandone gli aspetti anomali: “un giorno, non ricordo con esattezza quale ma credo che fosse il giorno in cui fu portata la salma a Perugia per la celebrazione della messa e la conseguente tumulazione, e comunque di mattina verso le ore 10 circa, vidi arrivare presso i nostri uffici di Via Fiorenzo di Lorenzo, il Dr. Ugo NARDUCCI insieme all’Ispettore NAPOLEONI della Questura, che conoscevo anch’egli molto bene in quanto persona molto nota a Perugia con la quale avevo avuto a che fare per motivi di lavoro. I due entrarono nell’Ufficio del responsabile, tale CALIGIANI Gianfranco di Perugia, e si chiusero dentro abbassando, addirittura, le tendine delle finestre. La cosa mi parve un pò strana e quando chiesi al CALIGIANI il motivo per cui si era incontrato con le suddette persone questo mi rispose in maniera evasiva, senza farmi comprendere il motivo di tale incontro. Mi sembra di ricordare che a quell’incontro non ci fossero altre persone. Qualche giorno dopo, per pura curiosità, domandai al direttore del Civico Cimitero di Perugia, tale Marino BATOCCHI, dove avevano tumulato la salma di Francesco NARDUCCI. Lo stesso, in maniera molto evasiva. Mi rispose asserendo che al momento aveva da fare, senza darmi altre spiegazioni circa quanto da me chiesto. Anche questo comportamento mi sembrò strano, ma non gli diedi molta importanza.” .

Circa una decina di giorni dopo il 13 ottobre, il Narducci e il Trio si recarono in Comune (vds. le dich. dell’autista dell’ex Questore in data 5.03.03).

Vi sono altre dichiarazioni decisamente inquietanti e che non possono assolutamente essere ignorate, perché provengono dall’autista personale del Dr. Trio, Leonardi Enzo, che, in relazione alla vicenda Narducci e al fatto di essere stato più volte convocato dagli inquirenti, ha confessato di essersi trovato e di trovarsi in una situazione che lo stesso ha definito in termini di autentica disperazione. Nel verbale in data 29.04.04, dopo che gli era stata rivolta la domanda se avesse mai accompagnato il Questore a Firenze, il Leonardi dichiara di avere un “attacco di ansia” e poi, successivamente: “Il Leonardi dichiara: “questa situazione mi sta logorando e mi sta rovinando la vita; dopo la prima citazione, sono caduto in un baratro, vedendomi con dei sospetti. Ho ha una vita stupenda, ma questa storia mi sta rovinando”. A questo punto il Dottor Mignini Giuliano ed il Dottor Canessa Paolo contestano al Leonardi che lui aveva visto o saputo determinate cose e che gli era stato impedito di fare quello che voleva, ossia il suo dovere. Il Leonardi dichiara: “ no, assolutamente no. Sono pronto a qualunque confronto.” Si dà atto che il Leonardi dichiara in stato di evidente turbamento: “ questa storia, cioè il fatto di essere stato chiamato la prima volta dalla Squadra Mobile e poi dal Magistrato, mi ha gettato in un baratro e mi ha distrutto la vita.” Viene ripetuto al Leonardi, sia dal Dr. Mignini che dal Dr. Canessa, che lui era verosimilmente l’unico che aveva voluto procedere secondo la legge, ma che gli era stato evidentemente impedito ed il Leonardi dichiara: “ questa cosa la devo assolutamente negare. Io ero l’ultimo pesciolino della situazione. Io mi trovo in un grande imbarazzo perché lì sul posto ero l’unico pesciolino in mezzo a tanti pesci grossi. Io mi sono sentito così perché sono stato coinvolto in questa storia a causa del Questore Trio. ”———————–//

  • Il dottor Canessa contesta al Leonardi che lui si trova in questa situazione di disagio ora perché messo in difficoltà all’epoca dei fatti ed il Leonardi dichiara: “certo.” Di seguito aggiunge: “ per venire qui, mi sono consigliato con un avvocato ed anche con il cardiologo, per sapere se fosse opportuno venirci. Con l’avvocato ho detto che io mi trovo in questa situazione e gli ho chiesto che cosa dovessi fare. “ Di seguito il Leonardi aggiunge :” io mi trovo nel baratro perché sono stato coinvolto in questa storia.”————————//

  • Domanda: “ Lei è a conoscenza del fatto che l’Isp. Napoleoni effettuò indagini sul Narducci sin da un mese prima della scomparsa e ricercò l’appartamento fiorentino del medico ? “//

  • Risposta: “ Io non posso dire alcunché, ho letto sui giornali di questa casa, ma il solo pensiero di questa vicenda mi turba profondamente e mi sconvolge. Io mi auguro che le persone che mi hanno usato vengano scoperte. Aggiungo che intendevo dire che il fatto che Napoleoni facesse indagini a Firenze non lo conoscevo ed intendo sottolineare che la cosa che mi sconvolge è che io sia finito negli ingranaggi di questa indagine.”———————–//

  • Si dà atto che il Leonardi appare frastornato e preoccupato ed ad un certo punto rivolge questa domanda: “ deve risultare sul verbale che questa cosa l’ha detta lei e non l’ho detta io”, riferendosi alle indagini svolte dall’Ispettore Napoleoni .————//

  • Si dà atto che viene chiesto al Leonardi del corteo che parte dal molo di Sant’Arcangelo e lo stesso definisce “famigerato” il corteo di macchine … quindi il Dr. Canessa chiede al Leonardi perché dica Famigerato corteo e lo stesso risponde: “ no, non intendo quello di corteo ma quell’altro quello che voi avete detto.” A questo punto il Dr. Canessa risponde che nessuno ha mai parlato di altro corteo.————————-//

  • Domanda: “ come mai ha chiesto che risultasse a verbale che le io le ho chiesto se fosse a conoscenza delle indagini sul Narducci e sul cosiddetto “ mostro di Firenze”, fatte dall’Ispettore Napoleoni?”——————————————————————————-//

  • Risposta: “ volevo che risultasse a verbale che quelle cose me le ha dette lei.“ –//

  • Domanda: “ nel precedente verbale ha dichiarato che nella villa dei Narducci vi erano delle persone di ceto medio alto; chi erano queste persone?”——————————//

“. E’ un atteggiamento comune ad altri soggetti, in qualche modo toccati da questa storia. Si pensi a Zoppitelli Giancarlo, tanto per fare un esempio.

Quello che è più significativo è che non appena sono cessate le domande relative a sopralluoghi e indagini a Firenze, il Leonardi si è calmato ed è tornato a rispondere secondo modalità relativamente normali (si veda lo stesso verbale del 29.04.04 a p. 5). Ed è evidente che il Leonardi aveva dovuto essere presente ad uno di questi sopralluoghi, in relazione al quale l’ex autista del Questore definisce “famigerato” il corteo di auto che evidentemente non era quello che si formò a Sant’Arcangelo ma un altro che si mosse in area fiorentina in occasione di uno di questi sopralluoghi e il vivissimo turbamento che ha colto il Leonardi a distanza di tanti anni dal fatto e l’uso del termine “famigerato” allude troppo significativamente ad un qualcosa di terribile e di illegale che il Leonardi ha associato a quel corteo che è verosimilmente quello che si portò a Firenze dove fu rinvenuto quanto descritto dal De Feo o, comunque, qualcosa di sinistro e di orribile che ha letteralmente sconvolto il Leonardi e tutto questo non può, nella maniera più assoluta, trovare spiegazione se fosse vero che nulla di strano c’era in quella morte, avvenuta per un fatto meramente accidentale.

A proposito del Leonardi, lo stesso è stato esaminato il 2.12.2005, anche in sede d’incidente probatorio e in quella sede lo stesso ha confermato in pieno che l’ordine di portarsi al lago la mattina del 13 gli pervenne verso le 7 e che il Dr. Trio o si stava portando sul pontile di Sant’Arcangelo o vi era già, a quell’ora.

Ecco un passo della deposizione: “senta, chi la chiamò si ricorda? ENZO LEONARDI… credo che sia stata la sala operativa però ecco la persona non me la ricordo. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): ecco, e quindi alle ore… lei ha detto 7:00, 7:15, no? ENZO LEONARDI: 7:00, 7:15 sì. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): che cosa le disse… le dissero quindi che doveva portarsi a Sant’Arcangelo. ENZO LEONARDI: sì. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): perché l’aspettava il Questore Trio? ENZO LEONARDI: sì, dovevo andare a Sant’Arcangelo dove avrei trovato il Dottor Trio che stava andando sul posto, era andato sul posto con auto dei Carabinieri. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): con un’auto dei Carabinieri, avvicini un attimo il microfono perché non vorrei che… sì, ripeta quello che ha detto. ENZO LEONARDI: mi è stato detto che dovevo andare al molo di Sant’Arcangelo. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): alle ore 7:00, 7:15. ENZO LEONARDI: 7:00, 7:15 perché lì avrei trovato il Dottor Trio “. Ricordo che il cadavere fu ufficialmente rinvenuto alle 7.20 di quel mattino e che da Perugia al pontile di Sant’Arcangelo ci vuole qualcosa come una ventina di minuti.

Del resto, che il Dr. De Feo si interessasse molto del Narducci e della sua morte, ce lo ha confermato la D.ssa Rosalba Giannoni, nel p. v. del 28.08.2006.

Sempre in ordine al rinvenimento di qualcosa di compromettente nell’abitazione del Narducci, si riporta un passo delle dichiarazioni rese l’11.04.06 da Mazzari Anna, alias Suor Elisabetta che già aveva conosciuto Pacciani come appartenente alla Congregazione delle figlie della Carità: “Maridea non era sposata, e non credo che fosse una suora neppure una suora laica. Aggiunse che questo medico, di cui non mi pare che mi fece il nome, ma mi disse soltanto che era sposato con una Spagnoli, aveva una casa, anzi una villa in affitto a San Piero a Ponte o a Ponti che si trova nei pressi di Firenze. Questa villa in affitto il medico ce l’aveva all’insaputa della moglie e dei propri familiari. Maridea mi disse poi che il proprietario della casa, poiché l’affittuario non pagava più il canone, avvisò la moglie del medico a quanto mi sembra, tanto che indirizzò una lettera al medico di Perugia sollecitando il pagamento dei canoni arretrati che, a quanto ricordo, ammontavano a circa due o tre mesi. Il medico però era morto e allora i famigliari, insospettiti da questa situazione, si portarono alla casa di San Piero a Ponti e trovarono all’interno della stessa qualcosa di compromettente. Maridea aggiunse anche che il medico era impotente. A quanto mi disse i familiari cercarono di soffocare lo scandalo per il buon nome della famiglia. Maridea mi disse anche che questo medico era morto sulla barca del padre ma si trattava di una morte misteriosa perché non si sapeva in quali circostanze fosse morto. Di questo episodio non parlai né con gli inquirenti perché non me lo chiesero, né con Pacciani. “.

Anche Giuliana Mignini in Solinas ha riferito il 18.01.06 particolari a conferma di quanto precede: “Posso anche dire che una mia amica, la defunta Alma VINTI in BUFALARI, disse ad una amica comune che una sua collega insegnante, moglie di un appartenente alla Polizia, non so se di Perugia o di Firenze, le aveva narrato che il marito le aveva confidato, sconvolto, che recatosi in un appartamento che il Narducci aveva in locazione a Firenze, vide nel frigorifero un contenitore con reperti umani femminili come quelli asportati alle vittime del cosidetto “Mostro di Firenze”. I proprietari dell’appartamento, insospettiti dalla mancanza di notizie del Narducci, avevano, infatti, allertato la Polizia “. Il Dr. De Feo, infatti, era il marito di una insegnante: lo ha confermato lui stesso, tra l’altro, il 10.07.06. Il Dr. Amedeo Bufalari, sentito il 14.02.06, ha confermato che la moglie, parlandogli dei suoi colleghi, gli avesse detto che una di queste fosse moglie di un appartenente alla Polizia di Stato.

E l’allora Capitano Francesco Di Carlo, recentemente deceduto, copriva, come s’è visto e in maniera efficacissima, il delicato versante dell’Arma dei Carabinieri.

Le favole non possono trovare spazio in una vicenda giudiziaria.

E l’elicottero dei VV. F. di Arezzo ? Nelle foto del pontile di Sant’Arcangelo, si notano in divisa da elicotteristi dei VV.F. il Pennetti Pennella, Comandante del Nucleo Elicotteri di Arezzo e Cioni Mauro, Responsabile Operativo dello stesso Nucleo, sin da prima che il cadavere rinvenuto nel lago fosse portato sul pontile (vds. ad esempio, foto 12.P1.2°_3.jpg e 11.P1.1°_2.jpg, dove il Pennetti è l’uomo con barba e occhiali e la tuta da elicotterista, mentre il Cioni è l’uomo alto alla sinistra del Pennetti, guardando verso la foto, in quella n. 05.P2.11°_12.jpg). Quando avrebbe dovuto essere allertato l’equipaggio per arrivare sul pontile di Sant’Arcangelo per le 8 di mattina circa, lo spiega Mauro Cioni in data 24.09.05: “Innanzitutto, dobbiamo parlare anche del discorso tecnico: per mettere in condizioni l’aeromobile di poter decollare c’è il bisogno, assoluto, che il motorista effettui i controlli di routine (chiamata in gergo tecnico ispezione pre-volo) che durano mai meno di 40 – 45 minuti, sul velivolo di allora che era un G3. Solo dopo è possibile far levare in volo l’elicottero che, per norma, prevede la presenza a bordo o di due piloti e di un pilota più un motorista, comunque non più di due persone. A quell’epoca il mio orario di servizio iniziava alle ore 08.00, così come quello del motorista di turno, sempre presente, anch’egli dalle ore 08.00 die. Il motorista di quel giorno, come ho già detto, era PELOSI Fausto, anche se non metterei le mani sul fuoco. La mia abitazione in Arezzo dista circa 5 minuti dalla base, mentre il motorista PELOSI abitava ed abita nella zona di Castiglione del Lago – Panicale e, lo stesso, per raggiungere il Nucleo abbisognava, secondo me, di un tempo tra i 40 e 45 minuti, minuto più, minuto meno. Laddove fosse stato previsto un nostro intervento da effettuarsi prima delle 08.00 le strade erano due: o vi era stata una pianificazione della sera prima, su richiesta del Comando competente, quindi un servizio preordinato, oppure vi era una chiamata di mattino presto che allertava me che, di conseguenza, successivamente provvedevo ad allertare il motorista. Facendo un rapido calcolo, visto che me lo chiede, Tenente, posso dire che laddove fossimo partiti quel giorno alle ore 08.00 il motorista sarebbe partito dalla sua abitazione intorno alle ore 06.30. Se consideriamo anche che una persona deve anche prepararsi ad uscire alle ore 06.30 di casa, allora dobbiamo ragionevolmente supporre, sempre se l’elicottero sia partito alle 08.00, che io, o chi per me, abbia avvisato il motorista intorno alle ore 06.00. —-Voglio aggiungere che, per raggiungere l’obiettivo, in questo caso il Lago Trasimeno, ci si impiegava, con quella macchina, un tempo massimo di circa 20 minuti viaggiando ad una velocità media di 60 nodi in linea d’aria….visto che era domenica, e visto che siamo partiti alle ore 07.00, l’ispezione è stata effettuata dal motorista presente al Nucleo almeno 40 minuti prima, che è si quello di turno, ma che monta comunque alle 08.00, normalmente, perché il turno inizia a quell’ora, salvo chiamarlo prima per l’esigenza intervenuta. Nel caso in cui il motorista fosse stato PELOSI allora dobbiamo aggiungere che quest’ultimo doveva essere al Nucleo Elicotteri di Arezzo almeno alle 06.00. Può anche essere che il motorista non fosse PELOSI e può darsi che il motorista fosse stato presente al Nucleo, perché accasermato lì. Comunque, il motorista non ha potuto iniziare l’ispezione dopo le 06.15 di mattina e quindi l’allertamento del tecnico può essere avvenuto o la sera precedente, e quindi ci troviamo di fronte ad un servizio preordinato dal comando di competenza, oppure è stato avvisato poco prima delle 06.00 di mattina, al mio arrivo al Nucleo. A questo punto ritengo di poter affermare che, visti gli orari che nella più assoluta ragionevolezza abbiamo evidenziato, possiamo trovarci di fronte ad un servizio preordinato la sera prima, richiesto dal Comando di Perugia, nella persona del Funzionario di turno o del Capo Nucleo stesso, Geom. PENNELLA PENNETTI Adolfo, in servizio a Perugia “.

Oltre a questa fondamentale dichiarazione, va richiamata quella che il Cioni ha reso nei locali del G.I.De.S. il 09.09.03, in occasione della quale lo stesso ha affermato di essere stato lui, non i pescatori, ad avvistare il cadavere, che si trovava a pancia in giù: “Domanda: E’ sicuro di essere stato lei a notare il corpo galleggiare segnalandolo?

Risposta: Si ribadisco che su questo sono sicuro. L’ ho segnalato via radio o al Geometra PENNELLA o alla Squadra dei Vigili del Fuoco, Non ricordo esattamente.

Domanda: Quando ha rivisto il corpo sul pontile ha capito che cosa fosse quel qualcosa di arancione da lei visto dall’alto?

Risposta: Quando sono atterrato e sono giunto sul pontile, il corpo si trovava già avvolto in un sacco di nylon, che non mi ha permesso di vedere meglio che cosa indossasse di arancione. Di certo dall’alto, si vedeva la schiena, in quanto il cadavere era rigirato a pancia in giù, e secondo me indossava un giubbetto in nylon di colore arancione.

Domanda: Quanto tempo è trascorso dalla sua segnalazione, al raggiungimento del pontile da parte sua?

Risposta: Dal momento dell’avvistamento a quando sono atterrato e mi sono recato al pontile, saranno trascorsi circa 20/25 minuti, questo anche per ragioni meccaniche per le quali l’atterraggio dell’elicottero richiede del tempo.” Quindi, il cadavere l’hanno avvistato gli elicotteristi, ma l’”onore” della scoperta è stato attribuito ai pescatori perché tutto sembrasse un rinvenimento casuale e non, come invece fu, preordinato.

Il motorista Pelosi Fausto ha affermato il 10.10.2005, invece di avere sempre saputo che il cadavere era stato rinvenuto dai pescatori. Ha indicato però l’orario di partenza nelle ore 7 del mattino ed ha formulato le seguenti interessanti considerazioni: “Come pensavo noto che l’elicottero era un AB206. Noto, però, alcune stranezze; la prima è che nel rapporto del 13.10.1985 non vi è riportato il nome dello specialista. Da quello che si evince debbo ritenere che il Geometra PENNELLA sia partito da Arezzo. Preciso, però, che alcune volte, in occasione di interventi nel territorio perugino, il Geom. PENNELLA no veniva ad Arezzo ma saliva sull’elicottero nella zona di Perugia. In questo caso, però, sull’elicottero dovevano necessariamente esserci almeno due persone; il pilota ed uno specialista o due piloti. Altra stranezza è l’orario di uscita dalla caserma cioè le ore 07.00. Non capisco perché, trattandosi di una prosecuzione di un servizio intrapreso nei giorni precedenti, ci sia stata la necessità di partire alle ore 07.00 invece che nel normale orario che, ripeto, era dopo le ore 08.00… “.

Anche l’ex Comandante Provinciale dei VV. F. ing. Duilio Ranalletta, ha confermato il 16.09.2005 i tempi di attivazione e di percorso degli elicotteri: “ci vogliono circa trenta minuti di riscaldamento del velivolo e circa venti minuti, almeno così credo, per raggiungere l’obbiettivo, da Arezzo al Lago Trasimeno. “.

La situazione è decisamente anomala, ma, in ogni caso, il punto fermo è che l’elicottero è partito da Arezzo alle ore 7, venti minuti prima che il cadavere venisse rinvenuto e che, per partire a quell’ora, il motorista doveva essere statyo allertato prima delle 6, a tutto concedere o la sera prima.

Quindi, al di là delle contrastanti versioni fornite dal Pennetti e dal Cioni, non solo il servizio era preordinato la sera prima o comunque prima delle 6 del mattino dal Pennetti Pennella, uno degli imputati per il reato di cui al capo I, ma è stato il Cioni a scorgere il cadavere che si trovava bocconi, non nella posizione in cui fu avvistato dal Baiocco che lo vide “ a pancia all’aria” (vds. dich. del 24.10.01). Probabilmente il cadavere fu avvistato prima dall’elicotterista Cioni, che si trovava nel mezzo con il Pennetti, mentre il Pelosi era stato lasciato a terra e poi, indipendentemente, dai due pescatori che si trovavano in zona.

E l’attività del Pennetti non si è esaurita in quell’anno 1985, ma è proseguita negli anni successivi. Marini Valerio, l’addetto all’ufficio statistica e di Polizia giudiziaria del Comando VV. F. di Perugia, il 15.09.05 ha detto: “il Geom. PENNELLA, un paio di anni fa, forse all’inizio del 2003, mi chiamò telefonicamente nell’ufficio e mi ordinò di salire subito da lui. Quando entrai nel suo ufficio, lo vidi scuro e rosso in volto e, con un tono autoritario e preoccupato insieme e molto serio, leggendo un foglio che era intestato “Procura” o “Questura di Firenze” ma che io lessi a rovescio, dalla parte opposta della scrivania, mi disse: “ Marini, portami subito il fascicolo del 1985 del Narducci che lo vuole subito il Comandante ! “. Io gli feci presente che doveva darmi almeno il tempo di scendere e prenderlo, ma lui insistette: “ Subito, subito ! Perché lo vuole il Comandante !”. La documentazione era nel mio ufficio e si trovava insieme ad altri faldoni particolari e delicati…. Tutti questi fascicoli erano contenuti in un armadio di cui solo io avevo le chiamai. Ricordo che il fascicolo del NARDUCCI era contenuto in una cartellina o rosa o bianca del Comando di Perugia, formato A4 e conteneva tutta la documentazione del Comando di Perugia, tra cui le segnalazioni telefoniche, fax del Nucleo Elicotteristi di Arezzo che era intervenuto per le ricerche, le chiamate di tutte le squadre. Era spesso un centimetro e mezzo circa, tanto che non lo si poteva spillare facilmente come era successo quando era venuta la Polizia…. In quell’occasione, per tenere insieme le copie, dovetti spillare fronte-retro 4 o 6 volte. Tornai su col fascicolo che consegnai al PENNELLA e lui, immediatamente, si precipitò nell’ufficio dell’allora Comandante Ing. SIMONETTI e chiuse la porta alle sue spalle. Nello stesso giorno o, tutt’al più, il giorno dopo, io, preoccupato della conservazione della documentazione, richiesi all’Ing. SIMONETTI di poter riavere il fascicolo NARDUCCI, ma lui mi disse che lo teneva lui e mi indicò un mobile chiuso a chiave, dietro o a fianco della scrivania, ove lo aveva riposto. Aggiungo anche che, quando io avvertii il Geom. PENNELLA che ero stato convocato in Procura da lei, lui mi disse al telefono che non mi dovevo sbilanciare più di tanto. Poiché me lo chiede, io non so spiegarmi con certezza il motivo di tale comportamento che non mi è mai capitato di vedere in altre occasioni nella mia vita professionale. Posso solo dire che, nel mondo dei Vigili del Fuoco, si è sempre parlato di una forte influenza di ambienti massonici nel Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Perugia e, tra i colleghi, era ed è voce comune che a questi ambienti fosse vicino, soprattutto, il Geom. PENNELLA e anche l’allora Comandante EUGENI. “.

Mostrati al Marini gli atti relativi alle ricerche del Narducci trasmessi, nel corso delle indagini, a questa Procura, l’archivista, sempre in data 15.09.05, ha osservato: “Sono sorpreso e scandalizzato perché non sono i documenti che ho fornito io alla Questura che portavano il timbro rotondo del Comando, l’autentica che potevo sottoscrivere anch’io. Io riconosco solamente le mie lettere a protocollo 15727 del 21.11.01 e 14502 del 30.10.2001 ed il tagliandino di trasmissione a mano alla Procura del 23.11.2001, con la dicitura in alto a sinistra “Urgente – Marini”. Inoltre gli atti che io consegnai ai poliziotti in copia e in originale poi al PENNELLA, su sua richiesta pressante, non comprendevano le schede di intervento dei Vigili del Fuoco di Grosseto. Io consegnai solo le copie originali del nostro Comando; vi erano invece dei fogli di color rosa, come quelli che vedo agli atti; vi erano fonogrammi in partenza e non due soli come quelli che vedo; vi erano i foglietti bianchi che venivano usati dalla Sala Operativa, ma non vedo gli allegati verdi che comprendevano i dati relativi alle chiamate. Quanto alla scheda di intervento di cui al verbale 5505 dell’8 ottobre 1985, io rimango stupito perché non si tratta dei rapporti che io ho visto allegato agli atti, anche perché io non ho fornito gli originali ma solo copie autenticate. Più li guardo e più mi rendo conto che, per lo più, non sono gli atti che io ho fornito e che ho poi consegnato al PENNELLA. Soprattutto mancano i rapporti del Comando Provinciale di Perugia, salvo uno e tutta la documentazione di colore verde dalla quale si poteva risalire alla persona che aveva chiamato. Il fascicolo che io consegnai al PENNELLA era molto più spesso di quello che mi viene mostrato. Ad esempio, dovevano esservi, come minimo, più di cinque rapporti del Comando Provinciale di Perugia. Non corrispondono neppure le spillature dei documenti “.

L’ex Comandante dei VV. F. di Perugia ing. Duilio Ranalletta, il 16.09.2005, ha fatto delle affermazioni molto importanti e, in questa sede, se ne parla in relazione alla documentazione scomparsa. Ecco cos’ha detto sul punto l’ing. Ranalletta: “sicuramente la documentazione relativa al Caso Narducci non era stata oggetto di scarto. Di solito, lo scarto riguarda i documenti amministrativi e non documentazione d’intervento e annessi, che vengono conservati permanentemente. Gli atti meno importanti, soggetti a scarto, vengono eliminati dopo circa dieci anni, ma, di solito, questo termine viene superato…. I documenti scartati vanno a finire all’Archivio di Stato, se hanno una certa importanza, altrimenti vengono distrutti. La documentazione relativa alle ricerche del Narducci era di quelle che vengono conservate in permanenza “.

Quindi, le attività criminose fine rispetto al reato associativo, riguardanti la documentazione dei VV.F., si sono protratte quantomeno sino al 2005.

Analoghe sparizioni hanno interessato il fascicolo riguardante il Narducci in Questura che il Dr. Trio il 5.04.02 ha affermato essere sparito e poi, in sede di interrogatorio, ha detto il 2.07.07: “E’ stato il Dr. Speroni a dirmi, prima che venissi in questo ufficio per essere interrogato dal Dr. Mignini, che il rapporto non si trovava più e la stessa cosa mi fu detto anche dall’Isp. Fantauzzi. In sostanza, Speroni e Fantauzzi mi dissero che il rapporto sulla morte del Narducci non si trovava più. “.

Sul versante dell’Arma dei Carabinieri, il Brig. CC. Cecchi Marcello, già appartenente al Nucleo di Polizia Giudiziaria della Procura Generale di Perugia, in data 12.01.06 ha dichiarato: “qualche tempo dopo, nell’imminenza della costituzione delle Sezioni di P.G., il M.llo MAGLIONICO, almeno così ricordo, mi chiese di andare a recuperare un fascicolo che sono quasi certo riguardasse il NARDUCCI. Il M.llo MAGLIONICO mi chiese di andarlo a cercare nelle soffitte del Comando Legione di Perugia, dove era stato portato il carteggio a seguito della chiusura del Nucleo di P.G. Prese le chiavi della soffitta dal piantone, App. RELLINI Alviero, cercai quel fascicolo ma non lo trovai, benchè lo stesso fosse stato costituito solo qualche anno prima e non potesse essere stato legalmente distrutto. “ e il 28.06.04 lo stesso Brig. Cecchi aveva dichiarato: “La cosa strana è che il fascicolo del Narducci, a cui quasi certamente si riferiva la richiesta, era di quattro anni prima, quindi molto recente e non poteva essere stato distrutto, in quanto ciò accadeva con carteggi di almeno dieci anni prima. “. Quindi, l’episodio è accaduto quando stavano per essere costituite le Sezioni di PG, cioè nell’ottobre 1989.

Da parte sua, il M.llo Maglionico, sentito più volte in sede di indagini, in data 2.09.04 ha dichiarato: “Posso dire di essere certo dell’esistenza di un fascicolo personale intestato a Francesco Narducci. Come già dichiarato, questo fascicolo, unitamente a tutti gli altri ed al carteggio dell’Ufficio, all’indomani della soppressione del Nucleo di P.G., come da esplicita disposizione del Comando Legione, furono depositati in un archivio del Comando Legione di Corso Cavour che all’epoca era ubicato in una soffitta della “palazzina Comando”. Nulla so circa la scomparsa del fascicolo del Narducci che apprendo solo in questo istante. “ In ogni caso, quindi, quanto riferito dal Brig. Cecchi ha trovato conferma e il fascicolo personale del Narducci è effettivamente scomparso.

Guarda caso, anche i cosiddetti “fogli di firma” dell’epoca, relativi alle presenze del personale in servizio nel Reparto di Gastroenterologia del Policlinico, che avrebbero dovuto essere custoditi, come minimo, per dieci anni, quindi almeno sino al 1995, sono scomparsi proprio in seguito ad un incendio, sviluppatosi negli anni ’90 (si vedano le dichiarazioni di Carloni Stefano, Responsabile dell’Ufficio Giuridico della direzione del personale dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, in data 16.07.02). E gli anni ’90 sono proprio gli anni del processo Pacciani e di quello dei “compagni di merende”…

Quanto al blocco delle indagini sulla vicenda Narducci, si sono riportate le dichiarazioni del Colonnello Colletti in sede d’incidente probatorio, che si richiamano in questa sede. L’ufficiale è stato sempre assolutamente lineare nelle sue dichiarazioni anche precedenti all’incidente. Basterà ricordare quelle in data 31.08.04 del Colonnello Antonio Colletti, Comandante del Nucleo di PG della Procura Generale, secondo cui: “ricordo che all’epoca feci presente all’allora Comandante della Legione Carabinieri di Perugia, Colonnello Giuseppe Vecchio, ora deceduto, ed al Procuratore Generale, mi pare Dr. Marco DI MARCO, credo anch’egli deceduto, che, quale Comandante dell’allora Nucleo di P.G. Carabinieri di Perugia, essendo venuto a conoscenza di notizie degne di approfondimento della vicenda “Mostro di Firenze”, era mia intenzione svolgere delle indagini più approfondite. Questo mi fu sempre precluso, poichè mi fu detto che del “caso Narducci” si stava già interessando l’Arma Territoriale. Nonostante ciò, io insistetti più volte, sia verso i miei superiori diretti che verso il Procuratore Generale dell’epoca, dal quale dipendevo funzionalmente, per svolgere indagini in tal senso, ma nonostante le mie insistenze, ciò mio veniva sempre precluso adducendo quanto sopra detto. “. E l’Arma territoriale non era altro che la Compagnia CC. di Perugia al cui comando vi era il defunto già Capitano Francesco Di Carlo, coinvolto nell’associazione ed è inutile aggiungere che le indagini non furono fatte.

