NETTUNO
Br, si è suicidato Bruno Fortunato, l’agente ferito sul treno Roma-Arezzo
Nel conflitto a fuoco furono uccisi il collega Petri e il brigatista Galesi e fu catturata Nadia Desdemona Lioce
ROMA – Si è suicidato a Nettuno, sul litorale romano, Bruno Fortunato, 52 anni, poliziotto della Polfer in pensione, che restò ferito il 2 marzo 2003 nella sparatoria sul treno Roma-Arezzo, nella quale morirono il sovrintendente di polizia Emanuele Petri, il brigatista Mario Galesi e fu catturata Nadia Desdemona Lioce. Fortunato si è ucciso sprandosi un colpo alla testa con la sua pistola. A quanto si apprende il suicidio è avvenuto ieri sera intorno alla mezzanotte nella abitazione che l’uomo aveva ad Anzio. La pistola con la quale l’ex agente Polfer si è sparato non era quella di ordinanza ma una che l’uomo regolarmente deteneva. Sembra infatti che Fortunato, originario di Portici, nel napoletano, non abbia lasciato biglietti per spiegare il suicidio.
MOGLIE E FIGLIO – Sono stati il figlio e la moglie di Fortunato a soccorrere per primi l’uomo. Infatti mentre stavano rientrando a casa, intorno alle 23.30 di ieri, hanno sentito il colpo di pistola e si sono subito precipitati all’interno. Per Bruno Fortunato, però, ormai non c’era nulla da fare. L’uomo si è era trasferito di recente nella villetta a schiera di via della Cannuccia, alla periferia di Anzio, insieme alla famiglia. Chi lo conosce dice che era rimasto molto provato da quell’episodio, nel quale aveva perso la vita il suo collega di lavoro. Anche per questo aveva chiesto e ottenuto di andare in pensione anticipatamente. Grande il cordoglio tra i suoi colleghi, mentre molti amici hanno fatto la spola fino alla sua casa per dare conforto ai familiari.
QUEL 2 MARZO 2003 – Il 2 marzo del 2003 Bruno Fortunato, sovrintendente della polizia ferroviaria, rimase gravemente ferito nel conflitto a fuoco che portò alla cattura di Nadia Desdemona Lioce e alla morte di Mario Galesi, i vertici delle nuove Br, con quest’ultimo che uccise l’altro poliziotto Emanuele Petri. Mentre stava effettuando dei controlli con Petri e un terzo collega, Giovanni di Fronzo, all’altezza di Castiglion Fiorentino, Fortunato avvertì quello che definì poi lui stesso un «pizzico all’addome». Era il colpo di pistola sparato da Galesi che gli perforò il fegato e un polmone. L’agente riuscì però a reagire uccidendo il brigatista che aveva già colpito mortalmente Petri. Per Fortunato non era però ancora finita. La Lioce gli puntò infatti contro la pistola sottratta a Giovanni di Fronzo, il terzo agente impegnato con la pattuglia che individuando i due Br sul treno diede di fatto l’avvio alla fase decisiva delle indagini per smantellare l’organizzazione eversiva (un’operazione per la quale i tre hanno ricevuto la medaglia d’oro al valor civile). La brigatista cercò di fare fuoco verso di lui, non riuscendoci solo per la sicura che bloccava l’arma. Le indagini accertarono che i due erano terroristi facenti parte delle Nuove Brigate Rosse. Nella borsa della Lioce furono ritrovati documenti, floppy disk e due palmari che sono stati utili alle indagini che portarono poi alla cattura di tutti gli appartenenti dell’organizzazione terroristica responsabile anche degli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi, avvenuti rispettivamente negli anni 1999 e 2002. Fortunato rimase in ospedale per 30 giorni, sette dei quali in rianimazione. Quindi mesi di cure e la dispensa dal servizio dopo un anno di malattia. A raccogliere la sua eredità professionale i figli che si arruolarono in polizia come quello di Petri. «Il mio rammarico più grande? – aveva detto tempo fa Fortunato testimoniando in uno dei processi alle Br – Non avere sparato, non avere ucciso Nadia Desdemona Lioce che mi puntava contro la pistola e non è riuscita ad ammazzarmi solo perchè aveva la sicura». Nelle sue parole aveva però trovato spazio anche il rammarico, come nel maggio del 2006: «Qualche sera fa ho ascoltato un’ intervista ai parenti di Aldo Moro, i quali hanno detto che nessuno si è più ricordato di loro, e neppure gli amici si sono fatti più vivi. Accade anche a me, nonostante io abbia incontrato le Brigate rosse molto più recentemente».
I COMMENTI – «È una cosa che non mi aspettavo»: sono le poche parole che Alma Petri, la vedova di Emanuele, l’agente ucciso dalle Br, ha pronunciato dopo avere appreso la notizia del suicidio di Fortunato. La donna è apparsa visibilmente scossa e non ha voluto commentare ulteriormente quanto successo. «Una persona tranquilla e solare, molto aperta»: Leopoldo Petri, fratello di Emanuele con il quale l’agente umbro ucciso dalle Br lavorò insieme per una decina di anni alla Polfer di Terontola, ricorda così Fortunato. «Andammo a trovarlo in ospedale – ha detto Leopoldo Petri – nel periodo in cui fu ricoverato per quella pallottola che gli sfiorò il polmone e che, per fortuna, non toccò organi vitali. Quella del marzo 2003 fu un’esperienza tragica, ha ucciso Mario Galesi per difendersi. Ci mise del tempo per parlare di quel fatto, per lui non è stata una cosa facile. Abbiamo sempre mantenuto un buon rapporto con lui, da quando si era trasferito continuavamo a sentirci per telefono oppure ci incontravamo alle cerimonie in memoria di Emanuele». «Saremo vicini alla sua famiglia in questo momento» ha concluso Leopoldo Petri. «Un ottimo servitore dello Stato, una persona che ha fatto il suo dovere fino in fondo a rischio della vita. Questo si può e si deve dire». Così l’avvocato Antonio Bonacci ricorda l’agente suicida di cui fu legale, come parte civile, al processo per la sparatoria sul treno Roma-Firenze. Bonacci è sorpreso e scosso dalla notizia del suicidio del poliziotto, che non sentiva da un po’ di tempo. Non vuole commentare. Ricorda solo che Fortunato «era il personaggio meno conosciuto della sparatoria sul treno, ma cardine, è stato grazie a lui che fu bloccata Nadia Desdemona Lioce. Gli va riconosciuto e tributato quello che merita».
Redazione online