E il 12.01.06 l’impiegata comunale Cataluffi Emilia, Ufficiale d’Anagrafe del Comune di Perugia, quella che ha confermato in pieno i rapporti Jommi – Narducci e le dichiarazioni dell’Alves, ha dichiarato sul punto: “Sempre per certo, perché me lo hanno espressamente riferito sia il NAPOLEONI che lo SPERONI che il CECCHI, so che le indagini furono poi bloccate per ordini superiori. In particolare il NAPOLEONI mi disse testualmente: “” TUTTO FERMO!””, lo SPERONI mi disse: “”TUTTO A TACERE!””. Cecchi disse: “”TUTTO E’ SILENZIO!”.

Sempre sul versante dell’Arma dei Carabinieri, va detto che dopo la morte del Narducci, si verificò la pressoché completa sostituzione dei militari in servizio alla Stazione di Magione. Ce lo dice, tra gli altri, il Maresciallo Rocco Irno che, in data 19.11.04 ha dichiarato: “Io non so perché, ma quando sono arrivato, vi era stata una quasi totale sostituzione del personale in servizio alla Stazione di Magione. Io mi trovai con tre o quattro colleghi e tutti eravamo tutti nuovi dell’ambiente. Ci guardavamo tutti sorpresi della situazione. Io non so quale fosse il motivo di questa radicale sostituzione del personale.“ Al Maresciallo Bruni, che era Comandante della Stazione al tempo della morte del Narducci, capitò qualcosa di peggio. Così lo descrive il Maresciallo Irno: “Il M.llo BRUNI è andato via dalla Stazione dopo aver subito un bruttissimo incidente in auto che lui subì insieme alla figlia piccola. Il Bruni riportò un trauma alla testa. Anche la figlia ha subito una lesione. L’incidente è avvenuto tra le località di Montebuono e Sant’Arcangelo. So che fu un incidente spaventoso e bruttissimo e che qualcuno gli piombò addosso mentre lui era fermo. Il BRUNI era a bordo di una Lancia Delta per quanto ricordo. Questo incidente avvenne nei mesi di agosto-settembre 1988. Il BRUNI rimase convalescente per molti mesi “.

Strano “incidente”, davvero strano. E anche questo episodio si colloca nel periodo critico, tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90.

Sulle dichiarazioni della Cataluffi bisogna soffermarsi ancora. In data 17.03.06 la Cataluffi ha ripreso e approfondito quanto in precedenza riferito sulle importanti informazioni in possesso del quotidiano “Il Corriere dell’Umbria” e di come fosse venuta a conoscenza dei rapporti Jommi – Narducci: “le informazioni che mi erano state anticipate soprattutto da giornalisti de “Il Corriere dell’Umbria” e in particolare da Fioravanti non mi sono state poi date, perché tutti mi dicevano che dietro la vicenda Narducci c’era una cosa molto grossa e pericolosa e nessuno voleva rischiare. Dovevano portarmi il nome del vigile del fuoco che aveva visto i feticci, ma non me l’hanno portato. Fioravanti doveva portarmi la locandina in cui c’erano scritti i nomi. Il fatto che Narducci e Jommi fossero amici l’ho saputo, ascoltando due avvocati umbri, credo della zona di Todi, a Salsomaggiore (prima del ’90 ma dopo la morte del Narducci), dove mi ero recata per le cure. Quei due avvocati, che avranno avuto 55 o 60 anni, dicevano anche che lo Jommi era stato visto sporco e vestito male la notte dell’ultimo delitto, quello degli Scopeti. Dicevano anche che Narducci e Jommi avevano litigato e che lo Jommi era stato visto a Perugia. “. In un successivo passaggio dello stesso verbale, la Signora, che ha pienamente confermato quanto accertato da Pasquini Valerio, si è concentrata sull’attività del Napoleoni, sul fatto che fosse stato bloccato e sul pesante clima di pressione che la stessa ha subito dopo le sue dichiarazioni, rilasciate, per lo più, nel 2006: “seppi dall’Ispettore Napoleoni che esisteva una lettera anonima arrivata alla Questura che parlava di un medico perugino e gli inquirenti avrebbero divuto fare le indagini perché questo dottore era implicato nei delitti del “Mostro di Firenze”. Voglio aggiungere anche un’altra cosa: l’Ispettore Napoleoni aveva collegato che il medico si identificasse nel Dr. NARDUCCI Francesco di Perugia perché aveva saputo che il Procuratore Vigna aveva già iniziato delle indagini a Firenze su NARDUCCI. Per questo motivo l’Ispettore Napoleoni era andato a Firenze per indagare ma subito dopo, mi disse testualmente che lo avevano fermato.

Si da atto che la signora mima il gesto dei polsi tenuti da manette perché l’Ispettore fece tale azione quando disse che l’avevano fermato qui a Perugia.———————————

  • Domanda: ” Signora, l’Ispettore Napoleoni le disse se le indagini fossero iniziate prima o dopo la morte del Dr. Francesco NARDUCCI?——————————————–//

  • Risposta: ” Sono assolutamente certa che Napoleoni mi disse che le indagini su Francesco NARDUCCI erano iniziate già prima della sua morte. Aggiungo anche che l’Ispettore Napoleoni era molto amareggiato proprio perché lo avevano bloccato qui a Perugia, ma non mi disse mai chi lo avesse bloccato. Voglio aggiungere che Massimo Napoleoni, figlio dell’Ispettore Napoleoni, qualche tempo fa, ma dopo che sono stata ascoltata da voi, credo nel mese di gennaio 2006, mi ha confermato anche lui che il padre era stato bloccato nelle indagini prima che il NARDUCCI morisse. L’Ufficio da atto che la Signora CATALUFFI si commuove, piange e. a domanda del P.M. risponde: “”Sono rimasta male perché molta gente mi ha abbandonato dopo che sono venuta da lei a parlarle di queste cose. Sono stata anche chiamata dal Direttore del personale dell’Unità Operativa Demografia del Comune di Perugia, Dr. ZAFFERA Stefano, che a sua volta era stato chiamato dal Dr. MARIANI, Capo del personale, che a sua volta ancora era stato chiamato dal Sindaco di Perugia, Renato LOCCHI, per sapere cosa avessi combinato e se avevo manomesso atti dell’Ufficio. Gli ho risposto che era un fatto personale fra me e Valerio Pasquini ed infatti non mi hanno detto più nulla. Ricordo anche che, recentemente, a un pranzo dell’Associazione Aeronautica di Passignano, a cui ho partecipato, i presenti dicevano che il primo dei cadaveri rinvenuti aveva una corda al collo e non poteva essersi ammazzato da sè, mentre successivamente era stato ripescato il cadavere di un uomo alto m.1.70 che era stato fatto passare per il Narducci. Io non conosco il nome delle persone che lo dicevano, ma so che fanno parte di questa Associazione. “.

Si veda anche l’ordinanza del Tribunale d’Appello cautelare di Perugia del 7/21.12.04 a p. 38, nel passaggio intitolato “Lo stop alle indagini”.

Va affrontata ora la questione del concorso esterno nell’associazione.

Nel corso dell’udienza preliminare, è stato contestato, infatti, allo Spezi, al Rinaldi e ad Antonio Brizioli, il 19.02.09, il concorso esterno nell’associazione per delinquere

Su questo punto e sul ruolo di ciascuno dei tre predetti soggetti, va approfondito l’esame, perché si tratta di uno dei punti più importanti di tutta la vicenda.

Dei tre, il personaggio, in assoluto più significativo e interessante è, senza alcun dubbio, Mario Spezi, del quale, proprio per la sua importanza, si parlerà nel prosieguo.

Intanto, in linea generale, com’è noto, il concorso esterno nel reato di associazione per delinquere esprime, in generale, una sorta di “concorso nel concorso necessario”, cioè il concorso di soggetti esterni all’associazione per delinquere nel predetto reato associativo a concorso necessario: tali soggetti, pur estranei formalmente al vincolo associativo, apportano un contributo effettivo al perseguimento degli scopi del consortium sceleris. In altre, parole, vi è una struttura associativa con finalità criminali composta dai soggetti “intranei” a cui concorrono, dopo la costituzione ed il funzionamento del consorzio, soggetti “extranei”.

Requisiti di tale ipotesi partecipativa sono l’occasionalità e autonomia del contributo prestato, la funzionalità del contributo al perseguimento degli scopi associativi, l’efficienza causale del contributo al rafforzamento e al consolidamento dell’associazione e il dolo generico nell’extraneus concorrente, vale a dire la consapevolezza di favorire il perseguimento degli scopi illeciti (si veda la sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 22327 del 21 maggio 2003).

Orbene, tutti questi elementi debbono ritenersi sussistenti nell’apporto degli attuali concorrenti esterni dell’associazione.

Infatti, nel momento in cui le indagini sulla morte del Narducci divengono note agli organi d’informazione, il vincolo associativo, costituito nell’ottobre 1985, scatta immediatamente per bloccare le indagini, inquinare le fonti di prova, delegittimare gli inquirenti e porre in essere tutte le attività criminose comunque funzionali a tale scopo.

Rivediamoli un po’ questi passaggi, sia pure per sommi capi:

Già da prima della scomparsa e della morte del Narducci, la Squadra Mobile di Perugia, come si è visto, indaga autonomamente sui delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” e, in particolare, su quello degli Scopeti, senza informare la competente Autorità fiorentina.

A proposito dell’ultimo delitto, si è visto, che l’auto del Narducci viene segnalata di passaggio nella notte del delitto degli Scopeti (vds. informativa in data 27 luglio 2004 (prot. n. 344/04/Gides).

L’8.02.02, Francesca Spagnoli ha riferito di un singolare commento di Pierluca la notte tra l’8 e il 9 ottobre, quando la giovane e sua madre giunsero nella darsena del Trovati: “Quando arrivammo al lago, a San Feliciano io o mia madre chiedemmo se Francesco fosse arrivato da solo al lago; a quella domanda Pierluca reagì in modo assolutamente anomalo esclamando: “ non cominciate ad infangare la memoria di Francesco!” Era circa la mezzanotte fra l’otto ed il nove Ottobre 1985. “

Il 21.02.02, Maria Bona Franchini, suocera del Narducci, ha riferito che anche il giorno 9, di fronte all’ipotesi da lei formulata che, forse, Francesco potesse avere avuto un appuntamento di lavoro, Pierluca la interruppe bruscamente, ripetendole quella stranissima frase: “ non veniamo fuori con questi discorsi non infanghiamo la memoria di Francesco” Si è visto cosa avesse detto il Prof. Ugo a Bona Franchini il pomeriggio del 9 e la frase che la suocera del medico ha riferito proprio il 21.02.02, giorno della sua prima audizione, va richiamata integralmente: “Ugo mi prese in disparte portandomi in un’altra stanza, uno studio, e mi disse:” mi sono messo d’accordo con il Questore per non far fare l’autopsia a Francesco”. Qui siamo al di fuori di qualsivoglia canone giuridico processuale: un privato si accorda con il funzionario che è sì a capo della Polizia della provincia ma che è totalmente privo di qualsivoglia competenza di polizia giudiziaria circa il fatto che un atto che è tipicamente un atto di indagine di competenza dell’Autorità giudiziaria debba o non debba essere fatto.

Ricordo la dizione dell’art. 16, primo comma del R.D. 28.05.1931 n. 602, sulle Disposizioni di attuazione del codice di procedura penale: “ Se per la morte di una persona sorge sospetto di reato, il pretore o il procuratore della Repubblica accerta la causa della morte e, se lo ravvisa necessario, ordina o richiede l’autopsia…”. Questa, a sua volta, se non fosse apparsa collegata a ricerche di carattere complesso, si doveva considerare rientrante nelle ipotesi di cui agli artt. 17, primo comma disp. att. c.p.p. previgente e dall’art. 391, secondo comma c.p.p. previgente.

Si doveva, quindi, procedere con istruzione sommaria, con il rischio che, data l’evidente complessità degli accertamenti, il Pubblico Ministero avrebbe dovuto, con ogni probabilità, richiedere l’istruzione formale al Giudice istruttore.

Ma, in questo caso, un privato, cioè il padre del morto, si accorda con il Questore per non compiere un atto che, a norma delle disposizioni allora vigenti, era di competenza del pretore o del procuratore della Repubblica e avrebbe dovuto dar luogo ad un vero e proprio processo penale. Ma dove siamo ? Anzi, dove eravamo ? In uno sperduto paese del Terzo mondo, con tutto il rispetto per il Terzo Mondo o nella civilissima Europa e nella sua culla del diritto, cioè l’Italia ?

Ovviamente, neppure la polizia giudiziaria, presente sul posto il giorno 13, ha fatto alcunché in merito a quelli che erano i precisi doveri che il previgente codice di procedura penale, all’art. 222, faceva carico agli stessi, vale a dire procedere ai necessari accertamenti e, in generale, alla conservazione del corpo e delle tracce del reato.

E se non c’era alcun reato, che ci faceva la Squadra Mobile al gran completo ? Non si sfugge, non si può sfuggire a questa alternativa stringente.

  • La notte tra l’8 e il 9 ottobre 1985, mentre davanti a Francesca Spagnoli si svolge la commedia degli equivoci del rinvenimento dell’imbarcazione del Narducci, il Dr. Ceccarelli, suocero di Pierluca Narducci, tornato dalle “ricerche”, abbraccia il Prof. Ugo e gli disse di avere fatto “qualcosa” come se fosse stato il figlio, come in precedenza (p. 25) si è riferito;

  • La stessa notte tra l’8 e il 9 ottobre, un po’ più tardi, mentre Gianni Spagnoli, suocero di Francesco si trova nella villa dei Narducci a San Feliciano, con Ugo Narducci ed il figlio, assiste ad una circostanza singolare che descrive con queste parole: “Io rimasi al lago per confortare mia figlia e andai con Ugo alla casa del lago. A casa Ugo disse “ora chi chiamiamo?” Io dissi chiamiamo i Carabinieri, mentre lui volle chiamare il Questore. Lo chiamò subito e gli spiegò la situazione. Il questore inviò sul posto un maresciallo il quale arrivò e a me non rivolse parola, infatti si rivolse al sig. Ugo dicendogli che era stato mandato dal Questore e sarebbe stato a sua disposizione in quel momento e per sempre. “ Aggiunge che si trattava, forse, dell’Isp. Napoleoni, lo stesso delle indagini sui delitti fiorentini che quella notte, come apprendiamo dai brogliacci della Polizia prima citati, era stato proprio a Foligno (8.10.1985: ore 21/24 Indagini p.g. in Foligno per duplice omicidio Firenze). Che necessità vi era, ancora, a poche ore dalla scomparsa del medico, che il padre e il fratello dello scomparso, oltre ad essere certi di un fatto di cui non potevano esserlo, almeno a quanto hanno sempre cercato di sostenere, si attivassero in questo modo con l’amico Questore ? E quella notte, immediatamente, il Questore spedisce nella villa un suo uomo, probabilmente l’Isp. Napoleoni, “anima” della Squadra Mobile, che si mette a disposizione del Prof. Ugo da quel momento e per sempre….Mai viste cose del genere: ma non era una disgrazia ? E allora che c’entrava il Questore e che c’entrava la Mobile ?

  • Il vincolo associativo nasce quella notte su un “sostrato” di conoscenza profonda, di comuni frequentazioni e interessi, di appartenenza ad un contesto cittadino influente ed esclusivo. In questo contesto, la più alta carica dell’Amministrazione dell’Interno della Polizia pone le strutture più professionali ed esperte in materia di indagini su fatti reato di rilevante significato al servizio di una famiglia appartenente a quello che, con un termine anglosassone, ormai entrato nel nostro lessico e che è ineguagliabile, nella fattispecie, per esprimere quella che in italiano potrebbe rendersi meno felicemente come “alta società cittadina” e che invece molto meglio si esprime appunto come establishment. Dal punto di vista “amministrativo”, l’idea di un Questore, che non ha attributi di polizia giudiziaria, che destina un organismo tipicamente finalizzato alla Polizia giudiziaria come la Squadra Mobile (che opera in materia di Criminalità Organizzata, di criminalità diffusa e prostituzione, di reati contro le persone, di reati contro il patrimonio e in materia di stupefacenti) all’assistenza ad un privato e alle ricerche di un annegato per semplice disgrazia, è, come vedremo, qualcosa di assolutamente indifendibile. Ovviamente, come tutti sanno, anche i bambini, quando un delitto matura in ambienti come questo, le indagini divengono difficilissime e si sviluppano i “misteri”, che tali sono solo perché gli inquirenti, con le buone o con le cattive, vengono “bloccati” o si prova a farlo.

  • Nei giorni successivi, viene creata l’incredibile messinscena e stavolta entrano in gioco il Nucleo Elicotteri di Arezzo il cui Comandante è il Vice Comandante dei Vigili del Fuoco di Perugia, settori dell’USL territorialmente competente, l’Amministrazione dei Cimiteri, il Comune di Magione per il doppio certificato, il Comandante della Compagnia Carabinieri di Perugia (che tiene all’oscuro il Comandante del Gruppo Generale Cucinella) che tiene fermo l’unico organismo che era intervenuto legittimamente per un’ipotesi di annegamento (anche di natura suicidiaria), cioè la Stazione Carabinieri di Magione il cui Comandante, il Maresciallo Bruni pone al Capitano Di Carlo domande su domande che non trovano risposta. Sul fatto che l’Arma dei Carabinieri fu completamente pretermessa dall’intervento in occasione del rinvenimento del 13 ottobre 1985, va citato anche l’allora Tenente Colonnello Marcinnò Salvatore, all’epoca Comandante del R.O. del Gruppo CC Perugia, in data 22.01.2003 che ha dichiarato, come lo ha fatto il suo superiore, l’allora Comandante del Gruppo, Colonnello Cucinella, di apprendere solo il giorno dell’assunzione a informazioni che sul posto intervennero il Questore e il Dirigente della Squadra Mobile e la cosa gli è apparsa “piuttosto anomala”, perché il Dirigente della Mobile era il suo corrispondente a livello di indagini e ha aggiunto l’ufficiale: “ dato che nelle ricerche erano intervenuti i Carabinieri non capisco perché intervenne anche la Polizia e a un livello così alto, Ciò che mi stupisce è la presenza del Questore che non è ufficiale di P.G. Nella mia lunga esperienza è la prima volta che sento parlare di una cosa del genere…”. Il Col. Marcinnò, oggi Generale, ha aggiunto che il Capitano Di Carlo non lo informò di questa scomparsa e della morte del Narducci, che, qualora fosse intervenuto sul posto, il Di Carlo aveva l’obbligo di relazionare i suoi superiori e in particolare il Comandante del Gruppo.

  • Poi, il “ritrovamento” annunciato, con il Questore che è già sul pontile di Sant’Arcangelo o in viaggio verso quella meta prima ancora del rinvenimento ufficiale del cadavere ed è presente anche la stampa che però viene tenuta alla larga da una specie di “cordone sanitario” ma riesce a scattare le uniche, decisive foto che abbiamo di quello strano cadavere;

  • La magistratura si fida delle “assicurazioni” e il sostituto di turno viene convinto che è solo una disgrazia tanto che dispone oralmente l’immediata restutuzione di quel cadavere a quella che gli appare essere la sua famiglia;

  • I resti sinistri e compromettenti che il giovane medico conserva e che avrebbero potuto ricollegarlo ai delitti vengono fatti sparire e a tutti si impone il silenzio. Si vedano le parole del Dr. De Feo richiamate dalla vedova dell’ex Presidente Mazzini: cioè che “visto lo strazio dei genitori avrebbero coperto tutto”, come puntualmente riferito dalla sig. Agostinucci Gianangela il 16.06.06 e si vedano, altresì, le dichiarazioni dell’autista dell’allora Presidente del Tribunale Dr. Raffaele Zampa, successore del Dr. Mazzini, cioè del marito della Sig.ra Agostinucci. La persona in questione è Beccaccioli Sante che, presentatosi spontaneamente, ha dichiarato il 30.05.02 (pochissimi giorni prima del conferimento dell’incarico ex art. 360 c.p.p. al Prof. Pierucci): “Sono stato per 32 anni in servizio come autista e scorta al Presidente del Tribunale di Perugia e ricordo che una mattina , alcuni mesi dopo la morte del prof. Francesco Narducci , l’allora Presidente Raffaele Zampa, deceduto nel 1997, mi confido’ che la sera prima, durante una cena, una persona che aveva incontrato quella sera, ma che comunque conosceva, gli riferì’ che in quei giorni , o poco prima, i proprietari di un appartamento di Firenze di cui era locatario il prof. Francesco Narducci, insospettiti dal mancato pagamento del canone di locazione, avevano cercato di mettersi in contatto con il professore non sapendo che era morto, e poi erano riusciti a contattare i familiari di quest’ultimo che gli avevano procurato un mazzo di chiavi dell’appartamento. Sempre secondo il racconto dell’amico del dott. Zampa la porta era stata aperta e , una volta entrati nell’appartamento, avevano rinvenuto all’interno di un frigorifero dei reperti genitali femminili verosimilmente provenienti dai delitti del cosidetto “Mostro di Firenze” e comunque corrispondenti alle parti notoriamente asportati in questi delitti cioe’ area del pube e seni. Io rimasi colpito da questo racconto anche perche’ il presidente dava la massima credibilita’ alla persona che glielo aveva riferito. Chiese al Presidente se non fosse il caso di avvertire gli organi di Polizia, ma lui stringendosi le spalle disse :” Ormai e’ morto Sante, che vuol fare?” E’ un’altra di quelle pagine di questa storia a cui si stenta a credere: il Presidente del Tribunale, di quello stesso organismo a cui apparteneva il giudice istruttore che aveva dichiarato l’improponibilà dell’azione penale nella morte del medico, che, venuto a conoscenza della conservazione, da parte del Narducci, in un frigorifero di reperti genitali femminili, nell’appartamento fiorentino di cui era locatario, decide di non informare la Polizia perché….tanto il responsabile è morto….che si deve fare altro ? Come se non vi fossero indagini su quei delitti e persone finite in prigione o incriminate….il De Feo ha alluso, invece, allo strazio dei familiari. La conclusione è evidente: bisognava “coprire tutto”. Questa è la conclusione, la si giri come uno vuole, ma la conclusione è questa e solo questa.

  • L’associazione non si scioglie, però, una volta raggiunto lo scopo, tutt’altro. E che non si possa sciogliere e non si sia in effetti sciolta deriva dal fatto che il pericolo che l’impalcatura crollasse c’era sempre, era sempre in agguato, specie quando, liquidata la “pista sarda”, le indagini imboccano il sentiero di Pacciani e, poi, dei “compagni di merende”, investendo pericolosamente il contesto fiorentino, quello nel quale è coinvolto il Narducci. E’ vero che le indagini colpivano allora il mondo dei “gregari”, il mondo pittoresco e popolare, ma non meno inquietante, dei Pacciani, dei Vanni, dei Lotti. Non è certo il livello superiore a cui appartiene il Narducci. Ma, imboccato quel sentiero, per così dire autoctono, all’inizio degli anni ’90, circa un quinquennio dopo la morte del medico, sono dolori e segnali d’allarme a non finire….Ce ne ha parlato, tra tutti, proprio il difensore del “Vampa” (Pacciani), l’Avv. Pietro Fioravanti, come s’è visto, che è stato anche teste nell’incidente probatorio espletato nel procedimento n. 8970. riunito al presente. Il legale ha parlato, tra l’altro, della violenta aggressione subita dal figlio il 4 o 5 agosto 1994 (vds. pp. 100 e 101 del verbale di incidente probatorio del 25.11.05). Il processo Pacciani era fermo per la pausa estiva. Poi, successivamente, il legale ricevette, nella cassetta della posta del suo studio, dodici proiettili cal. 22 , serie H, dentro una busta con un biglietto dove era scritto: “ bastano questi” (vds. p. 104 dell’incidente). Il legale ha riferito che, recatosi dal Dr. Bernabei della SAM, prima di entrare, tolse un proiettile per nasconderlo e, quando è stato ricevuto dal funzionario, avrebbe sentito qualcuno bisbigliare: “ ma non erano dodici ? “ (vds. p. 105 dell’incidente). Il legale ha anche alluso ad accessi illegali nel suo Studio (vds. p. 107) e ad aggressioni fisiche (vds. p. 111) e, infine, ad una inquietante telefonata di minaccia ricevuta il 7.10.2005, prima di essere sentito nell’incidente probatorio perugino, quando uno sconosciuto gli disse: “ Ricordati quello che è successo a tuo figlio Mirco….non mettere nei guai anche la tua famiglia”, chiara allusione a quanto accaduto al figlio nel ‘94 (vds. pp. 112 e 113). L’Avv. Fioravanti ha confermato che il suo cliente gli aveva detto che avrebbero dovuto fare le indagini sul medico morto al Lago Trasimeno, che aveva un appartamento in affitto a Vicchio o a San Casciano e che la morte del Narducci andava chiarita perché avrebbe potuto andare a suo vantaggio (vds. pp. 129 e 135 dell’incidente). Il legale ha anche opposto il segreto professionale sulle confidenze del Pacciani (vds. pp. 193 e 194) ed ha rivelato che la cassetta registrata del suo colloquio con la Ciulli, moglie del C alamandrei, non è stata più rinvenuta (vds. p. 214).

  • L’accenno a quello che accade all’Avv. Fioravanti è in linea con tante altre situazioni che sono emerse dagli atti. E sono fatti che si verificano negli anni ’90 e si protraggono, quantomeno, sino al 2005. La posta in gioco è evidentemente altissima e allora si impone il silenzio con un pesante clima di intimidazione con cui si tengono per anni sotto pressione i possibili testimoni e di cui sono emerse, nelle indagini e addirittura nelle stesse imputazioni, le punte dell’iceberg: si pensi all’autentico terrore che trapela dalle parole del Mancini o di Zoppitelli Marcello, ai capi XVI e XVII. Si pensi ancora alle inquietanti espressioni dell’autista del Dr. Trio, su cui ci si è soffermati in precedenza. Si pensi a quanto riferito da Pasquini Valerio, specie nel verbale del 29.08.03, a proposito delle pesanti minacce che avrebbero spinto il giornalista Mauro Avellini a disinteressarsi del caso e qui siamo nel maggio o giugno 1993.

  • Non appena si ha notizia delle indagini di questa Procura sulla morte per ipotizzato omicidio del medico, i familiari dello stesso, ma in particolare il padre ed il fratello, rappresentati dagli Avvocati Antonio ed Alfredo Brizioli, iniziano un impressionante fuoco di sbarramento, che ha il suo incipit con una singolare richiesta d’immediata archiviazione del procedimento, periodicamente ed insistentemente reiterata, con toni sempre più aggressivi e si concentra, poi, sull’accertamento autoptico di cui dapprima si chiede la “conversione” in incidente probatorio, poi si cerca di bloccarne i fisiologici accertamenti e in particolare quelli sugli organi del collo, per evitare che venga scoperta la frattura poi riscontrata.

  • In relazione alla fase iniziale delle indagini e al ruolo di Alfredo Brizioli, va ricordato un passaggio delle dichiarazioni di Francesca Spagnoli del 22.01.2005: “Alfredo mi venne a prendere con la macchina sotto casa e andammo a fare un giro verso Pian di Massiano. Durante la conversazione Alfredo BRIZIOLI a cui non avevo detto che ero stata dal magistrato, mi fece presente che il negozio “Marinerie” che lui gestiva non andava bene e che lui aveva deciso di svolgere l’attività forense insieme al padre. Lui mi disse anche : “tu lo sai che io non ho mai fatto l’avvocato, e quindi mi faccio aiutare da mio padre per le cose più tecniche”. Mi chiese poi se fossi stata già contattata dall’Autorità Giudiziaria, commentando poi che sicuramente sarei stata chiamata perché era stata chiamata tutta Perugia. Il BRIZIOLI mi disse che avrebbe potuto assistermi come faceva con la famiglia NARDUCCI che lui frequentava da anni e di cui era divenuto il confidente essendo riuscito a far aprire mio suocero “. E’ una condotta sconcertante perché in pratica emerge che il Brizioli ha cominciato a fare concretamente l’avvocato solo per “gestire” la copertura della vicenda Narducci, nell’interesse soprattutto del Prof. Ugo e di Pierluca. La condotta del Brizioli, tra l’altro, anticipa, inoltre. quello che verrà fatto nei confronti della moglie del dentista Dr. Puletti.

  • Poi si scatenano pressioni sul CT Pierucci e, soprattutto, sulla sua collaboratrice, la D.ssa Carlesi;

  • Ad un certo punto, su pressante richiesta del Dr. Canessa e anche di questa Procura e, in particolare, di questo PM che cerca di collaborare con l’Autorità giudiziaria fiorentina, il Dr. Giuttari viene posto in disponibilità alle dipendenze delle due Procure di Firenze e di Perugia e la dotazione di mezzi e di uomini che il Ministro dell’Interno e, per lui, il capo della Polizia, pone in ausilio al provvedimento in questione che risale al 2.04.03, viene d’accordo chiamato convenzionalmente G.I.De.S.;

  • Non appena l’ex Questore Trio appende di essere indagato, si verifica subito il contatto tra l’ex Capitano Di Carlo, l’unico elemento appartenente all’Arma dei Carabinieri, significativamente coinvolto nel complotto e appunto l’ex Questore Trio. Il 10.01.2004, il Di Carlo, commentando l’imminente arrivo della richiesta di proroga delle indagini, dice all’amico Trio: “Però a questo punto dobbiamo reagire…… In questo senso. .Io ancora non ho ricevuto questa comunicazione che lui ha chiesto, praticamente, ulteriore ee… proroga. “. Si tratta della telefonata R.I.T. n. 405/03 – 06/35347214, progressiva 1320 delle ore 12,23,53 del 10.01.2004, nel corso della quale i due concordano non meglio precisate, sul momento, iniziative, da prendere unitamente all’Avv. Alfredo Brizioli, a fronte di semplici richieste di proroghe di indagini. Poi si vedrà che tipo di iniziative prenderà il gruppo, a cui si uniscono, nel frattempo, gli “esterni” Spezi, Rinaldi e Antonio Brizioli. E in quel momento, non c’erano richieste di misure o interventi comunque coercitivi: non c’erano altro che indagini e proroghe delle stesse notificate normalmente agli interessati…Perché agitarsi tanto se si trattava solo di una banalità e di un semplice annegamento ?

  • Trio si occupa del filone romano, va al Viminale e porta documenti scritti e “notizie” comunicate verbalmente, specie una considerata “molto importante”. Il Dr. Trio protesta indignato al Viminale contro le indagini collegate, si noti contro le indagini collegate e qualifica il fatto che abbiano legato la “vicenda di Firenze” con quella “di Perugia” come una “cosa ignobile”…. Trio si vanta con la figlia Loredana di avere “gridato” al Ministero contro gli inquirenti e contro le indagini collegate (si veda la fondamentale telefonata R.I.T, 405/03 del vecchio procedimento 17869/01/44, progressivo 2270 del 24.02.2004, h. 20:10:11 dall’utenza fissa di Trio a quella della figlia Loredana). Ma non vi è solo questo nell’”orgogliosa” telefonata del Trio alla figlia: il funzionario confida a Loredana di avere protestato con veemenza anche per le “perquisizioni”, fatte mentre “quello” (spregiativamente, il Dr. Giuttari) si pubblica il libro e nonostante fossero state fatte nel “1988” (rectius, nel 1998). Qui il Dr. Trio afferma di essere sceso in campo addirittura a difesa dell’indagato fiorentino Calamandrei, perché la perquisizione cui fa riferimento è quella disposta dal Dr. Paolo Canessa il 17.01.2004, nel procedimento penale sui mandanti, n. 1277/03/21 ! E’ appena il caso di rilevare che non si è mai avuta notizia di analoghe proteste del solerte funzionario quando le indagini e addirittura i provvedimenti restrittivi riguardavano il livello della “manovalanza”, cioè i vari Pacciani, Vanni e Lotti, nonostante anche allora il Dr. Giuttari scrivesse libri, ma non romanzi come nel 2004, ma saggi sulla vicenda dei “compagni di merende” . Eppure di inquirenti e magistrati scrittori è piena l’Italia e, forse, non solo l’Italia. Perché, se la cosa fosse così scandalosa, perché mai invece di seguire percorsi così obliqui, chi di dovere non ha pensato di intentare un processo disciplinare nei confronti del funzionario ? Eppure, non ci ha pensato e credo che non ci pensi nessuno…Un po’ strano.

  • Dopo che Trio è andato a “gridare” al Viminale contro le indagini collegate e, quindi, contro il G.I.De.S. e contro le stesse indagini fiorentine sui “mandanti”, il Settimanale “Gente” pubblica un violento attacco al funzionario, mettendo in evidenza l’opposizione dello stesso Capo della Polizia e poi un articolo in cui si dà notizia del falso “siluramento” del Dr. Giuttari.

  • E, secondo quanto riferito da Gabriella Mecucci, allora Direttrice de “Il Giornale dell’Umbria”, in realtà la notizia celava, non sappiamo se colposamente o dolosamente, una realtà diversa, cioè quella del possibile, imminente allontanamento del Dr. Giuttari, per via dell’azione intrapresa dal Trio. In data 6.09.2004, la Mecucci ha raccontato: “Il MURA non mi ha mai parlato del siluramento del Dr. Giuttari come di un fatto avvenuto ma come di un fatto che poteva anche avvenire, visto che era a conoscenza di certe difficoltà del dott. Giuttari a livello ambientale. Posso dire che il MURA, nel riferirmi certe cose, accennò al giornalista Roberto FIASCONARO. In particolare, mi parlò di un’attività giornalistica del settimanale GENTE nella quale sarebbe emersa questa possibilità concreta. Di tale inchiesta giornalistica lui era al corrente. Ricordo che il MURA mi anticipò l’uscita sul settimanale GENTE del 26.05.2004 di un articolo che avrebbe parlato del siluramento del dott. Giuttari…. Quando uscì l’articolo su GENTE, in un primo momento, il MURA dimostrò di crederci ma non nel senso di un fatto avvenuto ma di un fatto che poteva avvenire. “ Ben più credibile appare, quindi, l’ipotesi che la notizia, apparentemente falsa, fosse allusiva ad una possibilità concreta che avrebbe vanificato gli sforzi delle due Procure collegate di indagare sulla vicenda e che, quindi, l’articolo di “Gente” svelasse un progetto che vedeva coinvolto il troncone perugino e quello fiorentino di quello che appare un articolato e ambizioso complotto. Ciò è confermato dalle dichiarazioni di Francesca Bene, giornalista de “Il Giornale dell’Umbria” che, il 23.08.04, ha dichiarato: “Quando la sera confrontammo gli articoli che sarebbero usciti l’indomani, Francesco Mura commento’ quell’articolo dicendo che era completamente falso, e che si trattava di un’evidente manovra ai danni del dott. Giuttari e dell’indagine. Mi disse anche che, quando quel giorno vide il settimanale “GENTE”, chiamo’ subito il dott. Giuttari, almeno cosi’ ricordo, con il quale aveva comunque avuto colloqui nei giorni precedenti ed era anche andato a Firenze per parlare con il funzionario. “.

  • Su tale vicenda, l’attività d’intercettazione ha evidenziato allusioni all’allora Procuratore capo di Firenze Dr. Ubaldo Nannucci, che uno dei giornalisti indagati qualifica suo “confidente” (vds. informativa del 2005 a p. 63) e che era anche grande amico dello stesso Spezi.

  • Mentre Trio si “occupa” del Viminale, come in ogni consorzio criminale (nella prospettazione di questa Procura) che si rispetti, Alfredo Brizioli, l’ex Capitano Di Carlo e gli esterni Spezi e Rinaldi si “occupano” della vicenda Puletti, ma lo Spezi tiene i contatti tra la “cordata” perugina e il farmacista Calamandrei e interviene anche sul versante “giornalistico” (articolo sul “falso siluramento del Dr. Giuttari”) e la sua azione contro le indagini diviene parossistica proprio in concomitanza con la perquisizione subita dall’amico farmacista (vds. informativa G.I.De.S. n. 133/05 del 2.03.05, indirizzata alle due Procure ancora, per poco, collegate, alle pp. 62 e 63).

  • Si è accennato soprattutto al concatenarsi delle vicende che vanno dai primi risultati dell’esumazione del Narducci al fondamentale anno 2004 che vede il prepotente ingresso soprattutto dello Spezi, come concorrente esterno, nel vincolo criminale costituito nel 1985. E la qualificazione del giornalista in questo senso non è un artificio utilizzato dalla Procura, è invece la diretta conseguenza di un fatto reale di cui occorre prendere atto. Lo Spezi è, tra l’altro, vecchio amico del farmacista Calamandrei e del “postino” Mario Vanni: lo ha detto il giornalista Vincenzo Tessandori il 20.05.06: “Ad una recente manifestazione culturale lo Spezi ha detto di aver conosciuto Francesco Calamandrei e Mario Vanni. Preciso anzi, per quanto riguarda il Vanni, che lo Spezi ha detto che una sera glielo misero in macchina, mentre si recavano ad un pranzo o una cena. “. Il giornalista di Sant’Angelo in Vado (cioè lo Spezi) entra in scena con tutto il suo incredibile astio contro gli inquirenti, con tutta la sua inclinazione al depistaggio e all’ostacolo delle indagini, all’attività organizzata di disinformazione e, purtroppo, occorre dirlo, con i suoi anomali e inquietanti rapporti con certi magistrati fiorentini e in particolare con l’allora capo della Procura (dove, purtroppo, non c’è più il suo predecessore, il Dr. Antonino Guttadauro), proprio nel momento in cui l’originario gruppo associativo, costituito a livello perugino per mantenere in funzione ad ogni costo il “coperchio” sulla vicenda Narducci deve saldarsi e sintonizzarsi con l’indagato fiorentino e con qualcuno che rema contro le indagini collegate negli stessi uffici giudiziari fiorentini e deve poter disporre anche di una idonea “copertura” giornalistica, senza di che la sola influenza del Dr. Trio al Viminale sarebbe insufficiente.

Allo stato, non sono emersi elementi per ritenere che lo Spezi fosse, all’epoca, cioè nel 1985, coinvolto nel gruppo che ha occultato, con una lunga sequela di reati, protrattasi sino ad oggi, in pratica, la morte del Narducci e le sue cause, né i limiti di competenza territoriale di questo ufficio possono spingersi sino a formulare l’esistenza di un analogo gruppo criminale fiorentino che fosse in rapporti con quello sottoposto all’attenzione di questo processo. Noi sappiamo solo, e lo sappiamo in forza della sentenza di condanna dei cosiddetti “compagni di merende”, che quegli orribili delitti dovessero ricondursi all’azione di un gruppo di persone, tra cui c’erano i “gregari” e “mandanti”.

Quello che è altrettanto certo è, però, che l’ingresso in scena dello Spezi, la cui “discesa in campo” è anticipata da un episodio riferito dalla tanto bistrattata, non da me che pure l’ho più volte sottoposta a processo, giornalista e scrittrice Gabriella Pasquali Carlizzi, ha provocato una significativa reazione a catena. Nel verbale di presentazione spontanea del 10.02.2005, quest’ultima, la stessa Pasquali Carlizzi, riferendosi allo Spezi, commenta:

“La sua singolare avversione alle indagini mi è stata evidenziata in maniera clamorosa in occasione della presentazione del libro di Monastra e Cecioni sul “mostro di Firenze” nell’aprile del 2002. In quell’occasione erano state esposte delle locandine in cui veniva pubblicizzato l’intervento dell’allora dirigente della Squadra mobile di Firenze Michele Giuttari, il quale, da me interpellato, cadde dalle nuvole e mi disse di non sapere nulla di questa manifestazione. Nel corso della presentazione del libro, avvenuta in un’atmosfera allucinante, lo Spezi, dopo aver denigrato come al solito le indagini, disse che solo lui conosceva la verità sulla vicenda del “mostro di Firenze”. A quel punto io ho sfidato l’atmosfera di intimidazione che si era creata perché era stato vietato di porre delle domande allo Spezi e, recatami al tavolo della presidenza, gli chiesi come mai non si sentisse in dovere di informare gli inquirenti. Per tutta risposta lo Spezi commentò, con il suo tono arrogante:” Se vogliono, da me gli inquirenti ci vengono in ginocchio”. In un’altra occasione più recente, Pino Rinaldi, venutomi a trovare a Roma nel gennaio 2004, mi informò che, d’accordo con il suo amico Mario Spezi, che lui chiama “il Maestro”, avevano deciso di far trasmettere su “Chi l’ha visto” 11 puntate relative alla vicenda del cosiddetto “mostro di Firenze” , ivi compresa la vicenda Narducci, il tutto a cominciare dalla morte di Pacciani. In quella stessa occasione…il Rinaldi volle sapere chi fosse Ferdinando Benedetti, la persona da me conosciuta alla trasmissione televisiva “Nero su Bianco”; e da me invitata a presentarsi agli organi inquirenti per rivelare tutto quello che sapeva sulla vicenda Narducci e sul coinvolgimento di settori della massoneria perugina. Il Rinaldi aggiunse che aveva sentito Mario, cioè Spezi, che gli aveva detto che lo interessava la vicenda Benedetti. Nel pomeriggio il Rinaldi mi informò che era in partenza per Perugia perché lo Spezi così aveva voluto, in quanto avrebbe dovuto approfondire la questione Benedetti, che a quei tempi era presentato dalla stampa come il super-testimone della vicenda Narducci. Io feci subito presente a Rinaldi che non ero assolutamente d’accordo che venisse contattato Benedetti. Il giorno dopo, il Rinaldi ha telefonato a casa mia e ha parlato con mio marito, perché io non ci volevo parlare, e ha cominciato a denigrare aspramente la persona del Benedetti.”

Quindi, non appena gli organi d’informazione apprendono dell’esistenza delle indagini perugine, sin da allora, siamo nell’aprile 2002, ancora due mesi prima dall’esumazione, il “Maestro”, come lo chiama con deferenza il Rinaldi, si mette in moto e nell’unico modo in cui l’ha sempre fatto: spargendo veleno sugli inquirenti che hanno sbagliato e stanno sbagliando tutto. E non ha fatto altro che spargere veleno, non solo in Italia, ma dovunque abbia trovato persone disposte a credergli. E, purtroppo, oggi i creduloni sono molti di più dei soggetti che ragionano con la propria testa.

E quando qualcuno, nell’occasione della presentazione del libro di Cecioni e Monastra, gli fa una domanda del tutto prevedibile e per nulla offensiva, cioè perché non ritenga di comunicare agli inquirenti quello che sappia, il “Maestro” risponde sprezzante che gli inquirenti debbono chiederglielo in ginocchio….

Siamo abituati a guardare a questa vicenda come a una storia “mostruosa”, mi si perdoni il bisticcio, ma qui si raggiunge veramente l’apice ! Vi assicuro che quando ho iniziato le indagini, pensavo a tutto meno che allo Spezi, uno dei tanti giornalisti passati a “La Nazione”, un giornale di cui sono da sempre stato lettore e che è un po’, ancor oggi, il tradizionale quotidiano perugino, specie della città…Ma come e perché lo Spezi si permetteva di avanzare simili “pretese” ? Non poteva farlo con gli inquirenti fiorentini che sicuramente conosceva molto bene, figuriamoci se potesse farlo con inquirenti che non conosceva affatto !

Non prendiamoci in giro….Questa è una storia tragica….Non ci si comporta così e non si svolge una così infaticabile, incessante e ramificata azione di contrasto alle indagini per una certa “bizzarria” di carattere e senza averne un ben preciso interesse ! Qui non c’è stata solo l’azione gravissima culminata con la trasmissione “Chi l’ha visto ?”, qui c’è stato anche l’attacco a Ferdinando Benedetti, non un “supertestimone” come si è detto, ma certamente una persona che ha dato un contributo di informazioni sul contesto ambientale nel quale questa vicenda si è oggettivamente svolta, cioè il contesto di logge massoniche dell’Obbedienza del GOI, a cui è pacifico che appartenessero molti dei personaggi di questa storia e anche la vittima, come sappiamo (si vedano le dichiarazioni di Paolo Biavati e di Bigerna Torcoli Mariella). E guarda caso, lo Spezi punta il suo interesse “demolitorio” (il suo fine è sempre e solo questo) proprio su questo personaggio, morto recentemente !

Se la condotta dello Spezi deve essere ascritta ad un’anomalia comportamentale, beh allora si tratta di una gravissima anomalia. Ma non è così: lo Spezi è lucidissimo, è straordinariamente astuto e cinico. Sa quello che vuole, dobbiamo comportarci con giustizia con lui, dargli quello che gli spetta.

E il suo spacciarsi per il paladino della libertà di stampa, per chi conosca a fondo gli atti, ha un che di grottesco. Lo sanno giornalisti locali che hanno dichiarato di aver dovuto subire pesanti intimidazioni da questo soggetto, come quelle narrate dalla giornalista de “La Nazione”, Erika Pontini, il 16.12.2004. che, richiesta se altri colleghi si fossero comportati con lei come lo Spezi, ha risposto: “Assolutamente no, da parte di colleghi. Mi è capitato, invece, di essere trattata in malo modo da imputati o indagati o loro familiari. “———————//“.

Lo Spezi ha uno straordinario, morboso, inquietante interesse a questa vicenda e il suo fine è sempre quello di contrastare e ridicolizzare gli inquirenti e fare l’impossibile perché questi si occupino di lui e non lo trascurino.

Questa Procura, in qualche modo, l’ha accontentato: se si muove in questo modo e si è sempre mosso così, vuol dire che il suo fine è sempre quello di evitare che si faccia luce su questa vicenda e questo perché deve avervi un interesse che spieghi questa singolare condotta. Non si discute. Cosa vi sia a monte di questo interesse, non possiamo dirlo con precisione, qui a Perugia e credo che sarebbe vano attendere che ce lo dica qualcuno altrove, ma dobbiamo prenderne atto.

Su Spezi non si può scherzare, va preso sul serio, da tutti.

E’ un concorrente esterno ma è uno che tiene i contatti tra l’allora indagato fiorentino Calamandrei, certi magistrati fiorentini, gli ambienti giornalistici che gli danno ascolto e la “cordata” perugina. E da quando scende in campo il “Maestro”, come lo chiamerebbe Rinaldi, il collegamento di indagini si rompe perché la Procura di Firenze, su sua sollecitazione, comincia a pretendere la trasmissione del procedimento perugino, pretesa stroncata nell’estate 2005 dalla Procura Generale della Repubblica presso la Suprema Corte.

Si veda, in proposito, l’intercettazione della telefonata del 26.11.2004 che l’”incauto” Procuratore fiorentino di allora, con il telefono del suo ufficio, fa allo Spezi per informarlo delle iniziative prese con questo PM e per invitarlo ad attivarsi per far spostare il procedimento in cui è indagato a Firenze (si veda il testo della telefonata alle pp. 5 e 6 dell’informativa G.I.De.S. n. 481/2005).

Si sono presi i punti più importanti e clamorosi da cui si desume l’esistenza del vincolo associativo, senza il quale sarebbe stato inimmaginabile tenere le fila di una vicenda tanto complessa, vincolo associativo che necessita di un approfondimento dibattimentale. Nel voluminoso materiale d’indagine emergono anche riferimenti a somme di denaro che sarebbero state distribuite per evitare lo scandalo (si vedano, ad esempio, le dichiarazioni di Barbini Orlando in data 13.06.02). Ma su questo, purtroppo, il decorso del tempo ha impedito accertamenti più specifici, del tipo di quelli già svolti a Firenze su Pietro Pacciani.

In ogni caso, i numerosi reati fine dell’associazione sono espressamente citati nella richiesta di rinvio a giudizio e ad essi si rimanda.

D’altra parte, l’esistenza dell’associazione per delinquere è oggetto di un duplice giudicato cautelare: per il Tribunale di Perugia, effettivamente gli odierni imputati hanno dato vita ad una associazione per delinquere, avente le finalità qui descritte.

Essa è stata affermata sia nell’ordinanza del Tribunale d’Appello cautelare del 7/21.12.04, alle pp. 53 e 54 (nella quale ne viene escluso Brizioli Alfredo), ordinanza non impugnata, sia in quella del Tribunale del Riesame di Perugia del 14.12.05 (che estende l’ipotesi anche al Brizioli), ordinanza confermata dalla sentenza n. 900 del 7.04.06 della Seconda Sezione della Corte di Cassazione (vds. p. 2).

E, sia detto per inciso, dopo la sentenza 24 aprile 2009 n. 121 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 405, comma 1 bis c.p.p., aggiunto dall’art. 3 della legge 20 febbraio 2006 n. 46, eliminando il vincolo per il PM di richiedere l’archiviazione nel caso in cui la Corte di Cassazione si fosse pronunciata circa la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è stato sgomberato il campo da qualsivoglia ostacolo ad una completa rivalutazione dello stesso fatto da parte del PM e, quindi, del GUP, anche se, peraltro, nella fattispecie tale vincolo non esisteva perché la Corte non si era mai pronunciata in proposito, come riconosciuto da codesto GUP.

Per entrambe le pronunce, però, anche per quella di più ampia portata, del 14.12.05, il reato associativo si sarebbe, però, arrestato al 1985.

Vi sarebbe stata, pertanto, un reato associativo, insorto nei giorni della scomparsa del Narducci e protrattosi per poco più di due mesi, dall’8 ottobre al 31 dicembre 1985.

Va detto che questa ipotizzata cessazione del consorzio criminoso alla mezzanotte del 31 dicembre 1985 non viene spiegata in alcun modo: non è dato comprendere, infatti, sulla base di quale elemento il vincolo associativo si sia fatto coincidere con tale momento, ciò che implicherebbe la prescrizione del reato.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’effetto interruttivo della prescrizione del reato deve ricollegarsi alla sentenza, anche non irrevocabile, che accerti la responsabilità dell’imputato (vds. Cass. pen. Sez. II, 16.10.1997 n. 19491. Anche la privazione della libertà personale dell’agente implica la cessazione della permanenza secondo un certo filone giurisprudenziale (vds. Cass. pen. Sez. V 11.06.1999 n. 2136), mentre esiste un indirizzo contrario (vds. Cass. pen. Sez. I 27.05.1986 n. 1799).

Orbene, mentre per il Brizioli, l’ordinanza applicativa della misura cautelare è del 28.11.2005, per lo Spezi è del 7.04.2006.

Orbene, va sottolineato che, in quelle occasioni, il Tribunale riconobbe il coinvolgimento nel consorzio del Brizioli, mentre per lo Spezi l’ordinanza era stata emessa per un concorso in calunnia. In ogni caso. Il termine prescrizionale, accogliendo il primo filone giurisprudenziale, decorrerebbe dal 28.11.05 per Alfredo Brizioli e dal 7.04.06 per lo Spezi. E, quindi, il reato sarebbe ben lungi dall’essere prescritto sia pure solo per tali due imputati.

Ma a questo deve aggiungersi che non vi è nessuna sentenza che abbia accertato la responsabilità degli stessi, ma solo ordinanze.

In ogni caso, nel prosieguo delle indagini sono, però, come s’è detto, sopraggiunti, alle ordinanze del Tribunale, ulteriori elementi a conforto della permanenza del vincolo associativo ben oltre il 1985: basti citare le dichiarazioni di Cataluffi Emilia e del Brig. Cecchi Marcello del 12.01.06, le ultime dichiarazioni del Responsabile Operativo del Nucleo Elicotteri dei VV.F. Cioni Mauro e quelle della vedova dell’ex Presidente del Tribunale di Perugia Dr. Mazzini, Sig.ra Agostinucci Gianangela del 16.06.06, confermate, per quanto di loro conoscenza, dai figli Dr. Mazzini Giuseppe, funzionario dell’Amministrazione Penitenziaria e D.ssa Grazia Mazzini, già GIP della Pretura Circondariale di Perugia, entrambe in data 27.06.06. La prima, infatti, ha affermato che il Dr. Luigi De Feo, all’epoca Dirigente della Divisione di Polizia Giudiziaria della Questura, portatosi nell’abitazione del magistrato nei giorni della scomparsa del Narducci, aveva loro confidato di avere fatto tardi perché aveva dovuto recarsi a Firenze nell’abitazione del Narducci dove avevano rinvenuto, in una specie di ambulatorio “reperti umani femminili raccapriccianti”, alludendo al pube ed aveva aggiunto che visto lo strazio dei genitori “avrebbero coperto tutto “, ciò che implica un’attività che avrebbe dovuto, per forza, perdurare indefinitamente, coinvolgendo, nel colpevole silenzio, tutto il personale che aveva accompagnato il Dr. De Feo. E non possono non richiamarsi ancora in proposito le dichiarazioni rese dall’autista del Dr. Trio, Enzo Leonardi, del 29.04.04.

Le dichiarazioni della vedova dell’ex Presidente Mazzini sono, inoltre, clamorosamente simili, come si è visto, a quelle di Beccaccioli Sante, già autista del Presidente del Tribunale di Perugia, succeduto al Dr. Mazzini, Dr. Raffaele Zampa.

Ma il riferimento alla scoperta dei feticci nell’appartamento del Narducci è, in pratica, una costante. Tanto per fare un esempio, Barbini Orlando, titolare di un negozio di pellicceria, il 13.06.02, ricordando ciò che sentì dire da una sua non identificata cliente il 14 ottobre 1985, ha riferito: “l’acquirente della pelliccia iniziò a commentare anch’ella la fine del Narducci e disse: “Io so perché è successo questo. Lui aveva avuto una verifica in casa da parte di forze dell’ordine non meglio specificate e dentro il frigo gli sono state trovate delle vagine e altri reperti umani non meglio specificati.” La signora aggiunse che a causa di questa scoperta il Narducci il giorno dopo o giorni dopo aveva deciso di togliersi la vita. Inoltre, affermò che la cosa era stata soffocata perché il padre avrebbe sborsato molti soldi per mettere a tacere la cosa perché altrimenti sarebbe scoppiato uno scandalo. “. La donna ha parlato di suicidio, perché, all’epoca, era quella l’ipotesi più accreditata ma l’allusione alla scoperta dei reperti ricalca fedelmente quelle emerse nel corso delle indagini. In più, vi è la denuncia, da parte della donna, di un’attività di corruzione che appare del tutto plausibile ma sulla quale, a distanza di tempo, non è stato possibile operare i necessari riscontri. Quello che è certo è che il padre e il fratello del medico hanno dovuto, in tutti i modi, soffocare lo scandalo che sarebbe derivato dall’evidente coinvolgimento del loro congiunto nella macabra vicenda fiorentina. E di Presidenti del Tribunale di Perugia che erano a conoscenza dei retroscena della vita del Narducci, ve ne è stato anche un altro, il terzo, il Dr. Alessandro. Va lasciata sul punto la parola a Vetriani Antonietta, che, presentatasi spontaneamente il 31.01.02, proprio all’indomani degli articoli, ha dichiarato: “Ricordo che nel 1990 feci amicizia con Anna Maria Bevilacqua in Alessandro, moglie del vecchio Presidente del Tribunale di Perugia, Dr. Mario Alessandro; entrambi sono deceduti…Nel corso della conoscenza con Anna la stessa mi parlò, circa nove dieci anni fa, della morte di questo medico e mi disse che il Narducci faceva parte di un gruppo di persone che si erano rese responsabili dell’uccisione delle coppie del territorio fiorentino attribuite al cosiddetto “mostro di Firenze….a dire della Sig.ra Anna, era un gruppo composto da professionisti, nel quale il Narducci, insieme ad altri aveva compiuto i delitti del cosiddetto “mostro di Firenze….Addirittura il Narducci era elemento di spicco dellorganizzazione ed il responsabile materiale dei delitti. Secondo la signora avrebbe goduto di forti coperture istituzionali. La signora, che era di origine Trevigiana, esclamò in mia presenza, anche, che era protetto da quel “mona” del Dr. Canessa, che si accaniva contro quel povero contadino, che era Pacciani, così lei si esprimeva, perché il magistrato aveva un suo parente o amico, molto importante, medico all’ospedale di Orvieto, che era anche amico di Narducci. Domanda: “la signora le riferì come aveva saputo certe cose?” Risposta: ” mi fece capire che le aveva sapute dal marito, Dr. Alessandro” .

Quindi, ben tre Presidenti del Tribunale di Perugia erano a conoscenza del coinvolgimento del Narducci nella vicenda criminale fiorentina; il Dr. Mario Alessandro, il Dr. Luigi Mazzini e il Dr. Raffaele Zampa.

Vi sono poi le più volte richiamate dichiarazioni del giornalista Mario Del Gamba del 28.11.05, sul fatto che il nome del Narducci periodicamente emergeva nelle indagini fiorentine successive al 1985 e di aver avuto l’impressione che a Firenze su questro nome si glissasse.

Si tenga bene in mente questa frase perché spiega tante cose.

Importanti sono anche le dichiarazioni di Feligetti Anna Maria di cui s’è parlato, specie quelle del 15.07.06, nelle quali la stessa ha precisato, tra l’altro: “L’ho sentito dire proprio il lunedì successivo al rinvenimento del cadavere. Mi trovavo nel piazzale del Policlinico e parlavo non ricordo se con un medico o con un tecnico universitario. Questi disse che erano venuti poliziotti a fare perquisizioni per la vicenda Narducci, sia a livello universitario che altrove. Il mio interocutore disse che era giunta, per questo, una squadra di poliziotti da Firenze. Di questo sono assolutamente certa. Potrebbe darsi, ma non ne sono sicura, che il mio interlocutore fosse Ottavio Papa. Mi disse anche che Le perquisizioni erano in funzione della ricerca di tracce dei delitti del Mostro “ ed ha riferito inoltre di indagini negli anni ’90, svolte dall’Agenzia investigativa di Raniero Rossi.

Va richiamata inoltre l’informativa del 4.04.07 del Dr. Michele Giuttari, Responsabile dell’ex G.I.De.S. che contiene una dettagliata ricostruzione della vicenda e riferisce (vds. specie a p. 228) su attività significative di contrasto alle indagini successive al 1985, specie in relazione ad una misteriosa irruzione negli uffici del G.I.De.S. nella notte tra l’8 e il 9.11.05; vanno richiamate altresì le dichiarazioni di Bigerna Torcoli Graziella del 18.01.06 e del 19.06.06, in particolare circa la frequentazione fiorentina del Narducci e l’appartenenza dello stesso ad una loggia massonica. Delle dichiarazioni della Bigerna si è già parlato e le stesse vengono qui richiamate.

Va richiamata, infine, l’esaustiva informativa del 27.06.07 del R.O. del Comando Provinciale CC. di Perugia, curata dal Capitano Antonio Morra, dal Lgt. Vincenzo Laurizi e dal M.llo Capo Luca Rossi, rilevante specie in ordine al reato associativo.

E sempre come elementi più recenti a conforto della necessaria esistenza di un consorzio criminoso finalizzato a coprire ed occultare l’attività fiorentina del Narducci e la sua morte per omicidio, va aggiunta tutta l’azione posta in essere da Mario Spezi, anche successivamente al 2004, quello Spezi, notoriamente amico e frequentatore del farmacista di San Casciano e conoscitore del condannato Mario Vanni, azione culminata nell’operazione di Villa Bibbiani, preludio ad ulteriori attività dello Spezi, volte a bloccare con qualsiasi mezzo le indagini condotte da questa Procura.

Tale condotta complessiva dello Spezi è stata sottoposta all’attenzione di questa Procura e di quella fiorentina con l’informativa del G.I.De.S. in data 14 giugno 2004, contenente precisi riferimenti a conversazioni telefoniche intercettate sulle utenze in uso all’ex farmacista di San Casciano Dr. Francesco Calamandrei, già indagato nel proc. n. 1277/03 R. G. N. R., telefonate intercorse tra quest’ultimo e lo Spezi, nelle quali il giornalista, condividendo con l’amico un singolare e sospetto interessamento anche e soprattutto verso il “troncone” perugino dell’indagine, dimostra di essersi fattivamente adoperato, come si è già accennato e si vedrà meglio in seguito, per “demolire” le ipotesi accusatorie, utilizzando i canali televisivi: nella telefonata n. 465 del 10 febbraio 2004, lo Spezi chiama, infatti, il Calamandrei e gli riferisce di avere preparato una trasmissione televisiva “in cui si demolisce tutto”. Trattasi, come s’è visto, della trasmissione “Chi l’ha visto ?”, la cui preparazione si è svolta a Perugia e nella quale ha avuto una parte di primo piano l’Avvocato perugino Alfredo Brizioli, amico di Francesco Narducci e legale dei suoi familiari, di concerto con altri imputati del presente procedimento come l’ex Questore di Perugia, Francesco Trio, oltre al defunto ex Comandante della Compagnia CC. di Perugia, Col. Francesco Di Carlo. Lo Spezi, quindi, “caro amico da trent’anni” di Francesco Calamandrei, secondo la sua stessa affermazione nella trasmissione televisiva “Uno Mattina” del 19 febbraio 2004, secondo l’articolo apparso a sua firma sul quotidiano “La Nazione” del 23 giugno 2004, conosceva anche il condannato Mario Vanni dalla fine degli anni sessanta.

L’azione che lo Spezi ha condotto contro le indagini svolte da questo ufficio con un accanimento e un livore del tutto inspiegabili, secondo normali canoni comportamentali, sino all’operazione di Villa Bibbiani e alle condotte successive, può trovare, lo si è detto, una ragionevole spiegazione, solo sul presupposto che la stessa finalità “occultatrice” e “depistatrice” reiteratamente manifestata dal consorzio criminoso perugino era ed è pienamente condivisa da ambienti operanti a Firenze, con stretti legami con persone già indagate come mandanti dei delitti del “Mostro” (o dei “Mostri”) o addirittura con condannati per tali delitti, gli uni e gli altri in stretti legami con il Narducci (vds., per il Vanni, le sue dichiarazioni del 17.01.05 dinanzi ai PM Canessa e Crini e, per il Calamandrei, le plurime e convergenti dichiarazioni di persone informate sui fatti, su cui mi sono soffermato in precedenza).

E tutto questo ha trovato una conferma clamorosa in sede di udienze di opposizione alla richiesta d’archiviazione del procedimento per l’omicidio del Narducci (n. 1845/08/21) in favore degli stessi Spezi e Calamandrei, quando entrambe le difese, pur non avendone alcun apparente interesse, hanno duramente attaccato le indagini di questo ufficio, chiedendo che il GIP smantellasse integralmente tutto l’impianto accusatorio, anche per quegli aspetti totalmente estranei al giornalista e al farmacista.

Tutte queste considerazioni, spiegano sin troppo chiaramente, che per coprire con una cappa di oblio tutta la vicenda Narducci e le sue implicazioni con la vicenda fiorentina, era necessario predisporre una struttura di mezzi e di uomini che imponesse un assoluto silenzio su tutta la vicenda del gastroenterologo perugino, che può ben definirsi come l’autentico “nervo scoperto” della vicenda fiorentina che si è immediatamente rivitalizzata ed è letteralmente esplosa nel momento in cui sono emerse le prime clamorose risultanze delle indagini perugine.

D’altronde, se, ai fini del reato associativo, è sufficiente anche una semplice e rudimentale predisposizione di mezzi (vds. Cass. Sez. I, 23.03.1995, n. 3161), nella fattispecie, la struttura apprestata è, come minimo, imponente e lo scioglimento dell’associazione la cui costituzione è affermata, tra l’altro, in forza di giudicato cautelare, deve risultare da elementi univoci e chiari, non intervenuti, oppure dalla sentenza anche non irrevocabile che accerti la responsabilità dell’imputato (vds. Cass. Sez. II, 16.10.1997, n. 2136), cosa non ancora verificatasi.

Quanto al coinvolgimento nel reato associativo degli imputati Narducci Ugo e Pier Luca, Francesco Trio, defunto Capitano Di Carlo, Avv. Alfredo Brizioli, Com. Pennetti Pennella Adolfo e Luigi De Feo, oltre ai concorrenti esterni Spezi, Rinaldi e Antonio Brizioli, si richiamano i ruoli che sono stati ad essi attribuiti, il patto stretto tra Narducci Ugo e Pierluca e il Questore Trio che, in pratica, si è messo al servizio dei primi ed ha messo a disposizione dei primi la struttura della Polizia (suscitando vivaci interrogativi nei Carabinieri presenti): si veda quanto dichiarato dall’allora Carabiniere Ausiliario Bizzarri Giovanni, in data 11.12.2004 che, oltre a riportare i commenti fatti in proposito dal M.llo Bruni, ha precisato: “sembrava strano che noi, che avevamo fatto le indagini, fossimo emarginati dalla Polizia che faceva gli accertamenti in quel momento. Negli altri casi di annegamento la Polizia non intervenne mai. “, il ruolo del Di Carlo che ha agito in stretto collegamento col Questore e si è preoccupato, come s’è visto, di “controllare” e “gestire” la vicenda sul versante dell’Arma dei Carabinieri, apparsa sostanzialmente estranea al complotto, sino a tenere il proprio Comandante del Gruppo all’oscuro di tutto (si vedano le indignate dichiarazioni del Generale Luigi Cucinella del 6.12.02), quello dell’Avv. Alfredo Brizioli, a cui si deve l’attività diretta sul cadavere dello sconosciuto, come emerso dalle dichiarazioni di Angiola Caligiani, commessa presso il negozio “Skipper” di cui era amministratore il Brizioli, sin da quelle del 9.08.2004, quelle del Pennetti, responsabile della “gestione” e dell’intervento degli elicotteri e dei recenti interventi descritti dall’archivista Marini e, infine, il De Feo, colui che scoprì gli aspetti più clamorosi e tragici dell’esperienza fiorentina del Narducci e che si accordò evidentemente col Questore e gli altri per soffocare tutto.

A proposito del Brizioli, va ricordata una sua affermazione, riferita da Spagnoli Federica in entrambe le occasioni in cui è stata sentita. Si riporta l’ultima dichiarazione, del 01°.02.2006, nella quale la stessa, oltre a richiamare l’espressione del Brizioli di cui all’esame dell’8.04.03, ha precisato che il Brizioli la confermò in sua presenza. La Spagnoli ha detto, infatti, tra l’altro: “Ricordo anche che dissi ad Alfredo che avevo sentito dire che lui, avvertito della scomparsa di Francesco, aveva commentato che bisognava cercare il passaporto di Francesco perché, se non si fosse trovato, voleva dire che era scappato. A queste parole, Alfredo ha esclamato: “ L’avrò detto ! “ . Il Brizioli, quindi, nei giorni della scomparsa, sapeva che il Narducci aveva “buoni” motivi per “scappare”, evidentemente all’estero, perché alludeva al passaporto e invitò subito i familiari e gli amici a cercare il passaporto di Francesco, perché, se non vi fosse stato, voleva dire che l’amico era fuggito. Il legale, distintosi, poi, per tutta una serie di attività criminose recenti di contrasto alle indagini, conosceva, quindi, tutta la verità sull’amico e questo lo ha spinto a farsi coinvolgere nel consorzio criminoso che, in qualche modo, doveva “proteggerne la memoria”.

Va richiamato, sul punto, quanto riferito dalla giornalista Francesca Bene circa una conversazione telefonica intercorsa con Alfredo Brizioli, all’indomani della cessazione del rapporto difensivo con la famiglia Narducci. La Bene, il 01°.02.05 ricorda che, alla sua domanda, se avesse collaborato con il nuovo difensore, l’imputato rispose testualmente: “loro hanno bisogno di me perché sono io che so tutto”.

Circa la presenza del Brizioli nei giorni delle ricerche al lago, si riportano le dichiarazioni di Giuliana Paoletti in data 19.05.05: “Poiché me lo chiede, rammento perfettamente che, tra coloro che partecipavano alle ricerche, c’era anche Alfredo Brizioli che era uno dei migliori amici di Francesco e che era particolarmente agitato. Mi pare ancora di vederlo, mentre andava e veniva di continuo. Ricordo anche che Alfredo aveva qualche teoria sulla scomparsa di Francesco, ma non rammento quale fosse. “.

Sull’attività del Brizioli nei giorni della scomparsa dell’amico, si sono inserite le dichiarazioni di Caligiani Angiola, dipendente dell’esercizio “Skipper”, in cui, all’epoca dei fatti, l’imputato svolgeva funzioni diciamo di amministratore. La Caligiani, in data 09.08.04, ha riferito testualmente: “Ricordo che un pomeriggio, sicuramente verso le ore 15,30 e le 16,00, venne da me, a negozio, trafelato, l’avvocato Alfredo Brizioli, chiedendomi una muta da sub della sua taglia e le pinne numero 42-43; io andai nel retro, ove vi era il magazzino e presi da uno scatolone la muta di colore nero e le pinne. In quest’occasione, il Brizioli, dopo avermi chiesto la muta e le pinne, fece presente che quel materiale gli serviva, perché doveva partecipare alle ricerche del suo amico Francesco Narducci al Lago Trasimeno, insieme ai pompieri, in quanto lo stesso non era rientrato ed era stata rinvenuta la sua barca vuota. Ricordo che, quando il Brizioli disse ad alta voce queste cose, erano presenti anche altri dipendenti dell’azienda. L’orario da me indicato, 15,30 – 16,00, lo ricordo perfettamente perché, poco dopo, verso le ore 17,00, sarebbe suonata la campana che segnava l’uscita del personale dalla fabbrica. Io detti al Brizioli quello che mi aveva chiesto e, per quanto riguarda la muta, una volta aperta la busta che la conservava sotto vuoto, l’avvocato la esaminò e disse che era la misura a lui adatta. Il Brizioli si allontanò, poi, di fretta con quello che gli avevo dato…. Qualche giorno dopo, se ben ricordo, il Lunedì mattina successivo, l’avvocato Brizioli mi riportò la muta e non le pinne; ricordo che era un Lunedì…. Quando il Brizioli mi riconsegnò la muta, il magazziniere presente, tale Massimo, oggi deceduto, gli chiese come fosse morto il Narducci, ed il Brizioli rispose: “ Non si sa”. Allora il magazziniere osservò che gli avrebbero fatto l’autopsia, ma il Brizioli, in modo deciso, troncò il discorso dicendo che l’autopsia non sarebbe stata fatta, perché il Narducci aveva lasciato una lettera nella casa del lago. Di questo sono assolutamente certa…. Voglio precisare che, quando l’Avvocato Brizioli riportò la muta da sub, notai subito che la stessa era deformata nelle giunture dell’avambraccio e del ginocchio, in quanto, evidentemente, era stata indossata; dissi pertanto al Brizioli che non potevo vendere la muta come nuova e lui mi rispose di guardare il prezzo di vendita del listino sul quale avrebbe stabilito lo sconto da applicare “.

Com’è noto, il Brizioli ha violentemente attaccato e fatto addirittura oggetto di iniziative giudiziarie sia la Paoletti che, soprattutto, la Caligiani, in questo caso, nel presente processo. Le dichiarazioni della Caligiani sono state ritenute non completamente convincenti dal Tribunale del Riesame di Perugia nell’ordinanza del 14.12.2005 con la quale lo stesso Tribunale ha revocato la misura cautelare applicata al Brizioli dal GIP con provvedimento del 28.11.2005. Va ricordato che, nella stessa occasione, il Tribunale ha ritenuto, peraltro, le dichiarazioni della Paoletti del 19.05.05 “elemento fortemente indiziante della partecipazione del Brizioli al citato sodalizio criminoso” (vds. p. 6 dell’ordinanza).

Ebbene, nel prosieguo dell’attività d’indagine, successiva all’ordinanza in questione, la Signora Pasquali Carlizzi, in data 12.09.07, ha dichiarato: “Un primo particolare che ritengo utile al procedimento e che non so se sia stato o meno verbalizzato è questo: il giorno 12 febbraio 2004 io feci la conferenza stampa all’Hotel “La Rosetta”, sulla vicenda “Mostro di Firenze – caso Narducci”. Nel pomeriggio di quello stesso giorno doveva svolgersi una trasmissione televisiva sulla vicenda presso l’emittente televisiva “Teleumbria” che mi pare fosse in via della Concordia….Ricordo che io mi recai a Teleumbria verso le 15 – 15,30 insieme a mio marito, all’Avv. Faraon che credo si chiami Luciano ed era amico del criminolo Maurizio Antonello, morto qualche anno fa e alla mia collaboratrice Elisa Antonelli, Il regista della trasmissione aveva preparato lo studio perché partecipassi alla trasmissione insieme al giornalista Francesco Mura e all’Avv. Alfredo Brizioli, allora difensore della famiglia Narducci. Ricordo che stavo aspettando insieme agli altri che iniziasse la trasmissione, quando l’Avv. Alfredo Brizioli cominciò ad alzarsi e a passeggiare nervosamente, dirigendosi poi nella saletta degli operatori. Poco dopo uno di questi ci avvertì che vi era stato un cambio di programma nel senso che la trasmissione sarebbe stata divisa in due tempi perché il legale dei Narducci aveva manifestato la sua opposizione a partecipare a una trasmissione a cui fossi presente….. Ripreso il mio posto nel corridoio ove mi trovavo in attesa che mi chiamassero, entrò un uomo tra i quaranta e cinquanta anni, di coprporatura magra…. che, visto il Brizioli….. gli chiese, dandogli del tu, cosa mai facesse e lui rispose che era lì per una trasmissione sul caso Narducci…… e aggiunse poi testualmente: “ Figuriamoci, sospettano di me, quando io sono dovuto andare a comperare una muta da sub e mi sono dovuto immergere per tre giorni a cercare Francesco ! “. Questo lo possono confermare Elisa e mio marito, mentre l’Avv. Faraon era dovuto uscire perché sua moglie, che era con lui, mi pare che non si sentisse bene.

Mio marito scoppiò allora a ridere ed io, per evitare discussioni, lo accompagnai fuori e lo invitai a recarsi dagli operatori perché ci dessero la cassetta duplicato della trasmissione….Dopo una decina di minuti da quando ero uscita fuori con m io marito, fummo chiamati per la trasmissione. Ricordo che avevo alla mia sinistra Francesco Mura e alla mia destra l’Avv. Faraon. Mio marito ed Elisa rimaserio invece fuori dalla sala.

Non fu l’unico episodio quello in cui il Brizioli disse che si era dovuto immergere per tre giorni per cercare Francesco. Ciò accadde anche in altri episodi e quella frase ricordo che lui la ripeteva di continuo. Io dovetti infatti incontrarlo o in Tribunale o per analoghe trasmissioni presso altre emittenti anche in molte altre occasioni.”

Allo stesso Brizioli va riferita, altresì, un’inquietante affermazione contenuta in un colloquio telefonico intercettato (n. 214) tra il legale ed Elisabetta Narducci, la sorella di Francesco. Si tratta di spiegare a quest’ultima il perché della sollecitazione che il legale, ma, forse, per via della sua pregressa attività politica, il padre dello stesso Antonio, rivolge ad una politica locale, non interessa di quale area perché qui la politica c’entra ben poco. L’interessata interviene con un annuncio di “interrogazione parlamentare”, poi, diciamo così, abortito.

E’ il 30.11.02, h. 11,43, siamo non lontani dal deposito della CT Pierucci. Di fronte alle domande di Elisabetta, il Brizioli cerca di rassicurarla ma, a un certo punto, si lascia sfuggire questa frase (il grassetto è mio): “Po’ scappà anche ‘l morto eh ? Capito ? “ (p. 5). Mentre Elisabetta insiste sul fatto che non dev’essere un intervento di tipo politico, il Brizioli insiste, insinuante, con un tono che si commenta da solo per la sua straordinaria gravità. Parla di “bloccare una situazione di questo tipo” (p. 5), poi osserva: “ Avere fiducia che viene gestita a livello cvhe forse qualcuno potrebbe avere l’umiltà di dire “non arrivo neanche a capirlo” forse” (p. 6) e poi ancora, di fronte a monosillabi da cui traspare la perplessità di Elisabetta, “e quindi me devo fidà…..Fin qui capisco, fin qui me devo fidà…..Perché forse questo è lo sforzo che va fatto capito ?” (p. 6). E poi, il Brizioli conclude questo passaggio, vagamente “agghiacciante”: “ E dopo trarne tutti i benefici, sapendo che se la cosa è difficile, è chiaro che comporta anche diciamo rischi e decisioni difficili” (p. 6).

E’ chiaro il significato: bisogna far capire a chi indaga che deve fermarsi, deve bloccarsi (è un’autentica ossessione…) e che deve fidarsi dell’avvertimento….sennò “può scapparci il morto”.

Siamo nel 2002, anzi alla fine del 2002, non nel 1985.

Ma l’ossessione del “blocco” continua ed è continuata sino a quel documento sconcertante che è la memoria depositata dall’imputato Alfredo Brizioli il 18.02.2010. Bisogna che l’inquirente si fermi, non indaghi e, soprattutto, non esponga i risultati delle indagini e le sue richieste.

Dello Spezi si è ampiamente parlato. Occorre aggiungere qualcosa sul ruolo del Rinaldi e su quello di Antonio Brizioli.

Cominciamo dal Rinaldi. Il giornalista di “Chi l’ha visto ? “ entra in scena contestualmente allo Spezi sul solo versante dell’operazione “Puletti”. Inizia anche un’operazione “Benedetti”, di cui ha parlato nella sua presentazione spontanea la Carlizzi nel p. v. di assunzione a informazioni richiamato. Svolge “diligentemente” il ruolo commissionatogli dal “Maestro”, cioè dallo Spezi, per cui si richiama quanto si dirà in relazione al capo V. Mentre lo Spezi interviene in pratica in veste di organizzatore, raccordando l’indagato fiorentino, il gruppo perugino, gli ambienti giornalistici ed istituzionali coinvolti nell’operazione e i soggetti controinteressati alle indagini condotte dal loro stesso ufficio e diventa, in pratica, la mente, il “padre” di tutti i depistaggi, assumendo un ruolo insolito certo, ma oggettivamente indiscutibile, per un “concorrente esterno”, il Rinaldi limita la sua attività ad un tradizionale ruolo di fiancheggiatore del consorzio criminoso e di succube di quello che, quasi con “venerazione”, chiama Il Maestro.

Analogo è il ruolo di Antonio Brizioli, il cui ruolo di fiancheggiatore esterno dell’associazione, discende da una evidentissima preoccupazione di natura, per così dire, “genitoriale”, nei confronti delle intemperanze e del palese coinvolgimento del figlio Alfredo che l’anziano avvocato e, all’epoca, uomo politico, cerca in tutti i modi di occultare e, per farlo, deve negare in ogni occasione, contro ogni evidenza, persino la minima anomalia della vicenda Narducci.

Qualche considerazione finale per questo reato che è, certamente, il fulcro dell’attuale procedimento.

La ricostruzione di tutta la vicenda, di tutti gli innumerevoli interventi che sono stati compiuti in maniera assolutamente convergente e coordinata per imporre una colossale e persistente bugia sulla morte del medico, tra cui spicca quell’aspetto incredibile che è ormai una realtà conclamata, quello passato ormai alla storia con la locuzione “doppio cadavere”, non può essere la risultante né di un consorzio criminoso della durata di un paio di mesi, che si scioglie non si sa come e perché, alla “notte di San Silvestro” tra il 1985 e il 1986, come se nessun rischio ormai potesse incombere su quella colossale mistificazione, come se non vi fosse bisogno di tenere sotto pressione con il terrore e, probabilmente, lauti compensi in denaro, i possibili testimoni e come se fosse scontato quello che non poteva essere e cioè che una giovane vedova a cui era stata spezzata la vita e le si era proibito di porre domande sulla morte del marito, quattro anni o poco più dopo le nozze, non si adoperasse per cercare la verità sulla morte del marito o che a qualche inquirente non fosse venuta la voglia di andare a dare un’occhiata a quella sequenza di omissioni, di intrighi, di ricatti, di pressioni di ogni genere, di assurdità da cui è costellata la vicenda della scomparsa e della morte di Francesco Narducci. E questi discorsi sono di un’attualità impressionante. E’ dall’inizio ad oggi che si è fatto così.

Noi, che abbiamo un quadro complessivo della vicenda, a differenza di giudici che non hanno potuto cogliere che qualche aspetto della storia e per fortuna che lo hanno fatto, noi non possiamo immaginare i membri del consorzio che, dopo aver combinato quello che hanno combinato, si salutano dicendosi: “ Beh….allora arrivederci, ognuno per la propria strada, come se non ci fossimo mai conosciuti….”.

No, il rispetto che dobbiamo avere per noi in primo luogo ma anche per le vittime di questa orrenda catena di delitti e per gli stessi familiari chiusisi in un muto dolore….penso in particolare a Winnie Rontini, non può farci fare la parte degli struzzi.

Dobbiamo affrontarla questa vicenda, prenderne atto, non possiamo nasconderci.

E non sto parlando di condanna, sto parlando di rinvio a giudizio, della necessità di un approfondimento processuale di questa vicenda. E mi sembra che la necessità di un tale approfondimento non possa essere minimamente messa in discussione, anche perché, al di là di fumosi richiami alla “contraddittorietà” tra Consulenze del PM e Consulenze delle difese o ad attacchi esagitati e scomposti, le difese in genere non abbiano opposto nulla a quello che la Procura ha faticosamente accertato in anni di indagini.. Per essere una vicenda, iniziata venticinque anni fa, di elementi ne sono emersi in maniera imponente. E’ una vicenda che, nonostante il tempo decorso dal suo inizio e sottolineo inizio, ha parlato in maniera sin troppo eloquente e che potrà continuare a farlo in sede di giudizio.

Prima di finire sul punto, va sottolineato il fatto che l’associazione di cui si sta parlando è quella perugina, direttamente interessata al personaggio Narducci. Se e in che modo la stessa possa essere stata in contatto o collegamento con un’analogo consorzio criminoso fiorentino, coinvolto nei delitti o, comunque, interessato a far fallire le indagini sui “mandanti”, deviandole verso un binario morto, o se, addirittura, quest’ultimo sodalizio criminoso fosse in grado di controllare il gruppo perugino, operante all’interno del primo, questa è una questione che, allo stato, rimane irrisolta, salvo l’evidentissimo interesse a che venissero ostacolate e “imbrigliate” le indagini perugine da parte dell’allora indagato fiorentino Calamandrei, prima ancora che lo stesso venisse coinvolto nelle indagini di questo ufficio e che, sin dall’inizio delle stesse indagini e in particolare nel 2004, era in contatto con il gruppo perugino attraverso Mario Spezi.

Quello che dobbiamo chiederci, in definitiva, in questa sede è se la vicenda qual’è stata qui analizzata giustifichi o meno un approfondimento dibattimentale, se codesto Giudice possa, sulla base di una valutazione complessiva del materiale raccolto, delle fonti probatorie individuate, ritenere che non vi sia più la possibilità di “spremere”, mi si perdoni l’espressione, le fonti probatorie imponenti che ho cercato di ricapitolare e di illustrare; se lo stesso Giudice possa ritenere che non vi debbano più ulteriori, magari importantissime, significative fonti probatorie, in termini più chiari, altri soggetti, oltre a quelli di cui ho parlato, desiderosi di fornire il loro contributo di conoscenza in questa vicenda, anche, ad esempio, sul versante fiorentino.

Persone che potrebbero essere assunte a informazioni in sede di attività integrativa d’indagine.

Io posso solo dire che queste persone vi sono e qui mi fermo.

In queste condizioni, credo che sia impossibile fondare una prognosi di probabile inutilità del dibattimento e rinunciare a priori a questi contributi.

E’ una vicenda che, per essere datata nel tempo, ha parlato e continua a parlare anche oggi in maniera che, lo confesso, mi ha impressionato.

E’ una vicenda che, si può ben dire, reclama l’approfondimento investigativo e la verifica dibattimentale.

Passo agli altri capi d’imputazione, richiamando comunque, per ognuno di essi, tutto quanto sin qui ricostruito.

Capo d’imputazione n. II. Qui l’Avv. Alfredo Brizioli, in esecuzione del programma associativo con il concorso esterno del padre Avv. Antonio, a cui entrambi si riferisce il capo, dapprima cerca, insieme col padre, di conoscere i risultati di una CT disposta ex art. 359 c.p.p. e affidata alla D.ssa Gabriella Carlesi dell’Università di Pavia, depositando un’istanza nella Segreteria della Procura il 3.12.02, volta a conoscere la data di conferimento dell’incarico di CT e la data dell’eventuale deposito, poi, di fronte al diniego della Procura, Brizioli Alfredo telefona al CT e cerca di farsi rivelare il contenuto della stessa CT, che era all’evidenza coperta dal segreto investigativo. Di fronte al rifiuto della D.ssa Carlesi, il Brizioli, assumendo un tono minaccioso, le diceva per due volte: “ Si prepari a combattere” e accusava poi la stessa D.ssa Carlesi di avere mancato al dovere della riservatezza in una memoria rivolta a questo PM, il 2.06.04.

I fatti sono pacifici, confermati come sono dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni della D.ssa Carlesi (vds. dich. in data 13.01.03 e quelle rese dalla stessa Dottoressa in sede d’incidente probatorio e di una gravità difficilmente contestabile. I due ex legali di parte Narducci volevano conoscere il contenuto di una CT coperta dal segreto ex art. 329 c.p.p.. Ci hanno provato dapprima rivolgendosi alla Procura poi Alfredo si è rivolto direttamente alla D.ssa Carlesi dapprima per ottenere dalla stessa una rivelazione di segreto d’ufficio e poi usando minaccia nei confronti del CT del PM per indurla comunque ad ammorbidire le sue conclusioni sul “doppio cadavere”.

E’ evidente che sussistono tutte le condizioni per il rinvio a giudizio in relazione a tutte le ipotesi contestate: neppure rispetto alla data del 2.12.2002, si è oggi maturato il termine prescrizionale, ridottosi della metà per effetto della nota legge Cirielli, in corso di indagini. Questo primo termine, considerati i diversi interrogatori degli indagati e, quindi, l’effetto interruttivo del corso della prescrizione, maturerà il 2.06.2010, ma rimarrà in vita in ogni caso l’ulteriore evento verificatosi il 2.06.2004.

Capo d’imputazione n. III). Il Brizioli, nell’esecuzione del programma criminoso associativo, ha dapprima cercato di evitare l’accertamento sulla cartilagine tiroide del cadavere del Narducci, come si evince dal telegramma del 7 luglio 2002 (così corretta la data iniziale del fatto), inviato al Prof. Pierucci, poi, in sede di dissezione del blocco degli organi del collo, in data 5.09.02, il Brizioli, come riferito nell’informativa della Squadra Mobile, dall’Ass. Capo Maurizio Mion, dopo aver preso atto della frattura del corno superiore sinistro della cartilagine tiroide del Narducci, rivolgendosi ai CC.TT. della famiglia, li ha invitati a negare l’evidenza.

Tale comportamento, tenuto da un soggetto che, all’epoca, era il difensore di persone offese da un ipotizzato delitto di omicidio di un loro congiunto, è privo della benché minima giustificazione difensiva, astrattamente considerata e, comunque, appare esorbitante rispetto al diritto di difesa, intaccando significativamente il potere dello Stato di pervenire all’accertamento dei reati e delle responsabilità.

Il difensore non può, infatti, tentare di bloccare i normali accertamenti autoptici, disposti ex art. 360 c.p.p., neppure chiedendo che si proceda con incidente probatorio, poiché il limitato effetto preclusivo che da tale riserva consegue opera solo se la richiesta provenga dall’indagato, che, nella fattispecie, era inesistente, trattandosi di indagini a carico di ignoti, non già da persone offese (di parte Narducci), che peraltro si sono sempre mosse nella posizione sostanziale di indagati per omicidio. La condotta del Brizioli integra, quindi, pienamente l’ipotesi di reato di cui all’art. 378 c.p., in favore del o degli autori dell’omicidio, descritta nella richiesta di rinvio a giudizio.

Sul punto va richiamata la memoria di cui all’allegato n. 91 alla richiesta di misura cautelare nel proc. n. 8970/02/21, in data 11.10.04, nella quale Brizioli Alfredo si vanta di avere eretto un “muro invalicabile” contro le indagini.

Si tratta di un reato fine dell’associazione a delinquere, reato fine che, commesso il 5.09.02, risulta, però, prescritto alla data del 5.03.2010, pur rimanendo altamente indicativo del reato di cui all’art. 416 c.p. Per tale reato, si chiede, quindi, la sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.

Capo d’imputazione n. IV. Riguarda tutti i componenti della famiglia Narducci, più i due legali dell’epoca, gli Avv.ti Alfredo e Antonio Brizioli. I soggetti coinvolti nell’associazione per delinquere (Narducci Ugo, Narducci Pier Luca, Brizioli Alfredo) nell’esecuzione del programma, gli altri a titolo di concorso esterno. Se ne parla solo perché si tratta di uno dei reati fine dell’associazione per delinquere e perché non potrebbe formare comunque oggetto di una sentenza di non luogo a procedere nel merito, ma, considerato il reato di calunnia in se stesso, esso risulta ormai irrimediabilmente prescritto dal 18.10.2009.

E’ l’ipotesi della calunnia aggravata e continuata, commessa con denuncia – querela del 18.04.02, nella quale gli imputati hanno querelato per diffamazione i giornalisti indicati nel capo d’imputazione, accusandoli di avere falsamente affermato che esisteva un collegamento tra la morte del Narducci e la vicenda dei duplici omicidi del “Mostro di Firenze”, pur essendo gli stessi perfettamente a conoscenza di tale nesso e anche del collegamento d’indagini esistente tra le due Procure, nesso di cui la stampa aveva cominciato a parlare sin dal 30.01.02 (vds. “La Nazione”, in cronaca di Perugia, del 30.01.02, “Il Messaggero”, Edizione dell’Umbria, Perugia, del 30.01.02, “La Repubblica”, articolo di Gianluca Monastra, del 31.01.02). Ma che tutti i soggetti in questione e in particolare i familiari di parte Narducci fossero a conoscenza di tale rapporto, emerge con evidenza da quanto riferito dall’ex fidanzato di Elisabetta Narducci, sorella del medico, Michele Baratta. Questi, sin dal suo primo esame del 31.05.02, poi sempre confermato, ha dichiarato: “alcuni mesi dopo la morte di Francesco, portai Elisabetta da un mio amico, tale Capitanucci Stefano che abitava all’Elce. Nel corso del nostro incontro Elisabetta volle farsi leggere le carte da Stefano e questi gli disse che bisognava liberare l’anima irrequieta di Francesco, implicato nei delitti del mostro di Firenze e che per far questo bisognava affidarsi a dei rituali magici, nel corso dei quali il venerdì, mi pare, di tre settimane consecutive bisognava bruciare mi pare dei chiodi di garofano o incenso o comunque spezie nella villa dei Narducci a San Feliciano… Accompagnai Elisabetta nella villa dove lei compì i rituali prescritti, sempre la sera dopo cena, all’insaputa dei genitori….. Ricordo che quando il Capitanucci fece quelle allusioni al coinvolgimento di Francesco nelle vicende del cosiddetto mostro di Firenze, Elisabetta non fece strane reazioni e comunque non ebbe reazioni che mi sarei aspettato e cioè quella di chi insorge nei confronti di una affermazione calunniosa nei confronti di una persona cara. Lo avrei reagito molto diversamente, Tanto più che a quei tempi già si parlava di questo coinvolgimento di Francesco nelle vicende fiorentine.“. Si richiamano anche le dichiarazioni della cassiera Ceccarelli Martina, citata dalla D.ssa Spanu Giuliana.

Circa il fatto che il Prof. Ugo fosse a conoscenza di tale legame, basterà riportare un passo delle dichiarazioni del giornalista Andrea Pucci, già in servizio a “Il Giornale”, che il 22.02.02, riferendosi ad un incontro avuto col Prof. Narducci nel 1988, ha dichiarato tra l’altro: “Ricordo in particolare di essere rimasto molto colpito dal fatto che dopo aver commentato che vi erano accertamenti giudiziari su Francesco nell’ambito dell’indagine sul mostro di Firenze e che quindi Francesco avrebbe potuto essere lui in così detto “Mostro di Firenze”, questi non fu sorpreso da tale affermazione e mi sembrò come se attendesse qualcuno che gli parlasse di queste cose. Non ebbe la reazione che io mi sarei aspettato, cioè quella di un genitore che sente un’affermazione così grave sul figlio morto. “.

Se i querelanti e i loro difensori avessero contestato il reato di diffamazione sotto il profilo della continenza o della rilevanza della notizia, non vi sarebbero stati problemi, ma la querela era focalizzata a denunciare la pretesa falsità della notizia e questo la fa ricadere, per le considerazioni suesposte, nell’ambito della calunnia.

Non possono tacersi, in relazione alla intervenuta estinzione di tale reato, le gravi conseguenze di una stasi e di una paralisi di più di un anno e mezzo, tra il maggio 2006 e l’inizio del 2008.

Oggi sappiamo quanto abbiano pesato nello svolgimento delle indagini e nella rapida conclusione delle stesse indiscusse interferenze esterne che si sono più volte manifestate lungo tutto il corso della vicenda ma hanno toccato un livello parossistico proprio nel periodo indicato.

Capo d’imputazione n. V). Questi sono tra i reati più gravi tra quelli sinora descritti e la stessa descrizione della vicenda rivela la straordinaria spregiudicatezza dei soggetti che li hanno commessi, alcuni nell’esecuzione del programma associativo (Brizioli, Trio e il defunto Di Carlo), gli altri (Spezi e Rinaldi), a titolo di concorso esterno.

Siamo nella primavera del 2004 e lo Spezi non ha ancora subito la prima perquisizione né tantomeno è stato raggiunto dall’ordinanza custodiale della primavera del 2006. Non vi sono “scusanti” di sorta, ammesso e non concesso che si possa parlare di scusanti.

Lo Spezi si è messo in testa di distruggere, anzi di demolire le indagini perugine sulla morte del Narducci. Perché lo fa ? Evidentemente ne ha un interesse e qual’ è questo interesse ? Colpire le indagini, farle crollare, delegittimare gli inquirenti. Perché questo odio contro gli inquirenti ? Perché, invece di presentarsi e offrire il proprio patrimonio di conoscenze, Spezi preferisce aggredire gli inquirenti ? E’ un comportamento del tutto abnorme, ma che per lo Spezi ed i suoi fiancheggiatori è un fatto, una costante e, come per il “doppio cadavere”, anche qui contra factum protestatio non valet. E’ una condotta di cui bisogna prendere atto e che è la spia di un evidente coinvolgimento personale nella vicenda. Non si spiega altrimenti.

In ogni caso, lo Spezi ed il Rinaldi, animatore della nota rubrica “Chi l’ha visto ?” di RAI 3, ritengono che le indagini sulla morte del Narducci siano partite da una telefonata con cui degli sconosciuti minacciano una signora di Foligno di farle fare la fine del “medico del lago”. Questo è quello che hanno recepito da un’affrettata lettura di indiscrezioni giornalistiche sull’argomento. Probabilmente, l’Avv. Alfredo Brizioli ha ricevuto ulteriori indiscrezioni sul fatto che il fascicolo relativo alle telefonate n. 9144/01/21 era nato, a sua volta, per motivi puramente occasionali, dal fascicolo 11674/00/21 in materia di usura. Il Brizioli si mette alla ricerca di qualche medico morto al lago che non fosse il Narducci e s’imbatte in un dentista Giampiero Puletti, morto suicida il 28.02.1995, con un colpo di pistola cal. 7,65, in un appezzamento di terreno nella zona di Torricella di Magione, quindi non “al lago”, ma nei pressi del lago. Il procedimento era stato archiviato il 3.04.1996. Senza preoccuparsi troppo della scarsa plausibilità dell’accostamento, i cinque traggono le loro “conclusioni”, aggiungendovi molta fantasia che sicuramente non fa loro difetto. Il Puletti è morto per debiti di gioco, aveva dovuto indebitarsi con gli usurai….quindi sono loro che hanno telefonato all’estetista di Foligno, minacciandola di farle fare la fine del Puletti, che a questo punto sarebbe morto ammazzato, se non avesse pagato i suoi debiti.

C’è da rimanere allibiti, ma i cinque non vanno tanto per il sottile, a loro interessa ridicolizzare gli inquirenti e depistare.

Il gioco era fatto. Senza preoccuparsi di essere cauti e prudenti al riguardo, i cinque concludono che le indagini sono inficiate da un vizio d’origine (lo scambio del Puletti con il Narducci) che, nella loro ottica, è tale da farle crollare, esponendo al dileggio di tutta Italia e comunque dei telespettatori della rubrica, il PM perugino e l’odiato Dr. Michele Giuttari.

E trionfante, lo Spezi comunica la notizia all’amico d’infanzia Calamandrei (vds. dich. di Don Igino Canestri del 27.05.06), preoccupato più che sul versante fiorentino, su quello perugino: “ Stiamo preparando una trasmissione RAI in cui si demolisce tutto…eh ! Abbiamo trovato una bella roba…è meglio a voce…” (R.I.T. 452/03 del proc. 17869, progressivo brano 465). L’obbiettivo è, quindi, “demolire” le indagini ancora collegate di Firenze e di Perugia, accompagnato dall’invito a parlarne a voce che caratterizza sempre i colloqui compromettenti.

Ma il tutto non doveva limitarsi ad una trasmissione televisiva. Occorreva che la trasmissione fosse accompagnata da una iniziativa sulla vedova del Puletti, Sig.ra Banci Sandra, invitata dapprima ad una intervista dell’immancabile rubrica “Chi l’ha visto ?” e poi convinta a credere al fatto che le indagini erano state mal condotte e che quello che sembrava riferirsi alla vicenda Narducci si riferisse in realtà proprio a suo marito, caduto vittima di usurai. In ultimo, il Rinaldi faceva presente alla Banci che avrebbe potuto visionare il fascicolo e chiedere la riapertura delle indagini, suggerendole di rivolgersi all’Avv. Alfredo Brizioli con cui il Rinaldi (e lo Spezi) era già in contatto.

A questa attività preliminare si dedicava il Rinaldi, stretto collaboratore dello Spezi che, come si legge nel sito dello stesso (http.//nuke.mariospezi.it/Notebiografiche/tabid/61/language/it-ITIDefault.aspx) che si è prodotto, ha lavorato, tra l’altro, anche per “Chi l’ha visto ?”. Nel verbale in data 14.01.05, relativo al vecchio proc. n. 8970/02/21, la Banci ha ricostruito in dettaglio tutta la vicenda.

I familiari del Puletti e, in primis, la Banci, incuriositi dal colloquio con il Rinaldi, hanno contattato il Brizioli e questi, nel corso di più incontri, le fece presente che se avesse voluto ottenere la copia degli atti del procedimento n. 401/95, avrebbe dovuto firmare un atto, che altro non era se non la nomina a difensore dello stesso Brizioli. Ciò era invece del tutto inutile perché la Banci poteva tranquillamente ottenere le copie del fascicolo archiviato tramite una semplice sua istanza alla Procura.

Nel frattempo, il 29.03.04 andava in onda il programma preannunciato dallo Spezi al Calamandrei con tanto d’intervista della Banci ciò che determinava l’apertura di un procedimento n. 7741/04/44 per i reati di cui agli artt. 81 cpv., 629, 644 c.p. in danno del Puletti, procedimento poi archiviato dal PM Dr. Razzi per assoluta infondatezza della notizia di reato, in data 24.05.05.

Intanto il Brizioli iniziava a chiedere abusivamente informazioni sul vecchio procedimento all’ufficio Ricezione Atti della Procura, parlando, tra l’altro, col personale della trasmissione televisiva (vds. Annotazione dell’impiegata Anna Maria Tornello del 10.04.04) e depositava il 10.04.04 un’istanza a firma non autenticata della Banci contenente la nomina in bianco a difensore di fiducia, volta ad ottenere le copie del fascicolo in questione. A questa faceva seguito il deposito della nomina del Brizioli con firma autenticata.

Nel frattempo, nel procedimento n. 9144/01/21 erano cessate le indagini ed era stato notificato l’avviso ex art. 415 bis c.p.p.da cui emergeva che le telefonate ricevute dalla Falso provenivano da sedicenti appartenenti ad una sorta di setta satanica e riguardavano proprio il Narducci (e il Pacciani). Il quotidiano “La Nazione” pubblicava tali notizie e il Brizioli, con due telegrammi del 5 e dell’11.05.04, intimava alla giornalista Erika Pontini, autrice dell’articolo, di non pubblicare più notizie del genere sotto pena di azioni legali. Il giornalista Pino Rinaldi, nell’esame in data 5.05.05, ha ammesso di aver letto l’articolo della Pontini.

Il 14.05.05 l’Avv. Brizioli, quale difensore della Sig.ra Banci, chiedeva di essere informato, ex art. 408 c.p.p., dell’eventuale richiesta d’archiviazione del procedimento n. 7741/04/44, in carico al Dr. Razzi, originatosi proprio in seguito all’iniziativa dell’indagato. La richiesta veniva reiterata il 6.12.04.

Tali atti si trovano nell’ambito di tutta la documentazione relativa al procedimento in questione, che è stata depositata il 22.12.09 (in particolare nel faldone n. 1, dove si trovano anche i verbali di assunzione a informazione delle persone informate sui fatti). A proposito della vicenda “Puletti”, gli atti contenuti in copia nel faldone n. 2), vale a dire la “denuncia di gioco d’azzardo presentata da Guida Alessandro Maria e Antonio” ai CC. di Magione il 27.08.1995, l’informativa sul rinvenimento del cadavere del Dr. Giampiero Puletti e le foto allegate rendono evidenti come quest’ultimo fosse stato rinvenuto cadavere vicino ad una roulotte, in area prossima sì al lago Trasimeno, ma in piena terraferma, in circostanze radicalmente diverse da quelle del rinvenimento del cadavere all’epoca (cioè dieci anni prima) identificato per il Narducci. Anche la documentazione di cui al faldone n. 3 prodotto, relativa alle telefonate ricevute dalla Falso, conferma che le stesse si riferivano proprio alla vicenda del “Mostro di Firenze” e a Francesco Narducci, senza alcuna possibilità di confusione con la morte del Puletti.

D’altra parte, la richiesta d’archiviazione del procedimento n. 7741/04/44 RGNR da parte del Dr. Dario Razzi contiene, oltre ad una puntuale ricostruzione della genesi del procedimento 7741/04/44 (e del precedente proc. n. 401/95 sul suicidio del Dr. Puletti), significativi riferimenti alle condotte degli indagati Brizioli Alfredo e Rinaldi Giuseppe (vds. soprattutto alle pp. da 5 a 19 e 20 della richiesta d’archiviazione), lasciandone la configurabilità in termini di reato a chi vi parla. La richiesta è stata accolta dal GIP con decreto di archiviazione del 14.07.05 (vds. il faldone n. 4).

Tre giorni dopo la ricezione della richiesta d’archiviazione del fascicolo riaperto dal Dr. Razzi, il Brizioli rinunciava all’incarico professionale, mentre gli altri complici uscivano di scena e la Banci e i familiari, “circonvenuti” in modo tanto sconcertante, rimanevano soli dopo essere stati così pesantemente illusi.

Va ribadito che l’illazione “Puletti” era sfornita del benché minimo elemento di verosimiglianza e lo stesso Rinaldi, nei verbali in data 3.04.04 e 7.06.04 non è riuscito a fornire convincenti spiegazioni su una notizia che appare letteralmente inventata, in piena mala fede dal gruppo coinvolto nei reati per cui si procede. In particolare appare del tutto ininfluente la considerazione, fatta dal Rinaldi in data 7.06.04, secondo cui cominciò a formulare l’ipotesi “Puletti”, perché: “ In definitiva, sull’ indagine, per me, “regina”, non si era saputo mai niente.”, senza chiedersi doverosamente se, per caso, questo significasse che, vera o non vera l’ipotesi “genetica” sull’indagine Narducci delle telefonate Falso, l’indagine stessa non si fosse poi sviluppata in maniera del tutto autonoma, come si è visto, da più approfonditi accertamenti su quello che era stato fatto o, meglio, non era stato fatto il 13 ottobre 1985 e sulle incredibili anomalie del comportamento della Polizia e, in minor misura, dei Carabinieri.

Il Rinaldi ha in particolare negato di avere mai ascoltato le telefonate in questione (vds. dich. del 7.06.04) e non si comprende, quindi, su quali basi avesse potuto formulare un’ipotesi tanto strampalata, presentata come vera in un programma dell’emitente pubblica.

I reati contestati risultano, quindi, tutti ampiamente configurabili, sia sotto l’aspetto obbiettivo che sotto quello subiettivo, sulla base della descrizione dei fatti. In ogni caso, è evidente che anche la vicenda (grave e inquietante) relativa a tale capo d’imputazione necessita del riscontro dibattimentale, sussistendo tutti gli elementi per il rinvio a giudizio degli imputati.

Capo d’imputazione n. VI). Si tratta dell’articolata attività iniziata nel febbraio 2004 dal Trio, dal Di Carlo e dal Brizioli, nell’esecuzione del programma associativo, con il concorso esterno dello Spezi, attività volta a paralizzare l’organismo investigativo costituito per rendere possibile la messa del Dr. Michele Giuttari a disposizione delle Procure di Firenze e di Perugia, attuata con provvedimento del Ministro dell’Interno on. Pisanu in data 2.04.03.

E’ un’attività di contrasto alle indagini che ha mirato addirittura a togliere di mezzo una struttura di Polizia giudiziaria, creata a norma degli artt. 5, comma 1, della l. 31.03.00 n. 78 e 64 del Decreto Leg,vo 5.10.00 n. 334 e convenzionalmente denominata “G.I.De.S.”.

Nel procedimento n. 1845/08/21, è stata archiviata, con diversa formula, la posizione del Dr. Roberto Sgalla, Responsabile dei rapporti esterni del Dipartimento di PS, del suo più stretto collaboratore il Dr. Mario Viola e del giornalista Gennaro De Stefano, risultato in stretti rapporti con il Viola. L’episodio nel quale i tre si sono trovati coinvolti prende, in ogni caso, lo spunto da un’iniziativa del Dr. Trio.

Tutto parte dalla telefonata n. 1320, R.I.T. n. 405/03 del 10.01.2004 (all. 100 alla prima richiesta di misura cautelare nel procedimento n. 8970), nella quale il Di Carlo conviene con Trio, riferendosi a questo PM: “ Che a questo punto, non..non…non bisogna più lasciargli spazio.”

Era un momento cruciale delle indagini collegate, in cui, nel versante perugino si era ormai imposta l’ipotesi del “doppio cadavere”, mentre sul versante fiorentino, venivano confermate le frequentazioni del Narducci specie dell’area di San Casciano.

Trio si porta al Viminale come minimo in due occasioni. La prima volta prima del 3.02.04, giorno in cui il Loredana Trio, figlia del Questore ne parla con certa Tina.

Il giorno dopo iniziano gli attacchi giornalistici con la pubblicazione di un articolo intitolato “E questi sarebbero i mandanti ?” violentemente ostile all’indagine.

L’ex Questore, in esecuzione dell’accordo criminoso e di quanto convenuto con il Di Carlo, si reca, infatti, al Viminale, dove, approfittando della sua posizione, svolge un’azione di discredito delle indagini collegate ed è verosimile che abbia sollecitato misure contro il G.I.De.S. e il suo responsabile.

La puntata al Viminale del Trio è proficua. Ottiene subito la pubblicazione di ampi brani di una lettera di richiamo al Dr. Giuttari, con la foto del Capo della Polizia, Dr. De Gennaro, posto in contrasto con il Responsabile del G.I.De.S., come confermato dal più stretto collaboratore del Dr. Roberto Sgalla, il Dr. Mario Viola, risultato in stretti rapporti col giornalista Gennaro De Stefano.

L’operazione prosegue con l’articolo, decisamente inquietante, di “Gente” del “finto” siluramento di Giuttari (che De Stefano pubblica dopo che qualcuno, tenuto al segreto, gli ha passato una riservata): il 20.05.04, lo stesso giornalista pubblica, come s’è detto, la falsa notizia del “siluramento” dello stesso funzionario, come a completamento dell’operazione di “delegittimazione”.

Quest’ultimo, conversando disinvoltamente al telefono col direttore del settimanale “Gente” Umberto Brindani, ha, in particolare, pronunciato la seguente frase: “ questo…si appunto…..quando mi hanno dato la cosa di Giuttari…per carità….poi quella era solo nostra…..perché interessava a loro…” (cfr. la telefonata del 7.08.2004, h. 12.43.44, all. 78 alla prima richiesta di misura cautelare nel proc. n. 8970). Ma per lo Sgalla, non c’è altro che il fatto che il suo diretto collaboratore Dr. Viola sia amico e conoscente del De Stefano. Quest’ultimo era un giornalista e non risulta che abbia sollecitato la divulgazione della lettera di richiamo al Dr. Giuttari. Per il Viola, c’è in effetti uno stretto rapporto con De Stefano, ma non si è affatto sicuri che sia stato il Viola a consegnare al De Stefano la lettera e non si sa a chi alludesse il De Stefano, parlando di soggetti a cui interessava la pubblicazione di un atto riservato quale la lettera di richiamo.

L’iniziativa della pubblicazione di quest’ultima, di cui era in possesso anche la Procura di Firenze, è comunque del Trio, in esecuzione del programma associativo sopra descritto.

Che tutta questa attività fosse finalizzata a bloccare le indagini, mettendo in crisi l’organismo investigativo appositamente creato per le stesse, lo ha confidato, come si è visto, il giornalista Francesco Mura alla Direttrice de “Il Giornale dell’Umbria” Gabriella Mecucci. Lo ha confermato anche l’altra giornalista dello stesso quotidiano Francesca Bene.

Questa iniziale azione contro il G.I.De.S. non ottiene risultati significativi e si svolge contemporaneamente all’”operazione Puletti”, sopra descritta. L’azione verrà ripresa dallo Spezi la cui condotta viene così descritta nell’informativa finale del Dr. Giuttari del 4.04.07: “Lo Spezi, dopo la sua scarcerazione disposta dal Tribunale del Riesame, si adoperava in tutti i modi per screditare gli inquirenti ponendosi come una vittima della Giustizia e, in particolare, del Dr. Mignini e del Dr. Giuttari e cercando di aizzare la stampa sostenendo che era stata colpita la libertà di stampa.”

Poi si rivolgeva ai vertici romani della Polizia di Stato così come risulta dal contenuto di due telefonate intercettate.

Infatti, in data 9.8.2006, lo Spezi contattava addirittura la segreteria del Prefetto Manganelli, Vice Capo della Polizia Vicario, e chiedeva di spostare l’appuntamento, fissato la sera precedente (evidentemente da un’utenza non monitorata), dal giorno 17 agosto ad un giorno successivo al 20 agosto. La segretaria prendeva l’agenda e fissava un incontro per il giorno 21 agosto 2006 per le ore 12.00 (vds tel. n. 18 del 9.8.2006 ore 11.08).

Il 18.8,2006 la Dott.ssa Magliuolo della segreteria del Prefetto Manganelli lo contattava e gli comunicava che il Prefetto era a Londra e che sarebbe tornato verso la fine di agosto, per cui l’appuntamento sarebbe slittato ad altra data. Spezi informava la sua interlocutrice che l’avrebbe ricontattata nei primi giorni di settembre per fissare nuovamente l’incontro.

Successivamente, l’attività di intercettazione non veniva più prorogata, nonostante la richiesta di proroga avanzata da quest’ufficio, per cui non era più possibile registrare i successivi contatti “ (vds. la citata informativa alle pp. 146 e 147).

E’ interessante notare che la Direzione delle Risorse umane e del Personale del Dipartimento di PS, proprio dall’estate 06, pretendeva l’abbandono dell’utilizzo dell’acronimo “G.I.De.S.”, sino ad allora utilizzato senza problemi e ne contestava immotivatamente la regolare costituzione o si adoperava perché ne venisse addirittura disposto il trasferimento a Perugia con gravi danni per l’attività d’indagine in corso : si vedano le note di questa Procura del 13.02.07, in risposta ad una nota del Prefetto Calvo sull’”acronimo Gides”; la nota n. 298/06 G.I.De.S., in relazione ai problemi e difficoltà organizzativi descritti a p. 1 e 2, prima parte della nota; la nota in data 14 settembre 2006 del Sig. Questore di Firenze, nella quale lo stesso, in ottemperanza alla ministeriale n. 333 – C/639 – 3550/2006 del 01°.09.u.s., ha disposto l’esecuzione del trasferimento del gruppo investigativo “G.I.De.S.” dall’attuale sede fiorentina presso la sede de “Il Magnifico”, in V.le Gori n. 60, alla Questura di Perugia, benché il 09.02.06, in occasione della proroga dell’attività del G.I.De.S. sino a tutto il 2006, il Procuratore di Perugia avesse fatto proprie le richieste di questo PM in data 7.02.06, volte alla concessione della proroga richiesta dal Responsabile del G.I.De.S., nonché al mantenimento della base logistica fiorentina.

Capo d’imputazione n. VII). Nella denunzia querela del 19.07.02, Maria Elisabetta Narducci accusava Pasquali Carlizzi Gabriella e Licciardi Pietro di avere falsamente sostenuto che il Narducci fosse coinvolto nella vicenda del “Mostro di Firenze” e che il cadavere ripescato il 13 ottobre 1985 non potesse essere quello del Narducci. Si richiamano tutte le conclusioni ormai inoppugnabili sul “doppio cadavere” e sui coinvolgimento fiorentino del Narducci. Si richiamano in proposito le considerazioni sul capo IV. E’ evidente che la querelante ha accusato la Carlizzi e il Licciardi del reato di diffamazione, sempre sotto il profilo della verità del fatto, sapendoli innocenti e sussistono, quindi, tutte le condizioni per il rinvio a giudizio.

Il reato, purtroppo, è venuto, però, a prescriversi il 19.01.2010 e valgono per esso le considerazioni fatte in relazione al capo IV. Si chiede sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.

Capo d’imputazione n. VIII). Il fatto contestato è di una gravità sconcertante e indicativo dell’esistenza di una struttura persistente che, anche in epoca recente, era pronta ad attivarsi immediatamente per scongiurare che venisse fatta chiarezza sulla vicenda Narducci. Il fatto è descritto dettagliatamente e comunque si richiamano le dichiarazioni del segretario particolare del Sottosegretario alla Giustizia dell’epoca on. Giuseppe Valentino, Dr. Fabrizio Giulimondi del 22.11.04 e del 2.07.05 secondo cui tre giorni dopo la presentazione della prima richiesta della misura cautelare contro Trio, Di Carlo e Brizioli, cioè il 14.10.04, già il legale di Ugo Narducci, il Prof. Fabio Dean ne era stato già informato e, a sua volta, aveva cercato di mettersi in contatto con l’on. Valentino, tramite il Giulimondi, per avvertirlo della richiesta e perché questa venisse bloccata e, informato successivamente che il GIP non si era ancora pronunciato, tentava nuovamente di mettersi in contatto col Sottosegretario.

Vanno ricordate anche le dichiarazioni rese da Arcangeli Gino, collaboratore dello Studio Dean, che il 14.07.06 ha riconosciuto che l’Avv. Alfredo Brizioli, uno dei destinatari della richiesta di misura cautelare di cui era stato informato il Prof. Dean, si era recato nello studio di quest’ultimo in almeno due occasioni, nella primavera o nell’autunno del 2004, ciò che si spiega con la necessità per il Dean di informarlo delle iniziative di questa Procura e, comunque, con un rapporto di stretta conoscenza tra i due.

In questa storia è successo di tutto, anche che qualcuno, appartenente ad un ufficio giudiziario, verosimilmente il Tribunale, informasse il difensore di alcuni indagati che la Procura aveva richiesto una misura cautelare nei confronti di altri coindagati e lo tenesse informato sugli sviluppi della richiesta, poi respinta dal GIP e che, a sua volta, questo difensore pensasse bene di rivolgersi al sottosegretario alla Giustizia per informarlo che era stata chiesta una misura cautelare nei confronti di un avvocato e, comunque, di indagati, il tutto con l’evidente finalità di far fallire l’iniziativa. Se c’è un atto che è segreto e deve esserlo ad ogni costo, è una richiesta di misura cautelare. Far trapelare la notizia e comunicarla al sottosegretario alla Giustizia significa vanificarla, né più né meno.

Vi è poco altro da aggiungere ad un episodio gravissimo e che dimostra quanto persistenti e attuali siano gli interessi a far fallire le indagini sulla morte del Narducci, utilizzando tutti i mezzi disponibili e ovviamente il Prof. Dean si è ben guardato dal fare il nome del funzionario infedele. Ha cercato di far credere, nel suo interogatorio del 4.12.2004, che il motivo per cui avesse deciso di rivolgersi all’on. Valentino fosse quello di intervenire perché cessassero le fughe di notizie.

Il Dr. Fabrizio Giulimondi, funzionario del Ministero della Giustizia e segretario particolare dell’allora sottosegretario Valentino, sentito, oltre che il 22.11.2004, anche il 2.07.2005, confermando anche in quest’ultima occasione, quanto dichiarato in precedenza, ha detto: “Quando mi sono trovato l’interlocutore in linea, a quanto ricordo, questi, che si era già qualificato alla centralinista che mi aveva informato sull’identità dell’interlocutore, mi ha detto, con voce che mi ha colpito per la sua anormalità e per il fatto era male articolata e tipica di una persona verosimilmente malata, che la Magistratura di Perugia stava per procedere ad arresti di alcuni avvocati di quel Foro e che l’On. Valentino doveva intervenire per bloccare, in qualche modo, questa iniziativa. L’Avvocato sottolineò l’urgenza e la necessità che venisse immediatamente informato il Sottosegretario. Io rimasi sbalordito da una telefonata del genere che era al di fuori dell’immaginabile….le dico che il Prof. Dean ha fatto riferimento proprio ad imminenti arresti di avvocati perugini e non ad altre situazioni come articoli giornalistici su indagini in corso a Perugia o altro. Fu molto deciso e mi dette proprio la notizia di imminenti arresti di avvocati perugini “. E’ vero, quindi, che c’era stata una fuga di notizie ma era stato il Prof. Dean a riceverla e a comunicarla al Ministero per “bloccare” (sempre la solita abitudine…) l’iniziativa.

E’ pacifica la sussistenza di tutti gli estremi per il rinvio a giudizio.

Capo d’imputazione n. IX). Il fatto è esattamente ed esaurientemente descritto nel capo d’imputazione. Si richiama il significativo contenuto della intercettazione, specie in riferimento alla frase, riferita a Francesco Narducci: “ era tutto l’mi cognato che faceva casino no ?” e il verbale del 16.09.04 dinanzi al M.llo “A” s. UPS Francesco Tasca e al M.llo Luca Rossi. Anche in tal caso, è pacifica la sussistenza degli elementi per il rinvio a giudizio in ordine ai reati contestati, non essendo credibile l’affermazione della Ceccarelli, poiché la madre della stessa aveva parlato in termini allarmati di gruppi dediti a strani “riti”, molto vendicativi che avevano operato a Pescara ed essendo in ogni caso evidente che fosse scontato per la cognata che il Narducci avesse come minimo aspetti della sua vita privata decisamente poco chiari. Basta rileggere il verbale delle dichiarazioni della stessa Ceccarelli in data 27.06.02 per rendersene conto: la cognata del medico riferisce che nei giorni della scomparsa cercò il passaporto di Francesco (come aveva suggerito di fare il Brizioli, alludendo ad una possibile fuga all’estero del Narducci) e che: “a casa di mio suocero nei giorni della scomparsa, arrivò un cartoccio con dei Bulbi con un ramo secco, avvolto in una carta non certo da regalo… Negli ultimi giorni in famiglia, si è parlato anche del fatto che in qui giorni, prima del ritrovamento del corpo, questa stessa persona avrebbe portato una cravatta celeste. “. Messaggi decisamente inquietanti e ancora più significativi se si pensa che a portarli fu quell’infermiere Bruno Bordighini che la Sig.ra Zelioli Lanzini Elisa ha udito pronunciare queste parole mentre acquistava dei fiori per la famiglia Narducci: “Fece preparare un mazzo di fiori e di seguito dopo aver richiesto di mandarli ai Narducci, uscendo disse una frase che mi ha colpito e che è la seguente: “ d’altronde quando una persona frequenta certi ambienti è possibile che possa succedere qualcosa”. Più o meno la frase era questo, sicuramente questo è il senso. “ (vds. il verrbale in data 16.09.02).

Capo d’imputazione n. X). Si veda quanto precisato dalle pp. 58 a 61, a proposito dell’associazione per delinquere e in particolare quanto dichiarato dall’archivista Marini Valerio, sulla sparizione dei documenti chiestigli dal Pennetti, il Comandante del Nucleo Elicotteri di Arezzo, presente al Lago Trasimeno prima ancora che venisse scoperto il cadavere e che era coinvolto, con i Narducci ed il Trio, nell’associazione per delinquere e tutti questi non possono non essere coinvolti nel reato fine della soppressione dei documenti. Va disposto il rinvio a giudizio.

Capo d’imputazione n. XI). Si tratta dell’attività di pressione svolta, con la solita spregiudicatezza, dall’Avv. Alfredo Brizioli sui testi Ticchioni Enzo, Prof. Mario Bellucci, Dolciami Luigi (vds., a proposito di quest’ultimo, quanto sottolineato a p. 62) e Zelioli Lanzini Elisa, che avrebbero dovuto essere esaminati in sede d’incidente probatorio in data 18.11.05. La richiesta del 21.01.05 di questo PM che venissero sentiti come testi, con atto notificato anche al Brizioli il 27.01.05. Venutone a conoscenza, il Brizioli li contattava personalmente e li diffidava dal confermare le proprie dichiarazioni in sede d’indagini. L’opera di pressione sul Prof. Bellucci proseguiva, poi, con una citazione civilistica di natura risarcitoria, in data 25.05.05, in cui sosteneva la falsità e la natura calunniosa delle dichiarazioni rese nelle indagini.

Si richiama tutta la relativa documentazione, le intercettazioni telefoniche e l’udienza dell’incidente probatorio del 18.11.05.

Si richiama in particolare la telefonata del 18.11.05, R.I.T. 150/05, progressivo 2739, nella quale il Brizioli chiama esultante la madre e poi il padre informandoli sull’esito positivo dell’udienza del 18 nella quale si vanta di avere costretto il PM a lavorare con materiale ormai ininfluente, cioè con testi che sono stati previamente “ammorbiditi”, sottolineando l’efficacia dell’azione condotta sui testi: “Alfredo avvisa la madre che finiranno prima e che tutto è andato bene, aggiunge che sono state dette cose insignificanti. La madre gli passa il padre Antonio, questo chiede com’è andata e Alfredo risponde: “anche troppo bene.. se fosse che dall’altra parte c’è questo.. roba da sospenderlo per incapacità manifesta.. proprio tutti a ride.. una cosa assurda.. perché proprio delle cagate bestiali… Poi dulcis in fundus.. uno che l’ha massacrato.. invece è stato lucidissimo.. quest’ultimo Dolciani che ha detto che è una disgrazia…” di seguito: “Bellucci ha fatto molto marcia indietro.. sia il P.M. che Bellucci.. sia il P.M. nei confronti del Bellucci che Bellucci da solo… perché ha capito e quindi è stato un po’.. secondo me ha cercato di ammordire molto!.. E neanche li ha toccati certi problemi.. non si son (inc.) sul discorso del telo.. sul discorso dello spregiudicato manco gliel’ha fatto dì. .. “ Alfredo continua a raccontare del fatto degli scherzi che erano del 1969 nel corso di una gita..” Antonio chiede se è stato sentito Bruni ed Alfredo risponde che non è stato risentito. Alfredo si dice infastidito del fatto che tutti stanno raccogliendo i frutti del lavoro fatto da lui e specifica: “perché l’avemo talmente ostacolato e cosato che alla fine l’avemo ridotto a.. a.. lavorare con del materiale.. capito?.. e in situazioni in incidente probatorio inesistente.. dichiarazioni inesistenti.. perché tutte quell’altre cose no?!.. Importanti è stato bloccato.. qual’è la realtà.. cioè tutto insignificante quello che se sta a dì.. capito?.. rispetto a quel che s’è fatto realmente” Antonio: “.. qualcuno che lo capirà..” Si salutano. “.

Il tenore è ancora più esplicito nella telefonata che il Brizioli fa alla moglie sempre il 18.11.05 (R.I.T. 150/05, 2741): “Alfredo Brizioli chiama sua moglie Luciana e riferisce che sta andando tutto bene e sta crollando tutto quello che hanno fatto, precisa che il Bellucci ha fatto marcia indietro e precisa: Non se lè sentita di ripetere quelle cose…eh! Poi gli ha detto che ..ha definito questi scherzi..erano nel ‘69..nella gita del Mariotti quando eravamo liceali…che poi io non ci sò stato tral’altro..comunque..tanto non dice un cazzo..poi scherzi..così si son messi tutti a ridere..ma proprio una cosa imbarazzante guarda…ci continua a chiedere delle cose proprio completamente….tutti insofferenti.. è l’unica cosa che mi dispiace che oggi…mi è scappato detto anche due o tre volte….inc…c’era anche la Beby lo detto anche a lei…non so se ha fatto finta di non capire…eh gli ho detto vedi che succede ecco questo è tutto il frutto del lavoro fatto prima..costretto dico…Il P.M. chiaramente.. a lavorare con materiale che quasi ormai è niente e come una manovra fatta per cui..inc è inaridito…inc…A lavorare con un materiale che fa sbudellà dal ridere..perchè tutte le cose altre indovina…”.Luciana: “Va be! L’importante insomma che …inc…” Alfredo Brizioli: “Si comunque di questo non dire niente adesso eeee questa è la realtà..poi dopo ne rimane il fatto che che che questa qui si da sempre un pò spago eeee però non potrà essere proprio così demenziale.” Alfredo continua a dire che spesso tutti si sono messi a ridere, hanno abbandonato il discorso del “Telo”e afferma di non esserci stato nessun scontro e nel pomeriggio terminerà presto l’udienza“.

Dello stesso tenore la telefonata di Brizioli al padre n. 2753, sempre R.I.T. 150/05 del 18.11.05.

I fatti esposti nel capo d’imputazione risultano confermati dalla sfrontata rivendicazione di un’azione di ostacolo e di pressione sui testi, che, in effetti, specie Dolciami Luigi, hanno in parte attenuato le loro versioni rese in fase di indagini o addirittura, come appunto il Dolciami, hanno cercato di far credere che un soggetto in tuta grigia visto a 500 metri di distanza e che poteva essere anche una donna, fosse proprio il Narducci (vds. le dich. del Dolciami in data 30.05.02 e 30.12.03). E non sorprende che il soggetto, caratterizzatosi per un atteggiamento beffardo e sprezzante tanto da essere più volte richiamato sia dal PM che dal GIP, sia stato tanto “valorizzato”, in sede di opposizione alla richiesta d’archiviazione del proc. n. 1845/08/21, dalle difese dello Spezi e del Calamandrei. Sussistono tutti gli elementi per il rinvio a giudizio.

Capo d’imputazione n. XII). Si tratta di un’altra, l’ennesima attività criminosa del Brizioli sui testi dell’incidente probatorio del proc. n. 8970/02/21. L’attività precede cronologicamente quella di cui al capo XI) ed è sempre mirata ad alterare i risultati di quell’incidente probatorio disposto proprio per tutelare le fonti di prova dalla indebita e indefessa attività del Brizioli sui testi indicati da questo PM.

Attraverso la memoria in data 01°.02.05, diretta al GIP dell’incidente probatorio, obbligato ad informare il PM, il Brizioli ha calunniato Caligiani Angiola, il Prof. Mario Bellucci, Ticchioni Enzo (risultato poi intimidito ed esitante in sede di incidente probatorio), Pasquini Valerio, Magara Emma (che poi ha commesso il reato di falsa testimonianza), Servadio Ornella, Benedetti Ferdinando, il M.llo CC. Lorenzo Bruni, perché, sapendoli innocenti, li accusava di false dichiarazioni al PM o alla PG (art. 378 c.p.), per colpire le dichiarazioni rese nel corso delle indagini, in relazione alle varie circostanze precisate nei capi d’imputazione e alle varie, coerenti dichiarazioni rese dagli stessi nel corso delle indagini, in piena concordanza con tutte le risultanze delle indagini stesse e, comunque, su fatti che il Brizioli non poteva considerare falsi, come i rapporti tra il Brizioli e il Narducci, per il Prof. Bellucci, come le confidenze fatte a Ticchioni Enzo dal Sov. Petri che, essendo deceduto in conseguenza del noto attentato delle BR, non ha mai smentito tale circostanza e il suo interessamento per il Narducci, confermato anche da Ciulli Mariella, moglie del Calamandrei, in data 7.11.05, nel proc. 2782/05/21; come quanto accertato da Pasquini Valerio a Perugia, come gli oggetti recapitati ai Narducci nei giorni della scomparsa del figlio, per Servadio Ornella, come la minaccia subita dal Benedetti o le pressioni subite dal M.llo Bruni. Come poteva il Brizioli smentire queste dichiarazioni su fatti specifici a cui era estraneo ? Quanto dichiarato da Angiola Caligiani ha trovato piena conferma, stante la completa linearità delle dichiarazioni della stessa e le conferme alle stesse apportate da Ida Merli (11.02.05), Tomassini Paola (22.02.05), Mirabassi Gianluca (10.01.06). Sussistono, quindi, tutti gli estremi per il rinvio a giudizio.

A proposito del Petri e delle confidenze fatte all’amico Ticchioni sul fatto che il Narducci avesse forzato i posti di blocco sulla vecchia strada Arezzo – Perugia, va ricordato anche quanto narrato dal Maresciallo Paolo Pellegrini. Si riportano le dichiarazioni rese il 01°.04.06: “L’episodio che ho descritto dell’Alt intimato alla BMW si è verificato prima del 21 giugno 1981 e poiché indossavamo la divisa estiva e questa si indossava dal 2 giugno fino a ottobre inoltrato, l’episodio si è verificato in un arco di tempo compreso tra il 2 giugno 1980 e il 21 giugno 1981….. L’episodio si è verificato, quindi, o tra il 2 giugno 1980 e l’ ottrobre successivo o dal 02 giugno 1981 al 21 giugno 1981, giorno in cui arrivò Fringuello e andò via Mariucci. Poiché me lo chiede le dico che non poteva trattarsi di un giorno festivo perché eravamo due o tre pattuglie, tutte appartenenti al Nucleo Radiomobile. Poteva trattarsi di un qualunque giorno feriale della settimana, fatta eccezione della domenica o di un qualunque altro giorno festivo…. Io ricordo, dei militari presenti quella sera, l’allora brigadiere Mariucci, perché fu quello che sparò per aria. Saranno state le 21,00 o 22,00. Non era tanto tardi ma era notte. Preciso anche che non riuscimmo a rilevare il numero di targa della BMW. Le nostre auto si trovavano ferme in corrispondenza dell’incrocio tra la via che proviene oggi dalla Questura e che si immette in via Cortonese, direzione stadio. Eravamo rivolti verso Ferro di Cavallo e controllavamo l’entrata e l’uscita della città….. La BMW bianca proveniva da Ferro di Cavallo, a velocità, credo, sostenuta perché ci deve essere stato qualcosa che ci ha indotto a intimare l’alt. A bordo dell’auto vi erano tre o quattro persone, perché, quando ci passò davanti, accennò a fermarsi, rallentando e poi ripartì a grande velocità dopo aver spento le luci. Ho fatto in tempo a vedere alcune teste nel sedile posteriore dell’auto. Appena l’auto ha forzato il blocco, il brigadiere Mariucci ha sparato un colpo o più in aria con il mitra M 12. L’auto però si è diretta a grande velocità in una strada che finisce in mezzo ai palazzi di Torcoli, sulla destra…… Noi inseguimmo l’auto ma quest’ultima è riuscita a dileguarsi…. Il giorno dopo o il giorno ancora successivo mi trovavo ancora con Ciufoli in pattuglia ed eravamo fermi all’incrocio della strada che proviene dalla Piaggia Colombata e si immette, credo in via Fiorenzo di Lorenzo. Alla sinistra e di fronte, c’erano e ci sono dei giardini e oggi in corrispondenza di quel punto vi è il semaforo. Io comunque ero fermo per dare la precedenza alle auto che circolavano in via Fiorenzo di Lorenzo. Notammo subito una BMW che proveniva dalla direzione dell’allora sede della Questura ed era diretta verso la galleria Kennedy. Io non so perché ma la riconobbi subito per quella che aveva forzato il posto di blocco, non ricordo per quale motivo. La inseguimmo subito e la bloccammo sullo spazio a destra prima della galleria, dove si fermavano all’epoca le prostitute e gli autobus. Chiesi i documenti al conducente che rimase seduto al posto di guida ed era solo. Aveva i capelli non scuri e dal documento lo identificai in Narducci Francesco il quale, a mia richiesta, mi disse: “ sono un medico e sto andando in ospedale”. La foto che vidi sul documento me la ricordo ancora e mi pare di averla vista sui giornali negli articoli che hanno parlato a lungo di questo medico. Si tratta della stessa persona…..Si trattava proprio del medico Francesco Narducci “. Si richiamano anche le dichiarazioni del Dr. Mario Tonelli dell’11.07.05: “qualche tempo dopo la sua morte, in occasione di un convegno di ginecologia che si svolse nel locali del “Giò” di Perugia, dove consumammo anche i pasti, o in un’altra occasione, non ricordo bene, un ginecologo di Viterbo che ha sempre esercitato a Perugia di cui non ricordo ora il nome, ma che conosce anche Nazario Piatti, mi confidò che Francesco Narducci era coinvolto nella vicenda del “mostro di Firenze”. Alla mia osservazione risentita che, prima di fare affermazioni del genere, bisognava pensarci, il collega, che appariva assolutamente sicuro di quello che diceva, mi disse che, da molto tempo ormai, Francesco Narducci era sempre seguito nei suoi spostamenti dalla Polizia di Perugia, come gli aveva riferito un amico poliziotto. Lui aggiunse che era sicuro che il Narducci fosse sempre seguito dalla Polizia. Il collega era assolutamente certo di quello che diceva. Ricordo che, quando parlammo, eravamo soli, ma questo collega, a quanto mi sembra, questa cosa la diceva un po’ a tutti, senza preoccuparsi di nulla. “. Le ultime dichiarazioni sono state richiamate a conferma di quello che il Ticchioni ha riferito delle confidenze del Petri, ma, com’è evidente, rilevano più in generale sulle implicazioni fiorentine del Narducci.

Capo d’imputazione n. XIII). E’ la falsa testimonianza della Magara, una delle vittime dell’azione di pressione del Brizioli e psicologicamente soggiogata in aula dalla presenza del suo ex datore di lavoro.

Circa il fatto che Stefanelli Luigi, marito della Magara, si fosse recato con la moglie alla villa dei Narducci a San Feliciano nel primo pomeriggio dell’8 ottobre, che lo Stefanelli avesse chiesto proprio all’Agabitini il permesso di uscire un’ora prima dell’orario lavorativo, cioè verso le 16 e che il foglio contenente la lettera del Narducci fosse appunto un foglio e non un bigliettino, i particolari sono stati affermati dalla stessa Magara in sede d’indagini (vds. verbale del 01°.10.02), ma anche e soprattutto dal custode dell’Isola Polvese, amico fidato dello Stefanelli e persona di grande affidabilità, Agabitini Cesare che il 7.05.02 ha precisato: “Lo Stefanelli si occupava anche della manutenzione della Villa dei Narducci ed aveva le chiavi della stessa. Il giorno della scomparsa del prof. Narducci Luigi, mi chiese di voler uscire un’ora prima dalla fine del lavoro e precisamente di uscire alle ore 16,00. Questa richiesta mi fu fatta durante l’ora del pranzo fra le ore 12,00-13,00 e lo Stefanelli mi disse che doveva sistemare della legna nella villa per l’inverno, non so quale dita doveva portarla ma posso dire che a S.Feliciano e la ditta di tale Pignattini che consegna legna da riscaldamento. Il giorno dopo la scomparsa del Narducci lo Stefanelli tornò al lavoro e, avendo saputo che il Narducci era scomparso mi confidò, di essere andato nella Villa ma di non aver trovato la legna da sistemare. Lo Stefanelli aggiunse poi che sul breccino che si trovava davanti all’ingresso aveva trovato una impronta della ruota di una motocicletta. Ciò lo aveva insospettito, era entrato nella villa ed aveva trovato su di un tavolo un foglio abbastanza ampio che mi descrisse indicandomelo con le mani e che aveva la larghezza del foglio che mi viene esibito.” L’ufficio da atto che viene esibito all’Agabitini un foglio della grandezza A4.————— //

“dai gesti che mi fece lo Stefanelli posso pensare che alludesse ad un foglio di queste dimensioni. Lo Stefanelli mi disse che il foglio era scritto molto fitto, su entrambi i lati, che lo rigirò e lo rigirò senza capire una parola perché scritto con la grafia di un medico, così mi disse. “

La giornalista Francesca Bene, nel verbale in data 28.11.05, ha confermato che, conversando con la Magara in attesa di essere chiamata, questa le disse che la lettera era stata scritta su un foglio, poi, sopraggiunta Giovanna Ceccarelli, la Magara, dopo averla abbracciata commossa, ha cercato di minimizzare le precedenti dichiarazioni, dicendole che si trattava di un bigliettino dove c’era scritto di rimettere a posto la legna. Vi sono tutti gli elementi per il rinvio a giudizio, essendo evidente che la Magara, proprio per la presenza di Narducci Pierluca e della moglie, si è sentita costretta a dire il falso sui particolari sopra riportati e cioè che il marito non era entrato nella villa dei Narducci, ma si era trattenuto in una villa vicina, che quello era un giorno di riposo, mentre si trattava invece di un martedì lavorativo e suo marito era uscito anzitempo dal lavoro e che il Narducci aveva lasciato solo un bigliettino.

Si riportano le dichiarazioni della Bene, circa il comportamento che tenne con lei Emma Magara il giorno di una delle udienze dell’incidente probatorio, il 7.10.2005: “La signora mi ha risposto che si chiamava Magara Emma. Io le chiesi se fosse lei quella che avesse visto la lettera del Narducci. Le chiesi ancora se fosse riuscita a leggerne il contenuto. La signora, che aveva con sé il figlio, poco distante, mi rispose tranquilla che si trattava di un foglio piegato in quattro e che la scrittura era illeggibile. Io mi sono allora spostata per seguire la vicenda. L’udienza è iniziata ma, dopo un po’, è stata interrotta per delle eccezioni. La signora Magara che era entrata in aula poco dopo aver parlato con me, si è seduta nel locale antistante l’aula d’udienza n. 2, vicina al distributore di merende. Con lei vi erano un altro teste, Baldassarri Giordana e, forse, ma non ne sono sicura, la Sig.ra Miriano. Mi sono avvicinata allora di nuovo alla sig.ra Magara per approfondire il discorso della lettera e in quel momento è sopraggiunta alle mie spalle Giovanna Ceccarelli, la moglie di Pierluca Narducci. La Magara allora si è alzata e ha abbracciato commossa la Giovanna Ceccarelli, dicendole: < Ecco la mia cocca!> A quel punto la signora si è seduta e io ho ripreso a farle qualche domanda, ma la stessa mi appariva turbata e imbarazzata. Sono tornata al discorse della lettera e lei ha cercato di minimizzare. Mi ha detto, sempre più imbarazzat:” Ma era solo un bigliettino, dove c’era scritto di rimettere a posto la legna”. A questo punto io ho capito che non aveva voglia di parlare e me ne sono andata “. E, purtroppo, questa versione indifendibile, insieme alle altre affermazioni in contrasto con quanto emerso dalle indagini, è quella che la Magara, assunta come teste, ha reso all’udienza del 25.11.05. Si riporta il passo più significativo del verbale: “PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): le contesto che in data primo ottobre 2002 sentita alla Sezione di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri di Perugia lei ha detto questo, io glielo leggo: “il giorno 8 ottobre ’85 giorno della scomparsa del Professor Narducci Francesco io e mio marito ci siamo recati alla villa di San Feliciano del Professor Narducci per rimettere la legna, ci siamo recati nella villa verso le ore 14:00 circa, ivi giunti non c’era nessuno, abbiamo notato che vi erano vistose tracce lasciate sulla breccia del piazzale di casa lasciate molto presumibilmente da una moto” oggi dice di non aver visto queste cose, allora… poi oggi dice che era sola mentre allora dice che era anche suo marito. EMMA MAGARA: no io ho detto ero sola, veniva su anche mio marito ma io sono andata su e il legnaiolo non è venuto, sono tornata giù. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): già ma lei ha detto qui che siete andati nella villa, eravate insieme. Che cosa ricorda adesso? Ricorda meglio, quale delle due ricostruzioni ricorda meglio? EMMA MAGARA: io mi ricordo così, di questo…. io sono andata su mio marito è restato giù, io sono andata su direttamente alla villa del Narducci…. no non è arrivato mio marito….mio marito neanche è salito lassù. G.I.P. (DOTT.SSA DE ROBERTIS): poi ha visto se era andata prima una moto, se c’erano tracce… EMMA MAGARA: no, no, no, non ho visto niente. G.I.P. (DOTT.SSA DE ROBERTIS): …lei questa cosa l’ha detta però. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): lei l’ha detta questa. EMMA MAGARA: no questo non lo deve dire….. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): no, no, questo lei lo ha dichiarato signora. EMMA MAGARA: io ho detto che c’erano le ruote, no. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): le tracce, delle tracce come di una ruota e nel piazzale, signora in data primo ottobre 2002 davanti ai Carabinieri…. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): no il cancello l’ho capito, che poi è stata nel piazzale. EMMA MAGARA: l’ho aperto. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): dov’è che è andata la parte bassa o la parte alta? EMMA MAGARA: la parte alta appena che ho aperto il portone. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): ecco, che cosa ha visto? Ha detto di aver visto questo biglietto. EMMA MAGARA: un bigliettino, ma l’ho detto un bigliettino così era e così. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): un bigliettino? EMMA MAGARA: può darsi che sia… anche può darsi lasciato detto questo biglietto per chi veniva per… PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): senta, lei oggi parla di biglietto. EMMA MAGARA: un bigliettino. PUBBLICO MINISTERO (DOTT. MIGNINI): largo quanto come un biglietto da visita? EMMA MAGARA: piccolino, un bigliettino così e così. “

Che Luigi Stefanelli, marito dell’imputata, avesse visto le tracce della ruota della moto del Narducci davanti alla villa e vi fosse entrato con la moglie, lo ha confermato Stefanelli Moreno che, il 14.05.02, ha detto: “io le rispondo che ricordo nitidamente, e sono sicuro al cento per cento che il mio defunto babbo ci disse a me personalmente ed anche alla mamma, non ricordo se fossero presenti i miei fratelli, che il giorno della scomparsa lui era andato alla villa, non ricordo l’ora, ed aveva visto il solco nel brecciato di una ruota che lui disse appartenere alla ruota della moto di Francesco Narducci “.

Ma non basta ancora. Della lettera parla con assoluta certezza Alberto Buini, imprenditore, vicino di casa dei Narducci a San Feliciano. Il 14.05.02 il Buini ha affermato: “Ora rammento che Emma o il marito Luigi Stefanelli o tutti e due dissero a me; credo la sera stessa o il giorno dopo della scomparsa, che il medico aveva lasciato una lettera. Lei mi chiede se di questo frangente sono certo ed il le rispondo che posso affermare con assoluta certezza che il medico Narducci Francesco aveva lasciato una lettera ai familiari “. Nel successivo verbale del 12.03.03, ha precisato ancora: “ Luigi Stefanelli, la mattina dopo la scomparsa di Francesco, mi disse che il Narducci aveva lasciato un biglietto della cui esistenza aveva informato il Prof. Ugo che lo aveva preso”.

Virginia Spagnoli, nel verbale del 12.07.06, ricorda, a sua volta, con precisione: “Mio padre disse anche che Francesco aveva lasciato una lettere a suo fratello Pierluca“.

Anche il Maresciallo dei Carabinieri, Mario Calzolari, all’epoca appartenente alla Sezione Anticrimine del Reparto Operativo CC. di Perugia, sentito il 19.02.2002, ha confermato con queste parole il particolare della lettera: “qualche giorno dopo il ritrovamento del cadavere, parlando con il M.llo BRUNI, lo vidi molto arrabbiato perché secondo lui gli accertamenti relativi alla morte del Narducci, non erano stati fatti nel modo dovuto perché vi sarebbe stato un biglietto lasciato dal NARDUCCI sulla barca o sulla persona che non era stato acquisito agli atti, anzi era sparito. A quanto capii credo che il M.llo BRUNI vide di persona il biglietto, ma non mi precisò il contenuto, era soltanto arrabbiato per come erano andate le indagini sulla morte. Ricordo che ero andato a Magione per altri fatti per i quali dovevo parlare con il M.llo BRUNI. Ricordo per certo che il M.llo BRUNI mi parlò di questo biglietto che avrebbe potuto parlare delle cause della morte. Non so se lui lo abbia visto di persona o meno, ma l’impressione che ebbi è che lui lo abbia visto di persona. “.

Vi sono quindi tutti gli elementi per il rinvio a giudizio.

Capo d’imputazione n. XIV). E’ la vicenda di “Villa Bibbiani”. Nell’ultima informativa dell’ex G.I.De.S. del 4.04.07, si legge (da p. 129 a p. 143) che, dopo tale infruttuosa iniziativa, lo Spezi continuava a darsi da fare con l’ausilio dell’amico, l’ex ispettore di Polizia Nando Zaccaria, al quale diceva al telefono, dopo le solite, “rituali” espressioni offensive verso gli inquirenti (perugini e G.I.De.S.), contro i quali non riusciva a nascondere un odio profondo :

“l’unica cosa che bisogna fare… lo sai che cosa?.. muoversi su quell’altra cosa che ti ho detto…quella risolverebbe tutto… e di molto bene!”.

(tel. nr. 15780 del 21.12.2005).

Da quel momento si intensificavano i contatti tra i due e tra costoro ed un terzo personaggio: il pregiudicato campano Ruocco Luigi, gravato da un’impressionante serie di precedenti penali.

Lo Spezi imbastiva così un’operazione complessa, avvalendosi dell’apporto dei citati Ruocco e Zaccaria; un’operazione volta ad accusare il solito sardo, questa volta Antonio Vinci, nipote di Francesco, quest’ultimo già implicato e poi ritenuto estraneo ai duplici omicidi, anzi, divenuto vittima egli stesso di un ennesimo omicidio, il 7 agosto 1993, quando l’uomo fu torturato, mutilato, ucciso e bruciato insieme all’amico Angelo Vargiu e i loro corpi trovati nella frazione Garetto di Chianni, vicino a Pontedera, nel bagagliaio di una Volvo 240, in modo analogo a quanto sarebbe accaduto, di lì a 13 giorni circa, a Milva Malatesta e al suo figlioletto Mirko, di tre anni. Il nipote del Vinci, Antonio, mai coinvolto nella vicenda giudiziaria del “Mostro”, invece, secondo lo Spezi, avrebbe dovuto detenere scatolette con oggetti riconducibili ai fatti del “Mostro di Firenze” e addirittura la famosa pistola ca. 22.

Ecco, quindi che lo Spezi ideava l’operazione “Villa Bibbiani” che lo avrebbe liberato dai suoi guai perugini, dove era indagato, il che conferma, se ve ne fosse ancora bisogno, che la vicenda criminale fiorentina e quella perugina del Narducci sono, per lo Spezi, intrinsecamente, intimamente intrecciate.

Lo conferma Douglas Preston, il giallista statunitense amico dello Spezi, che, sentito il 23.02.2006, ha detto: “Mi ha detto che queste indagini su di lui sono legate alla vicenda del “Mostro di Firenze”. “.

Viene individuata la villa dove il Ruocco, utilizzando una macchinetta fotografica fornitagli dallo Spezi si sarebbe recato più volte – e di notte – per scattare alcune fotografie, poi consegnate allo Spezi.

E’ il Ruocco che indica l’ubicazione di tale villa agli altri due, che non riuscivano a localizzarla da soli con precisione ed è il Ruocco che accompagna lo Spezi e lo Zaccaria sul posto.

Lo Spezi e lo Zaccaria effettuano più sopralluoghi nella villa “Bibbiani”, di proprietà della famiglia Del Gratta, sita nel Comune di Limite e Capraia e in una occasione i due sono accompagnati dal giallista Douglas Preston.

Viene redatto un appunto con le indicazioni della villa, da consegnare al dottor Bernabei della Questura di Firenze, allo scopo di indurre il dirigente di polizia a fare una “passeggiata” in quel luogo e poter trovare indizi riconducibili alla vicenda del Mostro di Firenze, tra cui “sei scatolette”.

Viene fatta visita in Questura al Bernabei da parte dello Zaccaria, che veniva atteso fuori dallo stabile dallo Spezi.

Lo Spezi, discutendo con lo Zaccaria, si raccomanda con lui che, prima di incontrare di nuovo quella persona dove era stato l’altro giorno (Bernabei), dovevano parlarne perché Zaccaria doveva spiegare bene quelle sei scatolette:

“Spezi: Nel senso che lui non sa nulla…di me…di coso…

Zaccaria: Va be’ a qual è il problema?

Spezi: Bisogna spiegargli bene quelle sei scatolette…hai capito? Perché lui magari dice che c’è lì dentro delle cazzate! Hai capito?

Zaccaria: Va be’ ma lui l’ascolta eh…io gliel’ho spiegato io…eh… se vanno lì devono guardare per benino…tutto quello che…eh…

Spezi: Quello che volevo dì…se lui trova… una forcina a lui non gli dice niente!

Zaccaria: Ah… ma quello è normale… perciò gli ho detto…no ma infatti…perciò gli ho detto poi insomma andando…(inc.)… quando è… quando dovete anda’… tanto lui ha detto che me lo dice…

Spezi: Ecco appunto… questo insomma…

Zaccaria: Lui… no… no me lo dice perché lui non è che…lui non sa una sega di queste storie… non si è mai interessato..

…………

Spezi: Insomma l’importante che tu lo istruisci bene.. capito?

Zaccaria: Sì… ma.. (inc.)…non c’è proprio la mentalità del poliziotto..”

(vds brano 17095 del 19.2.2006).

Nel corso dell’attività d’intercettazione, veniva registrata l’euforia dei due (Spezi e Zaccaria) e a quel punto anche del noto “giallista” Douglas Preston, che ormai era stato tutto fatto e che a breve i poliziotti avrebbero fatto la “passeggiata” facendo così un colpo “mondiale” e risolvendo tutto.

Alla luce delle suddette emergenze, il 20.2.2006 veniva assunto a informazioni il Ruocco, che alla fine finiva per essere indagato in ordine al reato di favoreggiamento personale.

Infatti, il Ruocco, dopo aver spiegato di aver conosciuto lo Spezi circa un mese prima a casa dell’ex moglie perché il giornalista si era interessato della vicenda giudiziaria della propria figlia, riferiva quanto segue: “Spezi mi ha contattato, chiedendomi di poterlo aiutare perché lui era indagato per un delitto del “Mostro di Firenze”. Ricordo anche che lui parlava sempre di questa storia. Essendo indagato, lui voleva trovare prove a suo favore. Non mi disse se avesse informato di ciò il suo avvocato. Lui mi diceva che il vero Mostro di Firenze era Antonio Vinci, che io avevo conosciuto vent’anni fa. Mi chiese se avessi conosciuto Antonio Vinci ed io gli risposi che, in effetti, l’avevo conosciuto circa una ventina di anni fa, in un circolo a Settimello, nei pressi di Calenzano. Sapevo che Antonio Vinci era il nipote del famoso Francesco Vinci che non avevo neanche conosciuto.

A quel punto – continuava a spiegare – lo Spezi gli aveva chiesto se conoscesse i luoghi frequentati da Antonio Vinci dove questi all’epoca avesse incontrato persone e si fosse allenato a sparare. A quel punto – raccontava ancora – gli aveva indicato la villa del quale non conosceva chi fosse il proprietario.

Spiegava poi che lo Spezi gli aveva chiesto di fare delle foto di sera per vedere se fosse riuscito a fotografare qualcuno nella villa e che il giornalista aveva insistito per avere il nome del sardo che abitava in quel posto, tanto che lui alla fine gli aveva fatto quello di un certo Fenu dicendo che si chiamava Francesco o Ferdinando.

Precisava infine di essersi inventato tutto per spillare un po’ di soldi allo Spezi che aveva creduto al nome Fenu che lui gli aveva fornito.

Il Ruocco, quindi, confermava, pur nella sua reticenza su alcuni punti, l’attività posta in essere dallo Spezi e dall’amico Zaccaria.

Il 21.2.2006, veniva sentito dal G.I.De.S. Vinci Antonio che, tra l’altro, affermava categoricamente di non conoscere la villa “Bibbiani”, di non averla quindi mai frequentata, di non conoscere alcuna persona di origine sarda che avesse lavorato in quel posto, di non avergliene mai parlato, lo zio Francesco, di quella villa.

Lo stesso giorno 21 venivano assunte informazioni anche dal Prof. Luigi Donato, marito di Giovanna Paola Del Gratta, comproprietaria con la sorella Donatella della villa, che anche dopo aver interpellato il custode e gli operai affermava che l’unico sardo che vi aveva lavorato era tale Senes Carmine al quale nel 1997 era stato dato in comodato un casolare, pertinenza della villa, e questo fino al 2004. Precisava poi con una nota inviata ai carabinieri di Capraia e Limite che negli anni 87-90 vi aveva lavorato un boscaiolo, Raffaello Pontenani, sposato con una donna sarda, Nicoletta Carau, operaia agricola avventizia.

Il Prof. Donato Luigi, in qualità di “persona offesa o danneggiata”, in data 28.04.2006, trasmetteva a questa Procura un esposto/querela nei confronti di Spezi e dei suoi complici.

Il 23.2.2006, veniva assunto a informazioni Preston Douglas, che alla conclusione dell’atto veniva indagato per il reato di false dichiarazioni al P.M..

Lo scrittore americano, amico di Spezi e che dall’attività tecnica in coso risultava a conoscenza dell’attività dell’indagato, tra l’altro, riferiva di essersi recato, insieme a Spezi e a Zaccaria, in una villa con un grande giardino su una collina, dove – secondo lo Spezi – i sardi “erano collegati”. Così si è espresso il Preston in data 23.02.2006: “Noi tre siamo andati con la macchina di questo Zaccaria, in una villa, su una collina, con un grande giardino, perché lo Spezi mi ha detto che i sardi erano collegati con la tenuta appartenente alla villa…. mi sembra che lo Spezi o lo Zaccaria abbiano parlato di un’arma collegata con i delitti….. non so se lo Spezi sia tornato di nuovo nella villa insieme allo Zaccaria. Mi pare che siamo andati nella villa il 16 febbraio. “. Poi, dopo avergli fatto ascoltare alcune conversazioni registrate e in atti, spiegava: “Io so che qualcuno ha contattato il dott. Bernabei perché voleva che intervenisse nei pressi della villa per rinvenire le tracce dei delitti che avrebbero potuto risolvere tutti i problemi confermando l’ ipotesi dello Spezi sulla pista sarda. Non so perché lo Spezi dica <passeggiata>. Io so che il dott. Bernabei ha detto che non poteva fare questa cosa e Spezi o Zaccaria volevano contattare un altro funzionario che poteva farlo e forse la <passeggiata> si riferiva a questo. Non so cosa pensare. So che Mario Spezi aveva avuto contatti con un certo Luigi, non so quando e se sia stato contattato dallo Spezi o dallo Zaccaria. Luigi c’entra in qualche modo “.

Il 24 febbraio 06 veniva assunto a informazioni il Dott. Gianfranco Bernabei come persona indagata in un procedimento connesso alla presenza del difensore d’ufficio.

Il funzionario, responsabile della DIGOS della Questura di Firenze, confermava di essere stato contattato qualche giorno prima da una sua fonte confidenziale che gli aveva riferito la possibilità di rinvenire in un casolare, forse abbandonato, posto all’interno di una grande azienda di Capraia e Limite la famosa pistola utilizzata per le uccisioni delle coppiette fiorentine, nonché altri oggetti – come barattoli – riconducibili a quei delitti. Precisava poi che, esulando la notizia delle competenze del proprio ufficio aveva informato il collega, Dott. Filippo Ferri, Dirigente della Squadra Mobile al quale aveva indirizzato la fonte e che aveva poi notiziato la Procura di Firenze.

Poi, circa il nome che la fonte gli aveva fatto come implicato nella vicenda del “Mostro”, spiegava che gli era stato fatto quello di Antonio Vinci, che avrebbe lavorato nell’azienda di Capraia come pastore o contadino.

Il funzionario, infine, dichiarava di essersi insospettito della notizia confidenziale tanto che aveva avvertito una strana sensazione.

Lo stesso giorno, veniva emesso un decreto di perquisizione locale e personale a carico di Spezi Mario, Ferdinando Zaccaria e dei locali della Villa “Bibbiani”; perquisizione che veniva eseguita in contemporanea il giorno 25 successivo.

L’atto di P.G. portava al rinvenimento e sequestro delle inconfutabili prove dei reati commessi dai personaggi coinvolti nei fatti esposti.

Nell’abitazione di Spezi Mario venivano rinvenuti:

  • un foglio dattiloscritto indirizzato al Dott. Bernabei privo di data e firma, l’appunto aveva il seguente contenuto:

“Appunto per Dott. Bernabei

Notizia confidenziale, attendibile, in quanto complice in passato di alcuni furti di bestiame, riferiva che in località Limite sull’Arno , appena dopo passato Montelupo, all’interno della proprietà di Villa Bibbiani via di Pullicciano (400 ettari) in una casa distaccata dalla villa, quella che si trova sul retro della villa in una discesa, sulla sinistra. Il locale interessato è quello di fronte al vecchio forno del pane sotto l’arco d’ingresso. In passato in questa casa veniva data ospitalità a latitanti sardi tra i quali il famigerato Mario Sale e altri implicati in sequestri di persona. La casa era nella disponibilità di un certo Fenu (Francesco o Fernando).

Detta casa era anche frequentata dai noti Vinci Francesco e Salvatore e Vinci Antonio figlio di Salvatore e fedelissimo dello zio Francesco con il quale era solito consumare furti.

Antonio Vinci ha attualmente disponibilità di detto locale in cui regolarmente si reca.

Detta villa è di proprietà di un Prof. dell’Università di Pisa, che raramente vi si reca per brevi periodi.

Vinci Antonio dovrebbe abitare a Prato via Verga n. 16 tel. 0574 634405 intestato alla sua convivente Martinetti Delia.

Il Vinci Antonio dovrebbe lavorare in qualità di autotrasportatore per una ditta di mattonelle.

Per informazioni parlare con il giardiniere Salvatore che ivi abita in altro locale della villa, distante dalla precedente”;

  • una carta topografica a colori raffigurante la zona di Empoli, Pantame, Limite, S.Ansano ed altre località con evidenziati punti rossi collegati con linee aeree;

  • dal cellulare del perquisito, con il suo consenso, venivano estrapolate n. 3 fotografie raffiguranti la facciata e l’arcata laterale di Villa Bibbiani, scattate, a dire dell’indagato, da lui stesso (vds verbale di perquisizione e sequestro della Sezione di P.G. Carabinieri di Perugia).

Il contenuto del citato appunto forniva piena prova della condotta criminale del gruppo e nello stesso tempo pieno riscontro alle dichiarazioni rese dal Dott. Bernabei.

Nell’abitazione e autovettura di Zaccaria Ferdinando venivano rinvenuti:

  • cartucce per pistole di diverso calibro, sul cui legittimo possesso, del quel non figurava traccia nella copia della denuncia di armi esibita, il G.I.De.S. avviava gli accertamenti del caso presso gli uffici di polizia competenti. A proposito delle cartucce, va evidenziato che, in denuncia, figuravano n. 50 cartucce cal. 22 L.R. che però non venivano trovate nel corso della perquisizione. Per le munizioni illegalmente detenute veniva deferito alla competente Autorità Giudiziaria;

  • una cartina geografica dei dintorni di Empoli in cui erano state tracciate alcune località (vds verbale di sequestro redatto da personale del Gides e dei Carabinieri di Perugia).

Nella villa Bibbiani, la perquisizione dava esito negativo non solo circa il materiale che si sarebbe dovuto trovare (arma e oggetti riconducibili ai delitti fiorentini) ma anche in ordine alla disponibilità di una casa a tale Fenu ed altri personaggi in qualche modo riconducibili all’ambiente dei Vinci e dei sardi in generale.

L’unico riscontro positivo risultava la precisa localizzazione dell’abitazione segnalata nello scritto e dove ci sarebbero dovuti essere gli oggetti di cui sopra.

La casa in effetti si trovava sul retro della villa in una discesa sulla sinistra ed effettivamente di fronte al locale interessato c’era un vecchio forno proprio sotto l’arco d’ingresso.

Lo stesso Zaccaria, raggiunto il posto dopo la perquisizione a suo carico, indicava al personale proprio quel locale, al cui interno però non c’erano gli oggetti segnalati.

Ferdinando Zaccaria, nella suddetta circostanza, confermava l’attività posta in essere dallo Spezi, da Ruocco e da lui stesso a seguito della quale avevano individuato la casa del “Mostro di Firenze”, indicato dallo Spezi per Vinci Antonio, spiegando che tale risultato avrebbe avuto uno “scoop mondiale” al seguito del quale si sarebbero fatti “un sacco di soldi”.

Spiegava poi che Spezi confidenzialmente gli aveva riferito che:

“qualora la pista dei sardi sarebbe stata sviluppata e trovato riscontro per lui sarebbe stata una grossa soddisfazione, sarebbe stato smerdato Giuttari ed io, avendo collaborato alle indagini ed essendo prossima una mia candidatura in politica sarei stato eletto Ministro degli Interni”.

Dopo poco tempo lo Spezi veniva contattato dal giornalista del Corriere della Sera Mario Porqueddu. La loro conversazione era imperniata sulle vicende giudiziarie che coinvolgevano lo Spezi e lo scrittore americano Douglas Preston. Il Porqueddu, faceva una breve premessa, sostenendo che, dopo aver ricevuto tutta la documentazione inviata dal suo interlocutore, avrebbe voluto scrivere un articolo “sull’autore americano che è caduto nelle grinfie dei P.M. e degli investigatori”:

“S: Eh.. te la racconto tutta la storia … esatto…esatto.. te la acconto tutta la storia in questo pezzo che ti mando! Eh.. niente poi recentemente a libro finito…ora…alla fine di gennaio.. no.. casualmente ero su un altro pezzo…conosco uno.. un pregiudicato eccetera…toscano comunque…e si chiacchiera con altra gente… figurati c’era anche un ex poliziotto…insomma una cosa così… e questo qui mi dice “eh…ma lo sai che io sapevo che questa gente negli anni ottanta usava un…casolare vicino a quella villa…”

P: Per nasconderci della roba..

S: Sì…ci nascondevano le armi….ci tenevano i latitanti……sai si parla……allora c’erano i sequestri di persona questa roba qui……

ah…dico…interessante!……..sì…sì…dicevano…quelli…sai….anche conoscevano quelli legati al delitto del….primo delitto quello del ’68…ah…si dice ancora che uno di loro che lit… che ce l’ha insomma questa cosa…ah… dico…te informa….adesso si informa e mi dice (inc.) che dice….non più di un mese fa c’hanno visto un paio di armi dentro tra cui una Beretta 22…cacchio!!…allora a quel punto ti dico anche da bischeri la tentazione di andare noi con il fotografo…no sai di queste cose però ha detto calma…qui già siamo nella…scusa il termine….nella merda…

P: Eh…be’…

S: Facciamo una cosa… andiamo uhm alla Questura e raccontiamo tutto poi… poi può essere che non ci sia nulla …può essere che ci sia una Beretta 22 qualsiasi oppure non si sa mai no?… ecco tutto questo essendo io iper-intercettato da tutte le parti l’hanno…son venuto a sapere e invece di andare a vedere lì sono venuti a cercare le armi da me come se io… Douglas Preston…l’ex poliziotto eccetera avessimo montato questa storia insomma…

P: Ma senti ….ma invece quello che voi siete andati a pizzicare…questo…questo…questa persona alla quale siete finalmente arrivati e siete riusciti a intervistare dice delle cose rivelanti?Tu dici chiude in maniera un po’ sorprendente di..(inc.)…tanto per…per…cioè quello che si può dire…

S: Sì…provoca..

……

S: …Te sei stato molto vicino…troppo vicino a quella pistola usata nel…’68…uhm…uhm…uhm…e ce lo dice …capito?

…..

S: Eh…ma non ti sto mica dicendo che è lui per carità!…

P: Mi sa che tu sei riuscito a verificare….

S: Sì…sì…sì… ma che gli andrebbero contro di lui…diciamo come circostanze…hai capito?….Non che siano sufficienti per una …per carità…

P: Però che lo mettano in una luce…

S: Io…io…gli facemmo un’intervista guarda…io sono molto…non coraggioso…ma incosciente…nel lavoro per cui gli si fece…io gli chiesi se era lui ecco….eh… lui mi risponde “mi dispiace questo scoop non te lo posso far fare…però ti faccio fare uno scoop” e mi da queste cose qui…hai capito?…eh… son cose relative alle armi…

P: Senti….

S: Poi se si è divertito…può essere per carità…io ti dico così…io ragiono un po’…un po’ eh…da anglosassone io non lo so…nel senso che non ho le prove …poi se tu mi chiedi le sensazioni…ma quelle sai sono…

(vds tel. nr. 17586 del 9.3.2006 ore 18.42).“

Quindi lo Spezi confessa, a proposito di Antonio Vinci: “S: Eh…ma non ti sto mica dicendo che è lui per carità!… “.

L’episodio di Villa Bibbiani è inquietante ma anche complesso, per non dire contorto.

La sequenza dei fatti, delle condotte dello Spezi, del Ruocco e dello Zaccaria, ma soprattutto dello Spezi, l’ideatore di tutta l’operazione, articolatasi nelle ipotesi di reato di cui al capo XIV, operazione concepita ed eseguita con l’aggravante dell’art. 61, primo comma n. 2) c.p., evidenzia la piena configurabilità del reato di calunnia diretta o formale derivante dalla denunzia sporta contro Antonio Vinci con l’”Appunto per il Dr. Bernabei” e contemporaneamente della diffamazione in danno del Prof. Donato e di un tentativo di calunnia reale che avrebbe dovuto seguire alla prima e che si sarebbe concretizzata nel far rinvenire nella villa oggetti riconducibili ai noti duplici omicidi, a clamorosa conferma della denunzia. Il reato è connesso ex art. 12, lett. c) c.p.p., con quello di omicidio del Narducci, per il quale pende, a quanto se ne sa, ricorso per cassazione, a quanto risulta e commesso allo scopo di occultarlo, perché è lo stesso Spezi che lo ha confidato al complice Zaccaria, come si è visto nel colloquio telefonico richiamato dal Dr. Giuttari all’inizio della ricostruzione. A nulla rileva, poi, l’intervenuta sentenza del 26.10.06 della Corte di Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da questo ufficio contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Perugia del 28.04.06 che, a sua volta, aveva annullato, per difetto dell’elemento psicologico richiesto, l’ordinanza del GIP D.ssa De Robertis, confermando l’elemento oggettivo della calunnia formale ma escludendo il tentativo di calunnia “reale”. Ciò sia per L’art. 405, comma 1 bis c.p.p., introdotto dall’art. 3 della l. 20.02.2006 n. 46, preclude l’esercizio dell’azione penale nel solo caso in cui la Corte di Cassazione si sia pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non già quando, come nella fattispecie, la Corte abbia dichiarato inammissibile il ricorso, perché fondato su una diversa, legittima ricostruzione nel merito della vicenda.

La denunzia è stata presentata dapprima al Dr. Bernabei che ha poi indirizzato “la fonte”, cioè lo Zaccaria, dal Dr. Filippo Ferri, capo della Mobile di Firenze, che il 20.04.06, ha dichiarato: “Il Dr. Filippo Ferri, il 20.04.06, ha, da parte sua, dichiarato: “ho avuto contatti proprio in relazione a villa Bibbiani intorno al 17-18 febbraio corrente anno,più,credo il 17.Era il tardo pomeriggio e il collega Bernabei mi chiamò sulla linea interna del mio ufficio,dicendomi che stava scendendo da me l’ex Ispettore Zaccaria per parlarmi di una vicenda delicata…..E cosi subito dopo si è presentato da me l’ex Ispettore Zaccaria che prima di allora avevo soltanto notato soprattutto nei corridoi della Questura e un paio di volte era venuto da me ma mai c’era stato un rapporto confidenziale.Voglio dire che era una conoscenza superficiale.Lo Zaccaria,che si presentò con un appunto in mano indirizzato al Dott.Bernabei mi disse che un suo confidente, al quale lui aveva dato un aiuto per la figlia ,senza che lui l’avesse cercato,ma solo per sdebitarsi lo aveva contattato parlandogli di questa villa Bibbiani che si trova dopo Montelupo,asserendo che alcuni casolari di pertinenza di questa villa in passato erano stati frequentati da sardi tra cui da Mario Sale. Mi spiegò anche che questa villa all’epoca sarebbe stata nella disponibilità di tale Fenu Ferdinando o Francesco,mentre attualmente era di proprietà di un professore universitario di Pisa del quale mi disse il nome che credo fosse quello di Donati. Mi precisò che alcune parti diroccate di pertinenza della villa,erano tuttora saltuariamente frequentati da tale Vinci Antonio,figlio di Vinci Salvatore e nipote di Vinci Francesco.Mi aggiunse che probabilmente in questo luogo frequentato da Vinci Antonio e precisamene in una casa diroccata di fronte a un forno del pane che si trovava sotto un arco vi potevano essere occultate delle armi tra cui una calibro 22 e forse altri oggetti che potevano essere forse riferiti al famoso mostro di Firenze. Nell’occasione mi lasciò l’appunto e mi diede una foto di Vinci Antonio,in bianco e in nero,scattata in un momento presumibilmente di un suo arresto.Ricordo che mi disse anche che in questa villa c’era un giardiniere ,che però era all’oscuro di questi fatti, che avrebbe potuto dare notizie sui luoghi nella disponibilità del Vinci Antonio orientando in questo modo lla perquisizione per le ricerche di armi e gli altri oggetti.Lo Zaccaria si dichiaro’ disponibile ad accompagnarmi sul posto per indicarmelo perché a suo dire era difficile da raggiungere;mi aveva anche precisato che il professore universitario era completamente estraneo a questi fatti. Poi il discorso si chiuse lì e non l’ho piu’ sentito e visto. Dopo tre o quattro giorni ,ho appreso le notizie dalla stampa che facevano riferimento a questa villa Bibbiani e alle perquisizioni a Spezi e all’ex. Ispettore Zaccaria. Nei giorni immediatamente successivi redassi una nota che portai personalmente al dott. Canessa per le determinazioni del caso. “.

I fatti sono stati pienamente confermati, poi, dal Dr. Bernabei, nell’interrogatorio in data 24.02.06. Si è trattato, quindi, all’evidenza di una denunzia presentata con tutte le caratteristiche richieste dall’art. 368 c.p. e che lo Spezi abbia semplicemente usato il Ruocco per farsi dare l’indicazione auspicata e abbia poi “arricchito” la semplice “indicazione” del Ruocco con particolari che questi non si era mai sognato di dare: si veda, ad esempio, la telefonata intercorsa tra o Spezi e lo Zaccaria n. 17095, in cui il primo esorta lo Zaccaria a “istruire” bene il Bernabei sulle “scatolette” che si sarebbero potute trovare alla villa.

E’ lo stesso Zaccaria a confermare che fu lo Spezi a parlargli delle scatolette, delle armi e, in genere, degli oggetti più compromettenti: “delle scatolette me ne parlò Spezi la prima volta, mi sembra al telefono, poi fu lo stesso Rocco a parlarne durante il viaggio per accompagnarci alla casa. Credo che nella stessa occasione genericamente Rocco disse che i sardi avevano armi perché non gli mancavano ma non fece riferimento a un’arma specifica né tantomeno a una Beretta 22 tranne l’accenno di cui sopra… l’appunto come fonte confidenziale materialmente l’ho redatto io ma sulla base di notizie fornitemi dallo Spezi e quelle da me direttamente acquisite come ho spiegato. “ (si veda l’interrogatorio del 24.04.06).

Quindi, tali indicazioni “inventate” dallo Spezi, relative alla frequentazione della villa da parte di Mario Sale e alla possibilità di rinvenire nella villa armi e scatolette, contenenti oggetti riferibili ai duplici omicidi fiorentini (come ad esempio, le forcine per capelli rinvenute nel luogo del delitto di Calenzano) è, per lo stesso Tribunale, riferibile “indubbiamente” a Mario Spezi (vds. p. 12 dell’ordinanza).

Queste circostanze sono indubbiamente frutto di una invenzione da parte dello Spezi (vds. p. 12 dell’ordinanza, che precisa che si debbono indubbiamente allo Spezi questi “arricchimenti”, così li chiama il Tribunale), ma tale invenzione che non può essere frutto di alcun errore sul fatto, dovendosi tali circostanze riferire esclusivamente alla fertile fantasia dell’indagato Spezi.

Ma a tutto questo occorre aggiungere un ulteriore particolare. Non basta affermare che lo Spezi sia “strenuamente” convinto della validità della “pista sarda” per escludere il dolo della calunnia e ritenere la denuncia frutto di un errore indotto nello Spezi (e nello Zaccaria) dal Ruocco, perché così tutto si fonderebbe sulla mera affermazione del calunniatore che potrebbe sfuggire alle sue responsabilità, semplicemente affermandosi “strenuamente” convinto della colpevolezza dell’incolpato. Qui, l’accusa al Vinci non trova alcuna ragionevole spiegazione, anche in considerazione del fatto che il Vinci è nato nel 1959 e che, all’epoca del primo delitto, aveva 15 anni…..E che Spezi cercasse di accreditare Antonio Vinci come coinvolto nella vicenda del Mostro, ce lo ha confermato nel suo interrogatorio del 24.04.06 l’Isp. Nando Zaccaria: “Spezi mi parlava di questo Vinci Antonio come di persona che secondo lui poteva avere un ruolo nella vicenda del Mostro di Firenze. “. Come s’è detto, prima Zaccaria prende contatti con il Dr. Bernabei. Lo stesso, interrogato il 24.04.06, riferendosi allo Zaccaria come alla sua fonte, ha dichiarato: “Alla mia richiesta di precisazioni, la fonte ha aggiunto che in quel posto ci poteva essere la famosa pistola calibro 22 del Mostro di Firenze con altri oggetti pertinenti a quella vicenda. “.

Il Dr. Bernabei “gira” l’Ispettore, per problemi di competenza, al capo della Mobile Dr. Ferri, che, sentito il 20.04.06, ha confermato: “Si, ho avuto contatti proprio in relazione a villa Bibbiani intorno al 17-18 febbraio corrente anno, più,credo il 17.Era il tardo pomeriggio e il collega Bernabei mi chiamò sulla linea interna del mio ufficio,dicendomi che stava scendendo da me l’ex Ispettore Zaccaria per parlarmi di una vicenda delicata…. Mi precisò che alcune parti diroccate di pertinenza della villa,erano tuttora saltuariamente frequentati da tale Vinci Antonio,figlio di Vinci Salvatore e nipote di Vinci Francesco.Mi aggiunse che probabilmente in questo luogo frequentato da Vinci Antonio e precisamene in una casa diroccata di fronte a un forno del pane che si trovava sotto un arco vi potevano essere occultate delle armi tra cui una calibro 22 e forse altri oggetti che potevano essere forse riferiti al famoso mostro di Firenze. Nell’occasione mi lasciò l’appunto e mi diede una foto di Vinci Antonio…Ricordo che mi disse anche che in questa villa c’era un giardiniere ,che però era all’oscuro di questi fatti, che avrebbe potuto dare notizie sui luoghi nella disponibilità del Vinci Antonio orientando in questo modo lla perquisizione per le ricerche di armi e gli altri oggetti….nell’appunto si faceva riferimento solo ad armi generiche, però a voce mi ha specificato che si sarebbe potuta trovare una calibro 22 e al riguardo mi ha spiegato l’importanza della pistola in riferimento ai delitti del Mostro anche in considerazione dell’arresto avvenuto per il delitto passionale di una donna uccisa dal marito e a dire dello Zaccaria quell’arma sarebbe stata la stessa di quella utilizzata per i delitti del Mostro “.

Ma non è tutto. Il 6.09.08 è pervenuta in Procura una lettera (prodotta) di Gabriella Pasquali Carlizzi, a cui la stessa ha allegato alcune pagine di un libro introvabile “La leggenda del Vampa” di Giuseppe Alessandri, Ed. Loggia de’ Lanzi.

A p. 390 del libro, l’autore scrive: “Il solo Mario Spezi, come al solito, non si perde in ciance, e nell’articolo Ha firmato col piombo un’atroce verità. Quattordici giovani vite, sedici anni di indagini inutili: forse l’errore è nel lontano 1968 torna a puntare il proprio indice accusatore contro la validità della “pista sarda”. E le pagine successive sono una spietata “requisitoria” contro quest’ultima (vds. pp. 391 sino a p. 399), liquidata “definitivamente” dallo Spezi con considerazioni del tutto plausibili e razionali proprio, se non sbaglio, nell’ultima pagina del libro.

Allora ? Dove sta lo “strenuo” convincimento dello Spezi ? Ora si apprende che quest’ultimo, nel periodo più “caldo” delle indagini, è stato addirittura il massimo “censore” della validità della “pista sarda”.

Sulla base di tutte queste considerazioni e di queste risultanze pervenute successivamente alla conclusione delle indagini, vi è una sola conclusione da trarre: vi sono tutti gli elementi per un doveroso riscontro dibattimentale. Lo Spezi non è uno sprovveduto da poter essere tranquillamente raggirato da un pregiudicato come il Ruocco, bisognoso di spillargli soldi. Pensare questo è far torto all’intelligenza del giornalista.

I due, in realtà, hanno ognuno bisogno dell’altro: lo Spezi ha bisogno che il Ruocco gli inventi una storia in cui iu cui i pochissimi elementi di verità si mescolano a colossali bugie, ma lo Spezi deve crearsi una scusa per poter dar corso, dapprima alla calunnia formale contro il Vinci, poi ad un’operazione più ambiziosa, quella di far rinvenire nella villa degli oggetti effettivamente presenti sulla scena dei delitti, di cui doveva essere in possesso, perché altrimenti non avrebbe avuto senso accompagnarvi il Dr. Ferri. E non è un caso che a presentare la denuncia e a parlare col Bernabei e poi col Ferri, lo Spezi mandi lo Zaccaria e non vada di persona…

E la scusa di cui aveva bisogno lo Spezi è proprio il Ruocco; lo Spezi potrà sempre dire: me l’ha detto lui…io ci ho creduto. Quanto al Ruocco, aveva solo bisogno di soldi, neppure molti.

Esistono, quindi, tutte le condizioni per il rinvio a giudizio.

Capo d’imputazione XV. Lo Zoppitelli, come si evince dal verbale del 19.12.2003, si è espressamente rifiutato di rivelare i nomi dei pescatori che portavano a caccia con le loro imbarcazioni non meglio precisati personaggi fiorentini, su cui gli era stata rivolta una specifica domanda. Si chiede il rinvio a giudizio.

Capo d’imputazione XVI. Il rifiuto di rispondere del Mancini alle domande di questo PM in data 25.01.06 è pienamente descritto nel capo d’imputazione che riporta le “non risposte” alle domande rivoltegli e il turbamento provato.

Per tale ipotesi, il Mancini ha chiesto il giudizio abbreviato del quale si tratterà alla fine.

Capo d’imputazione n. XVII. E’ il verbale più drammatico quello del 27.05.05, quello nel quale il rifiuto di rispondere è motivato più che da paura, da un autentico terrore, dimostrato con espressioni incredibili e minacce di suicidio e che conferma che il meccanismo che ha imposto una cappa di silenzio e di omertà da quell’ottobre 1985 era vivo e vegeto quantomeno al 27.05.05. Se non sbaglio, il presente capo è stato stralciato e, comunque, il procedimento relativo a tale capo deve essere sospeso in virtù del primo comma dell’art. 70 c.p.p., poiché è risultato che Zoppitelli Giancarlo si trova in uno stato mentale tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e, per le considerazioni suesposte, è pacifico che non dovrebbe essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.

Capo d’imputazione n. XVIII. Anche per la Frezza valgono le considerazioni descritte nel capo XVI. Nel capo d’imputazione sono descritte tutte le dichiarazioni della Frezza, suocera di Pierluca, su circostanze estremamente interessanti e mai emerse come il rinvenimento del cibo nella gola del Narducci alle 17 – 18 del pomeriggio. Il capo d’imputazione descrive tutto, tutto quello che la Frezza ha detto nel colloquio telefonico con Teresa Miriano e che ha, invece, negato nel verbale di assunzione a informazioni e, insieme, lo sfogo per essersi lasciata andare a confidenze telefoniche imprudenti. Ha inoltre ammesso di aver saputo certi particolari da persone di cui s’è rifiutata di fornire i nominativi. Ed è inutile sottolineare che si trattava di particolari rilevantissimi e in contrasto con la “vulgata ufficiale”, perché si parla del rinvenimento del Narducci con il cibo in gola, ciò che non può essersi verificato dopo i cinque giorni dalla scomparsa e, per di più, alle 17, in un orario totalmente diverso dalle ore 7,20 del mattino del 13. Si parla anche della telefonata che il Narducci avrebbe ricevuto dal Prof. Falini. E’ evidente la necessità di una verifica dibattimentale. Si chiede il rinvio a giudizio.

Capo d’imputazione XIX. Anche qui, di fronte alla contestazione dell’inequivocabile contenuto di una telefonata nella quale la persona esaminata ha fatto riferimento al fatto di essersi recata per delle feste nella casa del Narducci in Toscana, la stessa, cioè Daniela Cortona, ha negato ai Carabinieri del R.O.N.O., che la stavano assumendo a sommarie informazioni il 20.11.03 di essere stata in quel luogo e di conoscerne l’ubicazione. Vi sono tutti gli elementi per ritenere che abbia mentito ai Carabinieri, anch’essa influenzata da quella innegabile pressione ambientale, volta a negare o a minimizzare qualsivoglia fatto anche solo potenzialmente anomalo o, comunque, pericoloso per la fama del medico, di cui fossero stati a conoscenza. Si chiede il rinvio a giudizio.

Capo d’imputazione XX. I fatti sono pienamente descritti nel capo d’imputazione che fa riferimento al 15.12.2004, giorno dell’audizione del Dr. Bernabei a Perugia, in merito alle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni.

In particolare, nel corso del p. v. di s. i. del 15.12.2004, è emerso questo passaggio: “ricorda qualcosa in relazione alla nota da lei redatta il 4.11.1993 e che le viene nuovamente posta in visione e più in generale ricorda se ha seguito negli anni di permanenza alla Squadra Mobile di Firenze, accertamenti o indagini riguardanti il medico perugino NARDUCCI Francesco?….. Ribadisco di non aver potuto prendere visione, con la necessaria calma, degli atti a mia firma, che mi vengono rimostrati e dei quali non ho alcun ricordo. Ribadisco inoltre che in quel periodo giungevano all’ufficio centinaia di anonimi su presunti esecutori dei delitti del mostro sui quali non mi soffermavo in maniera particolare“ L’ufficio da atto che il documento in questione e cioè la dettagliata relazione sul NARDUCCI redatta dall’investigatore privato PASQUINI Valerio, non è un anonimo, ma un documento di 18 pagine presentate dal PASQUINI personalmente al Dr. Vigna, come da verbale del 28.10.1993 e dal Procuratore trasmesso alla S.A.M. in data 3.11.1993. “. In altre parole, com’è possibile che il Bernabei non si ricordi del personaggio a cui si riferiva la dettagliata relazione dell’investigatore Pasquini Valerio, personaggio di cui non poteva non aver sentito parlare anche sei anni prima e di cui avrebbe sentito parlare a lungo dal 2002 in poi ? Il tutto se è stato lui stesso a rispondere alla richiesta del Dr. Vigna sul punto ? E com’è possibile che il Pasquini presenti il suo dossier al Dr. Vigna il 28 ottobre, il Procuratore lo trasmetta alla S.A.M. il successivo 3 novembre e il Bernabei risponda a un dossier così complesso dopo solo un giorno, senza tener conto minimamente di quanto riportato dal Pasquini e richiamando semplicemente quello che aveva detto il Colonnello Rotellini circa sei anni prima ? Già, a Firenze sul Narducci, sembrava che “si glissasse”.

Si chiede il rinvio a giudizio.

Ricsapitolando, quindi, si chiede il rinvio a giudizio per tutti i capi, salvo quelli nnn. III), IV) e VII i cui reati risultano prescritti.

Giudizio abbreviato chiesto da Mancini Giovanni Battista (capo XVI).

Va richiamato l’episodio sintetizzato nel capo d’imputazione e che è stato descritto in termini chiarissimi nel verbale di assunzione a informazioni.

Il MANCINI è imputato in ordine al reato di cui all’art. 371 bis, primo comma, ultima parte c.p., per essersi rifiutato di confermare, esaminato da questo PM il 25.01.06, la seguente dichiarazione, fatta dalla suocera Dott.ssa Olivi Maria Giacinta il 16.09.06: “Del rinvenimento del cadavere del Narducci, io lo venni a sapere, mi pare, nella tarda mattinata di un giorno festivo, a casa. A dirmelo fu un mio genero di nome Giovanni Battista Mancini che abita a Perugia, in viale Roma e che ha sposato mia figlia Elisabetta. Al tempo, lui era guardia medica al Lago ed aveva anche una casa a Passignano. Mi disse che il cadavere del Narducci era legato con dei pesi alle mani”.

Il Mancini, in stato di evidente turbamento, sin quasi a piangere, pur avendo prestato servizio come guardia medica all’USL del Trasimeno anche nei giorni 12 e 13 ottobre 1985, dalle 8 alle 20 e alludendo alla Dott.ssa Donatella Seppoloni, chiamata per la ricognizione cadaverica del Narducci, ha affermato: la persona che hanno chiamato non me la ricordo”.

Poi ha aggiunto, diventando rosso in viso e portandosi più volte le mani congiunte al volto: “Non mi ricordo da chi mi venne detto qualcosa, non ricordo cosa mi fu detto e che cosa dissi a mia suocera né se le ho chiesto cosa avesse detto“. Tutto ciò benché la Dott.ssa Seppoloni fosse stata già in servizio all’USL n. 6 del Lago Trasimeno dall’inizio degli anni ’80 sino al 1983 e vi fosse ritornata il 01°.07.1984 come medico strutturato e il Mancini non potesse non sapere che la stessa fosse intervenuta il mattino del 13 ottobre sul pontile di Sant’Arcangelo in occasione del rinvenimento del cadavere all’epoca identificato per quello del Narducci. Lo stesso Dr. Mancini poi aggiungeva, quasi come ha fatto l’ex autista del Questore Trio Enzo Leonardi (vds. p. 57):Questa situazione mi ha agitato. Poiché me lo chiede, le dico che ho saputo da mia cognata Caterina BARBIERI che mia suocera aveva riferito a lei nell’interrogatorio che ero stato io ad informarla del rinvenimento del cadavere, mentre a me ha negato di aver fatto il mio nome al magistratoe concludeva con la seguente affermazione spontanea, dopo l’interruzione del verbale ex art. 63 c.p.p., quasi come a voler “giustificare” la propria reticenza:mia figlia è nata grazie all’intervento del prof. Ugo Narducci, che ha effettuato un parto cesareo a mia moglie. Effettivamente mia suocera era collega di lavoro e amica di Ugo Narducci”.

Nel corso delle udienze nelle quali si è articolata la fase “preliminare”, si sono svolti anche gli esami dei testi indicati dalla difesa del Dr. Mancini e di quello, a controprova, richiesto da questo PM, del Dr. Giorgi.

Varrà la pena accennare a quanto è emerso da tali prove testimoniali.

La teste D.ssa Seppoloni, esaminata il primo ottobre 2009, pur non ricordandosi del Mancini, ha confermato di aver avuto contatti, come coadiutore sanitario, responsabile del settore assistenza sanitaria di base e specialistica dell’USL del Lago Trasimeno, con il settore della Guardia Medica dell’USL del Lago Trasimeno ma di non ricordarsi dei singoli medici di quel settore che saranno stati venticinque o trenta (vds. pp. 5 e 12). La teste ha altresì confermato gli orari dei turni di servizio attivo già indicati dall’imputato Mancini e in particolare quello festivo che andava dalle 8 del mattino alle 20 di sera (pp. 6 e 8). La D.ssa Seppoloni ha riferito che in passato aveva svolto le funzioni di Guardia Medica e che conosceva il Dr. Mezzetti e della D.ssa Boldrini, collega dell’imputato, indicato da quest’ultimo come uno dei suoi colleghi dell’USL del Trasimeno (pp. 9, 10 e 12).

La teste ha altresì precisato di essere intervenuta la mattina del 13 ottobre 1985 perché, nei giorni festivi, la stessa, come dipendente con la qualifica predetta (responsabile settore assistenza sanitaria di base e specialistica dell’USL), era soggetta ad una turnazione di pronta disponibilità ed in tale veste fu chiamata la mattina del 13 ottobre (pp. 12 e 13).

La teste ha riferito di avere relazionato del suo intervento il Dr. Giorgi e di averne parlato anche con il Direttore Sanitario Dr. Marchetti (pp. 15, 16 e 24).

La Dottoressa ha, poi, precisato che le constatazioni di morte potevano essere fatte anche dai medici della Guardia medica, ma solo per eventi ritenuti naturali e perché chiamato dai parenti del morto, ciò che non avvenne la mattina del 13 ottobre 1985 perché in quel caso la chiamata venne fatta dal centralino dell’Ospedale di Castiglione del Lago (p. 18) e che, appena giunta a Sant’Arcangelo, le venne incontro il Dr. Trippetti che le disse solo che era stato chiamato ma, essendo un medico di medicina generale, non poteva redigere il certificato di accertamento morte (p. 19). La Dottoressa, invece, poteva farlo solo per le morti naturali (p. 20).

Per concludere, la D.ssa Seppoloni ha, infine, escluso di aver sentito allora parlare di pesi alle mani del cadavere di Sant’Arcangelo (p. 25).

E’ stata, poi, esaminata la teste Barbieri Caterina, cognata dell’imputato e figlia della D.ssa Maria Giacinta Olivi, all’epoca Primario medico Anatomo Patologo dell’Ospedale di Foligno (pp. 27 e 28).

Della madre la teste ha fornito un quadro assolutamente univoco: la D.ssa Olivi è una donna portata “a caricarsi sulle spalle il mondo ed a salvarlo” (p. 29). Le precise parole utilizzate dalla teste sono più eloquenti di qualunque altra descrizione.

Una persona con una simile impostazione, chiamata in sede di assunzione a informazioni da un Pubblico Ministero, cercherà di fornire il contributo più qualificato possibile, offrendo agli inquirenti tutto il suo patrimonio di conoscenze. Detto questo, è evidente che un personaggio del genere non solo era decisamente in controtendenza rispetto a molte persone assunte a informazioni, ma era anche un soggetto di sicura affidabilità. Avrebbe detto quello che avesse saputo. Su questo non c’era e, a maggior ragione, non c’è il minimo dubbio.

Quando la D.ssa Olivi viene convocata, la stessa si rende conto che sarà sentita sulla vicenda Narducci (pp. 39 – 40). Ce lo fa capire la teste che, però, non spiega il motivo di tale convincimento.

Tornata dall’audizione, prosegue la teste, la madre le apparve “agitata”, “paonazza in viso”, ma perché “molto contenta di aver ben figurato….di aver fatto una bella figura”: secondo la signora, la madre si era riconosciuta un solo piccolo neo, quello di non essersi ricordata subito di chi l’avesse informata del ritrovamento del cadavere. Solo una piccola esitazione, però, perché l’impareggiabile D.ssa Olivi, ce ne fossero di persone informate come lei…., si era subito ricordata, come in un flash, che era stato il genero ad informarla (p. 30).

E’ molto importante aggiungere che, secondo la teste, la madre non scese in particolari sulle sue dichiarazioni, limitandosi a fare riferimento al fatto oggettivo del rinvenimento del corpo (p. 31).

E non vi è motivo alcuno per dubitarne.

Sempre secondo la teste, la madre non informò il genero delle domande che le erano state rivolte (p. 31).

Quando lo stesso magistrato cita per esaminare, nella stessa veste della suocera, il Dr. Mancini, la reazione è agli antipodi.

L’imputato ha avuto una “reazione di stupore”, perché non vedeva la ragione di questa convocazione (p. 31) e il suo stupore non viene meno neppure quando la cognata gli fa capire che, probabilmente, lui era stato chiamato in conseguenza di quanto aveva detto sua madre (pp. 31 e 49).

La teste ha aggiunto che il cognato le disse di non ricordarsi dell’episodio in sé (p. 31). Ma di quale episodio si parla ? Del fatto che fosse stato ritrovato il cadavere, ciò che costituiva un fatto oggettivo non riferibile al Mancini o del fatto che fosse stato quest’ultimo a informare la suocera del rinvenimento ?

Nel corso della deposizione, la teste, dopo domande insistenti, alla fine ha riconosciuto che la madre disse proprio che era stato il genero a informarla del rinvenimento del cadavere (p. 47).

La teste ha tenuto, poi, a sottolineare che la madre è una persona che non mentirebbe mai davanti ad un Pubblico Ministero (p. 48), poi, lasciandosi sfuggire una involontaria ammissione, ha infine aggiunto, tornando sulla possibilità, da lei stessa esclusa, che sua madre avesse potuto mentire al PM: “ Mi auguro di no, sennò oltre che il cognato anche la mamma !” (vds. verbale a p. 48).

La vicenda è decisamente intricata, forse un po’ troppo, ma c’è un particolare che ha dell’incredibile.

La D.ssa Olivi viene chiamata dal PM, s’immagina il motivo, ne parla in famiglia, risponde diligentemente alle domande, torna a casa e riferisce alla figlia, per sommi capi, il contenuto della deposizione.

Il Dr. Mancini riceve anche lui la convocazione dallo stesso PM, la cognata gli dice che forse sarà per quello che ha detto la madre, cioè che lui l’aveva informata del rinvenimento, perché questo solo avrebbe riferito la madre (p. 51). Per la verità, nel prosieguo (si veda a p. 51), alla domanda se la madre le avesse riferito anche del particolare dei pesi alle mani, la teste ha detto di non ricordare, senza escluderlo con chiarezza, poi, alla fine della deposizione, lo ha escluso recisamente (p. 59).

Si stupisce perché non ricorda ma non sente il bisogno di chiedere alla suocera perché mai l’abbia messo in mezzo, perché abbia detto al magistrato che era stato proprio lui ad informarla se non se lo ricordava affatto.

Questa reazione, che sarebbe stata comprensibilissima da parte del Mancini, è stata invece radicalmente esclusa dalla teste, anche perché il colloquio tra la stessa e il cognato sarebbe avvenuto proprio la sera prima dell’audizione del medico: si veda a p. 50.

La reazione del Mancini all’esame a cui lo ha sottoposto questo PM è stata drammatica, non solo, come vedremo, per come la si desume dal verbale, ma per come lo ha riferito la teste a cui la sorella, cioè la moglie del Mancini, confidò che il marito era tornato “sconvolto” (vds. p. 52), “molto scosso, ,proprio ai limiti, diciamo piangeva, ai limiti di una crisi nervosa” (p. 32). E questo benché non avesse capito di essere stato incriminato, anzi avesse pensato che avrebbe potuto evitarlo dicendo la verità (p. 53), il che, in qualche modo, poteva essere vero perché avrebbe trovato applicazione l’istituto di cui all’art. 376 c.p.

Fatica vana, però, perché l’imputato, nonostante faticose ricerche, non sarebbe riuscito a ricordarsi di nulla e non si sarebbe più ripresentato al PM, rassegnandosi “al suo destino” (p. 53).

Ma non è finita: il Dr. Mancini, neppure dopo essere stato incriminato “per causa” della suocera, va a lamentarsi da quest’ultima. Semplicemente, i loro rapporti si irrigidiscono (p. 54), nonostante che le due figlie della Dottoressa cerchino di tranquillizzare la madre e il Mancini, dicendo loro che ognuno aveva detto quello che sapeva.

Per la verità, ad averlo detto è stata solo la Dottoressa Olivi che alla figlia ha confessato che era dispiaciuta per quello che era successo al genero, ma che lei, però, aveva detto la verità (p. 55). Su questo punto, non è possibile nutrire dubbi di sorta.

La teste ha poi riferito circostanze rilevanti ai fini del processo e cioè che la prima delle due figlie della moglie del Mancini fu fatta nascere dal Prof. Ugo Narducci con un parto cesareo (p. 57) e che il Dr. Mancini lavora nello stesso Ospedale dove opera il Prof. Pierluca Narducci (p. 58).

Quanto al Dr. Giorgi, il teste è stato escusso il 22 dicembre 2009, nel corso dell’ultima udienza di trattazione, prima della discussione e lo stesso ha riferito circa la chiamata, ricevuta, proprio nella mattinata di domenica 13 ottobre 1985, dalla D.ssa Seppoloni che lo informava delle inusitate pressioni a concludere in maniera del tutto irregolare la visita esterna, all’aperto, senza poter spogliare completamente il cadavere e a formulare un giudizio di certo annegamento, senza alcun accertamento autoptico.

Torniamo al Mancini, lo stesso è stato descritto dalla cognata come uno “studioso brillante….professionalmente coinvolto nella sua professione..” ma, praticamente, privo di memoria (p. 34), come uno a cui la moglie deve tenere l’elenco dei turni, “la classica persona che esce da casa e rientra due o tre volte perché dimentica le chiavi” (p. 34).

La descrizione, non certo lusinghiera per l’imputato ma, nella prospettazione della Barbieri, necessaria per escludere la sua responsabilità, appare francamente esasperata e non credibile: se il Dr. Mancini fosse veramente come lo descrive la cognata, avrebbe potuto fare ben poca strada. Una funzione psichica, come la memoria, caratterizzata essenzialmente dall’assimilazione, dalla ritenzione e dal richiamo d’informazioni apprese durante l’esperienza, non è seriamente immaginabile come pressoché completamente deficitaria in un professionista di successo come è il Dr. Mancini che non potrebbe essere quello che è se fosse un individuo caratterizzato da un’incredibile deficienza mnemonica e da un così elevato tasso di svagatezza e disattenzione.

Il quadro, così come descritto dalla teste, fatta eccezione per l’evidentissimo punto fermo costituito dal fatto che è pacifico che la D.ssa Olivi abbia detto la verità, il quadro generale, si diceva, è inverosimile, teso unicamente a trovare una via d’uscita per il cognato, che è letteralmente “inchiodato” dalla deposizione della suocera, un personaggio che, non solo per l’età, ma soprattutto per la determinazione e la franchezza del carattere, appare agli antipodi del genero.

E’ questo che ha creato il problema nel quale si è letteralmente ficcato il Mancini: mentre la suocera, forse anche per una vena di narcisismo, non sa mentire e deve dire quello che sa e nemmeno ora potrebbe mentire, il genero è fatto di altra “pasta”, non nel senso che sia svagato o smemorato, ma nel senso che non può dire la verità a costo di dispiacere a persone verso cui ritiene di avere un dovere di gratitudine o verso cui debba convivere nell’ambiente di lavoro.

Il problema è solo questo.

Non è possibile che una notizia così grave, il ritrovamento del Narducci, che l’imputato conosceva anche se solo di nome, come da lui stesso riconosciuto, legato con dei pesi alle mani, e quindi ucciso, secondo questa notizia, l’avesse completamente dimenticata, tanto più che conosceva bene il Prof. Ugo Narducci, come vedremo, che, per di più, era anche collega di lavoro di sua suocera e se a questo si aggiunge il fatto che il Mancini lavora nello stesso Ospedale dove opera il fratello dell’uomo che qualcuno gli riferì essere stato trovato legato con le mani a dei pesi, è impossibile che l’imputato abbia dimenticato un fatto così straordinario, a prescindere dal merito della verità o meno della notizia.

Quindi, l’ipotesi che il Mancini si sia dimenticato una notizia come questa è assolutamente non credibile, tanto più che è lo stesso Dr. Mancini che nel suo p. v. di assunzione a informazioni, che lui stesso ha sottoscritto, ci spiega, con il linguaggio verbale e soprattutto non verbale posto in essere, cosa realmente ha voluto dire il 24 gennaio 06.

Bisogna, infatti, riprendere il verbale che è il corpo del reato per cui si procede, il verbale del 24.01.2006 ed esaminarlo con attenzione.

Se vi fosse un problema di memoria, non vi sarebbero gli aspetti drammatici, autenticamente drammatici che emergono dal verbale.

L’emozione vivissima, il turbamento profondo, quello che spinge al pianto, presuppone proprio il vivissim o ricordo di qualcosa che, però, non si vuol rivelare.

Lo stesso “incipit” del verbale smentisce la versione che la cognata ha cercato di accreditare.

Di fronte ad una domanda assolutamente tranquilla ed “asettica” se avesse prestato servizio come guardia medica all’USL (o ASL) del Trasimeno, lui conferma il servizio prestato e aggiunge di essersi “premurato di fare accertamenti” e di acquisire la documentazione comprovante l’attività di guardia medica proprio il sabato 12 ottobre, dalle ore 14,00 alle ore 20,00 e domenica 13 ottobre 1985, dalle 08,00 alle 20,00, che è proprio il momento del recupero “ufficiale” del cadavere del Narducci..

Evidentemente, il Dr. Mancini qualcosa doveva sapere di quello che avesse detto la suocera. Doveva sapere che le domande avrebbero riguardato il fatto che fosse guardia medica nel secondo fine settimana dell’ottobre 1985.

Il Dr. Mancini, dopo aver risposto affermativamente al fatto di essere genero della D.ssa Olivi e aver dato indicazioni su alcuni suoi colleghi dell’ASL del Trasimeno, in particolare il Dr. Mezzetti e la D.ssa Boldrini, invitato a ricordare, se possibile,i nomi di altri colleghi, entra in una condizione critica: nel verbale si dà atto “che il dr. Mancini appare esitante e in evidente imbarazzo”.

A questo punto, evidentemente, le “amnesie” sono scomparse. Il Dr. Mancini capisce dove questo PM intenda andare “a parare”. E guarda caso, il turbamento inizia quando gli si fanno domande su altri colleghi dell’ASL, oltre quelli indicati….

Il verbale prosegue con la domanda se l’imputato conoscesse Francesco Narducci. La risposta è affermativa.

Alla domanda se conoscesse la D.ssa Seppoloni e la D.ssa Mencuccini, la risposta è che non le conosceva.

Alla domanda se lui e i suoi colleghi avessero competenza per annegati al Lago Trasimeno, subentra un altro momento critico. A verbale si dà, infatti, atto che il Dr. Mancini “è articolarmente in imbarazzo”.

Non avevano quella competenza, ce lo ha detto la D.ssa Seppoloni. La domanda implicava una sola risposta.

La risposta imbarazzata dell’imputato è in distonia rispetto alla domanda: “A me personalmente non è stato mai detto che cosa avrei dovuto fare”. Cosa vuol dire, che i compiti istituzionali derivavano da consegne verbali ?

Alla domanda se fossero intervenuti per mere certificazioni di morte su cadaveri di annegati, il Dr. Mancini risponde che altri, non lui, erano intervenuti personalmente.

Eppure, ad una precisa domanda della difesa Mancini, la teste Seppoloni ha detto che gli accertamenti di morte su cadaveri ripescati nel Lago, li facevano non le Guardie Mediche ma i medici di sanità pubblica o il servizio attivo in pronta disponibilità (vds. ,il verbale 01°.10.09, a p. 22).

A questo punto, il Dr. Mancini crolla: nel verbale si dà atto che: “il dr. Mancini appare turbato fin quasi a piangere e continua a ripetere: “la persona che hanno chiamato non me la ricordo”.

Da un discorso generale, il Dr. Mancini passa immediatamente, senza che nessuno glielo abbia chiesto, all’intervento avvenuto proprio il 13 ottobre 1985, ma il passaggio provoca in lui un vivissimo turbamento, inesplicabile se di chi intervenne quel giorno lui confessi di non avere ricordo.

Questo PM chiede, allora, se “quella domenica” lui parlò con la suocera. La domanda è stata posta proprio così: vi poteva essere qualcosa di più normale e assolutamente “innocuo” che chiedere ad un soggetto se avesse parlato con la suocera in un giorno di domenica ?

Eppure, evidentemente, quella domanda ha toccato il Mancini nel suo “nervo scoperto” e la sua risposta è sconcertante. Risponde il Mancini: “ Forse, ma non me lo ricordo, non so chi me l’abbia detto, non so cosa ho detto“.

Chi aveva detto a lui e che cosa ? E che cosa e a chi lui disse ?

Sono domande rimaste senza risposta. Ma quello che è più grave è che nessuno aveva detto al Mancini che qualcuno avesse parlato a lui di qualcosa e che, a sua volta, lui avesse detto qualcosa, evidentemente alla suocera, perché l’unico riferimento a interlocutori del Mancini, quella domenica, è alla suocera.

Quando la domanda si sposta sulla scomparsa del cadavere ripescato il 13 ottobre, il Mancini risponde con un “non ricordo”.

Alla contestazione che viene fatta al Mancini e cioè che fu lui ad avvertire la suocera del rinvenimento del cadavere e che le disse che questo era legato con pesi alle mani, il mancini risponde di non ricordarsi da chi gli venne detto qualcosa, di cui non ricorda il contenuto, che cosa disse, a sua volta, alla suocera e di non ricordarsi neppure se chiese alla suocera cosa avesse detto, evidentemente al magistrato.

E’ una risposta indifendibile, totalmente indifendibile. In pratica, qualcuno, non ricorda chi, disse a lui qualcosa, ma non ricorda neppure che cosa, non ricorda neppure cosa disse alla suocera né se lui abbia chiesto alla suocera cosa avesse detto.

Quello che è certo è che qualcuno disse a lui qualcosa e che, a sua volta, lui disse qualcosa alla suocera che, a sua volta, disse qualcosa a qualcun altro.

E’ una risposta indifendibile perché, con essa, il Mancini ha ammesso di aver saputo qualcosa proprio quella mattina e di averlo riferito alla suocera, ma non ha voluto precisare né la fonte né il contenuto.

E la risposta è talmente indifendibile che il Mancini “ di tanto in tanto diventa rosso in viso e come lui stesso ammette e porta le mani congiunte al volto in più occasioni”.

E’ una reazione che assomiglia sin troppo a quella dell’autista di Trio Leonardi o dell’imputato Zoppitelli Giancarlo. Anche, nella sua espressione verbale. Il Mancini esclama: “ Questa situazione mi ha agitato. Poiché me lo chiede, le dico che ho saputo….che mia suocera aveva riferito a lei….che ero stato io ad informarla del rinvenimento del cadavere, mentre a me ha negato di aver fatto il mio nome al magistrato“.

Beh, la situazione l’avrà certamente “agitato”, a dire il meno, ma il motivo non può essere il semplice fatto che la suocera aveva detto al magistrato che era stato lui ad informarla, mentre a lui, poi, la suocera aveva negato a lui il particolare.

Cosa c’è che può spingere ad una simile agitazione, al pianto, a mettersi più volte le mani al volto nella situazione descritta dal Mancini a “giustificazione” del suo turbamento ? Qualcuno l’aveva informato quella domenica del rinvenimento del Narducci e lui lo riferisce alla suocera ? E la suocera lo dice al magistrato Cosa c’è di strano ? E se la suocera avesse mentito, perché magari l’aveva saputo non da lui ma da qualcun altro, che problema c’è ?

Ma sappiamo che non c’è stato alcun contatto tra i due, dopo l’audizione della Dottoressa. Ce lo ha escluso in maniera sin troppo recisa la teste Barbieri: si veda a p. 50. E la teste ha, per di più, escluso che la madre avesse potuto mentire (vds. p. 48).

Il Mancini era non turbato, era letteralmente sconvolto, ma non per questo. Evidentemente quella notizia lui l’aveva appresa e l’aveva appresa in un modo che l’aveva colpito profondamente, corredata di particolari che l’avevano scosso vivamente e lui l’aveva riferita alla suocera, sapendo che era collega del padre del giovane medico.

A questo punto, il verbale viene interrotto ex art. 63 c.p.p. e il Dr. Mancini, di sua iniziativa, aggiunge: “ mia figlia è nata grazie all’intervento del prof. Ugo Narducci, che ha effettuato un parto cesareo a mia moglie. Effettivamente mia suocera era collega di lavoro e amica di Ugo Narducci“.

Il Dr. Mancini ha voluto “spiegare”, di sua iniziativa, il perché del suo rifiuto di rispondere su quanto detto dalla suocera e su quello che di tanto terribile doveva aver sentito quella mattina di domenica sul ritrovamento del cadavere.

Per un attimo, il Dr. Mancini è tornato sincero: non posso dirle quelle cose che ho saputo sul rinvenimento del cadavere, non posso dire da chi l’ho saputo e che l’ho detto a mia suocera, ha fatto capire il medico, perché, dicendole, avrei leso la memoria del morto e del padre dello stesso e avrei creato una situazione imbarazzante tra me e il Prof. Ugo Narducci e tra quest’ultimo e la suocera.

Si è dimenticato un ulteriore, pesantissimo motivo per non parlare, non solo allora ma neppure quando avrebbe potuto farlo, beneficiando dell’istituto di cui all’art. 376 c.p.: il Mancini lavora nello stesso Ospedale dove Pierluca Narducci, fratello di Francesco, è Primario Ginecologo. Ce lo ha detto la cognata Barbieri Caterina (vds. p. 58).

Con queste considerazioni, appare ormai evidentissima, conclamata, la responsabilità penale dell’imputato per il reato ascrittogli.

Si chiede, pertanto, la condanna del Mancini, con la diminuzione per la scelta del rito, alla pena di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Io, salvo non so, possibili repliche, ho finito e ringrazio il Signor Giudice dell’udienza preliminare e i presenti. Mi scuso per aver dovuto parlare così a lungo ma era necessario.

Grazie

Perugia, 6 e 7 aprile 2010

IL PUBBLICO MINISTERO

(Dr. Giuliano Mignini sost.)

6 e 7 aprile 2010 Quinta Udienza Preliminare Procedimento N. 2782/05/21 per omicidio e associazione a delinquere

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Traduttore